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La riflessione filosofica davanti alla vita emotiva degli animali

Date post: 28-Mar-2023
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195 Alma Massaro La riflessione filosofica di fronte alla vita emotiva degli animali Introduzione N egli ultimi anni la ricerca etologica 1 ha avviato una indagine sistematica intorno alla vita emotiva degli animali non uma- ni (d’ora in avanti animali). Inizialmente orientata allo studio degli aspetti negativi, come lo stress e il dolore , di recente ha rivolto la pro- pria attenzione anche verso le esperienze positive, come il piacere e la gioia . Così facendo, il sapere scientifico ha fornito solide argomenta- zioni per comprovare quanto il senso comune ha da sempre sostenuto. Sebbene a lungo misconosciuti da certi settori del pensiero filosofico , i numerosi stati d’animo a cui sono soggetti gli animali sono, gene- ralmente, stati riconosciuti da quanti si sono trovati a condividere la propria esistenza assieme a loro. Tanto il contadino medievale quanto il proprietario di pet di età vittoriana erano consapevoli della vivace e complessa vita emozionale dei propri animali 5 . Sotto questo aspetto 1 Si vedano, tra gli altri, i lavori di Marc Bekoff, Johnatan Balcombe e Frans de Waal i quali hanno il grande merito di proporre in tono divulgativo il risultato delle ricerche degli ultimi anni. M. Bekoff, La vita emozionale degli animali, trad. it. M. C. Catalani, Oasi Alberto Perdisa, Bologna 010; J. Balcombe, Pleasurable Kingdom, Animals and the Nature of Feeling Good, Palgrave Macmillan, 006; F. De Waal, Primati e filosofi, trad. it. F. Conte, Garzanti, Milano 008. Cfr. A. Bossy et alias, Emotions and cognition: a new approach to animal welfare, «Animal Welfare» 16(S) (007) 7-, in particolare p. 7. Cfr. A. Boissy et alias, Assessment of positive emotions in animals to improve their welfare, «Physiology & Behavior» 9 (007) 75–97. Si pensi alla nota teoria dell’animale macchina cartesiano, accettata e svilup- pata da filosofi meccanicistici dei secoli successivi. A tale proposito cfr. V. Baricalla, La psiche degli animali. Riflessioni di libertini e materialisti nel panorama della “querelle des bêtes, in «Argomenti di bioetica», rivista dell’Istituto Italiano di Bioetica, 1. (dicembre 007), pp. 1 sgg. 5 Questo è ciò che sostenevano già filosofi e poeti antichi, tra cui Empedocle e Porfirio, e Lucrezio e Ovidio. L’esperienza diretta era poi fonte di conferma per
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Alma Massaro

La riflessione filosofica di fronte alla vita emotiva degli animali

Introduzione

Negli ultimi anni la ricerca etologica1 ha avviato una indagine sistematica intorno alla vita emotiva degli animali non uma-

ni (d’ora in avanti animali). Inizialmente orientata allo studio degli aspetti negativi, come lo stress e il dolore�, di recente ha rivolto la pro-pria attenzione anche verso le esperienze positive, come il piacere e la gioia�. Così facendo, il sapere scientifico ha fornito solide argomenta-zioni per comprovare quanto il senso comune ha da sempre sostenuto. Sebbene a lungo misconosciuti da certi settori del pensiero filosofico�, i numerosi stati d’animo a cui sono soggetti gli animali sono, gene-ralmente, stati riconosciuti da quanti si sono trovati a condividere la propria esistenza assieme a loro. Tanto il contadino medievale quanto il proprietario di pet di età vittoriana erano consapevoli della vivace e complessa vita emozionale dei propri animali5. Sotto questo aspetto

1 Si vedano, tra gli altri, i lavori di Marc Bekoff, Johnatan Balcombe e Frans de Waal i quali hanno il grande merito di proporre in tono divulgativo il risultato delle ricerche degli ultimi anni. M. Bekoff, La vita emozionale degli animali, trad. it. M. C. Catalani, Oasi Alberto Perdisa, Bologna �010; J. Balcombe, Pleasurable Kingdom, Animals and the Nature of Feeling Good, Palgrave Macmillan, �006; F. De Waal, Primati e filosofi, trad. it. F. Conte, Garzanti, Milano �008.

