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Note critico-testuali ed esegetiche al primo libro dei Digesta artis mulomedicinalis di Vegezio

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INSTITUT FÙR KLASSISCHE PHILOLOGIE DER UNIVERSITÀT WIEN OSTERREICHISCHE AKADEMIE DER WISSENSCHAFTEN KOMMISSION FÙR ANTIKE LITERATUR UND LATEINISCHE TRADITION KIRCHENV À TER-KOMMISSION IE ZEITSCHRIFT FÙR PHILOLOGIE, PATRISTIK UND LATEINISCHE TRADITION BAND 113 2000 SONDERDRUCK VERLAG DER OSTERREICHISCHEN AKADEMIE DER WISSENSCHAFTEN
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INSTITUT FÙR KLASSISCHE PHILOLOGIE DER UNIVERSITÀT WIEN OSTERREICHISCHE AKADEMIE DER WISSENSCHAFTEN

KOMMISSION FÙR ANTIKE LITERATUR UND LATEINISCHE TRADITION KIRCHENV À TER-KOMMISSION

IE ZEITSCHRIFT FÙR PHILOLOGIE, PATRISTIK

UND LATEINISCHE TRADITION

BAND 113 2000

SONDERDRUCK

VERLAG DER OSTERREICHISCHEN AKADEMIE DER WISSENSCHAFTEN

VINCENZO ORTOLEVA I CA TANIA

Note critico-testuali ed esegetiche al primo libro dei Digesta artis mulomedicinalis

·· di Vegezio

È prima di tutto necessario fare una breve precisazione circa il titolo di questo contributo. Credo di aver dimostrato a sufficienza come l'opera di Publio Vegezio Renato indicata convenzionalmente con il nome di Mulo-medicina comprenda in realtà due distinti trattati di veterinaria: (1) i Digesta artis Mulomedicinalis (= dig.)1 composti di tre libri (il primo dei quali oggetto della nostra analisi) corrispondenti ai primi tre libri della cosiddetta Mulomedicina; (2) la De curis boum epitoma (= cur. boum), corrispondente al quarto libro della Mulomedicina.2 Di qui in avanti ci si atterrà pertanto unicamente a questa terminologia.

Si è negli ultimi anni assistito a un interessante sviluppo degli studi sulla lingua dei trattati di veterinaria latini. Di questi studi il risultato senza dubbio più considerevole (anche per le dimensioni) è il volume recente-mente edito da J. N. Adams su Pelagonio e il lessico veterinario latino in età imperiale.3 È tuttavia da sottolineare come tale genere di indagini sià stato troppo spesso condotto privilegiando il testo di Pelagonio e della cosiddetta Mulomedicina Chironis ed escludendo perlopiù Vegezio. Ciò probabilmente perché questo autore è finora apparso come un semplice

1 L'aggettivo mulomedicina/is non è registrato nel ThlL; di esso deve tuttavia essere riconosciuta l'esistenza sulla base della testimonianza di parte della tradizione manoscritta (W, cfr. infra il conspectus siglorum). È significativo che K.-D. Fischer, che ignorava tale attestazione, nella praefatio della sua edizione teubneriana di Pela-gonio (Pelagonii Ars ueterinaria, ed. K.-D. F., Leipzig 1980, XIX) non abbia potuto fare a meno di ricorrere a questo aggettivo, pur introducendolo come un neologismo: <<. •• linguae ut ita dicam mulomedicinalis».

2 Per la dimostrazione di questo assunto, che si basa sia su dati interni che esterni, cfr. V. Ortoleva, La tradizione manoscritta della «Mulomedicina» di Publio Vegezio Renato, Acireale 1996, 191-194.

3 1. N. Adams, Pelagonius and Latin Veterinary Terminology in the Roman Empire, Leiden - New York - Koln 1995.

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epitomatore e compilatore delle due opere precedentemente menzionate. Inoltre, fatto questo ancora più deprecabile, quelle poche considerazioni sulla lingua di Vegezio sono state condotte utilizzando il solo ausilio del-l'edizione teubneriana di Lommatzsch4 - benché essa fosse stata più volte riconosciuta come inaffidabile5 - con il risultato inevitabile di giungere non di rado a conclusioni erronee.6 È invece necessario, come si vedrà in questa sede, capovolgere tale punto di vista considerando Vegezio non solo un epitomatore dei suoi modelli, ma anche e soprattutto un interprete di essi. La conseguenza di tale opposta visione dei fatti è che non sarà più possibile ipotesi testuali o esegetiche circa un passo di Pelagonio o della Mulomedicinà,Chironis di cui esista un corrispondente nell'opera di Vegezio senza aver prima attentamente esaminato il testo di quest'ultimo. Ciò ci introduce tuttavia al secondo problema: il testo vegeziano per essere utilizzato come tradizione indiretta di Pelagonio e della Mulomedicina Chironis (o anche del sesto libro del De re rustica di Columella) deve es-sere prima edito in maniera attendibile.

Sul tema della riorganizzazione stemmatica dei testimoni sia diretti che indiretti dei due trattati di veterinaria vegeziani ritengo di essermi sof-fermato a sufficienza.7 Desidero invece in questa sede in vista della mia prossima pubblicazione dell'edizione critica di tali opere nella Collection Budé - entrare nel vivo delle questioni critico-testuali ed esegetiche che il testo di Vegezio presenta, iniziando con l'esaminare passi tratti dal primo libro dei Digesta.

Le porzioni di testo qui di seguito riprodotte sono state da me stabilite e corredate di apparato critico. Per consentire una completa fruizione di quest'ultimo è opportuno premettere alla discussione un succinto conspec-tus siglorum:8

A Città-del Vaticano, Bibl. Apostolica Vaticana, lat. 4438 (sec. XV); B London, British Library, Royal 12 C. XXII (sec. XV ex.);

4 P. Vegeti Renati Digestorum artis mulomedicinae libri. ed. E. Lommatzsch. Lipsiae 1903.

5 Cfr. ad es. quanto affermato proprio da Adams (n. 3), 451/ 452. 6 Si veda ad es. quanto da me messo in evidenza nella mia ree. ad Adams (n. 3).

lsis 87 (1996), 717. 7 Cfr. soprattutto Ortoleva (n. 2). 8 L'apparato che in questo articolo correda i passi vegeziani presi in esame è. per

ragioni di spazio, piuttosto selettivo e riporta principalmente le varianti relative ai punti su cui verte la discussione. Per consentire l'immediato apprezzamento delle differenze tra il testo qui costituito e quello edito da Lommatzsch (n. 4) si è tuttavia ritenuto op-portuno dare notizia in apparato dei casi principali in cui la lezione accolta dall'ultimo editore è stata respinta.

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C Colmar, Archives Départ. du Haut-Rhin, fragm. 624 (sec. VIII/IX); F Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, lat. 45, 19 (sec. XIV); L Leiden, Bibliotheek der Rijksuniversiteit, Voss. lat. F. 71 (a. 1537); M Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, lat. 45, 18 (sec. XV ex.); N Collezione privata (sec. XV ex.); P Paris, Bibliothèque Nationale, lat. 7017 (sec. XIV); S Sankt Gallen, Stiftsbibliothek, 908 (palinsesto, sec. VI ex.); T Toledo, Archivo Capitular, 98-11 (sec. XV ex.); U Dylta Bruk (Svezia), collezione Akerhielm, nr. 3 (a. 1441); Ve Venezia, Biblioteca Nazionale MarCiana, lat. 7,24 (sec. Xlii); W Verona, Bibliote,ca Civica, 658 (sec. XVI); Y Toledo, Archivo Capitular, 98-1 O (sec. XV ex.); rr Vegetii Renati Artis Veterinariae, siue Mulo-medicinae libri quatuor,

Basileae 1528 (editio princeps); e: consensus codicum FVe; l;; consensus codicum ABTY; y consensus codicum MNPU; Theod Excerpta Vegetiana quae saeculo XIII Theodericus Burgugnonus,

episcopus Ceruiensis, in opus suum, quod inscribitur Medela equorum, congessit.

Non è qui il caso di ricordare quali siano i rapporti che intercorrono fra i testimoni sopra elencati.9 Mi limiterò soltanto a dei brevissimi cenni. LW sono copie umanistiche di due perduti manoscritti altomedievali; en-trambi appartengono al ramo potior della tradizione, nettamente separato da quello da cui dipendono gli altri testimoni. I codici del gruppo y traman-dano un testo rielaborato e accorciato in età tardoantica o altomedievale. Nei due rami e e ( sono invece raggruppati esponenti della recensio basso-medievale e umanistica, ormai (soprattutto per quanto riguarda () ampia-mente corrotta. L'editio princeps è il risultato di una contaminazione tra due testimoni non pervenutici: uno di età altomedievale (affine in qualche modo agli antigrafi di LW) e uno di età umanistica (inquadrabile nel grup-po (). S (VI sec. ex.) e C (VIII-IX sec.) tramandano soltanto delle brevi porzioni di testo. Per quanto riguarda infine gli excerpta vegeziani rinveni-bili nella Medela equorum di Teoderico da Cervia (Theod.), 10 essi devono essere fatti risalire a un manoscritto appartenente allo stesso ramo da cui dipendono LW.

9 Per tutta la complessa problematica rinvio ancora a Ortoleva (n. 2). 10 Sull'opera di Teoderico (1205-1298) cfr. Ortoleva (n. 2), 87-102, con ulteri-

ore bibliografia.

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Come si è appena detto, esistono questioni interpretative di più ampia portata che investono non solo il testo vegeziano ma anche e soprattutto quello delle sue fonti. Tra queste quella che più ci interessa da vicino in questa sede è la Mulomedicina Chironis. È pertanto necessario, prima di procedere oltre, richiamare l'attenzione sullo stato del testo di questo trat-tato. Della cosiddetta Mulomedicina Chironis esistono attualmente un'edi-zione completa, quella di E. Oder (1901) 11 e due parziali, quelle di E.

· Wolfflin (1898)12 e di M. Niedermann (1910). 13 Tutte si basano su di un unico manoscritto, il cod. Mi.inchen, Staatsbibliothek, clm 243, sec. XV (M). È stato tuttavia recentemente rinvenuto un secondo testimone della stessa opera, TI co?. Base!, Universitatsbibliothek, D III 34, sec. XV (B). 14

Il testo dei passi della Mulomedicina Chironis citati nel presente studio è stato pertanto da me costituito mediante la collazione delle edizioni interes-sate con B; le divergenze più significative sono state annotate in apparato.

* * * 1, 9, 1 Elephantiotes autem dicitur ex similitudine elephanti, cuius

naturaliter dura pellis et aspera nomen morbo et in hominibus et in ani-malibus dedit. 2 Cuius haec signa sunt: in toto corpore uredo nascitur, praecipue in dorso squato similes cortices facit ...

deest in SCL Theod. 111 elephantiotes FABy: -ciotes W -tiores Ve -tiosi ex corr. T -tioses ex corr. s. I. Y -tiasis rr Lomm. Il 2 uredo yrr : putredo W nigredo Il squato similes cortices ego : siccato similes cortices W squamis similes cortices y squamas similes corticibus lomm.

Si descrivono qui i sintomi del cosiddetto morbus elephantiotes, 15 una sottospecie del morbus maleos (la «morva») comportante lo sviluppo di affezioni cutanee. 16 Il § 2 riprende Chiron 195:

11· Claudii Hermeri Mulomedicina Chironis. ed. E. Oder. Lipsiae 190 I. 12 E. Wèiltìlin. Proben der vulgarlateinischen Mulomedicina Chironis. ALL IO

( 1898). 413-426 (= Chiron 2-26). 13 M. Niedermann. Proben aus der sogenannten Mulomedicina Chironis (Buch II

und III). Heidelberg 191 O (= Chiron 57-296). 14 Cfr. W. Sackmann. Ober eine bisher unbekannte Handschritl der Mulomedi-

cina Chironis in der Basler Universitatsbibliothek. Schweizer Archiv flir Tierheilkunde 135 ( 1993), 4 - 8. e Id., Eine bisher unbekannte Handschrift der Mulomedicina Chiro-nis aus der Basler Universitatsbibliothek. ZWG 77 ( 1993). 117-119. Una nuova edizione della Mulomedicina Chironis è al momento in avanzata fase di preparazione a cura di K.-D. Fischer per la Bibliotheca Teubneriana.

15 L'aggettivo elephantiotes non si rinviene attestato in latino se non nella Mulomedicina Chironis e in Vegezio. Tale termine. pur apparendo un'evidente tras-litterazione dal greco. non trova un equivalente negli autori del Corpus hippiatricorum

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Si quod iumentum elepantiotem morbum habuerit haec signa demon-strat: in corpore huius toto urido nascitur, magis in tergus cortices squa-to similes.

squato BM Niedermann : squamato Oder.

La tradizione della Mulomedicina Chironis presenta dunque il nesso cor-tices squalo similes, corretto poi da Oder in cortices squamato similes. La correzione di Oder è però del tutto ingiustificata. L'inserimento nel testo del participio squamato (pur attestato altrove 17) non sembra infatti dare un contributo decisivo al senso, che anzi diviene assai oscuro: «scaglie simili a quelle di uno ricoperto,di La lezione squalo, come aveva già notato Niedermann, deve invece essere considerata genuina. Lo squatus (altrimenti detto squatina) è infatti un pesce da identificarsi con lo «squa-dro» o «pesce angelo» (squatina squatina L.), la cui caratteristica princi-pale è la ruvida pelle, in passato assai apprezzata per levigare il legno e l'avorio; 18 il suo nome greco è significativamente pivri («lima»). 19 La trad-uzione del passo chironiano sarà dunque: «scaglie simili (a quelle) dello squadro».

