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\"La necropoli di Nola preromana\" 45 anni dopo

Date post: 04-Dec-2023
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DIGGING UP EXCAVATIONS Processi di ricontestualizzazione di “vecchi” scavi archeologici: esperienze, problemi, prospettive Atti del Seminario, Pavia, Collegio Ghislieri 15-16 gennaio 2015 A cura di Paolo Rondini e Lorenzo Zamboni Presentazione di Maurizio Harari e Alessandro Naso Edizioni Quasar Estratto
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DIGGING UP EXCAVATIONSProcessi di ricontestualizzazione di “vecchi” scavi archeologici: esperienze, problemi, prospettive

Atti del Seminario, Pavia, Collegio Ghislieri 15-16 gennaio 2015

A cura di Paolo Rondini e Lorenzo ZamboniPresentazione di Maurizio Harari e Alessandro Naso

Edizioni Quasar

Estratto

Redazione: Paolo Rondini, Lorenzo ZamboniIn copertina: da un'elaborazione grafica di Ruggero Pedrini

© Roma 2016, Edizioni Quasar di Severino Tognon s.r.l.via Ajaccio 41-43, 00198 Romatel. (+39) 06 85358444, fax (+39) 06 85833591email: [email protected]

ISBN 978-88-7140-697-8

Il volume che qui si pubblica è il primo di una serie che, espressamente dedicata all’Archeologia Classica e del Vicino Oriente, intende accogliere i migliori prodotti scientifici di giovani studiosi formati all’Università di Pavia. La serie editoriale è stata ideata e resa finanziariamente possibile dalla generosa intelligenza del dr. Cesare Oddicini, alunno dell’Università di Pavia per le discipline dell'antichità.

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«La necropoli di Nola preromana» quarantacinque anni dopoMario Cesarano

Abstract: Based on published data from excavations of the last 45 years, conducted in Campania, in Nola too, we should now resume the study of that part of necropolis in Nola excavated in the Ronga garden in the winter 1937/38 and published in 1969 under the title “La ne-cropolis preromana di Nola” by M. Bonghi Jovino and R. Donceel. The knowledge we acquired during the last fifty years, thanks to the many new findings and studies, has helped us to enhance and deepen our understanding of the funerary rituals in Campania through VIIth and VIth centuries B.C. The present work shows how this has been done also for the Ronga Necropolis in Nola, by resolving some of the doubts and focusing on important details.

IntroduzioneL’edizione di alcuni contesti funerari indagati negli ultimi trent’anni nella zona in cui doveva ricadere l’ampia area di ne-

cropoli a nord dell’antico abitato di Nola1 (Fig. 1.A), ha riproposto un riesame della porzione dello stesso sepolcreto, indagata nell’inverno 1937/38 nell’allora fondo Ronga e pubblicata nel 1969 da Bonghi Jovino e Donceel col titolo di La necropoli di Nola preromana2. I risultati che vanno acquisendosi, nell’ambito di uno studio tutt’ora in corso e del quale si presentano in questa sede dati estremamente parziali, provano la validità di certi ritorni o “ricontestualizzazioni”.

La scelta di un lavoro su Nola da parte di Bonghi Jovino e Donceel cadeva in quegli anni di crescente interesse e scien-tificità degli studi su Etruschi e Italici, in cui emergeva sensibilmente quanto uno studio di Nola, fondato su documenti storico-archeologici certi, non fosse più procrastinabile se si voleva giungere ad una più completa conoscenza della storia della Campania antica, punto cruciale per le vicende che avevano interessato il Mediterraneo in ogni epoca. Malgrado le necropoli della città fossero state scavate massicciamente fin dal XV secolo, fino a costituire nei secoli d’oro dell’antiquaria sette/ottocentesca uno dei maggiori luoghi di rifornimento per le raccolte vascolari di eruditi e nobili di tutt’Europa3, la necropoli del fondo Ronga si offriva agli studiosi come la prima ad essere stata scavata secondo metodi scientifici, per così dire, moderni, con la redazione di un minuzioso giornale di scavo, contenente misure delle sepolture, loro orientamento, profondità, corredi e loro disposizione all’interno della sepoltura, piante e schizzi, oltre a tre sezioni delle stratigrafie e a una pianta d’insieme in scala 1:200 (Fig. 1.B). In effetti si trattò per Nola del primo caso di ricontestualizzazione di vecchi scavi: Donceel si occupò dei dati topografici e stratigrafici, la Bonghi Jovino riassemblò i corredi (che, conservati presso i depositi del Museo Archeologico Nazionale di Napoli, erano andati in parte smembrati nel corso della Seconda Guerra Mondiale) e ne studiò i materiali. Il primo, presa lettura del diario di scavo, rilevò imprecisioni nelle sezioni e negli schizzi e redasse una pianta definitiva dell’area funebre indagata, che gli scavatori non erano stati in grado di approntare a causa delle inesattezze dei disegni realizzati sul campo4; su questa pianta proiettò due sezioni della stratigrafia archeologica, ricavate dal confronto tra i dati forniti dal giornale di scavo redatto dal Testa, da «un cenno descrittivo della zona di scavo di necropoli preromana, nel giardino del fabbricato di proprietà Ronga», datato 8 febbraio 1938, a firma di O. Elia, dalle sezioni elaborate dall’ing. Di Pompeo5. Gli scavatori avevano prelevato campioni di ognuno dei nove strati da essi individuati. Le sezioni del Donceel elen-carono invece tredici strati, alcuni dei quali all’interno dello strato 2, non distinti al momento dello scavo perché sconvolti. Altra discrepanza riguardò l’indicazione della quota alla quale emergeva la falda d’acqua, data nel primo caso a m 7,05 e nel caso dello studioso belga a m 8,10.

