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Le decorazioni di Palazzo Vavassori in Bergamo, in Sonia Maffei \"Vincenzo Cartari e la direzione...

Date post: 15-Nov-2023
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Maria Mencaroni Zoppetti Le decorazioni di palazzo Vavassori in Bergamo “Tutte erano simboli, et cose industriose, non fatte senza misterio” 1 i l crescente interesse degli studi sulla cultura figurativa cinquecentesca nei riguardi degli apparati decorativi, alimentati dal dibattito sul funzionamento del linguaggio simbolico e allegorico e sulla sua ambizione di proporsi come linguaggio universale 2 , trova anche a Ber- gamo, in episodi scarsamente noti o del tutto sconosciuti 3 , testimonianze atte ad arricchirne il panorama. La recente scoperta degli affreschi, og- getto del presente contributo, fornisce ulteriori elementi di riflessione, mentre sollecita a rinnovare l’attenzione sulla società bergamasca colta, cosmopolita, più aggiornata di quello che si è talvolta creduto, come ri- scontrabile anche nel percorso multimediale predisposto dal gennaio 2012, all’interno del palazzo del podestà di Bergamo, per far conoscere la storia della città simbolo del confine dello Stato Veneziano, la sua forza commerciale e la sua cultura 4 . Se può apparire scontato che il mezzo più efficace per indicare inte- ressi, propensioni, scelte e mode al passo coi tempi sia la lettura dei titoli conservati nelle biblioteche di ecclesiastici, di privati e di professionisti 5 ; non si deve sottovalutare, a dimostrazione di una raffinata circolazione culturale, un mezzo altrettanto e forse più eloquente: la presenza, in molti edifici pubblici e privati, di decorazioni ad affresco i cui soggetti, intrecciandosi sul piano estetico ed esoterico, mirano a comunicare pre- cetti, a stimolare riflessioni e a diffondere conoscenza. proprio Bergamo, d’altra parte, fu in grado di recepire molto preco- cemente la straordinaria opera di Lorenzo Lotto nel ciclo delle imprese delle tarsie di Santa Maria Maggiore 6 , e di apprezzarla al punto di te- nerla come riferimento e modello per operazioni culturali private, po- tremmo dire, come nel caso del ciclo decorativo che orna le pareti e il soffitto dell’attuale sagrestia della chiesa di Santa Grata inter Vites, in Borgo canale, e che costituisce un esempio originale di pittura parietale a grottesche [Fig. 1]. il quartiere di Borgo canale si sviluppa lungo il pendio occidentale dei colli di Bergamo – protetto a nord dal colle di San Vigilio, e aperto a sud come una terrazza luminosa verso la pianura – e gode da sempre di una felice posizione, ai margini della fortezza cinquecentesca, fuori porta Sant’alessandro. posto sulla direttrice viaria per Lecco e como, il 263
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Maria Mencaroni Zoppetti

Le decorazioni di palazzo Vavassori in Bergamo“Tutte erano simboli, et cose industriose, non fatte senza misterio”1

il crescente interesse degli studi sulla cultura figurativa cinquecentescanei riguardi degli apparati decorativi, alimentati dal dibattito sulfunzionamento del linguaggio simbolico e allegorico e sulla sua

ambizione di proporsi come linguaggio universale2, trova anche a Ber-gamo, in episodi scarsamente noti o del tutto sconosciuti3, testimonianzeatte ad arricchirne il panorama. La recente scoperta degli affreschi, og-getto del presente contributo, fornisce ulteriori elementi di riflessione,mentre sollecita a rinnovare l’attenzione sulla società bergamasca colta,cosmopolita, più aggiornata di quello che si è talvolta creduto, come ri-scontrabile anche nel percorso multimediale predisposto dal gennaio2012, all’interno del palazzo del podestà di Bergamo, per far conoscerela storia della città simbolo del confine dello Stato Veneziano, la sua forzacommerciale e la sua cultura4.

Se può apparire scontato che il mezzo più efficace per indicare inte-ressi, propensioni, scelte e mode al passo coi tempi sia la lettura dei titoliconservati nelle biblioteche di ecclesiastici, di privati e di professionisti5;non si deve sottovalutare, a dimostrazione di una raffinata circolazioneculturale, un mezzo altrettanto e forse più eloquente: la presenza, inmolti edifici pubblici e privati, di decorazioni ad affresco i cui soggetti,intrecciandosi sul piano estetico ed esoterico, mirano a comunicare pre-cetti, a stimolare riflessioni e a diffondere conoscenza.

proprio Bergamo, d’altra parte, fu in grado di recepire molto preco-cemente la straordinaria opera di Lorenzo Lotto nel ciclo delle impresedelle tarsie di Santa Maria Maggiore6, e di apprezzarla al punto di te-nerla come riferimento e modello per operazioni culturali private, po-tremmo dire, come nel caso del ciclo decorativo che orna le pareti e ilsoffitto dell’attuale sagrestia della chiesa di Santa Grata inter Vites, inBorgo canale, e che costituisce un esempio originale di pittura parietalea grottesche [Fig. 1].

il quartiere di Borgo canale si sviluppa lungo il pendio occidentaledei colli di Bergamo – protetto a nord dal colle di San Vigilio, e apertoa sud come una terrazza luminosa verso la pianura – e gode da sempredi una felice posizione, ai margini della fortezza cinquecentesca, fuoriporta Sant’alessandro. posto sulla direttrice viaria per Lecco e como, il

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quartiere, che un tempo costituiva il cuore dell’antica Vicinia di SantaGrata inter Vites, mantiene ancora oggi l’originaria denominazione, ri-ferita forse a percorsi d’acqua provenienti dalle alture.

nel complesso sviluppo urbano e urbanistico della città, a Bergamocome altrove, un ruolo importante lo ha svolto la presenza di edifici re-ligiosi, che hanno costituito punti di riferimento per l’organizzazionesociale e la definizione strutturale dei luoghi, condizionando l’evolu-zione dello spazio cittadino, il formarsi di poli di attrazione e i ruoli ur-bani. il quartiere di Borgo canale si era organizzato e qualificato sullapresenza della Basilica dedicata a Sant’alessandro, sulla cui antichità (latradizione la vuole eretta nel iV secolo d. c.) ancora oggi gli storici di-battono. eretta extra moenia, intorno a essa si era strutturato un micro-cosmo religioso, attrattivo per la vita devozionale della città. DellaBasilica, distrutta nel 1561 in seguito alla decisione veneziana di fortifi-care Bergamo, oltre alla memoria, oggi rimane, all’inizio di via Borgocanale, una colonna cui fa da sfondo un parato marmoreo, sulla super-ficie del quale sono tracciate le ipotesi della localizzazione e della formadegli edifici religiosi.

La particolare conformazione del sito, la distanza dal centro della cittàe dalle principali vie di collegamento con le capitali Venezia e Milano nonfavorì, in Borgo canale, la costruzione di edifici di grandi dimensioni néla presenza di famiglie legate al potere e al controllo della città. Gli estimicittadini del XV e XVi secolo tuttavia testimoniano nel quartiere l’altaconcentrazione di abitazioni e terreni di proprietà di prelati e canonici,operanti anche come notai, concentrazione giustificata proprio dall’esi-stenza del sistema di chiese e canonica legati alla basilica alessandrina.D’altra parte i colli e le campagne che circondano ancora l’abitato hannoconsentito da sempre l’insediamento di famiglie dedicate all’orticulturae ai commerci artigianali.

anche se l’articolazione e la sequenza degli edifici, costruiti sul pen-dio e concentrati sulla strada principale che scende fino al quartieredi Loreto, con facciate pressoché continue fino a costituire un corri-doio urbano, sembrano in apparenza risultati da modeste operazioniedilizie, non mancano tuttavia episodi architettonici e artistici di ri-lievo, per esempio quello costituito da palazzo Vavassori, oggi di pro-prietà parrocchiale7.

come la basilica sepolcrale del Santo protettore della città, anche lachiesa che dette il nome alla Vicinia di Santa Grata inter Vites, secondola leggenda devozionale, fu edificata nel iV secolo sul luogo della sepol-tura di Grata, figlia di Lupo, signore della città di Bergamo, la quale tra-fugò il corpo di alessandro, soldato della legione tebea, martirizzato dopo

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la sua conversione al cristianesimo, per seppellirlo fuori dalle mura ur-bane occidentali. notizie certe si hanno in documenti del 774 e del 879 ein pergamene datate 1197 e 1202, da cui si apprende che la primitivaforma dell’edificio sacro, orientato sull’asse est-ovest, contemplava un por-tico esterno8; forma che rimase sostanzialmente immutata sino alla radi-cale trasformazione avvenuta nel XViii secolo9 su progettotradizionalmente attribuito all’architetto achille alessandri. tuttavia ècerto che la chiesa fu fortemente danneggiata quando la politica difensivadi Venezia e la scelta di fare di Bergamo la città fortificata10, baluardo con-tro i nemici provenienti da ovest, travolse equilibri consolidati, provo-cando innumerevoli guasti e rovine, anche prima del 1561:

“A 9 di Novembre del 1529 (per venir à qualche particolare) come s’havesseropreso una città nimica, abbruggiarono la chiesa di Santa Grata inter vites. Ilgiorno medesimo pur col fuogo guastarono la Chiesa e ’l monastero di San Gottardocon quasi tutto ’l Borgo Canale”11.

così celestino colleoni descrive le cruente e ingiustificate scorreriedelle truppe del conte di Gaiazzo, che era stato inviato dalla repubblicadi Venezia per provvedere all’edificazione di bastioni difensivi della cittàdi Bergamo12. Le testimonianze del tempo parlano di inauditi atti di fe-rocia nei confronti della popolazione e di barbarie nei confronti degliedifici sacri e civili. La chiesa di Santa Grata inter Vites fu bruciata, cosìcome il monastero servita di San Gottardo situato in Sudorno. Sortepeggiore toccò all’antichissima chiesa di San pietro, costruita nei pressidella basilica alessandrina, che fu rasa al suolo. anche la basilica dedi-cata al martire protettore della città non fu risparmiata dai soldati delconte, barbari infetti d’heresia luterana, che la invasero, vi si accamparonoe semidistrussero il suo alto campanile. a pochi anni dalla terribile di-struzione di Borgo canale, pre’ Zuanne da San Foca, giunto a Bergamonel 1536, scrive laconicamente, ma altrettanto efficacemente:

“Usciti poi fuori dela giesia [di Sant’alessandro] tutto lj circumcircha è ruinato,et fea ruinare il conte Galeazzo che è una pietade. Nel loco poi dove sta il guastode ditta giesia è una veduta mirabile”13.

