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Milano @BULLET Giuffrè Editore RIVISTA TRIMESTRALE DI DIRITTO E PROCEDURA CIVILE FATTISPECIE,...

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Milano • Giuffrè Editore RIVISTA TRIMESTRALE DI DIRITTO E PROCEDURA CIVILE Anno LXV Fasc. 4 - 2011 FATTISPECIE, COMPORTAMENTI, RIMEDI. PER UNA TEORIA DEL FATTO DOVUTO Estratto Salvatore Orlando
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Milano • Giuffrè Editore

RIVISTA TRIMESTRALE DI DIRITTO E PROCEDURA CIVILEAnno LXV Fasc. 4 - 2011

FATTISPECIE, COMPORTAMENTI, RIMEDI. PER UNA TEORIA

DEL FATTO DOVUTO

Estratto

Salvatore Orlando

SALVATORE ORLANDO

Associato dell’Università « la Sapienza » di Roma

Fattispecie, comportamenti, rimedi.Per una teoria del fatto dovuto

SOMMARIO: 1. I fattori che spingono ad abbandonare la logica della fattispecie. — 2.Ideologia e tecnica della fattispecie. — 3. Le due fattispecie della norma. Il « fattodovuto ». — 4. La proporzione tra le due fattispecie. — 5. I rimedi. Introduzione.— 6. (Segue): il contratto non è una fattispecie. — 7. (Segue): « Ingresso libero aimaggiori di 18 anni ». Prime conclusioni. — 8. (Segue): unitarietà e vastità del temadei rimedi nel confronto tra la disciplina del contratto e quella del fatto illecito. —9. Specificazione e norme speciali. — 10. Conclusione.

1. — Da più parti e da qualche tempo si è avanzato nei nostristudî l’appello ad abbandonare la logica della fattispecie (1). Sirevoca in dubbio l’adeguatezza, o la perdurante adeguatezza, dellafattispecie quale categoria normativa e quale categoria scienti-fica (2): la sua capacità di costituire il modello di riferimento della

(1) Cfr. da ultimo i penetranti interventi di VETTORI, Oltre il consumatore, in Obbl.e contr., 2011, p. 86 ss.; ID., Diritti, principi e tecnica rimediale nel dialogo fra le corti,in Europa e dir. priv., 2011, p. 237 ss.; MAZZAMUTO, Il contratto europeo nel tempo dellacrisi, in Europa e dir. priv., 2010, p. 601 ss., spec. p. 605 ss. V. anche SCODITTI, Teoriae prassi nel diritto italiano su fattispecie e rapporto contrattuale, in Contratti, 2010, p.1155 ss., spec. pp. 1161-1162; nonché, sempre di recente, l’efficace nota a sentenza diDI MAJO, Un istituto mal tollerato: la prescrizione, nota a Cass., 18 gennaio 2011, n.1084, in Corr. giur., 2011, p. 491 ss., spec. p. 493

(2) V., anche per le notazioni storiche e i richiami della dottrina tedesca, BETTI,Istituzioni di diritto romano, volume I, rist. inalterata della seconda edizione, Padova,1947 (si tratta di un corso di istituzioni la cui prima edizione risale al 1929-1931, mentrela parte generale, riveduta e approfondita, fu pubblicata nel 1935 come primo volumedi un trattato di « Diritto romano »), § 2, p. 3 ss., § 45, p. 79 ss.; ID., Teoria generale delnegozio giuridico, in Trattato di diritto civile italiano, diretto da Vassalli, XV, t. 2,Torino, 1950, p. 2 nota 2; RUBINO, La fattispecie e gli effetti giuridici preliminari, Milano,1939, p. 3 ss.; CARNELUTTI, Teoria generale del diritto, Roma, 1940, § 104, p. 268 ss.; R.

tecnica di costruzione delle norme per il legislatore, e, per l’inter-prete, della tecnica di costruzione di soluzioni applicative.

Lo storico e il filosofo del diritto non avrebbero difficoltà adimostrare l’eternità dei motivi che si agitano dietro una simileistanza critica, mettendone in luce i nessi qualificanti con il discorsosulla morfologia delle fonti, il principio di autorità, il diritto posi-tivo, il diritto naturale, le categorie della tutela. Questo non toglie,però, che l’esigenza di ripensamento sia suscitata nel presente dafattori culturali ed istituzionali proprî del nostro tempo, e chedunque il relativo dibattito assuma un atteggiamento particolare, ecioè unico in una prospettiva di analisi diacronica, in quanto stori-camente condizionato.

I fattori che sollecitano il giurista di area continentale a ripen-sare oggi al ruolo del Tatbestand nella esperienza giuridica deldiritto privato sono principalmente quattro: la « super-costituziona-lizzazione » del diritto privato; il confronto con la cultura giuridicadi common law; l’emersione dei diritti della persona nell’area deirapporti economici tra i privati; la crescente attenzione verso irimedi.

Quanto al primo aspetto, viene in evidenza la posizione deitrattati e della carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, lecui statuizioni irradiano di principî il campo del diritto privato,esigendo di sviluppare nella dimensione del diritto europeo quelprocesso da noi già noto sotto il nome di « costituzionalizzazione »del diritto privato, che ha permesso da tempo al giurista italiano diriconoscere l’efficienza precettiva delle norme-principio (3). È unfenomeno che ho qui per brevità indicato con l’espressione super-costituzionalizzazione, dove il prefisso « super » sta ad indicare la

SCOGNAMIGLIO, Fatto giuridico e fattispecie complessa (considerazioni critiche intornoalla dinamica del diritto), in questa rivista, 1954, p. 331 ss.; ID., Contributo alla teoriadel negozio giuridico, rist. an., Napoli, 1956, p. 16 ss. nota 19; MAJORCA, voce Fattogiuridico. Fattispecie, in Noviss. dig. it., VII, Torino, 1961, p. 111 ss.; CATAUDELLA, Notesul concetto di fattispecie giuridica, in questa rivista, 1962, p. 433 ss.; ID., voceFattispecie, in Enc. dir., XVI, Milano, 1967, p. 926 ss.; SCOCA, Contributo sul tema dellafattispecie precettiva, Perugia, 1979, p. 25 ss.

(3) VETTORI, Oltre il consumatore, cit., p. 87; P. PERLINGIERI, Il diritto civile nellalegalità costituzionale secondo il sistema italo-comunitario delle fonti, Napoli, 2006. Perl’intenso dibattito che riguarda anche le tesi contrarie cfr., di recente, il denso saggio diL. FERRAJOLI, Costituzionalismo principialista e costituzionalismo garantista, in Giur.cost., 2010, 3, p. 2771 ss.

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conferma e l’estensione quantitativa di un risultato già acquisitopresso gli ordinamenti dotati di una costituzione (4).

Sotto il secondo profilo, viene in evidenza la necessaria in-fluenza esercitata sul legislatore dell’Unione europea e sulla Corte digiustizia dalla cultura giuridica anglosassone, caratterizzata da mar-cate differenze istituzionali e segnaletiche rispetto alla cultura giu-ridica continentale relativamente al governo, alla percezione e allaspiegazione del rapporto tra lo ius scriptum e il diritto di formazionegiurisprudenziale (5), nonché da un diverso modo di spiegare inchiave di teoria generale il rapporto tra i diritti e le tutele (6).

(4) Con tale prefisso non intendo anche prendere posizione sulla questione delc.d. primato del diritto dell’Unione europea, essendo tale questione e le relative soluzioniin principio indifferenti al tema che qui occupa. In proposito v. comunque, da ultimo, lestimolanti riflessioni di SCALISI, Ermeneutica dei diritti fondamentali e principio « per-sonalista » in Italia e nell’Unione Europea, in Riv. dir. civ., 2010, p. 145 ss., spec. p. 169ss., svolte in particolare in relazione alla « evoluzione dei diritti fondamentali anchenell’Europa comunitaria » (pp. 169-170). La prospettiva dei diritti fondamentali è alcentro dell’importante contributo di LIPARI, Diritti fondamentali e ruolo del giudice, inRiv. dir. civ., 2010, p. 635 ss. (e v. a p. 641 l’affermazione che il discorso ivi condottosui diritti fondamentali in quanto emblematico del modo di ragionare del giudice nondebba essere tuttavia relegato a tale àmbito).

(5) Su cui v. le esatte considerazioni di FALZEA, Unità del diritto, in Riv. dir. civ.,2005 pp. 218-219. Di recente, v. GAMBARO, Common law e civil law: evoluzione e metodidi confronto, in questa rivista, 2009, p. 7 ss. e anche le interessanti considerazioni di G.BENEDETTI, L’elogio dell’interpretazione traducente nell’orizzonte del diritto europeo, inEuropa e dir. priv., 2010, p. 413 ss. (anche in AA.VV., Attività transnazionali, saperegiuridico e scienza della traduzione, a cura di Sandulli e Faioli, Roma, 2011, p. 41 ss.).

(6) V. MAZZAMUTO, Il contratto europeo nel tempo della crisi, cit., p. 605.L’affermazione che l’edificazione del diritto europeo solleciti un ripensamento dell’im-postazione concettuale di tradizione dogmatica che si avvale dell’idea della fattispecie sitrova anche nelle belle pagine di G. BENEDETTI, Elogio dell’interpretazione traducentenell’orizzonte del diritto europeo, cit., dove si sviluppa più generalmente la proposta diun « approccio di indirizzo ermeneutico al diritto europeo » (p. 436 ss.). La ricerca di unnuovo metodo promosso dal diritto europeo non è questione che occupi soltanto igiuristi italiani. L’auspicio di una « nuova dogmatica del diritto civile europeo », adesempio, si trova formulato ed argomentato già più di dieci anni fa da BASEDOW,Anforderungen an eine europäische Zivilrechtsdogmatik, in AA.VV., Rechtsgeschichteund Privatrechtsdogmatik, a cura di Zimmermann-Knütel-Meincke, Heidelberg, 1999,pp. 79-100, spec. pp. 99-100. I curatori dello stesso volume dichiaravano, nell’introdu-zione, di avvertire « un’impellente esigenza di formare una scienza giuridica orientataall’Europa, piuttosto che soltanto ai singoli Stati », da cui l’enunciazione di un partico-lare problema di collegamento tra storia del diritto e dogmatica giuridica (ZIMMERMANN-KNÜTEL-MEINCKE, Zur Einführung, in AA.VV., Rechtsgeschichte und Privatrechtsdogma-tik, cit., pp. VII-IX). Per un contributo quasi altrettanto risalente v. anche A. FLESSNER,Juristische Methode und europäisches Privatrecht, in Juristen Zeitung, 2002, p. 14 ss.,

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Il terzo fattore è costituito dalla prepotente emersione dei dirittidella persona nella disciplina dei rapporti economici tra i privati, efinanche nelle cosiddette discipline del mercato, che hanno soventead oggetto attività e comportamenti (piuttosto che atti) degli attoriprofessionali. Si tratta di un fenomeno reso necessario dalla conti-nua crescita, aggregazione ed affermazione delle imprese e delleorganizzazioni professionali: soggetti che, sfruttando la loro forzaeconomica e le risorse tecnologiche della c.d. società dell’informa-zione, sono ormai in grado di incidere pervasivamente su tutti gliaspetti della vita delle persone. Il riferimento a clausole generali (lacui formulazione spesso risente di elaborazioni proprie di ordina-menti stranieri) e, di nuovo, a principî, è caratteristico di questenormative (7).

