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Spazi animali, luoghi bestiali

Date post: 04-Dec-2023
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Spazi animali, luoghi bestiali Chris Philo e Chris Wilbert Il testo è stato pubblicato originariamente come introduzione al volume collettaneo Animal Spaces, Beastly Places. New geographies of humananimal relations, a cura di Chris Philo e Chris Wilbert, Routledge, Londra 2000. Viene qui pubblicato in traduzione per cortesia degli autori. Le relazioni uomo-animale e la nuova geografia animale Kahuzi Beiga, il Parco Nazionale nel Congo orientale, fu il luogo di nascita del turismo dei gorilla ed il luogo dove Dian Fossey, antropologa e protagonista del film Gorilla nella Nebbia, incontrò per la prima volta il gorilla di montagna. Ma durante gli anni 90, la popolazione di gorilla del parco, un tempo florida, è stata gravemente ridotta dai bracconieri e dai ribelli del Rwanda, che lo utilizzavano come nascondiglio. Venti gorilla sono stati uccisi a partire da aprile e i giorni in cui i turisti venivano a contatto e stringevano la mano ai gorilla sono passati da tempo... . Basengezi Katintima, il governatore della provincia del Sud-Kivo, dove è situato il parco, ha detto: In Rwanda si parla di genocidio umano, ma qui si parla di genocidio animale.1 Gli scienziati uccidono segretamente fino a nove milioni di animali da laboratorio allanno perché ne vengono prodotti troppi per la ricerca . Lanno scorso sono stati abbattuti piú di 6,5 milioni di topi e circa 2 milioni e 400 mila ratti. E piú di 1000 cani da laboratorio, una stima del 25 percento, sono stati uccisi perché non ce nera bisogno. La maggior parte erano stati allevati per testare prodotti farmaeutici e avevano trascorso l intera vita in canili, in attesa di essere utilizzati per esperimenti. [Un anti-vivisezionista] ha detto: Questo spreco di vite è completamente scandaloso...Questo è il lato nascosto dellindustria della ricerca.2 1 David Gough, Gorillas in the midst of war, Guardian, 28 luglio 1999, p. 13. 2 Marie Woolf, Revealed: secret slaughter of 9 million uselesslab animals, Independent on Sunday, 15 agosto 1999, p. 6.
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Spazi animali, luoghi bestiali

Chris Philo e Chris Wilbert

Il testo è stato pubblicato originariamente come introduzione al volume collettaneo Animal Spaces, Beastly Places. New geographies of human—animal relations, a cura di Chris Philo e Chris Wilbert, Routledge, Londra 2000. Viene qui pubblicato in traduzione per cortesia degli autori.

Le relazioni uomo-animale e la nuova geografia animale

Kahuzi Beiga, il Parco Nazionale nel Congo orientale, fu il luogo di nascita

del turismo dei gorilla ed il luogo dove Dian Fossey, antropologa e

protagonista del film Gorilla nella Nebbia, incontrò per la prima volta il

gorilla di montagna. Ma durante gli anni ‘90, la popolazione di gorilla del

parco, un tempo florida, è stata gravemente ridotta dai bracconieri e dai

ribelli del Rwanda, che lo utilizzavano come nascondiglio. Venti gorilla

sono stati uccisi a partire da aprile e i giorni in cui i turisti venivano a

contatto e stringevano la mano ai gorilla sono passati da tempo... . Basengezi

Katintima, il governatore della provincia del Sud-Kivo, dove è situato il

parco, ha detto: “In Rwanda si parla di genocidio umano, ma qui si parla di

genocidio animale.”1

Gli scienziati uccidono segretamente fino a nove milioni di animali da

laboratorio all’anno perché ne vengono prodotti troppi per la ricerca . L’anno

scorso sono stati abbattuti piú di 6,5 milioni di topi e circa 2 milioni e 400

mila ratti. E piú di 1000 cani da laboratorio, una stima del 25 percento, sono

stati uccisi perché non ce n’era bisogno. La maggior parte erano stati allevati

per testare prodotti farmaeutici e avevano trascorso l’intera vita in canili, in

attesa di essere utilizzati per esperimenti. [Un anti-vivisezionista] ha detto:

“Questo spreco di vite è completamente scandaloso...Questo è il lato

nascosto dell’industria della ricerca.”2

1 David Gough, “Gorillas in the midst of war”, Guardian, 28 luglio 1999, p. 13.

2 Marie Woolf, “Revealed: secret slaughter of 9 million “useless” lab animals”, Independent on Sunday, 15 agosto1999, p. 6.

Gli scienziati hanno scoperto un nuova sorprendente fonte di inquinamento:

gli allevamenti di maiali e di pollame. Hanno scoperto che le emissioni di

nitrogeno dagli allevamenti intensivi stanno uccidendo boschi e foreste allo

stesso ritmo degli effetti prodotti dell’inquinamento industriale. In alcune

aree, le emissioni – la maggior parte provenienti dai crescenti cumuli di

concimi degli allevamenti – stanno causando seri danni alle zone boscose. In

Danimarca e Olanda, dove vasti allevamenti di maiali e polli costituiscono

una sostanziosa industria, si stanno distruggendo preziose brughiere.3

Questi tre estratti da recenti pubblicazioni mostrano alcuni dei modi innumerevoli in cui le

relazioni umane con il mondo degli animali non-umani4 possono essere esaminati, rivolgendo

l’attenzione all’importanza degli spazi e dei luoghi dedicati alle relazioni uomo-animale5. Il

primo estratto racconta di un luogo che aveva assistito a uno dei primi incontri prolungati tra

esseri umani e gorilla, un luogo selvaggio e remoto, sottoposto attualmente a dei seri

cambiamenti: inizialmente descritto come parco nazionale che incoraggiava un “turismo dei

gorilla”, facilitando incontri casuali tra turisti e gorilla, viene poi visto come ambiente di un

“genocidio animale” che avveniva all’ombra della guerra tra esseri umani. Da luogo “naturale”,

in cui i gorilla restavano relativamente indisturbati dagli esseri umani6, questo luogo è diventato

sito di lavoro sul campo per scienziati, sito di conservazione biologica per naturalisti, sito di

accumulazione di capitale per imprenditori, sito di prede per i bracconieri e di rifugio per i

soldati. Pertanto, diversi gruppi di esseri umani con finalità e tecnologie differenti sono fluiti

3 Robin McKie, “Q: What causes as much air pollution as power station chimneys? A: Pig farms”, The Observer,25 luglio 1999, p. 4.

4 Scegliamo di riferirci agli animali non-umani semplicemente come “animali”, tralasciando il “non-umani”, purrendendoci conto che tali categorie sono in vari sensi relazionali (e che per molti aspetti gli esseri umani sonoanimali). Svilupperemo la nozione di cos’è esattemente un animale piú avanti in questo saggio.

5 “Spazio” e “luogo” sono concetti di base utilizzati dai geografi, ed al loro uso si attribuisce ora una notevole

complessità filosofica e teoretico-sociale. Tuttavia, anzichè esaminare tale complessitá sin dall’inizio, lasceremoemergere le nostre idee su questi due concetti man mano che il saggio procede. In Chris Philo e Jennifer Wolch,“Through the geographical looking glass: space, place and human—animal relations”, Society and Animals 6,

1998, pp.103–118, si fa un tentativo di approfondire il significato di “spazio” e “luogo” in relazione alla geografiaanimale sia vecchia che nuova.

6 Tuttavia, nel resoconto non si dice nulla di come le popolazioni “indigene” della regione interagisseroprecedentemente con i gorilla, o cosa ne pensassero.

dentro e fuori questa regione dell'Africa orientale, riflettendo più ampie geografie scientifiche,

di intervento statale, capitalistiche, colonialistiche, politiche e di lotta, dando vita in questo

processo a tipi ampiamente divergenti di relazioni uomo-animale7

Il secondo estratto di giornale parla di un tipo di luogo, il laboratorio scientifico, che

apparentemente assiste allo sterminio di massa di topi, ratti, cani e altri mammiferi

semplicemente perché ne sono stati allevati molti di più di quanti ne siano in realtà “necessari”

per la conduzione di esperimenti scientifici sui farmaci. L'impressione è che vi sia un’intera

geografia nascosta di tali laboratori e stazioni di allevamento, celati in complessi di campagna e

campus universitari, in cui molti animali vivono e muoiono come parte di una relazione uomo-

animale molto ingiusta, basata sull’utilità, l’adattabilità e la sacrificabilità degli animali

prigionieri. Questioni riguardanti la scienza, l'intervento dello Stato (o la mancanza di esso) e

l'industria capitalistica tornano ovviamente di nuovo in primo piano, così come quelle relative a

etica, benessere e politica.

Il terzo estratto, poi, chiarisce come i prodotti animali – in questo caso le loro deiezioni –

possano avere effetti in grado di diffondersi di là dei confini degli spazi in cui sono

immediatamente presenti, creando un collegamento spaziale tra i maiali e i polli nelle loro

fattorie e una serie di ambienti al di fuori dei confini di esse. Si stabilisce pertanto un rapporto

uomo-animale complesso, che non opera esclusivamente attraverso la vicinanza fisica tra esseri

umani e animali, ma comporta piuttosto una geografia allargata, attraverso la quale gli animali

possono esercitare un effetto a distanza sugli esseri umani. Ancora una volta, sono sottese qui

questioni più ampie, come la proprietà privata, i sottoprodotti dell’attività economica e il

dovere dello Stato di regolare le attività agricole alfine di prevenire l'inquinamento e preservare

le brughiere.

Gli esseri umani sono sempre – e sempre sono stati – invischiati in relazioni sociali con gli

animali, al punto che questi ultimi, gli animali, sono senza dubbio costitutivi delle società

umane in una varietà di modi. Gli esseri umani sono ecologicamente dipendenti dagli animali,

principalmente come fonti di cibo, indumenti e molti altri materiali che sostengono la “nostra”8

7 Crf. Donna Haraway, Primate Visions: Gender, Race and Nature in the World of Modern Sciences , Verso,Londra 1989.8 In questo capitolo termini come “noi” e “nostro” saranno impiegati per riferirsi agli esseri umani ed alle “nostre”azioni umane, ai beni umani, e così via. In realtá, questi termini dovrebbero essere posti tra virgolette

constantemente, poiché uno dei messaggi del nostro saggio è che la distinzione implicita di base tra “noi” (esseri

umani) e “loro” (gli animali) non debba essere considerata cosí ovvia . Abbiamo evitato di farlo, però, perimpedire di appesantire ulteriormente il testo con le virgolette.

esistenza umana; il che significa che gli animali, soprattutto da morti, entrano a far parte in

maniera centrale in ciò che gli esseri umani stessi possono essere e fare nel mondo9. Rimbaud

una volta ebbe a dire che l’uomo del futuro sarebbe stato pieno di animali10; con l'aumento

globale del consumo di carne, dei trapianti di organi e di prodotti derivati dal loro sangue, una

tale osservazione si sta rivelando ancor più veritiera di quanto Rimbaud avrebbe potuto

prevedere11. Naturalmente, a loro volta gli animali sono drammaticamente influenzati dalle

azioni degli esseri umani, non ultimo attraverso l'allevamento e, in misura crescente,

l’ingegneria genetica. In effetti, gli esseri umani passati e presenti hanno radicalmente

modificato le condizioni di vita di tutti i tipi di animali, siano essi da compagnia, da

allevamento, o selvatici12. Le relazioni uomo-animale sono state quindi caricate di potere,

attraversol’esercizio da parte dell'uomo di un potere oppressivo e dominante sugli animali e,

solo in misura relativamente limitata, gli animali sono stati in grado di eludere questo dominio

o di esercitare un loro dominio sugli esseri umani a livello locale. Si possono citare esempi di

quest'ultimo caso, quali invasioni di cavallette, elefanti scatenati, e le conseguenze della ESB o

“morbo della mucca pazza”13. Di solito, tuttavia, l’animale è stato l'“altro” partner relativamente

impotente ed emarginato nella relazione uomo-animale. Ciò che sicuramente non si può negare

9 Cfr. Alexander Cockburn, “A short meat-oriented history of the world”, New Left Review 215, 1996, pp. 16– 42.Animal Agriculture: The Biology of Domestic Animals and Their Use by Man , a cura di Harold Harrison Cole eMagnar Ronning, W.H Freeman & Co., San Francisco 1974.

10 Citato da Gilles Deleuze in Paul Rabinow, Artificiality and enlightenment: from sociology to biosociality, in In-

corporations a cura di Jonathan Crary e Sanford Kwinter, Zone, New York 1992, pp. 234–252.

11 In un articolo correlato, Gilles Deleuze, Foucault, University of Minnesota Press, Minneapolis 1988, p.132 )

scrive che “il superuomo, in conformità con la formula di Rimbaud, è l'uomo che è anche responsabile degli

animali (un codice che può catturare i frammenti di altri codici... ) .” Egli aggiunge anche una nota di chiusura, con

riferimento alla stessa lettera di Rimbaud, che “l’uomo futuro è responsabile non solo del nuovo linguaggio, ma

anche degli animali e di tutto ciò che è informe (/non formato)” In Deleuze, ivi, p. 153 , nota di chiusura 18.

12 Ted Benton, Natural Relations: Ecology, Animal Rights and Social Justice, Verso, Londra 1993. Si veda ancheMichael J. Watts, Afterword: enclosure in Animal Spaces, Beastly Places, a cura di Chris Philo e Chris Wilbert,Routledge, Londra 2005, pp 291-302.

13 Se organismi come i virus sono visti come animali, allora molti di loro esercitano un potere di vita e di morte su

molti esseri umani. Detto questo, non è chiaro se il prione accusato dagli scienziati per la malattia della ESB sia

più di una forma di proteina. Inoltre, non si può davvero pensare alla crisi della ESB nel Regno Unito come

un’affermazione di dominanza da parte degli animali sugli esseri umani locali, dal momento che circa tre milioni di

bovini sono stati uccisi dal 1996 per cercare di limitare la diffusione della malattia. (In realtà, un tentativo di

assicurare la fiducia nel mercato di esportazione della carne è forse una ragione più probabile per questi

considerevoli sacrifici animali). Cfr. anche S. Hinchliffe e S. Naylor, “Spaces, agencies and ontologies—the

whereabouts of unclean cows”, Annual Conference of the Royal Geographical Society/ Institute of British Geogra-phers, University of Surrey, gennaio 1998.

è il significato storico e globale di tale rapporto per entrambe le parti – rapporto che

indubbiamente spesso implica questioni di vita o di morte per entrambi, animali in particolare.

Ogni scienza sociale che non riesca a riservare una certa attenzione a queste relazioni, alle loro

costituzioni e implicazioni differenziali, è provatamente carente.