1 Sampaolo 1985; Albore Livadie - Mastrolorenzo - Vecchio 1998, pp. 39-83; Vecchio - Grasso 2007, pp. 189-197; Cerchiai - Salvadori 2012, pp. 435-455. Si aggiunga Isler-Kereny - Lezzi-Hafter - Donceel 1980 per l’edizione dei corredi scavati nel 1830 del Reggimento Svizzero d’istanza a Nola al servizio dei Borboni. 2 Bonghi Jovino - Donceel 1969.3 Per il commercio di vasi antichi dal regno di Napoli verso l’Europa cfr. da ultimo Milanese 2014 e l’allegata bibliografia. In particolare su Nola cfr. Napoli-tano 2005; Masci 2007, pp. 215-224; Cesarano 2008, pp. 174-202; Idem 2009, pp. 83-112; Idem 2010, pp. 87-115; Idem 2011a, pp. 49-82. 4 Bonghi Jovino - Donceel 1969, pp. 23–37.5 Bonghi Jovino - Donceel 1969, pp. 23–37 e 95–100, per la discussione completa in merito alle sezioni e alle piante redatte dagli scavatori.

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M. Cesarano

Per niente facile il lavoro di studio di Maria Bonghi Jovino, tenuto conto dello scarso numero di contesti editi con cui confrontare i corredi funebri della necropoli nolana6, dei tanti punti d’ombra nelle conoscenze di alcune delle classi ceramiche in essi contenute, della totale inesistenza di un’“archeologia” della morte, che di lì a poco avrebbe arricchito l’archeologia del contributo degli studi di antropologia, di sociologia, di iconologia, di psicologia storica, di semiotica.

La ricontestualizzazioneIl Testa registrò nel giornale di scavo 24 sepolture a fossa terragna e altre 18, tra tombe a cassa di tufo, a cappuccina e

a coppi, per un totale di 42 sepolcri. Donceel ne riconobbe 49. Nello studio in corso sembra corretto definire 48 deposizioni distribuite in 47 sepolture, dissentendo dalle conclusioni del Donceel riguardo alle tombe 5 e 21 del Testa.

Nel giornale di scavo gli elementi del corredo della tomba 5, a causa della troppo disparata cronologia, non appaiono tutti associabili e la descrizione annota «la presenza di altre sepolture posteriori, per le quali, sono state sconvolte parzialmente quelle precedenti, quando non le hanno addirittura distrutte…». Donceel ritenne giusto distinguere tre tombe (XIV, XIVbis e XIVter)7, che invero possono considerarsi soltanto due, entrambe a fossa terragna.

Alla prima potrebbero riferirsi elementi di corredo databili intorno alla prima metà del VI sec. a.C. (Fig. 1.C):

• una kotyle d’impasto bruno8 (2);• una kotyle identica alla precedente per impasto e decorazione, tranne che per l’assenza del piede a disco9 (3);• un’oinochoe mesocorinzia (4);• un’anfora d’argilla depurata, di produzione locale, che si rifà a modelli greco-corinzii10 (1);• un aryballos globulare etrusco-corinzio, con decorazione a bande brune e rosse11 (5);• uno stamnos con coperchio di bucchero pesante, forma peculiare della produzione campana tra la fine della fase orienta-

lizzante e (in alcuni casi) il primo terzo del V sec. a.C.12 (6);• una coppa carenata di bucchero13 (7)

Alla seconda potrebbero invece ascriversi elementi di corredo collocabili entro i primi quarant’anni del V sec. a.C. (Fig. 3.A):• una coppetta monoansata semiverniciata14 (2);

