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Operazioni sul capitale in presenza di perdite nelle società a base capitalistica.

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ANNO XXXV Contabilità finanza e controllo 11.2012 801 S O M M A R I O Gli accantonamenti a fondi rischi Valerio Antonelli 803 Operazioni sul capitale in presenza di perdite nelle società a base capitalistica Alberto Dell’Atti 811 Imprese in crisi: le novità di cui all’art. 33 del D.L. 83/2012, convertito in legge 134/2012 Giuliano Buffelli e Giovanni P. Rota 821 Basilea 3: nuovi requisiti di adeguatezza del capitale delle banche Roberto Lombardi 834 Le modifiche annuali degli standard internazionali Alessandro Turris e Giorgio A. Acunzo 841 La valutazione aziendale nell’ottica della quotazione Marco Taliento 844 Aspettative di valore e tecniche negoziali nella conclusione di un deal Francesco Bavagnoli 851 I patti di famiglia: un fallimento annunciato Giuseppe Rebecca 860 I reati tributari e la legge antiriciclaggio Gian Gaetano Bellavia 868 Rubriche Novità fiscali dall’Europa Raffaele Rizzardi 878 Aggiornamento sulle attività dell’EFRAG Filippo Poli e Giorgio A. Acunzo 885 Sintesi delle più recenti circolari, risoluzioni e pronunce giurisprudenziali Giuseppe Cutolo e Antonio Tanzillo 889 Scadenze del mese Eugenio Russo 893 Per accedere all’archivio completo dei numeri di “Contabilità finanza e controllo” pubblicati nel corso del 2012 si rinvia al link www.cfc.ilsole24ore.com. 11
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ANNO XXXV Contabilità finanzae controllo11.2012

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S O M M A R I O

Gli accantonamenti a fondi rischi Valerio Antonelli 803

Operazioni sul capitale in presenza di perdite nelle società a base capitalistica

Alberto Dell’Atti 811

Imprese in crisi: le novità di cui all’art. 33 del D.L. 83/2012, convertito in legge 134/2012

Giuliano Buffelli e Giovanni P. Rota

821

Basilea 3: nuovi requisiti di adeguatezza del capitale delle banche

Roberto Lombardi 834

Le modifiche annuali degli standard internazionali

Alessandro Turris e Giorgio A. Acunzo

841

La valutazione aziendale nell’ottica della quotazione

Marco Taliento 844

Aspettative di valore e tecniche negoziali nella conclusione di un deal

Francesco Bavagnoli 851

I patti di famiglia: un fallimento annunciato Giuseppe Rebecca 860

I reati tributari e la legge antiriciclaggio Gian Gaetano Bellavia

868

Rubriche

Novità fiscali dall’Europa Raffaele Rizzardi 878

Aggiornamento sulle attività dell’EFRAG Filippo Polie Giorgio A. Acunzo

885

Sintesi delle più recenti circolari, risoluzioni e pronunce giurisprudenziali

Giuseppe Cutoloe Antonio Tanzillo

889

Scadenze del mese Eugenio Russo 893

Per accedere all’archivio completo dei numeri di “Contabilità fi nanza e controllo” pubblicati nel corso del 2012 si rinvia al link www.cfc.ilsole24ore.com.

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Note redazionali per gli autori

Gli articoli devono essere inviati all’indirizzo di posta elettronica [email protected] e, per conoscenza, a [email protected], in formato Microsoft Word, per un massimo di 35.000 caratteri (spazi inclusi).Le note – ridotte all’essenziale – sono inserite in chiusura del testo, secondo il seguente formato:− H.C. Dekker, “Value chain analysis in interfi rm relationships: A fi eld study”, in Management Accounting Research, vol. 14/2003, pagg. 1-23;− E. Giannessi, Appunti di economia aziendale, Pacini, Pisa, 1979, pag. 12.Seconda e successive citazioni dello stesso volume: Giannessi, Appunti, cit., pag. 21.La bibliografi a fi nale non deve essere inserita. Le fi gure e le tabelle devono essere numerate progressivamente e separatamente. Il nome e il cognome dell’autore sono inseriti dopo il titolo e devono essere accompagnati dalla qualifi ca. Il testo degli articoli deve essere preceduto da un abstract in italiano di circa 100 parole.Gli articoli a carattere scientifi co sono sottoposti a referaggio: in tal caso, essi devono contenere un abstract in inglese di circa 100 parole e devono recare, nella e-mail di accompagnamento del testo, la seguente dicitura: “Si chiede alla direzione della rivista il referaggio dell’articolo”. Una volta ricevuto, l’articolo sarà sottoposto all’esame cieco di due referee e dell’esito sarà informato l’autore. Gli articoli referati sono riconoscibili dal simbolo ® posto nel sommario accanto al titolo.Anche gli articoli non referati sono sottoposti alla valutazione degli organi della rivista, i quali si riservano di accoglierli e, se del caso, di suggerire agli autori gli opportuni aggiustamenti.Agli autori sarà fornita copia in .pdf dell’articolo pubblicato.

Coordinatore scientifi coValerio Antonelli (Università di Salerno)

Comitato scientifi coUmberto Bertini (Università di Pisa) – PresidenteStefano Adamo (Università del Salento – Lecce)Paolo Bastia (Università di Bologna)Silvio Bianchi Martini (Università di Pisa)Umberto Bocchino (Università di Torino)Bettina Campedelli (Università di Verona)Stefano Coronella (Università Parthenope di Napoli)Raffaele D’Alessio (Università di Salerno)Luciano D’Amico (Università di Teramo)Vittorio Dell’Atti (Università di Bari)Fabrizio Di Lazzaro (LUISS “Guido Carli” di Roma)

Giancarlo Di Stefano (Università Parthenope di Napoli)Piermaria Ferrando (Università di Genova)Fabio Fortuna (UNISU di Roma)Michele Galeotti (Università “La Sapienza” di Roma)Stefano Garzella (Università Parthenope di Napoli)Lucia Giovanelli (Università di Sassari)Giovanni Liberatore (Università di Firenze)Libero Mario Mari (Università di Perugia)Giuseppe Paolone (Università di Chieti-Pescara)Piero Pisoni (Università di Torino)Giulio Tagliavini (Università di Parma)

Proprietario ed Editore:Il Sole 24 ORE S.p.A.Presidente:Giancarlo CeruttiAmministratore Delegato:Donatella Treu

Direttore Responsabile:Gabriele BonettiRedazione:Marina Bruns

Registrazione Tribunale di Milanon. 327 del 2.10.1978Questo fascicolo è stato licenziatoper la stampa il 24.10.2012

Prezzo abbonamento annuale 2013:€ 239,99 (versione digitale); una copia € 23,99www.shopping24.it sezione PeriodiciL’abbonamento decorre dal primo numero disponibile.Amministrazione vendite:via Tiburtina Valeria km 68,70067061 Carsoli (AQ)Fax 06.3022.5402 oppure 02.3022.5402

Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun vo-lume/fascicolo di periodico dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, legge 633, 22.4.1941. Le riproduzioni effettuate per finalità di carattere professionale, economico o commerciale o comunque per uso diverso da quello personale possono essere effettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da AIDRO, corso di Porta Romana n. 108, Milano 20122, e-mail [email protected] e sito web www.aidro.org.

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Stampa: Rotolito Lombarda – via Sondrio 320096 Seggiano di Pioltello (MI)

associata all’USPIUnione StampaPeriodica Italiana

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Gli accantonamenti a fondi rischiVerso i nuovi OIC

Valerio AntonelliProfessore ordinariodi Bilanci e comunicazioneeconomico-finanziaria,Università degli Studi di Salerno

Nel processo di redrafting dei principi contabili nazionali si annuncia-no numerose novità.L’articolo esamina le disposizioni attualmente vigenti suscettibili di intervento da parte dei nuovi OIC.

L’Organismo Italiano di Contabilità ha avviato, nel maggio 2010, un progetto di aggiornamento dei principi contabili nazionali e di adattamento alle novità legislative intervenute nel frattempo.Consideriamo un’area di interesse del nuovo OIC 19, cioè l’attuale disciplina in tema di condizioni necessa-rie per l’accantonamento dei fondi rischi (con partico-lare riferimento a quelli per controversie legali).

Disciplina civilistica

L’art. 42 della IV direttiva CEE (n. 78/660/CEE del 25 luglio 1978) prevede che l’importo degli ac-cantonamenti per rischi e oneri non può superare le somme necessarie. Gli accantonamenti che gu-rano nello stato patrimoniale nella voce “Altri ac-cantonamenti” devono essere precisati nell’allegato se hanno rilevanza apprezzabile.L’art. 2424-bis, comma 3, cod. civ. stabilisce che gli accantonamenti per rischi e oneri sono destinati soltanto a coprire perdite o debiti di natura deter-minata, di esistenza certa o probabile, dei quali tut-tavia alla chiusura dell’esercizio è indeterminato o l’ammontare o la data di sopravvenienza.

I presupposti per l’accantonamento di un fondo sono da ricercare in:a. la funzione. Il fondo dovrà coprire un’uscita nume-

raria o un consumo di risorse destinati a manifestarsi nel tempo a venire, in guisa da evitare che, per il suo ammontare, il costo futuro possa incidere sul reddito del periodo amministrativo in cui l’uscita o il consumo avranno (e se avranno) effettiva manifestazione;b. le caratteristiche qualitative della perdita o del debito il cui effetto economico l’accantonamento intende anticipare all’esercizio in chiusura. Esse sono:b.1) la natura determinata. Il riferimento di questa agli accantonamenti alle perdite e ai debiti intende escludere che si possano costituire fondi a fronte di:– oneri derivanti da eventi futuri dai contorni trop-

po indeterminati (o addirittura inventati);1

– rischi generali d’azienda (da fronteggiare me-diante altre azioni strategiche di ampio respiro o da perequare, nei loro potenziali effetti dan-nosi per l’economicità dell’unità produttiva, mediante trattenimenti di utili netti).2 Gli accan-tonamenti dunque potranno riferirsi soltanto a rischi speci ci o di comunanza (tale ultimo rife-rimento è ammesso esplicitamente dalla sent. n. C-279/1997 della Corte di Giustizia europea);

b.2) l’esistenza certa o probabile. Il fondo può essere ac-cantonato se l’onere o la perdita per i quali esso è formato3 sono attesi:– con certezza;– con una certa probabilità (non necessariamente

> 50%);

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Probabilità del fondoLa disequazione:

P(E) > (1 – P(E))

ossia:P(E) > 50%

con P(E) = probabilità dell’evento temuto, che molti inter-preti attribuiscono ai principi contabili nazionali, non è in essi rinvenibile. È introdotta invece dallo IAS 37, Accantonamen-ti, passività e attività potenziali, par. 15, dove si ipotizza che «un evento passato dia luogo a un’obbligazione attuale se, tenendo conto delle conoscenze disponibili, è più verosimile, piuttosto che il contrario, che esista un’obbligazione attuale alla data di riferimento del bilancio».

c. il momento di costituzione. Esso coincide con la data di chiusura dell’esercizio nel corso del quale si ma-nifesta, in tutto o in parte, l’evento che dà luogo all’esposizione al rischio o al sorgere dell’onere, mentre l’esercizio di manifestazione effettiva del danno temuto o della spesa è quello in cui il fondo dovrà essere utilizzato;4

d. l’elemento ignoto, che può consistere nel manife-starsi del danno temuto, nel valore della passività o nella data di sopravvenienza. Pertanto:– se l’evento è certo, così come il valore della passività

e la data in cui questa è esigibile, si è in presenza di un debito (e dunque si è fuori dell’area dei fondi);

– se l’evento è certo, ma è il valore o la data di sopravvenienza di questo a essere incerto, si è in presenza di un fondo oneri;

– se tutti i dati del problema sono incerti (even-to, ammontare e data), il che può darsi solo nel caso di danni temuti, per loro natura né certi né impossibili, si entra in una zona grigia che può portare, in certi casi (quando quei dati sono più de niti e probabili), ad accantonamenti a fondi rischi, in altri (nelle circostanze opposte) a non produrre alcun effetto sul reddito e sul capitale dell’esercizio amministrativo in chiusura.

Non si danno, di conseguenza, i presupposti per procedere all’accantonamento di un fondo, sulla base della lettera della legge, nei casi in cui:5

a. la funzione sia quella di anticipare al presente costi futuri non correlati secondo il principio di competenza economica all’esercizio del quale si

costruisce il bilancio e in cui si vorrebbe appostare l’accantonamento;b. la perdita o il debito da coprire siano di natura indeterminata o di improbabile sussistenza futura. Non si possono dunque dare fondi rischi generici;c. il valore della perdita e la data di sopravvenienza siano entrambi noti o entrambi ignoti (deve trattarsi di probabile, o addirittura certa, insorgenza sulla base di fatti già noti alla data di chiusura dell’esercizio, pre-cisa il tribunale di Monza, sent. 10 aprile 1997). Nel primo caso, infatti, si darà un vero e proprio debito; nel secondo, invece, si tratterà di un evento non stima-bile e remoto nel tempo, del quale si potrà dare conto nella nota integrativa, senza incidere sul reddito e sul capitale dell’esercizio in chiusura (trib. Como, sent. 19 maggio 2001; trib. Milano, sent. 5 novembre 2001).Analogamente, se vengono meno le condizioni che presiedono all’iscrizione di un fondo, ossia l’essere l’onere o la perdita probabile e incerto il manife-starsi del danno temuto, il valore della passività o la data di sopravvenienza, perché tutti diventano certi e determinati, i fondi perdono la propria natura e assumono la forma di debiti.6

Principi contabili nazionali

L’OIC 19, par. A.II, nella versione 2005, precisa meglio le condizioni alle quali si procede ad accan-tonamenti.

I casi, dunque, sono i seguenti:a. accantonamenti per passività certe nell’esistenza, ma incerte nell’entità o nel tempo di manifestazione. Si trat-ta di costi di competenza dell’esercizio in corso per obbligazioni già assunte alla data di redazione del bilancio di esercizio o per altri eventi già veri cati-si alla stessa data, che maturano con il passare del tempo o che sorgono con il veri carsi di un evento speci co dell’esercizio in corso. In ragione dei negozi a prestazioni corrispettive stipulati, o, in certi casi, da stipulare, l’azienda anticipa all’esercizio in chiusura l’incidenza economica del costo futuro, onde elimi-nare l’impatto dell’uscita numeraria o del consumo di risorse (per la produzione di beni o per l’eroga-

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Accantonamenti a fondi nell’OIC 19 (punti A.I-A.II; C.VI)

A.I. I fondi per rischi e oneri accolgono gli accantonamenti destinati a coprire perdite o debiti aventi le seguenti caratteristiche:– natura determinata;– esistenza certa o probabile;– ammontare o data di sopravvenienza indeterminati alla chiusura dell’esercizio.A.II. Le passività che danno luogo ad accantonamenti a fondi per rischi e oneri sono di due tipi:a. accantonamenti per passività certe, il cui ammontare o la cui data di estinzione sono indeterminati. Si tratta in sostanza di fondi oneri, ossia di costi, spese e perdite di competenza dell’esercizio in corso per obbligazioni già assunte alla data di bilancio o altri eventi già verificatisi (maturati) alla stessa data, ma non ancora definiti esattamente nell’ammontare o nella data di estinzione. Si tratta quindi di obbligazioni che maturano con il passare del tempo o che sorgono con il veri-ficarsi di un evento specifico dell’esercizio in corso, ovvero di perdite che si riferiscono a un evento specifico verificatosi nell’esercizio in corso, le quali non sono ancora definite esattamente nell’ammontare, ma che comportano un procedimen-to ragionieristico di stima;b. accantonamenti per passività la cui esistenza è solo probabile; si tratta delle cosiddette “passività potenziali” o fondi rischi, le cui caratteristiche sono illustrate al par. C.VI.

Passività potenzialiC.VI.a. Con l’espressione “passività potenziali” ci si riferisce a passività connesse a “potenzialità”, cioè a situazioni già esi-stenti ma con esito pendente, in quanto si risolveranno in futuro.In particolare, per “potenzialità” si intendono in questo principio contabile una situazione, una condizione o una fattispecie esistenti alla data del bilancio, caratterizzate da uno stato d’incertezza, le quali, al verificarsi o meno di uno o più eventi futuri, potranno concretizzarsi per l’impresa in una perdita o in un utile, confermando il sorgere di una passività o la perdita parziale o totale di un’attività (per esempio, una causa passiva, l’inosservanza di una clausola contrattuale o di una norma di legge, una minaccia d’espropriazione, rischi non assicurati ecc.), ovvero l’acquisizione di un’attività o la riduzione di una passività (per esempio, una causa attiva, benefici fiscali da perdite a nuovo ecc.).C.VI.c. Il trattamento contabile delle perdite derivanti da potenzialità dipende dai seguenti due elementi:1) grado di realizzazione e di avveramento dell’evento futuro;2) possibilità di stimare l’ammontare delle perdite.Tali determinazioni sono spesso difficili da effettuare e richiedono discernimento, oculatezza e giudizio da parte del redattore del bilancio, applicati con competenza e onestà e con l’utilizzo della più ampia conoscenza dei fatti e delle circostanze.Le informazioni da utilizzare comprendono anche pareri legali e di altri esperti, dati relativi all’esperienza passata dell’impresa in casi similari, le decisioni che l’impresa intenderà adottare ecc.C.VI.d. Al fine di misurare il grado di realizzazione e di avveramento dell’evento futuro, tali eventi possono classificarsi in: probabili, possibili o remoti.Un evento dicesi “probabile” qualora se ne ammetta l’accadimento in base a motivi seri o attendibili ma non certi, ossia se l’accadimento è credibile, verosimile o ammissibile in base a motivi e argomenti abbastanza sicuri. Opinione probabile è del resto quella basata su ragioni tali da meritare l’assenso di persona prudente.Con il termine “possibile”, il grado di realizzazione e di avveramento dell’evento futuro è inferiore al probabile. L’evento pos-sibile è quello che può accadere o verificarsi, che cioè è eventuale o può avvenire.L’evento “remoto” è invece quello che ha scarsissime possibilità di verificarsi, ossia che potrà accadere molto difficilmente.C.VI.e.1. Le perdite derivanti da potenzialità e pertanto anche quelle connesse a passività potenziali sono rilevate in bilancio come fondi accesi a costi, spese e perdite di competenza stimati quando sussistono le seguenti condizioni:– la disponibilità, al momento della redazione del bilancio, di informazioni che facciano ritenere probabile il verificarsi degli

eventi comportanti il sorgere di una passività o la diminuzione di un’attività;– la possibilità di stimare l’entità dell’onere con sufficiente ragionevolezza.1. Se nella fattispecie si può pervenire alla determinazione di un campo di variabilità di valori, lo stanziamento deve rappre-sentare la migliore stima fattibile tra i limiti massimi e minimi del campo di variabilità dei valori determinati. Se nessuno dei valori stimati tra i limiti del detto campo è più valido degli altri, va stanziato almeno il minore degli ammontari.Va però indicato nella nota integrativa il rischio di ulteriori perdite, se vi è la possibilità di subire perdite addizionali rispetto agli ammontari stanziati.2. Se l’evento è probabile, ma l’ammontare dell’onere non è suscettibile di alcuna stima attendibile, ovvero se l’evento è possibile, non viene effettuato uno stanziamento in bilancio, ma si evidenzierà nella nota integrativa ogni informazione utile affinché il lettore possa avere i chiarimenti essenziali per la comprensione della situazione e valutare gli eventuali riflessi sul bilancio e sull’andamento dell’impresa. Non è richiesta indicazione nella nota integrativa se l’evento è remoto.3. Gli ammontari da stanziare in bilancio a fronte delle perdite connesse a potenzialità sono determinati sulla base delle informazioni disponibili alla data del bilancio.Gli eventi che si verificano dopo la data di bilancio e che indicano che una passività già esisteva alla data del bilancio o che un’attività aveva subito una perdita di valore alla stessa data, sono presi in considerazione al fine sia di determinare le poten-zialità esistenti alla data del bilancio sia di valutare gli effetti e gli ammontari connessi a tali situazioni.

(segue)

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zione di servizi che l’unità aziendale dovrà allestire) sul reddito dell’esercizio di manifestazione dell’usci-ta o del consumo.7 L’OIC 19, par. C.V, precisa che gli stanziamenti per le predette obbligazioni devo-no essere effettuati sulla base di una stima realistica dell’onere necessario, tenendo conto dei componen-ti di costo, già noti a tale data, che dovranno essere sostenuti per soddisfare le obbligazioni assunte;b. accantonamenti per passività probabili. Si tratta delle cosiddette “passività potenziali”, o, come li ha sempre denominati la dottrina classica,8 dei fondi rischi.

L’OIC 19, par. A.I, precisa che i rischi, per scopi contabili, possono essere classi cati in base a due parametri:a. la probabilità di realizzazione dell’evento temuto (si è posta: P(E)), distinguendo tra:– eventi probabili, quando 1 > P(E) > max,– eventi possibili, quando min < P(E) < max,– eventi remoti, quando 0 < P(E) < min.Si noti che, sulla base dell’impostazione dell’OIC, si ha che:– la probabilità stimata, in tutte le ipotesi contem-

plate, è di tipo soggettivo,9 giacché essa forma og-getto di un apprezzamento personale e diligente esercitato dal redattore del bilancio, basato sulle informazioni raccolte e sulla valutazione (l’OIC 19, par. C.VI.c, scrive: «tali determinazioni sono spesso dif cili da effettuare e richiedono discer-nimento, oculatezza e giudizio da parte del re-

dattore del bilancio, applicati con competenza e onestà e con l’utilizzo della più ampia conoscen-za dei fatti e delle circostanze»);

– la soglia max (più prossima a 1 che a 0) è de-sumibile dall’affermazione dell’OIC, secondo la quale l’apprezzamento degli eventi probabili si fonda su «motivi seri o attendibili ma non cer-ti, ossia se l’accadimento è credibile, verosimile o ammissibile in base a motivi e argomenti ab-bastanza sicuri. Opinione probabile è del resto quella basata su ragioni tali da meritare l’assenso di persona prudente» (OIC 19, par. C.VI.d);

– la “possibilità” esprime, in termini intuitivi e non analitici, un livello del grado di probabili-tà di manifestazione dell’evento temuto infe-riore a quello precedente. Scrive al riguardo il principio contabile nazionale: «con il termine “possibile” il grado di realizzazione e di avvera-mento dell’evento futuro è inferiore al probabile. L’evento possibile è quello che può accadere o veri carsi, che cioè è eventuale o può avvenire» (OIC 19, par. C.VI.d). L’ultima affermazione in-vero appare apodittica e inutile, giacché anche gli eventi “probabili” (e remoti di cui si sta per dire) possono manifestarsi o no nel tempo a ve-nire, consistendo in questo la caratteristica del genus dei fondi rischi (cioè l’essere: 0 < P(E) < 1);

– la soglia min (ma maggiore di 0, altrimenti l’even-to sarebbe impossibile) segna il limite al di sotto del quale si posiziona la P(E) che de nisce l’even-

C.VI.f.1. Se una perdita connessa a una potenzialità è stata stanziata in bilancio, la situazione d’incertezza e l’ammontare dello stanziamento sono indicati in nota integrativa, se tali informazioni sono necessarie per una corretta comprensibilità del bilancio.Tali stanziamenti sono rilevati nei fondi per rischi e oneri. Quando la perdita è molto significativa, è preferibile effettuare la classificazione in un fondo separato con spiegazione nella nota integrativa.2. Se è probabile che l’evento futuro si verifichi, ma la stima non può essere effettuata, in quanto l’ammontare che ne risulte-rebbe sarebbe particolarmente aleatorio e arbitrario, salvo il caso in cui sia possibile stimare e stanziare in bilancio un importo minimo, sono fornite in nota integrativa le stesse informazioni da indicare nel caso che l’evento sia possibile e che verranno elencate nei paragrafi successivi; inoltre si indicherà che è probabile che la perdita verrà sostenuta.3. Nel caso in cui l’evento e quindi la perdita sia possibile, ma non probabile, sono indicate in nota integrativa le seguenti informazioni:– la situazione d’incertezza che potrebbe procurare la perdita;– l’ammontare stimato della possibile perdita o l’indicazione che la stessa non può essere effettuata;– altri possibili effetti se non evidenti;– preferibilmente l’indicazione del parere della direzione dell’impresa e dei suoi consulenti legali e altri esperti.

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to come remoto (l’OIC 19, par. C.VI.d, scrive: «l’evento remoto è invece quello che ha scarsissi-me possibilità di veri carsi, ossia che potrà acca-dere molto dif cilmente»);

b. la possibilità di stimare gli effetti del danno, distinguen-do tra:– danni stimabili;– danni non stimabili.

Dalla combinazione di questi criteri si pos-sono ottenere vari casi.10

a. In presenza di rischi speci ci, connessi a eventi futuri giudicati come probabili (in base alle informazioni di-sponibili al termine dell’esercizio amministrativo) e in ragione dei quali si temono danni di entità stimabile con suf ciente ragionevolezza, l’azienda deve procedere alla loro copertura anticipata mediante l’apposta-mento, nel bilancio di esercizio, di corrispondenti fondi rischi.La congettura dell’accantonamento presuppone la scelta di un valore all’interno di un campo di oscil-lazione segnato da un minimo e da un massimo che formano oggetto di valutazione, per entità e per probabilità soggettiva di manifestazione, da parte del redattore del bilancio.11

Lo IAS 37, par. 39, invece, ricorre alla stima del valore atteso come segue: «Le incertezze connesse all’ammontare da rilevare come accantonamento sono trattate in vari modi a seconda delle diverse circostanze. Laddove l’accantonamento oggetto di stima coinvolge un vasto numero di elementi, l’obbligazione è stimata attraverso la ponderazione delle probabilità associate a tutti i possibili risulta-ti. La denominazione di questo metodo statistico di stima è “valore atteso”. L’accantonamento sarà perciò differente a seconda del fatto che la proba-bilità di una perdita per un dato ammontare sia, per esempio, 60% o 90%. Nel caso in cui vi sia una serie continua di possibili risultati e ciascun punto in questa serie abbia le medesime probabilità di ve-ri carsi di un altro, si adotta la stima media».L’equazione sarà:

i D(Ei) × P(Ei)

dove:– D(E) = entità stimata del danno in caso di mani-

festazione dell’evento Ei;– P(E) = probabilità stimata di manifestazione

dell’evento Ei.Secondo il principio contabile nazionale, se non emergono elementi capaci di fare propendere per un importo compreso nell’intervallo così de nito, deve stanziarsi almeno il valore minimo (OIC 19, par. C.VI.e.1.1). Il precetto valutativo quindi de ni-sce uno spazio di valori ragionevoli assegnabili alla passività, ma, in difformità dal principio di pruden-za estimativa, non impone la scelta del valore più alto segnato da questo spazio,12 ma all’opposto sug-gerisce di scegliere il più basso, consentendo quin-di che il costo presunto connesso all’intero spettro del campo dei valori ammissibili non sia anticipato all’esercizio in chiusura, rimanendo esso potenzial-mente, per la porzione corrispondente all’ampiezza dello spazio dei valori ragionevoli, a carico di quello di manifestazione dell’evento oneroso o dannoso.b. Se l’evento futuro al quale è connesso il rischio è da con-siderarsi probabile, ma il danno temuto non è stimabile, o se quell’evento è solo possibile (indipendentemente dalla possibilità di stimare il danno), nessun fondo rischi deve, secondo l’OIC 19, comparire nel bilancio di esercizio. Si tratta qui di una scelta politica da parte dell’Organismo Italiano di Contabilità, in quanto, se-condo la lettera della legge, l’accantonamento sareb-be ancora necessario. In queste circostanze, la nota integrativa, tuttavia, deve contenere le indicazioni necessarie per valutare gli eventuali ri essi di tale ri-schio e, in particolare, la descrizione della situazione incerta, l’indicazione dell’impossibilità di stimare il danno, il parere della direzione aziendale e dei suoi consulenti o legali. Queste situazioni potrebbero con-sistere in casi in cui la manifestazione di determinati fenomeni ambientali, meteorologici o politici può su-scitare il sostenimento di costi o la perdita di ricavi in capo all’azienda (OIC 19, par. C.VI.e.1).c. Se l’evento futuro al quale è connesso il rischio è remoto (sia esso stimabile o meno), non deve essere effet-tuato alcun accantonamento a fondi del passivo e nessuna informazione deve essere fornita, neppu-

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re in nota integrativa. In questa fattispecie, infatti, la funzione di tutela dell’integrità economica del capitale può essere raggiunta soltanto mediante il trattenimento di utili netti e la formazione di ri-serve capaci di coprire i danni derivanti da rischi non speci camente individuabili alla data di chiu-sura dell’esercizio amministrativo (OIC 19, par. C.VI.f.1.2).Il quadro complessivo dei casi possibili è rappre-sentato nella gura 1.

Passività potenziali per controversie legali

Il fondo rischi per controversie legali è un tipico accantonamento per passività potenziali, del quale si interessa il nuovo OIC 19.Esso si origina quando l’azienda è esposta al rischio di risarcimento danni per la propria responsabilità, con-trattuale o aquiliana. I principi contabili nazionali s-sano alcune regole sull’iscrizione del fondo, la quale è:– necessaria quando è “probabile” (nel senso elabo-

rato dall’OIC) che le contestazioni da parte del terzo saranno effettivamente promosse e la per-dita, a esse conseguente, appare almeno “possi-bile” (OIC 19, par. C.VI.f.5);

– non necessaria se il mancato rispetto di una clausola contrattuale da parte dell’azienda (e che coinvol-ge dipendenti, clienti, fornitori, enti)13 si unisce

alla scarsa probabilità che l’altra parte promuo-va contestazione, in quanto non ha sofferto un danno signi cativo (OIC 19, par. C.VI.f.5). L’azienda, quindi, stima poco probabile che i terzi si attivino per operare una transazione o una conciliazione extragiudiziale o per instaura-re un vero e proprio giudizio se non hanno su-bito un danno signi cativo (il solo per il quale la prospettiva del risarcimento rende conveniente il sostenimento dei costi della procedura lega-le).14 La giurisprudenza, al riguardo, è apparsa oscillante tra la tesi che sostiene l’iscrizione della passività potenziale tra i conti d’ordine e quella, maggiormente accreditata, che reputa necessa-ria l’iscrizione del fondo, purché sia prudente-mente stimabile il fatto che la società rimanga soccombente nel giudizio in corso e quindi deb-ba riconoscere all’altra parte la prestazione con-tesa e il risarcimento;15

– basata su pareri legali (OIC 19, par. C.VI.c);– inclusiva della stima delle spese legali e degli altri

costi che saranno sostenuti per quella fattispecie (OIC 19, par. C.VI.f.6).

Nelle disposizioni attuali devono anzitutto sussiste-re le condizioni richieste per qualsiasi fondo rischi ( gura 2).Il principio contabile OIC 19 stabilisce (in sintesi) quanto riportato in tabella 1.

Natura determinataEsistenza certa

Ammontare determinato

Data di scadenza determinata

Natura determinataEsistenza certa

Ammontare indeterminato o

data di estinzione indeterminata

Natura determinataEsistenza probabilePerdita stimabile

Natura determinataEsistenza probabile

Perdita non stimabile

Natura determinataEsistenza possibile (bassa probabilità)

Evento remoto

D) Debiti B) Fondi per oneri B) Fondi per rischi Informazione in nota integrativa

Informazione in nota integrativa

Nessun provvedimento

Posizioni passive

Figura 1 – QUADRO DELLE POSIZIONI PASSIVE SECONDO L’OIC 19

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Il principio contabile nazionale OIC 19 ssa le speci che condizioni in presenza delle qua-li un accantonamento a fondo rischi per passività potenziali deve ritenersi obbligatorio e in assenza delle quali tale accantonamento non è obbligatorio (ed è sostituito da informativa in nota integrativa).In presenza di rischi speci ci, connessi a eventi futuri giudicati come probabili (in base alle informazioni di-sponibili al termine dell’esercizio amministrativo) e in ragione dei quali si temono danni di entità stimabile con suf ciente ragionevolezza, l’azienda deve proce-dere all’accantonamento a fondi rischi ( gura 3).Ne consegue che gli accantonamenti a fondo ri-schi per passività potenziali non devono essere

iscritti in bilancio se:– la probabilità dell’evento futuro viene stimata

come suf cientemente bassa e inferiore alla so-glia max, tanto da potere quali care l’evento, secondo la scala proposta dall’OIC, come “pos-sibile” o addirittura “remoto”;

– il danno viene considerato non stimabile, a pre-scindere dalla stima della curva di probabilità degli eventi.

Il conguaglio con i risarcimenti reali darà luogo a sopravvenienze rispettivamente attive o passive, a seconda che l’esito della causa sia più favorevole o più sfavorevole rispetto a quanto concorre com-plessivamente alla formazione del fondo.16

Copertura di una perdita o di un debito futuri

Rischio specifico

Esistenza probabile

Iscrizione nel bilancio in cui si “percepisce” l’evento futuro

Importo e/o data incerti

Accantonamento a fondo rischi per passività potenziali

Figura 2 – REQUISITI PER L’ISCRIZIONE DI UN FONDO RISCHI

Tabella 1 – CRITERI DI ISCRIZIONE E DI VALUTAZIONE FISSATI NELL’OIC 19

Concetto(OIC 19, par. C.VI.a)

Situazione, condizione o fattispecie esistenti alla data del bilancio, caratterizzate da uno stato d’incertezza, le quali, al verificarsi o meno di uno o più eventi futuri, potranno concretizzarsi per l’impresa in una perdita o in un utile, confermando il sorgere di una passività o la perdita parziale o totale di un’attività (per esempio, una causa passiva, l’inosservanza di una clausola contrattuale o di una norma di legge, una minaccia d’espropriazione, rischi non assicurati ecc.).

Elementi di stima(OIC 19, par. C.VI.c)

Il trattamento contabile delle perdite derivanti da potenzialità dipende dai seguenti due elementi:1) grado di realizzazione e di avveramento dell’evento futuro;2) possibilità di stimare l’ammontare delle perdite.

Obbligo di iscri-zione(OIC 19, par. C.VI.e.1)

Le perdite derivanti da potenzialità e pertanto anche quelle connesse a passività potenziali sono rilevate in bilancio come fondi accesi a costi, spese e perdite di competenza stimati quando sus-sistono le seguenti condizioni:– la disponibilità, al momento della redazione del bilancio, di informazioni che facciano ritenere

probabile il verificarsi degli eventi comportanti il sorgere di una passività o la diminuzione di un’attività;

– la possibilità di stimare l’entità dell’onere con sufficiente ragionevolezza.

Fonti informative(OIC 19, par. C.VI.c)

Le informazioni da utilizzare comprendono anche pareri legali e di altri esperti, dati relativi all’espe-rienza passata dell’impresa in casi similari, decisioni che l’impresa intenderà adottare ecc.

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Esempio – Accantonamento a fondo rischi legaliLa A&D S.p.A. ha in corso una controversia legale per un contratto di appalto: sono contestate maggiorazioni di prezzo per opere pari a euro 200.000. In fase di instaurazione del giudizio si stima del 50%, sulla base del parere di un legale, la proba-bilità di soccombenza in giudizio.La scrittura di assestamento sarà la seguente:Accantonamento fondo rischi legali 100.000Fondo rischi legali 100.000

I riflessi sullo stato patrimoniale civilistico sono i seguenti:

Stato patrimoniale al 31.12.201X

B.3) Altri fondi 100.000

I riflessi sul conto economico civilistico sono i seguenti:

Conto economico dell’esercizio 201X

B.12) Accantonamenti per rischi 100.000

Nel caso in cui, a giudizio concluso (o, se del caso, a transazione intervenuta), la somma effettivamente dovuta sia pari a euro 60.000, la scrittura è la seguente:Fondo rischi legali 100.000Banca T c/c 60.000Sopravvenienze attive 40.000

Nel caso in cui, a giudizio concluso (o, se del caso, a transazione intervenuta), la somma effettivamente dovuta sia pari a euro 120.000, la scrittura è la seguente:Fondo rischi legali 100.000Sopravvenienza passiva 20.000Banca T c/c 120.000

1U. Bocchino-P. De Bernardi, “Debiti e fondi per rischi e oneri”, in Guida alla contabilità e bilancio, n. 5/2006, pag. 47.2G. Ceriani, Riserve e politiche di gestione nell’economia delle imprese, Giuffrè, Milano, 1979, pag. 196.3G. E. Colombo-G. Olivieri, Trattato delle società per azioni. 7 Bilancio d’esercizio e consolidato, UTET, Torino, 1994, pag. 345; F. Giunta-M. Pisani, Il bilancio, Apogeo, Milano, 2008, pag. 193.4G. E. Colombo-G. Olivieri, Bilancio d’esercizio e consolidato, cit., pag. 346; F. Giunta-M. Pisani, Il bilancio, cit., pag. 192.5R. Caramel, Il bilancio delle imprese, Il Sole 24 ORE, Milano, 1994, pagg. 199-200; Di Cagno, Informazione contabile e bilancio d’esercizio, cit., pag. 248; F. Giunta-M. Pisani, Il bilancio, cit., pag. 196.6G. E. Colombo-G. Olivieri, Bilancio d’esercizio e consolidato, cit., pagg. 347-348; M. Caratozzolo, Il bilancio d’esercizio, II ediz. aggiorna-ta con i principi contabili nazionali e internazionali, Giuffrè, Milano, 2006, pag. 302; F. Giunta-M. Pisani, Il bilancio, cit., pag. 196.7G. E. Colombo-G. Olivieri, Bilancio d’esercizio e consolidato, cit., pag. 347.8G. Zappa, Il reddito d’impresa, Giuffrè, Milano, 1950, pag. 565.9Il concetto è elaborato da B. De Finetti. Ne tratta: A. Amaduzzi, “Valutazioni monetarie nella ‘logica dell’incerto’”, in Riv. Ital. di Rag. e di Econ. Az., n. 1-2/1991. Sul pensiero dell’insigne matematico italiano si veda, per tutti: B. De Finetti, Teoria della probabilità, Giuffrè, Milano, 2005 (edito postumo).10S. Marasca, Le valutazioni nel bilancio d’esercizio, Giappichelli, Torino, 1999, pagg. 317-318; A. Quagli, Bilancio di esercizio e principi contabili, III ediz., Giappichelli, Torino, 2004, pag. 269.11B. J. Epstein, Interpretation and Application of International Financial Reporting Standards, Wiley and Son, London, 2006, pag. 436.12E. Cavalieri-R. Ferraris Franceschi, Economia aziendale, vol. I “Attività aziendale e processi produttivi”, III ediz., Giappichelli, Torino, 2008, pag. 277.13R. Caramel, Il bilancio delle imprese, cit., pag. 203.14P. Pisoni-F. Bava-D. Busso-A. Devalle, Il bilancio d’esercizio 2010, Euroconference, Verona, 2009, pag. 510.15G. E. Colombo-G. Olivieri, Bilancio d’esercizio e consolidato, cit., pag. 349.16I. Facchinetti, Guida al nuovo bilancio d’esercizio, IV ediz., Il Sole 24 ORE, Milano, 2004, pagg. 368-369.

Evento “probabile”

Danno “stimabile”

Accantonamento OBBLIGATORIO a fondo rischi

per passività potenziali

Figura 3 – OBBLIGO DI ACCANTONAMENTO A FONDO RISCHI PER PASSIVITÀ POTENZIALI NELL’OIC 19

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Operazioni sul capitalein presenza di perdite nelle società a base capitalisticaAumento del capitale sociale alla luce delle recenti interpretazioni

Alberto Dell’AttiProfessore associato di Economia aziendale, Dipartimento di Scienze dell’Economia, Università del Salento

Lo scopo di questo lavoro è quello di analizzare alcuni aspetti riguar-danti l’operazione di aumento di capitale in società nel caso di perdite. Dopo avere analizzato gli effetti a livello economico delle perdite delle società di gestione, abbiamo focalizzato la nostra attenzione su una recente tesi secondo cui è possibile aumentare il capitale nominale, anche in presenza di perdite. Tale interpretazione introduce una signi-ficativa innovazione nella gestione delle perdite.

In via preliminare, appare opportuno operare alcune precisazioni circa l’espressione “opera-zioni sul capitale”. In prima approssimazione, si tratta dell’insieme di operazioni che in modo di-retto comportano variazioni nel capitale sociale (sia aumentative, sia diminutive). Tuttavia, secondo un’interpretazione più ampia, è possibile fare rien-trare in tale ambito anche quelle operazioni che, pur non interferendo sull’ammontare del capitale sociale, generano modi che sul patrimonio netto che, come è noto, rappresenta contabilmente la diffe-renza tra le attività e le passività patrimoniali,1 ossia la dotazione patrimoniale (in termini quantitativi) riconducibile al soggetto giuridico dell’azienda.In ordine alla funzione economico-giuridica del ca-pitale sociale, appare evidente che ogni operazione destinata a modi carne il suo ammontare assume ca-rattere straordinario, poiché scaturisce da particolari circostanze che caratterizzano la vita della società.2 Al contrario, le operazioni che modi cano il patrimonio netto possono derivare tanto da fatti ordinari (per

esempio, l’accantonamento a riserva dell’utile d’eser-cizio), quanto da eventi straordinari (per esempio, la rivalutazione di elementi patrimoniali).In tale contesto, si può operare un’ulteriore distin-zione tra variazioni automatiche (per esempio, co-pertura delle perdite mediante utilizzo di riserve del patrimonio netto) e variazioni derivanti dalla volontà dei soci (si pensi all’acquisto di azioni pro-prie con successivo annullamento).

Ciò premesso, come è noto, il patrimonio netto si compone del capitale sociale, delle riserve e del risultato dell’esercizio (e degli esercizi precedenti). Tale scomposizione risponde, oltre che a un preciso obbligo di legge, anche all’esigenza di individuare le operazioni che le hanno generate.3

In particolare, le riserve risultano distinguibili in riserve di utile e riserve di capitale.4

Le riserve di utile derivano da accantonamenti di utili già conseguiti e danno luogo al capitale di risparmio,5 mentre le riserve di capitale esprimono un incremento

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di mezzi propri contestuale alla loro formazione o un adeguamento di valori.6

Circa la funzione attribuibile alle grandezze in que-stione, la dottrina aziendale ha ampiamente posto in rilievo i possibili ri essi positivi ai vari livelli e cioè:7

– salvaguardia dell’integrità del capitale sociale, quale strumento utilizzabile per la copertura di perdite;

– attuazione di politiche di remunerazione del capi-tale proprio, nel senso di costituire uno strumento atto a favorire la stabilizzazione dei dividendi;

– autopotenziamento dell’attività aziendale, in termini di reinvestimento della ricchezza nella combinazione produttiva.

Peraltro, è utile precisare che con l’espressione “ri-serve” ci si intende riferire alle sole riserve proprie palesemente esposte nei bilanci delle imprese.Alla luce di quanto detto, il capitale netto assume signi cato laddove riferibile al capitale proprio dell’impresa e quindi a una delle fonti di nanzia-mento aziendale, ossia il capitale proprio, rappresenta-to dal capitale di apporto (capitale sociale e riserve di capitale) più il capitale di risparmio (riserve di utili) e altri incrementi di capitale (riserve di capitale).8

Sulla base di tali considerazioni, il capitale sociale può intendersi quale parte integrante del capitale netto, ovvero, laddove riferibile al corrispondente valore delle attività patrimoniali nanziate da capi-tale proprio, quale parte del patrimonio netto.