� Cfr. A. Bossy et alias, Emotions and cognition: a new approach to animal welfare, «Animal Welfare» 16(S) (�007) �7-��, in particolare p. �7.

� Cfr. A. Boissy et alias, Assessment of positive emotions in animals to improve their welfare, «Physiology & Behavior» 9� (�007) �75–�97.

� Si pensi alla nota teoria dell’animale macchina cartesiano, accettata e svilup-pata da filosofi meccanicistici dei secoli successivi. A tale proposito cfr. V. Baricalla, La psiche degli animali. Riflessioni di libertini e materialisti nel panorama della “querelle des bêtes”, in «Argomenti di bioetica», rivista dell’Istituto Italiano di Bioetica, 1.� (dicembre �007), pp. 1�� sgg.

5 Questo è ciò che sostenevano già filosofi e poeti antichi, tra cui Empedocle e Porfirio, e Lucrezio e Ovidio. L’esperienza diretta era poi fonte di conferma per

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il divario esistente tra scienza e senso comune sembra oggi, a poco a poco, restringersi6.

Riflettere sulle emozioni significa, quindi, aprirsi a una dimensio-ne condivisa con altri esseri viventi, distinti eppure non così diversi dall’essere umano. Ma che cosa significa affermare che anche gli ani-mali sono in grado di esperire stati d’animo simili ai nostri e quali sono le ripercussioni sul piano morale di una simile asserzione? Si trat-ta, è evidente, di un cambiamento gravido di conseguenze. In questa breve analisi si cercherà di evidenziare come un simile riconoscimento richieda, da parte della riflessione filosofica, un ripensamento globale di numerose categorie di pensiero e, a livello pratico, un maggiore coinvolgimento in tutti quei settori che prevedono il ricorso agli ani-mali. A tal fine si propone una rilettura in prospettiva storica di quei testi che hanno segnato profondamente la storia dell’etica animale degli ultimi tre secoli.

1. Premesse

Prima di passare al vero e proprio excursus nella storia dell’etica animale è opportuno, però, fare alcune precisazioni. Innanzi

tutto, è necessario richiamare l’attenzione sulla profonda connessione esistente tra il sapere scientifico e l’etica. Conoscenza e morale non costituiscono due realtà separate e indipendenti ma, al contrario, si sviluppano di pari passo7. Nel caso specifico delle emozioni animali se, da un lato, può essere soltanto la rigorosa ricerca scientifica a di-mostrarne o negarne l’esistenza, dall’altro, spetta alla sola riflessione filosofica interrogarsi sul significato e sulle conseguenze morali che una tale ammissione, o smentita, comportano.

In secondo luogo, sebbene, come si è avuto modo di osservare, l’esi-stenza di una vita emotiva degli animali sia riconosciuta a livello tanto etologico quanto di mentalità comune, il paradigma scientifico che

costoro che, per una ragione o per l’altra, vivevano in prossimità degli animali. A tale proposito è interessante il lavoro di K. Thomas, Man and the Natural World. Chan-ging Attitudes in England 1500-1800, Penguin Books, Londra 198�.

6 Per un’attenta analisi di questa contrapposizione nata in età moderna e andata-si rafforzando anche in età contemporanea cfr. B. Rollin, Il lamento inascoltato, trad. it. B. De Mori, Sonda, Casale Monferrato �011.