6 Basti osservare che per i contesti campani la bibliografia allegata al volume annota soltanto: Gabrici 1913 per Cuma; Bonghi Jovino 1965 per le tombe di-pinte di Nola; D’Agostino 1965 e 1968 per l’Agro Picentino e per Pontecagnano; Johannowsky 1965 per Capua e Cales; Trendall 1966 per i vasi a figure rosse campani; Mingazzini 1969 per Capua. 7 Bonghi Jovino - Donceel 1969, pp. 53-56 e 106-107.8 Un esemplare dello stesso tipo è nella sepoltura XXIV della stessa necropoli (Bonghi Jovino - Donceel 1969, p. 63, p. 110, tav. XI, B1; Cesarano 2004, p. 29).9 Ha confronti con kotylai a fondo piano di impasto buccheroide, con decorazione a lamelle metalliche, nella tomba III della necropoli di Poggio Buco (Barto-loni 1972, tav. XVII, d, e, f), ma anche con esemplari a Pontecagnano. Deriva probabilmente dalla “tall” kotyle protocorinzia (Brokaw 1964, p. 50 sgg), presente in Etruria già nel primo quarto del VII sec. a.C. (Colonna 1968, pp. 268–269).10 Albore Livadie 1985, pp. 127–154, classifica il pezzo come “anfora di tipo corinzio A Koehler”, presente a Pontecagnano nel VII sec. a.C. nella tomba 926 (D’Agostino 1977, p. 11 R.47).11 Imita per forma e decorazione esemplari corinzi di tipo Payne B2, tra quelli più diffusi nella produzione etrusco-corinzia, ampiamente attestato soprattutto in Etruria meridionale (Payne 1931, pp. 287 sgg., fig. 125; p. 291, fig. 126; pp. 319 sgg., fig. 160).12 Risponde al tipo Livadie 17a (Albore Livadie 1979, p. 109, fig. 26) collocato nella fase V di Capua (570 – 520 a.C.), che compare però a Nocera in un contesto datato tra la fine del VI sec. e gli inizi del V sec. a.C., e nella tomba 27 della necropoli Pareti del primo terzo del V sec. a.C. (Locatelli 1993, p. 172, n.4, p. 173, n.15). Un esemplare da Fratte si ascrive a un corredo posteriore al 520 a.C. (Locatelli 1993, p. 175, 21). Una replica si conserva al British Museum di Londra (Rasmussen 1986, p. 281, fig. 15). Il tipo è attestato anche a Vico Equense (Bonghi Jovino 1982, p. 50, 18, tavv. 18, 3, 2 e 99, 1). Un esemplare da Montesarchio dalla tomba 2384 della necropoli di via Cervinara, il cui corredo è esposto al Museo Archeologico dell’Antica Capua, si data agli inizi del V sec. a.C. I diversi esemplari possono differire per il ventre più o meno rastremato, per il corpo più o meno slanciato, per la forma del coperchio e della sua impugnatura. Talvolta il coperchio manca. La stessa forma si ritrova: in ollette stamnoidi italo–geometriche dalla tomba 4306 di Pontecagnano (Cerchiai 1990, fig. 16, 4); in stamnoi di argilla figulina a Poseidonia (Greco - Theodorescu 1996, p. 33, 5.2); nella ceramica subgeometrica prodotta a Pontecagnano, nel tipo Cuozzo/D’Andrea 27B, diffuso in Campania nel primo quarto del VI sec. a.C., spesso in associazione con importazioni mesocorinzie (Cuozzo - D’Andrea 1991, p. 77, fig. 7). 13 Si riconduce al tipo Livadie 18B (Albore Livadie 1979, p. 109, fig, 26; figg. 10 da Stabia, 13 e 14 da Capua), collocabile nella V fase di Capua (570–520 a.C.), ma che si ritrova in contesti di fine VI - inizi V sec. a.C. a Pompei (Locatelli 1993, p. 174, nn. 17 e 18), a Fratte, dove compare anche in contesti databili nel secondo quarto del V sec. a.C., nella tomba VII/1927 del terzo quarto del V sec. a.C. e dove è ormai certa una produzione locale di bucchero pesante che sforna una tipologia di coppe carenate che non si possono ricondurre ai soli due tipi Livadie 18A e 18B; a Nocera, ad Alfedena, a Vico Equense (Bonghi Jovino 1982, passim); a Punta Campanella (Russo 1992, passim).14 Si tratta di una forma di tradizione ionica, propria della ceramica a fasce o parzialmente risparmiata (Adamesteanu - Dilthey 1978, pp. 522–523; Dell’Aglio 1996, pp. 56–57), ampiamente imitata nei centri indigeni dell’Italia meridionale. Il tipo trova confronto con la coppetta tipo 98A1b di Cairano, databile tra la seconda metà del VI e la prima metà del V sec. a.C. (Bailo Modesti 1980, tav. 55, n. 75, p. 117, n. 75; tavv. 87, 90, 95, 115, con ampia bibliografia). Per un esemplare dalla necropoli arcaica dell’antica Stabiae cfr. Albore Livadie 2001, p. 54 n. 17, tav. 4.17. Il tipo compare in territorio greco a partire dalla fine del VI sec. a.C. e stessa cronologia può darsi per l’Italia meridionale, attestata in numerosi corredi con le ultime coppe ioniche e le prime kylikes del gruppo Kleine Schäle C. In alcune aree sopravvive fino al IV sec. a.C. con varianti decorative. La sua distribuzione ricalca fedelmente quella delle coppe ioniche e soprattutto quella della kylix tipo C. Attestazioni estranee a contesti funerari provengono dagli strati arcaici della città bassa, databili all’ultimo quarto del VI sec. a.C., a Velia (Greco, Krinzinger 1994, p. 31, fig. 26) e dalla stipe dell’Athenaion di Punta Campanella (Russo 1992). A Taranto il tipo rientra in una più vasta produzione che imita la ceramica d’importazione ionica e che si data già alla prima metà del VI sec. a.C., protraendosi fino al I sec. a.C.: insieme alla coppetta monoansata si confezionano olle, anfore, stamnoi, oinochòai, olpai, brocche, la-gynoi, lekythoi, skyphoi, tazze, coppe, coppe biansate (De Juliis 1997, pp. 75–77; Taranto I, 3, p. 246, fig. 53, 9; p. 360, fig. 125.61). Va infine citata la presenza di coppette monoansate in buona quantità nel santuario di Gravisca nella prima metà del VI sec. a.C. e non oltre il 550 a.C. (Boldrini 1994, pp. 243–244, tav. 22). La decorazione dipinta di questo tipo di coppette presenta un’estrema variabilità: di solito una sola fascia dipinta all’esterno, posta quasi a metà della vasca, talvolta accompagnata da una o due fasce di spessore minore parallele; l’interno può essere interamente campito oppure con fasce sovraddipinte in rosso o con fasce risparmiate.

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«La necropoli di Nola preromana» quarantacinque anni dopo

• un boccale monoansato a vernice nera attico (5);• un’oinochòe d’argilla chiara con decorazione a bande15 (6); • una coppa a vernice nera etrusco-campana arcaica16 (1);• una coppetta su piede a vernice nera etrusco-campana arcaica17 (3);• uno skyphos di tipo corinzio a vernice nera etrusco-campana arcaica18 (4); • uno spiedo di ferro;• una fibula di ferro, molto frammentata ed ossidata;• un anello di bronzo.