In ogni caso si rende opportuno precisare come tali espressioni si riferiscano a grandez-ze che rivelano un continuo mutamento nella loro misura e composizione, anche nel caso del capitale sociale che denota un’apparente “ ssità”.9

Ciò chiarito, appare opportuno precisare meglio anche il concetto di autonomia patrimoniale e la relativa porta-ta nell’ambito delle varie tipologie societarie. In stretta connessione si pone peraltro l’eventuale riconoscimen-to della personalità giuridica, ossia l’identi cazione del-la società quale soggetto di diritto formalmente distinto dalle persone dei soci. I due aspetti, costituendo degli strumenti legislativi volti a favorire la realizzazione di

un medesimo intento economico-giuridico, incidono sulla regolazione dei rapporti creditori sociali/socio/società, creditori particolari del socio/socio/società.10

In particolare, l’autonomia patrimoniale, fondandosi sul vincolo di destinazione dei beni conferiti dai soci alla società, comporta che il pa-trimonio sociale abbia un’autonomia, variamente graduata, rispetto alla sfera patrimoniale dei singoli soci, passando da un livello attenuato di autonomia nelle società non dotate di personalità giuridica a situazioni in cui, in presenza di personalità giuri-dica, si parla di autonomia patrimoniale perfetta.

Nello speci co, è possibile quindi operare una sommaria tradizionale distinzione tra:11

– società dotate di autonomia patrimoniale semplice, in cui si riscontra un’asimmetria nel rapporto tra il pa-trimonio sociale e il patrimonio dei singoli soci. In effetti, in stretta connessione con l’assenza di una personalità giuridica vera e propria, se da un lato il patrimonio sociale risulta sostanzialmente insen-sibile rispetto alle vicende relative ai singoli soci, dall’altro lato i patrimoni personali dei soci possono risultare interessati dalle vicende societarie;

– società dotate di autonomia patrimoniale perfetta, in cui, at-tesa l’assenza di in uenza delle vicende personali dei soci sul patrimonio sociale e stante il riconoscimento della personalità giuridica, si pone un diaframma tra il patrimonio personale dei soci e le obbligazioni contratte dalla società, con la presenza di patrimoni (dei soci e della società) giuridicamente distinti.

Ne consegue che, mentre nelle società riconducibi-li al regime di autonomia patrimoniale semplice (è il caso delle società di persone) la tutela dei creditori e dei terzi in genere trova speci ca garanzia tanto nel patrimonio sociale, quanto nei patrimoni personali dei singoli soci, a livel-lo di società dotate di personalità giuridica (società di capitali), l’autonomia patrimoniale perfetta comporta che a garanzia delle obbligazioni sociali vi sia il solo patrimo-nio sociale. Da qui la presenza, in quest’ultimo caso, di regole maggiormente vincolanti.

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La riduzione del capitale per perdite

Il conseguimento di un risultato economico negati-vo (perdita di esercizio) determina una riduzione di va-lore del patrimonio netto per effetto della gestione aziendale riferita a un determinato periodo ammi-nistrativo. In particolare, ciò si veri ca allorquando i componenti positivi di reddito non risultano di en-tità tale da remunerare congruamente tutti i fattori della produzione impiegati, cosicché si assiste a una graduale erosione dei mezzi propri dell’azienda.

Ne consegue che la copertura della perdita di esercizio mediante la corrispondente riduzione del capitale non genera una reale variazione diminuti-va dello stesso, giacché la predetta variazione ha già avuto luogo e la riduzione in esame è diretta uni-camente a consolidare il risultato negativo e a evi-denziarlo sul piano contabile. In altri termini, il ri-pianamento della perdita attraverso la riduzione del capitale lascia inalterato il patrimonio netto, dando luogo semplicemente alla scomparsa di un elemen-to negativo dello stesso (la perdita dell’esercizio o di esercizi precedenti) a fronte di una correlata riduzio-ne di valore di un elemento positivo (il capitale).

L’operazione di riduzione del capitale in rela-zione al conseguimento di risultati economici nega-tivi può essere facoltativa od obbligatoria.12 A tale ne, nell’ambito delle S.p.A., è possibile distinguere

tre diverse fattispecie, rispettivamente disciplinate dagli artt. 2445, 2446 e 2447 cod. civ., ossia:13

1. la perdita di entità tale da generare una diminuzione del capitale in misura non superiore a un terzo dello stesso;2. la perdita di entità tale da generare una diminuzio-ne del capitale in misura superiore a un terzo dello stesso;3. la perdita di entità tale da generare una diminu-zione del capitale in misura superiore a un terzo dello stesso (analogamente a quanto ipotizzato al punto 2) e il medesimo capitale, in conseguenza di ciò, si ridu-ce al di sotto del limite minimo legale prescritto.Preliminarmente è utile sottolineare che la discipli-na civilistica contempla il caso della riduzione del capitale per perdite, non chiarendo esplicitamente

il signi cato attribuibile ad alcune espressioni, la cui de nizione si rende necessaria ai ni applicati-vi. Ne discende l’esigenza di operare alcune preci-sazioni in ordine ai concetti di perdite e di capitale cui fanno riferimento gli articoli del codice civile.In primo luogo, il riferimento generico a perdite, senza ulteriori precisazioni, lascia desumere che il richiamo non sia riferito alla sola perdita di eserci-zio, bensì riguardi l’insieme delle perdite di bilan-cio (ossia perdite di esercizi precedenti + perdita di esercizio + perdita esercizio in corso).14 Evidentemente l’esigenza di determinare anche la perdita in corso si correla alla necessità di procedere, in alcuni casi, alla re-dazione di un bilancio infrannuale atto appunto a evidenziare la presenza di utili o perdite in corso.In stretta connessione, il riferimento al capitale deve intendersi inderogabilmente riferito al capitale so-ciale solo dopo che le perdite sono state imputate alle riserve esistenti in bilancio.15 A tale ne, si ipotizzi che il capitale netto di una S.p.A. sia così composto:

Capitale sociale euro 400.000Riserve euro 600.000Perdita di esercizio euro 400.000

In tale caso, emerge che la perdita trova copertura direttamente nelle riserve, pertanto non si rende ne-cessario il confronto della stessa con il capitale sociale.

Circa l’ordine di imputazione, si ritiene che in linea di principio le perdite intacchino le riserve se-condo il seguente ordine:16

– riserve facoltative e in genere disponibili (com-prese le parti eccedenti la riserva sovrapprezzo e la riserva legale);

– riserve statutarie;– riserve di rivalutazione monetaria;– riserva legale e riserva sovrapprezzo per la parte

vincolata ex art. 2431 cod. civ.Alcuni dubbi possono sorgere circa l’inclusione nell’ambito di tali “poste di copertura” sia di deter-minate voci del netto, sia degli utili in corso di for-mazione. Nello speci co è senz’altro da escludere da tale ambito la riserva per azioni proprie, in relazione alla pura natura retti cativa di tale posta;17 mentre

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nel caso di riserve in conto futuro aumento di capitale, at-teso lo speci co vincolo di destinazione, si ritiene necessaria un’espressa delibera di utilizzazione da parte dell’assemblea straordinaria.18

Per quanto concerne invece eventuali versamenti vo-lontari a fondo perduto operati da parte dei soci, è da reputarsi del tutto legittimo l’utilizzo dei medesimi ai ni dell’assorbimento della perdita. Ciò sia laddove si tratti di versamenti preesistenti all’acclaramento delle perdite, sia (a maggiore ragione) se operati a diretta copertura delle stesse. Alle medesime conclu-sioni si può giungere in presenza di eventuale rinun-cia dei soci ai nanziamenti operati in favore della società (sotto forma di veri e propri prestiti).19

Non del tutto paci ca appare la possibilità di fare rientrare nel computo anche gli utili in corso di forma-zione, per quanto tale possibilità sembrerebbe esservi in quelle situazioni in cui la perdita integrasse le fat-tispecie di cui agli artt. 2446-2447 cod. civ. (perdite superiori al terzo del capitale), ciò in connessione all’obbligo di procedere alla redazione di apposita situazione patrimoniale infrannuale atta appunto a rappresentare il risultato in corso di formazione.

Ciò chiarito, la disciplina in tema di riduzione obbligatoria del capitale per perdite risulta ap-plicabile in presenza di perdite superiori a un terzo del capitale stesso (artt. 2446 e 2447 cod. civ. per le S.p.A.; artt. 2482-bis e 2482-ter cod. civ. per le S.r.l.).Al contrario, nell’ipotesi in cui le perdite fossero di en-tità tale da determinare una diminuzione del capitale in misura inferiore a un terzo, la riduzione dello stesso risulterebbe facoltativa e quindi la perdita potrebbe essere rinviata ai futuri esercizi. A tale riguardo, è op-portuno evidenziare che, in tale ipotesi, la società non può procedere alla distribuzione di utili, salva l’ipotesi in cui il capitale non sia reintegrato o ridotto in misura corrispondente (art. 2433, comma 3, cod. civ. per le S.p.A.; art. 2478-bis, comma 5, cod. civ. per le S.r.l.).

La riduzione del capitale alla luce delle recenti interpretazioni

In premessa, appare utile sottolineare che, sino a non

molto tempo fa, l’intero sistema legislativo in materia societaria si fondava sul binomio legge-giurisprudenza. In de nitiva, il legislatore redigeva le norme (più o meno dettagliate), mentre la giurisprudenza era chiamata a governare il sistema vigente. A tale proposito, secon-do il parere di alcuni autorevoli studiosi, attualmente la governance del diritto (si pensi alle società quotate in Borsa) è solo in minima parte lasciata al sistema giu-diziario, in quanto i protagonisti sono più che altro le autorità indipendenti, le strutture di organizzazioni dei mercati, gli uf ci pubblici con i quali gli operatori economici hanno rapporti.20

Tale convincimento appare ancora più raf-forzato se si rivolge l’attenzione al sistema san-zionatorio, in quanto la minaccia che incute più timore non è tanto rappresentata da una sentenza del tribunale, quanto da un provvedimento della Consob, o da un intervento della Borsa Italiana o, ancora, dall’impossibilità di iscrivere una delibera nel registro delle imprese. In tale prospettiva un ruolo importante è assunto dalle massime elabora-te dai Consigli Notarili, anche in ragione del fatto che i notai da tempo hanno assunto un “ruolo di governo” sempre più pregnante nei passaggi deci-sivi inerenti alle vicende societarie.La massime rappresentano pertanto l’articolazione di una serie di regole dettagliate e di principi atti a rendere tale responsabilità di governance più ef cace e prevedibile per gli operatori.

Ciò premesso, in materia di riduzione delle perdite, il Consiglio Notarile di Milano ha ema-nato la massima n. 122 del 18 ottobre 2011,21 con l’in-tento di rendere più chiare la lettura e la conseguente applicazione degli artt. 2446 e 2447 cod. civ. Invero, l’interpretazione che la Commissione ha dato a tali norme appare alquanto innovativa rispetto al passato, in quanto sposta l’attenzione da un’interpretazione decisamente letterale a una lettura che comunque sembra soddisfare ugualmente le reali intenzioni del legislatore, rispettando quindi la ratio delle norme stes-se. Tale conclusione, per ciò che si dirà in seguito, è avvalorata da autorevole dottrina, secondo la quale il

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diritto, come qualsiasi altra forma di organizzazione della vita civile, è in continuo mutamento e un’impo-stazione legalistica e contraria all’autonomia privata non è da preferire rispetto alla libertà dei privati di introdurre nel mondo dell’economia e delle società principi innovativi ed elementi creativi, facendo ve-nire meno una visione legata all’enfatizzazione del carattere imperativo delle norme.22

La ratio delle norme contenute negli artt. 2446 e 2447 cod. civ.

In merito alla ratio degli artt. 2446 e 2447 cod. civ., la giurisprudenza e la dottrina prevalenti non sem-brano avere una visione unitaria, né le diverse con-clusioni a cui sono giunte appaiono adeguatamente soddisfacenti.23

Talora, in presenza di perdite di una certa gravità, la riduzione del capitale è vista come un atto dovuto a tutela dell’interesse dei terzi e, in par-ticolare, dei creditori sociali,24 altre volte si richia-ma l’interesse generale all’informazione e alla tra-sparenza,25 altre volte ancora ci si riferisce alla sfera personale dei soci.26 Pertanto, a distanza di quasi un ventennio, le posizioni interpretative delle norme che disciplinano la riduzione del capitale per perdi-te appaiono tutt’altro che univoche.Infatti la giurisprudenza prevalente, così come la dottrina giuridica, fornisce un’interpretazione dell’art. 2446 cod. civ. attraverso una lettura uni-taria del medesimo, determinando in un certo qual modo una confusione degli interessi da tutelare (quelli dei soci e quelli dei terzi), peraltro non sem-pre compatibili, ma senza individuare la ratio della norma.27

A tale riguardo, partendo dall’assunto che gli in-teressi dei soci e quelli dei terzi sono sovente di-vergenti, vi è un’altra interpretazione dottrinale, secondo cui sarebbe opportuno scindere la lettura dell’art. 2446 cod. civ., anche al ne di analizzare le motivazioni per le quali il legislatore imporrebbe la riduzione del capitale sociale.28 Invero, il comma 1 dell’art. 2446 cod. civ. si riferisce alla fattispecie in

cui il capitale della società risulta diminuito di oltre un terzo per effetto delle perdite.In questo caso la norma impone all’organo ammi-nistrativo di convocare senza indugio l’assemblea, al ne di adottare gli opportuni provvedimenti. Dalla lettura del primo comma, secondo tale orientamen-to, parrebbe che gli obblighi prescritti dal legislatore siano posti esclusivamente nell’interesse dei soci e che la portata della norma sia quella di fornire una dettagliata informazione interna sull’effettivo anda-mento gestionale. In de nitiva, la compagine socie-taria deve essere messa nelle condizioni di prendere atto della condizione “patologica” che vive l’azien-da, al ne di assumere gli opportuni provvedimenti. Va da sé che, una volta convocata l’assemblea, la ratio e gli interessi tutelati dall’art. 2446, comma 1, cod. civ. risultano ampiamente soddisfatti.Sempre secondo il predetto orientamento, il com-ma 2 del medesimo articolo, al contrario, pone a carico dei soci di deliberare la riduzione del capi-tale in ragione delle perdite accertate (superiori a un terzo), qualora queste, nell’esercizio successivo, non si siano ridotte. In tale ipotesi, secondo parte della dottrina,29 l’intendimento del legislatore sa-rebbe quello di impedire che il rapporto tra il ca-pitale sociale e il patrimonio sia alterato in misura tale da determinare un pregiudizio per i creditori.

Stanti le diverse posizioni sopra descritte, nel tentativo di chiarire meglio la portata delle nor-me che disciplinano la copertura delle perdite, si ritiene opportuno operare un riferimento alla dot-trina aziendale largamente condivisa.Come è noto, l’impresa ha la nalità istituzionale di creare durevolmente valore in termini di produzione ed equa distribuzione della ricchezza.30 Essa, pertanto, rappresenta lo strumen-to attraverso cui l’uomo esercita l’attività di soddisfa-cimento dei bisogni secondo modalità economiche (attività economica), ossia svolgendo processi produttivi organizzati su percorsi amministrativamente razio-nali.31 L’interpretazione dell’azienda quale strumento favorisce una visione in cui si opera la distinzione tra l’azienda intesa quale istituto per lo svolgimento ade-guato dell’attività economica e l’azienda intesa come

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strumento per la realizzazione dei singoli progetti aziendali rappresentati, in linea di massima, dall’og-getto dell’attività economica che si intende svolgere. In relazione a ciò, emerge una tendenziale convergenza tra gli interessi di coloro che si servono dello strumento aziendale per il raggiungimento di ni personali e l’in-teresse dell’impresa intesa quale istituto.

Ciò chiarito, la creazione di valore diviene la nalità preminente dell’impresa, in quanto connessa sia alla produzione di beni e servizi atti a soddisfare il mercato, sia alla generazione della ricchezza ri-muneratrice della componente personale (pro-prietari, lavoratori dipendenti ecc.).Strettamente connesso alla nalità aziendale così come sopra descritta è il concetto di perdurabilità dell’azienda nel tempo, caratteristica implicita per il per-seguimento delle nalità aziendali, la quale si esplici-ta nella continuità dell’azienda stessa, rappresentando sostanzialmente l’obiettivo funzionale dell’impresa in combinazione con la condizione di economicità.

In de nitiva, sul piano istituzionale, una volta av-viata un’attività aziendale, è evidente come il funzio-namento del sistema azienda si proietti, in linea di principio, lungo periodi di tempo tendenti all’in nito, al ne di consentire il perseguimento delle nalità, sia istituzionali, sia naturali, poste alla base dell’istituzio-ne aziendale stessa. Pertanto, prescindendo da quelli che possono essere gli scopi personali di ciascuno dei promotori dell’iniziativa imprenditoriale, è indubbio che, se lo strumento adottato per il perseguimento di tali nalità è l’azienda, è alle sue regole e ai principi di funzionamento che occorre uniformarsi al ne di favorire il corretto funzionamento dell’attività. Quin-di, se da un lato l’azienda può considerarsi strumento per il perseguimento di ni personali degli individui, dall’altro lato essa vive e si sviluppa in funzione di ni e obiettivi di istituto che solo indirettamente favorisco-no gli scopi individuali.

Ciò chiarito, a parere di chi scrive, le norme che disciplinano la riduzione del capitale per perdite non vanno lette nella direzione della tutela di interessi

legati a particolari categorie di soggetti, ma nell’esigenza di evitare che la società perpetui una si-tuazione di perdite rilevanti per un lungo periodo di tempo e compia operazioni che possono determinare situazioni di insolvenza. Pertanto, le norme in questione trovano la loro ragione d’essere nella necessità di riportare l’azienda a una situazione tale da evitare un ec-cessivo peso delle perdite sul patrimonio azienda-le, nell’interesse generale dell’azienda stessa.

Alla luce di quanto sopra esposto, la citata massima n. 122 analizza la legittimità dell’aumento del capi-tale sociale, in presenza di perdite, senza procedere alla preventiva copertura delle medesime.

Aumento di capitale in presenza di perdite inferiori a un terzo

Come è noto, nel caso di perdite inferiori a un terzo del capitale, non vi è alcun obbligo legislativo che impone la copertura da parte della società. Tutta-via, ci si chiede se è da ritenersi legittima la delibera di aumento del capitale sociale senza la preventiva copertura delle perdite medesime.

Secondo l’interpretazione riportata nella massima n. 122, la fattispecie sopra riportata non impedisce in alcun modo la possibilità di aumenta-re il capitale sociale. Tale conclusione appare del tutto condivisibile, oltre che in linea con la dottrina prevalente,32 in quanto detto aumento permette di:a. ridurre l’incidenza della perdita sul capitale;b. dotare la società di nuovi mezzi nanziari;c. rafforzare la garanzia nei confronti dei creditori sociali.Pertanto, a seguito della delibera assembleare, il ca-pitale sociale risulterà aumentato nella misura sta-bilita dai soci, di conseguenza risulterà aumentato il patrimonio netto, mentre le perdite continueranno a rappresentare una posta negativa di quest’ultimo.In tale modo, ossia incrementando il capitale socia-le e quindi il capitale netto, nell’ipotesi di perdite future, si allontanano (presumibilmente) le ipotesi previste dagli artt. 2446 e 2482-bis cod. civ.

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Anche sul piano informativo l’operazione non fa sorgere particolari dubbi, in quanto i soci e i terzi sono adeguatamente tutelati dal bilancio d’eserci-zio. Sul piano più strettamente sostanziale, chi scrive concorda con l’interpretazione contenuta nella cita-ta massima, in quanto, nella fattispecie esaminata, la previa copertura delle perdite sarebbe solo una mera operazione contabile tesa a celare il risultato nega-tivo. Infatti, la predetta copertura e il conseguente aumento del capitale sociale non porterebbero a un ammontare del patrimonio netto superiore a quello che si avrebbe nell’ipotesi sopra analizzata.Tuttavia, rimane sempre il divieto in capo alla società di procedere alla distribuzione di utili nell’ipotesi di una permanenza delle perdite nel patrimonio netto.

Aumento di capitale in presenza di perdite superiori a un terzo

Nell’ipotesi di perdite rilevanti, ossia di perdite che superano un terzo del capitale, la massima n. 122 giunge alla conclusione che, nelle ipotesi prescritte dagli artt. 2446, comma 2, e 2447 cod. civ., ossia di obbligo di procedere alla riduzione del capitale, la società può procedere all’aumento del capitale sociale senza copertura delle perdite stesse.Tale conclusione contrasta palesemente con l’orien-tamento ormai consolidato della dottrina e della giu-risprudenza.33

La conclusione contenuta nella massima pas-sa attraverso il superamento dell’interpretazione let-terale delle norme, ossia della funzione imperativa degli artt. 2446 e 2447 cod. civ. Invero, secondo una lettura testuale di tali articoli, appare chiaro l’intento del legislatore di prevedere una serie di obblighi co-genti posti a carico degli organi societari.Al contrario, se a tali norme si intende dare un’inter-pretazione meno stringente, scaturiscono due principi:1. il primo è quello della tolleranza dell’ordinamen-to per il disallineamento tra il capitale nominale e il patrimonio netto nei limiti del terzo;2. il secondo è quello relativo all’obbligatoria e tempestiva riconduzione della situazione più grave

(perdita superiore a un terzo del capitale) a una si-tuazione meno grave (perdita inferiore a un terzo).

L’opinione tradizionale ravvisava negli artt. 2446, comma 2, e 2447 cod. civ. un “procedimento” che prende inizio con la veri ca e l’accertamento delle perdite. Pertanto, constatata tale situazione, l’organo amministrativo doveva convocare l’assemblea al ne di procedere alla riduzione del capitale in proporzio-ne alle perdite accertate (art. 2446 cod. civ.), ovvero la riduzione del capitale e il contestuale aumento del medesimo almeno al limite legale o la trasformazione della forma giuridica (art. 2447 cod. civ.). In de nitiva, tali articoli tracciavano l’iter obbligatorio da seguire.Tuttavia, già con la massima n. 102 della Commis-sione Notarile di Milano, tale procedimento viene superato, in quanto è stata riconosciuta la legittimi-tà dell’utilizzo delle riserve di capitale formatesi an-che successivamente all’ultimo bilancio approvato con versamento effettuato entro la data dell’assem-blea. In altre parole, viene ammesso il versamento da parte dei soci contestualmente all’assemblea. Pertanto, alla luce di tale chiarimento, il procedi-mento sopra evocato può interrompersi nel mo-mento in cui vengono meno i presupposti.

Se la massima n. 102 ha apportato innova-zioni sulla tempistica dell’intervento, la massima n. 122 ha invece innovato in termini di modalità.

In altri termini, sulla base di entrambe le massime, la rilevanza delle perdite può essere eliminata sino al mo-mento dell’assemblea che è chiamata a deliberare in merito, la quale può anche decidere di aumentare il capitale facendo abbassare l’incidenza delle per-dite sotto la soglia di rilevanza. Pertanto la perdita superiore a un terzo può restare sino alla data dell’assemblea, ma se a tale data, per qualunque motivo, scende al di sotto di tale limite, non vi è più l’obbligo di procedere alla riduzione.

Tale conclusione non fa altro che legittimare una modalità operativa che, a parere di chi scri-ve, non incide sulla sostanza economica dei fatti, in quanto si limita a riconoscere all’autonomia priva-

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ta un principio che non solo non lede alcun diritto altrui, ma mira a tutelare l’interesse supremo che è quello dell’azienda. In tale modo, infatti, si agevola il processo di ricapitalizzazione aziendale, che spesse volte sottostà a regole alquanto rigide, ma che nella so-stanza non hanno ragione d’esistere.D’altronde, in merito alla modalità di gestione della perdita rilevante, occorre sottolineare che la massi-ma n. 122 non fa altro che ampliare gli strumenti a disposizione della società. Si ricorda, infatti, che la dottrina e la giurisprudenza, e la stessa prassi, han-no da tempo legittimato l’utilizzo di istituti alterna-tivi alla riduzione del capitale, quali: il versamento a fondo perduto dei soci, la rinuncia di crediti verso la società, la fusione, la scissione ecc.

Ora, rispetto a tali operazioni, in particolare ai versamenti dei soci, l’aumento del capitale, pur in presenza di perdite superiori a un terzo, presenta i seguenti vantaggi:1. in primo luogo, i versamenti dei soci non implicano alcun obbligo di iscrizione al registro delle imprese, né comportano alcuna comunicazione pre-assembleare. Pertanto i terzi e i soci potranno venirne a conoscen-za solo consultando il bilancio o le scritture contabili. Dal punto di vista dell’informativa sociale, l’operazio-ne di aumento di capitale fornisce certamente mag-giori garanzie in termini di informazione;2. in secondo luogo, l’aumento di capitale tutela maggiormente i terzi, in quanto le perdite riman-gono a fare parte del patrimonio netto con segno negativo e di conseguenza vige, come già detto, il divieto della società di distribuire gli utili (art. 2433, comma 3, cod. civ.). Nel contempo, dinanzi a un capitale sociale più elevato, la società avrà l’obbligo di accantonare maggiori utili alla riserva legale.

Inoltre, rispetto all’operazione di aumento del capitale sociale previa copertura delle perdite, il solo aumento del capitale (lasciando quindi le perdite in bilancio) evidenzia almeno due differenze signi cative.La prima riguarda il caso in cui, per esempio, se la società ha perdite superiori al capitale sociale, il

nuovo apporto di capitale andrebbe a incrementa-re quest’ultimo con un incremento di eguale misu-ra del patrimonio netto. Quest’ultimo poi assume-rebbe lo stesso valore che si avrebbe nell’ipotesi di preliminare copertura e poi di aumento.Il secondo aspetto signi cativo riguarda la posizione dei soci. Invero, nell’ipotesi di riduzione del capitale o addirittura di azzeramento, alcuni soci potrebbero per-dere la loro quali ca ove non fossero nelle condizioni di effettuare nuovi versamenti, mentre mantenendo le perdite e aumentando il capitale sociale, essi continue-rebbero a permanere nella compagine societaria, certa-mente con una percentuale di partecipazione inferiore. Tale conclusione non è affatto irrilevante, soprattutto nelle società a elevata base azionaria e con valori patri-moniali intangibili. In presenza di invisible assets,34 i soci che si vedessero azzerare la propria quota di partecipa-zione subirebbero un danno e di conseguenza potreb-bero ostacolare l’operazione di ricapitalizzazione con le conseguenze negative che ne deriverebbero.Al ne di rendere più chiaro quanto sopra asserito, si riportano alcuni casi.

a. Applicazione degli artt. 2446 e 2482-bis cod. civ.1. Il primo caso prende in considerazione l’ipotesi in cui la società procede a una mera attuazione dell’ob-bligo di legge. Si supponga l’esistenza di un capitale di euro 600.000 e perdite di euro 300.000. Seguen-do pedissequamente l’interpretazione letterale delle norme, la società, dinanzi a tali perdite, dovrebbe ridurre il capitale portandolo a euro 300.000.2. Il secondo caso è quello dell’aumento del capitale previa copertura delle perdite. In tale ipotesi, il ca-pitale verrebbe dapprima ridotto a euro 300.000 e poi riportato a euro 600.000.3. Il terzo caso è invece quello dell’aumento del ca-pitale senza procedere alla copertura delle perdite. In questa ipotesi, le perdite rimarrebbero iscritte nel patrimonio netto per euro 300.000, mentre il capita-le da euro 600.000 verrebbe portato a euro 900.000.Prendendo in considerazione le tre diverse soluzioni, si evidenzia che nell’ipotesi sub 3. è vero che le per-dite rimangono iscritte nel patrimonio netto, ma è

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anche vero che quest’ultimo sarà esattamente il dop-pio rispetto a quello che si avrebbe nell’ipotesi sub 1.Invece, con riferimento all’ipotesi sub 2., il patrimo-nio netto risulta essere di eguale ammontare, solo che nell’ipotesi 3. l’aumento del capitale ha sostanzialmen-te fatto scendere la soglia siologica di incidenza delle perdite senza che ciò produca effetti lesivi nei confron-ti dei diversi portatori di interesse, in particolare: dei soci originari, che continuerebbero a permanere nella compagine societaria; dei nuovi soci, che liberamente e consapevolmente, sulla scorta delle rappresentazioni contabili, decidono di entrare nella società pagando, se pure implicitamente, un sovrapprezzo rispetto alle partecipazioni esistenti; dei terzi, i quali, oltre a dispor-re di un medesimo patrimonio su cui soddisfarsi, po-tranno essere maggiormente garantiti dal fatto che i futuri utili non potranno essere distribuiti, ma andran-no a copertura delle perdite preesistenti.

b. Applicazione degli artt. 2447 e 2482-ter cod. civ.1. Il primo caso è quello di una società con capitale di euro 240.000 e perdite di euro 400.000. In tale ipotesi, la società procede dapprima alla riduzione dell’intero capitale e alla copertura delle perdite re-sidue per euro 160.000, attraverso sia il versamento volontario dei soci, sia il versamento di un sovrap-prezzo al momento della sottoscrizione delle nuove azioni. Successivamente procede all’aumento del capitale riportandolo a euro 240.000, azzerando completamente le perdite. In questa eventualità il patrimonio netto ammonterà a euro 240.000.2. Il secondo caso è quello in cui, a parità di va-lori del capitale e delle perdite, la società procede all’aumento del capitale sociale di euro 960.000, portandolo a euro 1.200.000, mantenendo inalte-rate le perdite a euro 400.000. A seguito di ciò il patrimonio netto sarà pari a euro 800.000.

In de nitiva, rispetto alla procedura che impone la copertura delle perdite, l’aumento del capitale

sociale, ferme restando le perdite, comporta non solo la riconduzione immediata della situazione patrimoniale della società da una situazione pato-logica a una situazione siologica, ma consente nel contempo un incremento dei mezzi propri.

Ammissibilità di una riduzione parziale delle perdite

In precedenza si è detto che, se si accoglie il prin-cipio secondo cui le operazioni sul capitale, in presenza di perdite rilevanti, hanno l’obiettivo di riportare immediatamente la società da una si-tuazione grave, quasi patologica, a una situazione meno grave, ci si può chiedere se è altrettanto legit-tima una riduzione parziale del capitale a copertu-ra delle perdite medesime.35

Tale operazione appare del tutto speculare a quella di aumento di capitale vista in precedenza.

In de nitiva, dinanzi a perdite accertate su-periori a un terzo del capitale, la società potreb-be percorrere due distinte soluzioni:1. aumentare il capitale sociale a livello tale da fare scendere l’incidenza delle perdite a meno di un terzo;2. ridurre il capitale sociale in modo tale che, an-che in questo caso, le perdite si riducano al di sot-to del terzo. In tale caso si avrebbe una copertura parziale delle perdite che scenderebbe al di sotto della soglia prevista.In merito a tale ultima soluzione, autorevoli studio-si appaiono del tutto favorevoli, in quanto, anche in questo caso, i soci non subirebbero alcun pregiudi-zio, atteso che comunque essi rimarrebbero nella compagine societaria, mantenendo peraltro la me-desima percentuale di partecipazione. Né tale ope-razione colpirebbe i creditori, in quanto il patrimo-nio netto rimarrebbe inalterato e i futuri utili non potrebbero essere distribuiti. Tuttavia la dottrina e la giurisprudenza prevalente negano tale possibilità.

1S. Adamo, “Le società commerciali tra economia e diritto”, in N. Di Cagno (a cura di), Le società commerciali, Cacucci, Bari, 2006, pagg. 24 e segg.2P. E. Cassandro, Le gestioni societarie, IV ed., Cacucci, Bari, 1988, pag. 111.3Si leggano: G. E. Colombo, “Bilancio d’esercizio”, in Trattato delle società per azioni (diretto da G. Colombo-G. B. Portale), vol. 7, UTET, Torino, 2004, pag. 510; G. Mazza, Problemi di assiologia aziendale, Giuffrè, Milano, 1997, pag. 349.

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4A. Amaduzzi, L’azienda nel suo sistema e nell’ordine delle sue rilevazioni, UTET, Torino, 1978, pag. 172; P. Onida, Il bilancio d’esercizio nelle imprese, Giuffrè, Milano, 1974, pag. 461. Sulle varie tipologie di riserva: E. Cavalieri, Le riserve nell’economia dell’impresa, Cedam, Padova, 1983; G. Ceriani, Riserve e politiche di gestione nell’economia delle imprese, Giuffrè, Milano, 1979; R. Fasiello, Le riserve da fair value: origine e trattamento contabile, Quaderno n. 4, Collana dei quaderni di Dottorato di Ricerca in Economia Aziendale, Dipartimento di Studi Aziendali, Giuridici e Ambien-tali, Pensa Ed., 2009. Circa gli aspetti giuridici: G. E. Colombo, Bilancio, cit., pagg. 508 e segg.; C. Costa, Le riserve nel diritto delle società, Giuffrè, Milano, 1984; B. Libonati, Diritto commerciale, Giuffrè, Milano, 2005, pagg. 307 e segg.; B. Quatraro-S. D’Amora, Le operazioni sul capitale, Giuffrè, Milano, 1994, pagg. 223 e segg.5P. E. Cassandro, Trattato di ragioneria, Cacucci, Bari, 1985, pag. 180.6U. De Dominicis, Lezioni di ragioneria. Capitale, costi, ricavi e reddito, Azzoguidi, Bologna, 1984, pagg. 408-410.7U. De Dominicis, Lezioni, cit., pagg. 383 e segg.; P. Onida, Il bilancio, cit., pag. 472.8P. E. Cassandro, Trattato, cit., pag. 180; G. Mazza, Problemi, cit., pag. 180. Sulle varie classificazioni delle fonti di finanziamento: G. Ferrero, Finanza aziendale, Giuffrè, Milano, 1981, pagg. 66 e segg.9In dottrina si parla di “nominale invariabilità” del capitale. G. Zappa, Il reddito d’impresa, Giuffrè, Milano, 1950, pagg. 288 e segg. A livello giuridico è diffusa l’accezione di “capitale sociale nominale”. G. F. Campobasso, Diritto delle società, UTET, Torino, 2002, pag. 7; G. B. Portale, “Capitale sociale e società per azioni sottocapitalizzata”, in Tratt. soc. per azioni, cit., pagg. 9-10. Che anche nel caso del capitale sociale si tratti di pura nominalità appare evidente, in quanto il funzionamento aziendale e lo svolgimento dell’attività di impresa comportano la sostanziale variazione non solo del patrimonio netto, ma anche del capitale sociale, evidentemente nella sua dimensione economica.10G. F. Campobasso, Diritto, cit., pag. 45.11G. F. Campobasso, Diritto, cit., pagg. 44 e segg.; F. Di Sabato, Diritto delle società, Giuffrè, Milano, 2003, pagg. 25 e segg.; F. Ferrara Jr.-F. Corsi, Gli imprenditori e le società, Giuffrè, Milano, 1994, pagg. 210 e segg.12F. Di Sabato, Diritto delle società, cit., pag. 396.13Per le S.r.l. si applicano gli artt. 2482-bis e 2482-ter cod. civ.14CNDC-CNR, Principi contabili, I bilanci intermedi, par. 5.1. In tale senso: G. B. Portale, “I bilanci straordinari”, in AA.VV., Il bilancio d’esercizio, Giuffrè, Milano, 1978, pagg. 518-520.15C. Cass., sent. n. 12347/1999. G. F. Campobasso, La riforma delle società di capitali e delle cooperative, UTET, Torino, 2004, pag. 171; G. E. Colombo, Bilancio, cit., pagg. 510-511; C. Costa, Le riserve, cit., pagg. 64-65; F. Di Sabato, Diritto, cit., pag. 400; R. Nobili-S. Spolidoro, “La riduzione di capitale”, in Tratt. soc. per azioni cit., pagg. 285-290; B. Quatraro-S. D’Amora, Le operazioni, cit. pagg. 326-327.16G. E. Colombo, Bilancio, cit., pag. 510. L’ordine esposto non è del tutto condiviso da altri studiosi, che rinvengono nella sequenza (a ritroso) del raggruppamento di bilancio l’ordine di utilizzo a copertura della perdita. B. Libonati, Diritto commerciale, cit., pag. 297.17R. Nobili-M. S. Spolidoro, La riduzione, cit., pag. 424.18B. Quatraro-S. D’Amora, Le operazioni, cit., pag. 336.19G. Tantini, “I versamenti dei soci alla società”, in Tratt. soc. per azioni, cit., pagg. 107 e segg.20P. Marchetti, “Massime del Notariato: il dinamismo della categoria”, in Riv. Notar., 2010, 4, pagg. 361 e segg.21Rivista Notariato, IPSOA, n. 6/2011.22G. E. Colombo, “Pretesa inammissibilità di copertura delle perdite senza operare sul capitale”, nota a Trib. Roma 14 luglio 1998, in Le Soc., n. 3/1999, pagg. 338 e segg.; P. Marchetti, Massime, cit., pag. 361.23Le medesime considerazioni valgono anche con riferimento agli artt. 2482-bis e 2482-ter cod. civ.24Cass. 13 gennaio 1987, n. 133.25Cass. 13 febbraio 1969, n. 484.26N. De Luca, “Purgazione del bilancio dalle perdite e informazione preassembleare”, in Giur. Comm., n. 5/2008, Milano, pag. 974.27N. Di Cagno, Il bilancio d’esercizio (normativa civilistica e principi contabili nazionali), Cacucci, Bari, 2012, pagg. 20 e segg.28G. Ridella-A. Mari, “Riflessioni a margine della massima n. 122 del Consiglio Notarile di Milano”, in Notariato, n. 3/2012, pagg. 338 e segg. Sul problema della conservazione del capitale sociale in chiave economico-aziendale: R. Fasiello, Il capitale e la conservazione della sua integrità, Quaderno n. 90, RIREA, 2010, pagg. 117 e segg.29A. Brunetti, Trattato del diritto delle società, II, Società per azioni, Giuffrè, Milano, 1948, pag. 541.30N. Di Cagno-S. Adamo-F. Giaccari, Lineamenti di economia aziendale, vol. 8, II ed., Cacucci, Bari, 2011, pagg. 31 e segg.31A. Amaduzzi, Il sistema dell’impresa nelle condizioni prospettiche del suo equilibrio, Signorelli, Roma, 1949, pag. 13; V. Coda, L’orientamento strategico dell’impresa, Giappichelli, Torino, 1994, pagg. 116 e segg.; G. Ferrero, Istituzioni di azienda, Giuffrè, Milano, 1968, pag. 4; C. Masini, Lavoro e Risparmio, UTET, Torino, 1969.32N. De Luca, “Purgazione”, cit. Esiste anche una teoria minoritaria (non condivisa da chi scrive) che nega la possibilità di aumentare il capitale sociale anche in presenza di perdite non significative, in quanto tale operazione permetterebbe di utilizzare nuovi mezzi finanziari non per consolidare il patrimonio della società, bensì per nascondere ai terzi la reale situazione economica della medesima. Trib. di Udine 17 dicembre 1986; Trib. di Verona 22 novembre 1989.33In senso favorevole: Trib. di Roma 10 settembre 1984, in Società, 1985, pag. 606; L. Fenghi, La riduzione del capitale, Milano, 1974, pag. 78; N. Abbriani, “La riduzione del capitale sociale nelle S.p.A. e nelle S.r.l., profili applicativi”, in Quaderni della fondazione italiana per il Notariato, Milano, 2008, pag. 92; G. Zanarone, Della società a responsabilità limitata, Milano, 2010, II, pag. 1675. Di parere contrario: (per la dottrina) C. A. Busi, Riduzioni di capitale nelle S.p.A. e nelle S.r.l., Milano, 2010, pag. 328; F. Di Sabato, Manuale delle società, Milano, 1994, pag. 356; B. Quatraro-S. D’Amora, Le operazioni sul capitale, Milano, 1994, pag. 356; V. Salafia, “Riduzione per perdite inferiori al terzo”, in Società, 1989, pag. 289; G. A. M. Trimarchi, Le riduzioni del capitale sociale, Torino, 1999, pag. 182; (per la giurisprudenza) tra gli altri, Trib. di Ancona 13 gennaio 2009; Trib. di Roma 7 marzo 2001; Trib. di Verona 22 novembre 1988.34Sulla funzione degli intangible assets: A. Dell’Atti, “Il ruolo critico delle risorse intangibili nella gestione aziendale”, in AA.VV., Le immobilizza-zioni immateriali, Atti del convegno del 23 giugno 1999, Cacucci, Bari, 2000, pagg. 229 e segg.35In senso positivo: R. Nobili, “Problemi in tema di riduzione del capitale”, in AA.VV., Aumenti e riduzioni di capitale, Milano, 1984, pag. 124; L. Fenghi, La riduzione, cit., pag. 77; Trib. di Napoli 17 giugno 1992, Trib. di Genova 22 ottobre 1989; Trib. di Verona 4 luglio 1986.

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Imprese in crisi: le novitàdi cui all’art. 33 del D.L. 83/2012,convertito in legge 134/2012Note di sintesi

Giuliano BuffelliDottore commercialista in Bergamo,Professore incaricato di Tecnica professionale presso l’Università degli Studi di BergamoGiovanni Pietro RotaStudio Buffelli in Bergamo

Il D.L. 83/2012, convertito in legge 134/2012, interviene sugli strumenti di gestione delle crisi d’impresa al fine di migliorarne l’efficienza ovvero l’operatività. Piani attestati ex art. 67, comma 3, lett. d), concordato pre-ventivo e accordi di ristrutturazione dei debiti risultano allo stato note-volmente migliorati, grazie a una rinnovata centralità del ruolo del pro-fessionista e a un intervento che ne ridefinisce l’aspetto fiscale. L’articolo esamina, in sintesi, le novità di maggiore rilievo introdotte dall’art. 33 del D.L. 83/2012: in particolare, con riferimento alle norme su cui è intervenu-to il decreto, sono evidenziate in carattere “neretto” le modifiche.1

Piano attestato ex art. 67, comma 3, lett. d), L.F.

Inquadramento generale

L’art. 67, comma 3, lett. d), prevede che l’impresa in crisi possa predisporre un piano che le consenta di risanare la propria situazione di dif coltà per-mettendo ai creditori di recuperare il proprio credi-to. Il piano, da de nirsi “attestato” – in quanto un professionista deve garantire la veridicità dei dati in esso inseriti, nonché la fattibilità degli obiettivi in esso proposti – risponde all’esigenza di esaltare l’autonomia privata ovvero la regolazione autono-ma e negoziale, di stampo pattizio, della crisi.L’articolo in esame garantisce per detto piano – ov-vero per il contenuto in esso inserito – il bene cio dell’esenzione dall’azione revocatoria, salvaguar-dando così i soggetti coinvolti nell’operazione di risanamento dagli effetti conseguenti al possibile fallimento del soggetto debitore con il quale si sono intrattenuti rapporti. Il tenore letterale della nor-ma presuppone, per garantire tale bene cio, la for-

ma scritta del piano di risanamento – che permetta all’attestatore professionista l’espletamento del pro-prio adempimento – nonché la data certa in maniera tale da poter rendere opponibile al curatore il pia-no stesso in caso di eventuale successivo fallimento dell’impresa debitrice.Rispetto al contenuto del piano di risanamento (attestato), si ritiene adeguata una predisposizione che rispetti i criteri contabili ovvero la prassi di re-dazione del business plan e comprenda sia il piano nanziario sia quello industriale. In particolare, per

esempli cazione, il piano deve indicare:a. le cause della crisi;b. le caratteristiche generali del piano, cioè le ipote-si a base del piano, nonché le metodologie utilizza-te per la sua predisposizione;c. le concrete misure che si intendono utilizzare per ottenere il risanamento;d. la durata del piano di risanamento.La legge non de nisce alcun onere pubblicitario di detto piano, che, a ben vedere, può rimanere riserva-

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to, in quanto rappresentante le scelte strategiche ed evolutive dell’attività d’impresa per il prossimo futuro.