Una “nuova” geografia animale è emersa per esplorare le dimensioni di spazio e luogo e

non può che porsi al cuore di queste relazioni; attualmente i contributi in questo campo

affiancano più affermate indagini antropologiche, sociologiche e psicologiche sulle relazioni

uomo-animale (si veda la rivista Society and Animals). Un incontro preesistente tra geografia

accademica e il tema animale, spesso espresso con il termine “zoogeografia”, si era concentrato

sulla mappatura delle distribuzioni geografiche degli animali – descrivendo e, a volte, cercando

di spiegare i loro schemi spaziali e le loro concentrazioni nei vari luoghi – e così facendo

tendeva a considerare gli animali come oggetti “naturali” da studiarsi separatamente rispetto ai

loro vicini umani. Un ramo di indagine geografica espressamente denominato “geografia

animale” riuscì ad assicurarsi un modesto appiglio, in particolare quando fu definita come una

delle “geografie sistematiche” da Hartshorne nel suo famoso diagramma della struttura logica

della disciplina14. L'importanza dell'influenza umana sulla vita degli animali nell’ambito della

geografia animale fu osservata in alcuni articoli pubblicati negli anni ‘50 e ‘60, in particolare

l’appello esplicito di Bennett (1960) per una “geografia animale culturale”, attingendo

dall'interesse della Scuola di Berkeley per temi quali la domesticazione animale, pur rimanendo

blandi i collegamenti con la ricerca sulla geografia umana (rispetto alla geografia fisica). In

realtà, Davies lamentava che gli interessi della geografia animale rimanevano “troppo lontani

dai problemi centrali della geografia umana”15. Pertanto, è stato solo recentemente che un certo

numero di geografi ha cominciato a riconoscere le possibilità e l’effettiva importanza socio-

ecologica di una geografia animale che si concentri direttamente sui complessi intrecci delle

relazioni uomo-animale con lo spazio, i luoghi, l’ambiente e il paesaggio. La pubblicazione del

fascicolo monotematico “Bringing the animals back in” della rivista Society and Space16 è stato

un punto di riferimento in questo senso, seguito da un libro edito a partire da contributi a questo

14 Richard Hartshorne, The Nature of Geography: A Critical Survey of Current Thought in the Light of the Past ,Association of American Geographers, Lancaster 1939, p. 147, Figura 1.

15 John Lloyd Davies, “Aim and method in zoogeography”, Geographical Review 51, 1961, pp. 412–417.

16“Bringing the animals back in”, Environment and Planning D: Society and Space, numero a cura di Jennifer

Wolch e Jody Emel, 13, 1995, pp. 631–730.

fascicolo monotematico al quale se ne sono aggiunti altri,17 e anche da un fascicolo

monotematico della rivista Society and Animals,18 che ha introdotto un punto di vista geografico

inteso per un pubblico interdisciplinare19.

Questa storia della geografia animale ed il resoconto di una nuova geografia animale

emergente sono già stati esaminati in dettaglio altrove20, e non è necessario dilungarsi

sull’argomento in questa sede. Basti dire che l'enfasi al momento è piuttosto sull’esplorazione

dei tipi di reti di relazione uomo-animale delineati negli articoli citati all’inizio del presente

saggio, e nel tracciare le loro “topologie”21 mostrando come gli spazi e i luoghi coinvolti

possano trasformare la costituzione stessa delle relazioni in gioco. Il volume Animal Spaces

Beastly Places22 dovrebbe anch’esso essere un tentativo di contribuire ulteriormente a questo

piccolo – ma, vorremmo sostenere, significativo – corpus di ricerca e studio.

Una delle cose che una nuova geografia animale cerca di fare, inoltre, è investigare come

gli animali siano stati socialmente definiti, utilizzati come cibo, etichettati come animali

domestici o nocivi, come utili o non utili, classificati come senzienti, come pesci, come insetti,

o come “altri” irrazionali che sono evidentemente non umani, da diverse popolazioni ed in

diversi periodi e contesti nel mondo. In tal modo si sforza di discernere i molti modi in cui gli

animali sono “collocati” dalle società umane nei loro spazi materiali locali (insediamenti,

campi, fattorie, stabilimenti, e così via), nonché in una serie di spazi immaginari, letterari,

psicologici e persino virtuali. È quindi non solo la presenza fisica degli animali ad avere

17 Animal Geographies: Place, Politics and Identity in the Nature—Culture Borderlands, a cura di Jennifer Wolche Jody Emel, Verso, Londra 1998.

18 “Animals and geography”, numero a cura di Jennifer Wolch e Chris Philo, Society and Animals 6, 1998, pp.

103–202.

19 Va inoltre fatto particolare riferimento ai contributi di Kay Anderson in tale contesto. Il suo pezzo iniziale sullo

Zoo di Adelaide (1995) è stato particolarmente influente, così come sono stati anche i suoi successivi articoli sulla

geografia storica a lungo termine della domesticazione, in cui l’autrice considera sia i processi materiali coinvolti

sia la codifiche ideologiche iscritte in questi processi. Crf. Kay Anderson, “Culture and nature at the Adelaide Zoo:

at the frontiers of “human” geography”, Transactions of the Institute of British Geographers 20, 1995, pp. 275–294; “A walk on the wild side: a critical geography of domestication’, Progress in Human Geography 21, 1997,

pp. 463–485, e “Animal domestication in geographic perspective’, Society and Animals 6, 1998, pp. 119–136.

20 Chris Philo, “Animals, geography and the city: notes on inclusions and exclusions”, Environment and Planning

D: Society and Space 13, 1995, pp. 655–681; Filone e Wolch 1998: 104-108)

21 Cfr Sarah Whatmore ; Lorraine Thorne, “Wild(er)ness: reconfiguring the geographies of wildlife”, Transac-

tions of the Institute of British Geographers 23, 1998, pp. 435–454.

22 Philo; Wilbert, Animal Spaces Beastly Places, cit.

importanza qui, dal momento che gli animali esistono anche nel nostro immaginario collettivo –

negli spazi parlati e scritti del folclore, delle filastrocche, di romanzi e trattati; negli spazi

virtuali della televisione o del cinema, nei fumetti e nei cartoni animati – dove sono utilizzati

pure come simboli per vendere una grande varietà di merci e prodotti23. Queste fantasie sugli

animali, legate agli usi che gli esseri umani ne fanno, vanno indagate nel loro essere

profondamente influenzate dal tipo di “modalità di produzione animale-uomo” alla base della

specifica società in questione, sia che si tratti di società di cacciatori-raccoglitori, feudale,

industriale, capitalista, post-industriale o di altro tipo.24

Tale orientamento, che esamina come gli animali sono immaginati o rappresentati nelle

società umane, è solo un elemento di un quadro più ampio. Se ci concentriamo esclusivamente

su come gli animali sono rappresentati, l'impressione è che gli animali siano solo superfici

passive su cui i gruppi umani inscrivono fantasie e categorizzazioni di tutti i tipi. A nostro

avviso, è fondamentale anche riflettere sulle pratiche che sono coinvolte nella realizzazione

delle rappresentazioni, e – al centro della questione – chiederci come gli animali stessi

partecipino in queste pratiche. Questa domanda solleva debitamente più ampie preoccupazioni

circa l’agentività (agency) non-umana e quella degli animali, e la misura in cui si può dire che

gli animali destabilizzino, trasgrediscano o addirittura resistano i nostri ordinamenti umani,

compresi quelli spaziali. La domanda di Noske25 formulata in termini antropologici, può quindi

essere parafrasata per la geografia, ovvero: è possibile sviluppare una geografia degli animali

“reale”, piuttosto che una geografia antropocentrica dell'uomo in relazione con gli animali?

“Luoghi appropriati”; o specificando gli “spazi animali”

Non mi piacciono gli animali. Di qualsiasi tipo. Non mi piace nemmeno

l'idea degli animali. Gli animali non sono amici miei. Non sono i benvenuti

in casa mia. Non occupano alcun spazio nel mio cuore. Gli animali sono

fuori dalla mia lista. Potrei asserire più precisamente che gli animali non mi

piacciono, con due eccezioni. La prima è quando sono nel passato – a quel

23 Beryl Rowland, Animals with Human Faces: A Guide to Animal Symbolism, University of Tennessee Press,Knoxville 1973; Chris Wilbert, The apple falls from grace, in Deep Ecology and Anarchism, a cura di MurrayBookchin, et al., Freedom Press, Londra 1993.

24 Richard L. Tapper, Animality, humanity, morality, society, in What is an Animal?, a cura di Tim Ingold, Rout-ledge, Londra 1994.

25 Barbara Noske, Humans and Other Bodies: Beyond the Boundaries of Anthropology, Pluto Press, Londra 1989,p. 169.

punto mi piacciono proprio – in guisa di deliziose crostine croccanti e

mocassini Bass Weejun. La seconda è fuori, e questo non significa solo

fuori, come in fuori da casa mia, ma veramente fuori, come fuori nei boschi,

o preferibilmente fuori nella giungla sudamericana. Questo è, dopo tutto,

giusto. Io là non vado; perché loro dovrebbero venire qui? 26

Un punto di interesse essenziale per la nuova geografia degli animali è la concezione

geografica del luogo in relazione agli animali27. Il concetto di luogo da esplorare qui include i

due sensi del termine tra cui vi è un collegamento stretto, a volte inscindibile. Il primo si

riferisce al “luogo” che si può dire che un animale particolare, una data specie di animale o

anche gli animali non umani in generale, posseggono in classificazioni o ordinamenti umani del

mondo. Possiamo seguire de Certeau, il quale sostiene quanto segue :

Un luogo (lieu) è l'ordine (di qualsiasi genere) in accordo con il quale gli

elementi sono distribuiti in rapporti di coesistenza. Si esclude così la

possibilità di due cose che si trovino nella stessa posizione (luogo). La legge

delle regole “appropriate” nel luogo: gli elementi presi in considerazione

sono l'uno accanto all'altro, ciascuno situato nella propria posizione

“corretta” e distinta, una posizione che esso definisce. Un luogo è dunque

una configurazione istantanea di posizioni. Esso implica un’indicazione di

stabilità.28 CONTROLLARE SE ESISTE TRAD. ITA

L'enfasi è posta sulla creazione di schemi classificatori in cui ogni cosa identificata ha il

suo “giusto posto” rispetto a tutte le altre cose, e può essere chiaramente identificata, delimitata

e posizionata nello spazio concettuale in questione in modo da essere separata da, e non in

sovrapposizione con, altre cose ivi identificate, delimitate e posizionate. Tale collocazione

concettuale degli animali nel più ampio “ordine delle cose” – tale specificazione

26 Fran Lebowitz in The Penguin Dictionary of Modern Humorous Quotations, a cura di Fred Metcalf, Penguin,Londra 1986, p.16.

27 (vedi anche Filone e Wolch 1998: 111-113)

28 Michel de Certeau, L’invenzione del quotidiano, Edizioni Lavoro, Roma 2001, (1984:117) BIBLIOTECA

(“identificazione-di-specie”) degli animali – riflette un impulso che ha radici profonde e grande

varietà culturale29. Queste risalgono sia alle società totemiche pre-neolitiche30, sia a

classificazioni bibliche delle diverse bestie31; si ripresentano nell’idea della “grande catena

dell'essere” antica e medievale32; e poi riappaiono nel Systema Naturae di Linneo e in numerose

rappresentazioni classificatorie del mondo naturale più recenti33. Il risultato di tali

classificazioni, sistemi e tabelle è quello di fissare gli animali in una serie di spazi astratti,

“spazi animali”, che sono separati dai caotici contesti spazio-temporali, o dai luoghi concreti, in

cui questi animali trascorrono realmente la loro vita come esseri nel mondo. (Si potrebbe

aggiungere che la maggior parte delle persone non vive la propria vita attraverso tali

classificazioni e rappresentazioni astratte; tali collocazioni sono infatti sempre produzioni

instabili, relazionali, costituite attraverso azioni ed interazioni diverse). Per di piú, oltre a

stabilire il posizionamento logico di diversi animali uno rispetto all’altro – come nella

distinzione biblica tra animali “puri” ed “impuri” – il lavoro concettuale coinvolto in questi

sistemi si imbatte sempre nella domanda fondamentale ed inevitabile: “che cos’è un animale?”

Poiché si tratta di una domanda ineludibile, esaminaremo ora brevemente ciò che essa

comporta – insieme con l’argomento connesso della disputa delle conoscenze sugli animali –

prima di tornare al tema della collocazione animale.

“Che cos’è un animale?” e questioni connesse

La collocazione concettuale degli animali riguarda in primis la decisione su che cosa è o

non è un animale, e una tale domanda è pertinente al campo della geografia degli animali

perché la risposta determinerà la competenza del sottocampo, e anche perché le nuove

geografie animali devono essere consapevoli di come le diverse società umane hanno scelto di

29 Michel Foucault, The Order of Things: An Archaeology of the Human Sciences, Tavistock Publications, Londra1970.

30 Paul Shepard, On animal friends, in The Biophilia Hypothesis, a cura di Stephen R. Kellert and Edward O.Wil-son, Island Press, Washington, DC 1993.

31 Come nel Levitico: si veda David Sibley, Geographies of Exclusion: Society and Difference in the West, Rout-ledge, Londra 1995, p. 37.

32 Arthur O. Lovejoy, The Great Chain of Being: A Study of the History of an Idea , Harvard University Press,Cambridge 1936.

33 Linnaeus: The Man and His Work, a cura di Tore Frängsmyr, University of California Press, Berkeley 1988;Emma Spary, Political, natural and bodily economies, in Cultures of Natural History, a cura di Nicolas Jardine,James A. Secord, Emma Spary, Cambridge University Press, Cambridge 1996.

rispondere alla domanda. Dunque, dove e come si stabiliscono i confini, in particolare tra gli

esseri umani e gli animali non umani? Dobbiamo attenerci (come geografi animali) alla

tassonomia nella costruzione di raggruppamenti sulla base di molteplici correlazioni di

caratteristiche fisiche comuni, o seguire i biologi molecolari nell'uso di studi cromosomici?

Dobbiamo seguire i filosofi che ipotizzano capacità diverse tra l'uomo e gli animali in termini

di agentivitá (vedi sotto), o impiegare approcci fondati sul buon senso, come quelli di attivisti

per i diritti degli animali che tendono a limitare la discussione dei diritti agli esseri “senzienti”

che possono “percepire con i sensi” i loro mondi circostanti? La maggior parte delle persone

sarà pronta a includere uccelli e rettili tra gli animali34, ma non tutti includono pesci o altri

animali marini diversi dai mammiferi, e molte persone che si considerano vegetariane

mangiano comunque i pesci perché non li considerano come animali “veri e propri”35. Per la

cronaca, noi personalmente includeremmo i pesci tra gli animali, e siamo lieti che in Animal

Spaces, Beastly Places, ad esempio, Waley prenda in considerazione i pesci nei fiumi

giapponesi, mentre Jones offre una breve discussione sull’incontro con i pesci e i loro spazi

acquatici36. Ancora meno persone sarebbero pronte a considerare gli insetti e altre creature con

un scheletro esterno come animali, forse perché sono così piccoli e numerosi che è impossibile

distinguere gli individui tra loro in modo apparentemente essenziale per il conferimento

dell’“animalità”37. Ancora una volta, personalmente, includeremmo gli insetti tra gli animali, e

vorremo che fosse svolta una maggiore quantità di lavoro sulle geografie degli insetti che vada

34 Esempi di nuovo lavoro in geografia animale che prendono in considerazione uccelli e rettili includono JamesD. Proctor, The spotted owl and the contested moral landscape of the Pacific Northwest , in Animal Geographies:Place, Politics and Identity in the Nature—Culture Borderlands, a cura di Jennifer Wolch e Jody Emel, Verso,Londra 1998 e James D. Proctor e Stephanie S. Pincetl, Nature and the reproduction of endangered space: thespotted owl in the Pacific Northwest and southern California, in “Environment and Planning D: Society and

Space” 14, 1996, pp. 683–708 sul tema dei gufi e Sarah Whatmore ; Lorraine Thorne, Wild(er)ness: reconfigur-

ing the geographies of wildlife, “Transactions of the Institute of British Geographers” 23, 1998, pp.435–454 sultema dei coccodrilli.