7 M. Tallacchini – F. Terragni, Le biotecnologie: aspetti etici, sociali ed ambien-tali, Mondadori Bruno, Pavia �00�.

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informa la legislazione europea8 rimane ancorato a una rappresentazio-ne behaviorista ed antropocentrica degli animali – e, in particolare, di alcuni di essi – come individui guidati da riflessi condizionati e creati per l’unico scopo di rispondere alle esigenze umane9. Per questa ragio-ne è ancora oggi difficile parlare di stati d’animo degli animali senza incorrere in giudizi negativi da parte di chi veste gli abiti dello scienzia-to. Da ultimo, vista l’ambiguità semantica del vocabolo in questione, è importante definire che cosa si intenda per “emozione”. Sebbene a livello scientifico non esista una definizione univoca, essa viene comu-nemente riconosciuta come una risposta neuro-fisiologica ad un even-to specifico, caratterizzata da una certa intensità e da una breve durata. In essa di distinguono tre componenti: una soggettiva, che corrisponde all’emozione vera e propria, e due espressive, rispettivamente quella motoria e quella fisiologica10. Nel presente lavoro una particolare atten-zione viene posta sulla prima di queste caratteristiche, ovvero sul dato soggettivo, da cui si desume una definizione di emozione come «l’esito di un processo di valutazione che comporta dei cambiamenti piuttosto ampi e interrelati in vari sottosistemi dell’organismo e che si verifica in risposta a un evento scatenante che ha un significato fondamentale per l’individuo»11. In questo senso le emozioni, come spiega Martha Nus-sbaum, non si giocano sul mero piano fisiologico ma, appunto, hanno, un carattere cognitivo imprescindibile ed implicano nel soggetto che le sperimenta dei veri e propri giudizi di valore1�.

8 Cfr. P. Sobbrio, The Relationship between Humans and Other Animals in Euro-pean Animal Welfare Legislation, «Relations. Beyond Anthropocentrism» 1.1 (�01�) ��-�6.

9 A proposito delle categorie con l’uomo classifica gli animali sono interessanti i saggi di P. Waldau, Animal Rights, Oxford University Press, New York �010, pp. ��-55, in particolare ��-�� e quello di S. Tonutti, Zooantropologia. Gli animali nelle culture umane, in Trattato di biodiritto. La questione animale, cur. S. Castignone – L. Lombardi Vallauri, diretto da S. Rodotà – P. Zatti, Giuffè, Milano �01�, pp. �1-�6.

10 La definizione è tratta da A. Boissy, Emotions and cognition, p. �7.11 A. Lo Iacono – R. Sonnino, Respirando le emozioni. Psicofisiologia del benes-

sere, Armando editore, Roma �008, p. �6, corsivo mio.1� M. Nussbaum, Upheavals of Thought: The Intelligence of Emotions, Cambridge

University Press, New York �00�, pp. 11�-119, pubblicato in Italia per i tipi de il Mulino. Cfr. M. Nussbaum, L’intelligenza delle emozioni, trad. it. R. Scognamiglio, il Mulino, Bologna �00�.

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�. Etica animale: diciottesimo secolo

Sebbene non sia difficile rinvenire in numerosi pensatori classici, medievali e moderni una forte attenzione verso le creature non

umane1�, troppo spesso sottovalutata dagli storici della filosofia, è però indiscutibile il fatto che una riflessione sistematica intorno all’etica animale inizi a svilupparsi soltanto verso la seconda metà del diciotte-simo secolo, quando i cambiamenti sociali dovuti alla rivoluzione in-dustriale e alle scoperte scientifiche misero in discussione il paradigma antropocentrico fino ad allora dominante1�.

�.1 Teologia

Nel 1776 viene data alle stampe a Londra un’opera intitolata A Dissertation on the Duty of Mercy and Sin of Cruelty to Brute Animals15. Il suo autore, Humphrey Primatt, pastore anglicano della comunità di Brampton, alla luce di un’attenta analisi delle fonti bibliche, si oc-cupa di dimostrare come la misericordia nei confronti degli animali sia un dovere proprio dell’uomo giusto, mentre la crudeltà costituisce l’atteggiamento specifico dell’empio16. La forza degli argomenti usati e la coerenza del suo ragionare sono alla base della particolare fortuna che questo lavoro ha goduto durante gli anni Venti dell’Ottocento, quando finì per rappresentare uno dei cardini sui quali si sviluppò il movimento animalista inglese17.