Novità

L’art. 67, comma 3, lett. d), riguardante i piani attestati di risanamento, interessato dalle modi che apportate dal recente D.L. 83/2012, convertito in legge 134/2012, recita:

3. Non sono soggetti all’azione revocatoria:d) gli atti, i pagamenti e le garanzie concesse sui beni del de-bitore, purché posti in essere in esecuzione di un piano che appaia idoneo a consentire il risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della si-tuazione finanziaria; un professionista indipendente desi-gnato dal debitore, iscritto nel registro dei revisori le-gali e in possesso dei requisiti previsti dall’art. 28, lett. a) e b), deve attestare la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano; il professionista è indipendente quando non è legato all’impresa e a coloro che hanno interesse all’operazione di risanamento da rapporti di natura personale o professionale tali da compromet-terne l’indipendenza di giudizio; in ogni caso, il profes-sionista deve essere in possesso dei requisiti previsti all’art. 2399 cod. civ. e non deve, neanche per il tramite di soggetti con i quali è unito in associazione profes-sionale, avere prestato negli ultimi cinque anni attività di lavoro subordinato o autonomo in favore del debitore ovvero partecipato agli organi di amministrazione o di controllo; il piano può essere pubblicato nel registro delle imprese su richiesta del debitore.

In neretto le modifiche introdotte con D.L. 83/2012, convertito nella legge 134/2012.

Le novità introdotte si applicano, per espressa pre-visione normativa, ai piani di risanamento ex art. 67, comma 3, lett. d), elaborati successivamente al trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione, appunto la leg-ge 134/2012, entrata in vigore il 12 agosto 2012. Il trentesimo giorno successivo è il 10 settembre 2012, la decorrenza è dall’11 settembre 2012.È stabilito, ai ni dell’esclusione dall’azione revocatoria, che il piano sia attestato da un professionista designato dal debitore, con il requisito dell’indipendenza. La de-signazione è di spettanza del debitore, il legislatore ha accolto la prevalente giurisprudenza e dottrina che sul tema si erano già espresse in tale senso. Le caratteristi-che richieste a tale professionista sono quindi:– che sia iscritto nel registro dei revisori legali;– che sia in possesso dei requisiti per la nomina di cura-

tore fallimentare previsti dall’art. 28, lett. a) e b), L.F.;– che sia indipendente ex art. 2399 cod. civ.Rispetto all’oggetto dell’attestazione rilevano impor-tanti novità; in luogo della previgente disposizione normativa che de niva come il professionista dovesse attestare la ragionevolezza del piano, ora l’attestazio-ne deve avere a oggetto la veridicità dei dati aziendali in esso inseriti ovvero la fattibilità del piano stesso.In tema di pubblicità del piano, il legislatore, nella ver-sione riformata, sancisce la possibilità di pubblicare il piano stesso nel registro delle imprese a cura del debi-tore. Detta previsione permette di superare una criti-cità operativa riconducibile alla necessità di dare data certa al documento, indispensabile per ssare il con -ne tra gli atti revocabili e non. L’esclusione dall’azio-ne revocatoria opera, infatti, solo per gli atti compiuti dopo l’attestazione del professionista. La pubblicità di cui si tratta è inoltre elemento necessario per potere bene ciare della non tassabilità delle sopravvenienze attive da bonus da piano attestato ex art. 88, comma 4, del TUIR, di cui nel seguito.Rilevano responsabilità penali ex art. 236-bis L.F.

Concordato preventivo

Inquadramento generale

Il concordato preventivo è una procedura concorsua-le a cui un debitore (imprenditore individuale, società) che si trovi in stato di crisi (o insolvenza) può ricorrere per tentare il risanamento oppure per liquidare il pro-prio patrimonio evitando il fallimento. Per poter acce-dere a tale procedura disciplinata dagli artt. 160 e segg. L.F., il debitore deve comporre un piano dal contenuto libero: è possibile la suddivisione dei creditori in classi e il loro pagamento parziale anche per i debiti privilegia-ti, oppure la previsione di un piano di ristrutturazione o, ancora, una cessione dei beni ai creditori. Effettuato il deposito della domanda di concordato e superato lo scoglio dell’ammissibilità del tribunale, il piano deve ot-tenere l’approvazione della maggioranza dei creditori per poi essere omologato dallo stesso tribunale. L’ap-provazione del tribunale ha l’effetto peculiare di impor-re le condizioni stabilite nel piano di concordato anche ai creditori dissenzienti o estranei.

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Novità

L’art. 33 del D.L. 83/2012, convertito in legge 134/2012, apporta allo strumento concorsuale del concordato preventivo molteplici modi che, integrazioni ovvero innovazioni di seguito in modo analitico esposte.

L’art. 161 L.F., integrato, rubricato “Domanda di concordato”, recita:

1. La domanda per l’ammissione alla procedura di concordato pre-ventivo è proposta con ricorso, sottoscritto dal debitore, al tribuna-le del luogo in cui l’impresa ha la propria sede principale; il trasferi-mento della stessa intervenuto nell’anno antecedente al deposito del ricorso non rileva ai fini della individuazione della competenza.2.Il debitore deve presentare con il ricorso:a) un’aggiornata relazione sulla situazione patrimoniale, economi-ca e finanziaria dell’impresa;b) uno stato analitico ed estimativo delle attività e l’elenco nomi-nativo dei creditori, con l’indicazione dei rispettivi crediti e delle cause di prelazione;c) l’elenco dei titolari dei diritti reali o personali su beni di proprietà o in possesso del debitore;d) il valore dei beni e i creditori particolari degli eventuali soci illi-mitatamente responsabili;e) un piano contenente la descrizione analitica delle mo-dalità e dei tempi di adempimento della proposta.3. Il piano e la documentazione di cui ai commi precedenti devono essere accompagnati dalla relazione di un professionista, desi-gnato dal debitore, in possesso dei requisiti di cui all’art. 67, comma 3, lett. d), che attesti la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano medesimo. Analoga relazione deve essere presentata nel caso di modifiche sostanziali della propo-sta o del piano.4. Per la società la domanda deve essere approvata e sottoscritta a norma dell’art. 152.5. La domanda di concordato è comunicata al pubblico ministe-ro ed è pubblicata, a cura del cancelliere, nel registro delle imprese entro il giorno successivo al deposito in cancelleria.6. L’imprenditore può depositare il ricorso contenente la domanda di concordato unitamente ai bilanci relativi agli ultimi tre esercizi, riservandosi di presentare la proposta, il piano e la documentazione di cui ai commi secondo e terzo entro un termine fissato dal giudice compreso fra sessanta e centoventi giorni e prorogabile, in presenza di giustificati motivi, di non oltre sessanta giorni. Nello stesso termine, in alternativa e con conservazione sino all’omologazione degli effetti prodotti dal ricorso, il debi-tore può depositare domanda ai sensi dell’art. 182-bis, pri-mo comma. In mancanza, si applica l’art. 162, commi 2 e 3.7. Dopo il deposito del ricorso e fino al decreto di cui all’art. 163 il debitore può compiere gli atti urgenti di straordinaria amministrazione previa autorizzazione del tribunale, il quale può assumere sommarie in-formazioni. Nello stesso periodo e a decorrere dallo stesso termine il debitore può altresì compiere gli atti

di ordinaria amministrazione. I crediti di terzi eventual-mente sorti per effetto degli atti legalmente compiuti dal debitore sono prededucibili ai sensi dell’art. 111.8. Con il decreto di cui al sesto comma, primo periodo, il tribunale dispone gli obblighi informativi periodici, anche relativi alla gestione finanziaria dell’impresa, che il debitore deve assolvere sino alla scadenza del termine fissato. In caso di violazione di tali obblighi, si applica l’art. 162, commi 2 e 3.9. La domanda di cui al sesto comma è inammissibile quando il debitore, nei due anni precedenti, ha pre-sentato altra domanda ai sensi del medesimo comma alla quale non abbia fatto seguito l’ammissione alla procedura di concordato preventivo o l’omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti.10. Fermo restando quanto disposto dall’art. 22, comma 1, quando pende il procedimento per la dichiarazione di fallimento il termine di cui al sesto comma del presente articolo è di sessanta giorni, prorogabili, in presenza di giustificati motivi, di non oltre sessanta giorni.

In neretto le modifiche introdotte con D.L. 83/2012, convertito nella legge 134/2012.

Le novità ivi introdotte ex art. 33 del D.L. 83/2012 sono entrate in vigore il giorno 10 settembre 2012.La prima novità riguarda i documenti da depositare per il ricorso di concordato, dove, oltre ai documenti indicati alle lett. a), b), c), d) del citato articolo, è previsto alla lett. e) il deposito di «un piano contenente la descri-zione analitica delle modalità e dei tempi di adempi-mento della proposta», elementi che caratterizzano di speci cità il contenuto del piano e incidono sulla sua struttura. La descrizione analitica delle modalità con cui il debitore propone di dare attuazione al piano an-drà modulata a seconda che si tratti di concordato con cessione dei beni (liquidatorio), con recupero dell’im-presa (concordato con continuità aziendale) o misto e si estrinsecherà nell’analisi delle metodiche programmate e delle proposte ai creditori a supporto del progetto.La seconda novità concerne il professionista atte-statore – con requisiti di indipendenza – che, come ora previsto anche dalle altre procedure di gestione della crisi, è chiarito essere designato dal debitore.La terza novità prevede che, nel caso di modi che so-stanziali (modi che che alterano, rispetto ai termini originari, l’ammontare, i termini e le modalità di sod-disfacimento dei creditori) della proposta di concor-dato o del piano, debba essere presentata a supporto una nuova relazione del professionista attestatore.Ulteriore integrazione riguarda l’obbligo, a carico del cancelliere, di pubblicare la domanda di con-

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cordato nel registro delle imprese entro il giorno successivo al deposito in cancelleria.La novità di maggiore rilievo, introdotta per effetto del D.L. 83/2012, risolve una delle criticità maggiormente sentita nella presentazione della domanda di concordato preventivo: quella della “sterilizzazione” delle azioni ese-cutive e cautelari nel periodo intercorrente tra l’eviden-ziarsi della crisi – insolvenza – e il deposito della doman-da di concordato; è noto, infatti, che solo «dalla data di presentazione del ricorso e no al momento in cui il de-creto di omologa diventa de nitivo» è operativo il divie-to di azioni esecutive (rif. art. 168 L.F.). Con la novellata norma la tutela viene a essere di fatto anticipata, perché il debitore può depositare il ricorso contenente la doman-da di concordato unitamente ai bilanci relativi agli ultimi tre esercizi e riservarsi di presentare la proposta, il piano e la documentazione di cui ai commi 2 e 3 (aggiornata re-lazione sulla situazione patrimoniale, economica e nan-ziaria; stato analitico ed estimativo delle attività; elenco dei titolari di diritti reali; valore dei beni e creditori parti-colari; piano-relazione di attestazione del professionista) entro un termine ssato dal giudice compreso:– tra 60 e 120 giorni;– prorogabile, in presenza di giusti cati motivi, di

non oltre 60 giorni.Al debitore si consente quindi di bene ciare degli effetti protettivi sul patrimonio e si impedisce che i tempi di preparazione della proposta e del piano aggravino la situazione di crisi.Rilevano responsabilità penali per il professionista attestatore ex art. 236-bis L.F.

L’art. 168 L.F., integrato, rubricato “Effetti della presentazione del ricorso”, recita:

1. Dalla data della pubblicazione del ricorso nel regi-stro delle imprese e fino al momento in cui il decreto di omologazione del concordato preventivo diventa definitivo, i creditori per titolo o causa anteriore non possono, sot-to pena di nullità, iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sul patrimonio del debitore.2. Le prescrizioni che sarebbero state interrotte dagli atti predetti rimangono sospese e le decadenze non si verificano.3. I creditori non possono acquistare diritti di prelazione con efficacia rispetto ai creditori concorrenti, salvo che vi sia autorizzazione del giudice nei casi previsti dall’articolo precedente. Le ipoteche giudiziali iscritte nei novanta giorni che precedono la data della pubblicazione del

ricorso nel registro delle imprese sono inefficaci ri-spetto ai creditori anteriori al concordato.

In neretto le modifiche introdotte con D.L. 83/2012, convertito nella legge 134/2012.

La prima novità concerne la decorrenza degli effet-ti della presentazione della domanda di concordato il cui giorno iniziale è rappresentato dalla data di deposito della domanda in cancelleria.La seconda integrazione de nisce come anche le ipoteche iscritte 90 giorni prima della pubblicazio-ne del ricorso nel registro delle imprese sono inef- caci rispetto ai creditori anteriori al concordato.

L’art. 169-bis L.F. di nuova introduzione, rubri-cato “Contratti in corso di esecuzione”, recita:

1. Il debitore nel ricorso di cui all’art. 161 può chie-dere che il tribunale o, dopo il decreto di ammissio-ne, il giudice delegato lo autorizzi a sciogliersi dai contratti in corso di esecuzione alla data della pre-sentazione del ricorso. Su richiesta del debitore può essere autorizzata la sospensione del contratto per non più di sessanta giorni, prorogabili una sola volta.2. In tali casi, il contraente ha diritto a un indennizzo equivalente al risarcimento del danno conseguente al mancato adempimento. Tale credito è soddisfatto come credito anteriore al concordato.3. Lo scioglimento del contratto non si estende alla clausola compromissoria in esso contenuta.4. Le disposizioni di questo articolo non si applicano ai rapporti di lavoro subordinato, nonché ai contratti di cui agli artt. 72, comma 8, 72-ter e 80, comma 1.

In neretto le modifiche introdotte con D.L. 83/2012, convertito nella legge 134/2012.

Per effetto di questa disposizione al debitore è concesso – previa autorizzazione del tribunale – di sciogliersi dai contratti in corso di esecuzione alla data di presenta-zione del ricorso. In alternativa allo scioglimento può essere concesso al debitore di sospendere detti contratti per un periodo non superiore a 60 giorni e prorogabile una sola volta. In entrambi i casi, al terzo contraente è dovuto un indennizzo «equivalente al risarcimento del danno conseguente al mancato adempimento».

L’art. 178 L.F., integrato, rubricato “Adesioni alla proposta di concordato”, recita:

1. Nel processo verbale dell’adunanza dei creditori sono in-seriti i voti favorevoli e contrari dei creditori con l’indicazione nominativa dei votanti e dell’ammontare dei rispettivi crediti. È altresì inserita l’indicazione nominativa dei creditori

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che non hanno esercitato il voto e dell’ammontare dei loro crediti.2. Il processo verbale è sottoscritto dal giudice delegato, dal commissario e dal cancelliere.3. Se nel giorno stabilito non è possibile compiere tutte le operazioni, la loro continuazione viene rimessa dal giudice a un’udienza prossima, non oltre otto giorni, dandone comu-nicazione agli assenti.4. I creditori che non hanno esercitato il voto posso-no fare pervenire il proprio dissenso per telegramma o per lettera o per telefax o per posta elettronica nei venti giorni successivi alla chiusura del verbale. In mancanza, si ritengono consenzienti e come tali sono considerati ai fini del computo della maggioranza dei crediti. Le manifestazioni di dissenso e gli assensi, anche presunti a norma del presente comma, sono annotati dal cancelliere in calce al verbale.

In neretto le modifiche introdotte con D.L. 83/2012, convertito nella legge 134/2012.

L’art. 179 L.F., integrato, rubricato “Mancata ap-provazione del concordato”, recita:

1. Se nei termini stabiliti non si raggiungono le maggioran-ze richieste dal primo comma dell’art. 177, il giudice de-legato ne riferisce immediatamente al tribunale, che deve provvedere a norma dell’art. 162, secondo comma.2. Quando il commissario giudiziario rileva, dopo l’ap-provazione del concordato, che sono mutate le condi-zioni di fattibilità del piano, ne dà avviso ai creditori, i quali possono costituirsi nel giudizio di omologazione fino all’udienza di cui all’art. 180 per modificare il voto.

In neretto le modifiche introdotte con D.L. 83/2012, convertito nella legge 134/2012.

La norma in commento, come integrata per effetto del D.L. 83/2012, riconosce ai creditori la facoltà, di fronte alle mutate condizioni riferite dal commissario giudi-ziale, di costituirsi in opposizione all’omologazione, po-tendo in questa sede modi care il loro originario voto con conseguenze sulle maggioranze raggiunte.

L’art. 180 L.F. “Domanda di concordato”, integrato con la locuzione al comma 4 «ovvero, nell’ipotesi di mancata formazione delle classi, i creditori dis-senzienti che rappresentano il venti per cento dei crediti ammessi al voto contestano la conve-nienza della proposta», estende la facoltà di contestare la convenienza di concordato ai creditori che, pur in assen-za di classi, rappresentino almeno il 20% dei crediti am-messi al voto. In precedenza tale possibilità era attribuita al solo creditore appartenente a una classe dissenziente.

L’art. 182-sexies, di nuova introduzione, rubrica-

to “Riduzione o perdita del capitale della società in crisi”, recita:

1. Dalla data del deposito della domanda per l’ammis-sione al concordato preventivo, anche a norma dell’art. 161, comma 6, della domanda per l’omologazione dell’accordo di ristrutturazione di cui all’art. 182-bis ov-vero della proposta di accordo a norma del sesto com-ma dello stesso articolo e sino all’omologazione non si applicano gli artt. 2446, commi secondo e terzo, 2447, 2482-bis, commi 4, 5 e 6, e 2482-ter cod. civ. Per lo stesso periodo non opera la causa di scioglimento della so-cietà per riduzione o perdita del capitale sociale di cui agli artt. 2484, n. 4, e 2545-duodecies cod. civ.2. Resta ferma, per il periodo anteriore al deposito delle domande e della proposta di cui al comma 1, l’applicazione dell’art. 2486 cod. civ.

In neretto le modifiche introdotte con D.L. 83/2012, convertito nella legge 134/2012.

La norma in commento introduce un importante in-centivo alla risoluzione della crisi di impresa per il tra-mite della disapplicazione, in costanza di procedimento di concordato preventivo e di omologa degli accordi di ristrutturazione dei debiti, degli obblighi di capitaliz-zazione delle società in perdita e delle cause di sciogli-mento per riduzione o perdita del capitale sociale.

L’art. 184 L.F. “Effetti del concordato per i credito-ri”, integrato con la locuzione «Il concordato omolo-gato è obbligatorio per tutti i creditori anteriori alla pubblicazione nel registro delle imprese del ricorso di cui all’art. 161», chiarisce come gli effetti dell’omologazione del concordato decorrono dalla pubblicazione di detto ricorso nel registro delle impre-se e non più dal decreto di apertura della procedura.

Concordato con continuità aziendaleNovità

L’art. 33 del D.L. 83/2012, convertito in legge 134/2012, ha introdotto nel panorama degli stru-menti di composizione della crisi, con spiccata -nalità alla salvaguardia della continuità di impresa, l’art. 186-bis L.F., rubricato appunto “Concorda-to con continuità aziendale”, che recita:

1. Quando il piano di concordato di cui all’art. 161, comma 2, lett. e), prevede la prosecuzione dell’attività d’impresa da parte del debitore, la cessione dell’azienda in eser-cizio ovvero il conferimento dell’azienda in esercizio

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in una o più società, anche di nuova costituzione, si ap-plicano le disposizioni del presente articolo, nonché gli artt. 160 e seguenti, in quanto compatibili. Il piano può prevedere anche la liquidazione di beni non funzionali all’esercizio dell’impresa.2. Nei casi previsti dal presente articolo:a) il piano di cui all’art. 161, comma 2, lett. e), deve con-tenere anche un’analitica indicazione dei costi e dei ricavi attesi della prosecuzione dell’attività d’impresa prevista dal piano di concordato, delle risorse finanzia-rie necessarie e delle relative modalità di copertura;b) la relazione del professionista di cui all’art. 161, comma 3, deve attestare che la prosecuzione dell’at-tività d’impresa prevista dal piano di concordato è funzionale al migliore soddisfacimento dei creditori;c) il piano può prevedere, fermo quanto disposto dall’art. 160, secondo comma, una moratoria fino a un anno dall’omologazione per il pagamento dei creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, salvo che sia prevista la liqui-dazione dei beni o diritti sui quali sussiste la causa di pre-lazione. In tale caso, i creditori muniti di cause di prelazio-ne di cui al periodo precedente non hanno diritto al voto.3. Fermo quanto previsto nell’art. 169-bis, i contratti in corso di esecuzione alla data di deposito del ricorso, anche stipulati con pubbliche amministrazioni, non si risolvono per effetto dell’apertura della procedura. Sono inefficaci eventuali patti contrari. L’ammissio-ne al concordato preventivo non impedisce la con-tinuazione di contratti pubblici se il professionista designato dal debitore di cui all’art. 67 ha attestato la conformità al piano e la ragionevole capacità dia-dempimento. Di tale continuazione può beneficiare, in presenza dei requisiti di legge, anche la società cessionaria o conferitaria d’azienda o di rami d’azien-da cui i contratti siano trasferiti. Il giudice delegato, all’atto della cessione o del conferimento, dispone la cancellazione delle iscrizioni e trascrizioni.4. L’ammissione al concordato preventivo non impedi-sce la partecipazione a procedure di assegnazione di contratti pubblici, quando l’impresa presenta in gara:a) una relazione di un professionista in possesso dei requisiti di cui all’art. 67, comma 3, lett. d), che atte-sta la conformità al piano e la ragionevole capacità di adempimento del contratto;b) la dichiarazione di altro operatore in possesso dei requisiti di carattere generale, di capacità finanziaria, tecnica, economica, nonché di certificazione, richiesti per l’affidamento dell’appalto, il quale si è impegnato nei confronti del concorrente e della stazione appaltan-te a mettere a disposizione, per la durata del contratto, le risorse necessarie all’esecuzione dell’appalto e a subentrare all’impresa ausiliata nel caso in cui questa fallisca nel corso della gara ovvero dopo la stipulazio-ne del contratto, ovvero non sia per qualsiasi ragione più in grado di dare regolare esecuzione all’appalto. Si applica l’art. 49 del D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163.5. Fermo quanto previsto dal comma precedente, l’impre-sa in concordato può concorrere anche riunita in rag-gruppamento temporaneo di imprese, purché non rivesta la qualità di mandataria e sempre che le altre imprese

aderenti al raggruppamento non siano assoggettate a una procedura concorsuale. In tale caso la dichiarazio-ne di cui al precedente comma, lett. b), può provenire an-che da un operatore facente parte del raggruppamento.6. Se nel corso di una procedura iniziata ai sensi del pre-sente articolo l’esercizio dell’attività d’impresa cessa o risulta manifestamente dannoso per i creditori, il tribu-nale provvede ai sensi dell’art. 173. Resta salva la facoltà del debitore di modificare la proposta di concordato.

In neretto le modifiche introdotte con D.L. 83/2012, convertito nella legge 134/2012.

La novità normativa in esame decorre dal 10 settembre 2012 (trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione 134/2012 in G.U. n. 187 dell’11 agosto 2012). Tale disposizione esprime la palese volontà del legislatore di migliorare gli strumenti di composizione della crisi, in particolare con l’obietti-vo di recuperare il bene impresa e interessa i concordati le cui domande/ricorsi (introdotte) sono pubblicate nel registro delle imprese dall’11 settembre 2012.Il concordato preventivo con continuità aziendale può attuarsi nel caso in cui, nel piano ex art. 161, comma 2, lett. e), L.F. (piano contenente la descri-zione analitica delle modalità e dei tempi di adempi-mento della proposta), sia previsto alternativamente:1. la prosecuzione dell’attività di impresa. Non è previsto se di tutta l’impresa o di parte di essa, con la conseguenza che appare suf ciente la prosecu-zione anche di un singolo ramo;2. la cessione dell’azienda in esercizio. Sembre-rebbe desumersi che l’impresa in attività richiede l’ammissione al concordato, con piano/program-ma nalizzato non alla sua prosecuzione, ma alla cessione dell’azienda o del ramo di azienda;3. il conferimento dell’azienda in esercizio in una o più società anche di nuova costituzione. Il debitore che richiede l’ammissione a tale tipo di concordato nel piano deve prevedere che l’azienda o il ramo di azienda vengano conferiti in una o più società anche di nuova costituzione.Mentre l’ipotesi sub 1. si pone quale obiettivo quel-lo della salvaguardia diretta dell’impresa attraverso un percorso di ristrutturazione e soddisfazione dei debiti per il tramite della cassa generata dall’impre-sa ristrutturata, le altre due ipotesi prevedono che il piano concordatario abbia quale nalità:– quella del realizzo della azienda o di rami di essa e

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con la cassa ottenuta fare fronte alla proposta ai cre-ditori; in alternativa potrebbe rilevare l’impegno del-la cessionaria a eseguire la proposta concordataria;

– quella del conferimento: si ricorda come il confe-rimento non generi cassa immediata, posto che, a fronte dell’apporto dell’azienda o di rami di essa nella società conferitaria, si ottengono par-tecipazioni in quest’ultima società conseguenti appunto all’operazione di conferimento.

La nuova tipologia concordataria di fatto assorbe quella “mista”; infatti, l’ultimo periodo del comma 1 della norma in esame speci ca che il piano a base del concordato con continuità aziendale può prevedere «anche la liquidazione di beni non funzionali all’eser-cizio d’impresa».Si ritiene che, oltre alle ipotesi in precedenza de-scritte, potranno essere utilizzate nella speci ca modalità attuativa tutte quelle ulteriori operazioni straordinarie previste dall’art. 160 L.F. che la nor-ma in esame prevede «in quanto compatibili».Tra le disposizioni speci che sul concordato preventi-vo (in quanto applicabili) rileva sicuramente quella che prevede la facoltà per l’imprenditore di depositare un ricorso contenente la mera domanda anticipata di concordato preventivo unitamente ai bilanci degli ultimi 3 esercizi, senza necessità di produrre contestualmente alla stessa la proposta, il piano, l’altra documentazione (art. 161, comma 6, L.F.) e soprattutto senza dare indicazione sull’offerta ai creditori, sulla tipologia di concordato e su modalità e tempi di esecuzione (domanda anticipa-ta). Dette documentazione e indicazioni devono essere fornite entro il termine ssato dal giudice.

Contenuto del pianoÈ espressamente previsto che il piano a supporto del-la domanda di concordato con continuità aziendale debba contenere anche un’analitica indicazione dei costi e dei ricavi attesi dalla prosecuzione dell’attività di impresa prevista dal piano di concordato, nonché delle risorse nanziarie necessarie alla realizzazione del progetto e delle relative modalità di copertura.

Contratti in corso di esecuzioneÈ previsto che i contratti in corso di esecuzione alla data del deposito del ricorso non si risolvono per

effetto dell’apertura della procedura e che rilevano le disposizioni di cui all’art. 169-bis L.F.In particolare per lo speci co concordato:– i contratti pendenti, inclusi quelli stipulati con

pubbliche amministrazioni, non si risolvono ed eventuali patti contrari sono nulli;

– l’ammissione alla procedura di concordato preven-tivo non pregiudica la continuazione dei contratti pubblici, alla condizione che il professionista desi-gnato dal debitore, indipendente (art. 67, comma 3, lett. d), L.F.), attesti che detti contratti sono con-formi (sinergici) al piano e che il progetto evidenzia la ragionevole capacità di adempimento.

Il comma 3 della norma in esame, completando le pre-visioni di cui al comma 1, prevede che il giudice dele-gato, all’atto della cessione o del conferimento (su cui il professionista ha rilevato positiva attestazione), dispone la cancellazione delle iscrizioni e trascrizioni.

Assegnazione di contratti pubbliciL’ammissione alla speci ca procedura di concor-dato preventivo non pregiudica la partecipazione a procedure di assegnazione di contratti pubblici, purché vengano prodotte in gara:– relazione di professionista in possesso dei requi-

siti di cui all’art. 67, comma 3, lett. d), L.F., che attesti come l’eventuale aggiudicazione sia siner-gica (conforme) al piano e come rilevi la ragio-nevole capacità di adempimento del contratto;

– dichiarazione di un operatore in possesso di tut-ti i requisiti per l’af damento dell’appalto, non-ché in possesso di capacità nanziaria, tecnica ed economica, con cui si impegna nei confronti della stazione appaltante e del debitore a mante-nere a disposizione per la durata del contratto le risorse necessarie all’esecuzione dell’appalto e a subentrare al debitore in concordato nel caso in cui quest’ultimo fallisca ovvero non sia in grado di eseguire regolarmente il contratto.

Analoga situazione rileva nel caso in cui l’impresa in concordato preventivo partecipi alla gara nell’ambi-to di un raggruppamento temporaneo di imprese e sempre che le altre società partecipanti al raggruppa-mento non siano soggette a procedure concorsuali; in tale ipotesi la dichiarazione di af damento può essere

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fornita anche da un operatore del raggruppamento.

Cessazione o interruzione della proceduraÈ espressamente previsto dall’ultimo comma della nor-ma in esame che, qualora l’esercizio dell’attività d’im-presa cessi o risulti fortemente dannoso per i creditori, il tribunale deve provvedere ai sensi dell’art. 173 L.F. (“Revoca dell’ammissione al concordato e dichiarazio-ne di fallimento nel corso della procedura”).

Responsabilità dell’attestatoreSono previste l’indipendenza e la responsabilità pe-nale ex art. 236-bis L.F.

L’accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis L.F.

Inquadramento generaleL’art. 182-bis L.F. de nisce la disciplina degli accor-di di ristrutturazione dei debiti: strumento pensato dalla legge come mezzo di risanamento al quale l’impresa in crisi può ricorrere per ridurre la pro-pria esposizione debitoria e tentare così il recupero della propria continuità d’impresa. Esso si fonda sull’accordo di stampo privatistico/negoziale che il debitore raggiunge con tanti creditori rappre-sentanti almeno il 60% dei crediti e sulla relazione del professionista che attesta l’attuabilità del piano in cui questi accordi sono inseriti, nonché la veri-dicità dei dati in tale piano espressi. Il contenuto degli accordi con i creditori aderenti è liberamente determinabile, mentre ai non aderenti deve essere garantito il pagamento integrale di quanto dovuto.

NovitàL’art. 182-bis L.F. interessato dalle modi che/integrazioni subite per effetto dell’art. 33 del D.L. 83/2012, convertito in legge 134/2012, recita:

1. L’imprenditore in stato di crisi può domandare, depositan-do la documentazione di cui all’art. 161, l’omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti stipulato con i creditori rappresentanti almeno il sessanta per cento dei crediti, uni-tamente a una relazione redatta da un professionista, desi-gnato dal debitore, in possesso dei requisiti di cui all’art. 67, comma 3, lett. d), sulla veridicità dei dati aziendali e

sull’attuabilità dell’accordo stesso, con particolare riferimen-to alla sua idoneità ad assicurare l’integrale pagamento dei creditori estranei nel rispetto dei seguenti termini:– entro centoventi giorni dall’omologazione, in caso di

crediti già scaduti a quella data;– entro centoventi giorni dalla scadenza, in caso di cre-

diti non ancora scaduti alla data dell’omologazione.2. L’accordo è pubblicato nel registro delle imprese e acqui-sta efficacia dal giorno della sua pubblicazione.3. Dalla data della pubblicazione e per sessanta giorni i cre-ditori per titolo e causa anteriore a tale data non possono iniziare o proseguire azioni cautelari o esecutive sul patri-monio del debitore, né acquisire titoli di prelazione se non concordati. Si applica l’art. 168, secondo comma.4. Entro trenta giorni dalla pubblicazione i creditori e ogni altro interessato possono proporre opposizione. Il tribuna-le, decise le opposizioni, procede all’omologazione in ca-mera di consiglio con decreto motivato.5. Il decreto del tribunale è reclamabile alla corte di appello ai sensi dell’art. 183, in quanto applicabile, entro quindici giorni dalla sua pubblicazione nel registro delle imprese.6. Il divieto di iniziare o proseguire le azioni cautelari o esecutive di cui al terzo comma può essere richiesto dall’imprenditore an-che nel corso delle trattative e prima della formalizzazione dell’ac-cordo di cui al presente articolo, depositando presso il tribunale competente ai sensi dell’art. 9 la documentazione di cui all’art. 161, commi 1 e 2, lett. a), b), c) e d), una proposta di accordo corredata da una dichiarazione dell’imprenditore, avente valore di autocertificazione, attestante che sulla proposta sono in corso trattative con i creditori che rappresentano almeno il sessanta per cento dei crediti e da una dichiarazione del professionista avente i requisiti di cui all’art. 67, comma 3, lett. d), circa l’idoneità della proposta, se accettata, ad assicurare l’integrale pagamento dei creditori con i quali non sono in corso trattative o che hanno co-munque negato la propria disponibilità a trattare. L’istanza di so-spensione di cui al presente comma è pubblicata nel registro delle imprese e produce l’effetto del divieto di inizio o prosecuzione del-le azioni esecutive e cautelari, nonché del divieto di acquisire titoli di prelazione, se non concordati, dalla pubblicazione.7. Il tribunale, verificata la completezza della documentazione depositata, fissa con decreto l’udienza entro il termine di trenta giorni dal deposito dell’istanza di cui al comma 6, disponendo la comunicazione ai creditori della documentazione stessa. Nel corso dell’udienza, riscontrata la sussistenza dei presuppostiper pervenire a un accordo di ristrutturazione dei debiti con le maggioranze di cui al primo comma e delle condizioni per l’in-tegrale pagamento dei creditori con i quali non sono in corso trattative o che hanno comunque negato la propria disponibili-tà a trattare, dispone con decreto motivato il divieto di iniziare o proseguire le azioni cautelari o esecutive e di acquisire titoli di prelazione se non concordati, assegnando il termine di non oltre sessanta giorni per il deposito dell’accordo di ristruttura-zione e della relazione redatta dal professionista a norma del primo comma. Il decreto del precedente periodo è reclamabile a norma del quinto comma in quanto applicabile.8. A seguito del deposito di un accordo di ristrutturazione dei debiti nei termini assegnati dal tribunale trovano appli-cazione le disposizioni di cui ai commi 2, 3, 4 e 5. Se nel me-desimo termine è depositata una domanda di concordato preventivo, si conservano gli effetti di cui ai commi 6 e 7.

In neretto le modifiche introdotte con D.L. 83/2012, convertito nella legge 134/2012.

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Le novità normative sono entrate in vigore il 10 set-tembre 2012 (trentesimo giorno successivo a quel-lo di entrata in vigore della legge 134/2012 in G.U. 187 dell’11 agosto 2012) e riguardano gli accordi di ristrutturazione dei debiti (“introdotti”), depositati per l’omologa (anche ai sensi del comma 6 dell’articolo in commento) a decorrere dal giorno 10 settembre 2012 presso la cancelleria del tribunale competente. Le no-vità apportate da tale revisione alla disciplina, eviden-ziate in neretto nell’articolo, di seguito rappresentate, hanno la nalità di attribuire maggiore operatività allo strumento degli accordi di ristrutturazione dei debiti:– il richiamo dell’art. 161 L.F. determina che una spe-

ci ca novità del concordato preventivo abbia effetto anche sulla procedura in esame; si tratta della novità contenuta nel comma 2, lett. e), dell’art. 161 L.F., in forza della quale il debitore è tenuto a presentare, unitamente all’istanza di omologazione, un piano contenente la descrizione analitica delle modalità e dei tempi di adempimento della proposta;

– nel comma 1 dell’art. 182-bis viene stabilito come il professionista attestatore degli accordi sia designato dal debitore con requisito dell’indipendenza e responsabili-tà penale ex art. 236-bis L.F.;

– nel comma 1 dell’art. 182-bis viene stabilito altresì come il professionista incaricato debba farsi carico di attestare anche la veridicità dei dati aziendali inseriti nella documentazione richiesta per l’accesso alla procedu-ra di ristrutturazione;

– nel comma 1 dell’art. 182-bis viene stabilito come il pagamento dei creditori estranei ovvero non ade-renti agli accordi di ristrutturazione dei debiti debba avvenire per l’intero (integrale pagamento) in un termine espressamente previsto dalla novellata norma, 120 giorni dall’omologazione, in caso di crediti già scadu-ti a quella data, ovvero 120 giorni dalla scadenza, in caso di crediti non ancora scaduti alla data dell’omo-logazione. L’aggettivo “integrale” (che ha sostituito “regolare”) è sicuramente più coerente con l’estinzio-ne dell’obbligazione del debitore in crisi e lascia inten-dere, a parere di chi scrive, che l’attestazione profes-sionale riguardi anche gli eventuali interessi;

– nel comma 3 dell’art. 182-bis viene stabilito che la protezione del patrimonio del debitore da azioni esecutive e cautelari, intraprese dai suoi creditori

dalla data di pubblicazione presso il registro delle imprese dell’accordo di ristrutturazione dei debiti e per 60 giorni, vieti anche l’acquisizione di titoli di prelazione se non concordati;

– nel comma 7 viene ripreso il concetto dell’integrale pagamento dei creditori con i quali non sono in corso trattative o che hanno comunque negato la propria disponibilità a trattare;

– nel comma 8 dell’art. 182-bis (comma integralmen-te sostituito) si de nisce il coordinamento con la disciplina di cui all’art. 161, comma 6, L.F. circa la possibilità di depositare un ricorso di concorda-to preventivo privo della documentazione richiesta dall’art. 161 L.F. (depositata invece in momento successivo) e bene ciare del termine compreso tra 60 e 180 giorni per il deposito di un accordo di ri-strutturazione dei debiti ex art. 182-bis garantiti del-la protezione per il patrimonio del debitore sin dal deposito di detto ricorso di concordato;

– l’art. 182-quinquies L.F. in tema di nanziamenti e continuità aziendale prevede, al comma 1, che il tribunale possa autorizzare il debitore – nell’ambi-to della presentazione di una domanda di accordo di ristrutturazione dei debiti ovvero di concordato preventivo – a contrarre nanziamenti prededucibili ai sensi dell’art. 111, se «un professionista designato dal de-bitore in possesso dei requisiti di cui all’art. 67, com-ma 3, lett. d) (…)attesta che tali nanziamenti sono funzionali alla migliore soddisfazione dei creditori»;

– al comma 5 dell’art. 182-quinquies L.F., in subordine all’autorizzazione del tribunale e alla presenza dei presupposti di cui al comma 4 dell’articolo, si consen-te al debitore – che presenta domanda di omologa-zione di un accordo ex art. 182-bis L.F. – di pagare crediti anteriori per prestazioni di beni o servizi; pa-gamenti esenti da azione revocatoria;

– il neo-introdotto art. 182-sexies L.F. regola la so-spensione degli artt. 2446, commi 2 e 3, 2447, 2482-bis, commi 4, 5 e 6, e 2482-ter cod. civ. cir-ca la riduzione e la perdita del capitale sociale e la non operatività della causa di scioglimento delle società di cui agli artt. 2482, comma 4, e 2545-duodecies cod. civ. nel periodo intercorrente tra la data di deposito della domanda per l’omo-logazione dell’accordo di ristrutturazione dei de-

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biti ovvero della proposta di accordo a norma del comma 6 dell’art. 182-bis L.F. e l’omologazione dell’accordo stesso.

“Finanza ponte”

Inquadramento generale

Il tema della nanza ponte/interinale rappresenta una delle maggiori tematiche di rilievo pratico e ope-rativo dell’intera disciplina del risanamento dell’im-presa in crisi. La necessità dell’impresa di nuove ri-sorse per attuare il risanamento in ottica di continuità – per il mezzo degli strumenti di composizione della crisi messi a disposizione dalla legge fallimentare – necessita di una disciplina di favore che de nisca le modalità di erogazione di dette nuove risorse, di indi-viduazione dei soggetti somministratori e soprattutto delle garanzie che incentivino tali soggetti a un’ero-gazione tempestiva, anche in fasi prodromiche della procedura, di nuova nanza indispensabile per per-mettere un’adeguata risoluzione della crisi afferen-te l’impresa. In questa direzione muovono gli artt. 182-quater e 182-quinquies L.F. Il primo già esistente e oggetto di importanti modi che per effetto del DL. 83/2012; l’altro introdotto ex novo dalla riforma ex art. 33 del D.L. 83/2012, convertito in legge 134/2012.

NovitàL’art. 182-quater, così come riformato per effet-to del D.L. 83/2012, rubricato “La prededucibilità dei crediti nelle procedure di concordato preventi-vo e negli accordi di risoluzione dei debiti”, recita:

1. I crediti derivanti da finanziamenti in qualsiasi forma ef-fettuati in esecuzione di un concordato preventivo di cui agli artt. 160 e seguenti ovvero di un accordo di ristruttu-razione dei debiti omologato ai sensi dell’art. 182-bis sono prededucibili ai sensi e per gli effetti dell’art. 111.2. Sono parificati ai crediti di cui al primo comma i crediti derivanti da finanziamenti erogati in funzione della presentazione della domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo o della do-manda di omologazione dell’accordo di ristruttura-zione dei debiti, qualora i finanziamenti siano previsti dal piano di cui all’art. 160 o dall’accordo di ristruttu-razione e purché la prededuzione sia espressamen-te disposta nel provvedimento con cui il tribunale

accoglie la domanda di ammissione al concordato preventivo ovvero l’accordo sia omologato.3. In deroga agli artt. 2467 e 2497-quinquies cod. civ., i commi 1 e 2 del presente articolo si applicano anche ai finanziamenti effettuati dai soci fino alla concorrenza dell’ottanta per cento del loro ammontare. Si applicano i commi primo e secondo quando il finanziatore ha ac-quisito la qualità di socio in esecuzione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti o del concordato preventivo.4. abrogato.5. Con riferimento ai crediti indicati al comma 2, i cre-ditori, anche se soci sono esclusi dal voto e dal com-puto delle maggioranze per l’approvazione del concordato ai sensi dell’art. 177 e dal computo della percentuale dei crediti prevista all’art. 182-bis, commi 1 e 6.

In neretto le modifiche introdotte con D.L. 83/2012, convertito nella legge 134/2012.