Donceel distribuì nelle tombe XXXVII e XXXVIIbis gli oggetti che il giornale di scavo assegna alla tomba a fossa terragna n. 21, che «aveva al suo lato sinistro altro piccolo scheletro umano»19. Si ha l’impressione che lo studioso abbia composto i corredi sulla base della classificazione della ceramica, ascrivendo ad una tomba quasi tutta quella d’impasto e di bucchero, assegnandovi una datazione agli inizi del VI sec. a.C., e all’altra tutta quella di argilla figulina con decorazione prevalentemente a fasce, senza ancora distinguere tra ceramica italo-geometrica e ceramica etrusco-corinzia, con una cronologia compresa entro la seconda metà del VII sec. a.C. Ma stando alle note contenute nel giornale di scavo sulla distribuzione degli oggetti, è indubbio che debbano riunirsi in un unico corredo, databile nella seconda metà del VII sec. a.C., associato a una sepoltura bisoma20 (Fig. 2):

ai piedi:• due piattelli carenati d’impasto21 (3-4);• una coppa biansata, di un tipo con accenno ad una bassa carena22 (6);• un’oinochoe d’impasto23 (1); • tre bottiglie a bocca circolare italo-geometriche24 (7-9);

15 Deriva la forma dal repertorio del bucchero pesante campano tipo Livadie 10e (Albore Livadie 1979, p. 108), collocabile nella fase V di Capua (570–520 a.C.). Dell’area di diffusione del bucchero campano tra l’ultimo quarto del VI sec. e il primo del V sec. a.C. il tipo di oinochòe di argilla ricalca le tracce: Vico Equense (Bonghi Jovino 1982, tav. 23, 4); Calatia (Ferrante 2006, p. 130, n. 132); Suessula (Borriello 1991, tav.39,4 e 40, 2, databili tra il 525 e il 475 a.C); Nocera (Romito 1994, tav. XXXb, tomba 74); Avella (magazzini dell’Antiquarium di Avella).16 Si tratta del tipo più diffuso nella produzione di vernice nera etrusco-campana, che imita modelli attici (Sparkes-Talcott 1970, p. 128, fig. 8, tav. 32). Oltre che a Nola, si ritrova ad Avella (in un corredo di V sec. a.C., inedito, della tomba 75 al Museo Provinciale Irpino), a Vico Equense (Bonghi Jovino 1982, p. 71, 41, tavv. 39, 3, 3 e 113, 4), a Fratte (Donnarumma-Tomay 1990, p. 258, tomba 15/1963, n. 2, fig. 439, n. 2), a Napoli (Napoli Antica 1985, p. 22, fig. 26, A2), a Cairano (Bailo Modesti 1980, p. 198 e p. 85 sgg, tav. 116, 93), a Pompei (De Caro 1986, p. 102, nn. 766–770, tav. LXXI). La produzione in ambiente campano è confer-mata dal rinvenimento di frammenti in una fornace nella zona di Caserta, databile tra la fine del VI e l’inizio del V sec. a.C. (Albore Livadie 1991). Il perdurare della forma nella seconda metà del V sec. a.C. è documentato non solo da contesti di Poseidonia, ma anche da corredi di Alfedena e di altre località del Sannio (Parise Badoni - Ruggeri Giove 1980, tav. 20, n. 8; tomba 130, n. 6; tomba 132, n. 4).17 Come la coppa, si rifà anch’essa a modelli attici dello stesso periodo (Sparkes-Talcott 1970, pp. 140 sgg, fig. 9, tav. 35). Rientra nella classe delle cosiddette Neossos Schälchen, che mostrano una certa variabilità soprattutto nella forma del labbro, e sono ampiamente diffuse in Italia meridionale, dove il tipo si ritrova sovente associato a kylikes C e a coppette monoansate a fasce risparmiate, componendo assieme ad esse una sorta di servizio: Vico Equense (Bonghi Jovino 1982, pp. 47–48, tav. 15, fig. 1, 2–6; p. 19, tomba 39, tav. 5, 2, 4; p. 21, tomba 62, tav. 6, 1, 4–5; p. 75–77, tav. 39, 1; pp. 87–88, tav. 50, 1, 1–4; p. 87, tav. 50, 2, 1); Palinuro (Naumann - Neutsch 1960, pp. 112–114, tav. 35, 4–7); Capua (Mingazzini 1969, tav. 2, 9); Sala Consilina (La Genière 1968, p. 198, tav. 23, 2, 9); Pontecagnano (D’Agostino 1968, p. 189, fig. 78, 2); Melfi - Pisciolo (Tocco 1972, p. 333, tav. 95, 2); Daunia (Iker 1967, p. 48 e p. 51, fgi. 9, 1); Taranto (Taranto I, 3, p. 270, n. 70.24).18 Il confronto più stringente si offre con uno skyphos da Fratte, il cui contesto di appartenenza si data tra il 480 e il 460 a.C. (Donnarumma - Tomay 1990, p. 223, fig. 369, n. 6). Alla prima metà del V sec. a.C. si ascrive un tipo molto simile ma leggermente diverso, con vasca più ampia e più bassa, attestato sempre a Fratte (Wenner 1990, p. 191, fig. 302, n. 2) e a Cairano (Bailo Modesti 1980, p. 84, tipo 100, tavv. 90–95).19 Bonghi Jovino - Donceel 1969, pp. 79-82 e 113-114.20 Il giornale di scavo attribuisce al corredo anche «una coppa decorata esternamente da linee in rosso, diam. 0.135», col numero 194, «una lancia in ferro frammentata in due pezzi», col numero 203, posta al lato destro dello scheletro, e «un’urna in terracotta frammentata», con numero 208, collocata a destra della testa, che risultano disperse.21 Uno di essi è dato erroneamente come scodella carenata con fondo piano in Parise Badoni 2000, p. 108, tav. LV, 7. Un’affinità si riscontra col tipo 101 classificato da d’Agostino per l’impasto di Pontecagnano e collocabile tra la seconda metà del VII e il primo quarto del VI sec. a.C. (D’Agostino 1968, p. 124, fig. 30; Cuozzo - D’Andrea 1991, fig. 4, 9a).22 Sembra una variante di un tipo spiccatamente campano, documentato a partire dall’ultimo quarto dell’VIII sec. a.C. in alcuni aspetti della Fossakultur settentrionale: Valle del Sarno (D’Ambrosio 2005, p.117, n.5); Avella (Fariello 1980); Calatia (Ferrante 2006, p. 112, n.36; Murolo 2003, p. 147, fig. 119, tomba 190, n. 18; p. 151, fig. 124, tomba 194, n. 59; p. 168, fig. 148, tomba 304, n. 171); Caudium (inedito); Capua (Johannowsky 1983, tav. LI, 15–16; Mingazzini 1969, tav. 9, 7–8).23 Trova uno stringente confronto con un’oinochòe globulare d’impasto da Vico Equense, che differisce solo per l’ansa, che è bifida (Bonghi Jovino 1982, p. 96, 2, tav. 130, 6). Per un esemplare proveniente da Pontecagnano cfr. D’Agostino 1962. Per la struttura dell’ansa cfr. oinochòai di impasto presenti nella necropoli di via Madonna delle Grazie di Stabiae e databili al primo quarto del VI sec. a.C., dove talvolta è più sormontante e che in alcuni casi ripropongono anche la stessa attaccatura sulla spalla (Albore Livadie 2001, p. 51 nn.1, 3, 4, p. 59 tav.1.1 e tav.1.3, p. 60 tav.2.4). Non può non sottolinearsi l’affinità di alcuni esemplari di bronzo, come l’oinochoe dalla tomba 1 di Cales (Johannowsky 1983, p. 226, 48, tav. 52a–b), ascrivibile alla fase IVA di Capua (640-620 a.C.). La decorazione sul ventre con l’intreccio di archi s’incontra nella coeva ceramica etrusco-corinzia della bottega degli Archetti Intrecciati (inizi VI sec. a.C.), ampiamente diffusa. La stessa forma, segnatamente globulare, con collo di media altezza e molto largo si ricollega alla produzione etrusco-corinzia, trovando una notevole affinità con oinochòai del Gruppo Policromo ceretano (630-600 a.C.). La costolatura a metà del collo è presente sulle oinochòai del Pittore della Sfinge Barbuta (630 a.C.). Per la ceramica etrusco – corinzia in genere cfr. Martelli 1987 con ampia bibliografia.24 Il rinvenimento di alcuni esemplari ad Eretria (Canciani 1976, p. 28) conferma l’origine euboica di questo tipo di bottiglia, che in Italia oltre che a Nola è attestato in Etruria (Falconi Amorelli 1983, tav. XXXVI, per le attestazioni a Vulci), a Ischia (Buchner 1982, p. 106), a Cuma (Gabrici 1913, tav. XLIX, 1),