1� A tale proposito cfr. S. Castignone – G. Lanata (cur.), I filosofi e gli animali, ETS, Pisa 199�.

1� Per un’attenta analisi dei cambiamenti socio-culturali che hanno permesso un ripensamento del rapporto uomo-animale nell’Inghilterra del Settecento, cfr. K. Thomas, op. cit., pp 150-165, in particolare pp. 156-157.

15 H. Primatt, A Dissertation on the Duty of Mercy and Sin of Cruelty to Brute Animals, R. Hett, Londra 1776.

16 Il titolo stesso dell’opera è un esplicito riferimento ai famosi versetti veterote-stamentari contenuti nel libro dei Proverbi, «Il giusto ha cura del suo bestiame ma i sentimenti degli empi sono spietati» (Prv 1�,11-1�).

17 Come osserva Aaron Garrett: «The work was a founding work of the animal advocacy movement of the early nineteenth-century pioneered by Lewis Gompertz (founding member of the SPCA and the Animals’ Friend Society for the Prevention of Cruelty to Animals), Richard Martin (animal activist and namesake of one of the first pieces of British animal welfare legislation), the great abolitionist William Wilberforce and others» in A. Garrett, Animals and Ethics in the History of Modern Philosophy, in The Oxford handbook of animal ethics, cur. T.L. Beauchamp – R.G. Frey, Oxford University Press, New York �011, p. 79.

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Il vivo interesse che Primatt nutre verso gli animali nasce dal rico-noscimento della loro capacità di sentire il dolore. Secondo l’autore, le stesse ragioni che ci impediscono di sottoporre a un dolore qualsia-si essere umano, sia esso bianco o nero, schiavo o libero, maschio o femmina, sono valide anche nel caso degli animali. Come egli stesso spiega,

Un Bruto è un animale non meno sensibile al dolore di quanto lo sia l’Uomo. Egli ha nervi e organi di sensazione simili; le sue urla e i suoi lamenti, nel caso di un impatto violento sul proprio corpo, seb-bene egli non possa proferire le sue lamentazioni attraverso discorso o voce umana, sono indicazioni per noi della sua sensibilità al dolore altrettanto forti quanto lo sarebbero i pianti e i gemiti di un essere umano, di cui non comprendessimo il linguaggio. Ora, dal momen-to che il dolore è ciò a cui tutti noi siamo avversi, la nostra stessa sensibilità al dolore dovrebbe insegnarci a compatirla negli altri, ad alleviarla, se possibile, ma mai ad infliggerla arbitrariamente o imme-ritatamente. Come le differenze tra gli uomini rispetto ai particolari sopra menzionati non costituiscono un ostacolo alle loro sensazioni, allo stesso modo le differenze di forma di un animale rispetto a quelle di un uomo non lo dispensano dal sentire; e in ogni caso non c’è ragione per fare una simile supposizione.18

Il riconoscimento della sensibilità negli animali è, quindi, alla base del dovere negativo di non causar loro inutile sofferenza. Si tratta di un ragionamento destinato a segnare profondamente il rapporto uomo-animale, non solo all’interno del pensiero cristiano ma anche di quello filosofico in generale. Tuttavia Primatt non si ferma alle ragioni che ci impediscono di maltrattare gli animali ma prosegue nella ricerca di un modello su cui basare il nostro agire morale e lo rinviene nella stessa vita divina. Se l’amore e la misericordia di Dio hanno portata univer-sale, ovvero si estendono su tutte le sue creature, e se l’essere umano è chiamato ad imitare il suo grande Creatore, allora anche l’amore e la misericordia dell’essere umano devono tendere nella stessa direzione universalistica. Non possono essere limitati alla ristretta cerchia degli amici, dei conoscenti e dei vicini o della più ampia sfera della natura umana ma devono invece estendersi fino a comprendere tutto ciò che è oggetto dell’amore e della misericordia divine. È invece l’orgoglio,

18 Primatt, op. cit., pp. 1�-15, traduzione mia.

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un orgoglio talmente lontano dall’esempio divino da confondersi con l’ateismo19, a spingere l’essere umano ritenersi l’unico “animale ter-restre” meritevole della compassione di Dio e a considerare gli altri animali mere “escrescenze della natura”, strumenti da utilizzare e verso cui egli non ha alcun dovere.