Passando al testo di Vegezio, si è visto come Lommatzsch avesse pub-blicato squamas similes corticibus di E,rr. A parte il fatto che E'rr occupano posizioni stemmatiche gerarchicamente subordinate rispetto a quelle da cui discendono W e y,20 il testo offerto da tali testimoni è sicuramente da re-

Graecorum, né ÈÀEcpCXVTtWTijç si rinviene registrato nei lessici greci. Gli animali affetti dal morbus elephantiotes vengono invece indicati nel Corpus hippiatricorum Grae-corum con il verbo ÈÀEcpavnaw, ad es. rò ç4ìov ori (hipp. Par. 56. I). Adams (n. 3, 298, n. 167) ha ipotizzato che elephantiotes sia una corruzione di elephantiodes, da ÈÀEcpavr1wl:ì!]ç, un aggettivo attestato in Antyll. ap. Aet. 3, 9; Aet. 3, 32 e Orib. ecl. 80, I. '

16 Cfr. Adams (n. 3), 297-300; si veda anche Fischer (n. I), 138. 17 Cfr. Tert. apol. 21, 8: (riferito a Giove) ... squamatum aut cornutum aut plu-

matum, I amatorem in auro conuersum. In Forcellini, s. v. squamàtus, si afferma inol-tre erroneamente che tale participio costituisce un sinonimo del sostantivo squatus sulla base del testo corrotto di I si d. orig. 12, 6, 3 7, su cui si veda la n. seguente.

18 Cfr. lsid. orig. 12.6,37: Squatus dictus, quod sii squamis acutus. l'nde et eius cute lignum politur. Meno preciso a riguardo è Niedermann (n. 13), app. crit. ad !oc.: «squalo i. e. raiae».

19 Cfr. Plin. nat. 32, 150 (rhine, quem squatum uocamus) e Gloss.L 2, 272 (squatus, piva. EÌlìoç ix0t!oç). Altre attestazioni di squatus in Plin. nat. 9, 162 e Poi. Silu. Chron. I p. 544. 17. Si veda anche E. de Saint-Denis, Le vocabulaire des animaux marins en latin classique, Paris 1947, 108/109. Per contro in Gloss.0 3, 187, 7 si legge: ÀErriç squatu; ciò sembra tuttavia solo un'errata interpretazione proprio del passo vegeziano o di quello della Mulomedicina Chironis.

20 Si veda lo stemma codicum da me delineato in Ortoleva (n. 2), 189.

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spingere perché troppo lontano da quello della Mulomedicina Chironis, che è la fonte del passo. Bisogna invece accogliere il testo di Wy emen-dandolo sulla base di Chiron 195; siccato di W e squamis di y appaiono infatti correzioni volte a dare senso a un termine a prima vista incompren-sibile quale squalo, che è invece lezione genuina in ambedue i trattati. II passo di Vegezio va dunque restituito in ... praecipue in dorso squalo simile.s cortices facit e, al pari di quello della sua fonte, dovrà .essere tra-dotto con « ... soprattutto nel dorso produce delle scaglie simili a (quelle dello) squadro».

* * * 1, 10, 5 Capu(etiam extrinsecus au'.riculasque oleo calente diligenter

perunges et lana cerebro indita ab omni perfrictionis necessitate munibis.

deest in SCL Theod. Il calente Wrr mg. y3 : calido e;çy Lomm. Il munibis e:rr ex corr. mg. y3: munies BTy mg. yl Lomm. mutabis W murabis Y uel munies murabis A.

La forma di futuro in -bo per il verbo munio non si rinviene altrove in Vegezio, che anzi utilizza in contesti analoghi (in cui si descrivono fasi di bendaggio) il comune munies.21 Contrariamente a quanto faceva Lom-matzsch, la lezione munibis deve essere tuttavia mantenuta, perché tràdita dai migliori testimoni.22 Si ignora la fonte di questo passo vegeziano; è però a essa che probabilmente si deve la lezione munibis. La coesistenza di munibis insieme a cinque successive ricorrenze di munies deve essere spiegata verosimilmente con il fatto che Vegezio avrà in un primo momen-to tollerato munibis della sua fonte per poi normalizzare successivamente ;1 futuro in munies. Durante questa operazione egli avrà dimenticato di aver utilizzato munibis in questo luogo non ritornandovi più. La forma mzmibis, oltre che qui, sembra essere attestata solo in Chiron 688 (munibis B -ibus M); essa era tuttavia contemplata dai grammatici; si veda infatti Cledon. gramm. 5, 56, 31 ss.: Tertia coniugatio uarios habet modos, aliquando tan-twn in am, aliquando in bo, aliquando in am et bo. Et in am, ut lego le-gam; in bo tunc est, si prima persona i suum teneat, ut munio munibo, eo ibo.

* * * 1, 12, 2 ... Est et aliud remedium: radiculam, quam quidam consiligi-

nem uocant quidam pulmoniciam, qua mulomedici frequenter utuntur,

21 Cfr. dig. I, 26, 2: 2, 12, 6: 2, 13, 6: 2.42, 2: 2, 54, 3. 22 In particolare. la terza mano di Y testimonia lezioni derivanti da un ms. ora per-

duto appartenuto al migliore ramo della tradizione (quello di cui fanno parte SCLW): cfr. a riguardo Ortoleva (n. 2), 118/119.

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iri pectore animalis hac aegritudine laborantis eatenus pones ut acuto cy-prino circines locum. 3 Postmodum perforato corio radiculam inseras, quae ibidem sponte sua tamdiu permanebit quousque cutis, quatenus cy-pro fuerit signata, decidat in putredinem uersa; ex toto corpore ad illum locum humor attrahitur et per uulnus emittitur.

deest in C Theod. Il quam quidam - locum sic in y: unam (h)elebori nigri; hellebori nigri mg. F Il pulmoniciam SW : -municiam L -monaceam l:rr Lomm. -monariam Ve -munaciam F Il post frequenter add. et bubulci l:rr om. SLWE Il cyprino SLWeABYrr : cu- T graphio ex aen cyprio mg. y3 Il circines Lel:rr : -nis S cirargines W Il inseras SLWE : inseras et insues [-suas Al I: interseris rr inseres y Il spante sua SLWy: suta spante sua spante T spante Err Il quatenus SLWVEIT: quae I: om. Fy Il cypro SL : cipro eABY cyprio graphio mg. y3 cupro ex corr. T [cupro denuo mg.] cuprino rr ciro W om. y Il fuerit signata SLWEI:: s- f- mg. Y3 s- yrr Il decidat SLWy: om. el:rr Il uersa SLWy: sit u- El:rr.

Vegezio descrive qui un rimedio empirico, destinato ad avere notevole fortuna fino in età moderna, 23 attestato per la prima volta in àmbito latino in Columella 6, 5, 3/4),24 da cui dipendono Pelagon. 22 (che riproduce il testo columelliano alla lettera), Pallad. 14, 5, 5-7 e lo stesso Veg. cur. boum 3, 12/13. È tuttavia da notare come il passo di Veg. dig. 1, 12,2/3 non discenda direttamente da quello di Columella I Pelagonio, che è il se-guente:25

Praesens etiam remedium cognouimus radiculae, quam pastores consiliginem uocant; ea Marsis montibus plurima nascitur omnique pecari maxime est salutaris. Laeua manu ejfoditur ante solis ortum; sic enim lecta maiorem uim creditur habere. 4 Vsus eius traditur talis: aenea fibula pars auriculae latissima circumscribitur, ila ut manante sanguine tamquam O litterae ductus appareat. Hoc et intrinsecus et ex superiore parte auriculae cum factum est, media pars descripti orbiculi eadem fibula transuitur et facto foramini praedicta radicula inseritur; quam cum recens plaga con-prehendit, ita cantine!, ut elabi non passi!. In eam deinde auriculam omnis uis morbi pestilensque uirus elicitur, donec ea pars, quae fibula circum-scripta est, demortua excidat et minimae partis iactura caput conseruetur.

23 Cfr. a riguardo K.-D. Fischer, The first Latin treatise on horse medicine and its author Pelagonius Saloninus, Medizinhistorisches Journal 16 ( 1981 ), 222-226 (con ulteriore bibliografia).

24 Tra gli autori greci tale pratica è attestata in hipp. Ber. 2, 5 (Apsirto); 11, 1 (solo nel cod. P e nell'ed. pr.); 27, 9; 127, 2 (solo nell'ed. pr.); app. 9; hipp. Par. 30 (Eumelo; corris.p.onde a Pelagon. 205).

- 5 Il testo è quello stabilito in L. luni Moderati Columellae Opera quae exstant, ree. V. Lundstrom, fase. 4 (Res. rust I. 6/7), Gotoburgi 1940.

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In primo luogo, in Veg. dig. 1, 12,3 viene dato un nome alternativo alla pianta da utilizzarsi nell'operazione (consiligo I pulmonicea) assente in Columella (consiligo).26 Secondariamente, la parte dell'animale nella quale va inserita la radice è in Vegezio il petto, mentre in Columella è l'orecchio.27

In terzo luogo, lo strumento che deve essere impiegato in tutta l'operazione è diversamente denominato. Quest'ultimo punto merita di essere esaminato più in dettaglio. In Columella e Pelagonio (e anche Palladio) l'attrezzo in questione è indicato con il termine fibula aenea, «spilla di bronzo». Una traduzione greca di Pelagon. 22 (e quindi anche di Colum. 6, 5, 3-5) si rinviene in hipp. Par. 54; in questo càso l'espressione fibula aenea viene resa alla lettera èon:XaÀKij) ... Vegezio è invece l'unico autore che usa un termine acuto cyprino, cioè «con un punteruolo di bronzo».28 Per la presenza di tali discrepanze fra i due testi bisogna pertanto concludere che Vegezio dipende per questo passo da una fonte a noi ignota. È interessante inoltre notare che quando Vegezio descrive la stessa pratica per la seconda volta nella De curis boum epitoma (3, 12-14)

26 In età moderna l'unica pianta adoperata a questo scopo è l'Helleborus uiridis, la cui identificazione con la consiligo o pulmonicea (o pulmonaria) è assai problematica (cfr. Fischer, n. 23, 223/224; si veda anche J. André, Les noms de piantes dans la Rame antique, Paris 1985, 73 e 2 I I). Si noti tuttavia che nel ramo della tradizione denominato y (la cosiddetta recensio epitomata, il cui testo è il frutto del lavoro di un anonimo rielaboratore) la consiligo e lapulmonicea vengono sostituite con l'helfeborus niger (cfr. sopra l'app. crit.). Analogamente in tutti i testi greci citati sopra alla n. 24, la pianta utilizzata è l'elleboro (in hipp. Ber. 27, 9 si specifica ÈÀÀe:p6pou ÀEUKoil; in hipp. Ber. 27, 9 invece: ÈÀÀEP6pou piçav roil µÈÀavoç); in particolare in hipp. Par. 30 l'espressione di Eumelo piçav ÈÀÀEP6pou ha come corrispondente nel passo parallelo di Pelagon. 205, 3 radicem consiliginis.

27 Questo dato coincide con quanto descritto in hipp. Ber. 2, 5 (réµvovraç rnil cm;eouç n'jv pupoav Kaì rnùç xirwvaç). In hipp. Ber. 27, 9 vengono invece fornite tre possibilità: EÌç TÒ crrfì0oç ÈmTi0El n KaÌ EÌç ràç TWV WTWV àpxàç n KaÌ EÌç ràç TWV

lo stesso accade in hipp. Par. 30 (Eumelo) e nel corrispondente passo di Pelagon. 205. 3: in pectus adicies uel in auriculas extremas et in prima parte narium ponis. La tecnica dell'inserimento della radice nel petto o nell'orecchio era usata in Ungheria ancora in questo secolo, secondo quanto riferisce B. Gunda in una lettera (datata 4-6-1980) riportata in Fischer (n. 23), 226: «Bei den Ungarn wird ein Stiickchen der Wurzel des Helleborus purpurascens in die durchbohrte Brust oder in das Ohr des kranken Pferdes gesteckt ... ».

28 Sul sostantivo acutus cfr. ThlL, s. v. acuo, 268, 9-19; si vedano in particolare Grom. p. 322, 1 (acutum cyprinum) e Diosc. 5, 98 (ex acutis cyprinis, che traduce ÈK rwv Kurrpiwv XaÀKoupy1Kwv fjÀwv). Del sostantivo resta traccia nell'italiano ant. «aguto», che equivale a «chiodo». Quanto ai testi greci elencati sopra alla n. 24, solo in hipp. Ber. 11, I e 127,2 si menziona l'attrezzo con cui incidere la cute dell'animale: si tratta della rrep6V1], cioè della «spilla della fibbia>>, un termine pertanto assai vicino ,alla fibula di Columella.

Il primo libro dei Digesta artis mulomedicinalis di Vegezio 253

mutuandola in questo caso direttamente da Columella sostituisce l'espressione originaria.fibula aenea con ad acum uel acutum cyprinum; segno questo che probabilmente per il pubblico a cui Vegezio si rivolgeva il termine fibula non riusciva a rendere perfettamente il concetto di «punteruolo», evocando o un oggetto di uso comune (un «fermaglio») o, al contrario, uno strumento chirurgico atto non a incidere ma a suturare.29

Ulteriori considerazioni sono necessarie circa l'aggettivo cyprinus (che si rinviene sia nel nostro passo che - come si è visto - a cur. boum 3, 12) e il sostantivo cyprum. L'aggettivo cyprinus nella lingua tecnica tardoantica poteva qesignare anche un manufatto «di bronzo» oltre che «di rame»; in caso contrariòVegezio non avrebbe certamente reso a cur. boum 3, 12 fibula aenea di Columella con ad ... acutum cyprinum. Inoltre, non sarebbe possibile pensare a un oggetto atto a incidere fino a una certa pro-fondità la pelle di un cavallo fatto di un materiale tanto duttile e per nulla rigido come il rame. Il termine cyprum (che equivale nel testo di Columel-la/Pelagonio a eadem fibula) poteva indicare un qualsiasi strumento di bronzo (nella fattispecie I' acutus cyprinus di cui si è ora detto), così come con ferrum si può designare un qualsiasi strumento (specialmente chirur-gico) fatto di ferro. L'uso di cyprum in tale accezione, pur non sembrando essere molto attestato, si rinviene anche in Mare. med. 26, 115: hederam ... uulnerabis cupro.

* * * 1, 15, 3 Haec omnia diligenter contusa in tres diuides partes et die-

bus singulis cum aqua, in qua furfures tritici decocti fuerint, tepida, sicut curae exigit ratio, singulos semissextarios clysteri per intestinum animalis infundes ut calefactis intrinsecus renibus solutus humor per uentrem cum stercore possit emitti.

deest in C Theod. post semissextarios usque ad 15, 4 def L 11 clysteri ego : -re Lomm. per clystere y Il infundes Wy : -dis Lomm.