35 Anna Willetts, Bacon sandwiches got the better of me: meat eating and vegetarianism in S.E London, in FoodHealth and Identity, a cura di Pat Kaplan, Routledge, Londra 1997.

36 Scarso lavoro geografico sui pesci è partito dalla tradizione della mappatura zoogeografica (un esempio recente

è Laura M. Kracker, The geography of fish: the use of remote sensing and spatial analysis tools in fisheries re -

search, “Professional Geographer” 51, 1999, pp. 440–450), anche se alcuni studi geografici sull’industria della

pesca sono in effetti state indagini sulle relazioni uomo-pesce. Di particolare rilievo è stata la ricerca dettagliata diCoull sulla pesca marittima della Scozia: James R. Coull, The Sea Fisheries of Scotland: An Historical Geography,John Donald, Edimburgo 1996 e anche il lavoro di Alistair B. Cruickshank, The Lofoten spawning cod fishery: re-mote area resource development—a model under threat, University of Glasgow, Department of Geography, Occa-

sional Paper 14, 1984. Il tema è stato anche affrontato in Paul Waley, What’s a river without fish? Symbol, spaceand ecosystem in the waterways of Japan, in Philo e Wilbert, Animal Spaces Beastly Places, pp. 161-184.

oltre un semplice interesse zoogeografico per la loro distribuzione38. Pochissime persone poi si

spingerebbero al punto di includere i virus nella categoria degli animali, poiché questo

equivarrebbe ad includere tutto ciò che è animato, sollevando così ulteriori domande spinose

riguardo le linee di demarcazione tra animali, piante e microrganismi. Siamo attratti dalla

prospettiva di questa mossa estrema, contando che ogni geografia animale deve spingere i limiti

oltre la comodità del proprio campo, ma allo stesso tempo siamo consapevoli che ci sono buone

ragioni – concettuali, empiriche, forse politiche ed etiche – per la necessità di un limite oltre il

quale non siamo disposti a estendere l'etichetta di “animali”. Con tutto ciò, vorremmo

certamente ancora discutere l’esigenza che i geografi prendano sul serio piante e microrganismi,

e soprattutto i virus, se necessario, in altri sottocampi nell’ambito dello studio geografico39.

Le risposte a queste domande non si possono mai definire pienamente, per cui sembra

ragionevole consentire che la domanda “che cos’è un animale?” rimanga parzialmente aperta.

Un approccio geografico agli animali dovrebbe anche essere sensibile ai modi diversi in cui tale

questione viene risolta nelle diverse società umane, in connessione con i loro particolari

orizzonti economici, politici, sociali, culturali e psicologici. Che gli esseri umani coinvolti siano

37 Si veda anche Owain Jones, (Un)ethical geographies of human—non-human relations: encounters, collectivesand spaces, in Philo e Wilbert, Animal Spaces Beastly Places, pp. 267-290.

38 Molto poco lavoro geografico è stato condotto sugli insetti, anche se recenti incontri dell'Associazione deiGeografi Americani occasionalmente hanno incluso articoli zoogeografici sulle formiche come James M. Davis,Remnant ant biodiversity along a fragmented arid riparian corridor, relazione all’Annual Meeting of the Annalsof the Association of American Geographers, Boston, marzo 1998; e Michael N. DeMers, Range expansion of theWestern Harvester Ant, relazione all’Annual Meeting of the Annals of the Association of American Geographers,

San Francisco, marzo-aprile 1994 ed articoli che menzionano le dimensioni umane delle “invasioni di cavallette”come C.H. Richardson, The desert locust, Schistocerca gregaria, and its pattern of invasions during 1993, idem eDesert locust plagues demonstrate urgency of true preventive control, relazione all’Annual Meeting of the Annalsof the Association of American Geographers, Boston, marzo 1998.

39 Potrebbe essere interessante riformulare una geografia delle piante lungo le linee che vengono raccomandateper una geografia animale, anche se le domande riguardo a piante, giardini, foreste ed altri habitat di piante (comele brughiere) sono state giá affrontate nello studio del paesaggio. Certamente incoraggiamo la ricerca in corso sullegeografie dei virus, nella loro connessione con la geografia medica e della salute. Si veda, ad esempio, Peter L.Gould, The Slow Plague: A Geography of the AIDS Pandemic, Blackwell, Oxford 1993. Pur non essendo del tuttosoddisfatti da aspetti di questo libro, l'attenzione rivolta ai micro-spazi dell ’HIV (vedi Gould, capitolo 1), collegata

ad indagini sulle diverse scale spaziali di interazione uomo-virus, dalla città al continente al mondo, ci appare

originale e importante. Si veda anche S. Hinchliffe, S. Naylor, Spaces, agencies and ontologies—the whereabouts

of unclean cows, relazione all’Annual Conference of the Royal Geographical Society/ Institute of British Ge-ographhers, University of Surrey, gennaio 1998.

primatologi in Giappone40, pescatori in Islanda41, abitanti Mende del Sierra Leone42 o le donne

afro-americane di Los Angeles43, la definizione di cosa sia un animale sarà accettata

tacitamente, talvolta anche resa esplicita, ma sarà formulata in maniera più o meno diversa in

ciascun caso. In altre parole, ci sarà una geografia complessa di queste risposte, e una nuova

geografia degli animali deve interessarsi a queste variazioni di classificazione da una regione

all’altra, da una località all’altra, da un sito all’altro di tutto il mondo.

Accettare questa relatività, però, non significa trascurare i modi in cui sono state costruite

e contestate quelle che vengono considerate legittime conoscenze sugli animali. Ad esempio, le

scienze naturali sono considerate da tempo la forma primaria e legittima di conoscenza in molte

società, occidentali e non occidentali44. Queste scienze si sono dimostrate molto efficaci nel

manipolare la materia e nel contribuire a sviluppare relazioni produttive, almeno a partire dalla

fine dell'Ottocento45, e si è sostenuto che il centro di produzione sia ora diventato il laboratorio

scientifico46. Tali scienze, in particolare le scienze biologiche, hanno spesso coinciso con rami

di argomentazioni filosofiche sull'agentività degli animali, creando durante tale processo

ortodossie rigide su come si dovrebbero operare distinzioni tra gli esseri umani e gli animali, e

all'interno del “regno” animale stesso. A confronto con queste scienze e filosofie, le conoscenze

comuni ed “indigene” (o etnoscienza) – sia che fossero sviluppate da popolazioni in Paesi non

occidentali o dalle “classi inferiori” dei paesi occidentali – sono state a lungo sminuite sia dalle

culture scientifiche occidentali dominanti sia dalle istituzioni “razionali” che ne adottano le

logiche come guida e modello. Eppure, negli ultimi anni c'è stato un crescente interesse e

40 Donna Haraway, Primate Visions: Gender, Race and Nature in the World of Modern Sciences, Verso, Londra1989.

41 Niels Einarsson, All animals are equal but some are cetaceans: conservation and culture conflict , in Environ-mentalism: The View from Anthropology, a cura di Kay Milton, Routledge, Londra 1993.

42 Paul Richards, Natural symbols and natural history: chimpanzees, elephants and experiments in Mendethought, idem.

43 Si veda il saggio di Jennifer Wolch , Alec Brownlow e Unna Lassiter, Constructing the animal worlds of innercity Los Angeles, in Philo e Wilbert, Animal Spaces Beastly Places, pp. 73-98.

44 Si veda il saggio di Paul Waley, What’s a river without fish?, cit.

45 Margaret C. Jacobs, Scientific Culture and the Making of the Industrial West , Oxford University Press, Oxford1997.

46 Bruno Latour, Give me a laboratory and I will raise the world, in Science Observed, a cura di Karen Knorr-Cetina, M. Mulkay, Sage, Londra 1983.

apprezzamento per queste “altre” forme di conoscenza che sono state per tanto tempo

sottovalutate durante le fasi dell'imperialismo e del (neo-)colonialismo. Questo cambiamento è

emerso in parte dai movimenti ambientalisti e dalle organizzazioni e politiche anti-sviluppo

correlate47, ed una delle conseguenze è stato un nuovo paniere di idee per riflettere sullo stato

ed il carattere degli animali48. Ingold49, tra gli altri, sostiene che le persone nel mondo

sviluppato possono imparare molto sulle diverse relazioni con gli animali presenti nelle culture

di cacciatori-raccoglitori; mentre un commentatore come Shepard50 va oltre, valutando le

relazioni dei cacciatori-raccoglitori con gli animali come più “mature” rispetto a quelle

attualmente prevalenti in Occidente. Approfondendo, Ingold51 suggerisce che i cacciatori-

raccoglitori in genere vedono la distinzione tra esseri umani e animali come permeabile e

facilmente superata, a differenza di ciò che viene dato per scontato in molta scienza e filosofia

occidentale. All'interno di quest’“altra” cosmologia, si suppone che gli esseri umani e gli

animali coesistano in un rapporto di fiducia, piuttosto che di inimicizia: se gli esseri umani si

comportano bene nei confronti degli animali, si può confidare che questi ultimi sostengano gli

esseri umani, dando infine la propria vita per il sostentamento umano. Anche se le popolazioni

che vivono una vita di “essere-con” (anziché “contro”) gli animali possono avere davvero

molto da insegnare alle società occidentali urbane, si deve anche riconoscere che quelle stesse

popolazioni sono a loro volta estremamente emarginate economicamente, politicamente,

socialmente e culturalmente negli spazi globali52.

Il dominio di alcune conoscenze sulle altre, come appena discusso, rimanda anche alle

divisioni costruite tra gli esperti, le élite da una parte e quelle che potremmo definire

conoscenze comuni, amatoriali o anche popolari dall’altra che hanno tutte conseguenze su quali

47 Cfr. Enrique Leff, Green Production: Towards an Environmental Rationality, Guilford Press, New York 1995;Vandana Shiva, Staying Alive, Zed Books, Londra 1989; Michael Watts, Nature as artifice and artifact, in Remak-ing Reality: Nature at the Millennium, a cura di Bruce Braun e Noel Castree, Routledge, Londra 1998.

48 Jean Baudrillard, The animals: territory and metamorphoses, in Simulacra and Simulation, University ofMichigan Press, Ann Arbor 1994, pp. 133-134.

49 Tim Ingold, From trust to domination: an alternative history of human—animal relations, in Animals and Hu-

man Society, a cura di Aubrey Manning e James Serpell, Routledge, Londra 1994.

50 Paul Shepard, On animal friends, in The Biophilia Hypothesis, cit.

51 Ingold, From trust to domination: an alternative history of human—animal relations, cit.

52 Vandana Shiva; Maria Mies, Ecofeminism, Pluto Press, Londra 1993; Richard L. Tapper, Animality, humanity,morality, society, in What is an Animal?, a cura di Tim Ingold, Routledge, Londra 1994, p. 56.

modi di comprendere gli animali, e ciò che l’animale è, vengano definiti “corretti”. Vari tipi di

demarcazione tra i campi del sapere sono coinvolti in lotte sociali su quale gruppo abbia

l’autorità, e quindi su quale forma di sapere sia da considerarsi legittimo, e i partecipanti a

queste lotte, ovviamente, si auto-propongono tutti – e cercano di convincere gli altri a proporli

– come gli “esperti” pertinenti del settore53. Ad un certo livello di generalizzazione, si potrebbe

affermare che le scienze biologiche siano diventate il portavoce ufficiale degli animali, mentre i

portavoce del mondo umano sono diventati i politici, almeno nelle aree più sviluppate del

mondo. Questa è una divisione fondamentale all'interno di ciò che Latour ha definito “la

costituzione moderna”54.

Tuttavia, le divisioni tra il sapere di esperti e della gente comune, il sapere d’élite e i saperi

popolari, spesso non sono così nette e in opposizione come implicato da tale dicotomia55. Ad

esempio, i gruppi a favore e contro la caccia competono per il riconoscimento come portavoce

“adatto” per certi animali, così come coloro a favore o contro la vivisezione: in entrambi i casi è

possibile rintracciare curiose miscele tra i discorsi degli esperti e delle persone comuni, tra le

discussioni politiche e morali su entrambi i lati delle fazioni a favore e contro56. Allo stesso

modo, in Gran Bretagna la distinzione, risalente al tardo XIX secolo, tra naturalisti “dilettanti”

che intraprendono studi sul campo e scienziati “professionisti” che intraprendono esperimenti in

laboratorio, sembrerebbe riflettere una rigorosa separazione di poteri, di scopi, in almeno alcune

delle scienze biologiche. In pratica, però, è chiaro che nei loro laboratori gli esperti dovevano

intraprendere una quantità notevole di lavoro sul campo, in particolare nel nuovo campo e nelle

stazioni di ricerca oceanografiche. Inoltre, i professionisti dovevano spesso fare affidamento sui

53 Thomas F. Gieryn, Boundaries of science, in Handbook of Science and Technology Studies, a cura di SheilaJasanoff, et. al., Sage, Londra 1995.

54 Bruno Latour, We Have Never Been Modern, Harvester Wheatsheaf, Hemel Hempstead 1993, cap. 2. Con “la

costituzione moderna” Latour, seguendo Shapin e Schaffer, esprime la separazione dei poteri tra i rappresentantidei non-umani, gli scienziati, e quelli degli esseri umani, i politici. Questa separazione storica tra epistemologia esociologia, o tra natura e società, è vista come “inventata” nella controversia tra Robert Boyle e Thomas Hobbes

nel XVII secolo. La costituzione così “definisce gli esseri umani e non-umani, le loro proprietà e la loro relazioni,

le loro capacità e i loro raggruppamenti" (ivi, p.15). In Pandora’s Hope: Essays on the Reality of Science Studies,Harvard University Press, Cambridge, MA 1999, Latour approfondisce ulteriormente questa costituzione,attraverso una lettura del Gorgia di Platone.

55 Roger Chartier, Culture as appropriation: popular cultural uses in early modern France, in UnderstandingPopular Culture: Europe from the Middle Ages to the Nineteenth Century, a cura di Steven L. Kaplan, MoutonPublishers, Berlino 1984.

56 Si veda il saggio di Michael Woods, Fantastic Mr. Fox? Representing animals in the hunting debate in Philo eWilbert, Animal Spaces Beastly Places, pp. 185-204.

naturalisti dilettanti per lo svolgimento di indagini sulla popolazione e sulla distribuzione di

uccelli e di altri organismi. L'ecologo britannico Charles Elton commentò57 anche sull'utilità del

pubblico nella raccolta di dati generali sugli animali per lo scienziato, così come il pubblico può

tornare utile alla polizia quando si cercano prove per risolvere un crimine. Detto questo,

persone come Elton non prevedevano un incontro tra pari, dal momento che ancora operavano

in una gerarchia della conoscenza, attribuendo alla conoscenza o “saggezza” locale del

dilettante meno valore rispetto alle formulazioni più generali della scienze biologiche.58

Nonostante questa gerarchia di conoscenze da valorizzare, si può ancora osservare che le

persone comuni o le culture popolari generano da soli le proprie conoscenze, e che queste

possono non solo differire, ma anche opporsi, alla scienza degli esperti. Inoltre, queste

conoscenze possono sposare concezioni degli animali che finiscono per contestare potenti

ortodossie59, mentre i non-esperti possono utilizzare ed interpretare le conoscenze degli esperti

sugli animali in modi che contrastano con ciò che i divulgatori di tali conoscenze potrebbero

desiderare60.