Le novità introdotte con decorrenza 10 settembre 2012 rilevano per i procedimenti di concordato pre-ventivo la cui domanda sia depositata presso la can-celleria del tribunale competente dal 10 settembre 2012 e per l’omologa degli accordi di ristrutturazio-ne dei debiti la cui domanda sia depositata presso il tribunale competente dal giorno 10 settembre 2012.Le principali novità apportate dalla revisione ex art. 33 del D.L. 83/2012 attengono all’aspetto soggettivo, quanto alla categoria dei possibili nanziatori, prima prevista solo con riferimento a banche e intermediari -nanziari e ora generalizzata ai crediti in qualsiasi forma effettuati in esecuzione ovvero in funzione di un con-cordato preventivo o di un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato; in funzione purché il tribunale, nel provvedimento in cui omologa l’accordo ovvero il concordato, ne disponga espressamente la prededuzio-ne e nel piano detti nanziamenti siano inseriti.Con riferimento al nanziamento dei soci, il comma 3 introduce un’importante distinzione tra i soci “storici” e cioè presenti nel capitale alla data di presentazione del-la domanda di concordato preventivo o della domanda di omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti e i nuovi soci; nel primo caso la prededuzione copre l’80% del loro ammontare, mentre nel secondo caso la prededuzione interessa l’intero capitale erogato.

L’art. 182-quinquies, così come introdotto dal D.L. 83/2012 e rubricato “Disposizioni in tema di nanzia-mento e continuità aziendale nel concordato preventi-vo e negli accordi di ristrutturazione dei debiti”, recita:

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1. Il debitore che presenta, anche ai sensi dell’art. 161, comma 6, una domanda di ammissione al concorda-to preventivo o una domanda di omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti ai sensi dell’art. 182-bis, comma 1, o una proposta di accordo ai sensi dell’art. 182-bis, comma 6, può chiedere al tribunale di essere autorizzato, assunte se del caso sommarie informazioni, a contrarre finanziamenti, prededucibili ai sensi dell’art. 111, se un professionista designato dal debitore in possesso dei requisiti di cui all’art. 67, comma 3, lett. d), verificato il complessivo fabbisogno finanziario dell’impresa sino all’omologazione, atte-sta che tali finanziamenti sono funzionali alla migliore soddisfazione dei creditori.2. L’autorizzazione di cui al primo comma può riguarda-re anche finanziamenti individuati soltanto per tipolo-gia ed entità e non ancora oggetto di trattative.3. Il tribunale può autorizzare il debitore a concedere pegno o ipoteca a garanzia dei medesimi finanziamenti.4. Il debitore che presenta domanda di ammissione al concordato preventivo con continuità aziendale, anche ai sensi dell’art. 161, comma 6, può chiedere al tribuna-le di essere autorizzato, assunte se del caso sommarie informazioni, a pagare crediti anteriori per prestazioni di beni o servizi, se un professionista in possesso dei requisiti di cui all’art. 67, comma 3, lett. d), attesta che tali prestazioni sono essenziali per la prosecuzione dell’attività di impresa e funzionali ad assicurare la migliore soddisfazione dei creditori. L’attestazione del professionista non è necessaria per pagamenti effet-tuati fino a concorrenza dell’ammontare di nuove risor-se finanziarie che vengano apportate al debitore senza obbligo di restituzione o con obbligo di restituzione po-stergato alla soddisfazione dei creditori.5. Il debitore che presenta una domanda di omologazio-ne di un accordo di ristrutturazione dei debiti ai sensi dell’art. 182-bis, comma 1, o una proposta di accordo ai sensi dell’art. 182-bis, comma 6, può chiedere al tribunale di essere autorizzato, in presenza dei presupposti di cui al quarto comma, a pagare crediti anche anteriori per pre-stazioni di beni o servizi. In tal caso i pagamenti effettuati non sono soggetti all’azione revocatoria di cui all’art. 67.

In neretto le modifiche introdotte con D.L. 83/2012, convertito nella legge 134/2012.

La norma in commento, in vigore dal giorno 10 set-tembre 2012, interviene per risolvere una delle mag-giori criticità del sistema vigente, criticità che rende dif coltosa la corretta gestione della crisi di impresa per la quasi assoluta mancanza del cosiddetto “mer-cato della nanza ponte”, quella nuova nanza che serve all’impresa per superare il periodo intercorren-te tra l’evidenziarsi della crisi e la presentazione della domanda di concordato. Il mondo della nanza, sem-plicemente con il sistema previsto dall’art. 182-quater L.F., dif cilmente eroga nuova nanza, considerato che la prededucibilità è prevista in funzione della

presentazione della domanda di ammissione alla con-dizione che i nanziamenti siano previsti dal piano concordatario e purché la prededuzione sia espressa-mente prevista nel provvedimento in cui il tribunale accoglie la domanda di ammissione al concordato preventivo.Al ne di accedere alla citata nanza pon-te, è necessario ora che il debitore che presenta do-manda di ammissione al concordato preventivo (an-che nella forma del ricorso preventivo anticipato di cui al comma 6 dell’art. 161 L.F.), o domanda di accordo di ristrutturazione dei debiti, richieda in tale contesto al tribunale – anche prima del decreto di ammissione ex art. 163 L.F. – l’autorizzazione – assunte nel caso sommarie informazioni – a contrarre nanziamenti prededucibili; appare evidente come tale previsione sia di grande importanza, in particolare per i concor-dati che prevedono il recupero dell’impresa.

Aspetti fiscali

Novità

Il D.L. 83/2012, convertito nella legge 134/2012, apporta alla disciplina scale inerente alle procedure di composizione della crisi di impresa rilevanti no-vità. I fronti di intervento attengono all’estensione dell’art. 88, comma 4, TUIR alla procedura degli accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis L.F., ovvero dei piani attestati ex art. 67, comma 3, lett. d), e a un’estensione alla sola procedura degli accordi di ristrutturazione dell’art. 101, comma 5, TUIR in tema di deducibilità delle perdite su crediti.

L’art. 88, comma 4, TUIR, così come integrato dall’art. 33 del D.L. 83/2012, recita:

4. Non si considerano sopravvenienze attive i versamenti in denaro o in natura fatti a fondo perduto o in conto capitale alle società e agli enti di cui all’art. 73, comma 1, lett. a) e b), dai propri soci e la rinuncia dei soci ai crediti, né gli apporti ef-fettuati dai possessori di strumenti similari alle azioni, né la riduzione dei debiti dell’impresa in sede di concordato fallimentare o preventivo o per effetto della partecipazione delle perdite da parte dell’associato in partecipazione.In caso di accordo di ristrutturazione dei debiti omologa-to ai sensi dell’art. 182-bis del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, ovvero di un piano attestato ai sensi dell’art. 67, comma 3, lett. d), del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, pubblicato nel

(segue)

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registro delle imprese, la riduzione dei debiti dell’impre-sa non costituisce sopravvenienza attiva per la parte che eccede le perdite, pregresse e di periodo, di cui all’art. 84.

In neretto le modifiche introdotte con D.L. 83/2012, convertito nella legge 134/2012.

L’entrata in vigore di detta disciplina, sotto il pro lo -scale, per espressa previsione normativa è de nita nel giorno stesso della pubblicazione del testo di detto de-creto nella Gazzetta Uf ciale e quindi il 26 giugno 2012.La novità normativa conferma il principio generale di irrilevanza impositiva dei componenti positivi (soprav-venienze), imputati a conto economico, per effetto del-la riduzione delle passività conseguenti a procedure di concordato fallimentare e di concordato preventivo.La variazione rispetto al passato consiste nel fatto che la norma di favore si estende anche:– ai piani attestati ex art. 67, comma 3, lett. d), L.F.

pubblicati nel registro delle imprese;– agli accordi di ristrutturazione del debito ex art.

182-bis L.F. omologati,con la precisazione che «… la riduzione dei debiti dell’impresa non costituisce sopravvenienza attiva per la parte che eccede le perdite, pregresse e di periodo, di cui all’art. 84».Rileva peraltro una particolarità: infatti, mentre per il concordato fallimentare e il concordato preventivo le sopravvenienze attive da bonus da concordato sono escluse dalla tassazione senza alcun limite, per gli al-tri strumenti di gestione della crisi, il piano attestato e l’accordo di ristrutturazione dei debiti, le sopravve-nienze attive da riduzione dei debiti bene ciano della non imponibilità solo per la parte che eccede le perdi-te scali pregresse e di periodo di cui all’art. 84 TUIR.

L’art. 101, comma 5, TUIR, così come integrato dall’art. 33 del D.L. 83/2012, recita:

5. Le perdite di beni di cui al comma 1, commisurate al costo non ammortizzato di essi, e le perdite su crediti sono dedu-cibili se risultano da elementi certi e precisi e in ogni caso, per le perdite su crediti, se il debitore è assoggettato a procedure concorsuali o ha concluso un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell’art. 182-bis del R.D. 16 marzo 1942, n. 267. Ai fini del presente comma, il debitore si considera assoggettato a procedura concorsuale dalla data della sentenza dichiarativa del fallimento o del provvedimento che ordina la liquidazione coatta amministrativa o del decreto

di ammissione alla procedura di concordato preventivo o del decreto di omologazione dell’accordo di ristrutturazio-ne o del decreto che dispone la procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi. Gli elementi certi e precisi sussistono in ogni caso quando il credito sia di modesta entità e sia decorso un periodo di sei mesi dalla scadenza di pagamento del credito stesso. Il cre-dito si considera di modesta entità quando ammonta a un importo non superiore a 5.000 euro per le imprese di più rilevante dimensione di cui all’art. 27, comma 10, del D.L. 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, della legge 28 gennaio 2009, n. 2, e non superiore a 2.500 euro per le altre imprese. Gli elementi certi e precisi sussistono inoltre quando il diritto alla riscossione del credito è prescritto. Per i soggetti che redigono il bilancio in base ai principi contabili inter-nazionali di cui al regolamento (CE) n. 1606/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 luglio 2002, gli elementi certi e precisi sussistono inoltre in caso di cancellazione dei crediti dal bilancio operata in dipen-denza di eventi estintivi.

In neretto le modifiche introdotte con D.L. 83/2012, convertito nella legge 134/2012.

L’articolo in commento, in vigore dal 26 giugno 2012 (giorno della pubblicazione del D.L. 83/2012 in Gazzetta Uf ciale), conferma i principi generali della deducibilità della perdita (per il creditore del debi-tore in crisi) solo se derivante da «elementi certi e precisi», oppure se il debitore è stato assoggettato a una procedura concorsuale (amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, concor-dato preventivo, fallimento e liquidazione coatta amministrativa) a partire dalla data di apertura della stessa ed estende la deducibilità delle perdite su crediti in modo automatico, senza dover dimostrare l’esi-stenza degli elementi certi e precisi, all’accordo di ri-strutturazione dei debiti ex art. 182-bis L.F. dalla data del decreto di omologazione dell’accordo.Dal 26 giugno 2012, quindi, i creditori di imprese che attivano l’accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis L.F. potranno trattare il loro credito secondo le indicazioni che precedono.

Il professionista per le relazioni e attestazioni

Novità

L’intervento normativo di revisione ex art. 33 del D.L. 83/2012, convertito in legge 134/2012, at-tribuisce maggiore peso, rilevanza e responsabilità

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all’attestazione del professionista richiamato di cui all’art. 67, comma 3, lett. d). L’attività svolta da tale professionista assume un rinnovato ruolo centrale nelle attestazioni e relazioni richieste nelle varie mo-dulazioni normative della legge fallimentare, negli strumenti di gestione della crisi d’impresa. In questo contesto la norma ha aggiornato la disciplina de -nendo nuovi parametri per il professionista attesta-tore di cui all’art. 67, ovvero nuove responsabilità, anche sotto il pro lo penale, che interessano l’attività dal medesimo svolta.

Il professionista di cui all’art. 67, comma 3, lett. d)Sul professionista attestatore le novità normative sono di grande rilievo. Oltre a confermare che il professionista deve essere iscritto nel registro dei revisori legali e che viene nominato dal debitore, in particolare vengono esattamente speci cati i re-quisiti di indipendenza di detto soggetto: si tratta di un’indipendenza generalizzata, posto che attiene ai rapporti sia con il debitore sia con i creditori.L’art. 67, comma 3, lett. d), nella versione integrata, prevede che il professionista, designato dal debito-re, abbia i requisiti dell’indipendenza quando non è legato all’impresa in crisi da rapporti personali e di lavoro, né in generale deve avere interessi di sorta all’operazione di risanamento.È previsto che il professionista deve possedere i requi-siti per la carica di sindaco di cui all’art. 2399 cod. civ.; in particolare non possono ricoprire tale incarico l’in-terdetto, l’inabilitato, il fallito, o chi è stato condanna-to a una pena che importa l’interdizione anche tem-poranea dai pubblici uf ci o l’incapacità di esercitare uf ci direttivi (art. 2382 cod. civ.), il coniuge, i parenti e gli af ni entro il quarto grado dagli amministrato-ri della società o delle società da questa controllate o dalle società controllanti e da quelle soggette a comu-ne controllo, dai soggetti legati alla società o alle so-

cietà controllate o alla controllante o a quelle soggette a comune controllo da un rapporto di lavoro o da un rapporto continuativo di consulenza o di prestazione d’opera retribuita, ovvero da altri rapporti di natura patrimoniale che ne compromettono l’indipendenza.Inoltre, l’articolo citato precisa che il professionista non deve avere prestato negli ultimi cinque anni, neanche per il tramite di soggetti con i quali è unito in associazione professionale, attività di lavoro au-tonomo o subordinato in favore del debitore, ovve-ro avere partecipato agli organi di amministrazione e controllo.Con riferimento al richiamo previsto dalla lett. d) del comma 3 dell’art. 67 integrato, circa il concetto di indipendenza con riferimento all’art. 2399 c.c., uti-le è l’esame della norma di comportamento n. 1.4 del CNDCEC del 1° gennaio 2012, secondo cui la compromissione dell’indipendenza del sindaco può derivare da:a. rischi derivanti da interesse personale;b. rischi derivanti da auto-riesame;c. rischi derivanti da prestazione di attività di patro-cinio o assistenza tecnica dinanzi alle commissioni tributarie ovvero di consulente tecnico di parte;d. rischi derivanti da eccessiva familiarità o con -denzialità;e. rischi derivanti da intimidazione.

Il professionista di cui all’art. 67, comma 3, lett. d): responsabilità penaliCon l’introduzione dell’art. 236-bis L.F., viene de -nita la responsabilità del professionista per “falso in attestazioni e relazioni”; per detto soggetto che indica informazioni non veritiere od omette informazioni rilevanti rileva la pena della reclusione da 2 a 5 anni e la multa da 50.000 a 100.000 euro. Detta pena è aumentata se il comportamento è nalizzato al con-seguimento di un ingiusto pro tto per sé o per altri, se ne deriva un danno per i creditori.

1Sia consentito un rimando al volume di G. Buffelli-P. D’Andrea, Le crisi d’impresa, V ediz., Il Sole 24 ORE, Milano, ottobre 2012.

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Basilea 3: nuovi requisitidi adeguatezzadel capitale delle bancheEffetti sul processo di indebitamento delle PMI

Roberto LombardiTitolare della cattedradi “Economia degli intermediari finanziari”, Università degli Studi della Basilicata

Il terzo accordo sul capitale, conosciuto come Basilea 3 e approvato dal Comitato dei Governatori il 12 settembre 2010, impone agli istituti di credito, alla pari di un “patto di stabilità”, requisiti patrimoniali più severi. Le banche dovranno quindi procedere, con nuovi e più strin-genti presidi di rischio, alla verifica continua dell’adeguatezza del proprio patrimonio (ICAAP) che, come di seguito analizzato, potrebbe portare a un’inefficiente allocazione delle risorse finanziarie disponi-bili. Nello specifico saranno analizzati le determinanti e i parametri del patrimonio di vigilanza alla luce dei nuovi requisiti di Basilea 3, che entrerà in vigore gradualmente a partire dal 1° gennaio 2013.

Con l’adozione operativa della circ. n. 263/2006 della Banca d’Italia, si è de nitivamente proceduto a strutturare il secondo accordo sul capitale (Basi-lea 2) su tre pilastri portanti e precisamente:

a. determinazione dei requisiti patrimoniali minimi;b. processo di controllo prudenziale;c. disciplina di mercato e informativa al pubblico.Si veda la gura 1.

Figura 1

I PILASTRO Requisiti patrimoniali minimi

II PILASTRO Controlli prudenziali

III PILASTRO Disciplina di mercato

Rischio di credito

Rischio operativo

Rischio di mercato

Metodo dei RATING ESTERNI (standard)

Metodo dei RATING INTERNI di base

Metodo del RATING INTERNO AVANZATO (AIRBA)

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Tale struttura non subirà modi che con l’adozione, nel prossimo futuro, del terzo accordo sul capitale conosciuto come Basilea 31 e approvato dal Comi-tato dei Governatori il 12 settembre 2010. Le nuove regole, oggetto della presente analisi, impongono, alla pari di un “patto di stabilità”, requisiti patri-moniali più severi per l’operatività delle banche, in modo che gli istituti posseggano sempre le necessarie risorse nanziarie per resistere in periodi di crisi eco-nomica come quella in atto. L’entrata in vigore sarà graduale con inizio dal 1° gennaio 2013 per arrivare alla piena attuazione al 1° gennaio 2019.Approcciando un’analisi empirica dell’accordo in esame, non possiamo che de nirlo come un up-grade di Basilea 2 in cui vengono inseriti ulteriori presidi e meccanismi di salvaguardia del capitale in caso di eventi imprevisti o di variabili non valu-tate che, di fatto e solo di recente, hanno contribu-ito al fallimento dell’odierno modello nanziario. L’orientamento, anche di questo terzo accordo, è la determinazione analitica del patrimonio minimo

di vigilanza a seguito di un processo di autovaluta-zione del capitale da parte delle banche, nalizzato a salvaguardare la continuità aziendale dalle even-tuali conseguenze negative determinate dalle per-dite da iscrivere in bilancio per errate valutazioni di tutti i rischi assunti nell’attività di credito.L’ultima crisi ancora in atto ha contribuito ad avva-lorare la tesi che gli argini del patrimonio di vigilanza2 stabiliti con Basilea 2 non fossero suf cienti per sop-portare determinate condizioni di stress.

Preliminarmente preme quindi analizzare il concetto di patrimonio di vigilanza (tabella 1), che si discosta non poco dalla concezione aziendale di patrimonio ed è costituito dall’insieme del capitale so-ciale, degli utili non distribuiti e dalle riserve costituite per consentire lo svolgimento dell’attività di impresa. È quindi giusto de nirlo come la risorsa nanziaria che determina la capacità dell’impresa di fare fronte alle operazioni di gestione in tema di solvibilità. Sotto il pro lo bancario, tale concetto non risulta però esse-

Tabella 1 – DETERMINAZIONE ANALITICA DEL PATRIMONIO DI VIGILANZA

Patrimonio di base (A) Patrimonio supplementare (B) Deduzioni patrimoniali (C)

a.1) Capitale sociale sottoscritto (azio-ni o quote ordinarie e privilegiate) +

a.2) Utili non distribuitiA) Common equityB) Riserve senza specifica destinazio-

ne nate per fronteggiare il generico rischio d’impresa (riserve ordinarie, straordinarie, statutarie, legali)

C) Fondo rischi bancari generali

a) Riserve di rivalutazione monetariab) Strumenti ibridi di patrimonializzazionec) Passività subordinated) Fondi rischi su creditie) Fondi costituiti a fronte del rischio

Paesef) Fondi costituiti a fronte della parteci-

pazione al fondo interbancario di tute-la dei depositi

g) Fondi oscillazione titoli

a) Partecipazioni, strumenti ibridi di patrimonializzazione e attività subor-dinate al 10% del capitale sociale degli enti creditizi o finanziari par-tecipati

b) Partecipazioni in società o enti di ammontare 10% del capitale so-ciale degli enti partecipanti non ri-compresi nel punto precedente (qui la deduzione è applicata solo per la parte eccedente il 10% del valore del patrimonio di base e supplemen-tare della banca segnalante)

a cui si sottrae: a cui si sottrae:

D) Capitale sociale non versatoE) Azioni e quote proprieF) Attività immateriali, spese d’im-

pianto e avviamentoG) Perdite dell’esercizio in corso e pre-

gresse

h) Dubbi esiti su creditii) Minusvalenze

+ = (A) + = (B) − = (C)

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re conforme a quello aziendale. Il patrimonio di una banca deve infatti essere scisso in due componenti: una che rappresenta il patrimonio contabile (o patrimo-nio “in senso stretto” o patrimonio aziendale) e l’altra che si sostanzia nel patrimonio a ni di vigilanza.Nello speci co il patrimonio di vigilanza è una nozione “allargata” del patrimonio contabile, in quanto include, oltre al capitale sociale e alle riser-ve, anche gli strumenti di natura non strettamente patrimoniale, ma che comunque rappresentano ca-nali di patrimonializzazione. Nella determinazione del patrimonio di vigilanza è poi fondamentale ef-fettuare sempre una distinzione degli elementi che lo costituiscono in funzione della loro marcata, o meno, natura patrimoniale e quindi in funzione dei limiti alla computabilità degli stessi.

Patrimonio di vigilanza = [(A) + (B) − (C)]

Analizzando la costruzione analitica del patrimonio di vigilanza (tabella 1), si evidenzia di fatto l’effettivo grado di patrimonializzazione della banca, rappre-sentato da una relazione inversa tra capitale impiegato e pro- lo di rischio accollato (operazioni rischiose comportano maggiori accantonamenti di capitale a copertura/salvaguardia dello stesso). A tale proposito entrambi gli accordi di Basilea 2 e di Basilea 3, quest’ultimo non ancora in vigore, richiedono espressamente il rispetto di requisiti minimi di capitale coerenti con il grado di rischio assunto sancendo e imponendo il rispetto della seguente relazione durante l’intero periodo di attività della banca:

P.V. P.i.a.

P.i.a. Prm + Pro + APR

L’ammontare del patrimonio di vigilan-za (P.V.) deve quindi essere sempre almeno pari all’ammontare complessivo del patrimonio interno assorbito dalle attività bancarie (P.i.a.) costituito dalla somma delle quote di patrimonio destinate: alla copertura del rischio di mercato (Prm), alla copertura del rischio operativo (Pro) e di quelle assorbite dalle attività ponderate al rischio di credito (APR).Al ne poi di misurare in termini percentuali la

capacità della banca a sostenere la propria attività con il patrimonio di base e in presenza dei rischi ti-pici,3 è necessario ricorrere a due indici denominati rispettivamente “Tier 1 Capital” e “Core Tier 1”.

Il Tier 1 Capital è dato dal rapporto tra il patri-monio di base di una determinata banca e le attività proprie ponderate in base al rischio(RWA).4

Tier 1 Capital = Patrimonio di base

Attività ponderate al rischio

Il Core Tier 1 è il Tier 1 Capital al netto degli stru-menti ibridi, ossia al netto di quegli strumenti nan-ziari che possono essere emessi dalle banche sotto forma di obbligazioni, certi cati di deposito, buoni fruttiferi o altri titoli.

Core Tier 1 = Tier 1 Capital − Strumenti ibridi

Da quanto sopra detto risulta fondamentale eseguire un continuo e costante controllo sull’adeguatezza del patrimonio di ciascuna banca; proprio il II Pilastro “di-segna” il relativo processo di controllo prudenziale ar-ticolandolo in due parti fortemente integrate tra loro.La prima parte, “ICAAP” (internal capital adequacy as-sessment process), richiede che le banche svolgano un’au-tonoma valutazione della propria adeguatezza patri-moniale, attuale e prospettica, in relazione ai rischi ai quali sono esposte e alle proprie scelte strategiche.La seconda parte, “SREP” (supervisory review and evaluation process), di pertinenza della vigilanza, pre-vede il riesame di tale processo e la formulazione di un giudizio complessivo sulla medesima banca.Il processo ICAAP, in particolare, oltre a veri care la “tenuta” dei requisiti patrimoniali del I Pilastro, è diretto alla determinazione di un livello comples-sivo di capitale capace di assorbire:a. i rischi contemplati ma non pienamente misurati nel I Pilastro;b. i rischi non del I Pilastro;c. le condizioni avverse che potrebbero interessare i mercati di riferimento in cui la banca opera;d. i rischi determinati degli obiettivi strategici della banca.

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L’ICAAP costituisce quindi lo strumento per orientare in modo sempre più ef ciente il management della ban-ca verso l’effettiva creazione di valore. Per conseguire tale obiettivo, conformemente al principio di propor-zionalità che sostiene tutta la disciplina del processo di controllo prudenziale, è necessario, in generale, predi-sporre un solido sistema di governo societario, dotarsi di un’idonea e chiaramente de nita struttura organiz-zativa, de nire e implementare processi per un’ef ca-ce gestione, monitoraggio e segnalazione dei rischi e disporre di adeguati meccanismi di controllo interno.

La veri ca dell’adeguatezza patrimoniale si sostanzia quindi nel confronto tra il capitale com-plessivo, ovvero il patrimonio di vigilanza della banca, e il fabbisogno patrimoniale assorbito in seguito alle previsioni di copertura delle perdite inattese a fronte di tutti i rischi rilevanti e di quelli connessi a esigen-za di carattere strategico/espansivo. L’eccedenza di patrimonio di vigilanza disponibile dopo le veri che di assorbimento rappresenta contemporaneamente sia un buffer aggiuntivo di liquidità, che rafforza il livello di reputazione della banca sotto il pro lo della tutela

Esempio – Rilevazione ICAAP Prospettico della banca X – Effetti sul mercato del creditoAl fine di chiarire meglio la determinazione dell’ICAAP e gli effetti potenziali sul mercato del credito, si ipotizzi di stimare, nel periodo T+1, gli assorbimenti di capitale della banca X come rappresentati in tabella e calcolati anche a seguito di quelli già consolidati per il periodo T. Si supponga poi che la banca X abbia destinato a patrimonio il proprio utile netto al tempo T pari a euro 200 e abbia concluso con esito positivo, al tempo T+1, un aumento di capitale per euro 1.000.

ICAAP CAPITALE INTERNO COMPLESSIVO PROGRAMMATICOSCENARIO DI BASE

Descrizione Anno _T+1 Anno T Variazioni %Rischio di credito e di controparte 1.000 950 5

Rischio di mercato 200 190 5

Rischio operativo 500 480 4

Capitale interno rischi I Pilastro 1.700 1.620 5

Rischio di Concentrazione 130 120 8

Rischio di Tasso 400 420 −5

Capitale interno rischi II Pilastro 530 540 −2

Capitale interno per esigenze di natura strategica 100 40 150

Capitale interno complessivo 2.330 2.200 6

Capitale complessivo (patrimonio di vigilanza) 5.000 3.800 32

Patrimonio libero (eccedenza (+) / carenza (−)) 2.670 1.600 67

INDICI DI EFFICIENZADescrizione Anno_T+1 Anno T Variazioni %

Patrimonio di vigilanza/Pillar 1 = 2,94 2,35 0,60Patrimonio di vigilanza/Pillar 1+2 = 2,15 1,73 0,42Patrimonio libero % (buffer di capitale libero) 0,53 0,42 0,11

Ora, indipendentemente dalle tecniche di misurazione del rischio adottate dalla banca X, si evidenzia un’eccedenza di patri-monio libero, che sostanzia il pieno rispetto della condizione necessaria posta dal secondo accordo sul capitale sancito a Ba-silea (P.V. P.i.a.). D’altro canto questa ipotesi, perfetta sotto il profilo del rispetto normativo e dell’adeguatezza patrimoniale, evidenzia una forte criticità nel processo di allocazione della raccolta, funzione fondamentale a cui è chiamata ad assolvere la banca X; infatti, sia nel periodo T, sia nel periodo T+1, la banca X determina un buffer di capitale libero non impiegato rispettivamente pari al 42% e al 53%. Nel rispetto delle indicazioni di vigilanza,5 la banca X, al fine di mantenere inalterati gli equilibri sanciti da Basilea 2, avrà interesse a riallocare l’eccedenza di capitale unicamente verso impieghi risk free6 che non determinano assorbimenti ulteriori di capitale, ovvero impiegarla nell’acquisto di titoli del debito pubblico spiazzando ed escludendo di fatto l’investimento privato dal sostegno finanziario.

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della raccolta, sia il livello di inef cienza allocativa delle risorse nanziarie disponibili, che quindi non vengono impiegate nel sistema produttivo.

Crisi in atto e Basilea 3

La crisi attuale ha contribuito ad avvalorare la tesi che gli argini del patrimonio di vigilanza stabiliti con Ba-silea 2 non fossero equi per sopportare determinate condizioni di stress a cui sono stati sottoposti i patri-moni delle banche; con riferimento alle speci cità del mercato italiano, è opportuno però precisare che l’esi-genza di procedere verso una celere ricapitalizzazione si è riscontrata unicamente per molte “banche italia-ne7 di grandi dimensioni”, ma non per quelle afferenti al comparto delle BCC e delle Banche Popolari.Su questo presupposto si sono ride niti i nuovi ca-ratteri del terzo accordo sul capitale delle banche, di cui sinteticamente riproponiamo i principali (tabella 2 di raffronto: Basilea 2 vs Basilea 3).

Rideterminazione della consistenza del patrimonio di vigilanza

Sarà sempre più simile a quella del capitale di ri-schio in senso stretto, ovvero del common equity8 ed escluderà dal computo gli strumenti ibridi di patri-monializzazione solitamente utilizzati per arginare eventuali squilibri patrimoniali come, per esempio, i prestiti obbligazionari convertibili.

Rivisitazione dei modelli di stima del rischio Introduzione di nuove metriche più stringenti per la quanti cazione dei rischi (sia di mercato sia di credito) a tutela di possibili conseguenze negative che potrebbero investire la struttura bancaria.

Poteri discrezionali agli organismi di vigilanza

Questi procederanno autonomamente a ride nire i limiti di patrimonio minimo richiesto in funzione dell’analisi delle situazioni contingenti. Tra queste

misure appare di grande importanza la nozione di rischio di liquidità.9

Rivisitazione dei sistemi di rating

Da orientare verso il lungo periodo per contrastare le possibili inversioni del ciclo economico (pro-cicli-cità) in modo da rendere il sistema di rating utilizzato meno sensibile alle uttuazioni del ciclo stesso, ren-dendo di fatto più stabili anche i requisiti di capitale.

Buffer aggiuntivo

Obbligo delle banche di procedere a espliciti accan-tonamenti a riserva, da effettuare nei periodi di cresci-ta economica quando anche la domanda di prestiti è elevata, per poi utilizzarli nei periodi, come quel-lo attuale, di maggiore crisi. Il predetto buffer aggiun-tivo del total capital ratio10 oscilla tra lo 0% e il 2,5%.

Nuovi requisiti di liquidità

Gli asset liquidi non verranno più prestati a garanzia di altri contratti e dovranno essere sempre disponibi-li almeno per un periodo di 30 giorni (acid test).

Too big to fail

Per tutte le banche “relativamente” grandi saranno inoltre richiesti requisiti di capitale superiori ai mi-nimi sopra descritti.

Le conseguenze del mancato rispetto dei requi-siti sopra enunciati e, in particolare, di quello inerente al patrimonio minimo di vigilanza saranno immediate e dirette: quanto più il livello del patrimonio di una banca si avvicina al requisito minimo, tanto più essa sarà vincolata nella sua politica di distribuzione degli utili (per esempio, pagamenti di dividendi, riacquisti di azioni proprie e bonus) e ciò no alla ricostituzione della riserva patrimoniale. In tal modo si contribuirà ad assicurare un’adeguata disponibilità di capitale per sostenere l’operatività corrente della banca nelle fasi di tensione.

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Effetti sulle imprese

L’applicazione, se pure per fasi, del terzo accordo sul capitale produce sicuramente una contrazione degli impieghi verso il sistema imprenditoriale e ciò a seguito delle procedure più stringenti operate sui coef cienti patrimoniali delle banche e quindi sulla valutazione del rischio di controparte. Nello speci co, indipendentemente dal periodo di recessione in atto, l’inasprimento delle misure di determinazione del pa-trimonio di vigilanza induce il sistema bancario a sele-zionare in maniera più severa la clientela, a razionare l’erogazione del credito e quindi a inasprirne il costo.A riprova di quanto detto sono le inef caci recenti iniezioni di liquidità della BCE (che hanno portato centinaia di milioni di euro nelle casse degli istituti bancari) e che non hanno per nulla mutato la situa-zione di palese dif coltà di accesso al credito per le PMI. La liquidità immessa nel sistema da parte

della BCE è, infatti, sostanzialmente servita a ripia-nare gli squilibri patrimoniali bancari e a nanzia-re i debiti pubblici degli Stati europei in dif coltà.Un’ulteriore breve ri essione va rivolta in ne alla “qualità del capitale bancario” degli istituti di credi-to minori. Analizzando il comparto delle BCC e, in particolare, sia la modalità di redistribuzione degli utili sia il target di riferimento utilizzato nell’eroga-zione del credito, pur senza ancora avere effettuato una precisa analisi empirica, riteniamo di potere asserire l’esistenza di un continuo processo virtuoso di crescita e miglioramento del common equity. Ciò è essenzialmente legato sia all’obbligo di destina-zione a “patrimonio” di almeno il 70% dell’utile realizzato, sia al modello di business adottato, che risulta meno ciclico e più solido in quanto realizza-to a sostegno delle PMI territoriali e, soprattutto, non caratterizzato da una vocazione al trading sui mercati nanziari.

Tabella 2 – TAVOLA DI RAFFRONTO: BASILEA 2 VS BASILEA 3

In percentualedelle attivitàponderate per il rischio

REQUISITI PATRIMONIALIComponenti

macroprudenziali aggiuntive

Common equity ratio (Coefficiente minimo di azioni ordinarie)

Patrimonio di base(Tier 1 ratio)

Patrimonio di vigilanza ratio

Bufferanticiclico

Capacitàaggiuntiva diassorbimento

di perdite per le SIFI1Minimo Conservation

bufferRequisito

complessivo Minimo Requisitocomplessivo Minimo Requisito

complessivo Intervallo

Basilea 2 2 4 8 0 0

FORMULE DIRIFERIMENTO

Capitale sociale + Utili non distribuiti

Attività ponderate per il rischio

Patrimonio di base

Attività ponderate per il rischio

Patrimonio di vigilanza

Attività ponderate per il rischio

Basilea 3nuovadefinizione e calibrazione

4,5 2,5 7,0 6 8,5 8 10,5 0-2,5

Dotazionepatrimoniale

supplementare per le SIFI da definire

1 (Systemically important financial institutions – SIFI) grandi istituzioni finanziarie che, se falliscono, possono avere un impatto sul sistema economico e finanziario globale.

1R. Bottiglia (2010), “Prime riflessioni su Basilea 3 e possibili impatti sulle imprese”, atti del Convegno Oltre la crisi: strategia e fi-nanza per il rilancio e lo sviluppo delle imprese, 25 novembre, Verona; G. Carosio (2010b), “Verso Basilea 3: la posizione dell’industria bancaria italiana”, in Bancaria, n. 4.2La funzione del patrimonio nelle banche deve essere sempre analizzata sotto molteplici aspetti che hanno dato seguito a differenti approcci valutativi; in particolare, questi ultimi consentono di individuare tre differenti interpretazioni delle funzioni del patrimonio:

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– il patrimonio non serve alla banca, ma tutela i terzi creditori (M. Pantaleoni, La caduta della società generale di credito mobiliare italiano, Giuffrè, Milano, 1910; J.G. Courcelle-Seneuil, Les opérations de banque: traité theorique et pratique, Alean, Parigi, VII ediz., 1920);

– il patrimonio finanzia le attività della banca e tutela i terzi creditori;– il patrimonio costituisce una variabile strategica di gestione preposta alla riduzione del rischio di insolvenza della banca (G.

Dell’Amore, Economia delle aziende di credito, Giuffrè, Milano, 1965).3Rischio di credito: identifica la probabilità (in questo caso in capo alla banca) di subire delle perdite a causa della mancata ono-rabilità della controparte. Tale rischio non solo si compone per la parte espressa in conto capitale, ma anche per quella in capo alla voce di interessi attivi. Rischio operativo: è giusto definirlo come la sommatoria di un complesso di rischi in capo alla banca, il mix di rischi che praticamente potrebbe danneggiarla, strettamente annesso alla capacità operativa e gestionale dell’istituto. Rischio di mercato: la perdita che l’istituto bancario potrebbe subire per un errato investimento nel mercato finanziario tramite acquisto di strumenti finanziari.4Risk weighted assets (o semplicemente RWA o RWAs). Le attività ponderate a rischio vengono misurate associando agli asset ban-cari un coefficiente di ponderazione, basato sul rispettivo livello di rischio. Il VAR, acronimo di value at risk, è uno dei metodi utilizzati per determinare il livello di rischio e misurare la massima perdita potenziale che ci si attende possa essere generata riguardo a uno specifico orizzonte temporale.5Circ. n. 236 della Banca d’Italia “Nuove disposizioni di vigilanza prudenziale per le banche”, aggiornamento 31 dicembre 2012.6Risk free identifica quel benchmark di rendimento collegato ai titoli a “rischio nullo” come i titoli di Stato (T-bond). Nel modello del CAPM (capital asset pricing model) si postula il market risk premium come quella componente aggiuntiva di rendimento dato per accettare un rischio d’investimento maggiore del risk free. S.A. Ross, “The CAPM. Short-sale restrictions and related issues”, in The Journal of Finance, vol. 32, marzo 1977.7La necessità di nuovo capitale per le grandi banche italiane è valutata pari a circa 40 miliardi di euro (R. Ruozi, “Basilea 3 e le banche italiane”, atti del Convegno Basilea 3: implicazioni tecnico-organizzative promosso da Unione Fiduciaria SPA, Milano, 24 marzo 2011).8Equivale alla seguente formulazione: Common Eq. = azioni ordinarie + utili non distribuiti, ovvero riconducibile alla voce (A) del patrimonio di base (tabella 1).9Rischio di liquidità: rischio collegato alla probabilità di non riuscire a fare fronte alle scadenze di cassa.10Ricordiamo che il total capital ratio è generato dal rapporto tra il patrimonio di vigilanza e le attività ponderate per il rischio:

Total capital ratio = Patrimonio di vigilanza

Attività ponderate per il rischio

e deve essere sempre almeno pari all’8%.

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GUIDA ALLAVALUTAZIONE D’AZIENDAdi G. Manzana, M. Iori

Analisi dei principali metodi di valutazione, evidenziando le proble-matiche che più frequentemente si incontrano nella valutazione d’a-zienda, per giungere alla redazione della perizia di stima. I modelli di valutazione assumono importanza non solo nell’ambito delle fattispecie obbligatorie, ma anche in tutti i casi in cui viene ri-chiesta una perizia di parte per l’individuazione di un valore di mer-cato dell’azienda e nelle operazioni straordinarie. Per ogni modello sono trattati numerosi esempi e casi pratici, mettendo di volta in volta in luce gli aspetti critici.Il software contenuto nel CD-Rom partendo dai dati di bilancio, ef-fettua l’analisi propedeutica alla valutazione e determina il valore dell’azienda sulla base dei principali metodi di valutazione, offrendo al professionista una perizia precostituita.

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Le modifiche annualidegli standard internazionaliNuove regole effettive a partire dal 1° gennaio 2013Alessandro TurrisPwC Associate Partner,Coordinatore dell’Ufficio studiGiorgio A. AcunzoPwC Manager,Project Manager OIC/EFRAG seconded

EFRAG ha emesso, nel corso del mese di agosto 2012, il giudizio posi-tivo per l’endorsement in Europa delle modifiche agli IFRS contenute nel documento pubblicato dallo IASB nel mese di maggio e rientranti nel ciclo 2009-2011.

Nel corso del mese di maggio 2012 l’Inter-national Accounting Standards Board (IASB), nell’ambito del processo annuale di modi ca degli IFRS, ha pubblicato un documento che introduce talune modi che a cinque principi contabili inter-nazionali (IFRS):– IFRS 1, Prima adozione degli International Financial

Reporting Standard;– IAS 1, Presentazione di bilancio;– IAS 16, Immobili, impianti e macchinari;– IAS 32, Strumenti nanziari: esposizione e note al bi-

lancio;– IAS 34, Bilanci intermedi.I cambiamenti introdotti sono stati discussi dall’IFRS Interpretation Committee e dallo IASB nel biennio 2009-2011. Le modi che ai cinque standard entreranno in vigore a partire dal 1° gen-naio 2013; è probabile dunque che, compatibil-mente con la conclusione del processo di omologa-zione della Commissione Europea, attesa nel corso del primo trimestre 2013, le entità ne dovranno già considerare gli impatti nella predisposizione delle prime trimestrali.

Le modi che sono state oggetto di consul-tazione pubblica nel corso del 2011. Lo IASB ha ritenuto che le modi che agli standard vigenti potessero rientrare nel processo di miglioramento

annuale attraverso il quale vengono de niti cam-biamenti non urgenti, ovvero di impatto non signi- cativo ma necessari per la risoluzione di proble-

matiche segnalate dagli operatori economici.A seguito della consultazione pubblica, l’Europe-an Financial Reporting Advisory Group (EFRAG) ha emesso un parere positivo per l’adozione di tali modi che, in quanto ha ritenuto che le stesse ri-spettino i criteri per l’adozione nell’Unione Euro-pea. L’EFRAG ha altresì indicato nel suo rapporto che i bene ci derivanti dall’adozione delle suddette modi che sono attesi essere superiori ai corrispon-denti costi. Ci si aspetta pertanto che la Commis-sione Europea proceda con l’omologazione di tali documenti.Di seguito si fornisce una breve sintesi delle modi -che ai cinque standard interessati.

Le modi che all’IFRS 1, Prima adozione degli International Financial Reporting Stan-dard mirano a chiarire le regole contabili da appli-care nel caso in cui un’entità, che in passato avesse già effettuato una transizione ai principi contabili internazionali e che successivamente ne abbia in-terrotto l’applicazione (a seguito di delisting, per esempio), torni a farne uso e dunque debba appli-care nuovamente l’IFRS 1; in aggiunta le modi -che chiariscono la modalità di applicazione dello

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IAS 23, Oneri nanziari nello stato patrimoniale di apertura in sede di prima applicazione degli IFRS.Con riferimento alla tematica dell’applicazione ri-petuta dell’IFRS 1, la modi ca chiarisce le regole contabili da utilizzare. Essa offre alle entità la scelta tra due opzioni:a. applicare nuovamente l’IFRS 1;b. applicare lo IAS 8, Principi contabili, cambiamenti nelle stime contabili ed errori retroattivamente a partire dall’ultimo bilancio conforme agli IFRS. Questa seconda possibilità consente all’entità di modi care i valori contabili inclusi nell’ultimo bilancio pub-blicato come se non avesse mai smesso di applicare gli IFRS.In termini di informativa, è prevista una speci ca disclosure sulle motivazioni per le quali si è deciso di interrompere l’utilizzo degli standard internazionali e sulle ragioni che hanno condotto alla nuova ap-plicazione degli IFRS. In ne, qualora si opti per l’applicazione retrospettica, come se non si fosse mai smesso di applicare gli IFRS, dovrà essere for-nita la ragione di tale scelta.A nostro avviso, le entità dovranno effettuare un’analisi costi/bene ci derivanti dalla nuova ap-plicazione dell’IFRS 1 e dall’applicazione retro-spettica degli IFRS con l’intento di produrre in-formazioni contabili che siano rilevanti, af dabili, comprensibili e comparabili.Con riguardo alla modalità di applicazione dello IAS 23, la modi ca chiarisce che tale principio, in sede di prima applicazione degli IFRS, potrà essere applicato o alla data di transizione o a una data antecedente. In entrambi i casi, gli oneri nanziari capitalizzati secondo precedenti principi contabili non saranno oggetto di alcuna retti ca alla data di transizione.