È proprio a questo burrascoso periodo di tempo, più precisamente trail 1520 e il 1536, che dobbiamo risalire per iniziare a parlare dell’edificiola cui sala terranea è divenuta sacrestia della chiesa parrocchiale nel 1931,per donazione di Matilde Milani, vedova di Giovanni Vela (ancora oggi,difatti, molti si riferiscono al palazzo come palazzo Vela).

Un atto notarile redatto nel gennaio 152514 ci informa dei patti tra ilproprietario, il canonico e protonotario apostolico Defendo Vavassori,dal 1520 rettore titolato della chiesa parrocchiale di Santa Grata inter

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Vites15, e l’architetto pietro abano, l’isabello. il rettore incarica l’architettodi ristrutturare un edificio preesistente e nell’atto sono messi in evidenzagli accordi che prevedono abbattimenti, recuperi e riutilizzo di materialisecondo regole precise. Sono lavori lunghi, da fare in sequenze prestabi-lite, in modo tale che una parte della casa possa essere resa abitabile “daqui per tuto il mese di marzo proximo”, l’inottemperanza dei patti sarebbestata, naturalmente, a danno di maestro isabello. nonostante i dettaglidell’atto notarile non sappiamo se la fabbrica sia stata effettivamente ini-ziata, mentre sappiamo che l’architetto pietro isabello fu impegnato dal1526 al 1531 in qualità di “soprastante et inzignero [...] alli bastioni”16, ossiasovrintendente all’opera di fortificazione di Bergamo impostata e avviatada Francesco Maria della rovere, capitano Generale della repubblica diVenezia. L’architetto abbandonò quindi “in quel periodo i suoi molti cantieriaperti giusta l’incarico avuto dai rettori non attendesse ad altro che a detti ba-stioni”17. in epoca successiva, in una controversia amministrativa con lamunicipalità, lo stesso isabello riafferma che per l’impresa militare avevadovuto trascurare molte fabbriche civili da lui iniziate.

nel drammatico incendio di Borgo canale causato nel 1529 dal conteGaiazzo, è plausibile fosse stato coinvolto l’edificio adiacente alla chiesa,e nel 1536, lo stesso anno della morte di Defendo Vavassori, il quartiereera ancora in rovina. Si può presumere che a quella data il palazzo nonfosse stato ristrutturato in maniera definitiva, ma certamente non po-teva essere stata eseguita la campagna decorativa degli ambienti, in par-ticolare della sala al pian terreno, cui si accede dal loggiato che si apresulla strada di Borgo canale.

Quando e chi abbia scelto e voluto ornare la casa con un complessoprogramma pittorico rimane questione aperta. L’analisi degli estimi cin-quecenteschi, da me compiuta in occasione del primo studio dedicatoall’argomento18 consente di stabilire che la proprietà rimase ai Vavassorifino all’inizio del secolo XVii, in via ereditaria diretta: dopo Defendotroviamo padrone della casa, a partire almeno dall’anno 154419, il ca-nonico della cattedrale di Bergamo e notaio Gervasio fu Giorgio Vavas-sori. Successivamente compare nei documenti il nome del figlioGerolamo, cittadino e notaio in Bergamo, che, secondo l’estimo Veneton. 51420, nel febbraio 1576 è appunto il possessore della casa “[...] conhorto pozzi e molti corpi situata in Borgo Canale, esposta manifestatamente allaspianata per la fortezza”. La casa rimane sempre alla stessa famiglia, in viaereditaria diretta almeno fino all’inizio del XVii secolo21.

Sull’architrave della porta d’ingresso al salone, oggi sacrestia, comparelo stemma dei Medolago; oltrepassata la soglia si viene accolti, o forsesarebbe meglio dire quasi aggrediti da un inaspettato e stupefacente

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mondo di colori e di forme che si inseguono, giustappongono, dialo-gano tra soffitto e pareti decorate. oggi infatti, rispetto al momento incui fu condotta la prima analisi della decorazione, il salone ci offre unavisione ancor più complessa e inedita di un ciclo di affreschi che i re-stauri pittorici portati a termine solo nel 2011 hanno rivelato, ripor-tando alla luce quelli dipinti sulle pareti, occultati per lunghissimotempo da tinteggiature uniformi.

all’epoca del mio primo studio erano visibili solo gli affreschi della voltaa “schifo” del soffitto del salone, appesantiti da ridipinture eseguite inepoca imprecisata, ma non alterati dal punto di vista delle rappresenta-zioni e dei significati [Figg. 3 e 4]. il soffitto è ripartito in una grande ri-quadratura centrale all’interno della quale, su fondo bianco, si apronolacunari dipinti con prospettive illusionistiche a forma di croci, esagoni eottagoni, all’interno dei quali sono motivi vegetali e sirene bifide, dipintiin bianco su fondo blu. tutt’intorno corre una fascia semivoltata, su cuisi sviluppa un insieme vario e complesso di figurazioni che va dalle per-sonificazioni allegoriche alle citazioni di imprese, dalle tarsie di Lotto agliemblemi di alciato, dalle immagini fantastiche ai riferimenti mitologici,il tutto scandito da partiture cromatiche diverse, impalpabili architetturedipinte, nastri, tabelle, tendaggi, nell’ormai consolidato linguaggio dellegrotteche cinquecentesche che consentono di sperimentare le molteplicipotenzialità associative, combinatorie, dinamiche, immaginose quasi a in-generare “nuovi sistemi che si prestavano a soddisfare celebrazioni deicommittenti, invenzioni degli artisti, aspirazioni esoteriche, nonché – nonultimo – a riempire in maniera variegata ampie porzioni di spazi”22.

punto di riferimento per comprendere il senso di questo tipo di de-corazioni rimane il saggio di philippe Morel, poiché “se è assurdo met-tere in causa la finalità ornamentale, non sarebbe certamente menoassurdo non interrogarsi sulla specificità storica di tale funzione”23, datoche in esse c’è sicuramente “un funzionamento simbolico”.

alla base della sua analisi ci sono i trattati dei protagonisti del dibattitocinquecentesco: pirro Ligorio e Giovan paolo Lomazzo. Dal Libro dell’An-tichità di Ligorio, conservato a torino ancora sotto forma di manoscritto24,emergono alcune affermazioni sul funzionamento delle grottesche:

“Se bene al vulgo pareno materie fantastiche, tutte erano simboli, et cose industriose,non fatte senza misterio [e anche se queste appaiono ad alcuni] cose false et vane[...] dalli dotti furono sempre stimate come cose morali [...], tutte hanno significato dimorali documenti [tutte servono a] sciogliere la lingua in raccontare le cose di similisoggetti, sono cagione di cose finte di qualche erudizione25, et di intertenimento”.

non soltanto fantasioso repertorio decorativo, magari arricchito daqualche citazione dall’antico: a esse, infatti, si attribuiva un rinvio a si-

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gnificati morali e filosofici poiché “tutte vengono dalli dottissimi poeti, etdalla philosophia delli profondi concetti delle prime schole”26, in particolare siriferisce a esopo e a pitagora.

Sul funzionamento simbolico delle grottesche Giovanni paolo Lomazzo,nel suo Trattato dell’arte della pittura, scultura et architettura27 pubblicato aMilano nel 1584, giunse ad affermare:

“Non ci è via più accomodata, per disegnare over mostrare qual concetto si voglia,della grottesca: per ciò che a lei solo nell’arte [è concesso] tutto quel che si puòtrovare et imaginare28 [...] nell’invenzione delle grottesche, più che in ogn’altra,vi corre un certo furore et una natural bizzarria”29.

e Morel afferma che “tale fenomeno”, quello cioè dell’appartenenzadelle grottesche, degli emblemi, delle imprese, allo stesso linguaggio poe-tico, volto a suscitare emozione e meraviglia, “non sia limitato ai soli ra-gionamenti dei trattatisti e alla sola decorazione dei libri, balza evidentein numerose importanti realizzazioni in cui si manifesta”30 citando al pro-posito palazzo Medici a Firenze, Villa Madama a roma, palazzo tè aMantova, palazzo Farnese a caprarola.

concettoso e velatura simbolica di significati morali da una parte,fantasia e capriccio atti a suscitare piacere e meraviglia dall’altra31, con-corrono certamente a delineare quel particolare aspetto di “gioco eru-dito”, del quale un esempio è offerto a Bergamo dalle pitture dipalazzo Vavassori, nelle quali è evidente quanto la cultura umanisticaabbia assimilato tutte quelle forme “che avevano il duplice pregio siadi rivitalizzare un’eredità storica ricercata quanto da ricostruire, sia diprospettare una serie di espressioni liberatorie per l’immaginazione”32.D’altra parte abbiamo già ricordato che proprio questa città, nellacappella civica di Santa Maria Maggiore, aveva offerto un tanto pre-coce quanto insperato esempio, per profondità di concepimento equalità estetica di un simile uso del linguaggio simbolico nel ciclo diimprese ideato da Lorenzo Lotto per le tarsie del coro33.