Tuttavia Primatt non mette in discussione lo status quo dei rap-porti uomo-animale. Al contrario, egli deduce che l’uomo abbia il permesso di privare alcuni animali della vita, a partire dalla pratica, pressoché universalmente diffusa, del mangiar carne. Tuttavia questo permesso non ci autorizza a sottoporli a dolore inutile�0. Per quanto c’è dato sapere, prosegue Primatt, la vita dell’animale si gioca tutta in questa dimensione terrestre: egli ha quindi «diritto a essere felice» e noi il dovere di non aumentare le sue infelicità�1.

�.� Utilitarismo

A pochi anni dalla pubblicazione della Dissertation, esattamente nel 1789, sul versante filosofico viene pubblicata l’Introduzione ai principi della morale e della legislazione��, in cui l’autore, Jeremy Ben-tham, riformula il principio della «massima felicità per il massimo numero di persone». Anch’egli, proprio come già Primatt, incarna ed interpreta la nuova sensibilità propria della società urbana inglese del diciottesimo secolo. Rifiutando il modello cartesiano dell’animale macchina e riconoscendo l’animale come essere senziente al quale si deve evitare ogni sofferenza inutile, afferma:

Se tutto stesse nell’essere mangiati, esiste una buona ragione per cui si dovrebbe tollerare che mangiamo gli animali che vogliamo: per noi è la cosa migliore, e per loro non è mai la peggiore. Essi non pos-siedono nessuna di quelle capacità di prolungata anticipazione della disgrazia futura che abbiamo noi. [...] Ma esiste una qualche ragione per cui si dovrebbe tollerare che li torturiamo? Nessuna che io sia in grado di scorgere. Ve ne sono per cui non si dovrebbe tollerarlo? Sì, molte. [...] C’è stato un giorno, mi rattrista dire che in molti luoghi

19 Ivi, pp ��1-���.�0 Ivi, p. 5�.�1 Ivi, p. 5�.�� J. Bentham, Introduzione ai principi della morale e della legislazione, trad. it.

Utet, Torino 1998.

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non è ancora passato, in cui la maggior parte delle specie umane, sotto il nome di schiavi, veniva trattata dalla legge esattamente come lo sono ancora oggi, in Inghilterra ad esempio, le razze inferiori degli animali. Può arrivare il giorno in cui il resto degli animali del creato potrà acquisire quei diritti di cui non si sarebbe mai potuto privarli, se non per mano della tirannia. I francesi hanno già scoperto che il nero della pelle non è una ragione per cui un essere umano debba essere abbandonato senza rimedio al capriccio di un carnefice. Può arrivare il giorno in cui si riconoscerà che il numero delle gambe, la villosità della pelle, o la terminazione dell’os sacrum sono ragioni altrettanto insufficienti per abbandonare un essere senziente allo stes-so destino? Quale attributo dovrebbe tracciare l’insuperabile confine? La facoltà della ragione o, forse, quella del discorso? Ma un cavallo o un cane adulto è un animale incomparabilmente più razionale, e più socievole, di un neonato di un giorno o di una settimana, o anche di un mese. Ma anche ponendo che le cose stiano diversamente: a che servirebbe? La domanda da porre non è «Possono ragionare», né «Possono parlare?» ma «Possono soffrire?».��

Come già per il pastore anglicano, così anche per Bentham lo sta-tus morale di un individuo è collegato alla sua capacità di provare dolore. L’enfasi sulla sensibilità costituisce, invero, una caratteristica propria del fermento culturale che pervade l’Inghilterra dell’epoca. Si tratta di una novità decisamente importante poiché permette di condannare e, in seguito, di creare gli strumenti per punire le nume-rose forme di crudeltà a cui quotidianamente gli animali venivano impunemente sottoposti. L’Inghilterra vittoriana era, infatti, sede di numerose forme di abuso istituzionalizzate, basti menzionare le nu-merose forme di combattimento tra animali (cani, cani e tori, cani e orsi, galli, ecc.) con cui si intrattenevano tanto i gentiluomini quanto i ceti più bassi della popolazione��.