Le modi che allo IAS 1, Presentazione di bi-lancio chiariscono quali sono le disclosure richieste con riferimento alle informazioni comparative in circostanze in cui venga presentato un terzo stato patrimoniale a seguito delle disposizioni contenute nello IAS 8, Principi contabili, cambiamenti nelle stime contabili ed errori; oppure su base volontaria.

In particolare, lo IAS 1 richiede la presentazione di informazioni comparative allorquando un’enti-tà, in modo retrospettico, adotta una nuova policy o effettua un restatement dei dati contabili o quando modi ca le classi cazioni di bilancio in conformità allo IAS 8. In questo contesto lo IASB ha deciso di modi care gli obblighi informativi in modo che non vi sia più la necessità di fornire complete note esplicative relative allo stato patrimoniale di aper-tura, ma solo per alcune speci che informazioni.1 Inoltre, lo IASB ha ritenuto che la presentazione di un terzo stato patrimoniale sia dovuta solamente quando le modi che di cui sopra abbiano un effet-to signi cativo.2

Nel caso di presentazione volontaria di ulteriori prospetti comparativi rispetto al minimo richiesto, ne è consentita la pubblicazione, purché gli stessi siano predisposti in base agli IFRS. In tali casi non è tuttavia previsto l’obbligo di presentare un’infor-mativa contabile completa. Se, per esempio, si opta per la presentazione di un terzo prospetto dell’utile complessivo, non si richiede la presentazione di un corrispondente stato patrimoniale, prospetto dei ussi di cassa e prospetto delle variazioni del patri-

monio netto.

Le modi che effettuate allo IAS 16, Immo-bili, impianti e macchinari chiariscono che le parti di ricambio e le attrezzature per la manuten-zione sono classi cate come immobili, impianti e macchinari, o piuttosto come rimanenze di magaz-zino, a seconda che tali componenti soddis no le de nizioni contenute rispettivamente nello IAS 16 e nello IAS 2. A seguito della modi ca, questi beni, qualora siano destinati a essere utilizzati per più di un periodo contabile, andranno classi cati come immobili, impianti e macchinari.

Le modi che apportate allo IAS 32, Stru-menti nanziari: esposizione e note al bilan-cio hanno l’intento di chiarire il trattamento delle imposte sul reddito relative alla distribuzione di di-videndi e dei relativi costi di transazione. Lo IASB ha infatti chiarito che gli effetti scali derivanti dal-

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la distribuzione dei dividendi devono essere rilevati a conto economico secondo quanto previsto al par. 52B dello IAS 12, Imposte sul reddito. Pertanto, nel-la misura in cui il dividendo si riferisce ai redditi derivanti da una transazione che originariamente è stata rilevata a conto economico, l’effetto scale deve essere coerentemente rilevato a conto eco-nomico. Qualora invece il dividendo si riferisca a redditi derivanti da una transazione che è stata originariamente riconosciuta nel conto economico complessivo o nel patrimonio netto, l’entità deve applicare la deroga di cui al par. 58 (a) dello IAS 12 e riconoscerne gli effetti scali al di fuori del conto economico.

La modi ca allo IAS 34, Bilanci intermedi chiarisce gli obblighi informativi per le attività e passività appartenenti ai diversi settori operati-vi, così come de niti dall’IFRS 8, Settori operativi, nell’ambito della predisposizione del bilancio in-termedio. A seguito della variazione, infatti, il to-tale delle attività e passività per uno speci co set-tore oggetto di informativa dovrà essere presentato solamente se tali informazioni sono state fornite regolarmente al più alto livello decisionale opera-tivo (Chief Operating Decision Maker) e se vi è stato un cambiamento signi cativo nel valore nel periodo oggetto di rendicontazione, successivo all’ultimo bilancio di esercizio.

1Si tratta delle informazioni previste da IAS 1.41-44 e IAS 8.2Par. 40A (b) della modifica allo IAS 1, Presentazione di bilancio.

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La valutazione aziendalenell’ottica della quotazioneFinalità, approcci tecnici e processo estimativo nelle offerte pubbliche iniziali

Marco TalientoProfessore Associatodi Economia Aziendale,Facoltà di Economiadell’Università di Foggia

L’articolo intende richiamare l’attenzione su un processo fondamenta-le nell’ambito delle IPO (initial public offering), il processo valutativo del capitale delle imprese in procinto di quotarsi in borsa. Individuati gli obiettivi delle stime aziendali inerenti alle offerte pubbliche iniziali e le tecniche principali di determinazione economica (chiarendo la differenza immanente tra valore e prezzo), si analizza l’IPO discount, ossia lo sconto applicabile alla quotazione nella definizione del prez-zo iniziale. Infine si compendiano le fasi e la struttura concernenti il documento di valutazione da redigere e presentare secondo practice ai fini IPO.

Obiettivi delle valutazioni IPO

L’IPO valuation è un momento cruciale nell’ambito del going public di un’impresa societaria (quotazione in borsa, ovvero ammissione ai mercati regolamen-tati), nalizzato a stimare il livello accettabile di prez-zo (azionario) di offerta al pubblico. All’uopo non si prescinde dalle aspettative degli operatori economici circa la redditività aziendale, la realizzabilità del piano industriale, l’ef cacia del sistema di controllo, l’entità dei moltiplicatori di borsa, nonché l’evoluzione del quadro ambientale di riferimento. La stima del value aziendale nell’ipotesi speci ca di IPO, dunque, è pura-mente strumentale alla de nizione di prezzo di offerta.Non va sottaciuto che concettualmente quest’ultimo, come si chiarirà infra, non identi ca un vero e proprio valore (a meno che non lo si intenda come una sorta di valore di scambio sui generis). E non è neppure assimi-labile al più probabile prezzo di mercato associato al si-stema aziendale in esercizio, dacché esula dal mercato del controllo dello stesso. Il prezzo di offerta al pubbli-

co, a ben vedere, è «solo in prima battuta il frutto di una valutazione realizzata dallo sponsor o dall’advisor che assiste l’impresa; successivamente tale stima viene aggiustata attraverso una serie di contatti con i grandi investitori che assicurano il collocamento dei titoli. Si tratta, dunque, di un valore negoziato tra più parti e quindi di un prezzo.».1

L’aggiustamento in parola ha luogo progressiva-mente attraverso l’attività di marketing rivolta agli investitori istituzionali: più esattamente il risultato nale scaturirà dalla capacità del management du-

rante il roadshow di convincere il mercato circa la qualità dell’equity story.

Il “valore” che viene negoziato, venendo a dipendere da fattori endogeni ed esogeni all’azienda, è perciò stes-so un prezzo.

Esso si fonda in parte anche sui seguenti elementi: visibilità dell’IPO; standing degli analisti e qualità dell’equity research; previsione dell’aftermarket; placing power dei collocatori ecc.

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Si badi che nel nostro Paese, no alla secon-da metà degli anni Novanta del secolo scorso, la certi cazione iniziale del valore IPO – peritale (certi cato uf ciale di valutazione) – era ascritta al Comitato degli agenti di cambio e del Consiglio di borsa. Il passare del tempo ha determinato una net-ta prevalenza degli orientamenti estimativi delle mer-chant bank e delle banche internazionali, palesemente inclini al modello nanziario e ai multipli di mercato (in specie asset-side), a discapito dei precedenti favori riscossi – per le imprese industriali – dai metodi mi-sti patrimoniali-reddituali, poi validati e controllati a mezzo di moltiplicatori in genere equity-side (price to earning su tutti). L’affermazione dei metodi basati sui ussi ha signi cato in tali casi l’adozione – ai ni dei certi cati peritali – prima dei modelli reddituali e poi diffusamente dei modelli nanziari (per le azien-de bancarie quotande restano dominanti il metodo misto e quello reddituale, mentre per le assicuratrici going public i metodi patrimoniali complessi).2

Oggi invero il processo valutativo svolto nell’ottica dell’ammissione ai mercati regolamen-tati nisce in sostanza con il ssare un price range indicativo. Il Regolamento di borsa richiede difat-ti che lo sponsor presenti un documento di valutazione preliminare con cui segnalare l’intervallo di prezzo rinvenuto sulla base dei seguenti metodi quantita-tivi (ritenuti basilari, particolarmente orientatori):– il DCF (discounted cash ow);– i multipli di mercato (comparable companies analysis).Detto intervallo, successivamente testato median-te la raccolta delle manifestazioni di interesse non vincolanti, effettuate da parte degli investitori isti-tuzionali incontrati durante l’attività di pre-marketing dell’initial public offering, è inserito – a titolo indicati-vo – nel prospetto informativo (range de nitivo).3

L’adozione di adeguate metodologie estimative del valore aziendale si conferma,4 in altri termini, l’antecedente logico rispetto alla formazione/individuazione del prezzo di offerta, prezzo che altrimenti reste-rebbe manchevole di fondamenta e teoricamente inaccettabile.

Il DCF – ma il discorso è a fortiori valido per le formule reddituali, come pure per quelle miste (in genere per le metodologie indirette o assolute) – denota invero mag-giore stabilità di quanta ne possano garantire i multipli a sé stanti (valutazioni relative). Queste ultime valuta-zioni sono infatti di regola agganciate al breve termine, alla congiuntura di mercato. Guatri e Bini (2005, pagg. 798-799) chiariscono sul punto che «in periodi di eu-foria dei mercati nanziari, le valutazioni assolute tipi-camente sono inferiori a quelle relative. Questo accade appunto perché in queste ultime si trasfonde l’ottimi-smo e l’euforia pro tempore del mercato (che si traduce, sul piano quantitativo, in uno speciale paradigma di mercato, valido nel momento)»; «le valutazioni assolu-te sono invece superiori a quelle relative in periodi di depressione dei mercati nanziari; questo accade ov-viamente per le ragioni opposte». Occorre per di più ammettere che «il divario è in uenzato dal fatto che, almeno in Europa, le IPO avvengono spesso (quasi sempre) senza che gli azionisti di riferimento sacri -chino il controllo della società. Le stime assolute […] prescindono ovviamente da tale circostanza, mentre i multipli di società comparabili, basati sulle quotazioni borsistiche, ne tengono conto. Questo fatto svolge una funzione di contenimento del divario nella fase dell’euforia e lo esalta nella fase depressiva». Si noti che gli Autori sopra ci-tati sottolineano l’importanza, ai ni IPO, delle meto-dologie assolute basate sui ussi (in alternativa, miste) e di quelle relative basate sulle società comparabili. Tra le altre avvertenze, con riguardo alle metodologie di-rette, si annoverano le seguenti: non sempre le società comparabili sono i diretti competitor; è bene utilizzare valori normalizzati, mediati (per evitare effetti di cicli-cità); per maggiore stabilità, occorrerebbe magari con-siderare gli anni “a regime” (non i soli dati ex budget); tali procedimenti rappresentano il percorso più rapido di valutazione della quotanda.

Tanto ssato, sul piano più generale di analisi, è da dire che il valore del capitale d’azienda – donde scatu-risce tutto il resto – va concepito come il risultato di un laborioso processo di raccolta e analisi di dati e informazioni rilevanti, di conoscenza e interpretazione dell’in-tima realtà aziendale indagata, di approfondito studio della

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struttura e del funzionamento del sistema e dei sub-sistemi in cui si articola; ancora, di osservazione e rappresentazione del posizionamento dell’azienda nel quadro strategico di rife-rimento, di de nizione delle correlazioni sviluppate con altre entità e soggetti-stakeholder cui l’impresa si rapporta, di accurata individuazione dei molteplici value driver ecc.5

In de nitiva, anche in presenza di una IPO, non bisogna indulgere a una meccanica applica-zione di formule quantitative preconfezionate, ma premiare di volta in volta le speci cità del caso in esame, pure alla luce dei pro li/fattori qualitati-vi distintivi aziendali (intangible, corporate governance, consenso sociale ecc.).Documenti quali il Qmat, il piano industriale o la rela-zione sul controllo di gestione (memorandum) sono parti-colarmente utili per orientare il valutatore e veri care la congruenza (aderenza) delle valutazioni. Dopotutto la valutazione di un’offerta pubblica iniziale – svolta a opera dello sponsor/global coordinator alla luce dello studio del business model, della value chain, del posizionamento e del vantaggio competitivo ecc. – è notoriamente parte integrante del complesso processo di due diligence.

Un’ultima considerazione essenziale merita l’approccio di fondo su cui innestare le formule esti-mative: il valore fondamentale dell’impresa (valore eco-nomico) è qualitativamente diverso (perché lo sono sia le misure dei driver, sia talvolta gli algoritmi di calcolo annessi) dal suo valore potenziale razionale (capitale strategico). La prima con gurazione di valore (capi-tale economico) è tendenzialmente equa e obiettiva, perché prescinde dagli interessi dei soggetti coinvolti nella transazione (trasferimento d’impresa a terze economie) e si basa su ussi di risultato scaturenti da capacità reddituali (economico- nanziarie) acquisite o di probabile realizzazione. Per contro la seconda con -gurazione (valore strategico o potenziale), da un lato, si pone in diretta funzione delle strategie dei soggetti an-zidetti e, dall’altro, valorizza – con le note conseguenze in termini di minore af dabilità/credibilità dei risul-tati – ussi futuri e condizioni gestionali ed estimative particolarmente incerte, sostanzialmente slegate dalle

possibilità produttive dimostrate in passato, scaturibili più che altro dalla manifestazione in futuro di opzioni (opzioni reali). Nel nostro caso, si tratterebbe a tale pro-posito di considerare esplicitamente i potenziali bene- ci (generali, endemici o speciali) agganciati tanto alle sinergie, quanto alle opzioni di sviluppo, differimento, essibilità e abbandono che si aprono in relazione alle nuove prospettive strategiche o di integrazione procu-rate dall’offerta pubblica iniziale.

L’IPO discount

Le metodologie estimative dianzi richiamate con-ducono di regola alla prodromica valutazione stand alone del capitale economico dell’azienda going public (grosso modo corrispondente al suo fair value glo-bale, inclusivo dell’avviamento). In sede di offerta pubblica iniziale, dal punto di vista operativo, oc-corre invero applicare a detto valore fondamentale uno sconto apposito: l’IPO discount.

Esso è determinato (dietro suggerimenti/solle-citazioni fattuali da parte degli intermediari depu-tati al collocamento azionario) dalla constatazione che in n dei conti all’investitore potrebbe conve-nire maggiormente acquisire titoli di una società già quotata sul mercato regolamentato, piuttosto che accollarsi i rischi di una prospettata new entry, con la sua equity story ancora privata, il management non conosciuto dal pubblico o ai più, le inevitabili e insidiose asimmetrie informative ecc. Tale ragio-namento fa decampare dall’ottica di pura terzietà a quella (parziale) dell’investitore/acquirente.

Il livello dello sconto IPO dipenderà nella fatti-specie dalle attese sulla capacità prospettica del com-pendio aziendale di generare frutti, dalla dimensio-ne di dividendi, distribuzioni reddituali, fatturato ecc., dai pro li di rischio, dalla corporate governance, dai tassi di crescita, dal track record manageriale, dal livello del ottante (contendibilità/dimensioni dell’of-ferta/potenziale liquidabilità del titolo), dal contesto ambientale/strategico di riferimento, dalla compre-senza eventuale di altre emissioni (scarcity), dall’anda-

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mento dei mercati borsistici, market appetite, sentiment ecc.: si tratta di fattori che, quanto meno indiretta-mente, vanno a in uenzare in vario modo e diversa intensità la misura del complesso discount in parola.In talune congiunture il mood euforico dei mercati (il caso limite è segnato dalle IPO bubble) solletica una minore prudenza nella valutazione del capita-le delle aziende quotande e dell’annesso discount. È il tempo in questi casi a fare il suo dovere, andando ad aggiustare progressivamente, svalutandole, sti-me eccessive (perché orientate non razionalmente al breve termine) mediante dinamiche negative dei corsi. A cominciare dall’aftermarket.In formula si può scrivere semplicemente:

IPO-value = Stand alone value x (1 − IPO-discount)

L’IPO discount ha in de nitiva «la funzione di massimizzare il livello di domanda e aumentare, per coloro che durante il collocamento hanno deciso di investire nell’azienda, la probabilità di ottenere un buon rendimento dall’investimento. In tale modo si giunge a de nire un range indicativo di prezzo e un “prezzo massimo”, quest’ultimo da pubblicare entro il giorno antecedente l’inizio dell’offerta pubblica. Il “prezzo di offerta” è in ne determinato in base ai risultati dell’offerta istituzionale».6

Si suole invero individuare una forchetta di prezzo che sia attrattiva per il più ampio range di investito-ri che accedono al road show. Fissare un intervallo troppo alto può allontanare o scoraggiare un certo numero di investitori potenziali, limitando la rac-colta di risorse signi cative. Pertanto, a partire dal road show process, si aumenta gradualmente il prezzo in base alla domanda che perviene.Taluni panelist indicano che per le IPO share in linea con le comparable possono essere attesi IPO discount del 10%-30% (da più parti si segnala un più ricor-rente range del 15%-20%). Nel caso di IPO partico-larmente rischiose, gli investitori potrebbero essere desiderosi di uno sconto più generoso (>30%).7

In conclusione di argomento, l’IPO discount sem-bra esprimere la differenza tra l’IPO issue price e il valo-

re intrinseco (fair value) dell’azienda. Tale sconto perciò rappresenta un trasferimento diretto di ricchezza da-gli entrepreneur/azionisti iniziali ai nuovi investor (Daily et al., 2003). A ogni buon conto, bisogna avere l’umiltà e l’onestà intellettuali di ammettere che i fattori che in- uenzano il prezzo IPO non sono bene o completa-mente spiegati/compresi (Ritter e Welch, 2002).8

Ciò detto, si evidenzia altresì che una recente branca di indagini concernenti le offerte pubbliche iniziali, denominata “pre-IPO studies”, si è focaliz-zata sui marketability discount (trattando questa volta degli speci ci sconti per dif coltà o mancanza di negoziazione sul mercato).9

Uno degli approcci per misurare qui il marketability discount in modo empirico-induttivo è proprio quello di comparare i prezzi di offerta iniziale con le transa-zioni aventi a oggetto le azioni/quote di equity di una certa azienda precedenti l’IPO (ricavandole dalla di-sclosure). Il problema sta nel fatto che la dimensione del campo di osservazione si dimostra relativamen-te piccola, gli scambi pre-IPO possono non essere at arm’s length, la struttura nanziaria e produttiva (pro-duct line) aziendale potrebbe essere mutata durante il periodo analizzato (pre-IPO window) ecc. Questa branca si af anca a quella dei “restricted-stock studies”, che, sempre in tema dei suddetti sconti di mercato, compara i trading price dei titoli di una società publicly held venduti su un mercato aperto con quelli inerenti alle restricted share (o unregistered) della stessa società in transazioni private.10 È risaputo che azioni di detto tipo denotano limitazioni in ordine alla trasferibilità.Nell’approccio pre-IPO si determinano discount for lack of marketability più ampi, generalmente attorno al 45% (mentre dai restricted stock si ricavano sconti per man-canza di mercato in un intervallo del 30%-35%).11

Fasi dell’IPO valuation e struttura del “documento di valutazione”

La valutazione di un’offerta pubblica iniziale è, come noto, un processo che si riannette alla rela-tiva due diligence ed è di fatto af data allo sponsor/global coordinator, che la esegue anche alla luce delle

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informazioni composite rinvenienti dal Qmat, dal memorandum sul sistema di controllo, dal piano in-dustriale pre-money, dagli incontri diretti con il top management, con l’area piani cazione e nanza ecc.

Più esattamente la stima del valore dell’IPO è at-testata mediante il documento di valutazione (ex Istru-zioni al regolamento dei mercati organizzati e ge-stiti da Borsa Italiana S.p.A.).

Le fasi della valutazione economica si allocano temporalmente tra il pitch (istante iniziale in cui il va-lutatore non dispone ancora delle informazioni ne-cessarie, che giungono a partire dal primo incontro con i vertici della società) e la formazione del vero e proprio prezzo (esito del pricing: da qualche settimana a qualche giorno prima della quotazione).12

In pratica si passa da una valutazione convenzio-nale preliminare, o di massima, a una valutazione eventualmente ritoccata (revised), quindi alla stima del fair value dei titoli, per giungere in ne prima alla de nizione del range e poi al prezzo di riferimento (de-terminando allora il prezzo nale offerto).

Essendo l’attività valutativa una sorta di work in progress e ne tuning, tra la fase del pitch e quella del pricing si collocano delle fasi intermedie, essenzial-mente date dalla due diligence vera e propria e dal pre-marketing.Si noti che già nella fase del pitch ogni intermediario o merchant bank avanza assieme alla propria candi-datura (con la quale prospetta le proprie expertise/skill in tema di corporate nance, capital market e rese-arch indipendente) una valutazione preliminare del capitale aziendale, per forza di cose ancora non precisissima, precedendo la due diligence e le attività riconnesse. Invero, capita spesso che il soggetto – che sarà incaricato di una siffatta delicata attività estimativa – sia prescelto dalla società che intende quotarsi sui mercati di borsa proprio in forza della stima preventiva proposta (che condiziona in modo poco razionale la selezione); la rassicurazione in or-dine allo svolgimento di una puntuale ed ef cace attività periodica di reserch successiva all’IPO è un

altro elemento cui le società possono dimostrarsi particolarmente sensibili.

Solo con la fase della due diligence – che consen-te di entrare meglio nei meandri del funzionamento e della struttura del sistema aziendale e del business svolto – il soggetto valutatore formalmente incaricato può determinare, almeno in prima approssimazione, il fair value dei titoli azionari. In questa fase non si ap-plica né l’IPO discount, né all’opposto maggiorazioni per bene ci economico- nanziari ingiusti cabili con la situazione pre-money (che anzi prevede un maggio-re leverage per sostenere lo sviluppo), né altre retti che (che saranno) sollecitate dal pre-marketing. Sicché si può redigere, alla luce delle accortezze suddette, il sopra menzionato documento di valutazione.

Venendo alla fase del pre-marketing, dopo avere indagato le aspettative e l’interessamento de-gli investitori istituzionali, il soggetto intermediario de nisce il range (indicativo) di prezzo e il prezzo massimo. Tali elementi informativi sono fonda-mentali per la successiva raccolta effettiva degli ordini di sottoscrizione e/o acquisto delle azioni.

In ne, dopo che la società ha pubblicato il prospet-to informativo, sono da realizzare un roadshow e una campagna promozionale a spettro ampio (marketing dell’offerta pubblica iniziale). È a questo punto che gli investitori fanno pervenire la propria manifestazione di interesse (domanda) nei confronti dei titoli ogget-to dell’offerta, a un certo prezzo. In considerazione dei quantitativi domandati e dei correlativi prezzi, provenienti dagli investitori istituzionali (bookbuilding) e retail, viene ultimata la formazione del prezzo na-le di offerta, di modo che lo stesso risulti appetibile/confacente – per i titoli non piazzati subito – anche nell’aftermarket (cioè nell’immediato dopo-quotazione).

Come accennato dianzi, le istruzioni al Rego-lamento di borsa (riaggiornato al giugno 2012) prevedono – segnatamente nella sezione IA.1.1 re-lativa alla documentazione da produrre a seguito della presentazione della domanda di ammissione

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alla quotazione per emittente non avente strumenti nanziari ammessi alla quotazione in Borsa Italia-

na – l’elaborazione di un documento formale a supporto della valutazione. Tale previsione riguarda il caso in cui l’emittente intenda avvalersi della procedura di ammissione di cui all’art. 2.4.3 del Regolamento medesimo: si tratta della procedura di ammissione alla quotazione nel caso di concomitante offerta -nalizzata alla diffusione degli strumenti nanziari.

Si rimarca che nel documento elaborato a sup-porto della valutazione (nella prassi: documento di valutazione) deve essere riportato lo sviluppo del metodo di attualizzazione dei ussi economico/ -nanziari e del metodo dei multipli di mercato.Lo sponsor indica altresì l’intervallo (range) nell’am-bito del quale si vuole posizionare il prezzo di of-ferta delle azioni; qualora questa documentazione non sia disponibile alla data della presentazione della domanda di ammissione, lo sponsor può tra-smetterla successivamente (comunque entro 20 giorni di borsa aperta dopo la presentazione della domanda) anche omettendo l’indicazione del ran-ge di cui sopra (tale elemento dovrà essere comu-nicato entro 10 giorni di borsa aperta prima della data prevista per il provvedimento di admission).Inoltre, pure alla domanda di ammissione di quote di fondi chiusi, tra i certi cati oggetto dell’ammis-sione deve essere allegata, fra gli altri – sempre nel caso di emittente che intenda avvalersi della proce-dura di cui all’art. 2.4.3 del Regolamento –, l’indi-cazione dell’intervallo di valori dentro al quale si

vuole fermare il prezzo di offerta delle quote e do-vrà all’uopo essere fornito l’apposito “documento elaborato a supporto della valutazione”.13

Il documento in parola compendia il processo esti-mativo condotto e le risultanze ottenute (più spesso in forma di intervallo/forchetta) dal soggetto valutatore, le quali sono naturalmente ben suscettibili di modi -che o miglioramenti nelle fasi successive (tuning).

Non è predeterminato un modello standard e vincolante di documento, tuttavia esso deve offrire alcuni elementi minimali. Più precisamente è bene che la relazione de qua contenga: un resoconto iniziale sintetico (executive summary), seguito da dove-rose premesse in ordine all’attività valutativa in ge-nerale, ossia dalle guideline del caso; la descrizione del quadro strategico di riferimento (mercato di riferi-mento ed equity story); assumption metodologiche e svi-luppo applicativo, con impiego della tecnica dei us-si economico- nanziari attualizzati (o capitalizzati) e dei multipli di mercato; considerazioni conclusive.Si noti che l’adozione, caldeggiata, della sensitivity analisys, grazie all’associazione di diversi scenari probabilistici al valore dei value driver o dei funda-mental impiegati nei modelli anzidetti (per esempio: il costo del capitale, il tasso di crescita, il tempo, il novero delle società incluse nel campione delle comparabili, l’earning ecc.), può consentire una più agevole determinazione delle risultanze presenta-bili in forma di range (da esporre magari mediante un’acconcia matrice sinottica dei valori).

1M. Massari, Finanza aziendale. Valutazione, McGraw-Hill, Milano, 1998, pagg. 185-186. Similmente E. Perrini, E-valuation, Mc-Graw-Hill, Milano, 2000, pag. 97. M. Massari-L. Zanetti, Valutazione finanziaria, McGraw-Hill, Milano, 2004.2G. Ferrari-C. Iannuzzi, “L’evoluzione delle metodologie valutative adottate ai fini del certificato peritale”, in La valutazione delle aziende, n. 8, marzo 1998.3Va da sé che, in definitiva, il prezzo finale dei titoli ammessi alla quotazione è determinato dal mercato borsistico.4Su tutti G. Zanda-M. Lacchini-T. Onesti, La valutazione delle aziende, Giappichelli, Torino, 2005.5Si rimanda all’ampia letteratura incentrata sul filone della valutazione delle aziende: AA.VV., Principi e metodi nella valutazione di aziende e di partecipazioni societarie, Egea, Milano, 1989; G. Brugger, “La valutazione economica delle aziende: tre metodi a confron-to”, in Finanza, Marketing e Produzione, n. 3/1985; M. Cattaneo, “Alcune osservazioni sulla scelta della formula di valutazione del capitale economico”, in Finanza, Marketing e Produzione, n. 1/1990; V. Coda, Introduzione alle valutazioni dei capitali economici d’impresa, Giuffrè, Milano, 1963; T. Copeland-T. Koller-J. Murrin, Valuation Measuring and Managing the Value of Companies, John Wiley and Sons, New York, 1990; L. Guatri, Trattato sulla valutazione delle aziende, Egea, Milano, 1998; L. Guatri-M. Bini, Nuovo trattato sulla valutazione delle aziende, Ube, Milano, 2005; P.M. Jovenitti, Valore dell’impresa, Pirola, Milano, 1990; M. Massari, Il valore di mercato delle aziende, Giuffrè, Milano, 1984; Id., Finanza aziendale, McGraw-Hill, Milano, 1998; L. Olivotto, La valutazione economica dell’impresa, Cedam, Padova, 1983; P. Onida, Le dimensioni del capitale di impresa, Giuffrè, Milano, 1944; O. Paganelli, Valutazione delle aziende, Utet, Torino, 1990; J. Viel-O. Bredt-M. Renard, La valutazione delle aziende e delle parti d’azienda, Etas, Milano, 1991; G. Zanda-M. Lacchini-

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T. Onesti, La valutazione delle aziende, cit. Nel recente documento presentato dal Gruppo di Studio costituito in seno a SIDREA (Società Italiana dei Docenti di Ragioneria e di Economia Aziendale) sull’“Oggetto”, presentato al Convegno “La ragioneria e l’economia aziendale: dinamiche evolutive e prospettive di cambiamento”, Siena, 8-9 maggio 2008, è chiarito che «le aziende, di ogni natura e dimensione, rappresentano unità del sistema economico generale predisposte e strutturate tipicamente per lo svol-gimento dei processi finalizzati alla produzione economica» e «l’azienda è sempre un fatto di produzione economica» (pag. 10).6Borsa Italiana, Guida alla valutazione, 2004, pagg. 49-50.7PWC, TS Insights: Key considerations in preparing and executing an IPO, January 2010.8C.M. Daily-T.S. Certo-D. R. Dalton-R. Roengpitya, “IPO Underpricing: A Meta-Analysis and Research Synthesis”, in Entrepre-neurship Theory and Practice, n. 27/2003, pagg. 271-296; J. Ritter-I. Welch, “A Review of IPO Activity, Pricing, and Allocations”, in Journal of Finance, n. 57/2002, pagg. 1795-1828.9Tra gli altri B.K. Pearson, “Y2K Marketability Discounts as Reflected in IPOs”, in CPA Expert, September 2001, pagg. 1-5; P. Saunders Jr., “Marketability Discounts and Risk in Transactions Prior to Initial Public Offerings”, in Business Valuation Review, December 2000, pagg. 186-195.10Un’ulteriore modalità di studio è denominata “tax court evidence”: si tratta di studi sulle decisioni delle Commissioni tributarie statunitensi.11Si può riscontrare un range molto ampio di sconti – a seconda delle varie transazioni – dal 90% fino al −10% (in questo caso si trat-terebbe di un premio). Si veda anche il sito web http://www.bvmarketdata.com, per studi empirici sul Lack of Marketability Discount. In tema di determinazione degli sconti relativi alle partecipazioni: T. Onesti, Sconti di minoranza e sconti di liquidità, Cedam, Padova, 2002. Accurate statistiche sui pre-IPO discount (basate su 543 operazioni tra il 1980 e il 2000) sono determinate da Emory (si veda http://www.emoryco.com/valuation-studies.shtml). La formula invalsa, in buona sostanza, è la seguente:

pre-IPO discount = [1 − price pre-IPO/price IPO]%12Già nel prospetto informativo possono essere indicati un range di prezzo e un prezzo massimo, oppure può non essere data alcuna informazione sul prezzo. In tale caso vi provvederanno successivi avvisi pubblici. I prezzi diffusi mediante i prospetti informativi di solito non sono vincolanti; ciò non toglie che in casi specifici possano esserlo.13Tali elementi informativi e documentali relativi al prezzo d’offerta, qualora non disponibili alla data della presentazione della domanda di ammissione, potranno essere forniti successivamente, non appena divengano disponibili.

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MEDIAZIONE TRIBUTARIAdi B. Santacroce, L. Lodoli

Il nuovo istituto della mediazione tributaria permette di affrontare, per via stragiudiziale, una potenziale controversia tributaria di valore non superiore a 20.000 euro, evitando le lungaggini e gli oneri del contenzioso. Si tratta di un’importante riforma, introdotta dal D.L. n. 98/2011 e arricchita da chiari-menti e istruzioni operative da parte dell’Agenzia delle Entrate (Circolari 9, 22 e 33 del 2012), che questo testo analizza con particolare riferimento a:

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Aspettative di valoree tecniche negozialinella conclusione di un dealDiverse aspettative e opinioni del compratore e del venditore sul valore dell’oggetto di scambio; soluzioni creative per allargare i benefici acquisibili dalle parti; applicazione di metodi di valutazione d’azienda generalmente accettati; forme di flessibilità sul prezzo o sui diritti assegnati

Francesco BavagnoliDottore commercialista e revisore contabile,Professore Aggregato e Ricercatorein materie economico-aziendali, Università del Piemonte Orientale

Nel presente lavoro si esaminano alcuni aspetti tecnici e psicologico-negoziali che assumono rilievo quando il professionista si trova ad assistere un cliente nella negoziazione e nella conclusione di un deal, ovvero di un accordo tra un proprietario interessato a cedere e un in-vestitore che sia interessato ad acquisire in tutto o in parte un’azienda o una partecipazione.

La transazione può prevedere:– il trasferimento di una partecipazione (stock deal)

o di un complesso di beni e rapporti organizzati nella forma di un’azienda (asset deal);

– il pagamento di un prezzo in denaro (denaro contro carta) o in titoli (carta contro carta);

– la cessazione dell’attività del cedente o l’inizio di una comune iniziativa imprenditoriale con l’acquirente.

Giuridicamente le operazioni di M&A Mergers and Acquisitions (fusioni e acquisizioni) possono in con-creto essere strutturate in varie forme:– cessione di azienda o di partecipazioni;– conferimento di azienda o partecipazioni;– fusioni e scissioni;– scambio di partecipazioni ecc.Quando l’operazione comporta una modi ca della proprietà dell’azienda con l’ingresso di un nuovo soggetto, è comunque sempre previsto un prezzo o una valorizzazione dei contributi delle diverse parti

coinvolte per regolare i diritti che gli stessi avranno dopo la chiusura dell’affare.Rispetto al prezzo di trasferimento, ciascuna delle parti arriva al tavolo negoziale con diverse aspetta-tive e percezioni che possono essere rappresentate come nella gura 1.

Il venditore può avere in mente:– un prezzo sperato nella migliore delle ipotesi, ov-

vero qualora non abbia fretta di vendere e riesca a trovare il migliore compratore possibile: quello che abbia un interesse speciale per l’azienda o partecipazione (perché, per esempio, si combi-nano in modo ottimale con delle attività già in possesso del compratore) e urgenza di acquistare l’azienda per procedere con i propri piani indu-striali (prezzo sperato dal venditore, nell’esempio 12);

– un’idea del prezzo più elevato che il compratore è disposto a spendere, in altri termini il prezzo

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limite di quest’ultimo, che ovviamente può non coincidere con il reale prezzo limite del compra-tore, a meno che per qualche ragione il vendito-re lo conosca (prezzo limite del compratore secondo il venditore, nell’esempio 10);

– un prezzo ritenuto equo dal venditore per en-trambe le parti (prezzo ritenuto equo dal venditore, nell’esempio 8);

– il prezzo al di sotto del quale il venditore non si spingerà in nessuna situazione e al quale si avvi-cinerà tanto più ha necessità di liquidare in tem-pi stretti i suoi interessi (prezzo limite del venditore, nell’esempio 6).

Parimenti il compratore può avere in mente:– un prezzo sperato nella migliore delle ipotesi,

ovvero qualora non abbia fretta di comprare e riesca a trovare il migliore venditore possibile: quello che abbia particolare urgenza di vende-re l’azienda, per esempio per nanziare un’altra attività o pagare dei debiti o ancora per non do-vere più sostenere le perdite generate dall’attività (prezzo sperato dal compratore, nell’esempio 6);

– un’idea del prezzo più basso che il venditore è disposto ad accettare, in altri termini il prezzo limite di quest’ultimo, che ovviamente può non

coincidere con il reale prezzo limite del vendito-re, a meno che per qualche ragione il compra-tore lo conosca (prezzo limite del venditore secondo il compratore, nell’esempio 8);

– un prezzo ritenuto equo dal compratore per en-trambe le parti (prezzo ritenuto equo dal compratore, nell’esempio 7);

– il prezzo al di sopra del quale il compratore non è disposto in nessun caso a chiudere l’accordo per l’acquisto dell’azienda e al quale si avvicine-rà tanto più l’azienda ha per lui un valore spe-ciale e tanto più ha urgenza di procedere con l’acquisto per dare corso ai suoi piani di sviluppo (prezzo limite del compratore, nell’esempio 9).

Tali percezioni e valori de niscono lo spazio di ne-goziazione all’interno del quale ci si muove, insie-me a tutti gli altri elementi che possono entrare nel-la de nizione degli accordi che regolano i rapporti presenti e futuri tra le parti (deal design):– lo sviluppo di un progetto imprenditoriale co-

mune o comunque la permanenza delle risorse chiave nell’azienda anche dopo la vendita maga-ri con dei contratti di consulenza esterna;

– dei meccanismi di retti ca del prezzo o dei diritti attribuiti alle parti in dipendenza dei risultati futuri;

– le condizioni di regolamento del prezzo (termini

Figura 1 – PERCEZIONI E ASPETTATIVE DELLE PARTI SUL PREZZO

Prezzo sperato dal venditore

12 10

9 8

8

7 6

6

Prezzo limite del compratore

Prezzo limite del compratore

secondo il venditore

Prezzo limite del venditore

secondo il compratore

Prezzo ritenuto equo dal venditore

Prezzo ritenuto equo

dal compratore

Prezzo sperato dal compratore

Prezzo limite del venditore

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di pagamento, eventuali interessi sulle dilazioni) e le garanzie;

– bene ci scambiati su altri fronti tra le parti (altre operazioni di M&A o singoli contratti) ecc.

Le aspettative delle parti, peraltro, non sono necessariamente ordinate come nello schema sopra esposto:– il prezzo limite del compratore, secondo il vendi-

tore, potrebbe essere più basso del reale prezzo limite del compratore e non più alto;

– il prezzo limite del compratore (suo limite mas-simo per procedere all’acquisto, nell’esempio 9) potrebbe essere più basso del prezzo limite del venditore (suo limite minimo per procedere alla vendita, nell’esempio 6) e così via.

Inoltre le percezioni di entrambe le parti possono cambiare nel tempo, per effetto, tra l’altro, della riduzione dell’asimmetria informativa tipica per cui il compratore non conosce l’azienda target bene quanto il venditore (i latini dicevano a tale riguar-do: «caveat emptor», stia attento il compratore). Per ridurre questo gap, spesso il compratore commissio-na a un professionista di ducia un’attività investi-gativa (due diligence) per avere un quadro quanto più completo possibile dell’attività della target, delle sue prospettive di sviluppo future, dei rischi che posso-no pesare sul fronte competitivo, scale, giuslavori-stico, ambientale, previdenziale ecc.Altri fattori che potrebbero cambiare le aspettative sono:– la sopravvenuta urgenza a chiudere l’accordo

per il compratore (perché, per esempio, emer-gono favorevoli opportunità di business) o per il venditore (per necessità nanziarie o volontà di terminare l’attività);

– il mutamento dello scenario economico (per esempio, investimenti immobiliari che si inca-gliano via via nel tempo diventando di sempre più dif cile realizzazione);

– l’intervento di professionisti o di altri attori chia-ve che in uenzano le percezioni del valore equo o degli altri valori di cui sopra di una o dell’altra delle parti.

Secondo un primo orientamento, riguardo alle aspettative del compratore e del venditore sul prezzo, si tende a focalizzare l’attenzione sul prezzo limite del compratore e sul prezzo limite del vendi-tore, come se questi fossero gli unici elementi che, in ultima analisi, de niscono lo spazio di negozia-zione e guidano la trattativa.Il prezzo sperato dalle parti costituisce la base di par-tenza, la prima offerta, da cui le parti si distanziano via via che la trattativa procede, mercanteggiando le reciproche posizioni con vantaggio del venditore o del compratore a seconda della minore o maggiore abilità negoziale dei due e della maggiore o minore urgenza o interesse a chiudere la trattativa.Se il prezzo limite del compratore è più alto del prezzo limite del venditore, vi è spazio di trattativa.Si veda la gura 2.

Nel caso opposto, di prezzo limite del venditore superiore al prezzo limite del compratore, non c’è spazio per alcuna trattativa.Si veda la gura 3.In questo semplicistico quadro, fattore fondamen-tale diventa la pazienza delle due parti al tavolo ne-goziale, che risulta premiante tanto più l’altra parte è invece impaziente di concludere.Si veda la gura 4.

Figura 2 – SPAZIO DI NEGOZIAZIONE

9 Spazio di negoziazione

6

Prezzo limite del

compratore

Prezzo limite del venditore

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Più si va avanti nella trattativa, più la parte che sa attendere senza fare concessioni ottiene dei bene ci.

Questo modo di vedere le cose, in ottica win-lose (una parte vince e una parte perde), porta ad approc-ciare la trattativa con l’intento sostanziale di prevari-care la controparte con strategie di vario tipo, quali:– puntare in alto (overshooting): lasciare un ampio

margine di trattativa, in modo da poter fare poi, se necessario, alcune concessioni (con le parole di Kissinger: «L’ef cacia al tavolo nego-

ziale dipende dal sovradimensionamento delle richieste iniziali»);

– indugiare al sì e fare concessioni solo a fronte di altre concessioni, per esempio proporre di chiudere al prezzo pari alla media semplice delle proposte delle parti;

– procurarsi un alleato di prestigio, magari un consulen-te esterno e in apparenza indipendente;

– good cop bad cop (poliziotto buono e poliziotto cat-tivo), dividersi i ruoli con un altro attore chiave della propria parte assumendo il ruolo uno più conciliante e l’altro più duro, magari ponendo dei vincoli formali (“io vorrei concludere, ma non ho l’autorizzazione per farlo”);

– fare credere alla controparte di avere l’accordo e poi negarlo;– fare perdere la pazienza alla controparte, manifestan-

do imperturbabilità rispetto alle nuove proposte avanzate o rigettandole senza abbozzare opzioni alternative;

– il pozzo è asciutto: equivale a dichiarare alla con-troparte che non si possono fare ulteriori con-cessioni;

– tollerare il fallimento, ovvero contemplare (svilup-pando opzioni strategiche altenative) la possibi-lità di non raggiungere un accordo ed eventual-mente abbandonare la trattativa per un po’ di tempo per spingere la controparte a scendere a più miti consigli;

– mettere in concorrenza più compratori (per il venditore) o cercare un venditore alternativo, in altri termini una delle parti (magari bluffando) dichiara di avere ricevuto delle proposte migliori;

– divide et impera: nel caso in cui la controparte sia rappresentata da più persone, si esercita un’azio-ne diversa nei confronti di uno o più membri dei suoi, in modo da scompaginare il fronte avversario e determinarne un più favorevole orientamento;

– pressare o imporre scadenze, la tecnica cosiddetta dell’ultimatum;

– esprimere apprezzamenti personali, con darsi, consentire lo sfogo delle emozioni della controparte e contempo-raneamente non concedere nulla sul piano ne-goziale (tattica del “pugno di ferro nel guanto di velluto”);

Figura 4 – ANDAMENTO DELLA NEGOZIAZIONE TRA UN VENDITORE (SELLER) PAZIENTE E UN COMPRATORE (BUYER) IMPAZIENTE

TimeEnding time

PriceBuyer curve= Impatient

Selli

ng

pric

e

Seller curve= Patient

Figura 3 – ASSENZA DI SPAZIO DI NEGOZIAZIONE

6

8

Prezzo limite del

compratore

Prezzo limite del venditore

Spazio di negoziazione

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– chiedere l’ultima offerta alla controparte, in modo da ottenere un ulteriore rialzo o ribasso a proprio favore senza dovere concedere nulla;

– pallone sonda: attraverso un portavoce credibile ma non uf ciale, una delle parti espone all’altra parte la propria soluzione, per veri care senza danni la reazione avversaria;

– fattore sorpresa: consiste nel sorprendere l’avversa-rio con una proposta inattesa;

– fare l’avvocato del diavolo, evidenziare le conse-guenze negative che si avrebbero se le proposte della controparte fossero accolte (per esempio, per spingere il venditore al ribasso, paventare il rischio di dovere svalutare il valore della par-tecipazione, cosiddetto “rischio di impairment”, in quanto il valore richiesto dal venditore non è giusti cato dalle attese di utili futuri generati dalla partecipazione);

– manipolare il quadro di riferimento (framework): invoca-re, per esempio, l’applicazione di criteri obiettivi di valutazione di azienda spingendo strumental-mente al rialzo o al ribasso tutti gli input valutativi. Il compratore sosterrà che si debbono applicare tassi di sconto più elevati ai ussi futuri, in quanto particolarmente volatili, incerti e rischiosi, oppure che le attività patrimoniali non hanno un reale va-lore, in quanto non sono collocabili sul mercato, oppure che si devono applicare i multipli di mer-cato più bassi in considerazione delle speci cità dell’azienda (in senso diametralmente opposto argomenterà ovviamente il venditore);

– raccogliere informazioni per scoprire i punti deboli e, in particolare, il prezzo limite della controparte.