Le decorazioni di palazzo Vavassori, inoltre, dichiarano una circola-zione dei testi a stampa, anche di soggetto profano, negli ambientimedio-alti della società bergamasca del cinquecento, facendo emer-gere predilezioni, successi editoriali e mode intellettuali, oltre a unagrande sensibilità filosofica e morale34 nutrita dalle letture che si pre-stavano alla riflessione e al commento, che invitavano a servirsi di fi-gurazioni e metafore, veicoli diretti per la ricreazione pittorica chepoteva così esprimere “chimere e castelli in aria”35.

il recupero delle decorazioni delle pareti del salone non modifica l’ipo-tesi di lettura che ho da tempo proposto, anzi la avvalora. come già soste-nevo, quello che ci si presenta sulla volta del soffitto non è un racconto

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lineare con un preciso inizio e una certa fine; sembra infatti svilupparsicon pause, evocazioni, fughe in avanti, reiterazioni, previsioni, riepiloghie un ritmo di visione assimilabile a quello della lettura. ecco perché a essosi attaglia la forma della grottesca, nella quale riusciamo sempre a trovareun doppio registro di significazione altalenante tra immaginazione e con-cettosità. Gli stessi ingredienti della memoria, del dialogo, del commentoe della predicazione. Dato che il salone si sviluppa sull’asse nord-sud, l’ana-lisi iconografica e la possibile interpretazione iconologica prendono avviodalla figura centrale che si apre sulla fascia decorata del lato corto dellasala situato a sud, opposto a quello su cui si apre l’ingresso principale,quindi il primo a offrirsi allo sguardo di un ospite, che veniva “guidato”dal padrone di casa nell’assaporamento progressivo di un sapere vasto,sincretico, reso suggestivo da colori accesi e da pennellate vibranti.

al centro, sostenuto dall’erma rappresentante un uomo con barba e baffie nudo sino alla cintola, si trova un medaglione dentro cui cupido velatosembra soccombere sotto la Morte che con gesto minaccioso gli ruba learmi [Fig. 5]. La scritta sottostante “in formosam fato praereptam”, “su unabella donna rapita prematuramente dal Fato”36, chiarisce il tema e testi-monia la fonte letteraria di riferimento: gli Emblemata di andrea alciato.

L’emblema e il motto suggeriscono una riflessione automatica sui le-gami tra morte e amore, tra piacere e vanità, tra effimero godimentodei sensi e brevità dell’esistenza, suggerendo un tema che potrebbe tra-sformarsi in filo conduttore.

ai lati del tondo, disposte simmetricamente rispetto a esso, vi sonofigure grottesche; in entrambi i casi un animale poggia le zampe suuna sottile barra, inserita per un’estremità nella cornice del tondo.Dalla barra pende un nastro, al quale sono legati una tabella con iscri-zione e una serie di oggetti. Sul lato destro, viene rappresentata unalupa che allatta due serpenti, scena che può richiamare, con una va-riante significativa, l’emblema di alciati, il Xci, dove compare unacapra che allatta un lupo, frangente paradossale illustrato dal motto“In eum qui sibi ipsi damnum apparat” eloquente dichiarazione che chiagisce male finisce inevitabilmente vittima del male che ha provocato.ovviamente il lupo divorerà chi lo ha nutrito, così come i due serpentiavveleneranno la lupa.

nel libro ii del trattato di Giulio capaccio, Delle imprese37, viene de-scritto, attribuendogli uguale significato, l’apologo con protagonista lacapra, ma bisogna notare che nel medesimo trattato la lupa è presaanche a simbolo della meretrice38, mentre le serpi, come suggerisce Gio-vanni da San Gimignano39, hanno molti significati simbolici, “tra questianche quello della lussuria e del demoniaco”40. pertanto, secondo una

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lettura iconologica, il gruppo di animali potrebbe rappresentare la lus-suria che alimenta se stessa sino alla distruzione.

L’iscrizione che orna la targa sottostante la lupa e le serpi, “Heu quamdisimilis”, sembra invitare a porre la nostra attenzione sugli oggetti legatial nastro: una bacinella, un’anfora e, all’estremità del nastro, fuso, lanae pettine: oggetti della casa, o meglio, gli strumenti propri della donnadi casa, secondo quanto riferirono già gli storici dell’antichità, come plu-tarco o Varrone, che vengono ripresi e citati da Vincenzo cartari nelsuo trattato Le immagini con la spositione de i dei degli antichi, pubblicatoper la prima volta a Venezia nel 1556. Secondo plutarco:

“La sposa entrando in casa del marito la prima volta portava seco la conocchia eil fuso, e passava sopra la pelle di una pecora, ò che vi sedeva su […] perché daquella si trahea la lana, che si acconcia poi a uso di filare, e dice queste parole;ove tu sei Cajo io sono Caja [...] et hanno voluto alcuni, che in tale cerimonia fossestato questo nome di Caja per rispetto di Caja Cecilia, che fu Tanaquille moglie diTarquinio Prisco, re dei Romani, donna saggia, e virtuosa, che governò benissimocasa sua. Onde Varrone scrive, e lo riferisce Plinio, che in certo tempo fu guardatocome cosa degna di reverenza il fuso, e la conocchia di costei; [...] quindi dicono,che venne l’usanza di portare seco la sposa la conocchia con la lana, e il fuso, perricordarsi di imitare la virtù di quella grande donna”41.

nel complicato rimando simbolico la grottesca dichiara quanto dissimilesia la meretrice dalla donna virtuosa, intrecciando subito una relazionecon la scena emblematica centrale, con il suo valore di monito rivolto achi si dedica alla contemplazione della bellezza, bene caduco e destinatoa svanire. alla sinistra del tondo, un’altra grottesca: il grifo, con fiammeche spuntano dal becco, artiglia un libro aperto, sotto pendono la tabellacon scritto “Falsitas” e strumenti musicali, tra cui la siringa e il tamburello.La definizione di falso attiene sia all’animale chimerico, simbolo di arro-gante superbia42, che alla musica strumentale adatta solo a esprimere con-tenuti profani43 mentre la rappresentazione degli strumenti richiamaanche tre “imprese” del coro lottesco, in Santa Maria Maggiore.

il discorso sembra precisarsi come una riflessione sul ruolo delladonna, sul rapporto che l’uomo deve istituire con l’altro sesso, sui desi-deri che la femmina suscita e contro cui bisogna lottare e vincere.

Sul lato nord del soffitto semivoltato, speculare all’emblema di amoree Morte, il medaglione sostenuto da un’erma femminile [Fig. 6] accoglieun altro emblema di alciato, il cui motto “obdurandum adversus urgentia”leggiamo nella parte inferiore della cornice, insistendo sul concetto chese si resiste alle avversità si potranno cogliere i frutti del proprio impegno,come il fanciullo che si arrampica sulla palma che si piega sotto il suopeso, in un gioco di aggressione e resistenza doppiamente significante44.

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Sugli angoli della volta, secondo una logica di rimandi simmetrici, tro-viamo le personificazioni della prudenza e della Sapienza45, assise sottolo stesso tendaggio a strisce bianche, rosse, verdi, e quella della Giusti-zia46, le quali sembrano determinare e guidare da una parte la lettura,dall’altra il comportamento dell’uomo che deve compiere un iter libe-ratorio e salvifico. al di sotto delle personificazioni di prudenza e Sa-pienza, su una fascia monocroma, sono dipinti l’incontro tra Demetra earetusa47 (a rappresentare la speranza di rigenerazione) e l’ebbro Silenocol suo corteo di satiri (a rappresentare la saggezza profetica)48. Mentre,dipinto sulla fascia monocroma sottostante la Giustizia, l’emblema alcia-teo dal motto “Inposibile” ci mostra l’inutile fatica di quelli che voglionotrasformare un nero in bianco lavandolo con l’ausilio di una spugna,suggerendoci di riflettere sull’impossibilità di modificare la realtà, comequella che vede opporsi vanità e industriosità, rappresentate l’una dauna donna che si specchia, l’altra da una che regge il fuso.