Tuttavia, nonostante l’importante novità rappresentata da queste posizioni, che permettono di condannare la crudeltà nei confronti de-gli animali, bisognerà aspettare ancora due secoli affinché venga messo in discussione il diritto umano di privarli della propria vita.

�� Ivi, pp. ��1-���.�� K. Thomas, op. cit, pp. 1��-150.

�0� Alma Massaro

�. Etica animale: ventesimo secolo

La riflessione contemporanea rappresenta un ulteriore sviluppo del pensiero di questi primi due autori. Nella multiforme va-

rietà delle posizioni, ve ne sono due paradigmatiche della storia del pensiero dell’etica animale, rispettivamente quella proposta da Peter Singer e quella avanzata da Tom Regan. Si tratta di due tentativi fon-damentali di ridefinire il rapporto uomo-animale. Il primo fa leva sui doveri – morali e giuridici – dell’essere umano di non causare inutile sofferenza agli animali non umani, mentre il secondo propone il rico-noscimento di veri e propri diritti anche agli altri animali�5.

�.1 Utilitarismo contemporaneo

Il 1975 è l’anno di pubblicazione del saggio di Peter Singer Li-berazione animale�6. Qui l’autore, richiamandosi alle argomentazioni di Bentham, equipara la causa degli animali a quella degli altri esseri umani emarginati – neri, donne, omosessuali. Riprendendo il discor-so contro il razzismo e il sessismo, afferma:

L’eguaglianza è un’idea morale, non un’asserzione di fatto. Dal punto di vista logico, non vi è nessuna ragione cogente per assumere che una differenza fattuale di capacità fra due persone giustifichi una qualsiasi differenza nella quantità di considerazione da attribuire ai rispettivi bisogni e interessi. Il principio dell’eguaglianza degli esseri umani non è la descrizione di una pretesa eguaglianza reale: è una pre-scrizione sul modo in cui gli esseri umani dovrebbero essere trattati.

Jeremy Bentham [...] incorporò nel suo sistema etico la base es-senziale dell’eguaglianza morale con la formula: «Ciascuno deve con-tare per uno, e nessuno per più di uno». In altre parole, gli interessi di ogni essere coinvolto in un’azione devono essere presi in considera-zione e valutati alla stessa stregua degli interessi analoghi di ogni altro essere. [...] Un’implicazione di tale principio di eguaglianza è costitui-ta dal fatto che la nostra preoccupazione per gli altri e la nostra pro-pensione a considerare i loro interessi non devono dipendere da come essi sono o dalle capacità che possiedono. Che cosa precisamente ci venga richiesto di fare può variare in funzione delle caratteristiche di

�5 Per una breve ma dettagliata analisi di queste due posizioni cfr. S. Castigno-ne, I diritti degli animali. Un problema aperto, in Emotività animali, cur. M. Andreoz-zi – S. Castignone – A. Massaro, Led, Milano �01�, pp. �1-�7.

�6 Il titolo originale è Animal liberation.