Infine, i rimedi. Ci si avvede sempre di più come l’analisi delcontenuto delle situazioni giuridiche soggettive non possa disgiun-gersi dalla considerazione dei rimedi e degli stessi strumenti proces-suali di tutela, se non a costo di perpetuare un discorso scientificoviziato da astrattismo e parzialità. Una serie innumerevole di indi-catori, quali squisitamente culturali, quali propriamente istituzio-nali, quali infine solamente contingenti, stanno a confermare laconcretezza del tema dei rimedi, e l’essenzialità della sua conside-razione per la messa a fuoco dei poteri e dei doveri complessiva-

del cui influsso risente N. JANSEN, Dogmatik, Erkenntnis und Theorie im europäischenPrivatrecht, in Zeit. eur. priv., 2005, pp. 750-783, spec. parr. II.6, III e IV. Dellanecessità per il giurista contemporaneo di sapersi servire delle norme « provenienti daBruxelles e Strasburgo », e delle impostazioni dogmatiche dei vari paesi europei, parla C.BALDUS, Schlusswort, in AA.VV., Juristenausbildung in Europa zwischen Tradition undReform, a cura di Baldus-Finkenauer-Rüfner, Tübingen, 2008, p. 383 ss.

(7) Si tratta di percorsi normativi a tutti noti. A proposito della realtà cui talidiscipline si rivolgono, si può ricordare la sintesi utilizzata in P. GROSSI, Santi Romano:un messaggio da ripensare nella odierna crisi delle fonti, in questa rivista, 2006, p. 394:« [...] alla vecchia arroganza del potere politico si può oggi sostituire l’arroganza nonmeno soffocante di quei poteri economici che sono protagonisti del fenomeno globaliz-zatorio, poteri che in nome del maggior profitto possono arrivare a mercificare ognirapporto e ogni situazione [...] ». Sull’interazione tra persona e mercato v., tra imoltissimi contributi, AA.VV., Persona e mercato: lezioni, a cura di Vettori, Padova,1996; G. BENEDETTI, Il diritto comune dei contratti e degli atti unilaterali tra vivi acontenuto patrimoniale2, Napoli, 1997, p. 137 ss.; IRTI, L’ordine giuridico del mercato,Roma-Bari, 2003; CIAN, Contratti civili, contratti commerciali e contratti d’impresa:valore semantico-ermeneutico delle classificazioni, in Riv. dir. civ., 2004, I, p. 849 ss.;AA.VV., Concorrenza e mercato. Le tutele civili delle imprese e dei consumatori, a curadi Vettori, Padova, 2005; LIPARI, Persona e mercato, in questa rivista, 2010, p. 757 ss.

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mente ed effettivamente esistenti in un dato ordinamento al di là deidiritti e degli obblighi sostantivi proclamati nella legge (8). Così, aproposito degli indicatori che possiamo definire culturali, la dottrinaitaliana sottolinea la propensione del legislatore comunitario a pre-vedere direttamente rimedi a fronte delle istanze di protezioneconsiderate, piuttosto che organizzare la sua disciplina intorno alloschema, a noi più familiare, della fattispecie originatrice di situa-zioni giuridiche soggettive (9). Inoltre, il confronto tra ordinamentidiversi in seno alla Unione europea sembra far prevedere che ilprocesso di armonizzazione dovrà estendersi anche a norme confor-mative di profili processuali qualificanti degli stessi apparati ditutela (10), nella crescente consapevolezza che non prevedere af-fatto, o articolare in modo solo generico, le c.d. enforcement rulesall’interno di strumenti normativi dell’Unione europea sia un’op-zione inefficiente rispetto all’obiettivo della rimozione di tutti gliostacoli che si frappongono al corretto funzionamento del mercatointerno, e possa persino creare nuove distorsioni (è il tema del c.d.penalty shopping). Tra gli indicatori meramente contingenti, basteràcitare la durata del processo, che concorre ad individuare gli stru-menti ed i rimedi effettivamente disponibili in una data giurisdi-

(8) Tra i molti aa. e i molti luoghi, v. VETTORI, Diritti, principi e tecnica rimedialenel dialogo fra le corti, in Europa e dir. priv., 2011, p. 249 (e v. anche pp. 255-256); ID.,Autonomia privata e contratto giusto, in Riv. dir. priv., 2000, p. 21 ss. Tra i numerosicontributi al c.d. approccio rimediale nella dottrina italiana, cfr. anche MAZZAMUTO, Lanozione di rimedio nel diritto continentale, in Europa e dir. priv., 2007, p. 585 s.; ID.,I rimedi, Manuale di diritto privato europeo, II, a cura di Castronovo e Mazzamuto,Milano, 2007, p. 748 s.; DI MAJO, Il linguaggio dei rimedi, in Europa e dir. priv., 2005,p. 341 ss.; ID., La tutela civile dei diritti, Milano, 2001, p. 13 s.; ID., La tutela dei dirittitra diritto sostanziale e diritto processuale, in Riv. dir. civ., 1989, p. 363 ss.; MESSINETTI,Sapere complesso e tecniche giuridiche rimediali, in Europa e dir. priv., 2005, p. 605 s.;ID., Processi di formazione della norma e tecniche « rimediali » della tutela giuridica, inScienza e insegnamento del diritto civile in Italia. Convegno di studi in onore del prof.Angelo Falzea, a cura di V. Scalisi, Milano, 2004, p. 209 ss.; MATTEI, I rimedi, in ALPA-GRAZIADEI-GUARNIERI-MATTEI-MONATERI-SACCO, La parte generale del diritto civile. 2. Ildiritto soggettivo, in Trattato di diritto civile, diretto da Sacco, Torino, 2001, p. 105 s.

(9) Cfr. ancora MAZZAMUTO, Il contratto europeo nel tempo della crisi, cit., p.605 ss.

(10) Si pensi alla recente dir. Ce n. 22 del 2009 relativa a provvedimenti inibitoria tutela degli interessi dei consumatori o alla dir. Ce n. 48 del 2004 sul rispetto(enforcement) dei diritti di proprietà intellettuale.

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zione (11), e che da ultimo è stata riconosciuta formare l’oggetto diun diritto soggettivo di rilevanza costituzionale (art. 111, comma 2º,cost.) e del diritto fondamentale « a un ricorso effettivo e a ungiudice imparziale » di cui all’art. 47 della carta dei diritti fonda-mentali dell’Unione europea (12).

2. — Non si può tuttavia superare una prospettiva senza esserecerti di conoscerne i confini. Si può dubitare, per incominciare, chela teoria della fattispecie sia davvero così angusta da rendere impos-sibile raccogliere al suo interno le sfide costruttive presentate daiprincipî, dai diritti della persona, dalle clausole generali, dai rimedi.E, di converso, non sembra si possa rinunciare a verificare se questesfide non siano piuttosto un pungolo storico, che viene a stimolareoggi linee di approfondimento latenti nella nostra cultura.

Inoltre, proprio a proposito delle linee di approfondimentolatenti in una cultura, sembra indispensabile distinguere tra culturae ideologia. L’ideologia interviene a distorcere una cultura, adabusare di certi suoi aspetti e a metterne in ombra altri, cherimangono allora latenti. Bisogna così chiedersi se gli appelli adabbandonare la logica della fattispecie non siano essenzialmenteindirizzati ad una ideologia della fattispecie, quella affermatasi in unmondo ormai diverso dal presente, in cui non avevano gioco queitanti e così significativi fattori sopra richiamati.

L’opportunità di proporsi tutte queste verifiche sembra confer-mata dalla circostanza che gli appelli ad abbandonare la logica dellafattispecie sono al contempo, e giustamente, caratterizzati dallaconsapevolezza della necessità di una tecnè (13). Se soltanto nuovao anche propriamente « alternativa » a quella della fattispecie, non èquesto il punto. Il punto è che di una tecnica il giurista sente di averebisogno, ed ha effettivamente bisogno. Appare allora opportunoprovare a stabilire se la teoria della fattispecie — che sicuramente

(11) Non è necessario soffermarsi sulla lentezza del servizio della giurisdizioneche affligge il nostro sistema in una misura tale da proporre interrogativi sulla effettivitàdel diritto.

(12) V. sul punto, da ultimo, CAPONI, Il principio di proporzionalità nella giustiziacivile: prime note sistematiche, in questa rivista, 2011, p. 391 ss.; VETTORI, I principicomuni del diritto europeo dalla CEDU al Trattato di Lisbona, in Riv. dir. civ., 2010, pp.129-130.

(13) VETTORI, Oltre il consumatore, cit., pp. 86, 88.

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contiene tutti gli elementi e la sapienza di una tecnè — possa essereancora utilizzata con modalità adeguate ai tempi, esaltando e svi-luppando certi aspetti rimasti inespressi e mettendone a tacere altri.

Chi commentasse che così ragionando non altro si teorizzerebbeche lo spazio per una nuova ideologia della fattispecie avrebberagione, semplicemente perché avrebbe torto colui che si prefiggessedi combattere una forma ideologica credendo di non proporne unanuova.

Pertanto, se è comprensibilmente ancora da scoprire quale saràil segno o la qualità della svolta teorica che tutti i fattori soprarichiamati sembrano voler preparare (non si può d’altronde annun-ciare uno sconosciuto), quel che è certo è che si tratta di incomin-ciare a lavorare intorno ad una tecnica, e, come in tutti i campi,conviene partire da quel che si ha per stabilire quanto vi è di utile equanto di inservibile.

3. — Da superare, in quanto parziale ed astratta, è la conce-zione della norma che congiunge un mondo reale ed un mondoideale: il mondo del fatto e quello del diritto, il fatto che accade el’effetto giuridico (14). Di utile esiste la concezione, già teorizzata inFalzea, e che si tratta di sviluppare e rendere fruibile, della normache contiene non una bensì due fattispecie, due species facti: il fattoche accade e quello che deve accadere, il fatto trovato ed il fattodovuto.

Vero è che la fattispecie è ancora oggi generalmente intesa soloquale parte condizionante della norma, o protasi. E tuttavia, sullascorta dell’insegnamento di Falzea, va precisato che i fatti che lanorma prefigura non sono soltanto quelli della sua parte condizio-nante o protasi, ma anche quelli previsti nella sua parte condizionatao apodosi. Ed invero, anche nella rappresentazione della partecondizionata della norma, o apodosi, vi è una componente di fatto:il fatto che deve verificarsi per il diritto (15).