Solo a considerare il discorso per immagini che si dipana sulla paretesud del salone, siamo guidati a riflettere sull’impegno morale che deveallontanarci da vanità, da superbia, da inganno.

allo stesso tema si richiamano anche le figurazioni che compaiono asud-ovest, sullo spicchio della volta, inserite su sfondo scuro racchiusotra due finte erme che rappresentano un uomo e una donna [Fig. 2].La tabella con la scritta “concordia”, affiancata da due cornacchie che siaffrontano, separate da una sorta di scettro, fa preciso riferimento al-l’emblema Vi del libro di andrea alciato, che ha in questo caso attintoagli Hieroglyphica di Horapollo, come spiega Mino Gabriele “la fonte èHorapollo, che evidenzia il simbolismo della concordia e della fedeltàattraverso l’esemplare comportamento ‘matrimoniale’ di questi uccelli,che rimangono fedeli l’uno all’altro fino alla morte”49.

nel riquadro sottostante è raffigurata una donna che sta compiendol’atto atroce di brandire un’arma contro un bambino; assai probabil-mente si tratta di Medea, che con quel gesto volle vendicarsi del maritoGiasone, poiché l’eroe l’aveva ripudiata preferendole un’altra donna:la mancata fedeltà è la negazione dei fondamenti della concordia e portaa terribili conseguenze. anche nel riquadro con Medea riecheggia l’im-magine dell’emblema alciateo, il XcViii, dal titolo: “Ei qui semel sua pro-degerit aliena credi non oportere”, “non conviene affidare i beni altrui a chiha già dissipato i suoi”.

il tema conduttore è ribadito con sistematicità: bisogna sforzarsi di te-nere a freno la lussuria, bisogna essere avveduti e vigilare contro questovizio, la punizione non potrà che essere dolorosa perdita. all’invito al-ludono anche le figurazioni del gallo e della civetta, disposte simmetri-

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camente rispetto all’angolo della parete, subito sotto la scena conMedea. La civetta, uccello che vede di notte, è simbolo di vigilanza, men-tre il gallo può essere personificazione della lussuria50; ma nel percorsoche stiamo seguendo risulta valida l’interpretazione che dei due uccellioffre cartari: sono entrambi attributi di Minerva, la dea della Sapienza;e anche il gallo simboleggia vigilanza e saggezza:

“Posero anco il Gallo gli antichi alle volte su l’elmo a Minerva, come mostravauna certa sua statoa fatta da Fidia á gli Elei d’oro, e di avorio, il che Pausaniapar credere, che fosse perché il Gallo è ardito, e feroce, come bisogna essere nelleguerre: ma aggiungiamo noi anco, che ciò mostrava la vigilanza, che há da esserené saggi, e valorosi capitani51 [mentre la civetta] significa il saggio e buon con-siglio de l’ huomo prudente”52.

c’è poi da osservare che nell’edizione illustrata del trattato di cartari53,la rappresentazione di Minerva accompagna e sintetizza le caratteristichee le attribuzioni spiegate nel testo: la didascalia dell’illustrazione recita“Imagine di Minerva, inventrice del filare, tessere e cucire e altri domestichi es-sercitij”, ossia quelle attività propriamente femminili alle quali alludonole grottesche prima considerate, con la rappresentazione del fuso, dellalana e del pettine: sono le attività virtuose, contrapposte ai vizi, alle qualila donna si deve dedicare.

nel discorso complessivo rientrano pienamente anche le due scenesottostanti le grottesche appena considerate, rappresentate nella fasciaa monocromo: entrambe sono debitrici degli Emblemata, pur non ripren-dendone alla lettera il motto. “Ex dulci amarum” illustra la scena di erosche ha cercato di gustare del miele, ma è stato attaccato dalle api che loinseguono, costringendolo alla fuga verso Venere: è chiaro il riferimentoall’emblema LXXXiX, “Dulcia quandoque amara fieri”, l’interpretazionedel quale, proposta da Mino Gabriele, trae origine dalla credenza degliantichi secondo la quale la riproduzione delle api avverrebbe senza ac-coppiamento54. Quindi, “gli operosi insetti alludono sia alla castità fisicache spirituale e sono avversi alle passioni veneree e agli eccessi erotici. [...]in questa ottica l’emblema dovrebbe raffigurare la castità/Virtù (api) chepunisce irreparabilmente l’erotismo vizioso e pandemio (cupido)”55.

La lussuria è punita, la sessualità disordinata deve essere messa albando, tutto a favore di un comportamento casto, ossia virtuoso; questostesso indirizzo morale informa anche la scena a monocromo intitolata“abusus lucri in meretrices” che ripete in maniera precisa l’immagine del-l’emblema XVii, per la quale alciato utilizza un episodio più volte ripro-dotto nell’antichità in dipinti e sculture, alcuni dei quali venneroriscoperti anche nel XV secolo56: quello di ocno che ritorce con manoesperta per molte ore una corda, che però gli viene mangiata da un’asina.

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La grottesca che apre la parete ovest con una raffinata combinazionedi immagini a partire dai due figurini con copricapi turcheschi, a manigiunte di fronte a una torreggiante figura femminile, dà ulteriori diret-tive da seguire ai fini di una condotta moralmente corretta. per questoin impossibile equilibrio su di una lunga sbarra stanno, a sinistra, ari-stotele soggiogato da pancaspe, concubina di alessandro Magno che ilfilosofo voleva allontanare dal grande condottiero del quale era tutore;a destra un cavallo imbizzarrito, tenuto a bada a fatica da un vigorosocavaliere diviene simbolo della passione sensuale, come indica edgarWind57 che richiama a sostegno della sua ipotesi le Symbolicae quaestionesdi achille Bocchi58, offrendo così anche una valida indicazione alla let-tura della nostra rappresentazione. il simbolo numero cXVii del-l’opera di Bocchi, infatti, è corredato da una vignetta nella quale undomatore tira per la briglia un cavallo recalcitrante; eloquente è il titolodella scena, “Semper libidini imperat prudentia”, l’uomo può avere la me-glio sul piacere dei sensi se persegue la prudenza [Fig. 8].

Questa complessa rete di simboli acquista vieppiù significato se correlatacon le raffigurazioni che le stanno a fianco e con quelle che, specular-mente, compaiono sulla parete opposta, la parete est del salone dove, ac-canto a una grottesca sovrastata da una danzante vittoria alata, entro unovale a cartouche tridimensionale (cornice che viene utilizzata per conte-nere i soggetti mitologici e letterari costruiti come scene all’aperto), com-pare una figura femminile riccamente abbigliata, in posa decisa, con unalunga lancia nella mano destra59 e con ai suoi piedi il drago. La scrittasottostante, “custodiendas virgines”, permette di riconoscere ancora unavolta un emblema di alciato, il XLii, che nell’epigramma del testo de-scrive l’immagine di pallade e il drago che la accompagna, al quale è af-fidata la custodia delle cose, “custodia rerum/huic data”. nel distico finale silegge infatti: “Innuptas opus est cura osservare puellas/pervigili, laqueos undiquetendit Amor”, quindi il drago ha la funzione di custodire le fanciulle verginidalla trappole dell’amore60. al contempo, però, va ricordato che palladeatena, o Minerva, è la dea della sapienza, allora l’emblema sottolineaquanto sia importante proteggere e vigilare la purezza sia fisica che in-tellettuale: il tema della verginità e quello della sapienza si congiungono,poiché “atena è vergine […], la Sapienza in quanto tale non è contami-nabile né corrompibile, non può dunque soggiacere ai limiti della con-tingenza e dell’impurità, né il vizio della stoltezza può scalfire una similedea, nata dalla testa di Zeus e simulacro della suprema intelligenza”61.

nella decorazione del salone i molteplici richiami alla dea già notati,ossia le sue attribuzioni come la civetta e il gallo, il fuso, la conocchia, ilpettine, le cornacchie, si precisano in questo emblema, che propone il

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tema della verginità/sapienza e della sua salvaguardia: si afferma un ul-teriore appello alle fanciulle che devono essere custodite, le si invita aessere prudenti, affinché si guardino dalle tentazioni violente di eros esi mantengano virtuose [Fig. 9].

L’appello assume un tono perentorio nella scritta che correda la figu-razione posta di fronte a quella di Minerva, sulla parete ovest: “quodquemanere domi et tacitas esse puellas” (perché le fanciulle devono stare in casae tacere), tratto dall’epigramma che illustra l’emblema alciateo numeroc. [Fig. 7] entro l’ovale è dipinta una giovane con una lunga veste rossa,con una mano regge un pomo d’oro, il piede poggia su una tartaruga,sul prato sono due colombe: l’iconografia rimanda alla vignetta dell’al-ciato, anche se è cartari62, riferendosi a plutarco, a dare la descrizionedella statua di Venere di Fidia e del suo significato da cui potrebbe avertratto ispirazione il pittore che opera in palazzo Vavassori:

“[...] una Venere che stava con un piè sopra una testuggine per mostrare alle donneche toccava loro di aver cura della casa, e di ragionare manco fosse possibile, perchéin una donna il tacere è giudicato bellissima cosa”63.

anche capaccio ribadisce:

“Formò Fidia, una Venere, che cavalcava una testudine, per significar il decorodella Matrona, a cui la casa, e ‘l silentio custodir conviene essendo anco del Silentiosimbolo la Testudine”64.

Ma la Venere descritta, chiarisce Mino Gabriele65, è Urania, la Venerenuda come nell’emblema c, diversa quindi dalla Venere effigiata nel sa-lone: emerge qui la distinzione tra due Veneri, la vulgaris, o pandemos ela coelestis o Urania infatti “nell’iconografia esse si distinguono per il fattoche la prima è riccamente vestita […], mentre la seconda è ignuda”66. Fuplatone a formulare l’idea della duplice Venere nel “Simposio”:

“Tutti in verità sappiamo che, senza Eros, non esiste Afrodite. Orbene, se questafosse una sola, uno solo sarebbe Eros; ma poiché ve ne sono due, è necessario chevi siano anche due Eros. E come potrebbero non essere due, le dee? L’una, senzadubbio, è più antica, senza madre, figlia del Cielo, cui perciò diamo il nome di ce-leste; l’altra è più giovane, figlia di Zeus e Dione, che chiamiamo volgare. È dun-que necessario che l’Eros compagno di quest’ultima venga rettamente chiamatovolgare, e l’altro invece celeste”67.