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M. Cesarano

• due coppe italo-geometriche25 (10-11); • un’oinochòe etrusco-corinzia di produzione locale26 (15);• un’oinochòe etrusco-corinzia con decorazione a fasce27 (19); • due oinochoai di bucchero pesante28 (16-17);

al lato destro dello scheletro:• una coppa biansata29 (5);• un’oinochòe etrusco-corinzia30 (13);• un’oinochòe etrusco-corinzia31 (14);

a sinistra della testa:• una kotyle d’impasto32 (12);• un piattello carenato33;

a destra della testa:• una coppetta d’impasto nerastro, priva di confronti (2);• un craterisco con beccuccio italo-geometrico34 (18).

Nell’edizione del 1969 la tomba XIII aggiunge tre coppette d’argilla con decorazione a fasce rossastre (Fig. 3.B) alle due scodelle carenate d’impasto, che insieme a una collana d’ambra fanno il corredo della sepoltura 4 nel giornale di scavo35. L’insieme, così composto, non pone problemi di cronologia, collocandosi agevolmente tutti gli elementi che lo compon-gono a cavallo tra il VII e il VI sec. a.C. Ma sulla base delle annotazioni in merito al loro rinvenimento date dagli scavatori nel giornale bisogna espungere le tre coppette dal corredo: la sepoltura 4 è scavata un dato giorno in un dato luogo con lo scheletro deposto a m 5,25 di profondità e rispetto ad essa delle tre coppette una viene rinvenuta tre giorni prima a m 3,45 «fra la terra», un’altra il giorno prima a m 1,20, l’ultima a m 3,90 presso la tomba VI, notevolmente distante (Fig. 1B). Appare più corretto elencare le tre coppette tra il materiale sporadico e ricondurle a una produzione di ambiente etrusco-indigeno che imita modelli corinzi36.