(14) RUBINO, La fattispecie e gli effetti giuridici preliminari, cit., p. 3: « Ladinamica del diritto ruota fra due poli: le fattispecie ed i corrispondenti effetti giuridici ».

(15) Falzea parla della « componente di fatto dell’effetto » proprio per indicarecome nella costruzione e nella concezione dell’effetto giuridico sia necessaria unarappresentazione di fatto: FALZEA, voce Efficacia giuridica, in Enc. dir., XIV, Milano,1965, p. 473 s., e anche ID., voce Fatto giuridico, in Enc. dir., XVI, Milano, 1967, p. 942.

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Se, riferendoci alla polarità con la quale tradizionalmente spie-ghiamo la proprietà operativa del diritto, si può dire che la funzioneessenziale della norma consiste nel congiungere due mondi, quellodell’essere e quello del dover essere; può aggiungersi che essi sonoentrambi rappresentati nella norma attraverso figure di fatti: quelliche il diritto prevede per l’eventualità che si verifichino effettiva-mente nel tempo (es.: il contratto stipulato); e quelli che il dirittoprevede che debbano verificarsi nel tempo (es.: il contratto che deveessere stipulato in adempimento di un’obbligazione a con-trarre) (16).

Quando si spiega la norma giuridica in termini di « fattispecie »ed « effetto », soltanto la figura dei primi è messa in luce. È inveceutile ulteriormente osservarsi che l’effetto è a sua volta in funzionedi una rappresentazione di fatto; che il diritto in un certo senso partedal fatto e ritorna al fatto: parte dal fatto che trova e ritorna al fattoche « vuole » che si realizzi; e precisarsi che l’effetto giuridico è lostrumento per operare questo ritorno.

Così, per portare due esempi, si può dire che l’esecuzione di unaprestazione ed il rispetto del bene altrui sono « fatti dovuti », edaggiungersi che, senza la rappresentazione di tali fatti, il diritto dicredito e quello di proprietà non potrebbero apparire altrimenti cheforme vuote, in quanto prive di destinazione in quella dimensionec.d. reale o temporale che solo interessa al diritto.

Se attribuiamo al termine fattispecie il significato etimologicosuo proprio di « figura di fatto » (species facti), dobbiamo perciòaderire alla precisazione che la norma contiene non una ma duefattispecie (17).

In una diversa prospettiva, non è poi inutile collegare l’« idea-lità » dell’effetto giuridico al carattere deontico della norma.

Sotto questo riguardo, è proficuo richiamare la lezione di Allara,

(16) CARNELUTTI, Teoria generale del diritto, cit., p. 268: « Per conseguire il lorofine, le norme [...] non possono dire altro che questo: posto un certo fatto, ne deriva uncerto effetto; perciò si compongono di due parti, alle quali si dà il nome di fattispecie edi statuizione. La fattispecie consiste nella formulazione di un’ipotesi, la statuizionenella formulazione di una tesi: se accadrà il fatto x accadrà altresì il fatto y. Chiamandola prima ‘fattispecie’ si vuol dire ch’essa consiste nella descrizione di un fatto [...]. Laseconda formulazione si indica con la voce ‘statuizione’ perché con essa si manifestal’intervento della volontà [...] così si stabilisce ciò che deve avvenire ».

(17) FALZEA, voce Efficacia giuridica, cit., p. 473.

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che indicava nel dovere l’oggetto in senso logico del rapportogiuridico (18).

Se è vero che il giurista attinge usualmente al risultato esplica-tivo del concetto di effetto, che si avvale della descrizione dellesituazioni giuridiche attive e passive che intervengono a modificarele sfere soggettive, non è men vero che si possa rendere esplicito ilsuccessivo ed ultimo passaggio che collega tali situazioni al concettodi dover essere.

Così, se viene correttamente affermato che gli effetti giuridicisono « modificazioni di ordine ideale » (19), può aggiungersi che sitratta di modificazioni qualificate da un sistema precettivo, essen-zialmente indirizzato all’azione. Quella espressione equivale a direche in concomitanza di certi eventi del mondo c.d. reale mutal’ordine giuridico, che è un ordine ideale: nascono, si modificano emuoiono poteri e doveri. Ma si può anche osservare che si tratta diuna idealità particolare, quella del precetto, del dover essere giuri-dico; e che dunque si tratta di modificazioni di un ordine deontico,indirizzato all’agire dell’uomo, e cioè a quella dimensione nellaquale collochiamo, anche temporalmente (20), le nostre azioni.

Vero è che siamo soliti riferirci agli effetti ed alle situazionigiuridiche soggettive per essi idealmente costituite, tanto quelleattive che quelle passive, attribuendo direttamente ad esse un ordineed un carattere temporale: situazioni che sorgono o vengono acqui-state in un certo momento, si dice, o che durano per un certo tempo,o che in un certo momento si estinguono, si trasmettono o simodificano.

Questo modo di esprimersi è sicuramente utile per il beneficiodella sintesi che realizza, ma non bisogna dimenticare che essonasconde un’astrazione funzionale, al fondo della quale vi è pursempre la rappresentazione dei « fatti dovuti » nel tempo: il dirittovuole in definitiva non l’esistenza, bensì il rispetto delle situazioni

(18) ALLARA, Le nozioni fondamentali del diritto civile, 5, I, Torino, 1958, p. 242ss.; e v. anche p. 251 ss. per l’affermazione che oggetto del rapporto obbligatorio sia il« comportamento dovuto ».

(19) Così, ad es., DI MAJO, voce Termine (dir. priv.), in Enc. dir., XLIV, Milano,1992, p. 187 (e v. anche BETTI, Istituzioni di diritto romano, cit., p. 79, che definiscel’effetto giuridico « evento d’ordine puramente spirituale »).

(20) Cfr. ORLANDO, Sul tempo dei fatti e degli effetti, in Studi in onore di GiuseppeBenedetti, Napoli, 2008, p. 1273 ss.

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giuridiche soggettive, nel senso che l’esistenza di tali situazioni è infunzione della pratica realizzazione degli interessi in vista dei qualiesse sono costituite. Tale rispetto si sostanzia di previsioni di fattidovuti: si sostanzia di « fare » e di « non fare », e cioè di comporta-menti, di attività e di astensione, prefigurati con le qualifiche, anchecronologiche, della realtà c.d. sensibile (21).

Ciò sta a significare, molto semplicemente, che il diritto pre-scrive che certi comportamenti debbano tenersi in concreto neltempo, fissando una stregua di diagnosi della sua osservanza, e, inessenza, il metro della sua effettività, del suo esserci, attraverso ilquale si misura quante volte si torna al fatto, e cioè quante volte ildover essere diventa essere.

Rifacendoci alla polarità dell’ordine giuridico, può dunque dirsiche la norma articola le sue previsioni raffigurandole idealmentenella dimensione del fatto, tanto nella sua parte logica c.d. condi-zionante che in quella c.d. condizionata.

4. — Se nella norma si individuano due fattispecie, nel sensosopra precisato, ci si accorge anche come non solo, come è ovvio, lefigure degli obblighi e delle situazioni giuridiche soggettive passiveservano ad indicare il contenuto dei comportamenti doverosi, mache a tale funzione assolva anche il riferimento alle libertà e ai dirittisoggettivi. Il riferimento alle libertà e ai diritti soggettivi serve cioèanch’esso a costruire la seconda fattispecie della norma, quella delfatto dovuto, e come tale va interpretato.

Qui risiede tuttavia una seconda difficoltà, portata dalla tradi-zionale distinzione tra situazioni giuridiche soggettive attive e pas-sive, e più ancora dalla semplificazione esplicativa — che a taledistinzione usualmente si accompagna — a sentire la quale il mondodel diritto si divide in poteri e doveri che scaturiscono da fattiprevisti con tale finalità « originatrice » dalla legge. Tale modo dispiegare le situazioni giuridiche soggettive, seppure utile per deter-minate finalità di indagine, può risultare fuorviante nella misura incui non consente di comprendere come il diritto, per sua natura,

(21) Cfr. IRTI, La teoria delle vicende del rapporto giuridico, prefazione a ALLARA,Vicende del rapporto giuridico, fattispecie, fatti giuridici, Torino, 1999 (rist. an.), p. 16:« Le vicende del rapporto si risolvono in vicende di statuti giuridici, che toccano icontegni di soggetti e su oggetti, individuati dalle fonti generatrici ».

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preveda sempre a tutela delle libertà e dei diritti soggettivi figure dicomportamenti doverosi, ed appronti rimedi per il caso in cui essinon vengano posti in essere da chi vi è astretto.

L’individuazione e la specificazione dei comportamenti dovuti afronte delle libertà e dei diritti soggettivi sono sempre un risultatoermeneutico. Esso si rivela più o meno agevole a seconda dellasituazione giuridica soggettiva attiva considerata: apparentementeimmediato a cospetto dei diritti relativi, esso è meno prossimoquando vengono in considerazione i diritti assoluti e le libertà. Etuttavia si tratta di un risultato che l’interprete è abituato a trovare,dacché si confronta con il precetto del neminem laedere. La costi-tuzionalizzazione o la supercostituzionalizzazione del diritto privatonon mutano, semmai rendono più evidente la necessità di unaconsapevolezza verso una tecnica così orientata.

Sulla base di queste premesse, possiamo introdurre il tema dellaproporzione.

Nella concezione tradizionale, la norma contiene due elementiincommensurabili: fatto e diritto non possono confrontarsi e misu-rarsi a vicenda. Nella concezione che rinviene nella norma duefattispecie, i suoi elementi sono commensurabili: tra due figure difatto si può instaurare una proporzione. È al giudizio possibileproporre la questione se di fronte ad un determinato fatto trovato(prima fattispecie) sia proporzionato un determinato fatto dovuto(seconda fattispecie), e cioè la questione che consiste nello stabilirese a fronte di un certo fatto sia proporzionato che uno più soggettipossano fare o non fare una certa cosa, o che uno più soggettidebbano fare o non fare una tale altra cosa. Il « drammatizzarsidell’esito dell’interpretazione », teorizzato in Betti, conferma questaprospettiva teorica, non altro volendo dire che il portare in scena,per saggiarne la plausibilità, il fatto che si ipotizza dovuto sulla basedell’interpretazione della norma, che si tratta di vagliare. Il maestrodell’ermeneutica aggiungeva che nella stessa prospettiva di analisi sipone il legislatore (22).