Connesso alla sistemazione concettuale degli animali c’è anche un forte senso umano dei

luoghi che gli animali dovrebbero occupare fisicamente. Un legame importante a questo

riguardo è il concetto ecologico di “nicchia”, in cui un organismo avrebbe un proprio posto

distintivo sia nelle classificazioni biologiche sia negli ambienti del mondo, nel qual caso la

collocazione è prevista non solo come dal punto di vista concettuale, ma anche da quello

materiale61. Non è solo una scienza come l'ecologia ad abbracciare questo doppio

57 Charles Elton, Exploring the Animal World, Allen & Unwin, Londra 1933.

58 Un resoconto più specifico di tale contesa circa la conoscenza “naturale”, radicata nelle Broadland inglesi, è ri-portato per esteso nel testo di David Matless, Versions of animal human: Broadland c. 1945-1970, in Philo eWilbert, Animal Spaces Beastly Places, pp. 117-142.

59 Roger Cooter; Stephen Pumfrey, Separate spheres and public places: reflections on the history of science pop-

ularisation and science in popular culture, “History of Science” 32, 1994, pp. 248–250.

60 Cooter e Pumfrey (ivi, p. 250) sostengono inoltre che quando gli esperti si rivolgono al pubblico per ricevernesostegno, cercano di fare appello ai suoi interessi. Se un pubblico di persone comuni accetta una tale pratica,consente di diventare parte di una rete di alleanze che sostengono questa impresa. Ma proprio come il pubblicoviene arruolato dagli esperti, anche il pubblico ha a sua volta arruolato gli esperti, e secondo la sua influenza inquesta rete può modificare il tipo di scienza o di politica futuri.

61 Sharon E. Kingsland, Defining ecology as a science, in Foundations of Ecology, a cura di Leslie A. Real e

James H. Brown, University of Chicago Press, Chicago 1991.La nicchia ecologica è classicamente consideratacome luogo proprio dell'organismo, in esclusiva per esso. infatti, Darwin, tra gli altri, considerava la nicchia comeuno spazio pre-esistente all'organismo ( si veda Kingsland, ibidem). Solo quando un organismo viene introdotto daun altro ecosistema, si può considerarlo in competizione per la stessa nicchia, e a quel punto l'organismo introdotto

posizionamento degli animali, tuttavia, dal momento che forme diverse di discorso umano –

economico, politico, sociale e culturale – includono una forte indicazione sia di dove si

inseriscono gli animali in uno schema astratto, sia di dove dovrebbero trovarsi negli spazi non-

discorsivi e nel resto del mondo. Anche se è ormai un po’ abusato, si propone di impiegare

ancora una volta la famosa definizione coniata da Said62 di “geografia immaginativa”, e di

ipotizzare che molti discorsi umani contengono al loro interno una geografia immaginativa

specifica che serve a posizionare “loro” (gli animali) rispetto a “noi” (umani) in un modo che

collega un “othering”63 concettuale (che li distingue da noi in termini di tratti caratteriali) a un

un “othering” geografico (sistemandoli in luoghi e spazi del mondo diversi da quelli che noi

esseri umani tendiamo ad occupare). In effetti, vogliamo proporre vi sia in atto in questo

momento la sovrapposizione di una serie di geografie immaginative, a seconda di chi sia

esattamente sotto esame, di quale parte del mondo si stia esaminando, di che tipo di animali

siano esattamente in gioco, e così via.

Per alcune persone, come nella citazione di apertura di Lebowitz, la situazione ideale è

quella che consente la maggior distanza possibile tra loro e gli animali di qualsiasi tipo. A meno

che i suddetti animali si presentino sotto forma di cibo, la proposta è che gli animali debbano

restare chiaramente “fuori” dal perimetro dell'esistenza umana, banditi dalla vita e dal lavoro

umano quotidiano. Si potrebbe sostenere, però, che molte persone (perlomeno nelle società

occidentali) interiorizzino una geografia immaginativa di riferimento per gli animali – o

almeno per i mammiferi – un po’ più complessa, che in realtà mappa l'aumentare della distanza

dagli esseri umani rispetto ai vari tipi di animali, il che implica che alcune specie dovrebbero

esserci vicine, mentre altre dovrebbero essere più lontane. Così, le zone di insediamento umano

(“la città”) sono previste essere la sfera d’azione degli “animali da compagnia” (come cani e

gatti), le zone di attività agricola (“la campagna”) sono previste essere la sfera d’azione degli

animali d'allevamento (come pecore e mucche), e le zone di terre non occupate, di là dei

è spesso definito come “alieno”, come “fuori luogo”.

62 Edward Said, Orientalism, Routledge and Kegan Paul, Londra 1978, pp. 54-55, 71-72.

63 Il termine inglese “othering”, tipico della filosofia continentale, indica l’atto di costruire l’altro come separato,diverso [N.d.T.].

margini dell’insediamento e dell'agricoltura (“la natura selvaggia”64) sono previste essere la

sfera d’azione degli animali selvatici (come i lupi e leoni).

La geografia immaginativa sopra descritta è destabilizzata in vari modi che rendono tali

posizionamenti concettuali-fisici interessanti ma difficili da decodificare. Pensando in primo

luogo alle città, ad esempio, nel volume da noi curato, Animal Spaces Beastly Places, Howell

sottolinea l'equazione degli animali da compagnia con il focolare domestico (con connotazioni

di genere) e i quartieri alti della Londra vittoriana, ma non con tutta la città65, mentre Griffiths,

Poulter e Sibley66 mostrano che una zona urbana come Hull è immaginata non solo come città

di animali da compagnia, ma anche come città dei gatti inselvatichiti (e, potremmo aggiungere,

anche di molti altri animali molto piú selvatici). Mentre associazioni per il benessere animale

come la Cats Protection League tendono a vedere i gatti inselvatichiti come “detenuti a piede

libero”67 che necessitano di essere ri-addomesticati e restituiti alla famiglia, il suggerimento è

che alcuni se non tutti i residenti di Hull sono disposti a considerare i gatti selvatici i legittimi

residenti di alcuni (ma non di tutti ) i luoghi della città. Nello stesso volume, Wolch, Brownlow

e Lassiter68 raccontano le opinioni di quali animali debbano essere dove in una città come Los

Angeles, particolarmente in riferimento al passato rurale di alcune donne afro-americane e alle

loro aspettative rispetto alla vicinanza di animali d'allevamento (vivi o morti) nella città69. Per

altre persone da loro intervistate, però, era più facile accettare gli animali selvatici che

64 Resistiamo alla tentazione di usare il termine “natura selvaggia” troppo liberamente, tuttavia, dal momento che

il termine è problematico, implicando aree in qualche modo libere dall’impatto dell’uomo. Come Marx stesso ha

sostenuto nel XIX secolo, sono rimaste poche aree –se esistono – cui ci si possa riferire in termini di natura

selvaggia. E’ stato spesso dimostrato che anche le aree comunemente considerate selvagge, sono state gestite inpassato da popolazioni, soprattutto quelle indigene ora escluse. Vedi anche William Cronon, The trouble withwilderness; or getting back to the wrong nature, in Uncommon Ground: Toward Reinventing Nature, a cura diWilliam Cronon, W. W. Norton & Company, New York 1995. Preferiamo usare il termine “terre-piú-selvagge”.

65 Howell, Flush and the banditti, cit.

66 Huw Griffiths, Ingrid Poulter e David Sibley, Feral cats in the city, in Philo e Wilbert, Animal Spaces, BeastlyPlaces, pp. 59-72.

67 Ingold, From trust to domination, p. 3.

68 Wolch, Brownlow, Lassiter, Constructing the animal worlds of inner city Los Angeles, cit.

69 Questa posizione non sarebbe, ovviamente, insolita per molte persone in tutto il mondo. Philo (in “Animals,

geography and the city: notes on inclusions and exclusions”, cit.) mostra la storia delle esclusioni di tali animali

dalle città britanniche, ma negli ultimi anni diversi attivisti ambientali hanno presentato argomenti a favore della

reintroduzione degli animali d'allevamento nelle città in paesi come la Gran Bretagna, e di una maggiore

produzione di cibo nelle città.

tornavano in città, forse alla ricerca di vecchi habitat urbanizzati, piuttosto che accettare la

vicinanza degli animali allevati per la loro tavola. Relativamente alla campagna, Yarwood e

Evans70 mostrano come il problema non è solo relativo agli animali d'allevamento legittimi

occupanti dei pascoli a rotazione, ma anche a immaginari molto più complessi che associano

razze specifiche di bestiame (ad esempio bovini Aberdeen Angus) con particolari paesaggi

agricoli regionali. Riguardo alle diverse varietà di terre selvagge, Matless discute il Broadlands

inglese71, una regione dal paesaggio attraente iscritta in una contestata “geografia morale”72 che

comprende diverse visioni di quali animali selvatici possano essere legittimamente presenti e

quali siano invasori “alieni”. La questione in tal senso non è solo che Broadland dovrebbe

essere abitata da animali selvatici, ma anche quali animali selvatici siano da considerarsi i

legittimi abitanti della regione, i più adatti per l'ambiente locale e i più esteticamente gradevoli

rispetto al paesaggio locale. Brownlow73 si occupa di questioni parallele quando esamina i

dibattiti intorno alla domanda se il lupo grigio sia o meno un animale selvatico adatto per il

ripristino del paesaggio montano di Adirondack, mentre Waley74 ricostruisce dibattiti sul

ripristino ecologico dei pesci nei fiumi giapponesi che rivelano la sovrapposizione di scienza e

spiritualità nella collocazione di pesci e altri animali da uno spazio all’altro del Giappone

(urbano, rurale e selvaggio).

Come indica anche la maggior parte dei capitoli relativi alle terre piú selvagge, un comune

presupposto è che le terre selvagge di là della cerchia della normale attività umana siano, e

debbano essere, provviste di tutti i tipi di animali di grandi dimensioni e/o pericolosi che gli

esseri umani normalmente non desiderano incontrare. Molte persone, come nella citazione di

Lebowitz, sono indubbiamente felici che una moltitudine di animali, dai leoni feroci ai

coccodrilli scattanti e i ragni velenosi, risiedano “veramente fuori nella giungla”. Una serie di

connotazioni simboliche sono nondimeno connesse alle raffigurazioni occidentali della natura

selvaggia75, come luogo di libertà, di anarchia, di redenzione, di contemplazione e simili, e c'è

una idealizzazione comune secondo la quale gli esseri umani sono gli estranei (gli esseri “fuori

70 Richard Yarwood, Nick Evans, Taking stock of farm animals and rurality, in Philo e Wilbert, Animal SpacesBeastly Places, pp. 99-116.

71 Matless, Versions of animal-human, cit.

72 Cfr. David Matless, “Moral geography in Broadland”, in Ecumene 2, 1994, pp. 127–155.

73 Wolch, Brownlow, Lassiter, Constructing the animal worlds on inner-city Los Angeles, cit.

74 Waley, What’s a river without fish?, cit.

luogo”), che non dovrebbero far interferire la propria ricerca di esperienze estreme con gli

animali che occupano questi spazi remoti. In realtà tuttavia, l’appropriazione capitalistica di

terre e mari come se fossero proprietà privata o come oggetti di un accordo contrattuale vede la

totalità della biosfera globale, eventuali terre “piú selvagge” comprese, rientrare nell'orbita del

controllo e dell’intervento umano76. Più accuratamente, le terre “più selvagge” sono talvolta

considerate come accumuli di creature selvatiche disponibili per gli sport come la caccia e il

tiro: il furioso dibattito sulla caccia in Gran Bretagna è pieno di immaginari contraddittori sui

diversi tipi di animali selvatici presenti nelle campagne di contee come Somerset e Devon, e sul

loro diritto di essere “lasciati in pace” (oppure no) in questi distretti77. La caccia “grossa” nelle

terre “lontane” di Africa e India era stata incoraggiata nel XIX secolo da visioni stereotipate di

foreste e pianure piene di leoni, tigri, elefanti e rinoceronti78 anche se, seppur in misura limitata

esiteva un dibattito se tali animali dovessero essere lasciati in pace o meno

Un momento cruciale nella storia delle relazioni uomo-animale è stata la creazione di

giardini zoologici in Europa e Nord America, con l’obiettivo principale di traslocare gli animali

selvatici dalla “natura selvaggia” a particolari oasi territoriali, chiuse e sorvegliate, più vicine

alle nostre case all’interno della “città” (invertendo la geografia immaginativa di riferimento

notata in precedenza). Un ingrediente di base nell’immaginario occidentale relativo agli animali

è così diventato lo zoo come spazio (o insieme di spazi) specificamente riservato agli animali

selvatici non più “in natura”. Ciò ha portato così molte persone a “naturalizzare” lo zoo, nel

senso di accettarlo senza problematizzarlo come luogo adeguato per molti animali79. Gli zoo,

75 Ted Benton, Natural Relations: Ecology, Animal Rights and Social Justice, Verso, Londra 1993, p. 66; Chris

Wilbert, Anti-this—against-that: resistances along a human—non-human axis, in Entanglements of Power: Ge-ographies of Domination/Resistance, a cura di Ronan Paddison, Chris Philo, Paul Routledge, Joanne Sharp,Routledge, Londra 1999.

76 Benton, Natural Relations: Ecology, Animal Rights and Social Justice, pp. 66-67.

77 Si veda il testo di Woods, Fantatic Mr. Fox?, cit, e dello stesso autore anche “Mad cows and hounded deer: po-

litical representations of animals in the British countryside”, Environment and Planning A 30, 1988, pp. 1219–1234 e “Researching rural conflicts: hunting local politics and actor-networks”, Journal of Rural Studies 14, 1988,

pp. 321–340.

78 Immagini di un’abbondanza di animali selvatici in terre selvagge possono sanzionare una caccia indiscriminata,come Thorne mostra in maniera molto persuasiva in una discussione sulla strage di canguri nell'entroterraaustraliano. Si veda Lorraine Thorne, “Kangaroos: the non-issue”, Society and Animals 6, 1998, pp. 167–182.

79 Si vedano testi di Pyrs Gruffudd, Biological cultivation: Lubetkin’s modernism at London Zoo in the 1930s e diGail Davies, Virtual animals in electronic zoos: the changing geographies of animal capture and display, in Philoe Wilbert, Animal Spaces Beastly Places, pp. 223-242, 243-266.

tuttavia, sono anche luoghi spesso fortemente contestati, dove la relazione tripartita che si è

andata sviluppando tra scienza, intrattenimento ed educazione è sempre stata problematica.

Infatti, fatta eccezione per la fase iniziale di alcuni giardini zoologici, come lo zoo di Londra,

sembra che essi abbiano suscitato scarso interesse scientifico fino a poco tempo fa. Anche se

potrebbero aver avuto una qualche importanza durante il XIX secolo nel perfezionare le

classificazioni zoologiche, oggi non sembra esserci granché bisogno o desiderio di tenere un

rappresentante di quasi ogni specie selvatica dietro le sbarre di uno zoo. Negli ultimi anni gli

zoo si sono reinventati come “arche” che cercano di conservare le specie animali, naturalmente,

utilizzando una nuova scienza della conservazione biologica e persino reintroducendo animali

selvatici in natura. Nonostante ciò gli zoo sono ancora una volta al centro della polemica, se

essi siano i luoghi più efficaci per svolgere tale funzione. Per tutti questi motivi, lo zoo si

presenta comunque come un’espressione assai tangibile del duplice atteggiamento concettuale e

materiale degli animali in qualità di oggetti di discussione, offrendo un buon punto da cui

partire per la fase successiva del nostro ragionamento.