La rappresentazione della negoziazione sotto forma di un semplice “braccio di ferro”, dove chi è più forte o più abile vince e l’altro perde, appare tuttavia limitativa. Ciò in quanto le negoziazioni di successo sono quelle che lasciano entrambe le parti soddisfatte e chi negozia è normalmente propenso a condurre la trattativa secondo criteri di equità e correttezza.Anzi, qualora una delle due parti percepisca un atteggiamento o un comportamento non corretto

sull’altro fronte, questo può portare a conseguenze distruttive, quali:– la volontà di causare dei danni all’avversario come

ne a se stesso (atteggiamento noto in psicologia come schadenfreude, la felicità per le disgrazie altrui) eventualmente anche a costo di subire delle con-seguenze negative in prima persona;1

– la ricerca di vendetta o di prevaricazione;– la chiusura infruttuosa della trattativa, pur in

presenza di un ampio spazio di negoziazione.

Nell’approccio alla trattativa occorre inoltre avere sempre in mente il maggiore o minore interes-se delle parti che negoziano ad arrivare a un accor-do, interesse particolarmente elevato qualora la ven-dita sia solo parziale e il deal sia il punto di partenza per un comune progetto di sviluppo imprenditoriale.A tale proposito, spesso chi negozia vive una sor-ta di dilemma: tenere una linea dura o una linea morbida? Chi negozia seguendo la linea morbida vuole evitare i con itti personali ed è più propenso a fare concessioni per giungere a un accordo paci- co. Spesso, però, alla ne resta con l’amara sen-

sazione di essere sfruttato. Chi segue la linea dura invece considera ogni situazione come una lotta per affermare la propria forza di volontà, in cui ha la meglio chi fa richieste eccessive e non concede nulla all’avversario.Questa persona vuole vincere, ma spesso alla ne riceverà una risposta altrettanto dura, esaurirà i propri mezzi e i rapporti con l’altra parte risulte-ranno compromessi.

Esiste una terza via per interpretare la ne-goziazione, sviluppata dalla scuola di Harvard e conosciuta come negoziazione per principi (principled negotiation). La loso a di fondo di tale approccio ne-goziale consiste nell’arrivare a una decisione circa questioni controverse (come, per esempio, il prezzo di un deal) non attraverso un semplice processo di mercanteggiamento, quanto piuttosto sulla base di un’analisi scrupolosa e attenta del contenuto ogget-tivo degli interessi coinvolti, in un’ottica di reciproco ascolto e apertura. Questo approccio può aiutare a

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maturare soluzioni creative che aumentino il monte dei bene ci da spartire, rispetto a una situazione di mera lotta all’accaparramento della fetta più grande della torta sul tavolo negoziale.2

Si veda la gura 5.In sostanza, la negoziazione per principi ha come obiettivo anche quello di ampliare lo spazio nego-ziale delle soluzioni e opzioni in ottica di reciproco vantaggio per le parti. Idealmente, mercanteggian-do (bargaining) si possono solo dividere dei bene ci prestabiliti (cosiddetto “gioco a somma zero”: quello che guadagna una parte è perso dall’altra). Con la negoziazione per principi si apre uno spazio ulterio-re (principled negotiation zone) dove aumentano i van-taggi economici e di altro tipo per tutti i partecipanti.

Le condizioni necessarie, secondo la teoria di Harvard, per una trattativa di successo sono le seguenti:– people (persone): separare le persone dai problemi;– interests (interessi): concentrare l’attenzione sugli

interessi coinvolti;– options (opzioni): sviluppare insieme alla con-

troparte alternative che siano vantaggiose per entrambi;

– objective criteria (criteri oggettivi): tutti gli interes-

sati devono accordarsi su criteri oggettivi trami-te i quali risolvere le divergenze di vedute.

Approfondiamo brevemente i quattro punti sopra menzionati nello speci co contesto di una negoziazio-ne sul prezzo di trasferimento di una partecipazione o di un’azienda, che ri ette tra l’altro le diverse percezioni del reale valore dell’azienda dei diversi attori coinvolti.

Separare le persone dai problemi

Chi negozia tende a essere emotivamente coinvolto rispetto alle proprie posizioni e a prendere come at-tacchi personali le posizioni in senso difforme della controparte. Separare le persone dai problemi con-sente alle parti di negoziare senza compromettere il loro rapporto. Inoltre aiuta a ottenere una visione più chiara del problema sostanziale, che in questo ambito può riguardare:– differenti percezioni;– emozioni;– difetti di comunicazione.Le differenti percezioni tra le parti in materia di va-lore e prezzo equo a cui concludere l’accordo sono state in precedenza raf gurate. La ragione principa-le per cui non può esservi un unico valore di riferi-mento per una partecipazione o un’azienda è che non esiste un valore intrinseco di un’azienda che pre-scinda da chi la gestisce.In particolare, il valore di un’azienda è tanto più alto, quanto più chi la gestisce:– ha già nel proprio portafoglio delle attività che

si prestano a essere collegate con le attività target realizzando dei bene ci aggiuntivi (sinergie);

– possiede delle competenze distintive nella ge-stione di quel business;

– ha una migliore comprensione del funziona-mento del settore di riferimento e una migliore capacità di prevederne l’evoluzione;

– ha un accesso privilegiato a risorse scarse, qua-li talenti individuali, capitale, relazioni con gli apparati governativi, i clienti e i fornitori.3

Una comunicazione ef cace in questo senso dovrebbe mirare a discutere i punti di vista delle di-

Figura 5 – SPAZIO NEGOZIALE: DAL MERCANTEGGIAMENTO (BARGAINING ZONE) ALLA NEGOZIAZIONE PER PRINCIPI (PRINCIPLED NEGOTIATION ZONE)

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verse parti e a chiarire quali siano i presupposti del valore dell’azienda per ciascuno dei partecipanti, in altri termini i piani di sviluppo futuro dell’azien-da in ipotesi stand alone (l’azienda non cambia l’as-setto proprietario e il management, ovvero sta da sola) e in ipotesi di conclusione dell’accordo.L’esame dei piani di sviluppo futuri può aiutare a mettere in luce dei punti speci ci (accordi di colla-borazione futura, clausole contrattuali che regolino i rapporti con clienti o fornitori) che consentono di ridurre il gap tra le differenti percezioni del valore rendendo più facile il raggiungimento dell’accordo.

Concentrare l’attenzione sugli interessi coinvolti

Buoni accordi si concentrano sugli interessi delle par-ti e non sulle loro posizioni. Come spiegano Fisher e Ury, «La tua posizione è qualcosa che hai deciso. I tuoi interessi sono ciò che ti hanno fatto decidere» (pag. 42). La de nizione di un problema in termini di posizioni signi ca che almeno una parte perde la negoziazione. Quando un problema viene de nito in termini di interessi sottostanti, è spesso possibile trovare una soluzione che soddis entrambe le parti.Il primo passo è pertanto quello di individuare gli interessi in gioco e discuterne apertamente insie-me. Nell’ambito di una trattativa per la cessione di azienda, gli interessi sono di tipo economico, ma non solo. Vi possono essere anche:– la vocazione rispetto a una professione o a un

settore nel quale operare;– il senso di responsabilità verso la comunità di

appartenenza;– la ricerca di prestigio e di riconoscimento sociale.È importante identi care le diverse leve motivazio-nali degli attori chiave per potere misurare gli im-patti delle singole soluzioni sugli interessi coinvolti.

Sviluppare insieme alla controparte alternative che siano vantaggiose per entrambi

Fisher e Ury identi cano quattro ostacoli alla genera-

zione di opzioni creative per risolvere un problema:– le parti possono decidere prematuramente di

perseguire un’opzione e quindi non riescono a considerare le alternative;

– le parti possono essere intente esclusivamente a ridurre lo spettro delle opzioni disponibili per trovare l’unica risposta ammissibile;

– le parti possono de nire il problema in termini win-lose, assumendo che le uniche opzioni siano la vitto-ria di una parte e la scon tta dell’altra;

– una parte può decidere che è compito dell’altra trovare una soluzione al problema.

Gli autori suggeriscono anche quattro tecni-che per superare questi ostacoli e generare opzioni creative. In primo luogo è importante separare il processo della generazione delle possibili soluzioni dalla fase di valutazione. Le parti dovrebbero in-contrarsi in un’atmosfera informale e fare un brain-storming (letteralmente “tempesta dei cervelli”) per generare il più ampio numero di potenziali soluzio-ni al problema. Proposte bizzarre e creative sono ben accette. Sessioni di brainstorming possono essere rese più creative e produttive incoraggiando le parti a porsi, in momenti diversi, in quattro diverse atti-tudini mentali con le seguenti nalità:– de nire il problema;– analizzare il problema;– considerare gli approcci generali alla soluzione;– considerare le azioni speci che.Le parti possono proporre soluzioni parziali del problema. Solo dopo che una serie di proposte è stata fatta, il gruppo dovrebbe passare a valutare le singole idee. La valutazione dovrebbe iniziare con le proposte più promettenti.I partecipanti possono evitare di cadere in un ap-proccio win-lose concentrandosi sugli interessi con-divisi. Quando gli interessi delle parti sono diversi, devono cercare opzioni in cui queste differenze possono essere rese compatibili o complementari.

La chiave per conciliare i diversi interessi è di cercare gli elementi che sono di basso costo per una parte e di elevato bene cio per l’altra parte e viceversa.

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In concreto, qualora vi sia una rilevante divergenza di vedute sul valore dell’azienda o della partecipa-zione oggetto di trasferimento, la generazione di opzioni creative può avvalersi di tutti gli strumenti comunemente utilizzati nell’architettura contrat-tuale di un’operazione (deal design).

A tale ne sono particolarmente indicati gli strumenti che introducono degli elementi di essi-bilità rispetto alla semplice de nizione in un unico momento del prezzo di trasferimento:– emissione di un prestito obbligazionario sottoscrit-

to dal compratore e convertibile a sua discrezione;– attribuzione al compratore di diritti alla sotto-

scrizione del capitale a prezzo predeterminato (warrant);

– meccanismi di riconoscimento al venditore di una quota parte degli utili futuri (clausole di ear-nout) al raggiungimento di risultati adeguati o – simmetricamente – retti che di prezzo a favore del compratore nel caso di mancato raggiungi-mento dei risultati (claw back);

– meccanismi di retti ca dei diritti (percentuale di partecipazione al capitale) in funzione dei risul-tati futuri;

– meccanismi che consentono al compratore di ave-re un rendimento minimo in caso di successiva cessione della partecipazione (clausole di ratchet);4

– previsione di dilazioni di pagamento o garanzie a tutela del venditore;

– assunzione di impegni da parte del venditore a garantire la permanenza delle risorse chiave in azienda post operazione.

Tutti gli interessati devono accordarsi su criteri oggettivi tramite i quali risolvere le divergenze di vedute

Quando gli interessi sono diametralmente oppo-sti, un’altra via è la ricerca e condivisione di criteri oggettivi per risolvere le divergenze (come in pre-cedenza chiarito, permettere alle differenze di ve-dute sul valore di innescare una guerra basata sulla forza di volontà spesso porta a compromettere le

relazioni tra le parti e dif cilmente produce buoni accordi).

In tale senso la negoziazione può essere in-dirizzata e condotta secondo dei criteri di cor-rettezza procedurale e/o sostanziale:– ci si accorda su una procedura per de nire il

prezzo giusto: si può, per esempio, incaricare un professionista terzo indipendente che esprima un valore economico “oggettivo” di mercato che prescinda dagli elementi di valore speciale per le parti coinvolte e che operi in contradditorio con esperti di ducia del compratore e del venditore;

– ci si accorda su una metodologia per valutare l’azienda tra quelle generalmente conosciute e applicate in campo professionale: metodi assolu-ti, metodi relativi, metodi misti e così via.

In questo secondo caso, la discussione si sposta dal va-lore agli input che entrano nel processo di valutazione.

Qualora si decida di applicare il metodo di attualizzazione dei ussi di cassa (discounted cash ow, DCF), si dovrà concordare su numerosi elementi:– i ussi di cassa attesi per i prossimi 3-5 anni;– la rischiosità associata ai ussi, tenendo conto

della percezione del rischio implicita nei valori di Borsa di società af ni o comparabili;

– il criterio di stima del valore terminale dopo i 3-5 anni di previsione analitica;

– il tasso di crescita a lungo termine.

La condivisione delle stime di cui sopra non è di sicuro semplice, specialmente quando il com-pratore non conosce bene il settore e l’azienda target (ovvero vi è una pronunciata asimmetria informativa) e non ha elementi suf cienti per validare le previsio-ni future a essa relative.In tali casi, per ovviare a questo inconveniente, il compratore può chiedere l’apporto di uno o più esperti indipendenti (di estrazione tecnica o econo-mico- nanziaria) per veri care le previsioni e stima-re in modo corretto la rischiosità dell’investimento.Alternativamente ci si può orientare verso meto-

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di valutativi che comportino la condivisione di un minore numero di input. Per esempio, utilizzando il metodo dei multipli si potrà:– de nire il multiplo da applicare (per esempio,

EV/EBITDA = 7);– dare incarico a un professionista indipendente di

de nire gli input necessari alla valutazione:I. l’EBITDA consuntivo dell’ultimo anno (even-tualmente normalizzato) o, in alternativa, un EBI-TDA atteso da piano;II. la posizione nanziaria netta (indebitamento -nanziario al netto delle disponibilità di cassa) alla data di riferimento della valutazione.

Gli input valutativi da condividere sono quindi decisamente di meno rispetto a quelli ne-cessari per applicare i metodi assoluti. Alcuni di questi input inoltre risultano dalla contabilità in modo certo (la PFN) o con qualche margine di

discrezionalità dovuto alle possibili politiche di bi-lancio (EBITDA).In questo scenario, le discussioni più accese riguar-deranno:– quale sia il multiplo corretto da applicare (riferito

a società quotate comparabili o implicito in tran-sazioni concluse fuori Borsa);

– la normalizzazione dell’EBITDA (quali siano i costi e i ricavi da non considerare per avere una misura dell’EBITDA espressiva della reale capa-cità reddituale dell’azienda);

– nel caso in cui si faccia riferimento a un EBI-TDA previsto, le assunzioni sottostanti alle previsioni, specialmente se chi ha elaborato la previsione ha assunto una crescita in disconti-nuità rispetto al recente passato e in un quadro congiunturale non positivo (generale o speci co di settore).

1Interessanti ricerche si sono occupate di quanto, in determinate situazioni, gli individui siano disposti a spendere per diminuire il reddito altrui (D.J. Zizzo-A. Oswald, “Are People Willing to Pay to Reduce Others’ Income?”, in Annales d’Economie et de Statistique, n. 63/64, 2001; R.H Frank, Luxury Fever: Why Money Fails to Satisfy in an Era of Excess, Princeton University Press, 1999).2Cfr. il classico R. Fisher-W. Ury, Getting to Yes: Negotiating Agreement Without Giving In, New York, 1983.3T. Koller-R. Dobbs-B. Huyett, Value. The Four Cornerstones of Corporate Finance, Wiley, 2011.4Dall’inglese ratchet: nottolino, parte di un ingranaggio meccanico che consente il movimento in un’unica direzione. La clausola in discorso è spesso prevista negli accordi con fondi di private equity che acquisiscono delle quote di minoranza in società non quotate. Al momento della realizzazione dell’investimento (liquidity event, evento di liquidità), tramite la quotazione in Borsa della società o la cessione a un altro investitore del capitale, è garantito un rendimento prestabilito al fondo, sottraendo una quota di rendimento al socio di maggioranza, qualora il prezzo di realizzo non sia sufficiente a fare conseguire al fondo il rendimento prestabilito.

Tabella 1 – POCHI ELEMENTI NECESSARI SU CUI CONCORDARE PER DEFINIRE UN PREZZO APPLICANDO I MULTIPLI

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I patti di famiglia:un fallimento annunciatoL’inutile strumento giuridico e il difficile soddisfacimento dei legittimari non assegnatari 1

Giuseppe RebeccaDottore commercialista,Studio Rebecca & Associati di Vicenza

Il presente contributo esamina le caratteristiche, gli effetti, gli aspetti critici e le motivazioni dello scarso successo dei patti di famiglia, ol-tre a presentarne alcune prospettive di riforma.

I patti di famiglia sono uno strumento giuridico relativamente nuovo, introdotto in Italia dal 2006 (legge 55 del 14 febbraio 2006, entrata in vigore il 16 marzo 2006) su istanze del mondo imprendito-riale. L’obiettivo primario era quello di consentire agli imprenditori un passaggio generazionale delle loro aziende facile e senza troppi intoppi.

Il patto di famiglia nasce con riferimento a raccomandazione della Comunità Europea (n. 94/1069 del 7 dicembre 1994). Come sempre e a mag-gior ragione quando è tirata in ballo l’Europa, è interes-sante leggere il contenuto di quanto richiamato. Ora, al di là della vetustà delle raccomandazioni, appunto del 1994 (per 12 anni tutti se ne erano dimenticati, sal-vo qualche Commissione di studio, come per esempio quella del Prof. Rescigno), la stessa è per lo più indiriz-zata a dare indicazioni di agevolazioni scali. E queste, in parte, erano state già da tempo recepite dall’Italia.Manca ancora invero l’esenzione, anche solo par-ziale, della plus su cessione di azienda da impren-ditori over 55 anni e le agevolazioni per il reinvesti-mento della plus, come pure le agevolazioni per la cessione dell’azienda ai dipendenti, previsioni che la raccomandazione fa.Quanto al patto di famiglia, l’unico richiamo pos-sibile è solo allo spirito generale, quello cioè di age-volare il passaggio delle aziende, nulla più.

La successiva comunicazione europea (n. 98/C 93/2002) è entrata più nello speci co, a tutela dell’im-presa e del suo passaggio, sempre però senza tocca-re la questione delle quote di legittima.La situazione di base è nota e da tutti condivisa; quando le aziende passano ai gli, molto spesso si vengono a creare problematiche di vario tipo e ben oltre metà delle aziende non supera il primo passag-gio, mentre solo il 15% supera il secondo. Questo ac-cade in Italia, ma non solo da noi. Le statistiche note danno più o meno gli stessi risultati anche all’estero.

Ciononostante, il patto di famiglia non decolla tra gli imprenditori, un po’ per caratteristiche proprie degli imprenditori stessi, un po’ per le problematiche che in ogni caso ancora sussistono e un po’ anche per-ché, in de nitiva, pare non tutelare suf cientemente i legittimari non assegnatari. Escluso che essi, parteci-panti all’atto, rinuncino a quanto loro spettante (non si vede poi perché la stessa norma – art. 768-quater, com-ma 2 – preveda tale ipotesi, tra l’altro unico caso possi-bile in materia di diritto successivo, quasi come fosse il caso normale o comunque il più frequente in presenza di aziende), si possono venire a creare delle situazioni critiche, ai ni della riduzione e/o collazione, quando la liquidazione dei legittimari è fatta direttamente dal disponente, oppure in presenza di donazioni a terzi.Parrebbero problematiche non risolvibili, a oggi.

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Quali le cause di questo insuccesso dell’istituto dei patti di famiglia? Molteplici e di diversa origine. Si possono riassumere in due macro-aspetti:– da una parte, la complicata applicazione pratica;– dall’altra e soprattutto, si potrebbe dire, il manca-

to coordinamento con la riforma del diritto suc-cessorio. Senza una variazione di questo, il patto di famiglia non potrà mai sicuramente decollare.

Il difficile passaggio

Le dif coltà nel passaggio sono spesso imputate alle norme o meglio alla carenza di norme che agevoli-no appunto questo passaggio.Si tratta di una tesi diffusa, ma a nostro avviso erra-ta e comunque in ogni caso fuorviante. È paci co come una buona legge possa agevolare il passaggio generazionale, ma da sola non costituisce certa-mente elemento suf ciente. Il momento del pas-saggio di un’azienda è caratterizzato da così tante problematiche, di tutti i tipi, che l’aspetto normati-vo a noi pare il meno importante di tutti.Ai gli è richiesto desiderio di subentrare, sono ri-chiesti entusiasmo, competenza, carattere e, in caso di fratelli, predisposizione all’accordo o comunque una divisione di competenze e, se possibile, anche del patrimonio. E qui si tocca un tasto che potrebbe essere il problema di base.

Il patto di famiglia ha rappresentato, come si è detto, il primo tentativo senza successo,2 in Italia, di agevolare giuridicamente il passaggio delle aziende ai gli, o meglio, a un glio. Da un punto di vista scale, la questione era già da tempo stata affrontata in modo adeguato, così da non costituire più un problema.Si può ritenere «condivisibile l’idea che l’intervento del legislatore in materie afferenti il diritto dell’im-presa debba sottrarsi alla retorica della liberazione delle energie naturali dell’impresa da vincoli legisla-tivi che ne restringono la libertà (secondo lo slogan “meno diritto, più mercato”), non possiamo allora condividere il messaggio “promozionale” che ha sa-lutato l’introduzione del patto di famiglia nel 2006, in base al quale la novella avrebbe avuto il pregio di

liberare le imprese dai vincoli del diritto ereditario italiano offrendo loro uno strumento con cui libera-mente programmare i destini dell’impresa in previ-sione della morte dell’odierno imprenditore».3

La normativa sul patto di famiglia è complicata e co-munque senza la revisione del diritto successorio rima-ne di impossibile applicazione pratica.

È di tutta evidenza come l’estensore della norma non si sia mai posto nei panni delle parti possibil-mente interessate a un patto di famiglia. Allora il dibattito dovrà vertere sul diritto ereditario e sulla sua possibile riforma. Se ne parlerà più avanti.

La struttura del patto di famiglia

Generalità

Con il patto di famiglia si è consentito all’imprendi-tore, o al titolare di partecipazioni (si ritiene di controllo), di cedere in vita la propria azienda o le partecipazioni a un glio e ciò con effetto immediato (salvo condizio-ni particolari, pure possibili) con obbligo del glio di procedere alla liquidazione, eventualmente anche differita, degli altri eredi chiamati appunto “non assegnatari”.

Già in questa previsione sta tutto l’insuccesso dell’istituto e non poteva che essere così. Da quan-to risulta, pochi sono i patti di famiglia stipulati in Italia dal 2006. Abbiamo avuto occasione di analiz-zarne qualcuno ed era più un tentativo di soluzione che una soluzione vera e propria. Intanto si cede-vano solo in parte le partecipazioni della società di famiglia, e solo per la nuda proprietà, trattenendo quindi quota parte in usufrutto e poi, in via del tut-to cautelativa, era stata inserita anche una clausola che dava al proponente la possibilità di recesso.

Tenuto conto dell’andamento aziendale, ove entro un periodo di qualche anno successivo alla stipula del patto i risultati economici non fossero stati suf cientemente remunerativi, era stata previ-sta la revoca del patto; i risultati erano legati a una serie speci ca di indici e di parametri, non supe-rando i quali il disponente si era riservato appunto

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di “riprendere” le partecipazioni.Non pare essere questo lo spirito dei patti di famiglia.

Le disposizioni

L’imprenditore (titolare di azienda oppure di quote di controllo di società) può assegnare l’azienda o le partecipazioni a uno o più eredi, escludendo gli altri legittimari, tra cui in ogni caso il coniuge.Così prevedono gli artt. dal 768-bis al 768-octies cod. civ., introdotti dalla legge 55/2006.La norma così precisa: «è patto di famiglia il con-tratto con cui, compatibilmente con le disposizioni in materia di impresa familiare e nel rispetto delle differenti tipologie societarie, l’imprenditore tra-sferisce, in tutto o in parte, l’azienda, e il titolare di partecipazioni societarie trasferisce, in tutto o in parte, le proprie quote, a uno o più discendenti».Il disponente può così attribuire, in vita, l’azienda e/o le partecipazioni a uno o più legittimari, po-nendo a carico di questi la liquidazione degli altri legittimari, i cosiddetti legittimari non assegnatari.

È così consentita, per la prima volta in Italia, una speci ca deroga al divieto dei patti successori.La struttura, come anticipato, non ha avuto alcun successo. Ne analizziamo qualche aspetto proble-matico, per poi, nelle conclusioni, riprendere varie ipotesi di riforma.I punti controversi ancora oggi sono i seguenti:1. A chi compete effettuare la liquidazione ai legit-timari non assegnatari? Può sostituirsi il disponente al bene ciario?2. I beni oggetto di patto di famiglia sono da ricom-prendere o no ai ni del calcolo di eventuali lesioni della quota dei legittimari?3. Quali effetti su donazioni precedenti?4. Altri aspetti.Li analizziamo speci camente.

A chi compete effettuare la liquidazione ai legittimari non assegnatari?

Nel patto di famiglia il disponente destina l’azienda

a un erede legittimario. A chi spetterà liquidare gli eredi legittimari non assegnatari dell’azienda? La norma prevede che ciò spetti all’assegnatario: potrà essere sostituito dal disponente?Taluno sostiene la tesi della possibilità di liquidare i legittimari non assegnatari da parte del disponente, facendo riferimento alla relazione al disegno di leg-ge, che appunto ciò prevede. Però, ove questo fosse l’orientamento, la problematica della valutazione dell’azienda e/o delle azioni o quote societarie che, ai ni del patto famiglia, deve essere fatta con rife-rimento alla data della stipula dello stesso patto di famiglia (e nemmeno potrebbe essere diversamen-te) mal si concilia con questa impostazione.

Il procedimento proposto dal patto di fami-glia (i legittimari non assegnatari, se non rinunciano, sono liquidati dei loro diritti) funziona bene solo con liquidazione da parte del bene ciario; l’istituto non potrà invero mai funzionare, da un punto di vista pratico, con la liquidazione da parte del disponente, anche se in realtà così si sta facendo nella pratica. E ciò non per gli effetti del momento, ma per quanto potrà accadere all’apertura della successione.Relativamente alla compensazione, così prescrive la norma (art. 768-quater, comma 2, cod. civ.): «Gli assegnatari dell’azienda o delle partecipazioni so-cietarie devono liquidare gli altri partecipanti al contratto, ove questi non vi rinunzino in tutto o in parte, con il pagamento di una somma corrispon-dente al valore delle quote previste dagli artt. 536 e segg.; i contraenti possono convenire che la liquida-zione, in tutto o in parte, avvenga in natura».

Ne consegue che dapprima si dovrà deter-minare il valore dei beni oggetto della liquida-zione (azienda e/o partecipazioni), dopodiché si dovranno calcolare le correlate quote spettanti ai legittimari per legge e in ne determinare le moda-lità di liquidazione (denaro e/o natura). Paci ca-mente la liquidazione è obbligatoria, e non poteva che essere così, anche se ne è consentita, e a dire il vero non se ne comprende appieno la ragione, la rinuncia in tutto o in parte da parte dei legittimari.

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La norma prevede che la liquidazione ai le-gittimari non assegnatari spetti agli assegnata-ri. Questa ipotesi è stata subito criticata dalla dot-trina, poiché nella realtà il bene ciario potrebbe non possedere risorse suf cienti per provvedere alla compensazione. L’assegnatario, anche per la preve-dibile giovane età, di norma ha un patrimonio li-mitato. È ben vero che gli è comunque concesso un determinato lasso di tempo per reperire cespiti da monetizzare o somme di danaro da destinare alla liquidazione dei non bene ciati dal patto, risorse che potrebbe anche trovare nella stessa azienda og-getto del patto, ma ciò, al di là dell’eventuale impo-verimento dell’azienda, non sarà certamente facile.

Un problema in più sono le garanzie che l’ere-de assegnatario può dare agli altri eredi in caso di differimento dell’onere. Che garanzie potrà avere l’erede non assegnatario, in sede di sottoscrizione del patto? In ne, da non sottovalutare è l’aspetto temporale. Il legittimario assegnatario viene di nor-ma in possesso dell’azienda (in tutto o in parte) dal momento della stipulazione del patto, salvo accordi diversi; gli altri eredi potrebbero trovarsi nella con-dizione di dovere attendere. Appare evidente che potrebbero crearsi situazioni non sostenibili, pro-prio per l’impossibilità pratica di raffrontare valori temporali molto diversi tra loro e con rendimento differito, dei quali non si è tenuto conto, salvo espli-cito accordo in tale senso. Troppa diseguaglianza per i legittimari non assegnatari.

Si ritiene che la compensazione possa esse-re effettuata anche dal disponente stesso attra-verso il cosiddetto patto verticale, opposto allo sche-ma orizzontale nel quale l’imprenditore attribuisce l’azienda o le partecipazioni a un discendente e sarà poi quest’ultimo a compensare i legittimari. In estrema sintesi, nel patto verticale l’imprenditore assegna l’azienda o le partecipazioni societarie a un discendente e provvede a liquidare gli altri. E questo è proprio il caso, da taluni peraltro ritenuto anche non corretto, che, come si è visto, può dare origine a problematiche di assegnazione agli eredi.

Nel caso in cui la liquidazione fosse effettua-ta direttamente dal disponente, non necessa-riamente si dovrà veri care la corrispondenza tra il valore del credito vantato dagli eredi verso l’asse-gnatario dell’azienda e il valore del bene trasferito dal disponente stesso. Secondo alcuni, pertanto, ove tale valore (al netto di quanto attribuito ai legittimari non assegnatari) dovesse superare la quota di legittima sull’azienda o sulle partecipazioni societarie, l’ecce-denza andrebbe trattata come liberalità e come tale soggetta comunque a collazione e all’azione di ridu-zione, al momento dell’apertura della successione. In caso contrario, ne potrebbe derivare un pregiudizio per l’assegnatario; quest’ultimo, però, ove dovesse ri-tenere lesi i suoi diritti, molto semplicemente avreb-be potuto non partecipare all’atto, astenendosi dalla richiesta sottoscrizione. In base alla norma attuale, infatti, è richiesta la sottoscrizione contemporanea da parte di tutti i legittimari e anche del coniuge, per la costituzione del patto di famiglia. Nel caso in cui invece il valore liquidato dovesse essere inferiore rispet-to alla quota di legittima sull’azienda o sulle parteci-pazioni societarie, il partecipante non assegnatario, accettando di ricevere quanto datogli, manifesterà così in modo del tutto inequivocabile l’intenzione di rinunciare alla liquidazione della sua quota di legit-tima relativamente (e limitatamente) all’oggetto del patto di famiglia.

In conclusione, i partecipanti non assegna-tari dell’impresa, ex art. 768-quater, comma 2, cod. civ., avranno diritto sul valore di questi beni a una quota pari a quella individuata, in misura diversa a seconda della qualità e del numero dei legittimari, dagli artt. 537 e segg. cod. civ. La base di calcolo per determinare il valore delle quote riservate ai non assegnatari dell’azienda è rappresentata esclu-sivamente dai beni attribuiti ex pacto.

Pertanto, una volta stabilito il valore dell’im-presa, valore che appunto si considera quale para-metro per la liquidazione della legittima spettante ai non assegnatari, al momento della stipula del patto di famiglia, i mutamenti di valore dell’azien-

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da successivamente intervenuti non potranno ov-viamente acquisire rilievo alcuno.I partecipanti non bene ciati dal patto avranno così diritto a tale liquidazione. La base di calcolo è coin-cidente con la massa patrimoniale costituita dai soli beni alienati tramite il patto e il valore della massa è da intendersi ancorato, anche nei confronti di le-gittimari sopravvenuti, alla valutazione effettuata dai contraenti al momento della stipula del patto stesso.Ciò mal si concilia ovviamente con ipotesi di future azioni di riduzione, essendo necessariamente diver-sa la base di riferimento temporale.

Beni ricompresi o no ai fini del calcolo di eventuali lesioni delle quote dei legittimari non assegnatari

Nel patto di famiglia rileva il valore attribuito in contratto (art. 768-quater, comma 3, cod. civ.). Non si applica-no, infatti, le norme sulla determinazione del valore al tempo dell’aperta successione ex artt. 747-750 cod. civ.Questo valore (che può riguardare l’azienda o le partecipazioni sociali), necessario per effettuare i conteggi ai ni della liquidazione delle quote, è liberamente determinabile dalle parti al momento stesso della stipula del patto.

È indubbiamente consigliabile fare predi-sporre anche una perizia da un esperto, meglio se asseverata, da allegare al patto stesso. Ciò po-trebbe rivelarsi utile in futuro, anche nell’eventuali-tà in cui successivamente alla stipula dovessero tra l’altro sopravvenire dei legittimari.Nello stesso patto di famiglia è certamente op-portuno menzionare il criterio di determinazione del valore adottato,4 prestando anche attenzione all’eventuale opportunità di attribuire un premio di maggioranza alle partecipazioni oggetto di trasferi-mento che dovesse integrare in capo all’assegnata-rio il controllo dell’impresa.

Per speci ca previsione di legge, quanto abbia-no ricevuto i contraenti del patto di famiglia non è soggetto a collazione, né a riduzione (art. 768-quater,

ultimo comma, cod. civ.). Si veri ca così il de nitivo passaggio della proprietà dell’azienda, o delle par-tecipazioni sociali, in capo all’assegnatario, essendo appunto precluso l’assoggettamento alle azioni di riduzione e collazione di tale attribuzione.Si ritiene altresì che non sia peraltro soggetto a colla-zione e riduzione nemmeno quanto i legittimari non assegnatari abbiano eventualmente ricevuto ex art. 768-quater, comma 3, cod. civ., indipendentemente dal fatto che le assegnazioni siano avvenute tramite il patto di famiglia o per mezzo di successivi con-tratti collegati. Anche questi soggetti, infatti, sono quali cabili come contraenti, le cui attribuzioni pa-trimoniali non sono dunque soggette a collazione e riduzione (art. 768-quater, ultimo comma, cod. civ.).

Ma il patto di famiglia non è esentato dalla riunione ttizia.5

La questione di base è se il trasferimento dell’azien-da con il patto di famiglia debba o meno essere considerato per determinare la quota di cui il testa-tore può disporre. Ove la risposta fosse affermativa, nel caso speci co analizzato in note non ci sarebbe alcuna lesione di legittima, come visto sopra. Ci sono due teorie in merito, contrapposte.Secondo la prima teoria, l’esclusione da riduzione e colla-zione, prevista dall’art. 768-quater, ultimo comma, cod. civ., non determina l’irrilevanza del trasferimento ai ni della riunione ttizia e dell’imputazione ex se, sal-vo dispensa. E allora non si vede perché riconoscere al bene ciario anche l’ulteriore vantaggio costituito dall’esenzione legale dall’imputazione ex se, salvo di-spensa da parte del disponente, e dalla riunione ttizia. Ovviamente, nell’imputare ex se, rispetto al patrimonio del disponente, il valore del bene produttivo trasferito, si dovrà detrarre quanto eventualmente corrisposto ai legittimari ex art. 768-quater, comma 2, cod. civ.Secondo l’altra teoria, invece, il bene produttivo non può essere preso in considerazione ai ni della riunione t-tizia e non deve essere imputato alla quota di legittima del disponente.6 Secondo i sostenitori di questa tesi, ove così non fosse, la riunione ttizia avrebbe a oggetto beni valutati in modo disomogeneo, in base a diversi criteri temporali: i beni trasferiti con il patto in funzione del

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valore attribuito al momento della stipula, mentre gli altri beni, quelli trasferiti durante la vita del de cuius, con strumenti diversi e il relictum dovrebbe essere valutato al momento dell’apertura della successione.La tesi trova sostegno nell’art. 564, comma 5, cod. civ., in forza del quale «ogni cosa che, secondo le regole contenute nel capo II del titolo IV di questo libro, è esente da collazione è pure esente da imputa-zione». Si può così ritenere, in base a questo princi-pio, che l’esenzione da collazione, contenuta nell’art. 768-bis, comma 4, cod. civ., determini anche l’esen-zione da imputazione ex se. «Siccome l’imputazione delle liberalità in conto presuppone la riunione t-tizia alla massa, ciò che è esente da imputazione è escluso anche dalla riunione ttizia e, viceversa, ciò che è oggetto dell’una è incluso anche nell’altra». Ne consegue così l’inapplicabilità della riunione ttizia.È stato però obiettato che l’esenzione dalla collazio-ne, prevista dalla disciplina sul patto di famiglia, non si trova, come prevede l’ultimo comma dell’art. 564 cod. civ., nel Capo II del Titolo IV del Libro II cod. civ., il quale non contiene alcun richiamo al nuovo Capo V-bis, introdotto dalla legge 55/2006. Ne deri-va che il bene produttivo, trasferito attraverso patto di famiglia, sarebbe oggetto di imputazione ex se e di conseguenza di riunione ttizia, pur essendo escluso da collazione, in quanto, nel sistema delineato dalla legge 55/2006, sarebbe in vigore una regola diversa da quella per cui all’esenzione da collazione si ac-compagna quella da imputazione ex se.Volendo confutare questa conclusione, non var-rebbe l’obiezione secondo la quale l’art. 768-qua-ter, comma 3, cod. civ. prevede l’imputazione ex se esclusivamente con riguardo alle attribuzioni fatte in favore degli ipotetici legittimari non assegnatari del bene produttivo. Il motivo per cui la legge non dispone tale effetto in relazione all’azienda stareb-be, infatti, nella possibilità che il bene ciario non assuma la quali ca di legittimario, pur dovendo es-sere un discendente del disponente.7

L’istituto della riunione ttizia e quello dell’im-putazione ex se hanno a oggetto, per espressa previ-sione di legge, i beni di cui il defunto abbia disposto in

vita a titolo di donazione. L’adesione all’una o all’altra teoria riguardante l’applicazione dell’imputazione ex se e della riunione ttizia al bene produttivo trasferito con patto di famiglia sembra così fortemente correla-ta all’interpretazione che si dà alla natura stessa del pat-to di famiglia. Qualora si ritenga trattarsi di donazione modale, nella quale il donante-disponente trasferisce al donatario-bene ciario un bene, gravando costui dell’onere di corrispondere agli ipotetici legittimari la quota loro spettante, in base all’art. 768-quater, comma 1, cod. civ.,8 ne consegue che il trasferimento tramite patto di famiglia ne è esentato (art. 768-quater, comma 4, cod. civ.); si pone come effetto tipico della donazio-ne. Tuttavia, appare più persuasiva l’opinione secondo la quale il patto di famiglia non sia un negozio liberale; ne consegue quindi che l’oggetto del patto non deve essere riunito ttiziamente al patrimonio del disponen-te, in quanto l’art. 536 cod. civ. non può trovare appli-cazione, vista la natura non liberale del patto.9

Quali effetti sulle precedenti donazioni del disponente

Il patto di famiglia può avere effetti anche su prece-denti donazioni fatte in vita.Non pare facile, in questo caso, trovare una solu-zione condivisibile.10

Altri aspetti

Ma ci sono anche altri aspetti che hanno concorso al fallimento dei patti di famiglia.

Uno riguarda le imposte; la norma prevede l’esclusione da imposte per i trasferimenti attuati in seguito al patto di famiglia (per le partecipazioni, solo ove si passi il controllo) con l’obbligo di prose-guire nell’attività per almeno 5 anni.Ma le questioni sorgono per i legittimari non asse-gnatari. Come trattarli scalmente?Inquadriamo i tre casi che possono veri carsi:a. la liquidazione è a loro effettuata dal disponente;b. la liquidazione è a loro effettuata dal bene ciario;c. rinuncia a quanto loro spettante.

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La norma non prevede nulla di speci co, per quan-to riguarda il trattamento scale dei legittimari non assegnatari. Ci si dovrà quindi riferire ai principi generali, anche se le soluzioni che si possono pro-porre non trovano uniformità di vedute.Nel primo caso (liquidazione degli assegnatari non legittimari da parte del disponente), si applicano le imposte sulle successioni e donazioni, con l’appli-cazione delle imposte ipotecarie e catastali se del caso.Nel secondo caso (liquidazione da parte del bene cia-rio), tenuto conto che non si tratta più di donazione, ma dell’adempimento di un modus, dovrebbe ap-plicarsi l’imposta di registro con aliquota del 3%, trattandosi di «atti diversi da quelli indicati aventi a oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale». Nessuna franchigia quindi. Anche qui applicazione eventuale delle imposte ipotecarie e catastali.Per quanto concerne il terzo caso (rinuncia), l’imposta di registro è dovuta in misura ssa.

In ne, sempre per restare in ambito tribu-tario, esaminiamo le problematiche relativamente all’eventuale scioglimento del patto.Sono state avanzate due ipotesi, ambedue valide.Qualora lo scioglimento del patto abbia effetto ex tunc e quindi sia “eliminato” con ef cacia retroat-tiva, non ci sarebbe alcuna imposta; «il ritrasferi-mento non sarebbe oggetto dello scioglimento, ma conseguenza dello stesso».Qualora invece si consideri lo scioglimento come ritrasferimento, si applicherà l’imposta sulle dona-zioni. E questa tesi è quella che pare prevalere al momento.L’art. 28 del D.P.R. 131/1986 sottopone all’impo-sta la risoluzione del contratto e la stessa Agenzia delle Entrate, come la Cassazione, si è pronuncia-te per la tassazione dei trasferimenti per effetto di rimborso dei crediti per mutuo dissenso.11

Le prospettive di riforma

Le attuali norme sui patti di famiglia non facilitano i passaggi generazionali, questo è paci co.

Ecco perché AIDAF (Associazione italiana delle aziende familiari), gruppi di pressione e qualche parlamentare si sono fatti portavoce di nuove nor-me, che potrebbero agevolare appunto il passaggio.Sintetizziamo queste proposte, senza esimerci dall’osservare come per lo più si tratti, in de niti-va, di rendere possibile una maggiore disparità di trattamento tra i gli. Può darsi che ciò, in effetti, risponda a criteri sostanziali e validi, legati al mo-derno mondo dell’economia, ma resta il fatto che così aumenta la disparità di trattamento.