Venere Urania, nata dal cielo, è quindi dea dell’amore puro, l’altra èla dea dell’amore volgare. il tema interessò gli umanisti fiorentini, comepico della Mirandola secondo il quale platone non intendeva affermareun netto contrasto tra due Veneri e tra due forme d’amore, uno solo ter-reno e sensuale e l’altro partecipe della gloria celeste, piuttosto, nella con-

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cezione platonica, le due dee illustravano la distinzione tra una visione dibellezza celeste e una terrena. per cui pico, come osserva Wind:

“ammoniva i suoi lettori che il desiderio d’amore suscitato dalla bellezza terrena èa sua volta di due tipi opposti ‘de’ quali l’uno è bestiale, e l’altro umano. Mentreun istinto puramente sensuale sarà incline a riporre erroneamente la fonte dellabellezza visiva nel corpo e a ricercare il godimento della bellezza nel solo piacereanimale, l’amante umano riconoscerà che la Venere che appare ammantata in vestiterrene è un’ ‘immagine’ di quella celeste”68.

L’umanista supera, insomma, la semplice dicotomia tra “celeste” e“vulgare” a favore di una triplice suddivisione, amore celeste, umanoe bestiale.

“E poiché l’amore bestiale era definito troppo basso per meritare una considerazionefilosofica, ne derivava che la dottrina platonica delle ‘due Veneri’ non designavapiù due tipi opposti d’amore, l’uno casto e nobile, l’altro sensuale e vano, ma duenobili amori chiamati ‘Amore celeste e umano’: il secondo dei quali, confinato alvariegato mondo della sensibilità, era solo l’immagine più umile del primo”69.

assume speciale significato, in questo senso, l’asta con la fiammella ac-cesa in cima, sorretta dalla Venere rappresentata nel salone, quando ciriferiamo al Commento di Marsilio Ficino sopra il Convito di Platone. Lad-dove il filosofo approfondisce la questione delle due Veneri leggiamo:

“Quella prima [ossia la Venere Celeste] in se stessa abbraccia il folgore della divi-nità trasportandolo poi in questa Venere seconda la qual diffonde le scintille diquel folgore nella materia del mondo […]”70.

La figurazione di Venere pandemos, pertanto, veicola un messaggiodi tipo pedagogico-morale rivolto alle donne il cui atteggiamento riser-vato, silenzioso misura decoro e valore; mentre, e ancora una volta, bi-sogna rinunciare all’amore sensuale per tendere a una forma di amorepiù casta e nobile.

Ma la ricchezza di significato della figurazione di Venere pandemos èdata anche dal contesto naturalistico in cui è inquadrata: alle spalle delladea si trova un grande albero frondoso, dal quale si dipartono un ramosecco, a sinistra, e uno verdeggiante a destra. La distinzione fra destrae sinistra assume un valore simbolico secondo uno schema fissato inmodo emblematico dalla tradizione iconografica medievale del GiudizioUniversale, nel quale gli eletti stanno alla destra di cristo Giudice e idannati alla sua sinistra71. ritroviamo lo stesso criterio di distinzionesimbolica in alcuni “coperti”72 disegnati da Lorenzo Lotto per le storiebibliche del coro di Santa Maria Maggiore all’interno dei quali l’artista“opera una moralizzazione dello spazio figurativo, identificando colla

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sinistra il campo del male e quindi di tutto ciò che è considerato nega-tivo, colla destra il campo del bene e di tutto ciò che è positivo”73, spessoutilizzando proprio l’opposizione tra rami secchi e rami in fiore o co-perti di foglie che si ritrova anche nell’ovale con la afrodite pandemos,la quale, sotto il ramo secco, al lato sinistro per il riguardante, regge ilpomo d’oro allontanadolo significativamente da sé. con la mano sini-stra, quindi a destra per l’osservatore, al di sotto del ramo rigoglioso,stringe accanto al corpo l’asta con la fiamma, che secondo la lettura fi-ciniana è la folgore della divinità. perciò, la mela, che sta nel campo si-nistro – quello del male o del negativo – simboleggia il peccato74, il vizio,che in questo contesto si precisa come l’amore sensuale; mentre lafiamma al lato destro – quello del bene – è, seguendo l’interpretazionedi Ficino, emanazione della “folgore divina”; una scintilla dell’amoreceleste che Venere pandemos deve diffondere nel mondo, un’anticipa-zione del concetto di carità cristiana, raffigurata, proprio a fianco delmedaglione, al centro di una edicola architettonica evanescente con ilsimbolo del pellicano che nutre del suo sangue i piccoli.

continua ad approfondirsi il discorso per immagini che adorna ilsalone, soprattutto rafforzando l’idea che la donna deve esercitare unacaritas simile a quella appena descritta nel contesto domestico, conl’amore assoluto da dedicare ai figli, con l’abnegazione da far prevaleresu qualsiasi stimolo voluttuoso. e il richiamo alla moderazione si am-plia se si volge lo sguardo alla parete di fronte, al centro della qualecompare una giovane donna con una lunga veste rossa che stringenella mano destra le briglie d’un freno. il motto sottostante, “nec verbonec facto laedendum”, svela che siamo di fronte alla rappresentazione dinemesi tratta dall’emblema Xiii di andrea alciato75, e nemesi svolgeanche visivamente un ruolo mediatore: personificazione della mode-razione, della temperanza invita ancora una volta al controllo, di sé edegli istinti meno nobili. a destra della caritas invece siamo attrattidal medaglione con il motto “labor inutilis”, “fatica inutile”, poiché scor-giamo all’interno una scena inquadrata dal verde di un bosco e da unpaesaggio lacustre che non risponde ai canoni della tradizione mito-logica. compare in primo piano un cavaliere, con ai piedi l’armatura,l’elmo e la spada, che allarga le braccia con aria straniata e stupefatta.Solo il cavallo alato che bruca nell’ombra del bosco e la svelta figuradi una angelica fuggitiva ci consentono di riconoscere l’episodio rac-contato da Lodovico ariosto nel canto X dell’orlando Furioso e il pa-ladino ruggero, descritto nell’affresco come dolorosamente colpitoper aver rischiato di fuorviare dalla ricerca della virtù a cui il suo per-sonaggio aspirava. nell’edizione moralizzata, edita a Venezia nel 1543,

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troviamo sicuramente la spiegazione della scelta iconografica e dellascelta del motto “fatica inutile” [Fig. 11]:

“[…] si loda la virtù; a la qual essendo rivolto Ruggiero doppo l’horata impresa dela liberatione di Angelica cade un’altra fiata nel vitio, a lei la honestà in premiodella sua fatica levar volendo”76.

nell’angolo formato dalle pareti nord ed est il concetto del labor inutilissi riafferma nella fascia monocroma inferiore in cui figurine di putti alati,con in mano una girandola o un uccellino cercano di far correre tartaru-ghe e lumache all’inseguimento di grifi e di capri, simboli della superbiae del peccato77; evidente rappresentazione di quell’intreccio tra desiderioincontrollato, tra la rapidità, tra la corsa, e l’opposta capacità di regolarsicon sicura lentezza. Mentre nel riquadro superiore una lampada spenta78,degli occhiali79 sospesi a un filo, pesci e uccelli simbolici, ricordano quantosia fragile la vita, come si debba imparare a guardare al di là di essa. il di-scorso prosegue ancora sulla parete est sottolineando l’ostinazione su-perba, rappresentata da un uomo con una gabbietta in testa, con unospecchio dinanzi al volto, a cavallo d’un asino recalcitrante nonostantele fiamme lo brucino80 e la volgare avarizia81 rappresentata da un asinoche bruca svogliatamente cardi, nonostante sul suo dorso abbia ogniben di Dio. Superbia e avarizia che devono essere rifuggite per con-durre con costanza una vita virtuosa, unico modo per ottenere l’immor-talità, come ben significa la mitica Fenice che rinasce dalle proprieceneri82. a tal proposito si deve ricordare, come propone Mino Gabriele,che la fenice “quando giunge il tempo in cui deve morire e rinasceredalle sue ceneri, sceglie la palma per il suo ultimo nido, costruendolosulla cima dell’albero”83. risulta evidente il richiamo al tondo figuratoal centro della fascia del soffitto della parete nord, rappresentante l’em-blema alciateo XXiV, “Bisogna restare saldi di fronte alle incalzanti av-versità”, con la palma e il bambino che vuole raggiungere i dolci datteri:la rinascita spirituale è il premio finale per coloro che con costanza per-corrono l’intero iter salvifico scandito dall’intero complesso, per giun-gere a un traguardo morale simbolicamente riassunto dall’immaginedella Veritas, quella che lascivia e sensualità tentano inutilmente di na-scondere e distruggere, ma che il tempo riuscirà a mostrare84 [Fig. 12].

Sino al 2001, anno in cui si conclusero i restauri del soffitto85, non sisapeva se le pareti avessero mantenuto tracce di decorazione; la scopertadel riquadro dipinto tra le due finestre del lato sud del salone fattaproprio in quell’occasione spinse alla ricognizione completa, premiatadalla riapparizione delle decorazioni che, nonostante alcune lacune,ornano tutte le pareti.