La riflessione filosofica di fronte alla vita emotiva degli animali �0�

chi è toccato da ciò che facciamo: la preoccupazione per il benessere di un bambino che cresce in America esigerebbe che gli insegnassimo a leggere; la preoccupazione per il benessere di un maiale può non imporre niente di più che lasciarlo in compagnia di altri maiali in un luogo dove ci sia cibo a sufficienza e spazio per muoversi liberamente. Ma l’elemento fondamentale – il tenere conto degli interessi dell’es-sere, di qualunque genere possano essere – deve, in base al principio di eguaglianza, venire esteso a tutti gli esseri, neri o bianchi, di sesso maschile o femminile, umani o non umani.�7

Il principio dell’equa considerazione, secondo Singer, non descrive uno stato di fatto ma ci informa su come dobbiamo trattare gli altri. Esso non comporta che tutti gli individui debbano essere trattati nello stesso modo ma fa della capacità di provare dolore il parametro su cui giudicare le nostre azioni. Riprendendo le famose parole di Bentham, Singer osserva che la senzienza, ovvero la capacità di soffrire e/o prova-re piacere, «costituisce l’unico confine plausibile per la considerazione degli interessi altrui. Tracciare questo confine tramite caratteristiche come l’intelligenza o la razionalità significherebbe agire in modo arbi-trario»�8. Essa offre, quindi, un semplice criterio con cui comprendere se un essere ha interessi o meno, senza dover fare riferimento ad altre capacità, linguaggio, ragione, senso di Dio, ecc. Da questo punto di vista si comprende perché un topo – e non una pietra – ha un interes-se a non essere preso a calci.

I limiti del discorso di Singer, come già quelli degli autori a lui precedenti, si trovano nella mancata messa in discussione del para-digma antropocentrico. Ciò emerge chiaramente, tra l’altro, nella sua proposta di salvaguardare gli animali più simili all’essere umano, i quali, proprio in virtù di detta prossimità, meriterebbero una maggio-re tutela legale rispetto agli altri�9, come dimostrato anche dal Great Ape project, per cui si chiede tutela giuridica di quegli animali che assomigliano di più all’essere umano.

�7 P. Singer, Liberazione animale. Il manifesto di un movimento diffuso in tutto il mondo, cur. P. Cavaliere, trad. it. E. Ferreri, il Saggiatore, Milano �010, pp. �0-�1.

�8 Ivi, p. ��.�9 Cfr. P. Cavalieri – P. Singer (cur.), The Great Ape Project, Fourth Estate,

Londra 199�. Pubblicato l’anno successivo in Italia per i tipi de Theoria, Roma, Il progetto grande scimmia. Eguaglianza oltre i confini della specie umana. Per un’analisi critica di questa posizione cfr. A. L. Peterson, Being animal. Beasts and Boundaries in Nature Ethics, Columbia University Press, New York �01�, p. �6 e G. Francione, Animal Welfare and the Moral Value of Nonhuman Animals, «Law, Culture and the Humanities» 6.1 (�009) ��-�6.

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�.� Deontologismo

Nel 198� il filosofo americano Tom Regan pubblica un lavoro che, rifacendosi ai precedenti storici di William H. Drummond e Henry Salt, rappresenta una vera e propria svolta per quanto riguarda l’etica animale, Gabbie vuote. La sfida dei diritti animali�0 in cui applica il linguaggio dei diritti al caso degli animali. Regan accosta alla capacità di provare dolore altre caratteristiche emotive, cognitive e sociali che secondo lui rendono l’animale degno di considerazione morale e do-tato di diritti naturali.

A proposito dei diritti umani l’autore afferma:

Essere titolari di diritti morali è come avere una specie di pro-tezione che possiamo raffigurarci come un cartello invisibile con la scritta «divieto d’accesso». Che cosa viene proibito da questo cartello? Due cose. Primo, gli altri non sono moralmente liberi di arrecarci danno; affermare questo significa stabilire che gli altri non sono liberi di ucciderci o di ledere la nostra integrità fisica a loro piacimento. Secondo, gli altri non sono moralmente liberi di interferire con le no-stre libere scelte; affermare questo significa stabilire che gli altri non sono liberi di limitare la nostra libertà a loro piacimento. In entrambi i casi, il cartello di divieto d’accesso è inteso a proteggere i nostri beni più importanti (le nostre vite, la nostra integrità fisica, la nostra liber-tà), limitando moralmente la libertà degli altri.�1

Domandandosi da dove provengano questi diritti, Regan risponde:

Riflettete per un attimo. Tutti noi siamo nel mondo, siamo con-sapevoli del mondo e siamo consapevoli di quanto ci succede. Non solo; quello che ci succede – sia che riguardi il nostro corpo, la nostra libertà o la nostra stessa vita – ci interessa in quanto, come ben sap-piamo, tutto questo condiziona la qualità e la durata delle nostre vite, indipendentemente dal fatto che qualcuno abbia o meno interesse a ciò. Quali che siano le nostre differenze, queste sono le nostre somi-glianze fondamentali.