È ben vero che siamo di fronte a tanti fallimen-ti di passaggi generazionali, ma non per questo, a nostro avviso, regole meno tutelanti degli interessi di tutti gli eredi possono farne cambiare l’esito. Al-tre sono le motivazioni dei fallimenti dei passaggi di aziende, o comunque non solo i vincoli normativi, che peraltro rispondono a un criterio di equità che ci ha accompagnato per decenni.Il “decreto sviluppo” (2011) inizialmente prevede-va una possibilità di ripartire la quota di legittima tra i gli in quote non uguali tra loro, ma uguali solo per metà, restando quindi disponibile appun-to metà della quota loro pertoccante, da assegnare però tra loro stessi.Prevedeva anche che la compensazione ai legitti-mari non assegnatari fosse effettuata dal disponen-te e la possibilità di differimento del trasferimento dell’azienda anche dopo la stessa morte.All’ultimo momento tutto è stato espunto. Presu-mibilmente perché gli argomenti non erano stati oggetto di adeguato e doveroso – aggiungiamo noi – approfondimento.Alla Camera dei deputati, in ne, è stata presentata la proposta di legge 4463 datata 28 giugno 2011.12 Tale proposta prevede l’intervento obbligatorio dei legittimari non assegnatari anche successivamente al contratto, non necessariamente alla costituzione dello stesso, e che la liquidazione può essere effet-tuata dal disponente.Abbiamo poi la proposta di riforma del Notariato, che però non tocca la questione della quota di le-gittima.13

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1Relazione dell’autore alla tavola rotonda del 3 maggio 2012 a Schio (VI), avente il titolo Il passaggio generazionale – L’imprenditore di fronte alla scelta tra i figli e il mercato, nell’ambito della manifestazione Festival Città Impresa di maggio 2012 promossa, tra gli altri, da Fondazione Giacomo Rumor – Centro Produttività Veneto, Demotech, Confartigianato, Apindustria, Confindustria e CNA di Vicenza.2Dello stesso avviso G. Zanchi, Il patto di famiglia, Quaderno n. 2, Centro Studi De Poli, 2011.3G. Zanchi, op. cit.4Nella comunicazione della Commissione Europea n. 98/C 93/02 è stato ricordato che, «in caso di donazione all’interno della fa-miglia, il problema è rappresentato dalla mancanza di un prezzo di mercato e dalle numerose stime da cui dipende la valutazione. D’altra parte la valutazione dell’impresa sarà comparata con quella di altri beni dati ai membri della famiglia come anticipi della successione. Perciò la valutazione dell’impresa dovrà soprattutto tenere conto dei rischi specifici e delle potenziali debolezze di un’impresa rispetto agli altri beni trasferiti, come gli immobili, il cui valore tende a essere meno volatile».5Un caso pratico molto semplice, tratto da C. Cicala, “Patto di famiglia e riunione fittizia del bene produttivo”, in Fam., pers., succ., 2009, pag. 622, può agevolare la comprensione della problematica: padre vedovo con due figli trasferisce con patto di famiglia l’azien-da che vale 30 a un figlio, il quale a sua volta liquida il fratello con 10; al decesso il patrimonio relictum è di 30, attribuito al fratello non assegnatario dell’azienda. L’autore si è chiesto: può il fratello assegnatario dell’azienda proporre azione di riduzione per lesione di legittima (nel caso 1/3 di 30 ex art. 537, comma 2, cod. civ.)? Il fratello che ha ereditato ben può eccepire che è necessario riunire quanto già trasferito con il patto di famiglia (azienda di 30, anche se si tratta di valore attribuito con un riferimento temporale diverso), per cui non c’è lesione di legittima (in realtà può effettuarsi il seguente conteggio: 30 – 10 + 30 = 50; quota di legittima 1/3, pari a 16,334; il fratello assegnatario ha percepito 30 – 10 = 20 e quindi non ci sarebbe lesione, rapportato a una quota di 16,334).6Nell’esempio formulato in nota, evidente sarebbe il vantaggio per la posizione dell’assegnatario, il quale avrebbe così diritto a una porzione di legittima pari a 10, determinata sul valore del relictum, senza riunire fittiziamente quanto disposto con patto di famiglia.7Sotto questo profilo il patto di famiglia può essere accostato al testamento, che non è considerato un atto di liberalità, in quanto l’istituzione di erede può non solo non arrecare alcun vantaggio patrimoniale al chiamato, «ma risolversi addirittura in un grave pregiudizio per costui»: così U. Carnevali, “Donazione. Diritto civile”, in Enc. giur., Roma, 1989, XII, 1.8C. Caccavale, op. cit., pag. 586; idem, “Appunti per uno studio sul patto di famiglia: profili strutturali e funzionali della fattispecie”, in Notariato, 2006, pag. 304; Merlo, “Appunti sul patto di famiglia”, in Società, 2007, pag. 947.9Nel caso più sopra illustrato l’assegnatario, pur avendo già ottenuto con il patto un beneficio netto pari a 20, valore dell’azienda detratta la somma corrisposta al fratello, potrebbe agire vittoriosamente in riduzione attraverso la disposizione testamentaria che lo esclude dalla successione del padre. Avrà, infatti, diritto a ottenere la propria quota di legittima, pari a 10, calcolata sul relictum di valore pari a 30, senza che si debba tenere conto di quanto già assegnatogli con il patto. Questa è la tesi espressa da Cicala: può sembrare spinta, ma è sostenuta da valide ragioni argomentative, anche se non equitative.10Un’esemplificazione: imprenditore vedovo con due figli effettua in vita due donazioni a estranei alla sua famiglia; successivamente stipula il patto di famiglia con i suoi due figli, attribuendo l’azienda, che vale 21, a uno dei figli con l’obbligo di dare all’altro fratello 7, corrispondente alla quota di legittima. All’apertura della successione si rivalutano le due donazioni fatte in vita, imputabili a 10 e 9. In ipotesi che non vi siano altri beni né passività, si deve calcolare il patrimonio del de cuius ex art. 556 cod. civ. Questo il calcolo: patrimonio compressivo = 40 [(10 + 9) valutati oggi + (21 valutati al momento dell’atto)]; legittima = 40 : 3 = 13,33 (art. 537, comma 2, cod. civ.); quota attribuita all’assegnatario dell’azienda, al netto del pagamento al fratello = 14 (21 – 7); lesione di legittima per l’altro fratello = 6,67 (13,33 – 7). Il primo figlio è stato interamente soddisfatto, non così il secondo, il quale avrà come unica possibilità quella di agire nei confronti del beneficiario della seconda donazione, non perciò – si ritiene – contro il fratello. Potrà richiedere il reintegro fino al totale della quota di 14 (10 + 9 = 19; 19 – 13,33 = 5,67), resterà insoddisfatto per 1 (6,67 – 5,67).11L’Agenzia delle Entrate, con ris. n. 329/E del 14 novembre 2007, in riferimento a una fattispecie di risoluzione di contratto di donazione per mutuo dissenso, ha osservato che, ai fini delle imposte indirette, l’atto di risoluzione consensuale è da considerarsi un autonomo negozio dispositivo mediante il quale il bene oggetto di donazione viene trasferito a titolo gratuito al donante e che come tale deve essere sottoposto all’imposta sulle successioni e donazioni. Nello stesso senso la Suprema Corte ha stabilito che, «in tema di imposta di registro, il contratto con il quale viene convenuta la risoluzione del contratto di vendita con riserva di proprietà di un immobile, comportando la retrocessione del bene oggetto del contratto risolto (cosa che per la legge di registro si verifica anche nella ipotesi di vendita con riserva di proprietà, dato che tale normativa considera detta vendita immediatamente produttiva dell’effetto traslativo), deve essere assoggettato all’imposta proporzionale da applicarsi con l’aliquota prevista per i trasferimenti immobiliari» (Cass. 21 maggio 1998, n. 5075).12Proposta di legge Marinello, Alfano e altri, Modifiche al codice civile in materia di disciplina del patto di famiglia.13La riforma dei diritti riservati ai legittimari, 2011.

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I reati tributarie la legge antiriciclaggioIl D.Lgs. 74/2000, modificato con la legge 148/2011, in relazione agli obblighi di segnalazione di cui all’art. 41 del D.Lgs. 231/2007

Gian Gaetano BellaviaDottore commercialistain Milano

Il D.Lgs. 74/2000 è stato modificato dal D.L. 138/2011, convertito nella legge 148/2011, che ha abbassato notevolmente le precedenti soglie di punibilità, ha abrogato le ipotesi attenuate e ha ampliato i termini di pre-scrizione. Tale nuova struttura normativa di repressione delle condotte illecite tributarie deve essere attentamente valutata dai professionisti che assistono i contribuenti nelle attività contabili e dichiarative per la necessaria valutazione delle eventuali segnalazioni di operazioni so-spette di cui all’art. 41 del D.Lgs. 231/2007, la cui omissione non soltanto potrebbe generare rilevanti sanzioni amministrative, ma potrebbe anche essere punto di partenza per una valutazione sulla condotta del profes-sionista ai fini di un’eventuale attività di favoreggiamento o di concorso con il proprio cliente nella commissione dell’illecito tributario.

La prima affermazione dell’Ufficio italiano dei cambi

Il tema in questione n dal 2006 è sempre stato un grosso tabù per dottori commercialisti, ragionieri commercialisti ed esperti contabili, a causa di un inspiegabile ri uto concettuale a considerare le condotte tributarie illecite quali penalmente rile-vanti, tali anche ai ni della legge antiriciclaggio nella prima versione rivolta ai professionisti a se-guito dell’entrata in vigore della II direttiva comu-nitaria del 2001, recepita dal nostro legislatore nel 2004 e di fatto entrata in vigore nell’aprile 2006. In quell’anno l’Uf cio italiano dei cambi, all’epoca deputato a intrattenere gli operatori sulla questione, in sede di chiarimenti al provvedimento connesso all’entrata in vigore della normativa del 24 febbraio 2006, con propria nota del 21 giugno 2006, affer-mò che le condotte illecite di cui al D.Lgs. 74/2000 ben potevano ovviamente rientrare fra le casistiche

oggetto di segnalazione di operazione sospetta.Apriti cielo!

La prima posizione della dottrina penalistica Vi fu immediatamente una sommossa da parte di detti professionisti che quotidianamente assistevano i contri-buenti nell’adempimento degli obblighi tributari, allo scopo supportati dalla più quali cata dottrina penali-stica, la quale da subito, confortata da taluna giurispru-denza di cassazione sul reato di riciclaggio, ma senza approfondire le tematiche comunitarie della normati-va di contrasto, quindi basandosi esclusivamente sulla concettualizzazione della normativa di repressione e di talune interpretazioni nel tempo risultate, statuì che, se vi poteva essere un reato tributario rilevante ai ni della normativa antiriciclaggio, questo non poteva che esse-re quello relativo all’art. 8 del D.Lgs. 74/2000 (fatture emesse per operazioni inesistenti) e quindi andava fatta una profonda distinzione tra i reati scali che compor-

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tavano un effettivo ingresso di denaro (tipo la cartiera che vende fatture false o chi froda l’erario con false di-chiarazioni IVA ottenendo rimborsi indebiti) e quelle condotte dichiarative infedeli da cui consegue un mero risparmio d’imposta. Ciò in quanto l’interpretazione affrettata dell’epoca, esclusivamente ancorata all’espe-rienza della normativa di repressione e per nulla orien-tata a valutare la ratio della normativa di contrasto, per argomentare di riciclaggio doveva avere di fronte a sé la mazzetta di denaro contante che si muove sui tavoli dei vari operatori: solo quello, per quei primi interpreti, poteva essere considerato riciclaggio: cioè, per esempio, il provento del delitto di rapina, il sacco pieno di banco-note proveniente dal traf co di stupefacenti ecc.

Il risolvente intervento del Gruppo di azione finanziaria internazionale (GAFI)Per anni si è andati avanti in questo modo ri utando l’evidenza letterale della normativa di contrasto arti-colatasi nel tempo grazie al legislatore sovranazionale, non certo ai legislatori penali nazionali, e solo da po-chi mesi ogni questione è cessata nel momento in cui è dovuto intervenire addirittura il Gruppo di azione nanziaria internazionale quando, nel febbraio scor-so, ha de nitivamente risolto ogni questione interpre-tativa affermando che i reati tributari in materia sia di imposte dirette sia di IVA costituiscono presupposto dell’obbligo di segnalazione di operazione sospetta prevista dalla normativa di contrasto.

La convenzione di Strasburgo del 1990In realtà, se ci si fosse soffermati di più sulla ratio nor-mativa, sarebbe stato suf ciente, per esempio, par-tire dal primo atto rilevante ai ni della normativa di contrasto coordinata fra i Paesi della comunità: la convenzione sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la con sca dei proventi di reato sottoscritta a Stra-sburgo l’8 novembre 1990, prodromica a tutte le di-rettive comunitarie, all’art. 1 della quale si legge: «Ai ni della presente convenzione “provento” signi ca ogni vantaggio economico derivato da reati».Ebbene, bastava partire dal primo provvedimento che ha “dato la stura” a tutta l’attività normativa an-

tiriciclaggio a livello sovranazionale per comprendere, senza nessuna possibile svista, come anche il risparmio di imposta sia un vantaggio economico e, se questo ri-sparmio di imposta è avvenuto grazie a una condotta de nita dal legislatore nazionale illecita, quindi penal-mente rilevante, è del tutto evidente che questo proven-to è un vantaggio economico derivato da un reato.

La posizione assunta dalla Banca d’Italia già nel 2001Da questo principio deriva tutto ed esso non è ovvia-mente sfuggito alla Banca d’Italia quando addirittura nel 2001 emanò per le banche del sistema le istruzioni operative per l’individuazione di operazioni sospette in relazione alla legge antiriciclaggio all’epoca vigente per gli intermediari nanziari, dalle quali si legge: «Per quanto concerne le operazioni sospette ricollegabili a pro li scali, vanno tenute presenti le recenti modi che al regime penale in materia tributaria. In tale contesto, per con gurare l’ipotesi di illeciti penali connessi alle dichiarazioni scali, occorrerebbe conoscere non solo i corrispettivi non dichiarati, ma anche la situazione soggettiva del contribuente per ricostruire l’ammontare dell’imposta evasa, ovvero essere venuti a conoscenza dell’inserimento di eventuali fatture false in dichiara-zione. Viceversa, il reato di emissione di fatture o altri documenti per operazioni in tutto o in parte inesistenti è considerato delitto indipendentemente da qualsiasi so-glia quantitativa; nella valutazione dei pro li di sospetto in quest’ultimo caso va considerato che l’emissione di tali documenti, oltre a essere ritenuta una violazione di parti-colare gravità, può anche costituire un mezzo per celare altre fattispecie di natura delittuosa».Quindi, addirittura la Banca d’Italia indica agli ope-ratori delle banche del sistema di ricostruire l’am-montare dell’imposta evasa, proprio per valutare il superamento delle soglie previste dalla normativa di repressione penale delle condotte illecite tributarie e conseguentemente di valutare il sospetto della com-missione del reato presupposto, per potere pertanto procedere alla segnalazione dell’operazione sospetta.Operazione ardua per un impiegato di banca, assai meno ardua per il professionista dell’imprenditore che lo assiste proprio su temi contabili e tributari.

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Ma evidentemente ancora oggi non deve essere del tutto chiaro ai soggetti sottoposti alla legge antiriciclag-gio il semplice sunto normativo, perché le segnalazioni di operazioni sospette da parte di dottori commercialisti ed esperti contabili sono numericamente risibili rispetto a quelle che ormai pervengono dal sistema nanziario.

Gli obblighi di segnalazione in relazione alle condotte illecite tributarieVediamo quindi di chiarire de nitivamente e ine-quivocabilmente questi obblighi di segnalazione.Sulla convenzione di Strasburgo non vi è nulla da aggiungere, perché è di solare evidenza come le condotte illecite tributarie generino inequivoca-bilmente vantaggi economici e come tali vantaggi economici derivino da reati.L’art. 2 della legge antiriciclaggio che de nisce il rici-claggio indica tutta una serie di condotte di riciclaggio relative alle attività criminose e l’art. 3 della III direttiva comunitaria antiriciclaggio de nisce queste attività cri-minose in «qualsiasi tipo di coinvolgimento criminale nella perpetrazione di un reato grave», considerando reati gravi anche quelli «punibili con una pena privati-va della libertà o con una misura di sicurezza privativa della libertà di durata massima superiore a un anno».Tutti i delitti tributari sono puniti con la pena della re-clusione, che è certamente una pena privativa della li-bertà, e tutti lo sono con un livello superiore a un anno.

La condotta di autoriciclaggioCome noto, poi, ai soli ni della legge antiriciclaggio, essendo operante anche la condotta di autoriciclag-gio, diversamente dal sistema di repressione penale, indubitabilmente il soggetto sottoposto alla legge an-tiriciclaggio deve segnalare sia colui il quale sospetta abbia commesso la condotta principale generatrice del vantaggio economico (in termini penalistici il “reato presupposto”), sia colui il quale successivamente mo-vimenta questo vantaggio per modi carlo, occultarlo, nasconderlo, trasformarlo o reimpiegarlo, anche se di-verso dal soggetto che originariamente lo ha generato.Quindi, tutte le condotte illecite a ni tributari sono soggette a segnalazione antiriciclaggio da parte dei pro-

fessionisti chiamati ad applicare la normativa, sempre che ovviamente questi non intendano concorrere nel reato principale con il loro cliente, nel qual caso saran-no soggetti direttamente a sanzioni penali della stessa entità di quelle a cui sarà sottoposto il loro cliente.

Segnalazione, concorso e favoreggiamentoSe il cliente del professionista, quindi, non commet-te alcuna condotta illecita nella rappresentazione all’Amministrazione nanziaria delle proprie opera-zioni economiche ai ni della determinazione delle imposte dovute, non vi è alcun problema; se, invece, il cliente non è proprio così specchiato o addirittura cer-ca di coinvolgere nei propri desideri contrari alla legge il professionista, allora quest’ultimo ha un bel proble-ma, dovendo scegliere tra segnalare il proprio cliente all’unità di informazione nanziaria o concorrere nel-le sue azioni criminose o anche aiutarlo in altro modo.

Il difficile contesto in cui operano i professionistiQuello dei reati tributari, quindi, ai ni della normativa antiriciclaggio per i professionisti, è un nodo assoluta-mente essenziale, perché nel nostro Paese, che molti han-no de nito una Repubblica basata sull’evasione scale e dove addirittura governanti hanno giusti cato moral-mente la necessità di sottrarsi al vorace sco da loro stessi organizzato e articolato per garantirsi faraoniche esisten-ze, il problema è quantitativamente molto rilevante.Tutti sanno poi che nel nostro Paese le condotte illecite tributarie non hanno ancora incontrato la dovuta ri-provazione sociale e nel tempo la ricerca del consenso elettorale ha causato innumerevoli promesse, seguite da leggi confuse, da pletore di esenzioni, di agevolazioni, di sanatorie ecc. In questo contesto di “furbi”, perché così molti amano de nire gli evasori scali, anziché de- nirli più normalmente come soggetti che delinquono, i professionisti si trovano paradossalmente in una situa-zione di estrema dif coltà. I clienti si sentono furbi, non delinquenti, e vogliono che i professionisti li assistano nelle loro condotte consigliando strade sempre più so- sticate per ridurre l’imposizione scale a loro carico, costringendo così ad aumentare quella a carico di chi

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sfuggire non può. I professionisti si trovano davanti a un bivio: o stanno al gioco del cliente cosiddetto “furbo” e rischiano di commettere condotte di favoreggiamento o addirittura di concorso nelle sue attività illecite, oppure, nella migliore delle ipotesi, lo lasciano fare e non segna-lano l’operazione sospetta, risultando così sottoposti al rischio di una sanzione sino al 40% dell’ammontare dell’operazione compiuta dal cliente. Questo è il vero problema dei professionisti che operano nel settore della consulenza tributaria e si ritiene che, al di là delle dichia-razioni, delle promesse e di quanto si è sentito in questi anni, questa situazione non potrà certamente cambiare se non in senso ulteriormente peggiorativo per il pro-fessionista che vedrà il suo operato sempre più inciso dai controlli della Guardia di Finanza, iniziati proprio quest’anno con poteri non di poco rilievo e con un’arti-colazione territoriale veramente totalizzante.

Le condotte criminose rilevantiFatte queste doverose minime ri essioni sulla situazio-ne in cui si trovano i professionisti soggetti alla normati-va antiriciclaggio, è il momento di passare a esaminare quali sono le condotte criminose rilevanti, riferendosi integralmente al D.Lgs. 74/2000, recentemente modi- cato nel senso di un’importante riduzione delle soglie di rilevanza, dell’abrogazione delle ipotesi attenuate e dell’ampliamento dei termini di prescrizione.

La dichiarazione fraudolenta mediante l’uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistentiLa prima condotta è quella di cui all’art. 2 del D.Lgs. 74/2000 e cioè la dichiarazione fraudolenta me-diante uso di fatture o altri documenti per operazio-ni inesistenti, che punisce con la reclusione da un anno e 6 mesi a 6 anni chiunque, al ne di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesisten-ti, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi passivi ttizi.

Art. 2 – Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti

[1] È punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei

anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi passivi fittizi.[2] Il fatto si considera commesso avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti quando tali fat-ture o documenti sono registrati nelle scritture contabili obbligatorie, o sono detenuti a fine di prova nei confronti dell’Amministrazione finanziaria.

È un reato di pericolo senza soglia che tutela la ve-ridicità della dichiarazione e recentemente è stata abrogata parte della norma che riduceva la pena, se gli elementi passivi ttizi introdotti erano superiori a euro 154.937,07; ora è tutto senza soglia. Il fatto si consuma nel momento della presentazione della di-chiarazione annuale e le modi che legislative di cui si è detto hanno allungato la prescrizione a 8 anni o a 10 anni con atto interruttivo. Tale norma va vista in con-nessione alla fattispecie criminosa di cui all’art. 8 del D.Lgs. 74/2000, cioè al reato di emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti.

L’emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistentiIl legislatore nazionale punisce con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque, al ne di consentire a terzi l’evasione delle imposte sui red-diti o sul valore aggiunto, emette o rilascia fatture o altri documenti per operazioni inesistenti.Anche per questa fattispecie è stata recentemente abrogata una parte della norma che mitigava la pena per emissione di documenti falsi o per opera-zioni inesistenti sotto la soglia di euro 154.927,07.

Art. 8 – Emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti

[1] È punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque, al fine di consentire a terzi l’evasione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto, emette o rilascia fatture o altri documenti per operazioni inesistenti.[2] Ai fini dell’applicazione della disposizione prevista dal comma 1, l’emissione o il rilascio di più fatture o documenti per operazioni inesistenti nel corso del medesimo periodo di imposta si considera come un solo reato.

Ora non vi è più alcuna soglia neppure ai ni della riduzione della pena.Il fatto si consuma nel momento di emissione o di rilascio degli indicati documenti.

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Anche in questo caso è stata elevata la prescrizione ordinaria a 8 anni o a 10 anni con un atto interruttivo.

Le segnalazioni dei professionisti in relazione alle condotte di cui agli artt. 2 e 8 del D.Lgs. 74/2000I due suddetti articoli relativi alle fattispecie crimi-nose di emissione di fatture o di altri documenti per operazioni inesistenti e di dichiarazione frau-dolenta mediante uso di tali documenti con gura-no tipologie di attività criminose che i professionisti potrebbero dovere affrontare nel corso della loro attività ed è bene chiarire quali sono i momenti critici per i professionisti di fronte a tali fattispecie.Il reato di cui all’art. 8 relativo all’emissione di fattu-re o altri documenti per operazioni inesistenti si con-suma istantaneamente al momento di emissione o di rilascio di tali documenti e quindi il problema per il professionista del soggetto che dovesse eventualmen-te emetterli o rilasciarli si pone immediatamente, cioè nel momento in cui viene a conoscenza di tali condotte e pertanto con altrettanta immediatezza il professionista deve segnalare l’operazione sospetta.In relazione alle condotte di cui all’art. 2, invece, la situazione è molto diversa; il professionista, infatti, potrebbe avere il sospetto che il proprio cliente gli abbia consegnato per la contabilizzazione una fattu-ra falsa o per operazioni inesistenti, ma il reato costui lo consuma nel momento in cui presenta la dichia-razione dei redditi secondo la struttura della norma di repressione, per cui il professionista si trova per un lungo periodo antecedente a questo momento in cui ha il sospetto che si tratti di una condotta illecita, ma in realtà il reato non si è consumato e quindi non ha obbligo di segnalazione dell’operazione sospetta, perché non si trova di fronte a un’attività criminosa.Sarà una condotta riprovevole, ma in questo momento nulla di più; prima di presentare la dichiarazione, il clien-te potrà sempre ravvedersi e non dedurre il falso costo.Ciò, però, a meno che il professionista non abbia il sospetto che il proprio cliente sia d’accordo con l’emittente della fattura o del documento falso o per operazioni inesistenti, nel qual caso avrebbe il so-spetto della commissione da parte del proprio cliente

del reato di concorso nel reato di cui all’art. 8 e, per-tanto, anche il professionista dell’utilizzatore del do-cumento dovrebbe segnalare l’operazione sospetta.Se questo sospetto non c’è, il professionista non può fare altro che tentare di dissuadere il proprio cliente da com-mettere l’attività criminosa e certamente, sotto il pro lo deontologico, non potrebbe continuare ad assisterlo. Se lo facesse e se addirittura mettesse a disposizione del cliente le proprie conoscenze tecnico-professionali non solo per contabilizzare il documento ritenuto falso o rappresentante operazioni inesistenti, ma addirittura per procedere alla dichiarazione dei redditi conseguen-ti la deduzione di tale documento, allora certamente il professionista concorrerebbe con il proprio cliente nel reato di cui all’art. 2 del D.Lgs. 74/2000.

La dichiarazione fraudolenta mediante altri artificiLe medesime ri essioni valgono per il reato di cui all’art. 3 del D.Lgs. 74/2000 e cioè la dichiarazione fraudolenta mediante altri arti ci.Tale condotta criminosa punisce con la reclusione da um anno e 6 mesi a 6 anni chiunque, al ne di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, sulla base di una falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie e avvalendosi di mezzi fraudolenti idonei a ostacolarne l’accertamento, indica in una delle di-chiarazioni annuali relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo o elementi passivi ttizi quando congiuntamente l’im-posta evasa è superiore a euro 30.000 con riferimento a ciascuna imposta e l’ammontare complessivo degli attivi sottratti all’imposizione, anche mediante indi-cazione di elementi passivi ttizi, è superiore al 5% dell’ammontare complessivo degli attivi indicati in di-chiarazione o comunque è superiore a euro 1 milione.

Art. 3 – Dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici[1] Fuori dei casi previsti dall’art. 2, è punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, sulla base di una falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie e avvalendosi di mezzi fraudolenti idonei a ostacolarne l’accerta-mento, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo o elementi passivi fittizi, quando congiuntamente:

(segue)

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a) l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna del-le singole imposte, a euro 30.000;b) l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi fittizi, è superiore al cinque per cento dell’ammon-tare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiara-zione, o comunque è superiore a euro un milione.

Il D.L. 138/2011, convertito nella legge 148/2011, ha modi cato la struttura del reato in esame riducen-do le suddette soglie in precedenza molto più elevate e aumentando, come per gli altri reati di cui si è detto, la prescrizione a 8 anni o a 10 anni con interruzione.Anche per la condotta criminosa in esame il fatto si consuma nel momento della presentazione della di-chiarazione annuale, in quanto tale reato, con soglia di punibilità, tutela la veridicità della dichiarazione.Il professionista deve ovviamente dissuadere il pro-prio cliente dal compimento di attività criminose e non deve in alcun modo aiutarlo o indirizzarlo in tale senso, nel qual caso concorrerebbe nel reato.

La dichiarazione infedele

L’art. 4 del D.Lgs. 74/2000 concerne il reato di dichia-razione infedele, che punisce con la reclusione da 1 a 3 anni chiunque, al ne di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo o elementi passivi ttizi quando congiuntamente l’imposta evasa è supe-riore, con riferimento a ciascuna delle imposte, a euro 50.000 e l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi ttizi, è superiore al 10% dell’ammon-tare complessivo degli elementi attivi indicati in dichia-razione o comunque è superiore a euro 2 milioni.

Art. 4 – Dichiarazione infedele[1] Fuori dei casi previsti dagli artt. 2 e 3, è punito con la reclusione da uno a tre anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, indica in una delle dichiarazioni annuali rela-tive a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo o elementi passivi fittizi, quando congiuntamente:a) l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna del-le singole imposte, a euro 50.000;b) l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi

fittizi, è superiore al 10% dell’ammontare complessivo de-gli elementi attivi indicati in dichiarazione, o comunque è superiore a euro due milioni.

Anche tale reato, con soglia quantitativa, tutela la veridicità della dichiarazione ed è stato modi cato nel senso che è stata ridotta sensibilmente la prima suddetta soglia relativa all’imposta evasa dimez-zandola e prevista la prescrizione più lunga di 8 anni o di 10 anni con interruzione.Il reato si consuma nel momento della presentazione della dichiarazione annuale e pertanto il professioni-sta no a questo momento non deve segnalare alcun-ché, ma tentare in ogni modo di dissuadere il proprio cliente dalla commissione dell’attività criminosa; una volta che la dichiarazione infedele è presentata, la se-gnalazione va fatta senza indugio alcuno.

L’omessa dichiarazioneL’art. 5 del D.Lgs. 74/2000 concerne la fattispe-cie dell’omessa dichiarazione e tale reato punisce con la reclusione da 1 a 3 anni chiunque, al ne di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiun-to, non presenta, essendovi obbligato, una delle di-chiarazioni annuali relative a dette imposte, quan-do l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a euro 30.000.

Art. 5 – Omessa dichiarazione[1] È punito con la reclusione da uno a tre anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, non pre-senta, essendovi obbligato, una delle dichiarazioni annuali rela-tive a dette imposte, quando l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a euro trentamila.[2] Ai fini della disposizione prevista dal comma 1 non si considera omessa la dichiarazione presentata entro 90 giorni dalla scadenza del termine o non sottoscritta o non redatta su uno stampato conforme al modello prescritto.

Anche in questo caso la legge 148/2011 ha più che dimezzato la soglia di punibilità (originariamente di euro 76.468,53) e ha aumentato la prescrizione a 8 anni o a 10 anni con interruzione.La condotta criminosa si consuma però il novan-tesimo giorno successivo alla scadenza del termine previsto per la dichiarazione annuale ed è questo il momento oltre il quale il professionista che assiste a tale condotta deve segnalare.

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Occultamento o distruzione di documenti contabiliL’art. 10 del D.Lgs. 74/2000 non pone alcun pro-blema interpretativo.Questa norma punisce con la reclusione da 6 mesi a 5 anni chiunque, al ne di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ovvero di consentire l’evasione a terzi, occulta o distrugge in tutto o in parte le scritture contabili o i documenti di cui è obbligatoria la conser-vazione, in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume degli affari.

Art. 10 – Occultamento o distruzione di documenti contabili

[1] Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ovvero di consentire l’evasione a terzi, occulta o distrugge in tutto o in parte le scritture contabili o i documenti di cui è obbligatoria la conservazione, in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume di affari.

Anche in questo caso la prescrizione è stata elevata a 8 anni o a 10 anni con interruzione e il fatto crimino-so si consuma nel momento dell’occultamento o della distruzione delle scritture e dei documenti contabili.È del tutto evidente che il professionista che ne vie-ne a conoscenza non può fare altro che segnalare.Vi sono poi le fattispecie che tutelano il gettito. Ci si riferi-sce agli artt. 10-bis, 10-ter e 10-quater del D.Lgs. 74/2000.

L’omesso versamento di ritenute certificatePer ciò che concerne la fattispecie di cui all’art. 10-bis, cioè l’omesso versamento di ritenute certi cate, la nor-ma di repressione punisce con la reclusione da 6 mesi a 2 anni chiunque non versa entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di so-stituto di imposta ritenute risultanti dalla certi cazione rilasciata ai sostituti per un ammontare superiore a 50.000 euro per ciascun periodo di imposta.

Art. 10-bis – Omesso versamento di ritenute certificate[1] È punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituti, per un ammontare superiore a 50.000 euro per ciascun periodo d’imposta.

La punibilità di tale condotta criminosa si prescrive in 6 anni o 7 anni e 6 mesi in caso di interruzione.Il reato si consuma nel momento successivo alla scadenza del termine per la presentazione della di-chiarazione annuale dei sostituti di imposta.Questa fattispecie criminosa, con le due che seguo-no, è oggettivamente una delle più problematiche sotto il pro lo della segnalazione da parte del profes-sionista, perché in un momento di crisi economica così rilevante è fatale che l’imprenditore cerchi di pagare il creditore più ef ciente e più ef cace nella tutela dei suoi diritti a scapito dei creditori meno ef- caci ed ef cienti.

Nel nostro Paese chi è meno ef cace ed ef ciente dell’Erario nella riscossione dei propri crediti? Nessuno.Quindi, nell’ipotesi più siologica, l’imprenditore in dif coltà nanziaria tende a omettere il versamento di ritenute, e anche ovviamente dell’IVA, privilegiando, per esempio, il pagamento degli stipendi o dei forni-tori di materie prime, perché sarebbero quei soggetti che bloccherebbero l’operatività dell’impresa.In questi anni si sono levate grida di allarme sulla ne-cessità di procedere a segnalare l’omesso versamento di ritenute, perché pragmaticamente i professionisti, vista la grave situazione generale, dovrebbero segna-lare una moltitudine di clienti. Purtroppo è così e non se ne vede una via di uscita, perché la fattispecie è stata considerata dal legislatore nazionale delittuosa, prevede una pena privativa della libertà superiore a un anno, è una condotta criminosa a dolo generico e, al di là della facile battuta sulla preferibilità dei la-voratori dipendenti e dei fornitori di materie prime all’Erario, non vi è dubbio che l’imprenditore si sta appropriando di denaro di terzi nel momento in cui certi ca le ritenute e non versa il denaro all’Erario. Quindi, nessuna questione sul punto: tale condotta va certamente segnalata ricorrendone tutte le caratteri-stiche tecniche per l’adempimento.

L’omesso versamento di IVADiversamente, talvolta, si potrebbe argomentare sulla fattispecie criminosa prevista dall’art. 10-ter del D.Lgs. 74/2000. Tale norma punisce con la reclusione da 6 mesi a 2 anni chiunque non versa l’imposta sul valo-

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re aggiunto dovuta in base alla dichiarazione annuale entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo d’imposta successivo, quindi il 27 dicembre dell’anno successivo a quello a cui si riferisce l’imposta.

Art. 10-ter – Omesso versamento di IVA[1] La disposizione di cui all’art. 10-bis si applica, nei limiti ivi pre-visti, anche a chiunque non versa l’imposta sul valore aggiunto, dovuta in base alla dichiarazione annuale, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo.

Anche in questo caso il fatto si prescrive in 6 anni o 7 anni e 6 mesi con interruzione.Tale fattispecie criminosa è altamente problemati-ca sotto un particolare pro lo.Nella normalità dei casi, l’imprenditore che non versa allo Stato l’IVA che materialmente ha ricevu-to dal proprio cliente si appropria di quel denaro e quindi vi è una piena logica alla tutela penale della fattispecie appropriativa, a nulla rilevando, anche in questo caso, le scelte imprenditoriali di privile-giare altri creditori piuttosto che il creditore Stato.Non parliamo poi delle frodi carosello ove metodica-mente e organicamente organizzazioni criminali si ap-propriano dell’imposta sul valore aggiunto pagata da al-tre imprese nazionali e addebitata al consumatore nale non versandola allo Stato, ma canalizzandola molto spesso in giurisdizioni che garantiscono l’anonimato.La pena della reclusione di 2 anni è persino ridicola rispetto alle frodi carosello dell’entità di centinaia di milioni di euro, così come si sono viste anche recentemente.Diversa è la questione quando l’imprenditore non versa l’IVA perché non l’ha incassata dal proprio cliente. È a tutti noto che il particolare meccanismo dell’imposta sul valore aggiunto nel caso di cessione di beni obbliga l’imprenditore a emettere il documen-to scalmente rilevante al momento della consegna della merce, ma l’imposta relativa all’imponibile rap-presentativo del corrispettivo della stessa non viene corrisposto dal cliente, perché magari, a sua volta in dif coltà, la trattiene e non la versa al proprio forni-tore con dando nella lunghezza dei meccanismi di giustizia del nostro Paese. In questo modo, l’onesto imprenditore è obbligato a versare tale imposta vir-tuale che non ha incassato e questa è una fattispecie

purtroppo molto frequente e profondamente ingiusta, così come profondamente ingiusta è la sanzione pe-nale per una condotta che non ha nulla di criminoso.Purtroppo, il frettoloso e distratto legislatore del 2006 che introdusse l’art. 10-ter al D.Lgs. 74/2000 non pensò neppure per un attimo di inserire nella norma l’inciso «, se incassata,» in relazione all’imposta sul valore ag-giunto ed essendo una condotta a dolo generico che prevede la coscienza e la volontà di presentare una di-chiarazione IVA e la consapevolezza di avere omesso il versamento della stessa, ancorché entro il 27 dicembre del successivo periodo di imposta, ecco che, associando ciò alla massa delle segnalazioni dell’Agenzia delle En-trate e alla materiale impossibilità, nella maggior parte dei casi, della magistratura inquirente di approcciare al singolo caso, con invece l’abitudine di procedere con decreto penale di condanna, il contribuente si trova non solo con un debito di imposta ingiusto e con tutte le conseguenti sanzioni, ma anche con una sanzione penale profondamente ingiusta.Si consideri anche che dottrina e giurisprudenza non hanno mai tenuto conto dell’oggettiva man-canza di liquidità per alleviare tale situazione e anzi, per esempio, con la vecchia normativa penale tributaria degli anni ’80, per no il fallimento non poteva considerarsi suf ciente a scriminare il man-cato versamento delle ritenute certi cate.Quindi, nel caso del reato di omesso versamento IVA, il professionista si troverà in una situazione di grave dif coltà nei confronti del proprio cliente, non tanto per quelle condotte altamente lesive, quali quelle di frode, quanto per quelle situazioni di fatto che co-stringono l’imprenditore a fare delle scelte, se vuole evitare di chiedere la declaratoria del proprio stato di insolvenza, e che al contrario, con la struttura norma-tiva in esame, costringono il professionista a segnalare l’omissione del proprio cliente in materia di IVA.

L’indebita compensazioneIn relazione all’art. 10-quater del D.Lgs. 74/2000, in-vece, nessun problema si pone. Ciò in quanto tale nor-ma punisce anch’essa con la reclusione da 6 mesi a 2 anni chiunque non versa le somme dovute utilizzando in compensazione crediti non spettanti o inesistenti.

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Art. 10-quater – Indebita compensazione[1] La disposizione di cui all’art. 10-bis si applica, nei limiti ivi previsti, anche a chiunque non versa le somme dovute, utilizzando in compensazione, ai sensi dell’art. 17 del D.Lgs. 241 del 9 luglio 1997, crediti non spettanti o inesistenti.

Anche in questo caso la fattispecie si prescrive come per le precedenti e il fatto si consuma nel momento di effettuazione della compensazione.È del tutto evidente che, qualora il professionista dovesse sospettare tale condotta criminosa, la se-gnalazione andrebbe effettuata immediatamente.

La sottrazione fraudolenta al pagamento di imposteL’art. 11 del D.Lgs. 74/2000, in ne, punisce con la reclusione da 6 mesi a 4 anni chiunque, al ne di sot-trarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ovvero di interessi o sanzioni amministrati-ve relativi a dette imposte di ammontare complessi-vo superiore a euro 50.000, aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte inef cace la proce-dura di riscossione coattiva.La pena è aumentata sino a 6 anni con la modi ca del 2011, qualora l’ammontare delle imposte, san-zioni e interessi fosse superiore a euro 200.000.

Art. 11 – Sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte

[1] È punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiun-que, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a dette imposte di ammontare complessivo superiore a euro 50.000, aliena simulatamente o compie altri atti frau-dolenti sui propri o su altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva. Se l’ammontare delle imposte, sanzioni e interessi è superiore a euro 200.000 si applica la reclusione da un anno a sei anni.[2] È punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiun-que, al fine di ottenere per sé o per altri un pagamento parziale dei tributi e relativi accessori, indica nella documentazione pre-sentata ai fini della procedura di transazione fiscale elementi

attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo o elementi passivi fittizi per un ammontare complessivo superiore a euro 50.000. Se l’ammontare di cui al periodo precedente è superiore a euro 200.000 si applica la reclusione da un anno a sei anni.

Anche in questo caso la prescrizione non ha subito incrementi, rimanendo ssata in anni 6 o in anni 7 e mesi 6 con interruzione.Il fatto si consuma nel momento del compimento dell’alienazione simulata o di altri atti fraudolenti e non vi è alcun dubbio che il professionista debba segnalare il sospetto di tale condotta criminosa.

La necessaria attenta valutazione delle condotte della clientela per la legge antiriciclaggioIl recente grande impulso dato a tutte le strutture dello Stato dedicate alla raccolta delle risorse per fare fron-te alle esigenze della collettività, l’ef cacia nell’azione dell’Amministrazione nanziaria grazie agli strumen-ti informatici, il rilevante abbassamento delle soglie di punibilità, l’elevazione di un terzo dei termini di prescrizione delle condotte criminose associate al me-todico intervento di veri ca della Guardia di Finanza sugli studi professionali iniziato quest’anno in mate-ria di adempimenti antiriciclaggio con interventi a tutto campo sulla clientela dello studio debbono fare ri ettere sull’assoluta necessità, da parte del profes-sionista, di considerare con la massima attenzione le prescrizioni normative per il contrasto al riciclaggio nella peculiare de nizione dello stesso data dal D.Lgs. 231/2007, per evitare che questi venga chiamato a rispondere delle condotte dei propri clienti sia sotto il pro lo della sanzione penale di concorso o di favo-reggiamento, sia, nella migliore delle ipotesi, sotto il pro lo della sanzione amministrativa dell’omessa se-gnalazione di operazione sospetta o di altri inadempi-menti alla normativa antiriciclaggio, con conseguenze economiche e professionali assolutamente devastanti.

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Rubriche

Novità fiscali dall’EuropaRaffaele Rizzardi

Aggiornamento sulle attività dell’EFRAGFilippo Poli e Giorgio Alessio Acunzo

Sintesi delle più recenti circolari, risoluzioni e pronunce giurisprudenzialiGiuseppe Cutolo e Antonio Tanzillo

Scadenze del meseEugenio Russo

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NOVITÀ FISCALI DALL’EUROPA

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Novità fiscali dall’EuropaL’imposta sul valore aggiunto nella giurisprudenza della Corte di Giustizia europeaRaffaele RizzardiDottore commercialista; Professore a c. di Finanza delle operazioni straordinarie, Università di Pavia; Docente Master di diritto tributario dell’Università Bocconi e Scuola Superiore dell’Economia e delle Finanze

Prosegue a ritmo incessante la pubblicazione delle sentenze della Corte europea; analizziamo in questa sede le pronunce che si occu-pano di imposta sul valore aggiunto, emesse sino alla pausa per le vacanze estive del 2012.