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Se sul soffitto si accumulano segni e immagini che, mentre propon-gono e formulano temi, si spingono sin nel dettaglio delle argomenta-zioni86, sostituendo l’articolazione temporale del discorso con unalettura dinamica imposta dalla necessità di interpretazione87, sulle ampiesuperfici delle pareti il percorso visivo si distende. Un alto zoccolo di-pinto a riquadri di finto marmo corre lungo tutto il perimetro dellastanza e sostiene, a distanze regolari, le figurazioni di erme marmoree,rappresentanti alternativamente figure femminili e maschili, forse persimulare un loggiato aperto verso l’esterno.

Lo sguardo si posa su un paesaggio vario, dominato da dolci colline rico-perte di prati, di radure e di boschi, ai bordi di specchi d’acqua su cui si af-facciano piccoli villaggi, un mulino con la sua grande ruota, chiese consvettanti campanili. in queste ambientazioni idilliache il pastore guarda lesue pecore, il cacciatore si muove sul suo cavallo, il barcaiolo traghetta dauna riva all’altra, imbarcazioni sono alla fonda. Ma l’apparente tranquillitàè messa in crisi da piccole scene che animano i primi piani dei riquadri pae-sistici, da figure che sembrano incongruenti con l’insieme. Si ripete pertantolo stesso straniamento che si prova nello scorrere lo sguardo sul soffitto agrottesche: non siamo noi il pubblico al quale quei messaggi erano rivolti ela loro oscurità ci respinge e ci attrae nello stesso tempo88. il nostro sguardoè richiamato dalla figurazione tra le due finestre a sud: un paesaggio mon-tuoso svetta alle spalle di un fitto bosco, sul tronco di una grande pianta siappoggia un giovane con uno strumento a corde in mano [Fig. 10], versodi lui accorrono gli animali, dai leoni ai cigni, dalla volpe all’orso, dai cania un cervo dalle grandi corna; dallo specchio d’acqua che lambisce il luogoemergono creature marine. Quel giovane non può che essere orfeo;quell’orfeo disperato per la perdita di euridice che, ci racconta Virgilionelle Georgiche, “[…] pianse sotto una rupe alta per sette mesi continui”89. Sollevatol’archetto il giovane guarda verso l’alto e là, sul soffitto, si trova proprio ilmedaglione dipinto con l’emblema di alciati che ricorda la prematura scom-parsa di una bella donna e l’eterna lotta tra amore e Morte.

Girando lo sguardo verso la parete est, sullo sfondo di un lago solcatoda una barca, vediamo un giovane a braccia conserte: sulle spalle unmanto dorato, i ceppi ai piedi e, abbandonati a terra, un giogo spezzatoe un cartiglio oggi muto forse perché la scritta a secco è stata irrecupe-rabile. ovidio ci aiuta a comprendere la scelta di far comparire il per-sonaggio accanto all’episodio del cantore [Fig. 13]:

“[…] avvolto nel suo mantello dorato, se ne andò Imeneo per l’etere infinito, di-rigendosi verso la terra dei Cìconi, dove la voce di Orfeo lo invocava invano.Invano, sì, perché il dio venne, ma senza le parole di rito, senza letizia in volto,senza presagi propizi”90.

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imeneo, secondo cartari protettore del matrimonio come Venere eGiunone91, in palazzo Vavassori, assume una iconografia affine a quelladella Giunone rappresentata in natale conti92, è “senza letizia in volto”,e il giogo infranto, l’aria mesta diventano segni evidenti del dolore, dellaperdita, dell’inganno, dell’impossibilità di trasformare il destino. Mes-saggi, questi, contenuti anche nelle sovrastanti decorazioni a grottesca.

Sulla parete opposta, proprio al di sotto della grottesca che esalta inun gioco ossimorico la lotta fra razionalità e sensualità (aristotele sog-giogato da pancaspe, e all’opposto il cavaliere che doma il cavallo sim-bolo della bestialità), e alla figurazione di Venere pandemos, anteroslega a un alto albero eros dopo avergli strappato le armi, mentre sullosfondo un ignaro pastore riposa all’ombra d’un albero, a guardia delsuo gregge. ancora una volta un emblema di alciato, l’emblema LXii,ci aiuta a proseguire il percorso: “Anteros, Amore di virtù che vince l’altroCupido” è il titolo che ne annuncia immediatamente l’intento etico “se-condo un fortunato modello letterario di tendenza neoplatonica che ri-corre nel Medioevo e nel rinascimento”93.

Se nella Favola di Eros e di Anteros i due fratelli generati da afroditesono destinati a bilanciarsi, nella speculazione platonica e neoplatonica,quando si formula la distinzione tra amore terreno e amore celeste, di-vengono profondamente antagonisti. nel Simposio di platone e nel Sim-posio di Senofonte, abbiamo già visto, “si parla di due afrodite, unaceleste e una terrena, e quindi di due corrispettivi eros. afrodite Uraniaispira l’amore dell’anima, l’amicizia e le opere virtuose, mentre afroditepandemia l’amore volgare e carnale”94. i rispettivi figli si comportanodi conseguenza, ma anteros diviene anche vendicatore dell’amore nonricambiato, trascurato, vilipeso. anche nel testo dell’epigramma di al-ciato95 è esaltato questo aspetto di anteros e la sua funzione virtuosa,che richiama quella di nemesi96 [Fig. 14].

La parete su cui si trova il tema dei due amori è decorata da un’altrascena, inquadrata in un contesto naturalistico, analogo a quello pre-sente negli altri riquadri, con un insieme di edifici ai margini d’un ca-nale e due grandi ruote di un mulino verso cui si avvia un uomo chespinge col bastone il suo asino; ma questa volta in primo piano sonotre personaggi: cupido che si appoggia al suo arco, Marte che lo spingedavanti a sé, verso un sovrano, con la corona in testa, lo scettro nellamano destra e il braccio sinistro teso in avanti a mostrare una tabella,su cui compare un nome incompleto “ne[…]o” [Fig. 15].

non poteva certo mancare tra le decorazioni di questa sala, che si pre-senta quasi come una enciclopedia della letteratura umanistica e rina-scimentale, un riferimento all’Hypnerotomachia Poliphili.

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La straordinaria misteriosa opera di Francesco colonna viene qui ri-cordata con alcune immagini che decorano il primo dei carri trionfali:sul fronte anteriore del carro si vede cupido attorniato da molte per-sone da lui ferite che lo guardano attonite mentre lancia i suoi straliverso l’olimpo97. Dice polifilo:

“su quello posteriore ammirai Marte davanti al trono del sommo Giove in atto dilamentarsi del fanciullo che aveva lacerato la sua corazza. Ma il benevolo signoregli mostrava il proprio petto ferito, mentre nell’altra mano, il braccio disteso, tenevala scritta: NESSUNO”98.

per le decorazioni parietali, come per quelle del soffitto non è possibileindividuare un inizio e una fine del percorso, e proprio la figurazionedi amore che non risparmia dolore a nessuno potrebbe indifferente-mente essere commentata come principio o come termine della rifles-sione di cui è ormai chiaro il tema dominante insieme all’iter moraleche si deve perseguire.

rimane ancora aperta, allo stato attuale delle ricerche, la questionedella datazione delle decorazioni, della identificazione dell’autore e delcommittente. non si può che osservare come un programma iconogra-fico così ricco, complesso, non possa essere estraneo al gusto del com-mittente, alla sua cultura aggiornata da letture sapienti e orientatespecificamente, alla sua sensibilità nei confronti di linguaggi figurativicome quelli delle grottesche capaci di coniugare stravaganze e serialità,espressioni di una moda diffusa tra coloro per i quali “una verità con-densata in un’immagine visiva, era in qualche modo più prossima alregno della verità assoluta, rispetto a un’altra verità espressa in parole.non era tanto quel che tali immagini dicevano a costituirne l’impor-tanza; era il fatto che lo “rappresentavano”99.

Dai dati che abbiamo, l’edificio affidato all’architetto isabello non puòessere stato ristrutturato prima del 1536, anno della morte del proprie-tario Defendo Vavassori, poiché a quella data tutto Borgo canale por-tava i segni della distruzione operata dalle milizie veneziane in vistadella costruzione delle fortificazioni. in particolare la chiesa di SantaGrata, aderente all’edificio in questione, era stata fortemente danneg-giata da un incendio. La presenza della famiglia Vavassori è di nuovoattestata dal 1544 prima con Gervasio Vavassori, poi con suo figlio Ge-rolamo, notaio come il padre, e a quest’ultimo vorremmo attribuire ilruolo di committente delle suggestive decorazioni del salone, ambientedestinato a un uso privato.

Se fosse accettabile l’ipotesi, la datazione delle pitture andrebbe collo-cata nella seconda metà del secolo, dato che a questo periodo rimandaanche l’analisi delle fonti a stampa; innanzitutto gli Emblemata di andrea

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alciato100, i cui riferimenti, con varianti iconografiche risalenti ancheall’edizione lionese del 1550, sono rintracciabili in ben dodici delle fi-gurazioni del soffitto e delle pareti.

L’altra opera letteraria protagonista esplicita e implicita di molti sog-getti dipinti è Le immagini con la spositione de i dei degli antichi di Vincenzocartari; pubblicata per la prima volta a Venezia dall’editore Marcolininel 1556101, ebbe un successo straordinario per almeno due secoli, fa-vorito anche dalla prima edizione dotata di illustrazioni, derivate dalleincisioni di Bolognino Zaltieri, che vide la luce solo nel 1571. Furonoproprio le illustrazioni di Zaltieri, utili per creare un ricco repertorio aservizio degli artisti, a decretare la decisiva affermazione dell’opera chesi presentava come un manuale con caratteristiche di semplicità e ma-neggevolezza superiori a qualsiasi altro trattato mitologico.