a Capua (Mingazzini 1969, commento alla tav. 1, 5; Johannowsky 1983, p. 157, 21–22, tav. 16b), a Suessula (Borriello 1991, tav. 18, 5–6), ad Avella (inv. 31165 Antiquarium di Avella), a Gricignano (inv. 286651 Museo Archeologico dell’Agro Atellano), a Pontecagnano (D’Agostino 1968, p. 101 sgg, fig. 18), a Metauro e a Reggio (Sabbione 1984, p. 275 sgg.), a Milazzo (Bernabò Brea - Cavalier 1965, p. 106 sgg.).25 Ne vanno individuati i prototipi nella Grecia dell’Est, ma va proposto anche il confronto col tipo Cuozzo-D’Andrea 34A della ceramica italo-geometrica di Pontecagnano, diffusa durante il primo quarto del VI sec. a.C. nei corredi tardo-orientalizzanti, anche in Etruria e in Campania (Cuozzo - D’Andrea 1991, p. 81, fig. 8). Se ne hanno attestazioni in Etruria, nel Lazio e in Campania: un esemplare da Poggio Buco si data tra la fine del primo quarto e gli inizi del secondo quarto del VI sec. a.C. per l’associazione con un alabastron medio-corinzio, con esemplari del ciclo dei Rosoni e con bucchero non decorato (Bartoloni 1972, tomba VIII, tav. LXIX, C, con relativa bibliografia; tomba IX, tav. LXXXVIII, 4); una coppa da Suessula si data alla seconda metà del VII sec. a.C. (Borriello 1991); in particolare le coppe nolane si avvicinano a una da Vulci (Falconi Amorelli 1983, p. 115, n. 109, p. 108, fig. 44, n. 109).26 Si tratta di una rielaborazione dei tipi corinzi, rispetto ai quali il corpo è globulare, il collo basso e molto largo, l’ansa a doppio bastoncello. Alla stessa produzione deve ricollegarsi un’oinochòe con semplice decorazione lineare, dotata dello stesso tipo di ansa presente nella tomba 144 di Avella, ancora inedita. L’esemplare nolano per la forma ricorda molto da vicino esemplari etrusco-corinzi, specialmente oinochòai del Pittore della Sfinge Barbuta (630 a.C.), con le quali ha in comune anche l’ansa molto sormontante, e oinochòai del Gruppo Policromo ceretano (630–600 a.C.). Affine è un’oinochòe proveniente da Lacco Ame-no (Ischia), dalla necropoli di S.Montano, che ha il corpo più globulare e la spalla più sfuggente, databile tra la fine del VII e gli inizi del primo quarto del VI sec. a.C. (Buchner 1993, p. 241, n. 189, 2).27 Reca un tipo di decorazione attribuibile in parte alla produzione vulcente a decorazione lineare, vicina alle botteghe del Gruppo ad Archetti Intrecciati (Mangani - Paoletti 1986, tav. 9, 1-4). Simile la decorazione anche su un’oinochòe etrusco-corinzia da Poggio Buco, databile alla prima metà del VI sec. a.C. (Bartoloni 1972, tomba XI, tav. XCIVa).28 Tipo Cuozzo-D’Andrea 13C1 (Cuozzo - D’Andrea 1991, p. 65, fig. 5).29 Cfr. supra nota 22. 30 Stessa officina di altre due oinochoai dello stesso corredo (cfr. supra nota 26), rispetto alle quali differisce leggermente per la forma e la decorazione. La forma trova confronti con alcune oinochòai della produzione etrusco-corinzia, vicina al Gruppo degli Archetti Intrecciati (Mangani 1986, tav. 8, 1) e si può da-tare fra gli ultimi decenni del VII sec. e la metà del VI sec. a.C. Interessante il confronto morfologico anche con un’oinochòe figurata conservata a Cambridge (Cambridge, Mass., fogg. Museum 25.30.1, già collezione Hoppin).31 Cfr. supra nota 26.32 Si tratta di un tipo notevolmente diffuso in area campana, lungo la direttrice pedecollinare Capua (Mingazzini 1969, tav. 8, 1 – 3), Suessula (Johan-nowsky 1983, p. 279, 87, tav. 58c.), Calatia (Johannowsky 1983, p. 246, 1, tav. 56b, materiale sporadico; Laforgia - Murolo 1996, p. 72, 78, fig. 48, tav. 19, 78, tomba 296; Murolo 2003, p. 160, fig. 137, tomba 284, n.109, p. 167, fig. 147, tomba 304, n. 172 e 175), Nola (Bonghi Jovino - Donceel 1969, p. 47, p. 104, tav. VI, B3; p. 57, p. 108, tav. IX, C3; p. 67, p. 111, tav. XIV, 5; Albore Livadie 1979, fig. 10; Sampaolo 1985, tomba XXVII, n.10; Cesarano 2004, p. 28; p. 30; p. 34; p. 43, fig. 9). Tanto per la forma quanto per la decorazione il tipo è attestato anche a Cerveteri tra il primo e il secondo quarto del VII sec. a.C. (Rizzo 1990, fig. 60, p. 57).33 Cfr. supra nota 21.34 Risulta una resa miniaturistica dei grandi crateri di tradizione euboica che attraverso Pithekoussai e Cuma si diffondono anche all’interno della mesogaia campana (Laforgia 2003, p.105, fig. 75, p. 150, fig. 123.52, p. 152 tomba 194 n.52).35 Bonghi Jovino - Donceel 1969, pp. 52-53 e 106.36 Si tratta di produzioni locali, attestate in Campania oltre che a Nola anche a Capua (Mingazzini 1969, tav. 2, 8; Johannowsky 1983, tav. 24 c.), a Calatia (Murolo 1996, fig.32, p. 60), a Pontecagnano (D’Agostino 1968, p. 75 sgg.), e che rimandano a un tipo diffuso tra l’Orientalizzante medio e la prima metà del VI sec. a.C. in Etruria meridionale e nella Valle del Fiora, dove sono localizzate le fabbriche, a Vulci e a Poggio Buco.

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Allo stesso ambiente deve ricondursi l’olla della tomba XXVII.6, sfuggita evidentemente a un attento esame autoptico, visto che in realtà è un’oinochoe trilobata con decorazione a fasce37, della quale non si conservano l’ansa e le parti dal collo in su (Fig. 3.C.1) e che in un ricco corredo si associa a ceramica etrusco- corinzia, di impasto e di bucchero38.