Il termine c/yster è la traslitterazione del greco e indica sia lo strumento che il farmaco somministrato tramite esso. La maggioranza delle attestazioni di tale vocabolo è di genere maschile (c/yster), lo stesso del termine greco originario. Nella Mulomedicina Chironis e in Vegezio, tutta-via, è sempre impiegata (almeno al singolare) la forma neutra c/ystere, praticamente ignorata dal ThlL.30 Nella Mulomedicina Chironis il sostan-

29 E in tal senso il termine si rinviene in dig. I, 22, 6: ... imposita fibula uenae uulnus adstringes.

30 crr. ThlL, s. V. clyster, dove si cita la forma clistere (col. 1364. 8/9) solo come variante occorrente in lsid. orig. 4, 11, 3 (su cui cfr. infra).

254 Vincenzo Ortoleva

tivo si rinviene tre volte al singolare: inani per clistere (517); si clistere non habueris (218); utere autem et clistere (272,8).31 In Vegezio il nomi-nativo/accusativo neutro clystere occorre sette volte ( dig. 1, 42, 3; 1, 45, 2; 1,45,3; 1,50,2; 1,62, l; 2, 121,3; 3, 10,3) con una tradizione piuttosto omogenea. L'ablativo singolare si rinviene invece in Vegezio altre tre volte oltre al passo sopra riportato: continuato clystere curabitur uenter (2, 12, 3); clysteri purgabis (2, 88, 7); clysteri utendum quod indignationem inte-stinam resoluat et curet (1,47,2).32 In questi quattro casi la tradizione manoscritta non è univoca; tuttavia, la sostanziale concordanza in dig. 1, 47 su clysteri tra M:PU e W (clysteri MPU : -rii W -re e:çrr -rio N deest in SCL Theod.) permette di accettare tale lezione anche in dig. 2, 12, 3 (c/ysteri uç: -rii MP -re e:rr -rio N deest in SCLW Theod.) e di restituirla per congettura in dig. 1, 15,3 e (cfr. supra app. crit.) 2,88, 7 (clystere LWe:çrr deest in SCy Theod.), passi per i quali il ramo y della tradizione non può venirci in soccorso.

Stando ai lessici, ulteriori attestazioni del nominativo/accusativo neu-tro clystere si trovano inoltre in un passo di Isidoro di Siviglia (che elen-cando gli strumenti usati in medicina aggiunge: clistere33 ) e in autori di età medievale.34 Al plurale le cose stanno diversamente. Se infatti si rinviene in Vegezio il nominativo/accusativo clysteria (dig. 1,45, 1), è pure impie-gato dallo stesso autore il dativo/ablativo clysteriis ( dig. 1, 45, 1 tit.; 1, 46, 2; 1, 52, 4), che si deve necessariamente far risalire a clysterium, traslittera-zione dal greco J<Àucm1p1ov. Mai invece Vegezio utilizza la forma clysteri-bus, pur ben attestata in altri autori; anzi, in dig. l, 46, 2 egli muta in clyste-riis la forma clisteribus di Chiron 229, sua fonte per il passo in questione. Bisogna pertanto concludere che per Vegezio almeno il dativo/ablativo plurale di clystere (per il genitivo plurale non esiste alcuna attestazione)

31 Non traggano tuttavia in inganno i casi di 517 e 272: a 517 inani deve essere ritenuto un accusativo neutro singolare terminante in -i per contùsione con l'ablativo: a 272 si deve considerare che nella Mulomedicina Chironis si rinviene assai di frequente utor con l'accusativo: cfr. ad es. Chiron 322 (r. 29): liane unctionem llferis.

32 Si noti come l'esempio di dig. I. 47 (quod ... resolzwt et cure/) getti ulteriore luce sul genere del termine in questione al singolare.

33 Orig. 4. 11, 3. Ciò comunque se si accetta il testo stabilito da W. M. Lindsay (lsidori Hispalensis Episcopi Etymologiarum siue originum libri XX. recogn. W. M. L.. Oxonii 1911 ). nel cui apparato figura anche la lezione clisterem del cod. T. È import-ante inoltre sottolineare che Isidoro conosceva sicuramente i Digesta di Vegezio, come si evince da alcune riprese - finora sfuggite alla critica di tale trattato nel corpo delle Etymologiae (su tale argomento dedicherò fra breve uno studio particolare).

34 Cfr. MLW. s. v. clyster; è interessante notare come clystere si rinvenga già atte-stato nella traduzione latina (VII sec.) di Paolo Egineta (cur. 181. p. 106. 25 Heiberg).

li primo libro dei Digesta artis mulomedicinalis di Vegezio 255

doveva essere esemplato sulla forma secondaria clysterium. Tale forma viene infine da lui adoperata al singolare in un solo caso (dig. 2, 121,3) senza apparente sfumatura di significato rispetto a clystere, che fra l'altro ricorre di lì a poco nello stesso luogo: conuenit adhibere clysterium ... ita ut post clystere deambulet. Tale alternanza deve essere spiegata con il fatto che Vegezio fa qui confluire, in modo piuttosto compendioso, due passi di Pelagonio in cui sono presenti ambedue le forme: post clysterem ambulans satis quiescat (132) e aliud clysterium. Betas in aqua decoques ... (133).

* * * 1, 17, 5 ... Mal;us aµtem morbus ex aeris praecipue corruptione de-

scendit. Nam austro uel Africa uento flantibus, interpositis annorum spatiis (recursu etiam, ut adserunt, catastematos), sicut certo tempore pestilentia homines sic animalia ille corrumpit et perimit.

deest in C Theod. Il catastematos S : -tis L1T Lomm. catistematis e catistegmatis ç ea testematis W aer corrumpitur N spatium album in MPU quidam phisici add. in lacuna U temporum prouenit atque M Il post catastematos add. siderum eorum ç [siderum eorum BY si deorum eorum (al. uacat suprascr.) A si decorum eorum T] om. SLWeyrr Il ille SLWE: ille aer ç1T Lomm. om. y.

Si sta qui trattando delle cause che danno origine alle epidemie di morva (il morbus maleos), individuandone la principale nella ,corruzione' dell'aria, che si verificherebbe a intervalli di tempo regolari e in presenza di determinate condizioni climatiche. Particolare attenzione deve porsi sul-l'espressione recursu etiam, ut adserunt, catastematos. Il termine cata-stema si riscontra nella fonte di Vegezio, Chiron 191: propria autem ratio huius morbi nascendi haec est ex catastemate aeris et coinquinatione pestifera austro uento jlante. Lo stesso termine ricorre ancora, in un con-testo analogo, in Chiron 165: ergo morbus maleus ... corruptione sangui-nis et spiritui oritur aut ex malo catastemate aeris. Un'ultima attestazione in latino si rinviene in Prob. app. gramm. 4, 195, 16, come esempio di de-clinazione nominale.35 Il nesso ex catastemate aeris della Mulomedicina Chironis è certamente esemplato sul testo di un originale greco in cui ricorreva il sostantivo l<aTa<JTI]µa (che tuttavia non si rinviene mai nel Corpus Hippiatricorum Graecorum). In greco tale termine è abbastanza attestato e assume fondamentalmente il significato di «condizione», «situ-azione». Esso occorre pure assolutamente36 con il valore di «tempo», «clima». Quest'ultimo senso è quello che la parola assume nella Mulo-

35 Nomina generis neutri, quae nominatizw casu numeri singularis a littera termi-nantur: ... catastema ...

36 Cfr. LSJ s. V. 2.

256 Vincenzo Ortoleva

medicina Chironis, dove si trova aggiunta anche la specificazione aeris, cioè: «condizione del tempo». In Vegezio tuttavia il termine catastema sembra essere ripreso meccanicamente, senza che ne venga afferrato il significato: recursu etiam, ut adserunt, catastematos non può infatti che tradursi «anche quando ricorre il cosiddetto catastema». Si noti infine che in è presente l'interpolazione siderum eorum, che testimonia quanto potesse suonare monca e inefficace la frase di Vegezio senza la spec-ificazione della «condizione» di cui si afferma il «ricorso». Con l'aggiunta di siderum si dà però a catastema il significato di «posizione» (scii. degli astri) che, pur attestato in greco,37 non è quello che si leggeva originar-iamente nella Mulomedicina Chironis.

* * * 1, 20, 2 ... lapidis argyritis unciam unam, equuleos (id est caballi-

ones) marinos numero septem ... deest in SCL Theod. Il equuleos id est om. y Il caballiones marinos :

gabaliones m- F caballo m- MPuac caballomarinos Nac caballos m- NPcupc_

Il passo riportato fa parte di una lunga prescrizione contro la morva, della quale non si conosce la fonte. La stessa ricetta si rinviene ripetuta in dig. 3, 12, 3. Il sostantivo caballio (diminutivo di caballus) è un termine ricorrente solo nei due luoghi ora citati dei Digesta.38 Il ThlL, s. v. cabal-lio, riporta dig. l, 20, 2 interpungendo in tal modo: equuleos, id est cabal-liones marinos.39 La stessa interpunzione si rinviene in ThlL s. v. equoleus (730, 46/47), dove l'attestazione vegeziana viene riportata sotto la defini-zione «transiate de bestia marina». La conclusione è pertanto che, secondo il ThlL, equuleus in Vegezio sia un sinonimo di hippocampus. Ciò è natu-ralmente piuttosto strano e non trova riscontro in nessun altro autore. Se invece si interpunge nel modo sopra proposto si vedrà come caballio sia semplicemente un sinonimo di equuleus, «cavalluccio», e che sia invece l'aggettivo marinos, così riferito a entrambi i sostantivi, a far sì che essi possano designare !'«ippocampo» o «cavalluccio marino». La specifica-zione id est caballiones sarà probabilmente stata inserita da Vegezio a causa della non perfetta intelligibilità al suo pubblico del termine equuleus, che in età tardoantica designa più un tipo di attrezzo di tortura (assomi-

37 Cfr. Vett. Val. 71,23. 38 Il testo di dig. 3, 12, 3 in cui il termine si rinviene è il seguente: caballiones

marinos septem. 39 Nell'ed. di Lommatzsch non esiste alcun segno d'interpunzione tra eqzmleos e

septem.

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Il primo libro dei Digesta artis mulomedicinalis di Vegezio 257

gliante a un cavallo) che effettivamente un piccolo cavallo.40 Per quanto ri-guarda caballio, è ancora assai interessante notare come questo diminutivo sia stato formato mediante l'uso del suffisso -io, attestato solo in testi tardoantichi. Altri esempi di tale particolare tipo di diminutivo si rinven-gono in saccellio e porcellio. Su saccellio («sacchettino») si tornerà infra a dig. 1, 42, 5. Porcellio è un diminutivo di porcellus (a sua volta diminutivo di porcus) che designa (a quanto pare in maniera univoca) il «porcellino di terra» o «porcellino di Sant' Antonio»,41 altrimenti detto anche asellus sulla base del greco òvimrnç. 42

* * * 1, 22, 3 llla tamen' in omnibus qui deplendi sunt consuetudo ser-

uanda est ut pridie quam uena pulsetur sustententur leuioribus et pauci-oribus cibis ut per diastemam composito corpore sint, non turbato per indigestionem. In solo autem aequali statues iumentum ceruicemque illius loro cinges, quod strictius super scapulas teneatur ab aliquo ut uena possit clarius eminere.

deest in SC Theod. IJ paucioribus LWy: parcioribus t::/,;rr Lomm. IJ diastemam L: diastema Fl,;rr Lomm. diastegma Ve abstinentiam W ieiunium y.

Il sostantivo diastema, -ae è una traslitterazione, in questo caso con cambio di genere, del greco C>1aOTT]µa ed è variamente attestato con il si-gnificato generico di «intervallo», «distanza>>, sia in riferimento allo spazio che al tempo (in special modo musicale).43 L'espressione per diastemam ricorre invece, oltre che in Veg. dig. 1, 22, 3 (sopra riportato), solo in Chi-ron 6, che del passo vegeziano è fonte (ut possit per diastimam composi/io corpori esse, non turbolento per indigestionem ), e in Chiron 186 (his eue-nit per longum tempus exercitationis beneficio et per diastima uel per san-guinis detractionem morbum digerere et firmiores fieri). In àmbito greco, poi, non sembrano rinvenirsi attestazioni di nessi corrispondenti in contesti

4° Cfr. ThlL s. v., 730, 16-25: in tutte le definizioni riportate (soprattutto glos-sari) prevale il senso di «genus tormenti», da cui anche la confusione nei manoscritti con aculeus. È infine da notare che il sostantivo ecu/eus sia stato abbandonato da Vegezio in dig. 3, 12,3 (citato sopra, n. 38).

41 Con tali denominazioni si designano comunemente varie specie di crostacei isopodi del sottordine degli oniscidi, la cui caratteristica peculiare è quella di appallot-tolarsi se molestati.

42 Sulle attestazioni di tali termini in testi greci e latini e sull'impiego di questo animale in medicina cfr. Fischer, Pelagonii Ars ueterinaria (n. 1), 102 (con ulteriore biblio,grafia).

Cfr. ThlL, s. v. In riferimento a una «distanza>> nello spazio (in particolare di parti del corpo del cavallo) il termine si rinviene attestato anche in Chiron 64 e 100.

1 258 Vincenzo Ortoleva

relativi alla medicina umana o veterinaria. Nel ThlL (s. v., 955,4-6) riguardo all'espressione per diastemam si legge: «t. t. medie. fere i. q. ieiu-nium». Tale interpretazione è tuttavia troppo semplicistica,44 perché non tiene conto del significato originario di 6taOTT)µa, cioè «intervallo». Una spiegazione viene invece fornita dallo stesso Vegezio ( dig. I, 35, 2): a cibo abstinebit, paruissimum potum per interualla suscipiet; il nesso per inter-ualla sembra infatti proprio un sinonimo di per diastemam. Si doveva quindi trattare di un particolare tipo di dieta che consisteva nel fornire acqua o cibo all'animale ad intervalli di tempo regolari.45

* * * 1, 22, 4 Tunc spongiola cum aqua uenam ipsam saepe deterges ut alt-

ius emineat. Pollicem quoque sinistrae manus interius deprimes ut non ludat et tumidior atque inflatior uena reddatur. Consequenter iuxta prae-ceptum artis uel animalis ipsius positionem sagittam exiges cutibus adcu-tatam.

deest in SC Theod. Il non ludat rr: nec ludat WVe non eludat L Lomm. de nec deludat F ne claudat A TY ne claudatur B non cedat y Il consequenter - adcutatam om. y Il exiges W Lomm. : ex binis L exues E dari calibis exiges rr dari calibis exues A dari iubebis B dari babilis exues T dari habilis exues Y [halibis mg. yl iubebis mg. y2] Il cutibus LW : cotibus bene Lomm. cotis [bu s. /. F2] bene F Il adcutatam ego ex Chirone 7 : adcuratam LW acutatam VeArr Lomm. al. acutam F acutam BT [tat s. I. T2] acultam Y [-1- ex corr.].