“Gli spazi altri”; o creando “luoghi bestiali”

Il periodo più lungo di libertà mai goduto da un abitante dello zoo è durato

più di due anni. Si trattava di un tritone senza zampe molto raro, che

assomiglia ad un verme nero lucido, fasciato a intervalli con appariscenti

anelli di bianco. Una mattina semplicemente non c’era piú. Passarono due

anni e fu dimenticato. Poi un giardiniere estrasse una pianta morta nella

gabbia dei rettili. Là, nelle radici, c’era il tritone mancante, che era vissuto di

scarafaggi occasionali.80

Facendo eco a quanto detto in precedenza circa i rischi di concentrarsi unicamente su come

le società umane immaginano o rappresentano gli animali, esaminiamo i modi in cui gli

animali, in quanto incarnati, “di carne”81, spesso finiscono per eludere i luoghi che gli esseri

80 Leslie G. Mainland, Secrets of the Zoo, Partridge, Londra 1927, p. 84.

81 Questo termine è usato da Heidi J. Nast e Steve Pile, Introduction: MakingPlacesBodies, nel volume da lorocurato Places Through the Body, Routledge, Londra 1998, p. 33 e anche in EverydayPlacesBodies, in PlacesThrough the Body, Routledge, Londra 1998, p. 412. Il termine diventa ancora più suggestivo, forse inquietante,

quando utilizzato in relazione alle creature non-umane che spesso finiscono come “carne” per le tavole umane, o

anche per altri animali. Più in generale, si potrebbe notare che nonostante la recente svolta a considerare “il cor-

umani cercano di assegnare loro, siano essi il cesto in cucina, il giardino, il recinto, il campo, la

gabbia o altro. Tali evasioni possono verificarsi a livello individuale, quando un animale da

compagnia si allontana dalla casa nelle strade circostanti, oppure a un livello sociale, in cui un

numero relativamente rilevante di animali, ad esempio nutrie, fuggono dagli allevamenti di

animali da pelliccia82. Viene in mente un altro esempio: quello di Cholmondeley lo scimpanzé

che nel 1951 presumibilmente fuggì dallo zoo di Londra, salendo sull’autobus numero 53 e

saltando su una passeggera83. Nel racconto di Cresswell84, Cholmondeley è “fuori posto”,

poiché trasgredisce le nozioni (umane) date-per-scontate (o doxa) su che tipo di esseri possano

normalmente trovarsi sull’autobus 53 in transito nelle strade di Londra. A dire il vero,

Cholmondeley trasgredí un certo numero di confini spaziali ampiamente accettati dagli

occupanti umani di Londra: non solo quelli che separano gli animali in gabbia dal pubblico, ma

anche quelli che separano lo zoo dalle immediate vicinanze, identificando un autobus come

qualcosa su cui si viaggia con uno scopo (ci chiediamo se si sia pensato al fatto che

Cholmondeley sia deliberatamente entrato nel bus per mettere in atto la sua fuga), e che sono

contrari all’idea dell’autobus come luogo che permette di saltare sulle persone (con o senza

motivi sessuali)85. È possibile identificare interessanti esempi di queste trasgressioni – Philo ne

elenca alcuni relativi ad animali da allevamento nella Londra ottocentesca86 – ma l’idea di

fondo è che in questi casi, come in molti altri casi più ordinari, siano gli animali stessi a

mettere in scena ciò che potrebbe essere definita la propria agentività, trasgredendo in tal modo,

e forse anche rifiutando la collocazione che gli umani hanno deciso per loro. Si potrebbe dire

che così facendo gli animali inizino a plasmare i propri “spazi altri”, contrastando i luoghi

poreo” nell’ambito della geografia umana, così come nelle scienze sociali e negli studi culturali, non si è ancora

detto abbastanza sui corpi degli animali. A tal proposito si veda Jones, (Un)ethical geographies of human—non-human relations, cit.

82 Crf. Matless, Versions of animal human, cit.

83 Gwynne Vevers, London Zoo, Bodley Head, Londra 1976, p. 97.

84 Tim Cresswell, In Place/Out of Place: Geography, Ideology and Transgression, University of Minnesota Press,Minneapolis 1996.

85 Si deve notare che, da un altro punto di vista, anche lo scimpanzé nello zoo è “fuori luogo”. Per molti critici,

non dovrebbe trovarsi lì, ma piuttosto in natura, dove sarebbe “al proprio posto”, sviluppando i propri modi sociali,

o , secondo Sørensen “sforzandosi di mantenere il potere di esistenza e di sviluppo che è il telos degli animali”. Si

veda Merete Sørensen, Transgenic Animals: Promising Ethical Perspectives or Hybris?, Odense University Hu-

manities Research Centre, ‘Man and Nature’, Working Paper No.69, 1995, p. 10.

86 Philo, “Animals, geography and the city”, cit.

previsti per loro dagli esseri umani, creando così i propri “spazi bestiali”, che rispecchiano i

loro modi, fini, azioni, gioie e sofferenze “bestiali”. Senza dubbio, molti commentatori

riterranno che ci siano problemi con tali scelte linguistiche, individuando il rischio di

antropomorfismo e di ilozoismo, e accusandoci di fraintendere ciò che dovrebbe essere inteso

con il termine “agentività” nella in una seria ricerca accademica. Poiché tali questioni sono

molto rilevanti il nostro metodo e per una geografia “centrata sull’animale”, approfondiremo

questo tema in una sottosezione che, pur interrompendo il flusso della nostra narrazione, è

attualmente molto pertinente.

“Che cos’é l’agentivitá degli animali?” e questioni connesse

Si può sostenere che molti animali abbiano i loro “territori” e che vivano in certi ambienti

ai quali si sono adattati in qualche modo, contribuendo a plasmarli nel corso del tempo. Si può

anche sostenere che molti animali abbiano la capacità di trasgredire gli ordinamenti spaziali

immaginari e materiali costruiti delle società umane, ma si può anche parlare di animali che

abbiano la capacità di opporsi a questi ordinamenti? Nel porre una domanda simile,

effettivamente si solleva la spinosa questione dell’agentività animale, dato che generalmente si

accetta che la nozione di “resistenza” comporti la presenza di un’intenzionalità cosciente,

apparentemente una proprietà esclusiva dell'agire umano – in quanto solo agli esseri umani è

ampiamente riconosciuto il possesso della coscienza di sé e della possibilità di agire sulle

intenzioni al fine di trasformare i progetti in risultati87. Tale affermazione ci riporta a un tema

più ampio, già anticipato, di distinguere gli esseri umani dagli animali. Ci costringe anche ad

affrontare le affermazioni dei filosofi su un presunto status speciale dell’essere umano in qualità

di entità auto-cosciente, l'unica entità in tal senso, in possesso dei “circuiti” mentali che

permettono il pensiero e lo sviluppo del linguaggio a esso connesso88.

87 In effetti, questo è il motivo per cui i due autori di questo editoriale hanno lavorato con e contro la notadistinzione di Cresswell (In Place/Out of Place, pp. 22-23) tra trasgressione e resistenza. La trasgressione, perCresswell, comporta azioni le cui conseguenze oltrepassano certi limiti definiti dagli esseri umani, ma che noncomportano necessariamente l’intenzione da parte di qualcuno (o qualcosa) di farlo. La resistenza, per lui,comporta azioni perseguite deliberatamente, volontariamente, volutamente, consapevolmente, con l'intenzioneconsapevole da parte dell'agente di oltrepassare i limiti (conosciuti). Si vedano Chris Wilbert Anti-this—against-that, p. 245, 249 e Filone (1995: 656).

88 Ad esempio Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Lecture on the Philosophy of World History, Cambridge Univer-sity Press, Cambridge 1975, pp. 48-51; Jean-Jacques Rousseau, A discourse on the origin of inequality, in TheSocial Contract and Discourses, Everyman, Londra 1973.

Allo stesso tempo, nozioni di questo tipo sono chiaramente connesse con la credenza

umana di lunga data in una distinzione fondamentale tra ciò che viene spesso definito l’essere

“civilizzato” o “razionale” in grado di pensare ed agire nel mondo (l'umano), e quelle che

vengono spesso identificate come le passioni e gli istinti di base che presumibilmente

cancellano il potenziale di agentivitá di un essere (la base primordiale dell'animale, presente

nell’essere umano, ma piú ovviamente percepibile negli animali non umani)89. Da questa

distinzione nasce l’ampio uso di termini come “animali” e “bestiali” per descrivere gruppi di

persone che si considerano coinvolte in attività antisociali, magari disumane. Infatti,

storicamente, sono state costruite parecchie codificazioni culturali incrociate tra alcuni esseri

umani ed alcuni animali. Talvolta dei gruppi umani sono stati giudicati inferiori o marginali

rispetto ad altri gruppi dominanti, e pertanto associati con gli animali (o con il bestiale in

generale) anch’essi visti come inferiori o marginali o come abitanti di spazi marginali. Ad

esempio, i coloni bianchi a volte associavano i nativi americani con animali selvatici come il

lupo, visti come nocivi o addirittura “parassiti” 90. Molti gruppi possono essere erroneamente

inseriti dalla cultura dominante nella categoria degli animali nocivi e dei parassiti; ovviamente

una serie di metafore legate alla minaccia del contagio e dell’inquinamento vengono a

circondare tali associazioni e codifiche incrociate tra esseri umani e animali. Di tanto in tanto,

naturalmente, l’identificazione delle persone con alcuni animali può essere più “positivo”: si

consideri il loro uso nelle società totemiche, e, in misura minore, in esempi come l'araldica o la

loro adozione come simboli di stati-nazione.

89 Stephen Horigan, Nature and Culture in Western Discourses, Routledge, Londra 1988 e Tim Ingold, Humanityand animality, in Companion Encyclopaedia of Anthropology, a cura di Tim Ingold, Routledge, Londra 1994.Parallelamente a questa distinzione, in molte società ci sono paure di lunga durata circa il rischio che alcuni esseriumani regrediscano allo stato animale, o che alcuni esseri umani non raggiungano le vette della cultura civile(l’umano “vero e proprio”). Comunemente, si pensa a questa come una moderna visione “razzista”, usata per

giustificare la schiavitù, il colonialismo, genocidi o altri orrori, ma non di rado queste paure sono anche state

espresse riguardo alle persone identificate come “idioti”' o “lunatici” (per usare un linguaggio piú arcaico) oppure

(per usare termini più recenti, ma altrettanto insoddisfacenti), “subnormali” o “malati di mente”. Per contro,

Richards discutendo il desiderio dei conservazionisti di aumentare i numeri di scimpanzé in Sierra Leone – indica

come le popolazioni Mende riconoscano gli scimpanzé come loro antenati che ancora vivono nei boschi, pur

temendo nel contempo che un numero crescente di scimpanzé incoraggi alcuni esseri umani a regredire verso, oessere tentati di copiare, questi esseri smoderatamente forti, violenti e cannibalistici. Si veda Paul Richards, Natu-ral symbols and natural history: chimpanzees, elephants and experiments in Mende thought , in Environmentalism:The View from Anthropology, a cura di Kay Milton, Routledge, Londra 1993, p. 151.

90 Stephen Horigan, Nature and Culture in Western Discourses, Routledge, Londra 1988 e Ingold, “Humanity and

animality”, cit.

Assunzioni e ramificazioni che rappresentano l’uomo come rigorosamente separato

dall’animale possono apparire a prima vista del tutto “ragionevoli”, ma un esame più attento

rivela come esse siano generate da un particolare insieme di idee che cominciarono ad acquisire

popolarità in Europa dai secoli XVI e XVII in avanti. Tali discorsi hanno formalizzato una

nozione specifica di agentività radicata in una particolare concezione dell’umano e delle sue

qualità, attributi e capacità presumibilmente caratteristici91. L'implicazione è che questa

conoscenza, baluardo della scienza e della filosofia occidentale, nasca da un contesto storico-

geografico abbastanza circoscritto, e che non abbia necessariamente l’origine universale

comunemente attribuitale92. Prendendo sul serio “altre” conoscenze – in particolare conoscenze

“indigene” non-occidentali o le etnoscienze – che offrono un resoconto meno dualistico delle

differenze tra esseri umani e animali, molte persone (soprattutto al di fuori dell'Occidente, ma

anche al suo interno) hanno cominciato a decostruire alcune affermazioni apparentemente ovvie

circa lo status privilegiato dell'essere umano, in contrapposizione con gli altri animali, come

fonte di agentività nel mondo. Molte altre società e visioni culturali del mondo sono pronte a

riconoscere che le capacità alla base dell’agentività sono distribuite molto più ampiamente

nelle varie cose del creato – esseri umani, animali, spiriti e tutti gli elementi – disgregando in

tal modo ciò che gli occidentali hanno normalmente accettato come proprietà costitutive della

coscienza, della consapevolezza di sé, delle intenzioni, del pensiero e del linguaggio. Peraltro,

questa disponibilità a supporre che tali proprietà dell'essere siano possedute – in una certa

misura – anche da molti animali non umani è stata ora introiettata da alcuni accademici

occidentali, risultando in un’intensa ricerca e in numerose pubblicazioni sulla coscienza, la

consapevolezza di sé, il processo decisionale, le emozioni e simili, negli animali93.

Per certi aspetti, anche una sofisticata innovazione intellettuale come la “teoria dell'attore-

rete” (ANT) ci porta in questa direzione, dal momento che la ANT mette in discussione

qualunque chiara attribuzione di capacità specifiche a cose specifiche nel mondo94. L’ANT

91 Lorraine Daston, How nature became the other: anthropocentrism and anthropomorphism in early natural phi-losophy, in Biology as Society, Society as Biology: Metaphors,a cura di Sabine Maasen, Everett Mendelsohn ePeter Weingart, Kluwer, Dordrecht 1995.

92 Latour, We Have Never Been Modern, p. 120.

93 Marian Stamp Dawkins, Through Our Eyes Only? The Search for Animal Consciousness, Freeman, Oxford1993; David DeGrazia, Taking Animals Seriously, Cambridge University Press, Cambridge 1996, cap. 7.

94 Cfr Michel Callon, Some elements of a sociology of translation: the domestication of the scallops and thefishermen of St. Brieuc Bay, in Power, Action and Belief: A New Sociology of Knowledge , a cura di John Law,Routledge e Kegan Paul, Londra 1986; Michel Callon, e John Law, “Agency and the hybrid Collectif”, South

preferisce concepire tali capacità come molto più ampiamente distribuite, forse in maniera

imprevedibile, in tipi diversi di cose associate a (quelli che vengono convenzionalmente

considerati come) ordini di realtà piuttosto diversi (naturale, culturale, discorsivo, economico e

psicologico). Tali ordini di realtà (ad esempio, natura e società), quindi, non sono più visti

come ambiti facilmente delimitabili, ma piuttosto come esiti, effetti o prodotti di lotte,

arruolamenti, spostamenti di interessi e processi di purificazione più o meno stabili e durevoli,

che coinvolgono spesso vaste reti di “micro-attori” umani e non-umani. Questo non sta a

significare che la ANT ignori le differenze nel mondo95, e scrittori come Serres e Latour sono

disposti a identificare le differenze tra le società umane e quelle, per esempio, dei babbuini96.