All’interno di questa sepoltura appaiono di particolare rilievo le oinochoai di bucchero XXVII.2 (Fig. 3.C.3) e XXVII.4 (Fig. 3C.2), per le quali si scrive che “scarseggiano i confronti”. Nella descrizione della prima (3) viene omessa la presenza di proto-mi zoomorfe a rilievo sull’orlo dei due lobi laterali della bocca, che ne consentono un inquadramento più puntuale all’interno di una produzione di oinochoai di bucchero monumentale, diffuse a Pontecagnano39 e confrontabili con una produzione etru-sco meridionale40. La seconda oinochòe (2) condivide le caratteristiche morfologiche della prima, ma manca delle decorazioni plastiche, presentando un’ansa a sezione esagonale con apofisi laterali all’attacco sull’orlo e una sorta di placchetta all’attacco al di sotto della spalla41.

Lo studio in corso prosegue e approfondisce precedenti parziali episodi di “ricontestualizzazione” della necropoli Ronga. In uno di essi, grazie al confronto con altri casi di studio, è stato possibile concludere che le sepolture a coppi, databili nella piena età sannitica, non devono ricondursi a incinerazioni, ma sono da ascrivere ad inumati in età neonatale, secondo un uso diffuso ampiamente in area centroitalica42. Nel secondo caso l’attenzione si è concentrata sulle sepolture di età orientalizzante e arcaica, proponendo di ravvisare nella selezione degli oggetti all’interno dei corredi un’intenzione legata a specifiche forme di autorappresentazione culturale, superando l’idea che la mancanza di suppellettili di evidente preziosità fosse indice di una condizione sociale ed economica non elevata43. Soltanto uno studio esaustivo dell’ampia necropoli posta a nord dell’abitato antico di Nola potrebbe fornire le risposte alle numerose domande che l’archeologia pone al “mondo dei morti” per compren-dere anche il “mondo dei vivi”, sicché il non cospicuo numero dei contesti tombali del solo giardino Ronga “consiglia la più ampia cautela”44. Se, dunque, dal confronto con altri contesti funerari noti è possibile avanzare ipotesi su questioni di ordine culturale45, lo stesso non si può fare per quel che riguarda aspetti di cultura più propriamente materiale. Eppure in anni recenti si è data per sopravvalutata la quantità di vasi attici a figure rosse restituiti dai sepolcreti nolani, chiamando a supporto di tale tesi la scarsità di ceramica attica figurata presente nei pochi contesti tombali scavati nel XX secolo e parzialmente editi46. A dire il vero nella sola necropoli Ronga si riscontra che sui venti corredi, che possono datarsi nel periodo di produzione e mag-gior diffusione della ceramica attica figurata nel bacino mediterraneo, ben quattro contengono ceramica attica. Un discreto 20%. Nell’ancora inedita porzione di necropoli, scavata nei primi mesi del 2011 nella proprietà Troiano (Fig. 4.A), confinante a ovest con il fondo Ronga, la percentuale sale al 50%, con due sepolture su quattro (Fig. 4.B). Tanto per restare in tema di “ricontestualizzazione”, si consideri pure la possibilità di recuperi di ceramica attica figurata negli scavi ottocenteschi di quella proprietà Cocozza, che quasi andava a sovrapporsi al giardino Ronga47. A tal proposito alcuni studiosi a giusta ragione mettono in guardia dal confondere l’attribuzione “nolana” assegnata, secondo un uso diffuso tra XVII e XVIII secolo, a tanta parte della ceramica attica, figurata e non, confluita in numerosi musei in Italia e nel resto del mondo, da “di provenienza da Nola”48. È giusto, ma va considerato che soltanto una massiccia quantità di vasi attici recuperati a Nola ha potuto indurre gli eruditi antiquari, a partire dal ’700, prima a supporre una produzione nolana di quella ceramica e poi a farne una classe

