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Interno domestico. Mostre in appartamento 1972-2013

Date post: 12-May-2023
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I NTERNO DOMEST I CO Mostre in appartamento 1972-2013 a cura di Federica Boràgina e Giulia Brivio
Transcript

INTE R NO DOM EST ICO

Mostre in appartamento 1972-2013—

a cura di Federica Boràgina e Giulia Brivio

TESTI D I Federica Boràgina, Giulia Brivio, Viviana Checchia, Mario Cenci, Ermanno Cristini, Lucia Gasparini, Lia Luchetti, Mattia Pellegrini, Cesare Pietroiusti, Luca Scarabelli

R E DA Z ION E Federica Cimatti

PR OGETTO E R EALI Z ZA Z ION E GR AF ICA Giacomo Brivio

PR ODOTTO DA boîte

PU B B LICATO DA Fortino Editions llc

I SB N 978-0-9850596-9-9STAM PATO DA Esperia, Lavis (TN)

Finito di stampare nell’ottobre 2013

© Fortino Editionsgli artisti per le immaginigli autori per i testi

IN COPERTINA: Anna Valeria Borsari, Suonare Borsari, 1997veduta dell’installazione, casa Borsari, via Bertani 14, MilanoCourtesy l’artista

Questo l ibro è nato dalla collaborazione di molte persone,

studiosi d ’arte e non solo, i qual i , forse inconsapevolmente,

hanno arr icchito i l nostro or izzonte di r icerca con racconti

e test imonianze preziose.

A tutt i loro, troppo numerosi per essere r icordati uno a uno,

va i l nostro più sincero r ingraziamento.

PREMESSA (istruzioni per l’uso) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7

INTRODUZIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9

1 FONDAMENTA TEORICHE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13

1.1 A casa: Intime topografie - Federica Boràgina . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13

1.2 La casa dell’opera d’arte - Lucia Gasparini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .29

1.3 Addomesticare l’arte: Pratiche di fruizione dell’arte negli spazi domestici - Lia Luchetti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .35

— 1.3.1 Luoghi e rappresentazioni dell’arte: Il museo come istituzione del ricordo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 37

— 1.3.2 Arte e space zoning: Quando le pareti di casa parlano d’arte . . . . . . . . . . . . . . . 41

— 1.3.3 Arte pubblica e pratiche di appropriazione degli spazi urbani . . . . . . . . . . . . .45

— 1.3.4 Nuove poetiche espositive e modelli di fruizione artistica negli spazi domestici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .48

2 GENEALOGIE D’APPARTAMENTO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 59

2.1 Gli anni Settanta e Ottanta - Giulia Brivio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .65

— 2.1.1 Nuovi confini. Esplorazioni urbane . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .65

— 2.1.2 I pionieri, luoghi appena abbandonati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .69

— 2.1.3 Chambres d’Amis: Penetrazione sensibile e misteriosa. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 73

2.2 Apt-Art. Alla ricerca dell’intimità perduta - Viviana Checchia . . . . . . . . . . . . . . . . 79

2.3 Gli anni Novanta - Federica Boràgina, Giulia Brivio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .83

— 2.3.1 Nuove generazioni alla ricerca dei segni del reale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .83

— 2.3.2 Condividere lo spazio domestico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 87

3 CONVERSAZIONI INTORNO A UN TAVOLO . . . . . . . . . . . . . . . . .107

3.1 Cronache: dal 2000 al 2013 - Federica Boràgina, Giulia Brivio . . . . . . . . . . . . . . . . . 107

3.2 Files: Mappatura italiana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 113

3.3 Un giro del mondo partendo dall’Italia - Giulia Brivio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .145

4 CARTOLINE SUL FRIGORIFERO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .163

4.1 Lo specchio denso dell’interiorità - Cesare Pietroiusti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .163

4.2 Nosadella.due | Bologna - Giulia Brivio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 167

4.3 L’ospite e l’intruso | Varese - Ermanno Cristini. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 174

4.4 Private Flat | Firenze - Federica Boràgina, Mario Cenci. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 177

4.5 spazio Morris | Milano - Giulia Brivio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .185

4.6 Fare una cosa per il piacere di farla - Luca Scarabelli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 191 4.7 Stanza_opera unica | Roma - Mattia Pellegrini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .194

4.8 Domesticity, Lucie Fontaine | Milano, Tokyo e altrove - Giulia Brivio . . . . . . . .198

BIBLIOGRAFIA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .203

INDICE DEI NOMI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .206

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“Immagino uno stabile parigino cui sia stata tolta la facciata… in modo che, dal pian terreno alle soffitte, tutte le stanze che si trovano sulla parte anteriore dell’edificio siano immediatamente e simultaneamente visibili … L’intero libro si è venuto costruendo come una casa in cui le stanze si agganciano l’una all’altra secondo la tecnica del puzzle.”