Il contesto è ancora quello del salasso del cavallo. La fonte è Chiron 7:

Sic antequam percutias, spongiola cum aqua deducis post pilum, ut possit clarius eminere. Pollicem inferius quam lorum deprimis ut uena superius extumidior fiat et non ludat, et sic adcutatam sagittam exigis.

lorum Oder : -cum BM Wolfflin Il ludat BM Oder : cludat WoljJlin Il adcutatam BM WoljJlin: acutatam Oder.

Come si è visto, in Chiron 7 Wolfflin46 aveva emendato il tràdito ludat in eluda! (cioè claudat). Oder aveva invece ripristinato la lezione di M; negli

44 Essa significativamente coincide con gli interventi banalizzanti riscontrabili nel testo tràdito da Wy ( cfr. sopra app. crit. ad loc. ).

45 Cfr. pure Yeg. dig. 1,56, 10. dove si raccomanda di somministrare poco alla volta l'orzo ai cavalli: Hordeum quoque non semel nec bis sed pluribus portionibus praeberi conuenit; q11icq11id enim paulatim acceperint, legitima digestione confìciunt: quod uero semel et enormiter sumpserint, cum fimo indiges/11111 integrumque trans-mittunt.

46 (n. 12),416.

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Il primo libro dei Digesta artis mulomedicinalis di Vegezio 259

Addenda et corrigenda era tuttavia ritornato sul passo in questione afferm-ando: «cludat praebet etiam Gothanus Vegeti».41 Nell'indice, infine, s. v. ludere,48 poneva il lemma tra parentesi quadre rinviando a eludere, dove veniva registrato il nostro passo. Il verbo ludo si rinviene in un contesto analogo anche in Veg. dig. 2, 40, I :

Deinde supra laqueum de sinistrae manus pollice uenam deprimes ne ludat, cum sagitta tangitur.

deest in SCy Theod. Il Iaqueum : Iacum Lac locum I.PC Il de om. W Il deprimes L : -mis e:BTY -mas A1f om. W Il curri : tum 1f Il tangitur LW : -gis ABT -gas 1f -git E -guis'i\'.

Mediante tale passo vegeziano è possibile emendare Chiron 564, dove esiste una lacuna:

Supra laqueum deinde sinistro pollice uenam deprimito, cum minus (ludat) uena cum sagittam praemiseris.

ludat add. Oder : om. BM Il uena B Oder : -nam M.

Anche in questo caso Oder aveva avuto un ripensamento; dapprima infatti aveva integrato (/udat) e poi, negli Addenda et corrigenda, aveva ritenuto più opportuno leggere (cludat).49 In realtà la lezione eluda! è inammissibile in tutti i casi presi in esame; la vena in questione, infatti, non si può «chiu-dere» (da essa cioè non può cessare di fluire il sangue), per il semplice motivo che l'azione di cui si tratta è descritta prima che avvenga l'inci-sione con la lancetta (et sic adcutatam sagittam exigis [7]; cum sagittam praemiseris [564]). Nel ThlL, s. v. ludo (1771,67), a proposito di Chiron 7 si legge invece: «i. cedat?»; e ceda! è pure variante di y per ludat in Veg. dig. 1, 22, 4. In realtà in questi casi il verbo ludo corrisponde perfettamente all'italiano «giocare», «avere gioco», quando per «gioco» si intende il «piccolo spazio compreso, in accoppiamento di pezzi, fra due superfici contigue»50 e per «giocare» «effettuare movimenti ali' interno di tale spazio». L'espressione ut ... non ludat significa pertanto in ultima analisi «affinché non si muova».

47 (n. 11), XXIX. Il cod. Gotha, Forsch: und Landesbibliothek B 145, di Vegezio (G) cui allude Oder è un probabile apografo di A (cfr. Ortoleva, n. 2, 9 e 31-35). In esso tuttavia non si legge cludat ma claudat, come appunto in A.

48 (n. 11 ), 390. 49 (n. 11 ), XXXV: «I. (cludat)». 5° Cfr. S. Battaglia, Grande dizionario della lingua italiana, 6, Torino, 1970, s. v.

gioco, 799 ( § 21 ). Analogo significato si rinviene anche nel tedesco «einen Spielraum haben», «Seitenspiel».

260 Vincenzo Ortoleva

Un secondo problema del testo di Chiron 7 e di Veg. dig. 1, 22, 4 è la lezione adcutatam; essa è tràdita concordemente da BM nella Mulomedi-cina Chironis ed è confermata dai codici LW di Vegezio che, con una ban-alissima confusione fra ,t' ed ,r', tramandano adcuratam. Wolfflin aveva pubblicato il testo tràdito;51 Oder, invece, aveva emendato in acutatam e in ciò era stato seguito da Lommatzsch per Vegezio. Il verbo adcuto occorre tuttavia anche in Gloss.G 4, 415, 10: /imat accutat; esso significherà pertanto «affilare per mezzo di coti» e deve essere mantenuto nei due testi presi in esame.52 Collegata al participio adcutatam si rinviene inoltre in Vegezio un.:ulteriore particolarità lessicale, questa volta assente nel testo della Mulomedicina Chironis a noi noto: la forma cutibus per cotibus, che testimonia ulteriormente una grafia già attestata in Gloss.G 3, 198, 8; 3, 321, 60 e 3, 506, 25. Tale forma si rifà al vocalismo in ,u' presente nel participio adcutatam e sembrerebbe chiarirne ulteriormente il significato.

* * * 1, 25, 5 Quihus uero armi in causa sunt et cretiacis de hrachiolis

sanguis aufertur; quae uenae positae sunt interius uhi centriae hrachio-lares sunt, sex digitis superius quam genu, trihus uel duohus digitis in-ferius quam centrias. Hae uenae sagitta percutiuntur sed caute ut mediae tangantur propter dehilitatem animalis, quia hae uenae commixtae sunt nerms.

deest in SCL Theod. Il et cretiacis Lomm. : et -ciacis W et -ticis i::MPU e -ticis N om. çrr Il aufertur WVey : -retur F minuatur çrr Lomm. Il centriae y : centri ex W centiriae APCBTY ècie F cerrarie Ve centuriae Aacrr Il id est [i. ç] musculi post centriae add. çrr om. Wi::y retinztit Lomm. J1 brachiolares Veçyrr: -cciolaris W brachio lares F Il quam genu WFçrr: quam -num Ve a -nibus y Il centrias MPU : -triis E -tris W -triae BTYN Lomm. centiriae A centuriae rr Il percutiuntur i::çy : -tiantur rr Lomm. percucuntur W Il ut mediae Wi:: : ne m- y modesteque çrr Il tangantur i::çyrr : -guntur W Il quia hae uenae W : quae u- y quia haec i::BTY quia hae rr Lomm. quia heae A.

La fonte del passo vegeziano è Chiron 19:

Quihus armora in causis erunt et cretiacis de hrachiolis sanguis detrahitur. Quae uenae positae sunt in hrachiolis dextra sinistra ahin-terius, uhi centriae hrachiolares sunt, positis sex digitis superius quam genu, III uel II digitis (inferius) quam centrias. Hae uenae sagitta percuti dehent, sed caute, ut medias uenas ferias propter neruos; sunt enim hae uenae neruis commixtae.

51 (n. 12), 416.6. 52 li verbo acuto non risulta invece altrove attestato.

Il primo libro dei Digesta artis mulomedicinalis di Vegezio 261

cretiacis Oder : creticis BM WoljJlin Il uenae WoljJlin Oder : bene BM Il centriae WolfJlin Oder : centria et B Il sex WoljJlin Oder : ex BM Il quam genu Oder : quam gemini B quam M genu WolfJlin Il inferius add. Oder ex Veg. : om. BM WoljJlin Il percuti ex Veg. coni. Oder in apparatu : -duci BM WolfJlin Oder in textu Il debent WoljJlin : -bet M Oder -beret B.

J. N. Adams, nella sua monografia sulla lingua dei trattati di veteri-naria, riteneva sulla base della relativa quae uenae positae sunt che Vege-zio considerasse erroneamente i hrachiola (gli «avambracci») delle vene.53

Come si può tuttavia notare dal confronto tra il passo in questione e la sua fonte, Vegezio ha semplicemente soppresso l'ulteriore specificazione in hrachiolis presente neHa Mulomedicina Chironis, ritenendo sufficiente l'e-spressione de hrachiolis del primo periodo. Il nesso quae uenae significa dunque semplicemente «e tali vene», «e le vene in questione».

Adams era inoltre dell'opinione che i muscoli del hrachiolum aves-sero nella terminologia veterinaria latina il nome particolare di centriae.54

A tale conclusione egli era giunto sulla base del testo di Lommatzsch, che è certamente da respingere: uhi centriae id est musculi hrachiolares sunt. L'espressione id est musculi è infatti chiaramente una glossa (tràdita unica-mente da riferentesi solo a centriae. Il testo della fonte di questo pas-so, Chiron 19, è del resto - come si è visto - assolutamente identico a quello della migliore tradizione vegeziana (uhi centriae hrachiolares sunt). L'aggettivo hrachiolares si riferisce dunque a centriae specificandone l'organo di appartenenza. Il termine centria, oltre che qui e in Chiron 19, si rinviene solo in Comm. apol. 637, la cui esegesi è tuttavia assai dubbia.55

Oder56 aveva creduto di rinvenire un possibile parallelo di Chiron 19 in un passo di Apsirto tràdito da hipp. Ber. 38, 2: ... rrapa1<e:VTCtv re: àrrò rou òµcj>aÀOU KéVTpinBoç Àe:yoµÉVl']ç àrrò Ba1<TUÀWV Tp!WV TOU rrpòç TJÌV xwpav µÉpouç, KaÌ È:VTI8É:vm KaÀaµim:ov, 51' OU pumç yiVéTaI TOU Ùypou. È tuttavia facile notare che ci troviamo in questo caso in un contesto del tutto diverso (un'operazione di paracentesi). Come si evince poi dal passo stesso, 1<Evrpinç sembrerebbe un sinonimo di òµcj>aÀoç (<<Ombelico»), o

53 Adams (n. 3), 548: «In Vegetius ( ... ] the brachiola seem to be regarded as veins, whereas in Chiron they are the site of veins».

54 Adams (n. 3), 546: «The brachiolum had muscles, called in Latin centriae or musculi brachiolares ... ; musculi brachiolares obviously means 'muscles found in the part ofthe body called brachiolum'».

55 Sed Dominus ipse ueniet se ostendere nobis. I Agnouit Dominum omnis crea-tura latentem. I Solus nequa(m)°populus centriam erexit ad il/um. Nel ThlL, s. v. cen-tria, si legge: «spiculum scorpionis?».

56 (n. 11 ), 336.

262 Vincenzo Ortoleva

designerebbe quantomeno una zona assai vicina a esso.57 In ogni caso, nel testo greco si tratta di una parte del corpo che nulla ha a che fare con gli avambracci (i brachiola); esso pertanto non risulta di alcuna utilità ai nostri scopi.

Un apporto significativo per l'interpretazione del termine centria vie-ne invece fornito da alcuni passi di Plinio il Vecchio, in cui si rinviene il grecismo centrum (gr. Kévrpov) e il suo derivato centrosus. In tali casi il termine centrum si allontana dal senso originario di «pungolo», per assu-mere significati specifici. Tre occorrenze riguardano la descrizione delle pietre Plin. nat. 37, 28: praeduro fragilique centro, item sale appellato; ibid. 37, 98: centrosas (scii. gemmas) cote deprehendunt et pondere; ibid. 37, 120: inutiles (scii. sappiri) scalpturis interuenientibus crystallinis centris. Si tratta in questi casi di gemme che presentano dei «nuclei di impurità>> al centro di esse che ne abbassano il valore e ne rendono difficile la lavorazione. In Plin. nat. 16, 198 lo stesso sostantivo ha valore di <modo» del legno: inueniuntur in quibusdam (scii. arboribus), sicut in marmore, centra, id est duritia clauo similis. Tale passo costituisce una ripresa di Thphr. HP 5, 2, 3: fom: 5È: rraparrÀT]oiwç Kaì wç èv w!ç Ài801ç èyyivc:o8ai Tà KaÀouµc:va Kévrpa. Sempre in tale senso di «nodo» del legno il termine sembra rinvenirsi pure in Ambr. hex. 3, 16,68 (ab ipso centro [scii. pineae] distantibus ... mensuris). È dunque attestato uno slittamento semantico del termine Kévrpov da «pungolo», a «centro di un cerchio» (punto dove si pone l'ago del compasso), a «centro» in generale, a «nucleo di impurità di una gemma>> e, infine, a «nodo» del legno. Se volgiamo ora la mente alle caratteristiche fisiche di questi due ultimi oggetti definiti me-diante il sostantivo centrum, possiamo notare come, dopo quella di «stare al centro», peculiare sia pure quella della «durezza», mentre del tutto ine-sistente è quella originaria di «acuminatezza». Sulla scorta di tali consi-derazioni si può procedere a dare un significato al termine centria della Mulomedicina Chironis e di Vegezio. Esistono infatti delle piccole placche cornee dette «castagne», «castagnette» o «unghielle» - poste nella parte inferiore interna dell'avambraccio degli equini probabilmente rappresen-tanti una modificazione callosa di ghiandole. Tali «castagne» si trovano inoltre pure sulla faccia interna e superiore dello stinco posteriore. La caratteristica peculiare delle castagne è dunque quella di costituire dei

57 Cfr. LSJ, s. v. KEVTpinç III: «piace where a horse is tapped for dropsy»; l'unico passo citato è quello in questione. Il termine è chiaramente un derivato di KÉvrpov; non risulta tuttavia chiaro se esso discenda dal significato di «centro» (indicando così il centro del corpo e quindi l'ombelico) o da quello di «pungolo» (designando quindi il punto in cui si inserisce la cannula appuntita per effettuare la paracentesi).