Nella nostra cultura, la proporzione tra le due fattispecie è un

(22) BETTI, Interpretazione della legge e degli atti giuridici, Milano, 1949, p. 5:« Inoltre l’interprete deve — come dovette già chi emanò la norma o la pronuncia dicarattere precettivo — raffigurarsi nelle reazioni e ripercussioni pratiche, e in questosenso drammatizzarsi (realize, si direbbe in inglese), l’esito della interpretazione che staper proporre e sostenere. Insomma, a differenza dall’interprete che ha in vista un esito

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bene custodito e valorizzato sia dalla tecnica legislativa che dallatecnica dell’interpretazione, nel senso che la legge e l’ermeneuticaprovvedono a fornire criteri per il giudizio di proporzione. Sotto ilprimo profilo viene in conto l’uso frequente delle clausole generalida parte del legislatore. Le clausole generali permettono di propor-zionare il fatto dovuto a quello disciplinato. Per fare un soloesempio, la buona fede interviene a individuare il contenuto dicomportamenti doverosi, in modo proporzionato alle più variecircostanze del campo di attività di volta in volta disciplinato. Sottoil secondo aspetto, viene in evidenza la considerazione degli interessida parte dell’interprete. Il giurista conosce l’orientamento degliinteressi, e su di essi è solito misurare gli effetti giuridici, non soloa cospetto di norme che chiamano direttamente in causa principî odiritti assoluti, ma anche con riguardo a norme all’apparenza aset-tiche (si può portare l’esempio delle norme sul procedimento diformazione del contratto o quelle sull’efficacia degli atti unilate-rali (23)), in quanto rinviene dietro ogni norma un conflitto traposizioni di interesse, e dunque si rappresenta sempre la sorte chespetterebbe agli interessi secondo il piano di composizione ipotiz-zato dalla soluzione ermeneutica di volta in volta al suo esame.

Attraverso il giudizio di proporzione si può ridurre o aumentarein via ermeneutica tanto l’area della prima fattispecie che l’area dellaseconda fattispecie, in quanto un simile giudizio ha in sé la capacitàdi esprimersi in termini di inadeguatezza, di sproporzione, di ecce-denza, ecc.

5. — Ancora più lontana dalla ideologia tradizionale è la proie-zione della seconda fattispecie (quella del fatto dovuto) nell’area deirimedi. Si tratta tuttavia di un’operazione indispensabile. Ed infatti,se è vero, come si è sopra ricordato, che nella figura del fatto dovutosi trova una sintesi delle figure di ciò che si può fare e non fare(libertà e diritti soggettivi) e delle figure di ciò che si deve fare e non

puramente conoscitivo, l’interprete qui ha in vista, attraverso il risultato intellettivo, unesito pratico, che conduce a prender posizione in date situazioni ipotizzate in anticipo ».

(23) Cfr. G. BENEDETTI, Dal contratto al negozio unilaterale, Milano, 1969, p. 47ss.; ID., Il diritto comune dei contratti e degli atti unilaterali tra vivi a contenutopatrimoniale, Napoli, 1991, p. 133 ss.; ID., La formazione del contratto, in AA.VV.,Manuale di diritto privato europeo, a cura di Castronovo e Mazzamuto, II, Milano,2007, p. 349 ss.

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fare (doveri e obblighi), in quanto, come si è detto, a presidio dellelibertà e dei diritti soggettivi il diritto prevede sempre in capo allageneralità dei consociati o a determinati soggetti un contegno do-veroso, non è men vero che una simile protezione non si esauriscenella previsione di comportamenti doverosi per i privati, ma siestende necessariamente all’approntamento di rimedi disegnati in-torno all’eventualità che il fatto dovuto non si verifichi.

I rimedi si ordinano tutti intorno al fatto dovuto: tanto i rimedipreventivi, istituiti in previsione del pericolo che il fatto dovuto nonsi realizzi; che i rimedi successivi, istituiti in previsione del caso incui effettivamente il fatto dovuto non si verifichi, vuoi perché icomportamenti doverosi non vengano posti in essere da chi vi ètenuto, vuoi per il concorso o l’esclusivo agire di altri fatti.

In breve, attraverso l’analisi dei rimedi si può dare ingresso allaconsiderazione di ciò che si può e non si può ottenere di fronte allaminaccia o alla certezza che il fatto dovuto non accada.

Ciò è tuttavia messo in ombra dalla concezione tradizionaledella fattispecie, in particolare nella materia contrattuale. Se consi-deriamo, per fare un esempio, il modo tradizionale di spiegare unaregola fondamentale del diritto dei contratti, quella sulla riconosci-bilità dell’errore, ci si avvede come, senza l’ausilio della tecnica chesuggerisce di cercare innanzitutto il fatto dovuto, l’interprete hadifficoltà a comprendere ciò che essenzialmente questa regola signi-fichi, e l’analisi si sfilaccia in svolgimenti marginali, quando nonaddirittura incongruenti. Si insegna così che l’errore per essererilevante ai fini dell’annullabilità deve avere due requisiti, l’essen-zialità e la riconoscibilità, e, ancora, che la regola della riconoscibi-lità è posta a tutela dell’affidamento, pretendendosi, con quest’ul-tima osservazione, di aver indicato il fondamento della norma. Èquesto, se è consentito così commentare, un esempio evidente dicome l’analisi giri a vuoto laddove non venga orientata nel sensodetto. Al contrario, l’interprete può e deve ricavare dagli artt. 1428e 1431 c.c. innanzitutto il fatto dovuto, individuando un divieto, eattraverso di esso un comportamento proibito: non si deve conclu-dere un contratto sapendo, od essendo in grado di conoscere, che lacontroparte è incorsa in un errore essenziale. A tale divieto ècollegato un rimedio, nel senso che l’annullamento è il rimedio di cuiil contraente caduto in errore dispone per il caso in cui il compor-

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tamento doveroso (il fatto dovuto) non sia stato osservato dall’altrocontraente che vi è tenuto.

Analizzata in questa luce, non si ha difficoltà ad individuare lavera ratio di questa norma (ed appare singolarmente rovesciata laprospettiva dell’affidamento) e a collegarla alla disciplina del dolo edell’intero istituto dell’annullamento. Ragionando in questo modo,si creano altresì le premesse per instaurare i nessi con le norme sullaresponsabilità precontrattuale. Per portare un solo esempio, inquesta prospettiva la norma dell’art. 1338 c.c. può essere interpre-tata nel senso di riconoscere sempre il rimedio del risarcimento afronte di un contratto invalido per errore, eccezion fatta soltanto peril caso di errore colpevole. Ed infatti, colui che, contrariamente aldivieto implicitamente contenuto negli artt. 1428 e 1431 c.c., con-clude un contratto sapendo o dovendo sapere che l’altra parte èincorsa in errore essenziale, per definizione sa o dovrebbe sapere cheil contratto è annullabile.

In questo senso può dirsi che la prospettiva e la tecnica diricerca della fattispecie del fatto dovuto possono fornire un fonda-mento di teoria generale, ed assicurare una verifica e la possibilità dirazionali svolgimenti ai più recenti contributi della dottrina e dellagiurisprudenza che hanno individuato il rimedio del risarcimentoaccanto a quello dell’annullamento, ed anche, indipendentementedalla invalidità del contratto, in quanto tali contributi muovono tuttidalla ricerca della violazione di specifici obblighi di comportamentoindividuati attraverso la ricerca di figure di comportamenti dove-rosi (24).

(24) Mi limito qui a richiamare il lavoro, per certi aspetti pioneristico, di M.MANTOVANI, « Vizi incompleti » del contratto e rimedio risarcitorio, Torino, 1995,essendo a tutti noto lo sviluppo corposissimo della dottrina e della giurisprudenza sultema. V. ad es. Cass., 29 settembre 2005, n. 19024, in Foro it., 2006, I, c. 1105, con notadi SCODITTI, Regole di comportamento e regole di validità: i nuovi sviluppi dellaresponsabilità precontrattuale; in Giur. it., 2006, 8-9, p. 1599, con nota di SICCHIERO, Unbuon ripensamento del S. C. sulla asserita nullità del contratto per inadempimento; inContratti, 2006, 5, p. 446, con nota di POLIANI, La responsabilità precontrattuale dellabanca per violazione del dovere di informazione; in Danno e resp., 2006, 1, p. 25 ss.,con nota di ROPPO-AFFERNI, Dai contratti finanziari al contratto in genere: punti fermidella Cassazione su nullità virtuale e responsabilità precontrattuale; in Corr. giur., 2006,5, p. 669, con nota di G. GENOVESI, Limiti della « nullità virtuale » e contratti sustrumenti finanziari (e v. rilievi di G. BENEDETTI, La rescissione, in Il contratto ingenerale, XIII, 8, in Trattato di diritto privato, diretto da Bessone, Torino, 2007, p. 47s., secondo cui tale sentenza « con piena consapevolezza critica, sorpassa l’egemonia del

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Su questa base, non soltanto stimiamo corretto aderire allasollecitazione verso il superamento di una « prospettiva rimedialepriva di un riferimento [agli] interessi sostanziali protetti » (25), maci sembra di poter corrispondere in modo propositivo ad essa. Ciò inquanto la prospettiva e la tecnica qui proposte sono orientate atrovare nella figura del fatto dovuto, come visto, la sintesi tra lesituazioni giuridiche soggettive attive e passive sottese al rimedio,nella quale hanno gioco gli interessi sostanziali protetti.

Una seconda difficoltà che impedisce di collegare il rimedio alfatto dovuto deriva dalla circostanza che l’ordinamento attribuisce ildovere di amministrare e somministrare i rimedi in capo alle istitu-zioni che applicano il diritto, ciò che avviene principalmente nelprocesso (26). Da qui il pericolo che l’analisi dei rimedi giudizialiperda ulteriormente di vista il fatto dovuto, concentrandosi ora suipoteri e i doveri delle parti e del giudice nel processo, ora sulcontenuto della pronuncia ottenibile dal giudice, senza chiedersituttavia in che termini ed in quale misura lo svolgimento del

dogma della fattispecie — che troppo a lungo ha ridotto la rilevanza di certi momentifuori di essa — » così « riconoscendo autonomo rilievo a momenti esterni alla fattispeciecontrattuale, e in specie a comportamenti tenuti nel corso delle trattative o anche in sededi esecuzione ». In questo modo l’indirizzo giurisprudenziale delinea, secondo l’a., « unadimensione giuridica distinta dalla fattispecie, idonea a costituire l’orizzonte più appro-priato a far emergere certi problemi relativi ai comportamenti delle parti, tenuti primao dopo la conclusione del contratto », e « l’ottica della fattispecie dunque non assorbetutta la problematica dell’area contrattuale, specie con riferimento ai rimedi giudiziali,sicché essa non può costituire impedimento delle altre prospettive »); nonché Cass., sez.un., 19 dicembre 2007, n. 26725, in Obbl. e contr., 2008, p. 104 ss., con i rilievi diVETTORI, Regole di validità e di responsabilità di fronte alle Sezioni Unite. La buona fedecome rimedio risarcitorio; in Giur. it., 2008, p. 353 ss., con nota di COTTINO, Laresponsabilità degli intermediari finanziari e il verdetto delle Sezioni Unite: chiose,considerazioni e un elogio dei giudici; in Resp. civ. e prev., 2008, p. 556 ss., con nota diF. GRECO, Intermediazione finanziaria: violazione di regole comportamentali e tutelasecondo le sezioni unite.