Con queste parole Georges Perec descrive il suo romanzo La vita istruzioni per l’uso, e anche questo libro è simile a un puzzle, alle stanze di una grande casa senza facciata in cui è possibile entrare, con o senza invito, e prendere parte a quel microcosmo unico e irripetibile che ogni casa custodisce. Siamo entrate in questi appartamenti che, ospitando mostre d’arte contemporanea, contengono occasionalmente un’inusuale sintesi di arte e quotidianità.

Non si tratta di una catalogazione esaustiva di queste esperienze, quanto più di un racconto, filtrato dalla memoria di chi vi ha partecipato e partecipa tuttora, proprio come è capitato a noi che, nell’ottobre 2009, abbiamo preso parte ad alcune mostre in appartamenti milanesi. Incuriosite da questa tendenza sempre più diffusa in Italia e non solo, piacevolmente sorprese dall’atmosfera conviviale e informale che anima questi luoghi, così diversi dalle patinate gallerie di arte contemporanea in bilico fra l’evento glamour e i circoli elitari, abbiamo cercato di capire se queste esperienze fossero solo una moda o un fenomeno culturale con radici storiche e possibilità di sviluppo.

PREMESSA(istruzioni per l ’uso)

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ICO Il nostro racconto inizia negli anni Settanta, percorre gli anni Ottanta

e Novanta e trova ampio sviluppo nell’ultimo decennio; correndo lungo la penisola italiana e oltre, fino alla Cina, e rivivendo nella memoria di molte persone, critici, artisti, collezionisti, ospiti occasionali di questi inediti spazi espositivi.

I ricordi e i racconti sono stati la fonte principale per ricostruire queste esperienze, quasi sempre vissute ma raramente documentate; e per questo è stato impossibile farne una ricostruzione filologica.

Questo libro è stato immaginato come una casa: le parole che state leggendo sono scritte su un cartello appeso sul portone; a seguire troverete una pianta dell’appartamento che vi introdurrà alla visita; sul pavimento ci saranno le fondamenta teoriche che accompagnano le mostre. E ancora, sui muri, le storie e i ricordi delle esperienze dei decenni passati e le finestre aperte verso l’orizzonte. In cucina una tavola rotonda intorno alla quale abbiamo ospitato molte persone che tutt’ora organizzano mostre domestiche e con le quali abbiamo chiacchierato a lungo. Infine, sull’anta del frigorifero sono appese delle cartoline, racconti di amici e delle loro case.

Vietato suonare, la porta è sempre aperta.

P.S. Come nella casa parigina di Rue Simon-Crubellier, l’ascensore è sempre rotto. Prendete le scale, “il luogo neutro che appartiene a tutti e a nessuno”.1

1 G. Perec, La vita istruzioni per l’uso. Milano, Rizzoli, 1984, p. 11.

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L’uomo ama tutto ciò che serve alla sua comodità e odia tutto ciò che lo infastidisce e vuole strapparlo dalla posizione sicura che ha raggiunto.È per questo che ama la casa e odia l’arte.

Adolf Loos

E se l’arte e la casa per una volta coincidessero? There’s no place like home, Be Quite, Please, Radical Intention, Private Flat, Home Project, Carrozzeria Margot, Apartment Art, Cosa succede a…, GAFF… Sono numerosi gli eventi che abitano il mondo dell’arte contemporanea in questi ultimi anni e che hanno come location appartamenti privati.

Da dove nasce l’idea di organizzare mostre d’arte in spazi domestici? Da quando esiste questa pratica curatoriale? Quale futuro potrà avere?

Nel lontano dopoguerra, in Italia, Giorgio de Chirico organizzava le sue mostre nell’appartamento di via Mario de’ Fiori a Roma, perché “le gallerie romane si accendevano per il nuovo, che noi abbiamo poi rapidamente dimenticato”.2 Il racconto prosegue: “In una di queste mostre, con i quadri sul divano e sulle poltrone del salotto, fu invitata Palma Bucarelli, direttrice della Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, galleria che, per antonomasia, molti

INTRODUZ IO-NE

2 a lmanaccoromano.b logspot .com/2008/11/de-chir ico-al la -casa-del le -muse.html.