Per essere più precisi, essi propongono che la differenza fondamentale risieda negli usi e nella

storicizzazione degli oggetti, in quanto per gli esseri umani, a differenza dei babbuini, gli

oggetti sono impiegati per consolidare i legami sociali. Gli oggetti in uso servono quindi a

stabilizzare le relazioni umane attuali o a mantenere gli effetti di azioni passate, che poi

permettono alle realizzazioni umane del passato, o forse ad attori umani molto lontani, di

influenzare il presente localizzato, circoscrivendo magari le azioni nella situazione locale97.

Atlantic Quarterly 94, 1995, pp. 481–508; Latour, We Have Never Been Modern, cit. Abbozzi di resoconti delpotenziale di diffusione dell’ANT in geografia umana sono abbastanza numerosi negli ultimi anni: si veda NickBingham, “Object-ions: from technological determinism towards geographies of relations”, Environment andPlanning D: Society and Space 14, 1996, pp. 635–658; Bruce Braun e Noel Castree, The construction of natureand the nature of construction: analytical and political tools for building survivable futures , in Remaking Reality:Nature at the Millennium, a cura di Bruce Braun e Noel Castree, Routledge, Londra 1998; David Demeritt, “Thenature of metaphors in cultural geography and environmental history”, in Progress in Human Geography 18, 1994,pp. 163–185; Steve Hinchliffe, “Technology, power and space—the means and the end of geographies oftechnology”, in Environment and Planning D: Society and Space 14, 1996, pp. 659–682; Jonathan Murdoch,“Inhuman/nonhuman/human: actor-network theory and the prospects for a nondualistic and symmetricalperspective on nature and society”, Environment and Planning D: Society and Space 15, 1997, pp. 731–756;Idem, “Towards a geography of heterogeneous associations”, Progress in Human Geography 21, 1997, pp. 321–337; Nidel Thrift, Spatial Formations, Sage, Londra 1996.95 Cfr. Eric Laurier, Chris Philo, “X-morphising: review essay of Bruno Latour’s Aramis or theLove of Technology”, Environment and Planning A 31, 1999, pp. 1047–1071.

96 Vogliamo sottolineare che Latour ed altri autori dalla ‘teoria dell’attore-rete’ (ANT) vedono importanti

differenze tra gli esseri umani e gli animali, qui nel senso specifico di distinguere tra le società umane e quelle

delle scimmie, notando che le più ampie manovre concettuali tentate dall’ANT - quelle che disgregano nozioni

convenzionali di agentività - sono intese a far crollare le distinzioni tra umani e non-umani, inclusi gli animali, percerti aspetti ma non necessariamente per altri. Queste sono domande molto complesse e controverse tuttavia, ericonosciamo la diversità delle affermazioni e contro-affermazioni attualmente introdotte nella letteratura relativa(come accennato a grandi linee da Laurier e Philo, da Hinchliffe e da Whatmore). Riconosciamo anche la nostraambivalenza su molte di queste affermazioni e contro-affermazioni.

97 Murdoch, “Towards a geography of heterogeneous associations”. p 329; Michel Serres, Genesis, University ofMichigan Press, Ann Arbor 1995, p. 87. Convenzionalmente, questi effetti prendono anche la forma di attribuzioniche localizzano l’agentività come singolarità, più spesso come esseri umani con intenzioni e linguaggi, assegnandoin tal modo ad una parte della configurazione la posizione di motore primo od oratore strategico. Come Callon e

Murdoch98 sviluppa l’argomento di Latour secondo il quale le società umane differiscono da

quelle delle scimmie per una maggiore mescolanza di esseri umani e non-umani nel primo caso,

in modo tale che, partendo da strumenti in osso e in pietra, le società umane gradualmente

raggiungono un livello di resistenza e durabilità che nelle società delle scimmie non esiste. Con

l'addomesticamento da parte degli umani di animali e piante, il numero dei non-umani esistenti

accanto all’uomo prolifera in modo esponenziale, rendendo impossibile il riconoscimento di

una società puramente “umana”. Industria e scienza hanno contribuito ad aumentare la

proliferazione dei non-umani mescolati con gli esseri umani, con nuovi strati sopra mescolanze

preesistenti99. Risorse, tecnologie, animali e così via, partecipano tutti attivamente, affinano ed

inquadrano tali processi di interazione, e questa è un'osservazione che ritorna al punto

fondamentale, ovvero che che l’ANT non accetta le divisioni tipiche del pensiero tradizionale.

All'interno dell’ANT, l’agentività è concepita non come qualche cosa di innato o statico che un

organismo possiede sempre, ma piuttosto in senso relazionale, che vede l’agentività emergere

come un effetto generato e messo in atto in configurazioni di elementi diversi100. Questo

significa che potenzialmente qualsiasi cosa può agire, sia umano o non umano, e il termine

semiotico “attante” è usato per riferirsi a questa simmetria di poteri.

Un risultato dell’approccio di Latour è quindi l’ingresso delle cose non umane nelle

scienze sociali, il recupero delle “masse mancanti”, l’attribuzione di un proprio ruolo e della

capacità di provocare cambiamenti, la capacità di agentività. In uno dei suoi lavori più recenti,

egli attribuisce infatti pensiero e azione a entità non umane come ad esempio un sistema

prototipico di “transito personale rapido” (RPT) chiamato Aramis101. Nonostante ci siano

Law (“Agency and the hybrid Collectif”, p. 503) sostengono, tali attribuzioni “obliterano le altre entità e relazioni

nel collettivo, o le relegano ad un ruolo di supporto e infrastrutturale”. Anche l’ANT è stata sottoposta a critica perl'attenzione selettiva sugli oratori strategici, o portavoce.

98 Murdoch, “Towards a geography of heterogeneous associations”, pp. 328-329.

99 Per certi versi, la descrizione di Latour di insiemi durevoli di relazioni eterogenee si imbatte nel marxismo, dal

momento che questi oggetti in espansione non sono semplicemente neutrali; piuttosto, essi “contengono e

riproducono il ‘lavoro coagulato’ ” (Murdoch, “Towards a geography of heterogeneous associations”, p. 329), le

conoscenze, le competenze e le capacità di altri esseri, umani e non-umani. È sempre più attraverso tali oggetti che

l’ordine sociale, il potere, la scala o la gerarchia sono consolidati e preservati. Il che assomiglia alla descrizione diMarx del lavoro oggettivato (o morto), delle relazioni sociali oggettivate, e la sua appropriazione del lavorovivente (vedi Karl Marx, Grundrisse, Penguin, Londra, 1973, p. 693 e sgg.). Latour, ovviamente, non accetterà itipi di dualismi o i valori esplicativi sviluppati da Marx.

100 Cfr. Callon e Law, “Agency and the hybrid Collectif”, p. 502.

101 Bruno Latour, Aramis or the Love of Technology, Harvard University Press, Cambridge 1996.

riserve su questa attribuzione102, è evidente che gli esperimenti pionieristici di Latour aprono

uno “spazio” per prendere in considerazione l'agentività dei non-umani, animali inclusi, e per

fare congetture sul loro posizionamento nel “parlamento delle cose”103. In realtà, un

esperimento mentale in questo senso è stato già condotto da Callon104, nell’esaminare come le

capesante, esercitando un certo grado di agentività, abbiano contribuito a una particolare

indagine scientifica. Ciò significa che la spinta in questa direzione non proviene solo da

conoscenze non-occidentali, né da alcuni eccentrici studiosi di psicologia animale in occidente

ma che si manifesta anche nella sfida alla teoria sociale provocato dalla ANT e dalle sue

derivazioni. Questi ultimi approcci stanno fornendo un impulso all’affermazione di una nuova

geografia animale pronta a discutere, ad esempio, l'agentività degli animali105, il che implica

che non sia affatto insensato parlare di animali in possesso di un certo grado di agentività in

grado di resistere a – e non solo a trasgredire – le norme umane, inclusi gli ordinamenti spaziali

della città, dell'azienda agricola o dello zoo.

Peraltro, Latour esamina esplicitamente il suo antropomorfismo, la sua disponibilità a

trasferire qualità, attributi e capacità normalmente associati solo agli esseri umani ad altre cose

nel mondo. Anche Laurier e Philo106 discutono la posizione sull’antropomorfismo adottato nel

suo libro Aramis107, rilevando la quantitá di “X-morfismi” che Latour permette avvengano tra

ogni sorta di fenomeni, quando aspetti di un certo ordine (ad esempio, le macchine) vengono

utilizzati per illuminare le caratteristiche di un altro (ad esempio, gli esseri umani), e viceversa.

Cosí facendo, Latour ammette di essere antropomorfico nel modo in cui descrive le macchine, e

non si pente di farlo poiché la sua visione implica un disvelamento delle dimensioni nascoste

nel mondo delle cose meccaniche, troppo facilmente trascurate dalle scienze sociali

convenzionali108. È utile evidenziare questo aspetto del lavoro di Latour perché l’accusa di

antropomorfismo è spesso rivolta a quanti considerano la nozione di agentività negli animali

102 Laurier e Philo, “X-morphising: review essay of Bruno Latour’s Aramis or the Love of Technology”, cit.103 Latour, We Have Never Been Modern, pp. 142-145.

104 Callon, Some elements of a sociology of translation: the domestication of the scallops and the fishermen of St.Brieuc Bay, cit.

105 Wilbert, “Anti-this—against-that: resistances along a human—non-human axis”, cit.

106 Laurier e Philo, “X-morphising: review essay of Bruno Latour’s Aramis or the Love of Technology”, cit.107 Latour, Aramis or the Love of Technology, cit.

108 Laurier e Philo, “X-morphising: review essay of Bruno Latour’s Aramis or the Love of Technology”,specialmente pp. 1056-1060.

come una possibilità, e fa piacere vedere come Latour reagisca a questo tipo di accusa

all’interno di un ambiente accademico.

Non c’è nulla di nuovo riguardo all’antropomorfismo presenti negli studi sugli animali,

naturalmente, e un esempio che abbiamo incontrato di recente è un libro intitolato Tiny Toilers

and Their Works (I piccoli lavoratori e le loro opere) di Glenwood Clark, che tratta di molti

insetti differenti esaminati attraverso diversi tipi di lavoratori umani e dell’organizzazione delle

loro attività, prodotti e spazi. Ad esempio:

Intorno alle città di queste formiche ci sono i loro giardini, grandi terrazze

circolari da cui i contadini operosi hanno accuratamente rimosso tutta la

vegetazione, tranne il riso, la loro pianta preferita. Quelli che lavorano la

terra amano l’aria aperta e la luce del sole, e usano i loro giardini come

campi di allenamento in cui possono passeggiare e godersi l'aria. Dai bordi

delle radure circolari intorno al nido, larghe strade corrono in ogni direzione

nella campagna circostante, come i raggi che si irradiano dal mozzo di una

ruota. Queste strade sono spesso lunghe sessanta piedi, e da due a cinque

pollici di larghezza, veri e propri monumenti alla capacità ingegneristiche

dei loro costruttori . Nelle zone verdi aperte intorno alla città delle formiche,

solitamente crescono le piante i cui semi sono usati come cibo dagli

orticoltori. La formica contadino è ben consapevole dell'importanza di

tenere la sua terra di coltura libera da erbacce e piante inutili.109

Vespe come cartai, ragni come aviatori, cicale come minatori, termiti come architetti: tutti

questi antropomorfismi e molti altri sono presenti in questo libro, che in molti aspetti, come

suggerito dalla citazione di cui sopra, potrebbe senz’altro definirsi uno studio di “geografia

degli insetti”. Lo stile antropomorfico è alquanto esplicito, e non è certamente un esempio che

inviteremmo i geografi animali ad emulare. Per gran parte condividiamo la critica di un lavoro

che, come qui, eccede nell'attribuire intenzioni, obiettivi, stati mentali e pratiche materiali

umani ad animali non umani, così apparentemente cancellando l’“alterità” di questi animali110.

109 Graves Glenwood Clark, Tiny Toilers and Their Works, J.Coker & Co., Londra, s.d.

110 Potremmo pensare qui a diverse forme di antropomorfismo, in linea con John A. Fisher, The myth ofanthropomorphism, in Readings in Animal Cognition, a cura di Marc Bekoff e Dale Jamieson, MIT Press,Cambridge 1996, ove l'esempio precedente di Glenwood Clark sarebbe probabilmente classificato come

Si possono tacciare tali opere di ilozoismo, l'imputazione di intenzioni ai non umani, e questo è

qualcosa di cui anche Latour111 è stato accusato (e, sosterremmo, probabilmente a ragione) nel

suo lavoro sui microbi di Pasteur112. Vorremmo suggerire che non c'è bisogno di spingersi al

punto di attribuire intenzioni coscienti ai non-umani, anche se a volte può sembrare

desiderabile come strategia narrativa (e a Latour questo evidentemente sembra un valido

strumento per quel che riguarda Aramis). L’apprezzato studio di Di Callon113 evita di arrivare al

punto di attribuire intenzioni alle capesante ma sostiene l’obiettivo degli scienziati è di inserire

le capesante all'interno di una rete, ma che alla fine queste resistono. Adotta così una linea

simile a Pickering114, il quale sostiene che nello studio di una pratica scientifica organizzato

attorno a piani ed obiettivi specifici, vi è la necessità di essere a conoscenza delle intenzioni

degli scienziati, ma non necessariamente di comprendere le intenzioni delle cose.

Vorremmo però anche avvertire che la critica dell’antropomorfismo non è così

evidentemente corretta come potrebbe apparire a prima vista. In primo luogo, potremmo

concordare in parte con il metodo semiotico di Latour e con le sue affermazioni secondo le

quali, piuttosto che parlare di antropomorfismi, si dovrebbe parlare di molti diversi “morfismi”

possibili, siano essi tecnomorfismi, zoomorfismi o altro. L'affermazione è che il termine

“antropomorfismo” in realtà “sottovaluta la nostra umanità” in quanto “anthropos” e

“morphos” insieme significano sia ciò che ha forma umana che ciò che dà forma agli esseri

umani115. Così gli esseri umani danno forma ai non umani, ma sono a loro volta attuati e

ricevono la forma da parte dei non-umani, in parte prorpio attraverso gli effetti di altri

“morfismi” che ampliano le risorse immaginative a disposizione degli esseri umani per

concettualizzare la propria umanità. In secondo luogo, si può argomentare contro la critica di

antropomorfismo da un approccio più Verstehende116. La logica di base per la critica

antropomorfismo “immaginativo”. Si tratta dello stesso tipo di antropomorfismo che vediamo quando gli animalisono utilizzati per “popolare” le situazioni nei cartoni animati o nelle pubblicità. Ma ce ne sono altri tipi secondoFisher, che utilizziamo tutto il tempo, con cui cerchiamo di interpretare gli altri, sia umani che non umani.111 Bruno Latour, The Pasteurisation of France and Irreductions, Harvard University Press Cambridge, 1988.

112 Simon Schaffer, “The Eighteenth Brumaire of Bruno Latour”, Studies in the History and Philosophy ofSciences 22, 1991, pp. 174–192.113 Callon, Some elements of a sociology of translation: the domestication of the scallops and the fishermen of St.Brieuc Bay, cit.