(25) VETTORI, op. cit., p. 86; e v. anche le giuste e puntuali osservazioni di G. B.FERRI, Riflessioni sul diritto privato europeo, in Europa e dir. priv., 2011, p. 17 « ilconcreto operare del rimedio presuppone l’individuazione di ciò cui si intende rime-diare », e « i rimedi, che certamente anche i sistemi dei codici contengono ed esprimono,non costituiscono mai una soluzione soltanto algidamente tecnica, ma la logica eragionevole conseguenza dei valori cui tali sistemi si ispirano e da cui essi sonopermeati ».

(26) Sulle tutele giurisdizionali, cfr., da ultimo NIVARRA, I rimedi specifici, inEuropa e dir. priv., 2011, p. 157 ss.

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processo e la pronuncia modifichino l’assetto di interessi in consi-derazione del quale il rimedio è disposto.

In proposito, corrispondendo anche qui idealmente ad un inse-gnamento antico, appare corretto affermare che il processo (essendoil luogo in cui il rimedio giudiziale diventa vitale) debba essereindagato non soltanto nella prospettiva dei rapporti o dei presup-posti processuali, ma anche nella prospettiva del confronto con ilfatto dovuto sul piano del rapporto sostanziale, in relazione al qualeil rimedio solo è istituito e si giustifica (27). In tale prospettiva, ci sipuò chiedere in particolare cosa è destinato a rimanere intatto, cosaad essere soddisfatto e cosa pregiudicato — dopo il processo e lapronuncia — degli interessi, dei diritti e dei doveri in relazione aiquali il rimedio è disposto. Altri direbbe che il processo può essereindagato alla stregua di una « vicenda » dei rapporti giuridici. Ed èun modo efficace, seppure astratto, per dire in sintesi che il rimedioed il processo non hanno davvero il potere ultraterreno di disfare ciòche è accaduto. Ma tale concetto si può ulteriormente utilizzaredicendo che i rimedi debbano essere studiati — nella loro interezza— con la finalità di comprendere quanto si può ottenere e quantonon si può ottenere rispetto al fatto dovuto.

In questa prospettiva, il giurista può proporre soluzioni inter-pretative orientate a far sì che il rimedio tenda ad adeguare il piùpossibile — e cioè nei limiti del possibile — ciò che è accaduto a ciòche doveva accadere (il fatto dovuto). In relazione ai rimedi dinatura contenziosa, tale approccio va seguìto tanto con riferimentoalle norme che stabiliscono il contenuto dei provvedimenti, che conriguardo alle norme che costituiscono gli stessi poteri e doveriprocessuali, traendo dall’attualità storica elementi promotori di

(27) Si ricordi l’insegnamento di Pugliatti: « Il processo ha una sua indubitabileindipendenza, come complesso di atti giuridici, ma è per la sua destinazione legato aldiritto sostanziale, ed ha rispetto ad esso, funzione strumentale. Si capisce che ilprocesso si svolge, in sé stesso, attraverso l’esercizio di diritti di natura processuale, main fine, quando ha esplicato la sua funzione strumentale, e i diritti processuali si sonoattuati, non si può dire che solo questi hanno avuto attuazione: i punti estremi sonosempre costituiti dal diritto subiettivo e dalla sua realizzazione, e in mezzo stanno gli attie i diritti processuali, come serie che comincia subito dopo il diritto subiettivo e siestingue subito prima della estinzione di esso »: PUGLIATTI, Esecuzione forzata e dirittosostanziale, Milano, 1935, p. 13. In quest’opera, il maestro messinese indagava, tral’altro, l’effetto prodotto dall’esecuzione forzata sul rapporto obbligatorio.

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giudizi di adeguatezza ed effettività, quale è oggi quello della duratadel processo.

6. — Le considerazioni esemplificative sopra svolte sul rimediodell’annullamento per errore suggeriscono di indugiare oltre sulladisciplina del contratto, con la stessa limitata finalità che motiva lapresente analisi, e cioè al fine di provare ad individuare quanto dellateoria del contratto risponda alla ideologia tradizionale della fatti-specie, la cui revisione critica, come si è tentato di dire, è unacondizione essenziale per individuare quella tecnica nuova di cui ladottrina italiana sente l’urgenza.

La finalità sopra dichiarata sta a significare che le scarne osser-vazioni che precedono e che seguono non aspirano certo ad abboz-zare le linee di una nuova teoria del contratto, e tuttavia ambisconoa mettere in evidenza alcuni motivi delle difficoltà e delle sollecita-zioni che caratterizzano oggi il discorso sul contratto.

Senza girarci attorno, sembra indispensabile cominciare conl’osservare che il contratto non è un fatto, e che dunque esso nonpuò essere raffigurato in una fattispecie (figura di fatto, speciesfacti). L’idea che il contratto sia tecnicamente una fattispecie èerrata. Tanto più errata è l’idea che sia una fattispecie che sicompone dei « requisiti » o « elementi » di cui all’art. 1325 c.c.

Nel mondo dei fatti reali considerato dalla disciplina del con-tratto esistono comportamenti di soggetti, che accadono o si svol-gono nel tempo, dalle trattative alla conclusione del contratto edurante la fase esecutiva, nella cornice di altre circostanze fattuali ecioè di altri fatti (28). Questi fatti, e non già il contratto o i suoi« elementi », sono raffigurabili in fattispecie, e di essi possonopredicarsi qualità di tempo e di spazio (29), in quanto si tratta diaccadimenti o eventi del mondo reale. Accadimento è, ad esempio,il pervenire dell’accettazione all’indirizzo del proponente, che, per lalegge, fa concludere il contratto. Quando questo fatto si verifica, ciò

(28) CARNELUTTI, Teoria giuridica della circolazione, Padova, 1933, p. 62 (e rist.an., Camerino, 1981): « [...] il contratto, duorum in idem placitum consensus, è un attoo meglio una somma o combinazione di più atti [...] ».

(29) SANTORO-PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, rist. 1989, p.111: « Quanto al tempo, esso, come il luogo, non è che una relazione, un modo d’esseredel fatto ».

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che accade nel mondo reale è questo stesso fatto. Nel mondo realenon « accade » il contratto, e l’espressione, che per brevità è comodoutilizzare, affermando che la conclusione di un contratto è un fatto,va intesa in questa luce.

Prevedendo che determinati comportamenti e determinati fatti(in senso proprio) si verifichino, l’ordinamento stabilisce determi-nati poteri e doveri, sintetizzabili a loro volta, come si è detto, infigure di fatti dovuti.

Così, la legge prevede che le parti possano scambiarsi informa-zioni e negoziare i termini di un affare, e a tale previsione collegal’obbligo generale di comportarsi secondo buona fede (art. 1337c.c.), che spetta, come visto, all’interprete specificare in figure dicomportamenti doverosi (positivi e negativi), nonché lo specificoobbligo di comunicare l’esistenza di cause di invalidità (art. 1338c.c.).

In particolare, il legislatore prevede che certi comportamentipossano verificarsi prima della conclusione del contratto, consistentinello scambio di dichiarazioni aventi un determinato contenuto, oanche solo in comportamenti a struttura non dichiarativa, e dinuovo collega a tali fatti poteri e doveri (disciplina della proposta,accettazione, revoca). Secondo la tecnica qui sostenuta, l’esamedella disciplina sulla formazione del contratto permette di indivi-duare una serie di comportamenti doverosi, la cui inosservanza puòricondursi all’art. 1337 c.c. oltre gli angusti limiti della figurasintomatica del recesso ingiustificato dalle trattative. Per fare unesempio, riteniamo che il soggetto che revochi una proposta irrevo-cabile (art. 1329 c.c.) si comporti, con ciò stesso, in modo contrarioalla buona fede ai sensi dell’art. 1337 c.c.

Deve inoltre considerarsi che in quest’àmbito i comportamentidei privati rilevano nel presupposto che, ed in quanto, esprimanodichiaratamente o meno ipotesi di autoregolamenti, o regolamentiprivati, o programmi contrattuali. Il legislatore prevede che i privatipredispongano ed offrano, ovvero esaminino o negozino ipotesi diregolamenti privati, e che tanto facciano ordinariamente nella pro-spettiva di valutare la possibilità di vincolarsi ad un unico regola-mento privato, riferibile cioè alla volontà di entrambe le parti.Proprio perché è necessario far ordine tra questi comportamenti edassecondare allo stesso tempo quella finalità fondamentale perse-guita attraverso di essi dai privati, la legge fissa criteri legali ovvero

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prevede in astratto precise condizioni che consentono di giudicarecon certezza quando debba dirsi che i comportamenti dei privaticessino di qualificarsi in termini di offerta, esame o trattativa intornoad ipotesi di regolamenti privati, e siano invece da qualificarsi per lalegge come espressivi di una raggiunta volontà di entrambe le partidi vincolarsi intorno ad un unico regolamento privato. In questosenso si dice che la legge stabilisce quando il vincolo contrattualesorge, o il contratto è concluso, o l’atto è perfezionato. Le normegenerali a ciò deputate sono contenute della disciplina dell’« ac-cordo » (sezione I, del capo II, del titolo II del libro IV del c.c.).

Come è riconosciuto, deve anche osservarsi che le condizioniscelte dal legislatore per stabilire se e quando il contratto si concludesono ispirate tendenzialmente a criteri di inferenza del valore delconsenso o accordo, ma non esclusivamente, perché altri criteriintervengono, ispirati alle istanze di riconoscibilità, auto-responsa-bilità, speditezza dei traffici. Per questo può dirsi, solo a patto che siriconosca la natura descrittiva della specificazione, che si tratta di unaccordo o consenso in senso giuridico. È invece essenziale ricono-scere che l’accordo non è un fatto né un elemento di fatto, ma unelemento ideale che consiste nel risultato di un giudizio su fatti, inparticolare un giudizio su comportamenti a struttura dichiarativa onon dichiarativa.

La circostanza che il legislatore abbia utilizzato il concetto diaccordo per dire cosa il contratto è (art. 1321 c.c.), e poi, con scarsacoerenza logica, per definire un « requisito » del contratto (art. 1325c.c.), non può pertanto valere a volgere in accadimento un elementoche è soltanto ideale (e che consiste come detto nel risultato di ungiudizio), e cioè a far diventare fattispecie o elemento di unafattispecie ciò che non è una figura di fatto.

Questo non toglie naturalmente valore alle previsioni degli artt.1321 e 1325 c.c., in particolare rimanendo vero che l’uso deltermine « accordo » ha in quelle sedi un importante valore segnale-tico. Esso sta ad indicare il principale (anche se non unico) motivoinformatore della disciplina del contratto, consistente nella previ-sione che le parti, nell’esplicazione della loro autonomia in àmbitocontrattuale, muovano ordinariamente dal presupposto che l’assettodell’affare a cui esse tendono e sul quale si impegnano sia giudicabilecome il frutto di un consenso o di una « comune intenzione » (art.1362 c.c.).

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Se dunque l’accordo, così come configurato dalle norme dellasezione I, del capo II, del titolo II del libro IV del c.c., non è, in sensoproprio, un fatto né l’elemento di una fattispecie, nemmeno sonoelementi di un fatto gli altri « requisiti » del contratto.