Se i Vavassori, all’epoca proprietari dell’edificio, possono rispondereal tipo di committenza colta e aggiornata in grado di comprendere tuttala potenzialità associativa, combinatoria, dinamica e immaginifica del-l’impianto decorativo, non sappiamo nulla dell’autore degli affreschi.impossibile dire se possedesse un bagaglio culturale analogo a quellodei committenti che gli consentisse di imporre scelte e fornire ideazionioriginali per l’esecuzione del ciclo, oppure si limitasse a eseguire il pro-gramma iconografico, impegnativo e severo sul piano etico, deciso daaltri. Ma a lui certamente dobbiamo la freschezza e la vivacità dei colori,la variegata, originale, elaborazione degli elementi decorativi, le cita-zioni dei grandi interpreti delle grottesche di derivazione romana (comeper esempio Giovanni da Udine, nelle piccole scene coi putti che caval-cano chiocchiole e grifi, o nell’incontro di Demetra e di aretusa, o nellerappresentazioni delle vittorie alate), e la trasparenza delle tinte con cuiracconta l’elegia degli scorci naturalistici e il paesaggio.

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note

1 LiGorio, vol. Vi, fol. 151v., pubbli-cato in, DacoS 1969.2 ripa - MaFFei, 2012, p. Viii.3 Si può far riferimento alle decora-zione di Villa Lanzi-Gozzini a Gorlago,di casa passi, di palazzo Grumelli, dicasa della torre in Bergamo, tra altri.4 il 28 gennaio 2012 la FondazioneBergamo nella Storia ha inaugurato il“Museo storico dell’età Veneta-il ‘500interattivo” all’interno del palazzo delpodestà in piazza Vecchia; si veda alproposito Mencaroni Zoppetti 2012.5 Mencaroni Zoppetti 2005, pp. 423-443.6 corteSi BoSco 1987, p. 167; eaD.1995.7 Mencaroni Zoppetti 2002, pp. 8-9.8 per le notizie relative alle vicendedella chiesa cfr. paGnoni 1979, pp. 25-26; Mencaroni Zoppetti 2002, pp. 13-20.9 ead. ibid.10 coLMUto ZaneLLa 1990, p. 272.11 coLLeoni 1618, Vol. i, Libro iX,cap. XViii.12 Manno 1990, p. 218.13 paGani 1990, p. 358.14 Patti e conventione de la fabrica del Rev.D. Defendo di Vavassori et M. ro PetroAbano Architecto. 3 gennaio 1525. Not.Zaccaria Colleoni, in : “carte a. Meli19”, ar 37, Biblioteca civica a. Mai diBergamo (d’ora in poi BcBg).15 atto rogato il 5 ottobre 1520 dal no-taio alessandro Sangalli: R. dus d. Def-fendus de Vavassoribus can. us Bg. Mensiprothonotarius apostolicus et in hac parteuti Rector titulatus ecclesie parrochialis S.Grata inter Vites, in : “carte Meli 19”, ar37, BcBg.16 coLMUto ZaneLLa 1990, p. 272.17 ibid., p. 278.18 Mencaroni Zoppetti 1994, p. 19.

19 cfr., BcBg, estimo veneto 348, foglio9: “2 maggio 1544 - Polizza de li beni demi Gervasio q. de ms. Zorzi di Vavassori daMedolago posti in Borgo Canale appressola Giesia di S.Grata parr.le io ho una casacon molti corpi corte pozzo et orto per miouso”.20 cfr., BcBg, estimo Veneto n. 840, incui si conferma la presenza in Borgocanale di Gerolamo Vavassori, cano-nico in vescovato.21 cfr., BcBg, Libro d’estimo XXiii B1555-1603, p. 119: “1601 3 genn. Sicassa il nome del q. R.do Gervasio q. ms.Zorzo di Vavassori e si mette il nome del sr.Giorgio q. S.r Gerolamo Vavassori da Me-dolaco”.22 ZaMperini 2007, p. 121.23 MoreL 1985, p. 162.24 archivio di Stato di torino, LiGorio

pirro, Libro delle Antichità Sez. “Mano-scritti”, Mazzo 1-34; Ja.iii. 3-Ja.1.4.25 LiGorio, pubblicato in DacoS 1969.26 iD., fol. 152r., in eaD., p. 163.27 iD., fol.161r., in eaD., pp. 181-182.28 LoMaZZo, ciarDi 1974, p. 369.29 ibid.30 MoreL 1985, p. 168.31 iD., p. 162.32 ZaMperini 2007, p. 121.33 Mencaroni Zoppetti 1994, p. 22,nota 4-5.34 Si veda anche Mencaroni Zop-petti1993.35 Doni 1551, Libro V.36 aLciato - GaBrieLe 2009, pp. 355-356. Si tratta dell’emblema LXVi, pro-babilmente rielaborato secondo gliEmblemata nell’edizione rouillé-Bon-homme, stampata a Lione nel 1550.37 capaccio 1592, p. 72 v: “Ma due bel-lissime imprese ci porge quest’animale (lacapra), l’una del danno che a se stessa ap-parecchia, mentre i piccioli Lupi nudriscenon accorgendosene il Pastore; e serve aquei che nudriscono huomini da i quali handa ricevere ruina, e si compiacciono con

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tutto ciò in far loro piacere, col motto mor-tem dabit ipsa voluta […]”.38 iD., ibid., p. 79.39 cfr. GioVanni da San Gimignano1577, p. 190. L’opera fu composta trail 1298 e il 1312, ma ebbe moltissimeristampe a partire dall’anno 1477.40 Mencaroni Zoppetti 1994, p. 22,nota 23.41 cartari 1577, pp. 195-196.42 capaccio 1592, pp. 108v-109r. 43 panoFSky 1984, p. 113, nota 104 e p.236; corteSi BoSco1987, p. 416.44 aLciato-GaBrieLe 2009, pp. 153-159, emblema XXiV “Obdurandum adversus urgentia”, “Bisogna restare saldidi fronte alle incalzanti avversità”, è ilmotto che compare anche sul bordo in-feriore del medaglione affrescato. 45 ripa - MaFFei 2012, pp. 491-492 epp. 520-523, per le personificazioni diSapienza e di prudenza.46 La rappresentazione dipinta ricalcala descrizione della Giustizia Divina,ma al posto della spada è il compasso,attributo della parsimonia “il compassosignifica l’ordine e misura in tutte lecose, perciocché sì come il compassonon esce punto dalla sua circonfe-renza, così la parsimonia non eccede ilmodo dell’onesto e del ragionevole”,cfr. ripa-MaFFei 2012, pp. 457-458; nelcommento si chiarisce la “combina-zione di aristotelismo e di platonismo”che consente all’anima platonica dicontrollare attraverso la ragione l’ap-petito della concupiscenza. 47 oViDio 1992, Libro iV, v. 25.48 iD., Libro V, vv. 410-536.49 aLciato-GaBrieLe 2009, pp. 51-57.50 HaLL 1985, p. 189.51 cartari 1577, p. 361.52 id., p. 362.53 Vincenzo cartari nel 1571 diede allestampe una seconda edizione del suotrattato, la prima corredata da illustra-zioni, di mano di Bolognino Zaltieri;

cfr., paLMa 1990, pp. 793-795.54 aLciato-GaBrieLe 2009, pp. 459-462.55 ibid.56 iD., pp. 117-119: “Di essi parla lostesso erasmo, e pure alciato dovetteesserne a conoscenza. erasmo in parti-colare menziona due sculture marmo-ree di ocno che, come attesta ermolaoBarbaro nelle Castigationes Plinianae, sitrovavano sul campidoglio e negli ortiVaticani”. 57 “il cavallo è un simbolo platonicodella passione sensuale o libido”, cfr.WinD 1985, p. 180 e nota 15.58 BoccHi 1555, Libro iV, p. ccXL,Simbolo cXV.59 cartari 1577, chiarisce che l’asta chela dea tiene nella mano simboleggia lanatura dell’uomo prudente.60aLciato-GaBrieLe 2009, pp. 245-249:“il drago è tradizionale simbolo di vigi-lanza e di annessa custodia per l’acu-tezza della sua vista, come tramandanofavolosi mitologemi dove è guardiano,nelle sue varie forme più o meno terri-fiche, del Vello d’oro nella colchide,dei pomi d’oro nel Giardino delle espe-ridi o della Fonte castalia, come purelo ritroviamo nella favolistica”.61 ibid.62 cartari 1571, p. 540.63 cfr. ripa-MaFFei 2012, p. 798; aL-ciato-GaBrieLe 2009, pp. 511-514.64 capaccio 1592, Libro i, p. 9.65 aLciato-GaBrieLe 2009, p. 387.66 HaLL 1985, p. 412.67 pLatone, coLLi 1978, p. 180.68 WinD 1985, p. 171.69 ibid.70 Ficino 1544, p. 11.71 cfr., USpenSkiJ 1975, pp. 33-40.72 ad esempio: il coperto di Lot, del Sa-crificio di Caino ed Abele, della Morte diAbele, di Amon violante Tamar, di Davideesce da Gerusalemme e della Legge data aMosè.