Il primo libro dei Digesta artis mulomedicinalis di Vegezio 263

«noduli» callosi, assimilabili pertanto ai nodi del legno.58 Centria equivale quindi, negli scrittori di veterinaria, a «castagna>>. Si notino inoltre due particolari: (1) le centriae brachiolares si rinvengono all'interno del-l'avambraccio (interius), proprio come le castagne; (2) le castagne sono presenti anche negli arti posteriori; di qui la necessità della specificazione brachiolares nei due testi in questione a indicare che si sta trattando delle castagne degli avambracci. Si deve pertanto supporre l'esistenza anche della specificazione.femora/is (o simile) riferita a centria, quando si voleva indicare la castagna dello stinco posteriore. Il termine centria è dunque da considerarsi una traslitterazione dal greco con cambio di genere e numero. Si deve inoltre pensare che piuttosto che direttamente da KÉVTpov il termine latino derivi da KÉVTp1ov, un sostantivo piuttosto raro che può essere considerato sinonimo di KÉVTpov nelle sue varie attestazioni di «oggetto appuntito». 59

Attenzione particolare merita infine l'espressione inferius quam cen-trias. La lezione centrias deve essere considerata genuina, perché tràdita dalla congiunta testimonianza di MPU e della fonte di questo passo, Chi-ron 19. È invece da respingere la lezione normalizzante centriae, leggibile in BTYN e nell'edizione di Lommatzsch. Questo e analoghi casi ,anomali' di comparazione rinvenibili nella Mulomedicina Chironis non erano sfug-giti a E. Oder:60 «notabilis constructionum confusio his locis quibus aut quam abundat aut accusatiuus non habet, quo referaturn. Nel testo della Mulomedicina Chironis si rinvengono infatti almeno otto occorrenze di questo costrutto, tutte concentrate nei primissimi paragrafi del trattato: 7 (ter), 16, 17, 18, 19,20.61 In tali luoghi - come nel nostro caso - quam è seguito da un accusativo non concordabile con altri sostantivi, tranne che in Chiron 7 (r. 5), in cui dopo quam si rinviene un ablativo: inferius duobus palmis quam bifarcio. Ciò che va subito notato è che in sette ricorrenze su otto quam è impiegato in correlazione all'avverbio inferius: oltre al nostro caso si vedano ad es. pollicem iriferius quam forum deprimis (7); quae (scii. uenae) sunt ... ad latus oculorum tribus digitis ab oculo interpositis iriferius quam hos ( 16); quae (sci I. uenae) descendunt ab angulis inte-

58 Si noti viceversa che in Plin. nat. 16, 198 i nodi degli alberi (centra) sono para-gonati ai calli (id est duritia clauo simi/is).

59 Cfr. Gal. 13, 407 (ter); Suda s. v.; EM 503, 39. 60 (n. I I), 309. 61 Oder inserisce pure tra gli esempi di questa anomalia Chiron 593: iosu (= deor-

sum) quam genu. In tale frangente non si può tuttavia stabilire se genu costituisca un nominativo, un accusativo o un ablativo. L'esempio non è pertanto particolarmente significativo ed è preferibile non inserirlo nella discussione.

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rioribus oculorum quatuor digitis inferius quam oculos (17). Solo una volta l'avverbio utilizzato è foris: quae uenae positae sunt dextra sinistra foris quam musculos pectoris (18).

Sono state in passato avanzate due spiegazioni circa tali anomalie di comparazione presenti nella Mulomedicina Chironis. E. Lommatzsch, pur affrontando il problema solo di sfuggita, riteneva che la presenza dell'ac-cusativo fosse dovuta all'analogia della costruzione delle preposizioni infra ed extra, di cui inferius quam e foris quam avrebbero rappresentato degli equivalenti.62 Tale tesi è stata respinta da H. Ahlquist, chè spiegava invece questo tipo di costruzione mediante l'analogia con espressioni come inferius ab;63.'in appoggio alla sua teoria lo studioso citava il caso di Chiron 7 (r. 8), in cui dopo quam si rinviene un ablativo (quam bifurcio). A mio avviso, tra le due ipotesi è assai più verosimile quella di Lommatzsch. L'accusativo deve infatti essere spiegato proprio per la presenza di inferius e foris, che più che avverbi sono da considerarsi in questi casi preposizioni costruite con tale caso. L'uso diforis con l'accusativo, nel senso di extra, è infatti ben attestato negli autori tardolatini.64 Di inferius, inteso come comparativo della preposizione infra, esiste inoltre un'attestazione in Tert. adu. Val. 23, I: in summis summitatibus praesidet tricenarius Pleroma, Horo signante lineam extremam. Inferius illum metatur medietatem Achamoth . . . Per quanto poi concerne Chiron 7 (r. 8), dove dopo quam si rinviene l'ablativo, sarei propenso a ritenere che ciò sia dovuto o a un tentativo di normalizzazione dell'accusativo da parte di un copista o alla corruttela di un termine difficile quale bifurcium.65 Un analogo caso di passaggio dall'accusativo all'ablativo si riscontra del resto nella tradizione manoscritta del passo dei Di gesta sopra esaminato (I, 25, 5), dove I' origi-nario quam centrias diviene quam centri(i)s in WE.

Proprio riguardo a Vegezio possiamo infine notare che il passo in questione è l'unico in cui si rinviene tale costruzione; tutti gli altri luoghi

62 E. Lommatzsch, Zur Mulomedicina Chironis. I, ALL 12 (1902), 409: «hierher gehort auch der Gebrauch von inferius quam mit Accus. = infra .... von foris quam = extra 18 und deorsum quam =sub 593».

63 H. Ahlquist, Studien zur spiitlateinischen Mulomedicina Chironis, lnaugural-Dissertation, Upsala 1909. 70/71: cfr. in particolare 70: «Meiner Meinung nach ist nach Analogie von ab in inferius ab auch quam in inferius quam als Priiposition empfunden und dann mit dem Akkusativ. bez. Ablativ konstruiert worden».

64 Cfr. ThlL, s. v.foras. I 034, 83/84 e 1046, 12-38. 65 Di tale avviso si era mostrato anche J. Svennung, Untersuchungen zu Palladius

und zur lateinischen Fach- und Volkssprache, Lund 1935, 197. Il termine bifurcium indica probabilmente la giuntura tra la vena giugulare e la vena mascellare esterna: cfr. Adarns (n. 3). 371/372.

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della Mulomedicina Chironis in cui è attestato l'uso di quam seguito da accusativo, confluiti poi nei Digesta, sono stati variamente modificati. In alcuni casi il periodo è stato mutato e abbreviato a tal punto che i nessi inferius quam e foris quam non vi compaiono più;66 in altri la sintassi è stata normalizzata.67 L'espressione inferius quam centrias deve pertanto essere considerata (al pari di munibis di dig. 1, 10, 5) una svista di Vegezio; un caso cioè sfuggito alla sua opera di riscrittura letteraria dei precetti chironiani.

* * * 1, 38, 8 ... ornhia, bene trita in tres partes diuides et exposcatum

iumentum triduo cum oleo potionabis et uino. 9 Si hiems fuerit, tepida os eius ablues, et aestate frigida.

deest in SL Theod. Il exposcatum wMacp : expu- MPCNU mg. M expusctum e expausatum EAPcBTYrr expansatrum Aac Il eius W: om. Eçyrr Lomm. Il et W: si y om. Eçrr Lomm.

Il verbo exposco, -are non è registrato né nel ThlL né in altri lessici. La fonte del passo è Chiron 159:

Haec omnia bene trita in tres partes diuides et exposca iumentum potionatum triduo; si hiems fuerit, calda fomentato, aestate autem frigida.

exposca B : ex post M ex posca Oder Niedermann Il potionatum BM Oder : -to Niedermann Il hiems Oder ex Veg. : genis M gems B Niedermann Il aestate Oder ex Veg. : state BM Niedermann.

Il testo della Mulomedicina Chironis è stato da me stabilito in tal modo sulla base di B; ritengo infatti che la congettura ex posca di Oder sia nettamente da scartare, dal momento che così facendo alla proposizione coordinata introdotta da et verrebbe a mancare il verbo di modo finito. Per ovviare a questo problema Niedermann aveva emendato il tràdito po-tionatum in potionato. Anche questo intervento è tuttavia da respingere, poiché la posca o pusca (una mistura di acqua e aceto) qui come altrove non è data da bere all'animale, ma è usata per fare dei fomenti, cioè degli

66 Cfr. Chiron 7 - Veg. dig. 1,3,4; Chiron 16- Veg. dig. 1,25,2. 67 Cfr. Chiron 17 (sopra citato) - Veg. dig. I, 25, 3 (quae [scii. uenae] descendzmt

ab angulis ocu/orum inferioribus quattuor digitis inferius quam et oculi sunt); Chiron 20 (quae uenae positae sunt inferius quam articu/os)- Veg. dig. 1,25,6 (quae uenae positae sunt inferius quam articuli).

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impacchi. Gli aggettivi calda e frigida del periodo successivo devono in-fatti essere riferiti a.un sottinteso posca.68

Anche beneficiando dell'apporto di B, l'andamento di questo passo della Mulomedicina Chironis è tuttavia piuttosto contorto: «dividi in tre parti tutti questi ingredienti e, avendoli somministrati all'animale per tre giorni, fomentalo con la pasca; d'inverno usala calda, d'estate fredda>>. Probabilmente proprio per fornire maggiore chiarezza al periodo, Vegezio ha sostituito l'imperativo exposca con un participio (exposcatum) e, vice-versa, il participio potionatum con un futuro ,imperativale' (potionabis). Il senso del passo vegeziano è dunque: «dividi in tre parti tutti questi ingre-dienti e, avendolirpen tritati, somministrali all'animale in una pozione di olio e vino, dopo averlo ,exposcato'». Da ciò che segue tuttavia (si hiems fuerit ... ) sembra che Vegezio non abbia inteso correttamente il valore del verbo exposcare, poiché egli ha trasformato il verbo fomentato della sua fonte con os ... ablues, consigliando cioè di sciacquare la bocca dell'ani-male con acqua calda o fredda a seconda delle stagioni.69

Bisogna in ogni caso ammettere l'esistenza di un verbo exposco, deri-vante dal sostantivo pasca (o pusca) e significante, almeno nella sua retta interpretazione, «fare impacchi con la pasca». Verbi causativi di tale tipo sono del resto assai frequenti nei trattati latini di veterinaria (si veda ad esempio potiono nei due passi sopra esaminati).70

* * * 1, 38, 11 ... sucum tisanae, passum, oua, oleum roseum, quae omnia

(ad) cornu per triduum dabis ita ut hordeum pro modo lotum sicca-tumque manducet.

deest in SL Theod. Il (ad) cornu ego : cornu C pariter pariter mista rr pariter mixta Lomm. 0111. Wy Il pro modo lotum NPC : promodolo tum e pro modulo tum w promodulatum EABTMNacpu permodulatum Y primo decorticatum rr Lomm.

68 Cfr. ad es. Chiron 66 (pasca fumentatur), 105 (spongiam cum pasca ... super genua impones), 160 (pasca et puleiu nares et totam faciem fouebis), 882 (ex aceto acro puscam facies et sic iumentum ieiunum perunges), etc. Che la pasca, come nel nostro caso, potesse essere all'occorrenza riscaldata si evince da Chiron 82: cludes oculum et superimpones spongiam, cum pusca tepida colligabis, altero die solues et fi1mentas oculum calda simplici.

69 È noto infatti che gli aggettivi calida, frigida e tepida, usati assolutamente. acquistano spesso il significato di «acqua calda», «fredda» o «tiepida>>. Ciò tuttavia non si può dire per Chiron 159, dove tali aggettivi sono collocati in posizione troppo vicina al verbo exposca per pensare che il liquido con cui si dovevano fare gli impacchi fosse l'acqua semplice.

70 Su tali formazioni verbali cfr. Adams (n. 3). 509-512.

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Il primo libro dei Digesta artis mulomedicinalis di Vegezio 267

Ho edito pro modo lotum sulla base della testimonianza congiunta di CWN, tre manoscritti ignoti a Lommatzsch, che - come si è visto -accoglieva il testo dell'editio princeps: primo decorticatum. La fonte del passo vegeziano è Chiron 160:

Curabis ordeum infusum siccatum cottidie in cibaria dare, donec fortior fiat.

siccatum M : adsiccatum B.

Il verbo infondo ha in questo caso - come in genere nei testi di medicina -il significato di «TQettere a bagno», «rammollire».71 Medesimo valore è riscontrabile - in contesti analoghi - anche per il verbo lauo.72

Ristabilendo pro modo lotum nel testo dei Digesta si restituisce pertanto la corrispondenza tra il dettato vegeziano e la sua fonte: « ... affinché mangi quanto basta orzo messo a bagno e asciugato».73

* * * 1, 42, 5 Quod remedium, si tardius subuenerit, saccelliones ex fur-

fure calidissimo plenos super totum dorsum et renes animalis imponis. deest in SCL Theod. Il saccelliones W : saciliones Chiron 218 saccellos 1T

saccellationes FBTYy Lomm. saccellatores VeA Il ex furfure calidissimo [-do Chiron] plenos [-nas y Lomm.] Wy Chiron Lomm. : ex furfure calidissime E calidissime ex furfure ç cum furfure calentes rr Il super Wey : per çrr. .

Come si è già evidenziato in apparato, Lommatzsch pubblicava dunque saccellationes ... plenas. Lo stesso avveniva in dig. 1, 52, 4 e 2, 11, 3:

dig. 1,52,4

Praeterea super renes et super dorsum eius saccelliones calidos ex furfure plenos impones.

deest in SCL Il et super dorsum W : et d- Eçrr Lomm. om. y Il saccelliones ego : sacelliones W saccellos rr sacellationes Ey saccellationes ç Lomm. Il calidos .. . plenos Wrr : -das ... -nas Eçy Lomm. Il impones W : -nis Eçyrr Lomm.