37 Potrebbe ricondursi per le dimensioni e il corpo notevolmente espanso al tipo delle oinochòai corinzie a “rotella”, attestato nell’area da un esemplare della tomba 285 di Calatia (Bellelli 2003, p. 106 fig.77, p. 114, p. 178, n. 229), affine anche ad un’oinochòe corinzia proveniente da di Stabiae (Albore Livadie 2001, pp. 54 n.21, p. 62, tav. 4.21). Molto simile, ma di dimensioni leggermente minori, un esemplare sempre da Calatia con semplice decorazione lineare (Ferrante 2006, p. 117, n. 65).38 Bonghi Jovino - Donceel 1969, pp. 66-70.39 Ben otto le repliche da Pontecagnano (Cuozzo 1993, p. 149, 1, figg. 1-5; p. 149, 2, fig. 6; figg. 7-10), cinque di bucchero (Cuozzo 1993, pp. 154 e 155, nn. 15–19) e tre d’impasto (Cuozzo 1993, p. 153, nn. 11-13), ascrivibili al primo quarto del VI sec. a.C., per le quali Cuozzo ipotizza l’esistenza di un’officina locale nella quale operano artigiani etruschi.40 L’esemplare nolano per la morfologia e per la presenza delle linee incise sul corpo, nonché per l’ansa a sezione esagonale, potrebbe ricondursi al tipo Rasmussen oinochoe 7a, attestato a partire dal primo quarto del VI sec. a.C. in Etruria meridionale (Rasmussen 1979, p. 84, pl. 16, 61 e 62). Rispetto a questo tipo l’oinochoe di Nola con corpo più ovale e slanciato può porsi come momento di passaggio dal tipo 6a, attestato fin dagli inizi del VI sec. a.C. La morfologia dell’ansa percorsa da una costolatura mediana e che, a volte, termina con una sorta di placchetta a rilievo sembra trovare diretta derivazione dal vasellame metallico e trova confronti con una vasta serie di oinochòai di bronzo. Per la produzione di bucchero pesante con decorazione a stampo fortemente dipendente da prototipi metallici la Batignani ipotizza l’esistenza di fabbriche a Tarquinia (Batignani 1965, pp. 295-316, tavv. LVI-LXX; pp. 296-396; Bruni 1989, pp. 121-153, figg. 2-12) e a Vulci (Donati 1967; Magi 1939, p. 145, n. 76, fig. 29, per un esemplare da Vulci con placchetta cuoriforme). Al Museo Archeologico di Firenze si conserva un’oinochòe di bucchero che reca all’attacco superiore dell’ansa una protome leonina tra teste zoomorfe e all’attacco inferiore un’appendice cuorifor-me, proveniente proprio da Nola, ma ascrivibile a produzione tarquiniese (Bruni 1989, p. 134, nota 45, fig. 12. 1-2). Va sottolineato che le decorazioni plastiche non sottintendono rapporti diretti tra determinate officine, sì piuttosto una comune imitazione di modelli in metallo. 41 Stringente è il confronto con un’oinochòe d’impasto da Pontecagnano, che reca all’attacco superiore dell’ansa una testa zoomorfa a stampo molto stilizzata (di capro, di anatra?) entro due rocchetti (Cuozzo 1993, p. 153, figg. 20 e 21, tomba 934, Proprietà Del mese).42 Cesarano 2011b, pp. 155-183.43 Cesarano 2004, pp. 23-44. 44 Bonghi Jovino - Donceel 1969, p. 117.45 Cesarano 2004, pp. 23-44.46 Greco - Castaldo - Ciardiello 2008, pp. 461-470.47 Panofka 1829, p. 19. 48 Greco - Castaldo - Ciardiello 2008, pp. 461-470.

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M. Cesarano

ben caratterizzata, pur compresane la provenienza da Atene. E soltanto un’ampia domanda in loco della ceramica figurata di importazione potrebbe spiegare la fiorente produzione locale di una ceramica di imitazione attica, che, molto probabilmente soltanto a Nola, aggiunge alla produzione a semplice vernice nera anche un atelier, noto come quello del Pittore del pilastro con la civetta. Alla ceramica attica figurata, quando presente nei corredi funerari (non sempre, ma nella maggioranza dei casi) va assegnato un valore metafunzionale di veicolo di messaggi “culturali”. Ciò premesso, si comprende perché essa si trova in certi corredi e non in altri. Non in quelli di personaggi che non intendono ostentare l’appartenenza a determinati gruppi culturali. Non in quelli di gruppi familiari che non hanno gli strumenti per muovere a una affermazione della loro posizione all’interno delle gerarchie locali, fino a cercare di strutturare solidamente attraverso il soggetto figurato i valori di un gruppo familiare e inserirlo all’interno di una sorta di consorteria gentilizia, chiaramente costituita e dalle regole rigide e ben definite. Se ci aspettiamo di trovare la ceramica ateniese figurata nella maggioranza dei sepolcri di una necropoli di un centro non greco la ridurremmo a semplice oggetto d’uso, mero elemento della cultura materiale. Molte tombe senza ceramica figurata devono essere state la norma.

Un ultimo risultato della “ricontestualizzazione”Bonghi Jovino riporta che il giornale di scavo registra il rinvenimento di un muro in «opus incertum», di notevole altezza,

all’estremità ovest dell’area indagata, considerato un’opera di sostruzione, senza alcuna proposta sulla sua cronologia49. Alla luce della documentazione di scavo non era possibile azzardare alcuna interpretazione, ma i risultati della recente indagine in proprietà Troiano hanno consentito di mettere in evidenza il braccio di una massiccia opera di fortificazione con blocchi di tufo di età tardo rinascimentale e di riconoscerne uno dei contrafforti nel muro individuato a suo tempo nella necropoli Ronga.

ConclusioneA oltre quarant’anni da La necropoli di Nola preromana i numerosi scavi eseguiti in Campania (anche a Nola) e nel resto

d’Italia, con le corrispondenti edizioni scientifiche, consentono di ritornare nella necropoli Ronga con la certezza di approdare a:

• una migliore comprensione dei dati registrati dall’originario giornale di scavo;• una più precisa definizione del numero delle deposizioni;• una più certa definizione delle forme di sepoltura;• una più corretta identificazione delle classi ceramiche;• un primo tentativo di inquadramento delle connessioni culturali tra mondo dei morti e mondo dei vivi.

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49 Bonghi Jovino - Donceel 1969, pp. 87-88.

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«La necropoli di Nola preromana» quarantacinque anni dopo

Fig. 1 – A: Le necropoli di Nola (al num. 3 la necropoli Ronga/Troiano, da Cerchiai - Salvadori 2013); B: ricostruzione topografica della necropoli Ronga (da Bonghi Jovino – Donceel 1969); C: Corredo funebre di prima metà VI sec. a.C.

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Fig. 2 - Corredo funebre della seconda metà del VII sec. a.C.

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«La necropoli di Nola preromana» quarantacinque anni dopo

Fig. 3 – A: Corredo funebre della prima metà del V sec. a.C.; B: Materiale sporadico; C: Parte del corredo della Tomba XXVII (1969).

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Fig. 4 – A: Tomba 1 del fondo Troiano con ceramica attica, ad esclusione dei nn. 1, 2, 6, 7 (scavi 2011); B: Ceramica attica a figure rosse dal fondo Troiano (scavi 2011).

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