Può in particolare riconoscersi che la causa e l’oggetto sonoelementi ideali del regolamento privato, e che con l’espressione« forma scritta » la legge, nell’art. 1325 c.c., fa propriamente esinteticamente riferimento a determinati requisiti del documentoche formalizza il regolamento privato. Quando si dice che il con-tratto ha una determinata causa, o non ne ha alcuna, o ha una causaillecita, o ha un oggetto illecito o indeterminato ed indeterminabile,non si fa riferimento precisamente all’elemento di un fatto, bensì adelementi ideali del regolamento privato espresso dal comportamentodelle parti (e, più precisamente, come detto, del regolamento privatoriferito alla volontà di entrambe le parti secondo i criteri legaliprevisti dal legislatore nelle norme sulla formazione del contratto).Parimenti, quando si dice che un determinato contratto ha la formascritta, non si fa riferimento alla forma di un fatto, bensì ai caratteridi un documento redatto secondo precise regole (artt. 2699 e 2702c.c.).

Ma se si priva di valore il concetto di « fattispecie contrattuale »,come deve intendersi la disciplina del contratto?

7. — Il modo tradizionale di guardare alla disciplina del con-tratto, che si avvale delle lenti della « fattispecie contrattuale », e chevede tale presunta figura di fatto composta di certi requisiti oelementi, difettando i quali entrano in gioco le categorie dell’ineffi-cacia, è frutto di un condizionamento ideologico. Esso può riassu-mersi in due affermazioni: al centro delle norme c’è la libertà deiprivati; i limiti alla libertà dei privati sono in quest’àmbito previsti egestiti dalla legge in termini di rilevanza giuridica (inefficacia, nullitàdegli atti).

Tale concezione, che è più generalmente rispondente al piùtradizionale modello costruttivo della teoria del negozio, muovepertanto da un assunto logico effettivamente inspiegabile, in quanto,a differenza di quanto avviene in ogni altro campo del diritto, i limitialla libertà dei privati non vengono in quest’àmbito costruiti intermini di divieto.

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Ed in effetti, tale modo di spiegare l’autonomia privata omette diconsiderare con la necessaria franchezza i divieti immanenti nelladisciplina del contratto e si preclude così la possibilità di inquadrarein modo sistematico ed unitario i rimedi.

Al fine di contrastare sul piano logico tale concezione, sembrapertinente osservare che i divieti ben possono essere contenuti, operfino nascosti, in proposizioni linguistiche letteralmente formu-late in termini di libertà. Per dimostrarlo, può essere utile fare unesempio molto semplice, tratto dalla realtà: un cartello viene affissodi fronte all’entrata di una sala riservata a giochi d’azzardo recantela scritta « Ingresso libero ai maggiori di 18 anni ». Il messaggio èformulato in termini di libertà, ma non c’è dubbio che contenga undivieto. La parzialità del messaggio è, in questo caso, frutto diun’originale strategia di marketing utilizzata dal gestore di una salagiochi per far vedere la libertà e non il divieto.

Non sembra esagerato osservare che l’ideologia ottocentescadella libertà del volere, di cui è segno evidente nel nostro codice,abbia operato in modo analogo nel muovere la penna dei chierici del1942.

Se ci si consente una battuta, diremmo che il « marketinglinguistico » di tale ideologia ha veicolato un risultato non dissimilenei nostri studi, nella misura in cui ha fatto ombra sui divieti chedevono viceversa necessariamente collegarsi all’elenco dei requisitidella causa, dell’oggetto e della forma scritta di cui all’art. 1325 c.c.Ciononostante, l’interprete può vedere dietro i « requisiti » dell’art.1325 c.c. altrettante norme che indirizzano l’attività dei privatinell’esercizio della loro autonomia contrattuale, riconoscendo che lalegge vieta ai privati di impegnarsi ed avanzare pretese intorno adautoregolamenti che difettino degli elementi ideali previsti dallalegge, o che non siano formalizzati nei modi previsti dalla legge.Riconoscere cioè che la legge non vuole che ci si comporti nel sensodi impegnarsi e avanzare pretese intorno ad autoregolamenti siffatti.

Non è inutile osservare in proposito che, allorquando si dice chele norme in tema di oggetto, causa e forma scritta « disciplinano ilcontratto », si fa un’affermazione in se né giusta né sbagliata, masolo astratta, e soprattutto compatibile con la constatazione (questasì utile) che le medesime norme sono strumentali alla costituzione diuna serie di rimedi (la nullità e gli altri rimedi collegati alla relativadeclaratoria) approntati dall’ordinamento per il caso in cui sorgano

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pretese intorno ad un autoregolamento che non presenti gli elementiideali della causa o dell’oggetto, come previsti dalla legge, o che nonsia formalizzato come richiesto da precise regole. Rimedi, cioè,disposti dall’ordinamento per il caso in cui i privati si comportino inmodo difforme a tali norme impegnandosi ad un regolamento che haun contenuto vietato dalla legge o che non è formalizzato nei modirichiesti dalla legge. Ed in effetti, le regole sulla causa, l’oggetto e laforma scritta stanno ad indicare a quali condizioni le parti possonoimpegnarsi giuridicamente e disporre dei propri diritti sulla base diun regolamento privato. Sono regole che indicano cosa si può fare onon fare, ma anche cosa non si può fare, che equivale a dire, intermini giuridici, cosa si deve non fare (30). Mentre il primo aspettoè facilmente riconosciuto, non può dirsi altrettanto del secondo. Èinvece indispensabile mettere in luce che l’autonomia contrattualenon deve svolgersi in contrasto con certe regole, le quali, comeosservato, indirizzano il comportamento dei privati in quest’àmbito.Se si pone mente alla funzione essenziale del contratto, ed inparticolare alla sua qualità di titolo per l’assunzione di obbligazionie per la disposizione di diritti, deve riconoscersi che l’ordinamentovieta, ad esempio, che il regolamento privato presenti un oggettoillecito o sia senza causa, o manifesti una causa illecita, così comevieta che si possa disporre di un diritto reale immobiliare se nonformalizzando il regolamento privato in un documento avente irequisiti della scrittura privata o dell’atto pubblico.

Tanto permette non soltanto di intendere perché sia general-mente previsto che la nullità possa essere fatta valere da chiunque viabbia interesse e possa essere rilevata d’ufficio dal giudice (art. 1421c.c.), ma anche consente di combinare insieme alle regole sullanullità quelle sull’indebito e sulle obbligazioni restitutorie, oltre chedi inquadrare coerentemente le norme sulla responsabilità dei pub-blici ufficiali, dei rappresentanti, dei professionisti e dei consulenti,attraverso l’ufficio o l’assistenza dei quali vengono conclusi contrattinulli. In questa luce, si possono altresì ricavare le soluzioni appli-

(30) In termini giuridici, ciò che non si può fare deve esprimersi necessariamentein termini di divieto, indicando ciò che si deve non fare. Infatti ciò che non si può fareper la legge, può tuttavia essere materialmente fatto, ma rimane vero che è vietato, ed èquindi questo il concetto essenziale ed anche il più preciso a designare linguisticamenteil fenomeno. Ciò che non si può fare (i.e. ciò che si deve non fare) non va confuso conciò che si può non fare, che designa invece una libertà.

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cative più adeguate per guardare agli altri rimedi collegati alla nullitàdel contratto, e cioè per risolvere i problemi di conflitto (ivi com-presi i conflitti legati all’insorgenza di danni) tra i contraenti mede-simi, nonché tra i contraenti e i loro aventi causa ed altri terzi, epossono portarsi a più agevole soluzione problemi interpretativi chealtrimenti appaiono di difficile impostazione teorica. Ad esempio,quelli della rimozione parziale del regolamento privato (nullità, maanche annullamento, rescissione e risoluzione parziali del « con-tratto »), o quelli dell’« integrazione », dell’« opponibilità », del« consenso traslativo » e della « retroattività degli effetti », i cuistessi nomi riflettono l’equivoco di credere necessaria una comples-sità teorica che in realtà si manifesta solo se ci si muove nellaprospettiva della ideologia tradizionale della fattispecie, ed in par-ticolare del condizionamento che tale ideologia produce sulla teoriadel contratto, allorquando essa volge il contratto (o addirittura ilconsenso) in fattispecie, non permettendo di cogliere la strumenta-lità del concetto di atto rispetto alla disciplina dei comportamenti edei rimedi.

Infine, il contratto è fonte di obbligazioni ed ha forza di legge trale parti, e si intende così che la legge neanche qui abbia richiamatouna fattispecie in senso proprio, ma solo la nozione astratta dicontratto che equivale a quella (altrettanto astratta, ma non perquesto solo inutile) di titolo: attraverso gli artt. 1173 e 1372 c.c., lalegge indica che il regolamento privato riferito per legge al compor-tamento di due o più soggetti è capace di impegnare giuridicamentee continua ad impegnare giuridicamente i contraenti che si compor-tano in un certo modo nella cornice di determinati fatti. La legge,cioè, molto semplicemente, impone certi comportamenti tendenzial-mente conformi a quelli previsti dal regolamento privato, e sempreche le parti si siano comportate in un certo modo durante la fase cheprecede la conclusione del contratto e durante la fase che segue laconclusione del contratto, nella cornice di altri fatti, altrimentiintervengono rimedi di vario tipo idonei ad impedire o rimuovere invario modo l’efficienza giuridica del regolamento privato, ossia ilsuo valore giuridicamente impegnativo.

Con ciò può riconoscersi come la disciplina del contratto ri-manga essenzialmente disciplina di comportamenti: comportamentidoverosi previsti a fronte di comportamenti e altri fatti occorsidurante la fase che precede la conclusione del contratto, con i

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relativi rimedi; e comportamenti doverosi tendenzialmente conformia quelli espressi dal regolamento privato, previsti a fronte di com-portamenti e di altri fatti occorsi durante la fase esecutiva delcontratto, con i relativi rimedi. In mezzo sta la nascita del contratto,cioè la nascita di un’entità ideale, da non confondersi con il docu-mento che eventualmente formalizza in tutto o in parte il regola-mento privato.

Le nozioni di « atto » e di « requisiti » sono perciò frutto diastrazioni sicuramente utili, purché utilizzate consapevolmente:quella di atto, in quanto serve ad indicare quando un regolamentoprivato cessa di essere al centro di un esame o di una trattativa ediventa per la legge riferibile ad entrambe le parti; quella di requisiti,in quanto strumentale alla costituzione di rimedi per il caso in cui iprivati non osservino specifiche regole di comportamento che indi-rizzano la loro attività nella creazione del regolamento privato.