Somiglianze fondamentali che, appunto, Regan riassume nel-l’espressione «soggetto-di-una-vita»: gli umani, secondo l’autore, han-

�0 Il titolo originale è The Case for Animal Rights.�1 T. Regan, Gabbie vuote. La sfida dei diritti animali, trad. it. M. Filippi – A.

Galbriati, Sonda, Casale Monferrato �005, p. 7�.

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no diritti morali perché sono soggetti-di-una-vita, sassi e bastoni no perché non sono consapevoli del mondo e di quanto in esso accade. Il fatto che l’autore riconosca agli animali un certo grado di autoco-scienza e la capacità di vivere delle vite migliori o peggiori per loro, gli permette di attribuire anche a loro la stessa espressione. Secondo Regan, anche gli animali sono esseri dotati di valore inerente, titolari di veri e propri diritti, i quali non solo prevengono che essi vengano sottoposti a pratiche dolorose ma impediscono, inoltre, che vengano trattati come meri strumenti��. Come egli stesso spiega:

Gli animali in quanto consapevoli del mondo e consci di ciò che accade loro sono anche loro soggetti di una vita [...]. Il riconosci-mento dei diritti di questi animali comporta delle conseguenze di vasta portata. Le grandi industrie di sfruttamento animale utilizzano infatti miliardi di questi animali. Ad esempio, sono proprio questi gli animali a cui viene tolta la vita, la cui integrità fisica viene lesa e la cui libertà viene negata dall’industria delle pellicce e da quella della carne. Tutto questo è eticamente inaccettabile una volta riconosciuti i loro diritti morali. [...] Dobbiamo svuotare le gabbie, non renderle più grandi.��

Se, da un lato, il filosofo australiano rinveniva nelle conseguenze di un’azione la regola per determinare la sua giustezza, dall’altro, il pensatore americano fa dei singoli individui animali dei “soggetti-di-una-vita”, dotati di valore inerente e che, in quanto tali, non possono essere trattati come mezzi per i fini umani. Con Regan si aprono le porte all’abolizionismo, ovvero a quella corrente dell’etica animale che propone l’abolizione di ogni forma di sfruttamento.

�. Conclusioni

Nel giro di due secoli si è, quindi, passati dal riconoscimento della sensibilità degli animali all’affermazione del loro valore

intrinseco. Si tratta di un cammino che sembra seguire un percorso ben preciso, anche se nel presente lavoro si sono, per ovvie ragioni di spazio, taciuti numerosi passaggi. Tuttavia, una volta riconosciuta tale direzione, rimane da chiedersi che cosa abbia a che fare la descrizione scientifica della dimensione emotiva della vita animale con la rifles-sione filosofica.

�� Cfr. A. L. Peterson, op. cit., pp. �8-�9. �� T. Regan, op. cit., p. 10�.

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La scienza, si è visto, non costituisce un settore isolato del sapere umano ma è costantemente in dialogo con le altre discipline, l’etica prima fra tutte. Nel caso della vita emotiva degli animali, la ricerca etologica non sta semplicemente offrendo importante materiale per ripensare le specificità umane e quelle animali ma offre, inoltre, impor-tanti spunti di riflessione per riconsiderare il nostro rapporto con gli altri essere viventi. Si aprono, qui, numerosi interrogativi circa il giusto modo di relazionarci con essi, e il compito di indagarli sembrerebbe un dovere della filosofia in generale e non della sola etica animale.


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