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73 corteSi BoSco 1987, p. 326: “oc-corre distinguere quando destra e sini-stra sono riferite ad un loro elementosimbolico che fa da perno del signifi-cato trasmesso e quando invece sonoriferite all’osservatore, che è diretta-mente sollecitato ad un’opzione tral’una e l’altra, tra bene e male, virtù evizio”.74 “per la tradizione non suffragataperò dalle Scritture, la mela è il fruttoproibito dell’eden […]. Di conse-guenza, la mela è divenuta il simbolodella caduta dell’Uomo”, cfr. HaLL

1985, p. 275: “L’allettante dolcezzadella mela fu da principio associata allaseduzione del peccato, anche nel sensodella similitudine fra le parole latinemalus, malum, (greco mêlon) e malum, ciòche è cattivo, malvagio, il peccato”, cfr.BieDerMann 1991, p. 300.75 aLciato-GaBrieLe 2009, pp. 91-95.76 arioSto 1543. Si veda anche toSca-neLLa 1574, canto Xi.77 capaccio 1592, p. 37: “[…] et in unagioia si sono vedute le lumache scolpite lacui guscia serviva per carro et una figurinatenendo la briglia dicea Festinate”. DacoS

1969 descrive l’immagine analoga di-pinta da Giovanni da Udine nella Stu-fetta del cardinal Bibbiena. per ilsignificato dell’ossimoro cfr. caLVeSi

1983; WinD 1985.78 cfr. Hori apoLLiniS 1597: la lucernaè simbolo della vita; corteSi BoSco

1987, a proposito del coperto delpianto di Davide.79 BarGaGLi 1594: gli occhiali sono sim-bolo del “vedere meglio”. Gli occhialisi trovano anche nella tarsia lottesca diamon e tamar, in cui rappresentano lanecessità per l’anima razionale di ve-dere al di là della bellezza sensuale,corteSi BoSco 1987, p. 409.80 “Opstinatio” deriva la sua iconografiadall’impresa lottesca del coperto dellasommersione del faraone, corteSi

BoSco 1987, p. 469.81 Figurazione dell’emblema “In avaros”di andrea alciati.82 Hori apoLLiniS 1597; capaccio

1592, p. 99.83 aLciato-GaBrieLe 2009, p. 155.84 cartari 1577, p. 367: “L’uomo saggiovede e conosce le cose anche se sono difficilie nascoste e levatosi dall’animo il velo dellamenzogna penetra alla verità con la vistadell’intelletto perché questa sta occulta né silascia vedere da ognuno, onde Democrito lapose nel profondo di un pozzo d’onde nonusciva se il tempo overo Saturno suo padre[…] non la traeva fuori”.85 i restauri furono condotti dalla DittaSilvia Baldis di Bergamo, incaricata inseguito del recupero delle pitture pa-rietali il cui restauro si è concluso nel2011.86 LaUSBerG, 1969, p. 196.87 patriZi 2000, pp. 31-32.88 GorDon 1987, pp. 24-25: “il con-cetto di pubblico è problematico.Quante persone potevano compren-dere imprese o leggere i programmi, odistinguere le figure? eppure ogni fe-nomeno artistico era stato concepitonon disgiunto dalla presenza di unpubblico”.89 VirGiLio 1975, Libro iV, pp. 510-513: “E dicono che egli la pianse sotto unarupe alta per sette mesi continui dov’è delloStriamone più sola la riva; e narrava doloretra gli antri ammansendo col canto le tigrie muovendo le querce”. il mito è ripresoda oViDio 1994, Libro Xi, vv. 1-2:“Con questo canto Orfeo, il poeta di Tracia,ammaliava le selve e l’animo delle bestie, eattirava anche le pietre”.90 iD., libro X.91 cartari 1581, p. 159: “la dissero gliantichi la ritrovatrice del matrimonio, e cheaveva la cura delle nozze[…] Giunone, chetien del nodo maritale la cura, l’hanno fattain piè vestita con capi di papavero in mano,e con un giogo ai piedi, volendo per questo

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mostrare come hanno da stare il marito, e lamoglie congiunti insieme [… ] in Roma fuchiamato certo luogoVico giugario: perchéGiunone è detta giugale […] , ove anda-vano i novelli sposi e erano dal sacerdote le-gati insieme con certi nodi […] onde èvenuto, che togliendo poi alcuni poi forsel’essempio da questo, e da quello che si puòvedere”; p. 160 “nella immagine di Venerefatta in ceppi, hanno dipinto il Matrimoniocon il giogo in collo, e con i ceppi ai piedi.Questo hanno voluto alcuni che fosse intro-dotto prima da Giunone, come ho detto, al-cuni da Venere, e alcuni altri da Himeneo:il quale fu perciò adorato come Dio dellenozze”. cfr., cartari 1571, p. 193: “IlMatrimonio con il giogo in collo e con glizeppi ai piedi”; cfr., ripa-MaFFei, 2012,p. 751.92 conti 1616, p. 67.93 aLciato-GaBrieLe, 2009, pp. 386-389.94 ibid.95 ibid. : “Nemesi ha dipinto l’aligero e ilnemico dell’Amore alato / domando l’arcocon l’arco e il fuoco col fuoco / perché pati-

sca quel che fece agli altri, e questo fanciullo/ che una volta impavido portava le frecce,misero piange / Sputa tre volte in basso nelseno (cosa straordinaria!), è bruciato / ilfuoco dal fuoco, e ora Amore odia le frenesied’Amore”.96 ibid.97 coLonna 1499, [p. 82]: “Nel fronteanteriore, Cupidine vidi cum inumera Ca-terva di promiscua gente vulnerata, mira-bondi che egli tirasse larco suo verso laltoolympo” 98 coLonna-ariani-GaBrieLe, 2004, p.159; coLonna 1499, [p. 82]: “In nelfronte posteriore, Marte mirai dinanti althrono del magno Iove, Lamentatise che elfiliolo la impenetrabile thoraca sua egli lahavesse lacerata. Et el benigno signore elsuo vulnerato pecto gli monstrava. Et nel-laltra mano extenso el brachio teniva scriptoNEMO”.99 GoMBricH 1977, p. 177. 100Sulla fortuna e sulla diffusione degliEmblemata si veda aLciato-GaBrieLe,2009, Introduzione pp. Xiii-XXXV.101 cartari 1556, cfr. paLMa 1990.

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Figura 1. Sacrestia di S. Grata inter Vites, dopo il restauro del soffitto e la riscoperta degli affreschi parietali.

Figura 2. angolo sud-ovest del soffitto. evidenti i riferimenti a quattro emblemi di alciato, benché alcuni motti subiscano variazioni. Le cornacchie

che sono la figurazione dell’emblema Vi, Concordia, insieme alla civetta e al gallo, sono simboli di Minerva, come si legge in cartari.

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Figura 5. Medaglione centrale della volta sud.

La rappresentazione e il motto In formosam fato praereptam,

“per una bella rapita prematuramente dal fato”, derivano dall’emblema LXVi

di andrea alciato presente nell’edizione 1534 e rielaborato

in versioni successive. Sulla destra la figurazione simbolica degli strumentidella sposa, citati da Vincenzo cartari.

Figura 3. Decorazioni a grotteschedella volta (lato sud).

Figura 4. Decorazioni a grotteschedella volta (lato nord).

Figura 6. Medaglione centrale della volta nord.

nell’emblema alciateo XXiV il motto recita Obdurandum adversus urgentia,

“Bisogna restare saldi di fronte alle avversità”, la figurazione si serve

del simbolo della rinascita e dell’immortalità, della riuscita

e del trionfo, rappresentato dalla palma.

292

Figura 7. emblema c sul lato est.Quodque manere domi et tacitas esse puellas, “perché le fanciulle devono stare in casa e tacere”. La figura femminile è afroditepandemos che imbraccia l’asta con sulla

cima il folgore della divinità.

Figura 8. Grottesca nel lato ovest.La figurazione del filosofo aristotele soggiogato da pancaspe, concubina

di alessandro Magno si oppone all’immagine di un cavaliere che doma

un cavallo imbizzarrito, tratto dalle Symbolicae quaestiones di achille Bocchi.

Figura 9. emblema XLii nel lato est.È presente il motto Custodiendas virgines,

“Bisogna proteggere le vergini”. La figurarappresenta atena con il drago, simbolo

di vigilanza. L’asta che la dea tiene nella mano destra, secondo cartari,

simboleggia la prudenza.

293

Figura 10. parete sud.i recenti restauri hanno rivelato la figura di orfeo,

tratta dalle descrizioni di Virgilio e ovidio.

Figura 11. parete ovest.accanto alla rappresentazione simbolicadella Caritas, è visibile una scena che ha

come protagonista ruggero la cui “Faticainutile” è illustrata in un’edizione moralizzata dell’Orlando furioso.

Figura 12. parete est.accanto alla rappresentazione di nemesi,tratta dall’emblema alciateo Xiii, viene

presentata l’allegoria della Verità derivatadalla descrizione di Vincenzo cartari.

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Figura 13. Sulla parete est è comparsa dopo i recenti restauri la figura di un giovane malinconico, coi ceppi alle caviglie e il giogo infranto

che raffigura imeneo, protettore del matrimonio.

Figura 14. emblema XXii nel lato ovest.rappresentazione di “anteros, amore

di virtù che vince l’altro cupido”.

Figura 15. Lato ovest.Scena tratta dall’Hypnerotomachia Poliphili

rappresenta Giove che, rispondendo a Marte, spiega come “nessuno”

possa sottrarsi alle ferite di amore.


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