Di converso, la mancanza di consapevolezza circa la strumen-talità di tali concetti può portare a non vedere o non interpretarecorrettamente precisi divieti e rimedi. Con ciò intendo dire che latecnica dell’atto e dei suoi requisiti può essere utilizzata dal giuristain due modi: in modo inconsapevole, reificando i concetti (e cosìparlando di « fattispecie contrattuale ») e declinando la disciplinadell’autonomia nell’esclusivo segno della libertà; oppure in modoconsapevole, guardando ai comportamenti dei privati, e in partico-lare cercando dietro alle disposizioni della disciplina del contratto icomportamenti vietati, riconoscendo così nella disciplina dell’auto-nomia anche il segno del dovere.

Sulla scorta di queste considerazioni, possiamo collegarci infinea quanto si diceva nel par. n. 5 a proposito del rimedio dell’annul-lamento. Se per brevità è sicuramente utile riferirsi all’istitutodell’annullamento parlando di « contratto annullabile », non deveincorrersi nell’errore di considerare tale figura come la figura di unfatto. Il contratto, si è detto, non è una fattispecie, meno che mai èuna fattispecie il contratto annullabile, o il contratto nullo, o rescin-dibile. Fatti sono — relativamente alla disciplina dell’annullamento— il comportamento di un contraente che ha concluso un contrattosapendo che l’altra parte era incorsa in errore, o profittando dellapropria o altrui violenza, o di propri o altrui raggiri. Solo partendoda questi fatti, ed individuando in essi figure sintomatiche di inos-servanza di regole che fissano altrettanti comportamenti doverosi,

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l’interprete può trovare un ordine adeguato per intendere la disci-plina del contratto e dei rimedi, rappresentandosi, come si è detto,innanzitutto il comportamento doveroso in relazione al quale ilrimedio è disposto.

Per far ciò, tuttavia, l’interprete deve respingere quello chel’ideologia tradizionale muove a credere, appiattendo tutti i com-portamenti nella dimensione dell’atto-contratto, mentre deve sfor-zarsi di vedere dietro le norme della disciplina del contratto i fatti ei comportamenti previsti dal legislatore: tanto quelli che il legisla-tore prevede che possano accadere, quanto quelli che il legislatoreprevede che debbano accadere.

In altre parole, il contratto nullo, annullabile e rescindibile sonosintesi ideali di una pluralità di comportamenti proibiti, in previ-sione dei quali il legislatore ha costituito una serie di rimedi,articolati con mirabile equilibrio in relazione alla previsione di unapluralità di circostanze fattuali che possono verificarsi e variamentequalificare (e così concorrere ad individuare e distinguere tra loro)i comportamenti proibiti.

Volendo esprimerci con una battuta, diremmo che il modotradizionale di guardare alla disciplina del contratto attraverso lelenti della « fattispecie contrattuale » rimanda l’immagine di un re, edi un re troppo vestito. Se si torna alla nudità dei fatti e deicomportamenti, che soli possono formare l’oggetto delle previsionidi fatto della norma, tanto di quelli che la legge prevede che possanoaccadere che di quelli che la legge prevede che debbano accadere, lafattispecie, propriamente intesa (e finalmente spogliata della vesteideale del contratto), può continuare a svolgere utilmente il ruolo dicategoria normativa e di categoria scientifica (31).

(31) Una recente normativa dell’Unione europea, quella sulle pratiche commer-ciali sleali (dir. Ce n. 29 del 2005), costituisce un esempio mirabile di come la tecnicadel fatto dovuto possa essere fruttuosamente impiegata dal legislatore e dall’interprete.Essa articola in una miriade di fattispecie di generalità decrescente i comportamentiproibiti sulla base di un unico divieto generale rispondente (e cioè collegato) ad un soloprincipio, quello della lealtà verso i consumatori, e ad un solo speculare concetto, quellodella slealtà verso i consumatori. È il divieto generale di porre in essere pratichecommerciali idonee a permettere al professionista di profittare di condizioni soggettivemedie di vulnerabilità decisionale dei consumatori che sono in grado di incidere sullalibertà e la consapevolezza dei consumatori nell’assunzione di decisioni di naturacommerciale, tanto nella fase che precede la conclusione dei contratti che nella faseesecutiva. Per questa ricostruzione v. ORLANDO, The use of unfair contractual terms as

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8. — Se si riconosce che al fondo della disciplina del contrattosta il comportamento dei privati, non soltanto si delinea con net-tezza il fondamento teorico delle tesi che propugnano l’unitarietàdel tema della responsabilità, ma può anche intendersi come laquestione dell’unitarietà del tema della responsabilità sia soltantouna sotto-questione ovvero un capitolo del più ampio tema deirimedi, che include ma certo non si esaurisce in quello risarcitorio.

La tecnica che qui si sostiene richiede infatti di individuare unapluralità di fatti e altri comportamenti che la legge implicitamenteprevede debbano verificarsi e tenersi prima e dopo la conclusionedel contratto, e di collegare alla previsione della mancata realizza-zione di tali fatti o dell’inosservanza di tali comportamenti unapluralità di rimedi preventivi e successivi.

Il tema dei rimedi si apprezza in questo modo nella sua unita-rietà e nella sua vastità.

Nella sua unitarietà, in quanto, come detto, tutti i rimedi pos-sono ricondursi alla previsione dell’eventualità che il fatto dovutonon si verifichi (tanto i rimedi preventivi, istituiti in previsione delpericolo che il fatto dovuto non si realizzi; che i rimedi successivi,istituiti in previsione del caso in cui effettivamente il fatto dovutonon si verifichi). Nella sua vastità, in quanto esistono rimedi dise-gnati intorno alla previsione dell’eventualità che il fatto dovuto nonsi verifichi non solo per l’inosservanza di comportamenti doverosi,ma anche per fatti diversi dalla mancata osservanza di comporta-menti doverosi (es. indennizzi, disciplina dell’impossibilità e dell’ec-cessiva onerosità), così come esistono rimedi diversi dal risarci-mento del danno, che pure sono disegnati intorno alla mancataosservanza di comportamenti doverosi (es. discipline dell’invalidità,a loro volta coordinabili con le altre discipline che prevedonoulteriori e concorrenti rimedi, es. restituzioni o anche risarcimentodel danno, in relazione alla variabilità delle circostanze del casoconcreto).

In questo senso, sembra possibile osservare che la tecnica dellaricerca del fatto dovuto corrisponda in modo propositivo al disagiocondensato dai più recenti contributi di diritto contrattuale nell’at-

an unfair commercial practice, in European review of contract law, 2011, p. 39 ss.; ID.,Codice del consumo. Aggiornamento. Pratiche commerciali scorrette e azione collettiva,a cura di Vettori, Padova, 2009, sub artt. 24-26, p. 82 ss.

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tuale dibattito « contro la fattispecie », in quanto, a ben vedere, taledibattito appare indirizzato a quelle scelte sistematiche (e comevisto anche linguistiche) del legislatore del 1942 che fanno ombrasull’unitarietà del tema dei rimedi, non tanto e non semplicementesull’unitarietà del tema della responsabilità.

Il confronto tra la disciplina del contratto e quella del fattoillecito, piuttosto, ove venga svolto con la consapevolezza che ladisciplina del contratto è essenzialmente formata da regole di com-portamento, permette di vedere dietro entrambi i plessi normativi ledue finalità fondamentali del diritto, il quale si sistema tutto intornoa norme che proteggono comportamenti sociali e norme che con-trastano comportamenti antisociali. La disciplina del contratto per-segue entrambe le finalità, in quanto essa regola una particolareforma di contatto sociale tanto attraverso norme che prevedono etutelano determinati comportamenti permessi, quanto attraversonorme che reagiscono a determinati comportamenti proibiti; mentrela disciplina generale privatistica del fatto illecito è una delle moltediscipline (tra quelle pubblicistiche e privatistiche, le quali ultimeincludono, come detto, la disciplina del contratto) di contrasto dicomportamenti antisociali.

In breve, il sistema fatto illecito/contratto si lascia compendiarenelle seguenti due affermazioni, caratterizzate dalla presenza delfatto dovuto: nel loro agire non ulteriormente qualificato i privatidevono comportarsi in un certo modo per non violare situazionigiuridiche soggettive protette dall’ordinamento (disciplina privati-stica generale del fatto illecito); e nel loro agire indirizzato allacreazione di autoregolamenti riferibili alla volontà di più soggetti,per la disposizione di diritti in àmbito patrimoniale, i privati devonocomportarsi in un certo modo, per non violare situazioni giuridichesoggettive o beni giuridici della collettività protetti dall’ordinamento(disciplina del contratto).

Quanto infine all’atipicità del contratto e all’atipicità dell’ille-cito, può così riconoscersi che esse sono entrambe il riflesso dellalibertà di comportamento che l’ordinamento in linea di principioriconosce ai privati e che comprende concettualmente (come aspettonon separabile, se non arbitrariamente o per riflesso automaticodella ideologia tradizionale della fattispecie) la libertà dei privati diimpegnarsi tra di loro e di disporre volontariamente dei propridiritti.

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In questa luce, la meritevolezza di tutela degli interessi (art.1322 c.c.) e l’ingiustizia del danno (art. 2043 c.c.) si apprezzanocome clausole generali che consentono al sistema di continuare adinterrogarsi sulla morfologia dei comportamenti permessi e proibitie sulla natura dei valori sottostanti, che danno rispettivamentemateria ed anima alle discipline del contratto e del fatto illecito.

9. — Prima di concludere, vorremmo corrispondere ad un’al-tra delle tante sollecitazioni del contributo dal quale abbiamo presole mosse, che riguarda la scelta di politica legislativa da privilegiarenella ricerca di una disciplina del contratto in Italia e in Europa (32).

Il tema ha un rilievo ed un’importanza generali che superano iconfini del diritto dei contratti e del c.d. diritto del consumo, da cuipure è originato. Esso meriterebbe certamente uno svolgimento piùampio (ed anche più puntuale) di quello che gli si possa dedicare inquesta sede. Possiamo tuttavia individuare un profilo che ci sembraconferente alle proposte metodologiche sopra enunciate, e che pos-siamo definire nei termini di una contrapposizione: quella tra lapromozione di criteri di specificazione di norme generali e la pro-mozione di norme speciali.

Prenderemo a tal fine nuovamente ad esempio una norma giàcitata a proposito del rimedio dell’annullamento.

L’art. 1431 c.c. stabilisce che l’errore è riconoscibile quando« in relazione al contenuto, alle circostanze del contratto ovvero allaqualità dei contraenti, una persona di normale diligenza avrebbepotuto rilevarlo ». Abbiamo anche già detto che questa norma,insieme a quella dell’art. 1428 c.c. (« l’errore è causa di annulla-mento del contratto quando è essenziale ed è riconoscibile dall’altro

(32) VETTORI, Oltre il consumatore, cit., pp. 86-87, ove, l’a., tra l’altro, riferiscedell’intenso dibattito che caratterizza la dottrina italiana, argomenta le sue perplessitàverso l’opzione delle normative speciali e ricorda il recente ritorno a gruppi di lavoro econsultazione per l’edificazione di una disciplina generale del contratto di dirittodell’Unione. Cfr. ROPPO, From Consumer Contracts to Asymmetric Contracts: a Trend inEuropean Contract Law? in European review of contract law, 2010, p. 304 ss.; ID.,Prospettive del diritto contrattuale europeo. Dal contratto del consumatore al contrattoasimmetrico, in Corr. giur., 2009, p. 267; ID., Contratto di diritto comune, contratto delconsumatore e contratto con asimmetria di potere contrattuale: genesi e sviluppo di unnuovo paradigma, in ROPPO, Il contratto del duemila, Torino, 2005, p. 23 ss.; ID., Partegenerale del contratto, contratti del consumatore e contratti asimmetrici (con postilla sul« terzo contratto »), in Riv. dir. priv., 2007, p. 669 ss.