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ICO chiamavano il Museo degli Orrori. Mentre Giorgio de Chirico doveva

ingegnarsi in spazi espositivi ricavati alla buona, la Galleria Nazionale metteva a disposizione le sue capienti sale per le opere del suo rivale di gioventù, Picasso, e la indomita direttrice convinceva il capo dello Stato a presenziare al vernissage dello spagnolo, fatto raro a quei tempi, ma poi nonostante tanta ufficialità, l’artista acclamato non si degnava nemmeno di un viaggio da Parigi per partecipare alla festa che gli si tributava nella città eterna”.3

La censura, la ribellione al sistema, il desiderio di indipendenza, sono alcune delle ragioni che motivarono la scelta di allestire mostre in spazi domestici, ma non solo. A partire dalla fine degli anni Settanta furono la ricerca di nuovi formati curatoriali e l’affermazione di nuove tendenze dell’arte contemporanea che fecero entrare in casa artisti, curatori e spettatori.

Nel 1991 Hans Ulrich Obrist organizza a San Gallo the Kitchen show, una mostra che ha luogo nella cucina di casa sua, e così ricorda quella situazione: “Agli inizi degli anni Novanta, molti artisti si sentivano limitati dalle possibilità offerte da musei e gallerie, e volevano riesaminare la possibilità di presentare i loro lavori in modi diversi, in altri contesti, com’era frequente negli anni Sessanta e Settanta”.4 La sperimentazione di Obrist continua in un confronto innovativo con lo spazio espositivo: ancora una casa è il luogo scelto per la mostra di Gerhard Richter. Non una casa qualunque: “Il paesaggio del luogo, l’Engadina, è ibrido: tra il sud e il nord, a metà tra la luce scandinava e quella mediterranea … L’idea era quella di esporre le fotografie di Richter nella casa di Nietzsche, non nel tipico museo, ma in un museo della fotografia”.5 È ancora un ambiente domestico, anche se non propriamente una casa, ma un’abitazione temporanea a ospitare Chambre 709, all’Hotel Carlton Palace a Parigi nel 1993. In questo caso Obrist invita moltissimi artisti ad allestire opere nella camera d’albergo in cui viveva. Queste scelte curatoriali sottolineano l’importanza dell’ambientazione nella realizzazione della mostra, considerandola un mezzo necessario per creare la magica armonia che unisce tutti gli elementi costitutivi del progetto espositivo.

L’antitesi del tanto lodato e praticato white cube? È probabilmente un approccio sterile quello che tenta di creare contrapposizioni fra l’asettica galleria completamente bianca, che evita ogni possibile distrazione per l’osservatore, e l’ambientazione domestica, in cui l’osservatore fatica a distinguere tra le opere in mostra e i ricordi, le fotografie di famiglia, le

tracce della vita di chi abita quella casa. La contrapposizione ci porterebbe a chiederci quale delle due scelte sia migliore,

3 Ibidem.4 H. U. Obrist, …dontstopdontstopdontstopdontstopdontstop. Milano, postmediabooks, 2009, p. 21.5 Ibidem.

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Oma non è questo il nostro obiettivo. Le mostre pensate in un appartamento abitato nascono con un’intenzione e una volontà completamente diversa dalle esposizioni pensate in un white cube: in quest’ultimo caso la forza comunicativa dell’arte è affidata esclusivamente all’opera, simulacro da osservare in una religiosa ritualità, avvolta nello spazio vuoto che assume un valore semantico e si interpone fra l’opera e lo spettatore, condizionandone il dialogo.6 Nel caso delle mostre domestiche, invece, il tentativo è di camminare lungo il percorso in cui l’arte e la vita si intrecciano, quasi senza più distinguersi, proponendo l’arte come esperienza concreta, fisica, come declinazione della vita quotidiana.

Le riflessioni che nascono da queste prime osservazioni si diramano in molte direzioni: da un lato queste questioni possono essere affrontante in chiave estetica interrogandosi sull’idea di arte come esperienza, sulla fusione fra l’arte e la vita. Da un altro punto di vista le argomentazioni possono assumere i toni di una riflessione sociologica in quanto la modalità di fruizione indotta in un white cube è completamente differente rispetto all’esperienza condivisa in mostre domestiche.