71 Cfr. ThlL, s. v. infimdo, 1510,84-1511,48. 72 Cfr. ThlL, s. v. lauo, 1050, 25-57 e 1052,34-54. Si veda in particolare anche

Chiron 139: ... dare herbam aut molle gramen lotum. 73 Il nesso pro modo (su cui si veda ThlL, s. v. modus, 1274, 24-33) appare esse-

re particolarmente attestato nella lingua veterinaria; esso si rinviene infatti in Pelagon. 290,402,466; Chiron 249,269,391,466 e Veg. dig. I, 16,2; 3, 13, I; 3, 13,3. Il suo significato sembra essere quello di «quanto basta»: si veda infatti la corrispondenza tra Pelagon. 290 (piperis pro modo) e Veg. dig. 2, 116, 3 (piperis aliquantum ).

268 Vincenzo Ortoleva

dig. 2, 11, 3

Cuius tamen, priusquam acopo utaris, saccellionibus caput cere-brumque uaporare te conuenit ...

deest in SCLWy Il saccellionibus e : saccelationibus çn Lomm. sacellione Chiron 28111 uaporare en: euaporare ç. Al contrario, in dig. 2, 88, 9 Lommatzsch accoglieva saccellionem di L contro saccellationem di 'n:74

Quod si ex hac re non profecerint ... saccellionem ex furfure super totum tergum impones per triduum.

deest in SCy Theod. Il saccellionem LVe Chiron 320 : sacellionem WF saccellationem çn Il ex LWrn : de ç Il furfure LWeBTY : -ribus An Il super L : supra Weçn Il calidum eçn : callidum W om. L Il triduum LWrn : totum ç.

Come si è già potuto notare dall'apparato critico che accompagna i passi sopra riportati, il termine saccellio si rinviene (pur con qualche va-riante grafica) anche in alcuni luoghi della Mulomedicina Chironis (218, 271 [bis], 281,308,309,320) con il significato di «sacchetto», il più delle volte con il valore specialistico - come nei tre esempi vegeziani - di «sacchetto per fomenti».75 Si trattava infatti di sacchetti riempiti di crusca o orzo abbrustoliti, che venivano applicati sulle parti interessate più o meno come si potrebbe far oggi con la borsa dell'acqua calda. Il termine saccellio non sembra occorrere in altri autori latini, 76 mentre è invece ben attestato, con il medesimo valore, saccellus.77 Per quanto concerne invece il sostantivo saccellatio - accolto come si è visto due volte da Lommatzsch nel testo dei Digesta -, esso sarebbe rinvenibile pure in Chiron 238 e 684, almeno stando all'edizione di Oder. Ecco tuttavia come si deve leggere il testo di Chiron 238 sulla scorta di B, codice che - come si è detto - Oder e Niedermann ignoravano:

Si ex hac ratione non refrigerauit, clysteriabis euro calda et afronitrio et sale, et super renibus et super totum tergus saccelliones calidos ex fur-fure plenos impones.

74 Gli altri testimoni qui di seguito citati in apparato non erano stati da lui collazionati.

75 Solo in Chiron 271, I sac(c)ellio ha il valore di «sacchetto per filtrare»: ficus uirides in sacellione mittes et decoques ...

76 È tuttavia registrato in Gloss.G 5, 513, 3 (sacelliones sacculos). 77 Cfr. Forcellini, s. v. saccellus 2 e C. Opsomer, lndex de la pharmacopée latine

du 1er au x• siècle, Hildesheim-Ziirich-New York 1989, s. v. sacce/111111. Si vedano anche Chiron 267; Veg. dig. 2, 8, 3; 2, 92, 3; 2, 92, 4; Theod. Prisc. log. 17; 23; 31; 107; 117 al.

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clysteriabis B : clisterimabis M Oder Niedermann Il afronitrio Oder : affo- M afo-B affro- Niedermann Il saccelliones ego : sacelliones B saccellationes M Oder Niedermann.

Anche in questo caso pertanto, come nei due esempi vegeziani sopra considerati, saccellationes non è altro che una corruttela; non sono del resto tollerabili, neanche nella Mulomedicina Chironis, i due aggettivi di genere maschile calidos e plenos riferiti a un sostantivo femminile. La lezione genuina è dunque ancora una volta saècelliones. Tanto più che questo passo costituisce la fonte di Veg. dig. 1, 52, 4, dove, come si è visto, il migliore testimone ha sa(c)celliones.18

Pure a proposito di, Chiron 684, dove si descrivono le tecniche di ca-strazione, il testo edito da Oder è inaffidabile e deve essere così emendato:

Deinde adducito testem superius et cremasterem ipsum prendito iuxta saccellationem, quod tibi folliculus monstrat.

saccellionem ego : sacellionem B saccellationem M Oder.

Qui il vocabolo in questione assume il senso figurato di «scroto». A maggior ragione del caso precedente, non può essere dunque accettato un termine astratto come saccellatio per designare una parte del corpo.

A conclusione di tale indagine possiamo dunque affermare che, allo stato attuale delle conoscenze, non esiste alcuna testimonianza del termine saccellatio. Nonostante ciò, sono tuttavia dell'avviso che tale sostantivo abbia avuto una sua circolazione, sebbene le uniche attestazioni si rinven-gano sotto forma di corruttele di un altro nome: saccellio. Esistono infatti occorrenze del verbo saccellare con il significato di «somministrare sac-chetti caldi a scopo terapeutico»;79 non è pertanto improbabile che da tale verbo fosse stato coniato il sostantivo astratto saccellatio atto a designare proprio questa prassi curativa.

* * * 1, 46, 2 ... digitos ad interiorem partem ani mittes et a uesicae cer-

uice sub ipso ano ad hippocentaurum uersus palpabis digitis et calculum ibi inuenies.

deest in SCL Theod. Il ani Chiron 228 : anus W om. Eçyrr lomm. Il a uesicae ceruice EY: a c- u- çrr lomm. ad u- ceruicem W Il ad (h)ippocentaurum uersus WVeçrr: ad yppocentarum u- F u- ypocentarum [hippo- N] y ad hypotaurium u- edd.

78 Curiosa ed errata è invece l'annotazione di Niedermann (n. 13, app. crit. ad !oc.) circa la variante saccellationes di M: «saccellationes ex saccelliones et fomen-tationes conflatum uideturn.

79 Cfr. Plin. Val. 2, 18 e Ps. Theod. Prisc. add. 266, I Rose.

270 Vincenzo Ortoleva

L'espressione ad hippocentaurum uersus si rinviene pure in Chiron 228, che è la fonte di questo passo.80 Il termine hippocentaurus deve senz' altro essere considerato una corruttela di hypotaurus («perineo»), sostantivo occorrente in Chiron 681: calde fomenta sub ipso ypotauro cottidie. Non sono note ulteriori attestazioni del termine in questione in latino. In àmbito greco si rinviene invece attestato ùrroraup1ov in hipp. Ber. 48, 1 O (bis), hipp. Lugd. 24 e probabilmente in Erot. s. v. rpaµ1v; in sch. Luc. Lex. 1 occorre anche la variante ùrr6raupoç. La concordanza tuttavia della tradi-zione manoscritta di Veg. dig. 1,46,2 con quella di Chiron 228 dimostra che la hippocentaurum non può essere dovuta al caso. Si deve pertanto supporre che Vegezio avesse a disposizione un testo già corrotto della Mulomedicina Chironis, da lui copiato meccanicamente. Ne conse-gue dunque che il passo vegeziano in questione non va emendato.

* * * 1, 56, 2 Diligens itaque dominus stabulum frequenter intrabit et

primum dabit operam ut constratum pontilis emineat ipsumque sit non ex mollibus lignis, sicut frequenter per imperitiam uel negligentiam euenit, sed roboris uiuaci duritia et soliditate compactum; nam hoc genus ligni ungulas ad saxorum instar obdurat. 3 Tum praeterea fossa, quae lotium recipit, deductorium debet habere cuniculum ne pedes iumento-rum redundans urina contingat.

deest in SCL Il constratum Theod. : cum stratum y constantem W stratum Eç Lomm. stratus 7r IJ pontilis WVeYac7r: -les ABYPcMPU -le N Theod. -lie T -ti F -libus edd. Il ipsumque sit [fit TY] non Wtç7r : ipsum sit non PU nec [s. /.] ipsum sit M non ipsum sit N Il uiuaci WtA TYy Theod. : -cis BV7r Lomm. Il ungulas Wty : equorum u-ç7r Theod. Lomm. om. y Il tum praeterea fossa WFy: p- f- Theod. cum p- f- Ve f- p- ç7r Lomm. Il recipit W Theod. : -piat EçY7f Lomm.

Fra gli autori latini classici e tardoantichi il termine pontile è rinveni-bile solo in Vegezio. Esso ricorre, oltre che in questo luogo, anche a dig. 1,56,21e2,58,1:

Dig. 1, 56, 21

Animalia uero macie tenuata non absque studio diligenti reuocantur ad corpo rum firmitatem .. . Quo facto cooperta in pontili tepido collo-cantur.

80 Digitos in interiorem partem ani subicies et a ceruice (uesicae) sub ipso manum ad hippocentaurum uersus.

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Il primo libro dei Digesta artis mulomedicinalis di Vegezio 271

deest in SCL Il tenuata WFy: atte- çrr Theod. Lomm. remota Ve Il cooperta Weyrr : -tus ç Theod. 11 pontili WVeçrr Theod. : loco y p- loco F Il tepido Weçy Theod. : strato rr Il collocantur [colo- W] WeB : -centur ATYyrr Lomm. -cetur Theod.

Dig. 2,58, I

Corroborantur ungulae, si iumenta mundissime et sine stercore uel humore stabulentur et (stabula) roboreis pontilibus consternantur.

deest in SCL Il autem om. W Il uel WVeçyrr: et F Il stabulentur eTYyrr: -lantur WB Il stabula ins. Schneider : om. Weçyrr Theod. Il roboreis Weçyrr : -ribus Theod. 11 pontilibus WFTYy Theod. : pontolibus Ve pontibus Brr.

Dig. 1, 56, 2 e 2, 5s;•1 sqno due passi, come si è visto, attinenti alle cure da mettere in atto affinché gli zoccoli dei cavalli si mantengano sani. Essi sono strettamente collegati a Colum. 6, 30, 2 e a Pelagon. 30, 4 e 226. Ini-ziamo con il prendere in esame il testo di Columella:

Multum autem refert robur corporis ac pedum conseruare, quod utrumque custodiemus, si idoneis temporibus ad praesepia, ad aquam, ad exercitationem pecus duxerimus curaeque fuerit, ut stabulentur sicco loco, ne umore madescant ungulae, quod facile euitabimus, si aut stabula roboreis axibus constrata aut diligenter subinde emundata fuerit humus et paleae superiactae.

Si raccomanda dunque di fare in modo che la stalla abbia sempre il pavi-mento asciutto, affinché le unghie dei cavalli non vengano a contatto con sostanze nocive (soprattutto con l'urina prodotta dai cavalli stessi). A tale scopo Columella suggerisce due accorgimenti: o si pavimenti la stalla con tavole di legno di quercia, o sia il suolo di essa diligentemente asciugato con terriccio o paglia. Il passo di Columella ora menzionato confluisce in Pelagon. 30, 4:81

Ante omnia sane curae tibi sit ut stabuletur sicco loco; umore enim madescunt ungulae; quod facile uitamus si aut stabula robureis axibus constrata aut diligenter subinde mundatafuerint.

e in Pelagon. 226:

Roborandae sunt et solidandae ungulae diligenter stabuli munditia, ut sine stercore et sine umore stabuletur, ut stabula roboreis axibus constrata sin!.

81 Le parti di testo di Pelagonio qui di seguito citate sono riprodotte secondo Fischer, Pelagonii Ars ueterinaria (n. I).

272 Vincenzo Ortoleva

Il testo dei due passi di Pelagonio è senz'altro più generico, dal momento che non si menzionano più il terriccio e la paglia (humus et paleae super-iactae ). Tuttavia, anche in questo caso permane il nesso roboreis axibus constrata. Un senso identico, ma mutato nella forma, si rinviene pure in Pallad. 1, 21 :82

... plancae roboreae subponantur stationibus e quorum, ut iacentibus molle sit, stantibus durum.

Del plurale pontilia esistono inoltre delle testimonianze in alcuni autori tardogreci secondo la traslitterazione rroVTIÀa o rrovriì.ia. Particolar-mente è proprio la traduzione greca di Pelagon. 30, 4 confluita in hipp. Cant. 56, 5:

IIpò 5È mxvrwv ECITW <j>povriç, Yva µiJ uypaaia !Ì ÈV Téf> CITaUÀYJ, èfAì..' ÈV l;T)péf> TOITC.\) CITT]KÉTW. KaÌ yàp Tfì uypOTT)TI oi ovuxc:ç aÙTOU 5ta<!>6Eipovrat. OITEP c:ùxc:pwç ÈKKÀtvouµc:v, EÌ Tà rroVTIÀa TOU crrauÀOU 5pulva !Ì KaÌ Ka6apa. Come si può notare, l'anonimo traduttore greco ha utilizzato, per tradurre il testo di Pelagonio, il latinismo n6VTIÀa dove nell'originale si rinviene axi-bus. Da ciò si deve concludere che il termine in questione era piuttosto diffuso nella lingua tecnica, sia greca che latina, al tempo in cui scrivevano Vegezio (fine IV sec.) e il traduttore di Pelagonio (V-VI sec.?), ma che non era in uso almeno fino all'epoca di Pelagonio (III sec.). In ogni caso appare evidente che qui noVTIÀa equivale a «grosse tavole».83

Tale equivalenza novnÀa (novriì.ia) I axes si rinviene inoltre nella precisa definizione di novriì.1ov resa da Giovanni Lido (nato nel 490) nel suo Liber de mensibus (4, 15):84

7TOVTT)V yàp oi 'Pwµa!ot TJÌV yÉ<j>upav KaÀ.OUat, KaÌ 7TOvriÀta Tà yc:Q>upa!a l;uÀa. Tale accezione di rrovr!Àa (novriÀ1a) nel senso di «grandi assi di legno», soprattutto impiegate per la costruzione dei ponti, ricorre pure in alcuni

82 Il testo è citato secondo Palladii Rutilii Tauri Aemiliani Opus agriculturae, de ueterinaria medicina, de insitione, ed. R. H. Rodgers, Leipzig 1975.