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contraente »), possono interpretarsi individuando la fattispecie delfatto dovuto alla cui inosservanza è collegato il rimedio dell’annul-lamento. Possiamo ora formulare il relativo divieto in modo piùpuntuale rispetto a quanto abbiamo fatto prima, nel seguente modo:è vietato concludere un contratto sapendo o dovendo conoscere,usando una normale diligenza, che l’altro contraente era incorso inerrore essenziale, tenuto conto della qualità dei contraenti, nonchédel contenuto e delle circostanze del contratto.

Appare corretto osservare come si tratti di un divieto il cuicontenuto debba essere specificato in relazione a criteri soggettivi edoggettivi, che offrono all’interprete tutto lo spazio di cui c’è bisognoper articolare in figure sintomatiche il tema dell’approfittamentodell’errore altrui, in particolare figure sintomatiche individuate at-traverso il criterio della « qualità dei contraenti ».

Senza voler dilungarci troppo, ci sembra che questo tipo diriflessioni possa essere utilizzato nel dibattito che ultimamenteoccupa gli studiosi del diritto dei contratti a proposito della disci-plina delle situazioni di approfittamento delle condizioni di vulne-rabilità decisionale della controparte contrattuale, nel senso che cisembra possa chiedersi se sia davvero necessario pensare a disci-pline speciali del diritto dei contratti, o se non sia piuttosto possibilefar fruttare da norme generali caratterizzate da un equilibrio esem-plare (quali quelle del codice civile italiano) (33) i criteri di specifi-cazione dei comportamenti doverosi implicitamente prefigurati dallemedesime norme, individuando le soluzioni applicative più adeguateai tempi.

Certamente non si può liquidare la questione in poche battute,né si può negare (o pretendere di ignorare) che quello specificodibattito sia reso ancora più complesso dalla concorrente necessitàdi individuare un modello di diritto europeo, e che, dunque, si tratti

(33) Cfr. ADDIS, Il « codice » del consumo, il codice civile e la parte generale delcontratto, in Obbl. e contr., 2007, 11, p. 872 ss.; SIRENA, L’integrazione del diritto deiconsumatori nella disciplina generale del contratto, in Studi in onore di GiuseppeBenedetti, Napoli, 2008, p. 1973 ss.; VETTORI, Il diritto dei contratti fra costituzione,codice civile e codici di settore, ivi, p. 2145 ss. V. anche AMADIO, Nullità anomale econformazione del contratto (note minime in tema di « abuso dell’autonomia contrat-tuale »), in Riv. dir. priv., 2005, p. 300 ss., nonché AA.VV., Il terzo contratto, a cura diGitti e Villa, Bologna, 2008; E. MINERVINI, Il « terzo contratto », in Contratti, 2009, p.493 ss.

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di un dibattito caratterizzato largamente dal segno della opportunitàpiuttosto che da quello della necessità. E tuttavia, per semplificare oandare per gradi, ci si può chiedere se la promozione di normativespeciali sia unicamente dovuta al complicato passaggio della indivi-duazione di un modello europeo, e non piuttosto ad una autenticadifficoltà costruttiva a privilegiare l’opzione della specificazione deicomportamenti doverosi.

La logica (o l’ideologia) tradizionale della fattispecie sicura-mente non agevola l’opzione della specificazione di norme generaliche stabiliscono implicitamente comportamenti doverosi, semplice-mente perché essa ha difficoltà ad individuare questi ultimi. Ed ineffetti, la tecnica ermeneutica della individuazione di figure sinto-matiche di comportamenti doverosi (tanto comportamenti proibitiche comportamenti dovuti) è congeniale alla logica della fattispeciedel fatto dovuto, mentre non è congeniale alla logica tradizionaledella fattispecie. Ciò in quanto — come si è visto — è caratteristicodella logica tradizionale il rivolgere la fattispecie (e perfino figureideali, quali il contratto) ad effetti giuridici « senza ritorno » sulpiano del fatto (34), non permettendo così all’interprete di assumereconsapevolezza critica circa la necessità di individuare sempre,dietro ogni norma, la fattispecie del fatto dovuto, e, con essa, icomportamenti doverosi che si tratta di specificare in via ermeneu-tica.

Ciò mi sembra possa fornire qualche motivo in più per unirsi acoloro che auspicano che i giuristi europei proseguano nel camminointrapreso, volto al raggiungimento di un consenso in ordine allaformulazione di ipotesi di norme del diritto dei contratti del più altogrado di generalità, quale che sia poi la modalità di fruizione deirelativi risultati (se istituzionale, o, per cominciare, ed anche inconsiderazione della relativa perfettibilità, « soltanto » (35) scienti-fica).

10. — Se, accantonando l’ideologia tradizionale che conosce la

(34) Cfr. ancora MAZZAMUTO, Il contratto europeo nel tempo della crisi, cit., p.605.

(35) A proposito dell’importanza e del ruolo delle componenti non « formali » deldiritto europeo dei contratti, cfr. le interessanti osservazioni di ROPPO, Prospettive deldiritto contrattuale europeo. Dal contratto del consumatore al contratto asimmetrico,cit., p. 276 ss.

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sola fattispecie del fatto disciplinato e le impone di parlare esclusi-vamente al cielo del diritto (36), si adotta lo schema della fattispeciedel fatto dovuto, e la si collega alla prima, possono rendersi piùevidenti ai fini di indagine la comunicazione ed il confronto tra ilfatto che accade e il fatto che deve accadere, e si può inoltre piùnitidamente apprezzare sul piano dei rimedi il problema che consistenell’adeguare ciò che accade a ciò che deve accadere.

Orientando in questo modo l’analisi delle norme, tanto la for-mulazione legislativa che il rinvenimento ermeneutico di regole perla soluzione di conflitti possono far fruttare una sapienza e unatecnica antiche. Intendo la cultura che riconosce, dietro i principî ei diritti soggettivi, i comportamenti doverosi e le forme di tutela, e latecnica che sa individuare dietro gli effetti giuridici gli interessiregolati, fornendo il mestiere per affrontare ad ogni occasioneapplicativa i due problemi fondamentali del diritto: quello dellaproporzione tra l’essere e il dover essere, e quello dell’adeguatezzadelle tutele (37).

Volendo semplificare, la logica della fattispecie non va abban-donata ma raddoppiata, ravvisando come medio logico e valorialetra le due fattispecie i diritti, intesi come categorie ideali checongiungono il fatto che accade a quello che deve accadere, model-landole entrambe: fattispecie-diritti-fattispecie. L’inestimabile te-soro fornito dall’elaborazione concettuale intorno ai diritti (e allerelative « vicende ») e agli atti (e ai relativi « requisiti »), lungidall’essere abbandonato, può essere allora diversamente orientatoaffinché riceva e faccia luce sul fatto dovuto, e così in particolare suicomportamenti doverosi e sugli inerenti rimedi.

(36) Cfr. la proposta di « positività ermeneutica » orientata ai « fatti » in SCALISI, Ildiritto naturale e l’eterno problema del diritto « giusto », in Europa e dir. priv., 2010, p.449 ss., spec. p. 471 ss.; ID., Complessità e sistema delle fonti di diritto privato, in Riv.dir. civ., 2009, p. 147 ss., spec. p. 177 ss.; ID., Interpretazione e teoria delle fonti neldiritto privato europeo, in Riv. dir. civ., 2009, p. 413 ss., spec. p. 434 ss.; ID., Regola emetodo nel diritto civile della postmodernità, in Riv. dir. civ., 2005, p. 282 ss., spec. p.303 ss.; P. PERLINGIERI, Applicazione e controllo nell’interpretazione giuridica, in Riv. dir.civ., 2010, p. 317 ss., spec. p. 331 ss.; N. LIPARI, Morte e trasfigurazione dell’analogia,in questa rivista, 2011, p. 1 ss., spec. p. 15 ss.

(37) Un nesso tra « mestiere », « vocazione » e « sapere » del giurista si trovabrevemente ma efficacemente descritto da ANELLI, Unità del sapere del giurista, in Riv.dir. civ., 2005, p. 217, discorso letto in occasione della presentazione e consegna al prof.Piero Schlesinger della raccolta di studi in suo onore.

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Raccogliendo, per quanto ci è possibile intendere, l’eco di unmonito che ancora risuona tra le vette più alte del nostro massiccioculturale, diremmo che non si tratta davvero di rinunciare alla« fatica del concetto », bensì di farsi carico allo stesso tempo dellafatica del fatto.

Come si è provato a dimostrare, nella nostra cultura giuridicaesiste già, sia pure in forma latente, una linea di pensiero checonduce alla teoria del fatto dovuto. Si tratta di approfondirla e disvilupparla attraverso la proposta di soluzioni originali e storica-mente giustificate. Come pure si è visto, l’analisi dei rimedi può inquesto modo tornare a collegarsi agli elementi di fatto e agli interessisostanziali previsti dalla norma, e la fattispecie può essere final-mente affrancata da investiture ideali, che non rispondono alla suanatura di figura di fatto: è — come si è provato a dire — il caso delcontratto (che non è un fatto) e dei suoi « requisiti » (che non sonoelementi o qualità di un fatto).

Infine sembra potersi affermare che la prospettiva del fattodovuto permetta di sottoporre ad una puntuale verifica la ricorrentequestione di politica legislativa circa la necessità di norme speciali,in quanto richiede all’interprete di individuare ed applicare criteri dispecificazione delle norme generali attraverso la ricerca di figuresintomatiche di comportamenti doverosi. E la specificazione, oveabbia campo, è un’attività applicativa che nega la necessità di normespeciali.

Il ragionare sub specie facti non sembra invece un’opzionescartabile dal giurista, semplicemente perché non sembra essereun’opzione rinunciabile dalla logica e dal linguaggio. La raffigura-zione di fatti esemplificativi di ciò che si può fare o non fare, di ciòche si deve fare o non fare, di ciò che si può o non si può ottenere,è implicita nella tecnica legislativa, ed è essenziale per il rinveni-mento giurisprudenziale o altrimenti ermeneutico di principî e re-gole.

Infine, la rappresentazione di fatti esemplificativi di principî eregole è una condizione per la verifica e lo sviluppo di quel consensosociale senza cui il diritto non potrebbe essere il fenomeno che oggiconosciamo.

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