114 Andrew Pickering, The Mangle of Practice: Time, Agency and Science, University of Chicago Press,Chicago 1995, p.17.115 Bruno Latour, Where are the missing masses? The sociology of a few mundane artifacts,in ShapingTechnology/Building Society: Studies in Sociotechnical Change, a cura di Wiebe E. Bijker e John Law, MITPress, Cambridge, 1992, p. 235; Latour, We Have Never Been Modern, p. 137.116 Legato alla sociologia interpretativa [N. d. T.]

all’antropomorfismo è che si tratta di un errore di categoria poiché gli esseri umani sono

radicalmente diversi dagli animali117, e dunque ritrarre questi ultimi nei termini dei primi

equivale a travisare la loro ben diversa “vera natura” favorendo incomprensioni deprecabili su

ciò che gli animali sono veramente. Eppure, se si considera la possibilità che dopo tutto gli

esseri umani e gli animali non siano così completamente diversi—come è stato proposto sulla

base di visioni culturali alternative del mondo, scoperte scientifiche e persino l’ANT—allora i

fondamenti logici per l'accusa di antropomorfismo diventano molto più instabili. Si promuove

allora una forma di antropomorfismo misurata e oggetto di attenta riflessione, una forma la cui

propensione all’autocritica impedirebbe gli eccessi di Glenwood Clark, allo stesso tempo

consentendo la possibilità di intuizioni per gli animali in alcune situazioni – come se potessero

percepire, sentire, esprimere emozioni, prendere decisioni e magari “ragionare” come un essere

umano. Questa posizione si basa sulla posizione dell’antropocentrismo duro nell’ambito della

critica standard all’antropomorfismo, dato che, dal suo punto di partenza incentrato sull’umano,

implica che non vi siano continuità tra umani e non-umani (animali compresi) e con ció che

non non vi sia alcuna base comune perché noi (umani) non condividiamo alcunché con gli altri

esseri del mondo. Di fatto, gli esseri umani sono isolati dal resto della creazione in una tale

visione, e nel processo viene data loro priorità in quanto unici esseri veramente in grado sia di

godere che di soffrire la loro sorte terrena. Tale antropocentrismo aggressivo pregiudica

qualsiasi fondamento per una “politica” più inclusiva, una visione che Elder, Wolch e Emel

definiscono “pratique sauvage”118, che potrebbe consentire agli esseri umani di fare causa

comune con gli animali nella creazione di spazi autenticamente condivisi in grado di sostenerli

entrambi seppur in maniera diversa. Per queste e altre ragioni, sembrerebbe vantaggioso

sospendere la critica all'antropomorfismo, in modo da esplorare i vantaggi teorici, politici ed

etici che possono derivare dal consentire la presenza di un cauto antropomorfismo nei nostri

studi119.

117 Fisher, The myth of anthropomorphism, cit.

118 Glen Elder, Jennifer Wolch, Jody Emel, “Race place and the human-animal divide”, Society and Animals 6,1998, pp.183–202; Idem, Le pratique sauvage: race, place and the human- animal divide, in Animal Geographies:Place, Politics and Identity in the Nature—Culture Borderlands, a cura di Jennifer Wolch e Jody Emel,Verso, Londra 1998. 119 In effetti stiamo separando antropomorfismo e antropocentrismo come due movimenti diversi, anche opposti.L'antropomorfismo, in base al nostro modo di comprenderlo, permette all'umano di “esplodere” in tanti registridiversi del reale, in modo che i frammenti di ciò che normalmente consideriamo “umano” possano essererintracciati in tutto il mondo animale e “delle cose”. L'antropocentrismo, nel frattempo, vuole chiudere la portaintorno alla figura esistente dell'umano, riferendo tutto all'umano, e non prestando molta attenzione a tutto ci ò chenon riguardi direttamente l'umano convenzionale e il consueto ambito di azione. Per una difesa più sostenuta

Ma torniamo ora al nostro argomento fondamentale, considerando gli animali selvatici che

cercano di rimanere selvatici nei loro luoghi selvaggi, continuando la propria vita nel proprio

mondo senza aver nulla a che fare con noi esseri umani, esibendo le proprie forme specifiche di

agentività l'uno verso l'altro, creando i propri mondi, i propri luoghi bestiali, senza riferimento a

noi120. È importante che i geografi animali esercitino la propria immaginazione nel tentativo di

riuscire a scorgere qualcosa di questi luoghi bestiali cosí come sono vissuti dagli animali stessi,

in parte per ottenere una visione più chiara delle conseguenze per gli animali selvatici

determinate dall’arrivo gli esseri umani arrivano che modificano le configurazioni dei loro

mondi, rimuovendo le loro fonti di cibo, bloccando le tracce di migrazione, portando con sé

rumore ed altri inquinanti, e così via. Gullo, Lassiter e Wolch121 propongono un tentativo in

questa direzione nel loro articolo sui puma, riflettendo sulle “idee degli animali sugli esseri

umani”. Durante la discussione alla conferenza di Exeter, Wolch122 fece ulteriori ipotesi su

quale idea possano avere i puma riguardo agli esseri umani, le case, le strade e l'abbattimento di

alberi nei loro territori di caccia. In questo tipo di ricerca, si deve anche includere l'intera

economia politica – la geografia di base – degli esseri umani che si impadroniscono, occupano

e trasformano le “terre piú selvagge”, cosí Gullo et al. 123 descrivono l'espansione delle

abitazioni suburbane nei territori popolati dal puma nel nord della California. A volte gli esseri

umani cercano di distruggere gli animali selvatici perché causano problemi, per la loro natura

selvaggia e violenta, quando s’intrufolano negli insediamenti e negli spazi agricoli, come nel

caso dei puma che costituiscono una minaccia per gli animali da compagnia nei giardini delle

case o delle volpi che uccidono le galline nei pollai124. Come discusso sopra, gli esseri umani

dell'adozione di un antropomorfismo misurato nei nostri studi sugli animali, vedi Mary Midgley, Animals and WhyThey Matter: A Journey Around the Species Barrier, Penguin, Harmondsworth 1983, cap. 11.120 La nuova geografia animale dovrebbe riconoscere qui un collegamento ad approcci più vecchi, che si

concentravano sulla “creazione” da parte degli animali stessi delle proprie distribuzioni relative a variazioni

scatenanti nelle condizioni ambientali. Molte (tutte?) le distribuzioni di animali nel mondo attuale, però, sonosicuramente influenzate in un modo o nell'altro da interventi umani, e sarebbe sbagliato ignorare questadimensione.

121 Andrea Gullo, Unna Lassiter, Jennifer Wolch, The cougar’s tale, in Animal Geographies: Place, Politics andIdentity in the Nature—Culture Borderlands, a cura di Jennifer Wolch, Jody Emel, Verso, Londra 1998, pp. 141-142.122 Jennifer Wolch, The cougar’s tale, relazione alla Annual Conference of the Royal GeographicalSociety/Institute of British Geographers, University of Exeter, gennaio 1997.

123 Gullo, Lassiter, Wolch, The cougar’s tale, cit.

124 Cfr. i già citati saggi di Wolch, Brownlow e Lassiter, e di Woods, in Philo e Wilbert , Animal Spaces BeastlyPlaces, cit.

cercano inoltre di catturare gli animali selvatici in alcune occasioni, e quindi si sforzano di

rimuoverli dal loro ambiente naturale per trasferirli in zoo, circhi e palazzetti dello sport, una

trasgressione forzata del posto che naturalmente occupano. Ryan125 documenta il trasferimento

di animali catturati, o più tipicamente di trofei, parti di animali imbalsamate, disegni o

fotografie di animali dalle terre selvagge africane ai giardini zoologici, musei e salotti

dell'Europa del XIX secolo. Davies126, nel frattempo, confronta tali processi con

l'appropriazione di immagini di animali nel loro ambiente naturale e la loro successiva

diffusione attraverso la “zoo elettronico” della produzione di documentari sulla natura del tardo

Novecento. Quello che ci interessa sono gli esempi di ciò che andrebbe definito “resistenza”,

ogni volta che gli animali selvatici cercano di evitare di essere intrappolati o uccisi dagli esseri

umani. Dal loro punto di vista, stanno lottando per ribellarsi e rimanere “al proprio posto”, e nel

processo si stanno opponendo ad atti di “sostituzione” o “spostamento”, che molti visitatori

umani vorrebbero mettere in atto.

Numerosi animali abitano in località non propriamente “selvagge” ma che sono piuttosto

spazi marginali dentro o intorno a paesi, città e campagne dove la maggior parte degli esseri

umani vivono, lavorano e riposano. Questi tendono a essere spazi evitati dagli esseri umani,

brutti ai loro occhi inutili rispetto alle loro esigenze, anche se alcuni umani come i senzatetto, i

viaggiatori e i trasgressori della legge cercano questi spazi marginali lontani dai luoghi

normalmente popolati127. Questi possono includere i tipi di spazi abitati dai roditori in città,

come fognature, o i tratti trascurati di terra spesso situati vicini alle linee ferroviarie urbane,

dove si può trovare una varietà di creature128. Tali spazi e i loro occupanti sono comunemente

considerati come trasgressivi rispetto alla società umana considerata accettabile, lontani dai

civili viavai di paesi, città e villaggi, ma ancora sufficientemente vicini da provocare

abbastanza disgusto, paura e ripugnanza perché siano codificati come “fuori luogo” rispetto a

case, imprese e strade ordinarie. A volte la presenza stessa di alcuni animali che cercano di

vivere la loro vita in questi spazi – si pensi soprattutto ai ratti nelle fogne – può contribuire a

125 James R. Ryan, Hunting with the camera: photography, wildlife and colonialism in Africa, ivi, pp. 205-222.

126 Gail Davies, Virtual animals in electronic zoos: the changing geographies of animal capture and display, ivi,pp. 243-266.

127 Numerosi lavori sulle geografie sociali di specifici gruppi di outsider sono a conferma di questa affermazione:si vedano molti passaggi in testi di David Sibley come Outsiders in Urban Societies, Blackwell, Oxford 1981 eGeographies of Exclusion: Society and Difference in the West, Routledge, Londra 1995. Non sorprende, quindi,che Sibley abbia sviluppato un interesse per i gatti inselvatichiti nelle città, per fare da complemento ai suoi scrittipresenti altrove sugli "outsider" umani "nelle società urbane".

128 Cfr. Jennifer Wolch, Kathleen West, e Thomas E. Gaines, “Transspecies urban theory”, Environment and

Planning D: Society and Space 13, 1995, pp.735–760 sugli “habitat” che gli animali possono trovare in città.

rendere marginali tali spazi nella mente di molti esseri umani, tali da essere evitati da tutte le

persone “decenti”. Inoltre, spazi marginali quali le fognature, oltre a diventare associati sia con

animali come i ratti sia con gli aspetti più “animaleschi” del comportamento umano (l'urina, le

feci e altra sporcizia), costituiscono anche alcuni dei recessi simbolici delle società urbane nel

mondo sviluppato129. Sono i luoghi sotterranei dove possono annidarsi "mostri", i luoghi

“misteriosi” dove si possono trovare altre creature nel cuore della cultura130.

Qui si deve fare menzione anche di animali selvatici che si spostano in aree edificate e

sopravvivono in spazi marginali, dato che a volte vengono visti come estranei indesiderati dai

loro nuovi vicini umani. Allo stesso modo, occorre menzionare gatti selvatici e cani che si

stabiliscono in spazi marginali di insediamenti come Hull131, in particolare perché le creature

inselvatichite sono di per sé esseri curiosamente trasgressivi, né del tutto selvagge né

addomesticate, che esistono come animali “di-mezzo” e che si trovano ad utilizzare, in modo

abbastanza appropriato, spazi “di-mezzo”132. Si potrebbero citare molti altri esempi di animali

che interferiscono con gli ordinamenti spaziali umani, ma torniamo ancora una volta ad

analizzare i giardini zoologici. Come già detto, gli zoo sono emersi come spazi in cui gli

animali selvatici possono essere rimossi dal loro ambiente naturale e posti in gabbie, recinti e

laghetti ubicati entro un perimetro spesso adiacente ai centri abitati, pronti per essere visti dal

pubblico (umano)133. In questo contesto, gli animali sono “al proprio posto” (CHECK si veda

anche nota 85), dal momento che, vista la loro natura selvaggia e non essendo adattati ai modi

umani, devono essere confinati per impedire che fuggano dal posto stabilito all'interno dello

zoo. Inoltre, devono essere disciplinati affinché mostrino comportamenti adeguati al loro luogo

129 Matthew Gandy, The Paris sewers and the rationalisation of urban space, in Transactions of the Institute ofBritish Geographers 24, 1999, specialmente pp. 24, 36 e Peter Stallybrass, Allon White, The Politics andPoetics of Transgression, Methuen, Londra 1986, capitolo 3.130 Tutta una serie di leggende metropolitane circondano luoghi come fogne e altri spazi marginali della citt à, espesso questi hanno a che fare con gli animali, come le ben note storie dei coccodrilli nelle fogne di New York.Infatti, fognature e altri spazi sotterranei o marginali sono stati spesso raffigurati in letteratura e nel cinema comeluoghi dove si nascondono vagabondi o mostri.

131 Griffiths, Poulter e Sibley, Feral cats in the city, cit.

132 Si veda anche un lavoro sulle geografie del “bestiame inselvatichito”, un esempio ulteriore di alcuni animali infuga dai posizionamenti assegnati loro nel mondo dagli esseri umani: Tom McKnight, Friendly Vermin: A Surveyof Feral Livestock in Australia, University of California Press, Berkeley 1999.

133 New Worlds, New Animals: From Menageries to Zoological Park in the Nineteenth Century, a cura diRobert J. Hoage, William A. Deiss, Cambridge University Press, Cambridge 1996; Bill Jordan e StefanOrmrod, The Last Great Wild Beast Show: A Discussion of the Failure of British Animal Collections,Constable, London 1978.

di confino ed esibizione nello zoo, un'affermazione fatta con notevole franchezza dall'autore di

un testo degli anni Venti in Secrets of the Zoo (Segreti dello Zoo).134

Nel loro stesso interesse, è necessario far sì che gli animali dello zoo si

comportino bene, per quanto reso possibile dalle loro menti limitate, in

termini di addestramento e disciplina. Ad esempio, devono prendere il loro

cibo in maniera decente e permettere che si puliscano le loro gabbie, e se

hanno piccoli trucchi o particolarità sono incoraggiati a sfoggiarli come

lezione pratica ai visitatori. Naturalmente vi sono un certo numero di “casi

difficili” – creature come il gatto selvatico britannico, il diavolo della

Tasmania, o il rinoceronte – che sono resistenti a ogni forma di restrizione.

In generale, tuttavia, la disciplina viene applicata così come in qualsiasi altro

luogo in cui i detenuti sono tenuti contro la loro volontà, da una scuola per

ragazzini, alla prigione di Dartmoor.135

È interessante notare come Mainland includa nel suo testo anche note dettagliate su come

gli animali venissero spostati all'interno dello zoo quando cambiavano gabbie o recinti, o

semplicemente per consentire che questi spazi fossero puliti e riparati. L'enfasi era in gran parte

posta su come mantenere il controllo sugli animali durante il processo di spostamento, in

particolare nella discussione di un elaborato sistema di trincee, gallerie e tane attraverso cui si

potevano indurre gli orsi polari in tali momenti, anche se chiaramente gli orsi potezialmente

avrebbero potuto in qualche modo resistere contro la volontá dei loro custodi, anche solo

“prendendosela comoda136 (Figura 1). Quel che è evidente è l'imposizione di sistemi spaziali

complessi sugli animali come questi orsi allo zoo, benché si tratti di sistemi di cui gli animali

non hanno cognizione, o solo in misura limitata. Anche se si potesse insegnare ad alcuni

animali quali posti sono vietati e quali no, la maggior parte degli animali vaga dentro e fuori

134 Mainland, un giornalista del Daily Mail, scrisse questo libro per spiegare i segreti di come funzionava lo zoodi Londra, sottolineando in particolare come gli animali fossero persuasi ad adattarsi alle esigenze dello zoo. Lacitazione qui riportata viene dall'inizio di un capitolo intitolato “Disciplina allo zoo”. Altri capitoli hanno titoli

come: “Quando i tipi grossi si arrabbiano”; “Quando gli animali dello zoo si ribellano”; “Quando gli elefanti vanno

in sciopero”; e “Fughe dallo zoo”.