83 Sulla base delle testimonianze di Vegezio e di Gloss.0 2,413,33 (dove si legge: rrovriÀ1ov pons; cfr. infra, n. 92), Fischer (Pelagonii Ars ueterinaria, n. I, 100) aveva proposto di emendare il testo di hipp. Cant. 56, 5 in rà rrovriì-1a. Il plurale rroVTIÀa è tuttavia attestato pure in alcuni dei testi tardogreci citati qui di seguito senza apparente sfumatura di significato rispetto a rroVTiÀta e si deve pertanto ammettere la coesistenza delle due forme.

84 L'edizione da cui si cita è Ioannis Laurentii Lydi Liber de mensibus, ed. R. Wuensch, Lipsiae 1898.

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luoghi dello Strategicon dello Pseudo-Maurizio o Urbicio (VI-VII sec.), che riportiamo qui di seguito.85 Questi stessi passi dello Strategicon, insie-me a molti altri, si rinvengono inoltre ripresi alla lettera nei due trattati di arte mili.tare dell'imperatore bizantino Leone VI detto il Sapiente (886-912), le Tacticae constitutiones e i Problemata.86

Ps.-Maur. strat. 10, 3 (=: Leo probi. 10, 11 = Id. tact. 15, 58):

'AvriKElVTat 6è wiç TOtaUTatç KlÀiKia KpEµaµcva €1;w8cv TOU Tcixouç KaTà TOÙç rrpoµaxwvaç, aapKtVa, ax01via EÌÀTjµµÉva, 7TOVT1Àa87

KpEµaµEva, Kaì rrÀiv8oç 6è èv Toiç rrpoµaxi:òmv oiKo6oµouµÉVTJ. Ps.-Maur. strat. 12,B, 21 (=Leo probi. 12, 45, 1):

"On 6E1 Toùç 6p6µwvaç Kai Tà Àomà OKEUTJ Tu Té: 6arraVTJ<J>6pa Kai Tà vauKÉÀta TU TE µtKpà KaÌ Tà WJ..a EÌç yÉ<j>upav 7Té1T01TjµÉva µETa TE TWV axo1viwv aùTwv Kai TWV rroVTIÀiwv èv hoiµ(?) yivcaeai ...

Ancora in Ps.-Maur. strat. 12 B, 21 (Il. 37-41 ed. Dennis =Leo probi. 12, 45, 1) il termine rrovriÀ1ov viene utilizzato insieme al verbo rroVTIÀow, che in questo contesto non può che significare «pavimentare con pontilia»:

Eì 6è wç EÌKÒç XPEia Tiiv àvriç ox8TJV KpaTTj8DVat, evea oi èxepoì TcXTTOVTat, EÌ µèv yE<j>upwaat TOUTÉanv urroyÉ<j>upav 7T01DOat, Mov àrrò TDç i6iaç ox8TJç apl;aa8at KaÌ èrrì TOUT(?) OKEUTJ, TOUTÉ:an vaUKÀaç µcycXÀaç, KaÌ 7TOVTIÀWOat Kawarpwaat, 7TcXVTWV èv ÉToiµ(?) OVTWV, TOUTÉ:an TWV TE ax01viwv KaÌ TWV 7TOVTIÀLWV.

Il termine rrovnÀa si rinviene infine come sinonimo di l;uÀa in un testo bizantino anonimo di arte militare edito nella Patrologia Graeca come Appendix alle Tacticae constitutiones di Leone il Sapiente:88

Ilpòç µèv TOÙç àrrò TWV òpyuvwv KaÌ ÉÀE7TOÀEWV à<j>1Eµévouç Ài8ouç KtÀiKta Twv rrpoµaxwvwv ÈKKpEµavv6Tw Tou TEixouç

85 I passi che seguono sono citati da Mauricii Strategicon, ed. G. T. Dennis, Ger-manice uertit E. Gamillscheg, Wien 1981.

86 Cfr. Leonis VI Sapientis Problemata, nunc primum ed .... A. Dain, Paris 1935. Per le Tacticae constitutiones l'unica edizione completa è quella leggibile in PG I 07, 669-1094 (tratta dall'edizione di G. Lami, Florentiae 1745).

87 In Leo tact 15, 58 dopo rròvr1Àa si legge ijrn1 /;;uÀa. 88 PG 107, 1095-1120, dove il testo in questione viene così definito: «Appendix

ad Tactica. Capitula quaedam ad rem militarem spectantia, ex Mauricii, Constantini et Leonis Tacticis, edita in Programmate academico Turicensi anni 1854 [scii. A. Koechly, Selecta quaedam ex ineditis Leonis tacticis capita]». Il passo che ci interessa si rinviene alle col I. I I I 3d - I 1 I 5a.

274 Vincenzo Ortoleva

ÈKTÒç n vwMpwv npòç TÒ KOÀ7TOUa0at TaUTaç P<76iWç n /;uÀa <JUVT]pµocrµéva wç iicf>acrµa (7TOVTIÀa TaUTa 'Pwµafo1 KaÀoum) ...

Se tuttavia tutti i testi tardogreci e bizantini esaminati attribuiscono al plurale nOVTIÀa e noVTÌÀia il senso di «grosse tavole», tale significato tuttavia mal si adatta al singolare pontile rinvenibile nei primi due passi vegeziani sopra riportati e da cui siamo partiti. In Veg. dig. I, 56, 2 si dice infatti:

... (scii. dominus) dabit operam ut constratum pontilis emineat ipsumque sit non ex mollibus lignis, sicut frequenter per imperitiam uel negligentiam euenit, sed roboris uiuaci duritia et soliditate compactum.

Qui constratum pontilis emineat non può essere tradotto con <da superficie della tavola sia alta (o spessa)», in primo luogo perché l'espressione non avrebbe un senso accettabile e poi, soprattutto, perché constratum (e non stratum come pubblicavano i precedenti editori) è termine tecnico per designare il «tavolato» (il piano di calpestio) di un ponte di legno o la «co-perta» di una nave;89 il sostantivo constratum può cioè designare una strut-tura composta da tante assi, ma non si rinviene mai riferito a una singola tavola, che è solo una parte dell'insieme. Forse per ovviare a tale difficoltà gli editori - come si può notare dall'apparato critico sopra riportato - cor-reggevano il testo tràdito dai migliori testimoni in pontilibus, dando cioè a pontile quel senso di axis o planca rinvenibile nei testi tardogreci sopra esaminati. L'ablativo pontilibus fa tuttavia fatica a collegarsi in qualche modo con emineat. Il verbo emineo, infatti, non può che avere in questo caso valore prettamente concreto, indicando lo sviluppo in altezza di un determinato oggetto;90 un'espressione pertanto come «il tavolato sia alto (o spesso?) di grosse tavole» risulterebbe quantomeno imprecisa. Per tali motivi la lezione pontilis va dunque mantenuta e l'intero passo deve essere così tradotto:

«Il padrone diligente entrerà pertanto frequentemente nella stalla e per prima cosa farà in modo che il tavolato del ,pontile' sia alto ed esso non sia

89 Cfr. Liu. 30. I O, 14 (nauigia, quae sub constratis pontium per interual!a excurrebant); Petr. I 00 (super constratum puppis); ibid. (super constratum nauis). È inoltre frequentemente impiegato (cfr. ThlL, s. v. consterno, 508, 67-75) - soprattutto in contesti di ingegneria militare - il nesso consternere pontem nel senso di «pavi-mentare [con assi di legno] un ponte» e quindi, in senso più lato, di «gettare un ponte». poiché la fase della pavimentazione è quella finale e più caratterizzante della costru-zione di un ponte di legno. Si tenga infine presente il nesso nauis constrata. cioè «nave munita di ponte (o coperta)»; cfr. ad es. Beli. Alex. 11, I: constratae naues et complu-res ap_ertae.

9° Cfr. ThlL s. v., 490, 54-84 e 493, 27-50.

Il primo libro dei Digesta artis mulomedicinalis di Vegezio 275

fatto di legname tenero, come frequentemente avviene per imperizia o per negligenza, ma composto con la robustezza duratura e la solidità del legno di quercia; questo tipo di legname a guisa dei sassi rende dure le unghie. E inoltre la fossa che raccoglie l'urina deve avere un canale di scolo affinché l'urina stessa traboccando non raggiunga i piedi degli animali.»

II termine pontile designa dunque qui un manufatto la cui parte essenziale era un tavolato (il constratum) - che si sviluppava sulla superficie della stalla - costruito con varie assi di legno di quercia unite tra loro; tale tavo-lato era inoltre in qualche misura sollevato da terra (emineat), probabil-mente mediante puntelJi. Il suo scopo era quello di costituire un piano calpestabile dai cavalli sufficientemente pulito e asciutto grazie alla possi-bilità di far defluire l'urina al livello sottostante. Al di sotto del tavolato era inoltre prevista una fossa di raccolta dell'urina (fossa, quae lotium recipit) provvista anche di un canale di scolo (deductorium ... cuniculum), vero-similmente verso l'esterno della stalla. Proprio per queste sue caratte-ristiche, il pontile doveva essere costituito, nella sua parte a vista (il con-stratum ), da assi di quercia non perfettamente combacianti fra loro, in mo-do che attraverso gli interstizi potesse defluire l'urina.91 Tali axes dove-vano inoltre formare una superficie irregolare e accidentata, che guisa dei sassi» potesse, come dice Vegezio, rendere dure le unghie dei cavalli. Ancora un altro dato va sottolineato: Columella e Pelagonio consigliano, come si è visto, di ricoprire semplicemente il pavimento delle stalle di assi di quercia senza che sia prevista alcuna impalcatura sottostante al tavolato né la fossa di raccolta dell'urina; e lo stesso sembra fare anche Palladio (plancae roboreae subponantur stationibus equorum). Vegezio, descriven-do invece una struttura più complessa quale il pontile, inteso come «sop-palco», mostra come le tecniche di allevamento si fossero maggiormente evolute all'epoca in cui egli scriveva.

Questa diversa accezione del termine pontile si confà pure a dig. l, 56, 21, dove si raccomanda che gli animali macilenti vengano collocati, muniti

91 Si consideri pure Colum. 7, 4, 5, dove si consiglia di munire gli ovili occupati da un particolare tipo di pecore che producevano una lana pregiata. con pavimenti di tavole perforate, affinché l'urina prodotta dagli animali potesse essere facilmente elimi-nata dal piano calpestabile: Stabula [scii. Tarentini pecoris] uero frequenter euerrenda et purganda umorque omnis urinae deuerrendus est, qui commodissime siccatur p e r J o r a t i s t a b 11 I i s quibus ouilia consternuntur, ut grex supercubet. Il pas-so è ripreso in Pallad. 12, 13, 5: Graecas oues sicut Asianas ue/ Tarentinas moris est stabulo potius nutrire quam campo et p e r t 11 s i s t a b u I i s solum in quo c/au-dentur insternere, ut sic tuta cubilia propter iniuriam pretiosi ue/leris umor reddat e/abens.

276 Vincenzo Ortoleva

di coperte, in pontili tepido. A maggior ragione del caso precedente, nean-che qui si può intendere pontile come un sinonimo di axis; non avrebbe infatti alcun senso prescrivere di collocare un animale mal ridotto su una «grossa tavola riscaldata>>. Bisogna invece pensare al pontile come lo si è sopra descritto, cioè a un tavolato poggiante su puntelli ed esteso su tutto il pavimento della stalla.92 In pontili tepido significherà pertanto, per una sor-ta di sineddoche, in stabulo tepido. Non si può inoltre escludere che la stalla fosse riscaldata mediante bracieri (o altre fonti di calore) posti al di sotto del tavolato, in modo che l'aria calda, salendo attraverso le feritoie esistenti fra le varie assi, riscaldasse l'intero vano. In tal caso la parte più calda della stalla sarebbe stata proprio il tavolato del pontile, tanto da giu-stificare l'espressione in pontili tepido.

Nel terzo e ultimo passo in cui il termine pontile ricorre in Vegezio (dig. 2, 58, 1) si afferma - come si è visto - che gli zoccoli dei cavalli di-ventano più forti si (stabula) roboreis pontilibus consternantur.93 Qui, con-trariamente ai primi due casi, è difficile non pensare che pontilibus, significativamente al plurale, non designi semplicemente le «assi», come nei testi tardogreci; tanto più che Vegezio segue in questo caso assai da vi-cino la sua fonte, Pelagon. 226: ut stabula roboreis axibus constrata sint. Non ritengo tuttavia che qui Vegezio abbia modificato la sua opinione cir-ca la pavimentazione delle stalle; egli avrà soltanto voluto insistere, sulla scorta di Pelagonio, sulla necessità che le tavole fossero di robusto legno di quercia.

Nella tarda antichità erano dunque attestati due significati differenti del termine pontile (rrovnÀov o rrovriÀ1ov, secondo la traslitterazione gre-ca): (I) (rinvenibile sempre al plurale) «grossa asse», impiegata special-mente per la pavimentazione dei ponti di legno (è questo verosimilmente il significato originario del termine, derivante probabilmente da un nesso del tipo lignwn pontile); (2) (usato sempre al singolare) «tavolato sorretto da puntelli», «soppalco».

Il termine pontile continua inoltre a essere utilizzato nel latino medie-vale e da esso derivano alcune continuazioni romanze. Tale uso tardo del

92 Questa interpretazione del singolare pontile è inoltre in qualche modo confermata da Gloss.0 2,413,33, dove si legge: rroVTiì..1ov pons. Il sostantivo pons assume infatti in latino oltre al significato principale di «ponte» anche quello secon-dario di «ponte» o «tavolato» della nave (Tac. ann. 2, 6) o di «piano» di una torre di legno &Verg. Aen. 9, 530; 12, 675).

9 In tutta la tradizione manoscritta è omesso il soggetto del verbo consternantur. L'integrazione stabula di Schneider (Vegetii Renati Artis ueterinariae ... libros sex ... ed. Io. G. S., Lipsiae I 797, ad loc.) deve tuttavia considerarsi sicura perché trova un preciso riscontro nel parallelo passo di Pelagon. 226.