Marcel Duchamp sosteneva che l’opera esiste solo nel momento in cui qualcuno la guarda: riconoscendo il valore dell’affermazione duchampiana, volta a sottolineare la natura concettuale dell’arte contemporanea, proviamo a chiederci se l’opera d’arte cambia rispetto al comportamento del suo osservatore. La ritualità asettica dello spazio della galleria in cui l’osservatore perde ogni riferimento al fine di focalizzare la propria attenzione solo sull’opera, conduce, con frequenza, a un senso di disorientamento, di disagio, di imbarazzo, come se il dialogo fra l’opera e l’osservatore fosse troppo gravoso per quest’ultimo. Entrando in una casa, invece, seppur con circospezione e timida riverenza, si è avvolti in un clima, estraneo all’inizio, ma lentamente avvolgente, e lo sguardo scorre veloce sui quadri alle pareti, così come sulle mensole delle librerie, curioso e attento. In una prima fase l’osservatore non concentra certamente la propria attenzione sull’opera, ma scruta quelle tracce di vita disseminate fra i mobili e sui pavimenti, osserva il colore del divano e dei muri, e in quella mappa mnemonica e privata rintraccia, quasi casualmente, frammenti di arte. Ecco che l’imbarazzo, la difficoltà di una conversazione vis-à-vis con l’opera si consuma in un incontro accidentale. Dopo l’avvicinamento ai lavori, l’osservatore che in casa diventa un’ospite, si trova a confrontarsi con gli altri ospiti senza la necessità, talvolta indotta dal contesto, di pronunciarsi sull’esegesi dell’opera. Nella casa capiterà, con più probabilità, di incominciare una conversazione

6 B. O’Doherthy, Inside the White Cube: The Ideology of the Gallery Space. Berkeley, University of California Press, 1986 (trad. it. Inside the White Cube: L’ideologia dello spazio espositivo. Milano, Johan & Levi, 2012).

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ICO osservando la libreria ed esclamando: “Ho cercato questo libro per un sacco di

tempo, tu l’hai letto?”. Il libro potrà essere il primo oggetto di conversazione e poi si giungerà, magari intorno a un tavolo o accomodati sul divano, a parlare delle opere; ma con un grado di intimità e convivialità sconosciuto negli spazi ufficiali deputati all’arte. Rifuggendo da ogni possibile abbaglio della psicologia e sociologia spicciola, è inevitabile osservare come la timidezza che accompagna le situazioni e i luoghi istituzionali non siano presenti in uno spazio domestico dove le relazioni sociali e il dialogo sono incoraggiati e condivisi e viene da chiedersi: tale necessità di dialogo, di accoglienza, di ospitalità offerta e ricevuta è forse sintomatico di una condizione dell’uomo contemporaneo?

Se da un lato l’osservatore assume un altro ruolo e un’altra identità divenendo ospite, come cambia lo statuto delle opere d’arte poste in una casa? Ancora una volta, la mente corre alle parole di Duchamp e riflette sul ruolo fondamentale dell’osservatore per l’esistenza dell’opera: la maggiore prossimità e confidenza fra l’opera e lo sguardo, compromettono la percezione e, seppur ciò non equivalga alla comprensione assoluta dell’oggetto e del suo significato, costringono al confronto sincero, evitando la protezione fisica e mentale delle teche trasparenti dei musei e delle gallerie.

Proprio il confronto con le gallerie e i musei porta alla luce un altro aspetto che aiuta a comprendere le motivazioni dell’esistenza di mostre in spazi domestici: da un lato c’è la volontà di vicinanza con l’opera, di una maggiore condivisione e intimità; ma dall’altro è chiaro il sintomo di una carenza istituzionale del sistema dell’arte. Le difficoltà che un giovane curatore incontra per organizzare una mostra, i limiti che si presentano a un artista che vuole comunicare il suo lavoro, sono enormi e sono pochissime le istituzioni pubbliche e private che possono sostenere gli artisti emergenti. L’unico ambito per sperimentare le proprie idee, con una spesa minima, rimane lo spazio privato della casa.

Questa pubblicazione non ha lo scopo di storicizzare il fenomeno delle mostre domestiche, ma più semplicemente, di percorrerlo in chiave critica, bussando alle porte, interrogando gli ospiti e gli artisti, cercando di capirne l’origine e ipotizzando un futuro, sicuri di dimenticare qualche casa nel nostro viaggio. Gli esempi proposti intendono dimostrare che l’arte contemporanea

può essere parte della nostra esperienza quotidiana e che le mura domestiche possono essere il luogo ideale per custodirla.

In fondo, aveva ragione Dorothy: “There’s no place like home”.7

7 L. F. Baum, The Wonderful Wizard of Oz. Chicago, George M. Hill, 1900. Questa battuta di Dorothy Gale, la protagonista, è stata mutuata da Anna Caterina Bleuler, Francesca Chiacchio, Sara Errico come titolo per le mostre che hanno curato nell’appartamento di via Col di Lana 4, a Milano, nell’ottobre 2010.


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