135 Mainland, Secrets of the Zoo, p. 31.

136 Si veda anche la discussione sulla progettazione degli zoo di Gruffudd, Biological cultivation: Lubetkin’smodernism at London Zoo in the 1930s, cit.

dagli ordinamenti spaziali umani senza necessariamente sapere che lo sta facendo137. Eventuali

animali in fuga dagli zoo, o che semplicemente si trovano in parti sbagliate dello zoo (come nel

caso del tritone senza zampe), stanno quindi trasgredendo le norme spaziali dello zoo - e magari

lo stanno persino facendo in maniera che potrebbe essere interpretata come atto intenzionale - e

mettendo in atto quindi un esempio particolarmente plateale dell'essere un animale “fuori-

luogo”. Il caso dello scimpanzé Cholmondeley è già stato menzionato, e si potrebbero portare

evidenze di altri casi, come la frenesia che circondò la fuga di un'aquila dallo Zoo di Londra nel

1965, con il coinvolgimento di grandi folle e dei media a Regents Park, sperando di avvistare

l'uccello138. Il “panico morale” prodotto dagli animali fuggiti dagli zoo, come quello provocato

dalla notizia della caccia di Barbara, la grande femmina di orso polare (“un orso profondamente

infastidito nella nebbia entro tre miglia di Charing Cross”) 139 esemplifica il disagio causato

dalle trasgressioni di ordinamenti spaziali umani da parte di animali; inoltre, esso non può che

suggerire una quantità di agentività (che resiste) da parte di animali (l'orso polare, e forse anche

il tritone senza zampe) quando eccedono gli spazi loro assegnati dall’ordine dello zoo140.

137 Dire che gli animali possano distinguere tra spazi consentiti e proibiti non implica necessariamente la stessa

riflessività cosciente posseduta dagli esseri umani. Si potrebbe sostenere che un sistema di punizioni e ricompense

spinga gli animali ad apprendere tali norme spaziali umane, ma può essere che processi ancora più complessi si

verifichino nelle “menti” di alcuni animali. Ovviamente, tali riflessioni riportano nuovamente all'intera questione

dell'agentività animale, come già discusso.

138 Gwynne Vevers, London Zoo, Bodley Head. Londra 1976, p. 97.

139 Mainland, Secrets of the Zoo, p. 81.

140 Tuttavia, ci sono altre trasgressioni spaziali che possono essere tollerate, o addirittura ben accolte: peresempio, altri animali che si presentano al momento dei pasti allo zoo, come gli aironi che si avvicinano al recintodei pinguini (Cfr. Gruffudd, Biological cultivation: Lubetkin’s modernism at London Zoo in the 1930s, cit.).

Il disegno mostra una sezione delle tane degli orsi nelle pendici piú basse dei Mappin

Terraces. Non ci sono sbarre tra animali e i visitatori. C’è tuttavia una trincea insormontabile

che fa da protezione perfetta. L’unico modo in cui un orso può entrare nella trincea (a meno che

cada dal precipizio), è attraverso un tunnel. La parte superiore del tunnel si apre nel recinto

dell’animale, e l’altra parte termina in fondo alle pendici, permettendo all’animale di uscire fuori

nella trincea.

Ogni tana ha uno di questi tunnel, e controllando i vari cancelli che ad essi conducono, si

impedisce il retrocedere degli animali ad ogni fase del loro procedere da una tana all’altra. Ogni

cancello attraverso il quale passano, li porta un passo piú vicino ai loro nuovi alloggi.

Si può vedere nel disegno il luogo dove dell’olio di fegato di merluzzo è stato versato con

la speranza di sollecitare “Sam” ad affrontare il viaggio giú nel tunnel.

Questa disposizione ben pianificata permette di spostare gli animali senza imprigionarli in

gabbie di trasporto, lo spostamento può durare nel tempo.

Un territorio, uno spazio e un luogo per gli animali

Nulla in apparenza è più nomade degli animali, e tuttavia la loro legge è

quella del territorio. Ma bisogna mettere da parte tutti i contro-significati di

questa nozione di territorio. Non è affatto il rapporto allargato di un

soggetto o di un gruppo con il proprio spazio, una sorta di diritto alla

proprietà privata del singolo, del clan o della specie - tale è il fantasma

della psicologia e della sociologia esteso a tutta l'ecologia. Il territorio è il

luogo di un ciclo completo di origine e di scambi. Né le bestie né i

selvaggi [sic] conoscono la “natura” a modo nostro: conoscono solo i

territori, limitati, segnalati, che sono gli spazi di una reciprocità

insormontabile.141

I temi principali di questo saggio hanno iniziato ora ad emergere, e dovrebbe essere

evidente che lo scopo principale è quello di esplorare la posizione concettuale e materiale

degli animali, stabilita dagli esseri umani in una varietà di situazioni, anche per investigare le

rotture in questi posizionamenti, spesso operate dagli animali stessi. E di prendere nota di molti

degli spazi animali codificati dagli esseri umani, ma anche di cogliere qualcosa dei luoghi

bestiali creati dagli animali stessi, sia in maniera del tutto indipendente dagli esseri umani o

quando resistono agli ordinamenti spaziali umani. Nello stesso tempo, lo scopo è quello di

intrecciare questi temi a indagini che affrontano tutta una serie di relazioni uomo-animale in

differenti contesti nel mondo. Più specificamente, si tratta di documentare ogni sorta di

incontri tra esseri umani e animali, in parte in quanto plasmati dalle esigenze economiche,

politiche, sociali e culturali dei primi, ma in parte anche generati da incontri in cui gli animali

esercitano un’influenza sugli esseri umani. Si potrebbe aggiungere che ci sono vari modi di

relazione e di incontro umano-animale che non sono affrontati qui tanto quanto lo potrebbero

essere, l’aspetto sessuale forse essendo il più ovvio; finora i nuovi geografi animali hanno

trascurato gli spazi e i luoghi della zooerastia (omettendo quindi di collegare la recente ricerca

sulla sessualità e lo spazio)142. L'ulteriore ambizione della raccolta ha origine con la nota

141 Baudrillard, The animals: territory and metamorphoses, pp.139, 141, e nota 4.

142 David Bell, Gill Valentine, Mapping Desire: Geographies of Sexualities, Routledge, Londra 1995. Ci sonomolti spunti interessanti nel testo piuttosto controverso di Midas Dekkers, Dearest Pet: On Bestiality, Verso,Londra 1994, e si potrebbe anche speculare sulle connessioni tra ambienti rurali-agricoli, dove le comunitàcontadine tollerano una maggiore vicinanza al bestiame e la diffusione di pratiche di zooerastia (anche se questa è

affermazione 143 che gli animali siano “buoni da pensare”, e che le “storie” di animali siano

particolarmente preziose per aiutare i narratori e gli ascoltatori umani a sviluppare la propria

identità morale ed interiorità psicologica144. Quindi, raccontando numerose “storie” diverse

circa i ruoli dello spazio e del luogo come parte integrante delle relazioni uomo-animale, si

tratta di esplicitare la carica etica presente in tutti gli incontri uomo-animale situati nello spazio

(un'affermazione approfondita da Jones, questo volume, ma si veda anche Watts, questo

volume, per avvertenze circa un'interpretazione troppo “individualizzante” di tale etica, come

si traduce nei dibattiti sui 'diritti' degli animali)145.

Inoltre, c'è un senso particolare che vorremmo che i lettori afferrassero nella citazione di

cui sopra da Baudrillard146, in cui egli propone come caratteristica imprescindibile degli animali

la loro attività all'interno di territori – il loro senso dell'essere all'interno di questi territori, che

sono i supporti vitali delle loro vite, i loro “cicli di origine e scambio” – e sottolinea questa

qualità della territorialità animale a dispetto di tutti i modi in cui gli esseri umani

comprendono sia il territorio (come qualcosa di condizionato dai costrutti capitalistici della

proprietà privata) sia gli animali (su cui non si deve fare del sentimentalismo, a cui non va data

voce o attribuita una “vita psichica”)147. In tal senso, Baudrillard sembra opporsi a elementi

probabilmente un'associazione troppo semplicistica oggigiorno). Bruce Bagemihl (Biological Exuberance: AnimalHomosexuality and Natural Diversity, Profile, Londra 1999, come recensito da Adam Mars-Jones, “Not so queeras animals: review of Bruce Bagemihl’s Biological Exuberance: Animal Homosexuality and Natural Diversity”, inThe Observer Review, 25 luglio 1999, p. 11) pone il problema della sessualità animale, in quanto rivela in chemisura molto del comportamento sessuale animale non sia “eterosessuale”, bensí “omosessuale”.

143 Cfr. Claude Lévi-Strauss, Totemism, Penguin, Harmondsworth 1968.

144 Paul Shepard, On animal friends, in The Biophilia Hypothesis, cit.; Stanley J. Tambiah, “Animals are good tothink and good to prohibit”, in Ethnology 8, 1969, pp. 424–459; Richard L. Tapper, Animality, humanity, morality,society, in What is an Animal?, cit.145 Jones, (Un)ethical geographies of human—non-human relations: encounters, collectives and spaces, cit. eWatts, Afterword: enclosure, cit.

146 Dobbiamo ringraziare Marcus Doel per averci diretto a questo riferimento a Baudrillard.

147 Baudrillard in Simulacra and Simulation, p. 133, discute l'”abisso” concettuale tra esseri umani e animali che

si è aperto nelle società occidentali – “gli animali furono solo retrocessi allo status della disumanità mentre la

ragione e l'umanesimo progredivano” – legate esse stesse alla progressiva accelerazione delle pratiche checomportano l'(ab)uso degli animali da parte degli esseri umani:

L'abisso che separa loro [gli esseri umani e gli animali] oggi ... [è] ció che ci permette di inviare lebestie, al nostro posto, per rispondere agli universi terrificanti dello spazio [scimmie sui razzi] e deilaboratori, ció che permette l'eliminazione di specie anche quando sono archiviate come esemplari delleriserve africane o nell'inferno dei giardini zoologici.

dell'antropomorfismo difeso sopra, sebbene si possa controbattere che in realtá mentre

concordiamo nel confutare l'antropocentrismo consentiamo un antropomorfismo esitante,

ipotizzando che alcuni animali possano avere alcune qualità simili agli esseri umani accanto a

tutto quanto vi è di diverso, altro e non disponibile alla comprensione umana. Ad ogni modo,

l'implicazione è che gli esseri umani debbano rispettare questa “legge” del territorio legato

alla vita animale, sforzandosi di coltivare la pratique sauvage148, che richiede un nuovo modo di

convivenza geografica uomo-animale. Questo incoraggerà noi (umani) a desistere dal

collocare rigidamente gli animali nei nostri ordinamenti spaziali, e invece ci chiederà di

garantire agli animali più spazio: di concedere loro più spazio (anche, ad esempio, per gli

animali che viaggiano in camion verso il macello)149 e di fornire loro piú risorse ecologiche

Egli suggerisce che questo processo sia stato recentemente accompagnato dal tentativo degli esseri umani di farrivelare agli animali le loro esperienze di questa negazione:

Gli animali ... hanno seguito questo processo ininterrotto di annessione attraverso lo sterminio, checonsiste nell'eliminazione, poi di far parlare le specie estinte, di far loro offrire la confessione della loroscomparsa. Fare parlare gli animali, cosí come si è fatto parlare il folle, bambini, il sesso (Foucault).

(Baudrillard 1994: 136)

CONTROLLARE CITAZIONE UFFICIALE

Ogni sorta di tattiche umane, da certe forme di psicologia animale a vari resoconti sentimentali, quindi, cercano difar sì che gli animali ci “parlino”, nel qual caso la vita psichica dell'animale emerge come una fonte di grande

attrazione (in parallelo con l'invenzione dell’inconscio come un dispositivo per forzare efficacemente “il matto” arivelare le loro verità). Baudrillard obietta strenuamente a questo sviluppo, ribadendo più e più volte che gli

animali non possono parlare e che non hanno un inconscio, mentre invece il suo punto è che noi (gli esseri umani)dovremmo affrontare le domande fondamentali sollevate dal silenzio degli animali: sui loro modi di essere deltutto “altri”, ma anche su ciò che noi (esseri umani) stiamo davvero cercando di essere e di fare in un mondo dove

così tanto, dopo tutto, sfugge l'egemonia del significato e la condivisione del significato. Le sue asserzioni

comprendono una possibile critica di alcuni elementi presenti nelle nostre stesse argomentazioni, poiché anche noistiamo cercando strategie che consentano agli esseri umani e agli animali di coesistere (condividere territori, spazie luoghi) in un modo migliore rispetto a quanto accade attualmente, e che non lo facciano costringendo gli animalia parlare con noi o, addirittura, semplificando, ad essere come noi.

148 Elder, Wolch, Emel, “Race place and the human-animal divide”, cit.; Idem, Le pratique sauvage: race, placeand the human- animal divide, cit.149 Una tale affermazione può essere inaspettata qui, dal momento che sembra segnalare la nostra accettazione delfatto che gli animali vengono uccisi dagli esseri umani, in particolare (ma non certo esclusivamente) per le carni.Questa non è esattamente la nostra posizione, ma vogliamo dare suggerimenti concreti circa il modo in cui tutti gliesseri umani (la maggior parte dei quali sono carnivori) dovrebbero riconsiderare le loro relazioni con gli animali

all'interno degli insediamenti umani (come nel creare e lasciare da parte corridoi di habitat

adeguati che si inseriscono in città, paesi e villaggi). Sarebbe ideale aprire spazi in cui essi

possano effettivamente esistere ignorandoci per la maggior parte del tempo, e che possano

occupare e trasformare nai propri luoghi bestiali, come molti animali cercano continuamente di

fare (anche nella movimentata città). Anche noi esseri umani saremo nei dintorni, aiutando se è

il caso, magari guardando (se siamo interessati e preoccupati), ma sempre eclissandoci e non

recando loro danno. Dovremmo cercare di estendere le "cortesie" umane agli animali, nel senso

quasi di consentire loro il decoro, gli spazi e i luoghi che noi (esseri umani) ci aspetteremmo e

vorremmo per noi stessi e gli altri, in un modo forse antropomorfico (che riflette la possibilità

che sotto certi aspetti che gli animali non siano così diversi dagli umani), ma che rifiuta anche

un antropocentrismo rozzo (che pensa al mondo solo in termini di ciò che noi esseri umani

vediamo, vogliamo e consideriamo importante). Questo significa immaginare una nuova

geografia animale che affronti a viso aperto le questioni spinose, anziché evitarle.

(Traduzione di Patrizia Setola)

(anche quelli che finiscono per mangiare). Quindi, dato che innumerevoli animali continueranno a morire per manoumana nei macelli, nei laboratori, negli zoo e altrove, è legittimo far in modo che le nostre affermazioni finali

siano più sofisticate della semplice supplica affinché “gli essere umani non uccidano gli animali” (per quantovorremmo concludere con una tale nota).


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