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termine ha maggiormente privilegiato il secondo dei due significati, dando particolare risalto alla struttura portante sorreggente il piano calpestabile. In Du Cange,94 s. v. pontile, si legge infatti «porticus columnis fulta [ ... ] fultura. Gal!. Etaye, sic dieta>>; in Niermeyer:95 <<1. ponceau - small bridge» [ ... ] 2. ba/con - balcony>>; in Arnaldi, infine, è registrato come sinonimo di pons .96 In italiano alcune attestazioni di pontile - specialmente le più antiche - ricalcano quelle dei testi mediolatini:97 «cavalcavia che collega due edifici»; «balcone», «ballatoio»; «elemento divisorio fra il coro e la navata della chiesa, dotato di una galleria superiore» (un esempio di tale struttura si trova nel duomo di Modena). L'accezione più comune del termine pontile., in 'i,taliano è però quella di «opera portuale che si protende dalla riva di uno specchio d'acqua verso fondali profondi costituita da un impalcato di legno, di ferro o di cemento armato poggiante su sostegni isolati degli stessi materiali»; essa è piuttosto recente (1871) e deriva probabilmente dal veneziano pontìl, già attestato nel 1633.98

Anche il significato originario di «grossa asse di legno» sembra tutta-via conoscere degli esiti romanzi. Si veda infatti il francese épontille (da un originario ponti/le, attestato dal 1642), «puntello»;99 e soprattutto proprio l'italiano puntello (attestato anche nelle forme ponte/lo, pontillo, punti/lo), termine di cui non era finora chiara l'etimologia, ma che alla luce di quan-to si è qui detto non può che essere strettamente imparentato con il latino pontile. 100

94 C. Du Cange, Glossarium mediae et infimae Latinitatis, editio noua aucta a L. Favre, 6, Niort 1886, s. v.

95 J. F. Niermeyer, Mediae Latinitatis lexicon minus, Leiden 1976, s. v. 96 Fr. Arnaldi- M. Turriani, Latinitatis Italicae Medi i Aeui ... lexicon imperfec-

tum, 2, Bruxelles 21951, s. v.; l'unica attestazione registrata è quella di Gregorius Cati-nensis (XII sec.), Chronicon Farfense 131 B: positus est ponti/is.

97 Cfr. Battaglia (n. 50), 13, 1986, s. v. 98 Cfr. C. Battisti-G. Alessio, Dizionario etimologico italiano, 4, Firenze 1954, s.

v. Si veda anche M. Cortellazzo- P. Zolli, Dizionario etimologico della lingua italiana, 4, Bologna 1985, s. v. ponte, 955. Il sostantivo pontìl è attestato in tal senso anche in C. Goldoni; cfr. G. Polena, Vocabolario del veneziano di Carlo Goldoni, Roma 1993, s. v. A questa accezione di pontile sembra collegarsi quella meno comune di «scalan-drone», che collega un'imbarcazione con il molo, attestata sia in veneziano che in ita-liano; cfr. G. Boerio, Dizionario del dialetto veneziano, Venezia 3 J 867, s. v. pontìl: «'montatoio', tavola lunga e grossa, che serve per montare in barca. Pontìl noi pur diciamo per simil. ad una specie di ponticello stabile di legno sporto sull'acqua dalla parte di terra, cui avvicinandosi le barche, vi si monta>>.

99 Cfr. Le grand Robert de la langue française, entièrement revue et enrichie par A. Re(c, 4, Paris 121985, s. v.

0° Cfr. soprattutto Cortellazzo-Zolli (n. 98), 4, s. v.: «la voce va certamente connessa a punta o punto, ma il passaggio semantico non risulta chiaro. Secondo

Vincenzo Ortoleva
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278 Vincenzo Ortoleva

* * * 1, 56, 31 Oportet autem ferramento otiosorum animalium sola ranu-

lasque purgari; quod euaporat atque refrigerat et fortiores ungulas reddit. deest in SCL Il otiosorum Wy: lotiosorum Fl; Lomm. lotio sorum Ve concisorio rr

lotio sordibusque ceteris Theod. loco sordibus ceteris mg. A sordibus mg. Y Il sola W : -leas Nrr Lomm. -lo e:ATY -le MPU -lum B mg. A Y2 Theod. Il ranulasque Lomm. : ramulas- rr Theod. ranula- e; ramula- ç ramina- W anulas- MPU ungulas- N.

In primo luogo un breve accenno a otiosorum. Come si può notare dall'apparato, Lommatzsch pubblicava lotiosorum; sulla base del testo da lui costituito raggettivo lotiosus è stato quindi registrato nel ThlL come hapax vegeziano.'In realtà tale aggettivo, che vorrebbe avere l'improbabile significato di «colui che minge di frequente», è del tutto inesistente e attribuibile solo alla corruttela di una parte della tradizione manoscritta dei Digesta. La lezione genuina è invece otiosorum. Il senso è piuttosto chiaro: «è necessario che le suole e le ranulae degli animali che stanno fermi (nella stalla) siano pulite con uno strumento di ferro». 101

Passiamo ora al termine ranulas. Si tratta di una congettura degli editori; ma è tuttavia assai verosimile dal momento che lo stesso sostantivo si rinviene in un contesto analogo in dig. 2, 58, 4:

Cum ungues indurare uolueris, ungulam subradis; unguentum in cannam uiridem mittes, adhibitis carbonibus prope feruens per cannam instillas ungulis, prouisurus ne coronam tangas aut ranulas; sed his excep-tis in solo et in circuitu solidaturus ungulam confricabis.

deest in SCL Il cum W : et cum e:l,;yrr Theod. Lomm. Il ungulam subradis om. W Il unguentum We:BTYy : et u- A et factum u- rr Lomm. Il mittes We:l,;yrr Theod. : ponis y Il ranulas WABFrr Theod. : -mulas TYy iumulas Ve Il sed - confricabis om. y Il sed We:l,;rr Theod. : si rr.

Nel suo volume sulla lingua dei trattati di veterinaria, Adams si soffer-ma più volte sul particolare significato tecnico che i termini rana e ranun-culus assumono nel gergo veterinario latino. 102 Essi infatti designano già a partire da Columella delle formazioni cistiche molli insorgenti ai lati del

Migliorini-Duro [B. Migliorini -A. Duro, Prontuario etimologico della lingua italiana, Torino 5 1970] potrebbe anche essere un der. di ponte, raccostato a punta».

IOI li concetto che gli animali che stanno fermi nella stalla possono incorrere in malattie delle unghie si rinviene anche in Veg. dig. 2, 55, I: ... etiamsi nulla causa praecesserit, otiosa (scii. anima/ia) in stabu/is ex co/lectione humorum incipiunt claudicare. li nesso animai otiosum ricorre inoltre in dig. 2, 27, I e 2, I 08, I.

102 Adams (n. 3), 337, 344 e 563.

Il primo libro dei Digesta artis mulomedicinalis di Vegezio 279

frenulo linguale nei bovini e negli equini. 103 Del diminutivo ranula, invece, Adams non tratta mai tranne che in nota, 104 dove - sulla scorta di Meyer-Lilbke105 e di Hakamies 106 - afferma che «the diminutive ranula survived with such a metaphorical sense in Sicily». Tale affermazione non solo è piuttosto imprecisa, perché non si capisce se è riferita al dialetto siciliano (ma allora perché «survived»?) o al termine originario latino (ma in questo caso perché non citare qualche attestazione?107), ma anche fondamental-mente errata giacché il termine «ranula>> ricorre non solo in siciliano108 ma pure in altri dialetti 109 oltre che in italiano (dove sono anche attestati «ra-na» e «ranella>> nel. medesimo significato metaforico 110). Il passo di Vege-zio sopra riprodotto - tutto ignorato da Adams - non ha tuttavia nulla a che vedere con i tumori di lingua e palato. Il termine ranula è invece in questo caso fedele traduzione del greco Barpax1ov. Il sostantivo BaTpaxoç è attestato in senso figurato e in riferimento allo zoccolo degli equini in Gp. 16, I, 9 (BaTpaxov µu<:p6v) e in hipp. Ber. 8,2 (èv aiç [scii. èv m!ç òrrÀa'ìç] oi BaTpax01 émaÀoÌ yivovm1 1mì aiµoppooumv). Il diminutivo Barpax10v si rinviene invece più volte in Tolomeo, per designare alcuni astri della costellazione del Sagittario; le espressioni sono del tipo 6 èrrì TOU Barpaxiou rnu aùrnu rroMç (alm. 8, I) o 6 èv èµrrpocrSi(J) 6Ee14' BaTpaxi<!' Tou KEVTaupou èmTÉÀÀE1 (phas. p. 27 H.). I sostantivi BaTpaxoç e BaTpax10v non possono pertanto che designare il «fettone» (altrimenti detto anche «forchetta>>), cioè quella regione dello zoccolo costituita di tes-suto corneo molle, che si inserisce come un cuneo nell'intagliatura della suola. Di ciò si era reso conto anche Adams, che tuttavia non aveva messo in correlazione i termini greci con i due passi vegeziani, 111 i quali costitui-

103 Cfr. Colum. 6, 8, I: uitiosa incrementa linguae, quas ranas ueterinarii uocant. Nello stesso significato, ma riferito all'uomo, il termine si rinviene inoltre attestato in Aet. 8, 39. 104 Adams (n. 3), 337, n. 261.

105 W. Meyer-Liibke, Romanisches etymologisches Wè:irterbuch, Heidelberg 31935, nr. 7047.

106 R. Hakamies, Étude sur l'origine et I'évolution du diminutif latin et sa survie dans les langues romanes, Helsinki 1951, 113.

107 In effetti il diminutivo ranula occorre in tale significato in Veg. cur. boum 5 (ter); Plin. Val. 3, 2; Oribas. eup. p. 423, 2 Bussemaker-Daremberg (e altrove); attesta-zioni medievali sono pure riportate in Du Cange, s. v.

108 Cfr. V. Mortillaro, Nuovo dizionario siciliano-italiano, Palermo l 1876, s. v. ranula. 109 Si vedano ad es. il sardo rana, arrana e l'abruzzese ranarella (cfr. M. L. Wagner, Dizionario etimologico sardo, 2, Heidelberg 1962, 335).

I IO Cfr. Battaglia (n. 50), 15, 1990, s. vv. rana, ranella e ranula. 111 Adams (n. 3), 266, n. 79.

280 Vincenzo Ortoleva, Il primo libro di Vegezio

scono del resto le uniche testimonianze in latino di tale calco. Fatto singo-lare è poi che non sembrano esistere esiti italiani di questa accezione di ranula. 112 In spagnolo è invece di uso corrente il vocabolo ranilla - e parimenti in portoghese ranilha - per designare il fettone; in inglese il ter-mine normalmente impiegato è frog. 113 Tali attestazioni difficilmente po-tranno spiegarsi come calchi direttamente effettuati sul greco, ma devono presupporre un uso del termine latino assai più diffuso di quanto le testi-monianze letterarie possano ora documentare.

112 La fornita da F. Montanari (Vocabolario della lingua greca, Torino 1995,400) di tale accezione del termine pchpaxoç («zoo!. ,ranella', nello zoccolo del cavallo») deve pertanto essere considerata perlomeno imprecisa. Piuttosto dubbio è inoltre se l'espressione italiana male del rospo («carcinoma dello zoccolo del cavallo, detto anche formicaio»; cfr. Battaglia, n. 50, 17, 1994. 109 § 8) debba essere collegata con il latino ranula: cfr. G. B. Alessio, Suggerimenti e nuove indagini sul problema del sostrato «mediterraneo», SE 18 (1944), 122, che mette tuttavia in relazione il termine rospo con il lat. rusco ( cfr. Garg. Mart. cur. boum 17: iumentum ruscones si habebit, alium cum axzmgia conteris et dabis).

113 Curiosamente nell'OED2 s. v. frog2 si legge: «Of doubtful origin. Perh. a use of prec. [scii. frog = «rana>>], suggested by some resemblance in sound between this word and the It. nameforchetta, or some dialectal variant ofF.fourchette».

INHALT

Walther K r a u s, Nachgelassene textkritische Notizen ....................... 5 Marek W in i a r c z y k, La mort et l'apothéose d'Héraclès ................. 13 Christine Ha r r a u e r, Die Tragodie der Glauke - Euripides,

Medeia 1185 - 1202 ...................................................................... 31 Malcolm O avi es, ,The man who surpassed ali men in virtue':

Euripides' Hippolytus and the balance ofsympathies .................. 53 Walter Stock e r t, Zu einer Korruptel in der ,Taurischen lphi-

genie' (Vers 999) .......................................................................... 71 M. D i a z de Ceri o O fez - R. Serrano Canta rf n, Die

Stellung der Handschrift Yindobonensis Phil. gr. 21 (Y) in der Oberlieferung des Textes von Platons ,Gorgias' ............................ 75

Fritz M i t t ho f, Ein neuer lsokratespapyrus aus Wien (Nicocles 1 und 5) ............................................................................................ 107

Georg O a ne k, lamblichs Babyloniaka und Heliodor bei Photios: Referattechnik und Handlungsstruktur ......................................... 113

Amphilochios Papa t ho ma s, Das erste antike Zeugnis fiir die veterinarmedizinische Exzerptensammlung des Anatolios von Berytos •.. ,...................................................................................... 135

Hubert P et e r s man n, Lateinische Varietatenrhythmik - aufge-zeigt an ausgewahlten Komodien des Plautus .............................. 153

Michael von A 1 b re eh t, Ovids Amores und sein Gesamtwerk ......... 167 Erich W o y tek, ,Jn medio et mihi Caesar erit ... ". Vergilimita-

tionen im Zentrum von Ovids Remedia amoris ............................ 181 Kurt S mo 1 a k, Der Hymnus fiir jede Gebetsstunde (Prudentius,

Cathe1nerinon 9) ............................................................................ 215 Rainer J a k obi, Ps.-Ambrosius ,De pudicitia et castitate' (Clavis3

176) - Edition und Kommentar .................................................... 237 Vincenzo Orto 1 e va, Note critico-testuali ed esegetiche al primo

libro dei Digesta aitis mulomedicinalis di Vegezio ...................... 245

Inhalt

Thomas Ha y e, Ein ungeliebter Lyriker des 12. Jahrhunderts -Beobachtungen zu den kleineren Gedichten des Stephan von Rouen ............................................................................................ 281

Christine Ra t k o w i t s c h, Mittelalterliches in der Hirtendichtung des Giovanni Boccaccio ............................................................... 301

Elisabeth K I e c k e r, ,Episches Theater' im Barock .......................... 335

Rezensionen und Kurzanzeigen ........................................................... 359


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