IVA: il diritto di detrazione

Cinque sentenze si occupano del diritto di detrazio-ne, cioè del fondamento stesso che trasforma l’IVA da imposta sulla cifra d’affari in imposta sul valore aggiunto. Possiamo abbinarvi una sesta sentenza sul rimborso dell’IVA pagata all’estero, che svolge la stessa funzione della detrazione, non potendosi “scaricare” un’imposta estera da quella nazionale.

Le frodi carosello: non poteva non sapere

Viene chiamata “frode carosello” quella in cui un soggetto acquista senza il materiale pagamento dell’IVA, per esempio dichiarandosi esportatore o in tutte le ipotesi di reverse charge, come nell’acquisto intracomunitario, poi vende applicando l’imposta in fattura e scompare (da cui il termine inglese di missing trader) senza ottemperare alla sua posizione di debitore di imposta verso l’Erario.Il tema scottante riguarda chi acquista, magari be-ne ciando di uno sconto che in questi periodi di crisi potrebbe ben essere concesso pur di vendere. I veri catori scali, e non solo in Italia, partono dal presupposto che l’acquirente non poteva non sa-pere e lo coinvolgono contestando l’indebita detra-zione. Da tempo la Corte di Giustizia ammette la possibilità di provare la buona fede dell’acquirente e al riguardo la letteratura considera la sentenza Kittel1 come un pilastro pro contribuente. Nel caso

di questo soggetto di imposta, abbiamo però avu-to notizie dai colleghi della Confédération Fiscale Européenne: la Corte di Giustizia ha enunciato un principio, ma l’accertamento del fatto spetta al giu-dice nazionale. Che nella specie ha condannato il signor Kittel, in quanto aveva moltiplicato per cen-to il volume d’affari in sei mesi, senza nuovi investi-menti, nuovo personale o campagne pubblicitarie. I suoi fornitori erano per lo più ttizi e non dispo-nevano nemmeno di magazzini. Buona parte della stessa merce era stata acquistata e rivenduta più volte e pertanto venne confermata l’indetraibilità.

Le irregolarità del fornitore

Fatta questa premessa sulle condotte fraudolente e sulla necessaria conoscenza da parte dell’acquiren-te, l’Erario non può pretendere che questo sogget-to sia anche responsabile del fatto che il fornitore non abbia registrato la fattura. Il caso è frequen-te nell’edilizia e anche la sentenza in commento2 si occupa di una fornitura di tronchi, per la quale il lavoro era stato eseguito da un subappaltatore non conosciuto dal committente. La Corte ricorda che è irrilevante, ai ni del diritto di detrazione, se l’IVA dovuta sulle operazioni di vendita precedenti o successive riguardanti i beni interessati sia stata versata o meno all’Erario. Spetta all’Amministra-zione nanziaria dimostrare, alla luce di elementi oggettivi, che il soggetto passivo interessato sapeva

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o avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione si iscriveva in un’evasione commessa dal suddetto emittente o da un altro operatore intervenuto a monte nella catena di prestazioni. Una recentissima sentenza della Cassazione3 analizza il riparto di competenze probatorie: spetta all’Amministrazione nanziaria, anche mediante presunzioni, provare che la ces-sione non è stata effettuata da chi aveva emesso la fattura. Ma nel caso di specie la Corte ritiene che il contribuente non avesse certo ottemperato all’one-re «di provare la verità dell’inverosimile». E la que-stione aveva a oggetto IVA per 10 miliardi di lire…Tornando alla sentenza europea, la Corte afferma che non è consentito negare la detrazione (all’ac-quirente di buona fede) per il solo fatto che il com-mittente non si è assicurato che chi ha emesso la fattura avesse la qualità di soggetto passivo, dispo-nesse dei beni oggetto della fornitura, fosse in gra-do di fornirli e avesse soddisfatto i propri obblighi di dichiarazione e di pagamento dell’imposta sul valore aggiunto. Non si può pretendere, a quest’ul-timo riguardo, che il cliente possa eseguire una ve-ri ca scale a carico del fornitore…

Le spese di gestione parzialmente coperte da contributi pubblici

Il cardine dell’imposta sul valore aggiunto è la sua neutralità, ottenuta con la detrazione del tributo a monte. Questa regola soffre la più rilevante ecce-zione nel caso dei soggetti di imposta che pongono in essere operazioni esenti. I casi più signi cativi sono nei settori nanziari (banche e assicurazioni) e nella sanità, pubblica o privata. Per questi sog-getti si stanno susseguendo da anni progetti di mo-di ca della direttiva, ma al momento non c’è nulla di concreto.Tornando al tema della detraibilità totale, anche nel caso in cui parte del costo sia stata coperta da contributi pubblici (la terminologia internazionale è quella di subsidies), la Corte di Giustizia4 ha riba-dito che la percezione di contributi non è assimi-labile a un provento esente che determina pro rata.

Nel caso di specie, il contribuente svolgeva solo attività imponibile di ristorazione e di animazione e quindi non potevano essere eccepite limitazioni alla detrazione.

I beni dell’impresa utilizzati per finalità non strettamente inerenti

I casi sottoposti alla Corte di Giustizia, relativa-mente a questo argomento, hanno riguardato:– il leasing di un veicolo utilizzato dal datore di la-

voro per il trasporto a titolo gratuito di un di-pendente tra il suo domicilio e il luogo di lavoro;5

– le migliorie su un bene con destinazione tempo-ranea a nalità private.6

La prima sentenza è interessante per l’analisi relati-va al diverso momento di rilevanza per la locazione e il leasing. Si afferma, al considerando n. 34, che la locazione di un autoveicolo in forza di un contratto di leasing può presentare caratteristiche equiparabili all’acquisto di un bene di investimento. Al riguardo viene richiamato il principio contabile internazio-nale IAS 17, con la relativa indagine sul trasferi-mento dei rischi, anche prima e a prescindere dal passaggio di proprietà all’opzione di acquisto, con-siderando che il valore attuale dei pagamenti pre-visti dal contratto è praticamente identico al valore venale del bene.7

Fatta questa premessa, la sentenza distingue tra le rate del noleggio, relativamente alle quali il diritto alla detrazione deve essere veri cato in occasione di ciascun pagamento, e i pagamenti nel leasing. Data l’assimilazione di questa operazione all’acqui-sto del bene strumentale, non operano limitazioni al diritto di detrazione, ma le prestazioni estranee, eseguite con il bene, devono essere considerate operazioni tassabili.Il diritto alla detrazione nasce quando all’acquisto esiste un nesso immediato e diretto (anche futuro) con una o più operazioni a valle. Tale connessione sussiste anche quando i costi dei servizi fanno parte delle spese generali del soggetto passivo e, in quan-to tali, sono elementi costitutivi del prezzo dei beni o dei servizi che saranno forniti.

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Nell’utilizzo oggetto della sentenza, occorre però veri care se le esigenze dell’impresa impongono che il datore di lavoro provveda al trasporto dei dipendenti tra il loro domicilio e il luogo di lavo-ro, sicché l’organizzazione del trasporto da parte del datore di lavoro risulta effettuata per ni non estranei all’impresa. Se così non fosse, resterebbe ferma la detrazione sul bene di investimento, ma il servizio andrebbe fatturato con IVA.La Corte riconosce in ne che gli artt. 168 e 176 della dir. n. 2006/112/CE non ostano a una nor-mativa nazionale che preveda l’esclusione del dirit-to a detrazione di beni e servizi destinati a opera-zioni effettuate a titolo gratuito o ad attività diverse dall’attività economica del soggetto passivo, purché i beni quali cati come beni di investimento non sia-no destinati al patrimonio dell’impresa. In quest’ul-timo caso restano pertanto ferme la detrazione e la tassabilità dell’utilizzo estraneo.La seconda sentenza riguarda l’esecuzione di lavori immobiliari per adattare un sottotetto del fabbri-cato aziendale a residenza temporanea dei soci, in attesa che venga completata la loro abitazione in altro luogo. Alla ne dell’utilizzo temporaneo, que-sti locali saranno utilizzati per l’attività di impresa.La Corte riconosce la legittimità della detrazione sui costi di questa ristrutturazione, a prescindere dal fatto che l’immobile oggetto dell’intervento ab-bia dato o no luogo alla detrazione sul suo acquisto.

La decadenza dal diritto di detrazione

Anche per questo argomento abbiamo due sentenze:– la prima relativa alla detrazione nel diritto in-

terno;8

– la seconda avente a oggetto il rimborso a sogget-to di imposta non residente.9

Il caso bulgaro consente di ripercorrere l’analo-ga questione del nostro caso Ecotrade.10 Anche qui c’era una, sia pure diversa, tardività nella rego-larizzazione di un’operazione di acquisto intra-comunitario, a fronte del quale, pur in presenza di un’imposta pagata dal contribuente, era stato negato il diritto di detrazione. La Corte lascia al

giudice nazionale valutare se i termini di decaden-za sono tali da rendere eccessivamente dif cile o praticamente impossibile il concreto esercizio del diritto di detrazione. Ma è interessante, rispetto al caso italiano, laddove afferma che nulla osta all’ap-plicazione di sanzioni, che devono però rispettare il principio di proporzionalità, che sarebbe violato nel caso in cui la sanzione corrisponda all’importo dell’IVA detraibile.Al riguardo l’Agenzia delle Entrate,11 nel riconosce-re il diritto di detrazione in relazione al caso Ecotra-de, sostiene che sarebbe applicabile la sanzione dal 100% al 200% dell’IVA. Essendo illecita una san-zione pari al tributo, evidentemente si pensa che non lo sia una pari al doppio…L’altra sentenza si riferisce ai rimborsi ex ottava direttiva12 e riguarda la natura del termine per la presentazione dell’istanza di rimborso. Il termine originario era il 30 giugno dell’anno successivo a quello di emissione delle fatture ed è attualmente il 30 settembre, con trasmissione telematica alla pro-pria Amministrazione nanziaria.

La conclusione della Corte è estremamente sintetica ed è negativa per il soggetto estero: la pre-sentazione dell’istanza dopo la scadenza fa venire meno il diritto, avendo il termine natura decaden-ziale.

IVA: altre questioni controverse

La soggettività ai fini IVA e le sanzioni per mancata iscrizione

L’applicazione dell’imposta sul valore aggiunto ri-chiede la coesistenza dei tre requisiti, soggettivo, oggettivo e territoriale. Il primo è declinato nei no-stri artt. 4 e 5 della legge IVA, che parlano di eser-cizio delle attività di impresa o di lavoro autonomo. La de nizione delle direttive comunitarie (ora art. 9 della dir. n. 2006/112/CE) è signi cativamente più ampia, avendo riguardo all’esercizio di attività economica in modo non dipendente.Il caso sottoposto alla Corte è al limite: una perso-

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na sica acquista un bosco – dice lui – a titolo per-sonale ed effettua vendite di legname, sempre se-condo le sue asserzioni, per rimediare ai danni di una tempesta. La Corte13 ritiene corretto l’inqua-dramento soggettivo operato dall’Amministrazio-ne nanziaria e dai giudici locali, considerando che la ricorrenza delle vendite e la loro importan-za erano elementi adeguati per ravvisare l’eserci-zio di attività economica, con lo sfruttamento di un bene nalizzato a conseguire proventi con una certa stabilità.Il ricorrente lamentava inoltre l’eccessività della sanzione, pari all’IVA, considerando che l’imposta avrebbe dovuto essere calcolata con il reverse charge. I giudici comunitari enunciano principi molto gene-rici, rimandando la decisione ai giudici nazionali, che sono chiamati a:– valutare tutti gli elementi della fattispecie per de-

terminare se lo sfruttamento di un bene materia-le, quale un bosco, sia diretto a ricavare introiti aventi carattere di stabilità;

– veri care se l’importo della sanzione non ecce-da quanto necessario per conseguire gli obietti-vi consistenti nell’assicurare l’esatta riscossione dell’imposta ed evitare l’evasione, considerate le circostanze del caso di specie e in particolare la somma concretamente tassata e l’eventuale sussistenza di un’evasione o di un aggiramento della normativa applicabile, imputabili al sog-getto passivo la cui mancata iscrizione viene sanzionata.

Gli interessi sui rimborsi

I ritardi nell’esecuzione dei pagamenti a favore dei contribuenti a credito sono purtroppo diffusi in tut-ta la Comunità ed è pertanto interessante questa sentenza,14 nella causa promossa da contribuenti inglesi che richiedevano il calcolo degli interessi composti e non di quelli semplici. La Corte afferma che la risposta al quesito non può essere ricercata nel diritto dell’Unione Europea, in quanto spetta al diritto nazionale stabilire, nel rispetto dei principi di effettività e di equivalenza, se alla somma in sor-

te capitale debbano essere applicati interessi secon-do il sistema degli interessi semplici ovvero secondo il sistema degli interessi composti, o ancora secon-do un altro sistema di applicazione di interessi.Anche nel nostro Paese si calcolano gli interessi semplici, con qualche isolata pronuncia giurispru-denziale in senso contrario.

Le carte telefoniche internazionali

Il caso esaminato dalla Corte di Giustizia15 è de-stinato a essere superato dall’imminente direttiva sui vouchers, cioè sugli strumenti – materiali o anche immateriali, come un codice di accesso acquistato via internet – che consentono di ottenere beni o servizi, pagandone il corrispettivo con questi titoli, di regola già acquistati in precedenza.La proposta di direttiva16 distingue tra “buoni” a uti-lizzo singolo (SPV – single purpose vouchers) e a utilizzo multiplo (MPV – multiple purpose vouchers), trasferendo dalla prima alla seconda categoria le schede telefoni-che, in quanto il loro utilizzo può avvenire anche per altre nalità e in altri Stati.Nella sentenza l’impostazione è di un SPV e il quesito riguarda il margine tra il prezzo di cessio-ne della carta al distributore e il prezzo pagato dal consumatore. Il servizio di telefonia è interamente reso dal gestore e – anche in base alla proposta di direttiva – il margine del distributore costituisce una prestazione di servizi al gestore telefonico e non al consumatore nale. Nel nostro ordinamento il problema IVA è attualmente risolto con un regi-me monofase,17 in cui l’intero importo dell’imposta sul prezzo al pubblico viene liquidato dal gestore, così che le successive fasi di rivendita non richiedo-no ulteriori adempimenti da parte dei distributori.

La messa a disposizione di personale e le definizioni nazionali

Questa è la terminologia della dir. n. 2006/112/CE, art. 59, comma 1, lett. f), rilevante ai ni della territorialità, ora solo nel caso di committenti “pri-vati” extracomunitari. Il nostro art. 7-septies, com-

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ma 1, lett. e) utilizza lo stesso termine, ma prima del 2010 il precedente art. 7, comma 4 parlava dei “prestiti di personale”. Questa nozione ha da noi un altro signi cato, relativo al distacco di persona-le presso un altro soggetto di imposta, operazione fuori campo se e nella misura in cui l’addebito co-pre solo il costo dei dipendenti distaccati.18

Anche la sentenza della Corte di Giustizia in com-mento19 deve risolvere un quesito di territorialità. Il caso è abbastanza complesso, in quanto il persona-le era rappresentato da lavoratori autonomi, guida-tori di camion, messi a disposizione da un’impresa tedesca a trasportatori di quel Paese e italiani. L’ac-cordo di messa a disposizione prevedeva un ricarico sul costo della prestazione fatturata agli utilizzatori del servizio ed era stato considerato rientrare nella speci ca nozione che all’epoca collocava il luogo della prestazione in quello del committente, sogget-to passivo. Oggi il problema rimane assorbito dalla regola generale dei servizi “generici”.La sentenza è a dir poco salomonica, in quanto la-scia la de nizione del caso a ciascuno degli Stati, quello del prestatore (Germania) e quello del com-mittente (Italia). Ogni Stato dovrebbe assicurarsi che l’altro interpreti la direttiva nello stesso modo. Senza questo accordo, sicuramente mancato nel caso di specie (il nostro Paese non è nemmeno intervenuto in questo giudizio), risulta evidente il rischio di una doppia tassazione o di una doppia non tassazione.

Le gestioni individuali di portafoglio e il regime delle operazioni plurime

Al di là del caso speci co, che riguarda gli istituti bancari di maggiori dimensioni, questa sentenza20

è interessante in quanto individua le regole delle prestazioni multiple, che comprendono nella spe-cie prestazioni esenti (acquisto e vendita di titoli) e altre imponibili (consulenza, analisi e custodia dei titoli, che non danno necessariamente luogo ad atti di compravendita).A tale riguardo, la Corte aveva già dichiarato che vi è prestazione unica nel caso in cui un elemento deve essere considerato come la prestazione princi-

pale, mentre un altro elemento costituisce una pre-stazione accessoria, nalizzata all’esecuzione della prima, cui si applica la stessa disciplina tributaria della prestazione principale.Questa pronuncia ritiene che vi può essere altresì una prestazione unica, ai ni dell’IVA, anche in al-tre circostanze, quando le prestazioni sono talmen-te connesse da formare oggettivamente una sola prestazione economica indissociabile, la cui scom-posizione avrebbe carattere arti cioso.La gestione individuale di portafoglio è paragonabi-le a quella svolta dai fondi comuni di investimento, oggetto di una speci ca esenzione,21 ma non ha le caratteristiche di unitarietà della gestione per tutti gli aderenti. E se la direttiva detta un’esenzione per i fondi comuni, vuol dire che non può essere estesa a quelle analoghe, ma non coincidenti. Le esenzio-ni sono sempre considerate di natura agevolativa e quindi non ammettono interpretazioni estensive.

Il parcheggio in aeroporto e la navetta per raggiungerlo

Questa decisione della Corte22 può essere accostata a quella appena commentata. I ricorrenti fornisco-no un servizio di parcheggio, che comporta anche il trasferimento dalla zona dei posteggi all’aeropor-to, e chiedono di potere bene ciare dell’esenzione prevista per il trasporto collettivo a mezzo autobus, relativamente a una quota del corrispettivo.Il servizio reso è nella specie da considerare unico, tanto più che il corrispettivo viene calcolato in base ai giorni di stazionamento del veicolo, indipen-dentemente dal numero di passeggeri che saranno trasferiti da e per l’aeroporto. Ed essendo un servi-zio unico, unico è il regime scale, cioè quello del parcheggio, che costituisce la parte prevalente della prestazione complessa.

La demolizione delle navi della Marina statunitense

L’esenzione di cui parla la sentenza su questo argo-mento23 viene da noi quali cata come non impo-

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nibilità delle prestazioni ai comandi militari degli Stati aderenti alla NATO (art. 72, comma 1, lett. b), della legge IVA). La Corte la riconosce sussistente alla doppia condizione che:– la prestazione sia effettuata in favore di un orga-

nismo delle forze armate dell’altro Stato destina-te allo sforzo comune di difesa o per il personale civile che le accompagna;

– la prestazione sia effettuata in favore di un orga-nismo delle suddette forze armate che siano di stanza od ospiti nel territorio dello Stato mem-bro interessato o per il personale civile che le accompagna.

La messa a disposizione di aerei per il trasporto internazionale

Un’altra sentenza in tema di non imponibilità24 si occupa della vendita di aerei che l’acquirente mette a disposizione di compagnie che effettuano preva-lentemente trasporti internazionali. Per restare sul-la norma nazionale, l’art. 8-bis, comma 1, lett. c) ed e) prevede la non imponibilità per la cessione e la locazione di aeromobili destinati a tali compagnie.La lettura della Corte è favorevole, assimilando a un vettore anche il soggetto che acquista l’aeromo-bile per uso esclusivo di una compagnia con preva-lenza di trasporti internazionali. Considera in ne irrilevante che l’acquirente del velivolo sia control-lato dalla compagnia aerea e che questa potrebbe usare il mezzo anche per altri voli.

La cessione delle quote di società immobiliari

Questa sentenza25 enuncia una chiara regola per l’IVA, relativamente a una questione che potreb-be essere rubricata nell’abuso del diritto, cioè in un aggiramento della normativa, nella specie quella sulle plusvalenze di impresa, ignorando il fatto che il bene di primo livello appartiene sem-pre alla società e che le valutazioni e la tassazio-ne del trasferimento delle quote (bene di secondo livello) appartengono a un altro ambito, che non dialoga con il primo.

Nel caso di specie, l’Amministrazione nanziaria olandese riteneva che al trasferimento delle quo-te di una società immobiliare si dovesse applicare la disciplina IVA del trasferimento dei fabbricati posseduti dalla società. La Corte ribadisce che il regime scale è quello proprio (esenzione) del tra-sferimento di quote, in quanto l’assimilazione al trasferimento degli immobili era consentita solo in presenza di un’esplicita normativa nel singolo Sta-to membro in base alla sesta direttiva.26 Ma, come risulta dalla tavola di concordanza con la vigente dir. n. 2006/112/CE, la disposizione non è stata nemmeno riproposta, riteniamo a motivo della net-ta distinzione che esiste tra i beni di primo e quelli di secondo livello, non potendosi mai applicare a una partecipazione il regime del bene sottostante, in quanto con la cessione della quota non si veri ca nessun trasferimento nella titolarità del bene, che rimane sempre della società.

Il fabbricato in corso di ristrutturazione: edificio nuovo o vecchio?

Questa sentenza della Corte27 riprende le conclusio-ni di una analoga, relativa a una società che gestiva un centro salesiano pure in Olanda,28 ove la decisio-ne si fondava sul fatto che deve essere valutata l’in-tenzione delle parti. Nella nuova sentenza, oggetto della cessione era un fabbricato in corso di ristrut-turazione e bisognava decidere, in base al criterio adottato da quella legge nazionale, ovviamente tra quelli previsti dalla direttiva, se il fabbricato in cor-so di ristrutturazione fosse da considerare “vecchio” (operazione esente) o “nuovo”, anteriore cioè alla prima occupazione (operazione imponibile).La Corte conclude che il fabbricato deve conside-rarsi “vecchio”, quando al momento della vendita risulti demolito solo in parte e sia, almeno parzial-mente, ancora utilizzato in quanto tale. Trasponen-do la determinazione della Corte nel nostro diritto, come modi cato dal recente decreto “sviluppo”,29 la cessione di questo immobile ha il regime natu-rale di esenzione, con facoltà di opzione per l’im-ponibilità. La cessione di un immobile quali cato

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come area edi cabile o come edi cio nuovo avreb-be invece l’imponibilità per obbligo (relativamente all’edi cio nei primi cinque anni dalla ne lavori).

Il regime del margine solo per assoluta mancanza di detrazione

La sentenza30 enuncia un criterio interpretativo di carattere generale, anche se si innesta su un regime di tassazione dei veicoli non esattamente conforme alle nostre regole. Nel nostro ordinamento (art. 13, comma 5, della legge IVA), un bene che abbia dato diritto alla detrazione parziale viene rivenduto ap-plicando la stessa percentuale alla base imponibile del successivo passaggio. Nella legislazione polac-ca, essendovi, oltre a una percentuale di legge, an-che il calcolo su un massimale di prezzo del veicolo, il secondo passaggio è invece considerato esente e il commerciante dell’usato – in possesso di una fattu-ra senza IVA (che evoca la disposizione del nostro

art. 10, n. 27-quinquies, applicabile solo nel caso in cui non sia stata operata nessuna detrazione a mon-te) – riteneva di applicare la tassazione propria del regime del margine alla rivendita del bene usato.Di tutta evidenza la risposta della Corte: questo regime postula che a monte non sia stata opera-ta nessuna detrazione e pertanto il commercio del veicolo comporterà l’assoggettamento al tributo sull’intero corrispettivo nale.

Le locomotive diesel che passano la frontiera

Un po’ pignola è stata la Corte in questa sentenza,31 stabilendo che i mezzi ferroviari alimentati a gaso-lio, che si recano in un altro Stato con il serbatoio pieno, devono pagare dazi e IVA sul contenuto di carburante, in quanto le esenzioni sono previste per i mezzi di trasporto stradali e tali non sono ov-viamente quelli che viaggiano su rotaie.

1Sent. 6 luglio 2006, nelle cause C-439/04 e 440/04.2Sent. 21 giugno 2012, nelle cause C-80/11 e C-142/11 – Mahagében kft e Péter Dávid (Ungheria).3Sent. n. 15741 del 19 settembre 2012.4Sent. 16 febbraio 2012, nella causa C-25/11, Varzim Sol – Turismo, Jogo e Animação SA (Portogallo).5Sent. 16 febbraio 2012, nella causa C-118/11, Eon Aset Menidjmunt OOD (Bulgaria).6Sent. 19 luglio 2012, nella causa C-334/10, X (la parte ha chiesto che non venisse pubblicato il suo nome) – (Olanda).7Così la Corte nel testo inglese (la lingua processuale era il bulgaro), che parla correttamente di valore attuale, cioè al netto degli interessi. Il testo italiano della sentenza si esprime invece in termini di rate, interessi inclusi.8Sent. 12 luglio 2012, nella causa C-284/11 – EMS-Bulgaria Transport OOD.9Sent. 21 giugno 2012, nella causa C-294/11 – Ministero dell’Economia e delle Finanze, Agenzia delle Entrate contro Elsacom NV.10Sent. 8 maggio 2008, nelle cause C-95/07 e 06/07.11Ris. n. 56/E del 6 marzo 2009.12Dir. n. 79/1072 del 6 dicembre 1979. Ora trasfusa nell’art. 38-bis2 della legge IVA.13Sent. 19 luglio 2012, nella causa C-263/11 – Ainars Redlihs (Lettonia).14Sent. 19 luglio 2012, nella causa C-591/10 – Littlewoods Retail Ltd e a. (Regno Unito).15Sent. 3 maggio 2012, nella causa C-520/10 – Lebara Ltd (Regno Unito).16Doc. COM(2012)206 final del 10 maggio 2012.17Art. 74, comma 1, lett. d), della legge IVA.18Così Cass., sent. a Sez. Un. n. 23021 del 7 novembre 2011.19Sent. 26 gennaio 2012, nella causa C-218/10 – ADV Allround Vermittlungs AG, in liquidazione (Germania).20Sent. 19 luglio 2012, nella causa C-44/11 – Deutsche Bank AG (Germania).21Art. 135, par. 1, lett. g), della dir. n. 2006/112/CE; art. 10, comma 1, n. 1), legge IVA.22Ord. 19 gennaio 2012, nella causa C-117/11 – Purple Parking Ltd – Airparks Services Ltd. (Regno Unito).23Sent. 26 aprile 2012, nella causa C-225/11 – Able UK Ltd (Regno Unito).24Sent. 19 luglio 2012, nella causa C-33/11 – A Oy (Finlandia).25Sent. 5 luglio 2012, nella causa C-259/11 – DTZ Zadelhoff vof (Olanda).26Art. 13, parte B, lett. d), punto 5, della dir. n. 77/388/CEE.27Sent. 12 luglio 2012, nella causa C-326/11 – J.J. Komen en Zonen Beheer Heerhugowaard BV (Olanda).28Sent. 19 novembre 2009, nella causa C-461/08 – Don Bosco Onroerend Goed.29D.L. 83 del 22 giugno 2012, conv. dalla legge 134 del 7 agosto 2012.30Sent. 19 luglio 2012, nella causa C-160/11 – Bawaria Motors sp. z o.o. (Polonia).31Sent. 19 luglio 2012, nella causa C-250/11 – Lietuvos geležinkeliai AB (Lituania).

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ATTIVITÀ DELL’EFRAG

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Aggiornamento sulle attivitàdell’EFRAGSintesi dei principali argomenti discussi nel corso dei mesi di agosto e settembre 2012

Filippo PoliEFRAG Senior Project ManagerGiorgio Alessio AcunzoEFRAG Project Manager

Nel corso dei mesi di agosto e di settembre le attività dell’EFRAG e del Technical Expert Group si sono incentrate sull’aggiornamento del-la discussione sui principali progetti IASB e sull’aggiornamento delle principali tematiche in corso di definizione da parte dello IASB.1

EFRAG ha anticipato parte dei propri lavori in una conference call pubblica tenuta il 29 agosto, dove EFRAG ha approvato i propri pareri di adozione della proposta di modi ca delle regole di transizione degli IFRS 10, IFRS 11 e IFRS 12 e delle migliorie annuali degli IFRS rientranti nel ciclo 2009-2012.EFRAG ha ritenuto che le modi che contenute nei suddetti documenti rispettano i criteri per l’adozio-ne degli stessi nell’Unione Europea e nell’area eco-nomica europea. Inoltre, EFRAG ha indicato nel suo rapporto sull’analisi degli impatti che i bene ci derivanti dall’adozione dei suddetti documenti sia-no superiori ai corrispondenti costi.

Le proposte di modi ca degli standard sul bilancio consolidato offrono una sempli cazio-ne quando i nuovi principi sono applicati per la prima volta e limitano l’obbligo di presentare dati comparativi modi cati a un solo esercizio. Questo è in linea con i requisiti generali dello IAS 8. Le proposte eliminano inoltre l’obbligo di presentare informazioni comparative sulle entità strutturate non consolidate. Le modi che sono ef caci per i periodi che iniziano dal 1° gennaio 2013, con pos-sibile applicazione volontaria anticipata. Al ne di allineare tale data con la data di entrata in vigore degli IFRS 10, 11 e 12 che l’ARC ha differito al

1° gennaio 2014, EFRAG ha raccomandato di ri-mandare la data di entrata in vigore obbligatoria delle modi che al 1° gennaio 2014, con possibile applicazione volontaria anticipata.

Le migliorie annuali degli IFRS rientranti nel ciclo 2009-2011 si propongono di risolve-re problematiche discusse dallo IASB nel biennio 2009-2011. Le modi che agli standard correnti sa-ranno ef caci dai periodi contabili che iniziano il 1° gennaio 2013, sebbene sia stata data la possibili-tà di adottare in via anticipata le modi che.I lavori di EFRAG sono poi proseguiti nel corso della riunione mensile tenutasi dal 5 al 7 settembre presso la sua sede.EFRAG ha emesso la lettera di commento sulla proposta di migliorie annuali degli IFRS che rien-trano nel ciclo 2010-2012. Tali migliorie sono sta-te pubblicate nel corso del mese di maggio 2012. Nella sua lettera di commento allo IASB, EFRAG supporta la maggior parte delle proposte formula-te e le motivazioni che hanno condotto lo IASB a proporre tali modi che; tuttavia EFRAG esprime il suo riserbo sulle modi che ai seguenti standard:– IFRS 3: EFRAG ritiene che lo IASB debba pro-

porre modi che consequenziali anche allo IAS 39 e reitera la propria richiesta di modi care il

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medesimo principio, af nché lo stesso disciplini la contabilizzazione del proprio rischio di credi-to nell’ambito della valutazione delle passività nanziarie misurate al fair value coerentemente

con l’IFRS 9;– IAS 12: EFRAG comprende che le modi che

allo standard hanno l’obiettivo di chiarirne talu-ne attuali regole. Tuttavia EFRAG ha raccolto, nel corso della propria consultazione pubblica, evidenze di una differente applicazione delle regole base dello IAS 12 e pertanto ritiene che l’introduzione delle modi che possa comporta-re problematiche nella loro implementazione. Inoltre le modi che derivano da una speci ca richiesta, mentre il testo delle stesse si riferisce a fattispecie più ampie. Pertanto EFRAG incorag-gia lo IASB a svolgere una completa analisi del-le conseguenze derivanti dall’applicazione delle modi che prima di nalizzare la proposta. Nel caso in cui lo IASB decida di procedere con le modi che allo IAS 12, dovrà migliorare il testo in modo da permettere un’univoca e generaliz-zata comprensione dello stesso.

EFRAG in ne ritiene che le modi che incremen-tino la già vasta informativa richiesta dagli IFRS. Pertanto ritiene che lo IASB debba svolgere una speci ca valutazione prima di proporre ulteriori modi che agli IFRS correnti.Nel corso dell’incontro di settembre lo staff di EFRAG ha presentato talune sessioni educative ai membri del panel degli esperti; una di esse si è incen-trata sull’evoluzione dei coef cienti prudenziali di vigilanza. Nel corso della sessione sono stati presentati i punti di tangenza tra i principi contabili internazionali e le norme di vigilanza applicabili alle istituzioni -nanziarie. Nel corso della medesima riunione sono stati anche presentati taluni aggiornamenti sul pro-getto dello IASB di modi che parziali dell’IFRS 9 e della contabilizzazione delle coperture per masse (macro hedging). Con riferimento alle modi che parziali dell’IFRS 9, nel corso del mese di maggio lo IASB ha deciso di introdurre la categoria degli strumenti nanziari le cui variazioni successive sono imputate nel prospet-to dell’utile complessivo (fair value through OCI) come

una categoria ammissibile per gli strumenti nanzia-ri di debito. I membri del TEG hanno discusso della possibilità di applicare la fair value option attualmente inclusa sia nello IAS 39 sia nell’IFRS 9 per la valu-tazione dei suddetti strumenti e dei meccanismi di riclassi ca attualmente de niti dallo IASB. Il TEG ha inoltre considerato la decisione dello IASB di in-cludere nell’ambito del progetto delle coperture per masse (macro hedging) le casistiche nelle quali parte del patrimonio netto è gestita come una passività nan-ziaria destinata al nanziamento delle coperture per masse. Lo staff di EFRAG predisporrà dei documen-ti, per la discussione nei quali saranno forniti esempi pratici sulle alternative analizzate dallo IASB, nei quali saranno inoltre presentati gli impatti derivanti dalle attuali disposizioni, sia che si consideri o no la fair value option.

Con riferimento alla decisione dell’IFRIC di rigettare la richiesta di interpretazione in merito ai titoli del tesoro greci, EFRAG ha di-scusso talune ulteriori risposte sulla propria lettera di commento in bozza. Nel corso della sessione non sono state prese decisioni.Nel corso dell’incontro di settembre, lo staff di EFRAG ha presentato una sessione educativa ai membri del panel degli esperti, nella quale sono state illustrate le considerazioni svolte dallo IASB e dall’IFRIC sulla esistente incoerenza tra il det-tato dello IAS 27 e dell’Interpretazione SIC 13 per quanto concerne il trattamento contabile della perdita di controllo di una controllata che viene conferita in un’entità congiuntamente posseduta (jointly controlled entity). I membri del panel degli esperti supportano lo sfor-zo dell’IFRIC e dello IASB nell’affrontare la pro-blematica e rimuovere la difformità di trattamento della medesima problematica. Tuttavia, EFRAG non è convinta che il trattamento contabile dei conferimenti di business e di altri beni non monetari debba essere differente. In aggiunta, EFRAG ritie-ne che lo IASB debba includere nello scopo delle sue analisi il trattamento contabile dei conferimenti di beni non monetari nel bilancio separato e in pre-senza di joint operations.

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Per quanto riguarda il progetto dello IASB di post implementation review dell’IFRS 8, lo staff di EFRAG ha presentato al panel degli esperti l’insie-me di attività che saranno svolte da EFRAG con l’in-tento di rispondere alla richiesta di informazioni da parte dello IASB. Tali attività includono conferenze pubbliche, due survey, di cui una destinata ai revisori, alle aziende e una agli utilizzatori istituzionali. Le con-ferenze pubbliche saranno svolte insieme allo IASB in collaborazione con gli standards setter nazionali.

In merito al progetto sui diritti di emissione, EFRAG ha proseguito il suo dibattito sulle proposte emesse dall’Autorité des Normes Comptables per una contabilizzazione basata sul modello di business. Un rappresentante della Commissione Europea (Direzio-ne Generale Clima) ha fatto un intervento sul piano di emissioni nell’UE e l’evoluzione regolamentare.I membri del TEG in generale hanno espresso sup-porto per un ordinamento contabile dei diritti di emissione, basata su un approccio economico che distingua le società trader da quelle che utilizzano i diritti per estinguere le proprie obbligazioni. Il TEG ha osservato che i diritti di emissione hanno molto in comune con le materie prime. Alcuni membri han-no tuttavia espresso delle riserve circa la possibilità di separare ef cacemente i due modelli di business.Il TEG ha discusso le alternative contabili per le assegnazioni gratuite e la misurazione della passi-vità. Lo staff continuerà l’analisi dei temi contabili ed esaminerà le implicazioni pratiche per la sepa-razione dei modelli di business.

Con riferimento al progetto proattivo sul bilancio separato, lo staff del progetto compo-sto da membri degli standards setter italiano, olan-dese e spagnolo ha presentato, insieme allo staff di EFRAG, la proposta al panel degli esperti di condur-re degli incontri con gli utilizzatori primari del bi-lancio. Pertanto hanno presentato un progetto che si sostanzia nell’invio di questionari, nel condurre interviste e nello svolgere workshops sul tema. Il panel degli esperti ha discusso diversi aspetti della propo-sta come l’approccio, le tempistiche, la natura dei

partecipanti e le domande proposte nell’ambito del questionario e ha fornito ai membri del team talune indicazioni al ne di migliorarne l’ef cacia.

In tema di progetto proattivo sulle aggrega-zioni di imprese sotto comune controllo, il panel degli esperti di EFRAG ha proseguito la di-scussione sui commenti pervenuti dai costituenti e ha approvato il feedback statement che sarà pubblicato nel breve periodo dopo aver recepito taluni suggeri-menti. Lo staff di EFRAG prenderà contatto con chi ha risposto alla consultazione pubblica per ottenere taluni esempi pratici. Talune attività saranno inol-tre svolte con riferimento allo scopo del progetto. Le informazioni così raccolte saranno considerate per de nire i successivi passi da compiere sul progetto.

EFRAG ha emesso la lettera di commento sull’interpretazione in bozza sui tributi im-posti a imprese operanti in un mercato spe-ci co (Levies charged by Public Authorities on Entities that Operate in a Speci c Market) emessa dall’IFRIC nel mese di maggio. I riscontri ricevuti dai constituents non erano univoci. Molti erano in disaccordo con l’ambito di applicazione e specialmente con l’esclu-sione dei tributi che sono esigibili solo al raggiungi-mento di un livello di ricavi minimo. In generale i constituents hanno concordato che l’Interpretazione applica correttamente i principi dello IAS 37, ma molti hanno commentato che questo non produr-rebbe una corretta rappresentazione nei bilanci in-termedi. Per molti, i tributi con frequenza annuale sono legati all’attività nel corso dell’esercizio e do-vrebbero essere contabilizzati su tale periodo.EFRAG ha approvato la lettera di commento -nale, nella quale ha invitato l’IFRIC a prendere in considerazione le riserve espresse sull’ambito di applicazione e ad affrontare il tema dei pagamenti alle Autorità pubbliche in generale, con riguardo alle caratteristiche speci che di tali pagamenti e agli attuali requisiti dello IAS 12. I risultati di que-sta analisi dovrebbero essere usati per adeguare gli attuali standard e garantire una corretta rappresen-tazione nei bilanci annuali e intermedi.

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In merito al progetto proattivo sul modello concettuale per l’informativa di bilancio, EFRAG ha ricevuto una presentazione dal FRC sul loro paper in bozza intitolato Thinking about disclosure in a broader context. Il FRC intende pubblicare que-sto paper come integrazione al documento emesso congiuntamente a luglio,2 perché ritiene che nello sviluppo di un modello concettuale sia necessario considerare l’informativa di bilancio complessiva (e non solo quanto riportato nella nota integrativa). La pubblicazione è prevista in ottobre.EFRAG ha dibattuto se pubblicare questo paper in-tegrativo in maniera congiunta. Lo staff ha prodotto una breve analisi comparativa dei due documenti. In generale i membri del TEG hanno espresso sup-porto per la nuova versione del paper FRC e il loro interesse per un’integrazione del documento con-giunto con una discussione sui criteri di assegnazio-ne dell’informativa a diverse parti del documento di bilancio. Tuttavia, hanno notato che il paper FRC non dovrebbe ripetere argomenti già dibattuti nel documento congiunto, ma piuttosto fare riferimen-to a esso, in modo da evitare fraintendimenti tra il pubblico e dare un’immagine coordinata e coesiva della collaborazione fra EFRAG e gli standards set-ter nazionali. Lo staff del FRC ha accolto positiva-mente i suggerimenti per evidenziare il riferimento tra i due documenti tramite l’uso di cross-references. EFRAG continuerà il dibattito sul paper FRC quan-do sarà resa disponibile una nuova bozza.

L’organismo contabile canadese ha pubbli-cato un discussion paper per lo sviluppo di un modello concettuale di valutazione. Il do-cumento si basa sull’assunto che il valore corrente di mercato sia la misura più rilevante e rappresen-

tativa quando desumibile. In molti casi, tuttavia, il valore corrente di mercato non è utilizzabile e pertanto altre basi di misurazione dovrebbero esse-re utilizzate. EFRAG ritiene che il documento non fornisce motivazioni esaustive a supporto dell’uti-lizzo del valore corrente di mercato. Al contrario, ha evidenziato casi nei quali le conclusioni del do-cumento non risultino in informazioni rilevanti. Ciononostante EFRAG ha apprezzato taluni con-tenuti del documento, quale quello della funzione chiave del bilancio in tema di scelte economico- nanziarie e il tentativo di ri ettere il processo di

trasformazione dei fattori della produzione in pro-dotti e servizi nella de nizione del valore da adot-tare nei processi valutativi. Nel corso del successivo incontro periodico si intende approvare la lettera di commento sul documento.

Nel corso dell’incontro di settembre Martijn Bos ha presentato ai membri del TEG le conclusioni raggiunte da Eumedion con riferimento alla neces-sità di migliorare l’informativa di bilancio delle minoranze in partecipazioni non totalitarie. EFRAG ha accolto posi-tivamente i contenuti del documento e ritiene che il lavoro svolto nell’ambito del progetto proattivo sulla creazione di un framework per l’informativa conta-bile possa essere utile per sanare le carenze eviden-ziate nell’attuale informativa di bilancio.Il panel degli esperti di EFRAG ha in ne assistito a una presentazione riguardante il modello dello IASB per la svalutazione dei crediti basato sulla perdita attesa e sugli ultimi sviluppi in tema di con-vergenza tra lo IASB e il FASB. Nel corso di tale presentazione sono state inoltre analizzate le inte-razioni esistenti tra il modello proposto e la norma-tiva di vigilanza delle banche.

Per maggiori informazioni sull’EFRAG è possibile consultare il sito istituzionale all’indirizzo www.efrag.org.Per maggiori informazioni sugli autori si rinvia alla sezione “Secretariat” del sito istituzionale dell’EFRAG.

1Il presente documento è predisposto per i lettori italiani e deriva dalla pubblicazione in lingua inglese del documento EFRAG Update disponibile sul sito www.efrag.org. Si rammenta che le informazioni ufficiali dell’EFRAG sono contenute nel suddetto do-cumento e, pertanto, qualsiasi divergenza dovesse emergere tra le due pubblicazioni, bisognerà sempre fare riferimento a quanto rinvenibile in lingua inglese.2In luglio, EFRAG, ANC e FRC hanno pubblicato congiuntamente il discussion paper Towards a Disclosure Framework for the Notes.

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CIRCOLARILa circolare in oggetto riassume le risposte fornite dal personale dell’Amministrazione finanziaria nel corso della diretta televisiva del Modulo di aggiornamento professiona-le (MAP). Le problematiche affrontate sono state varie.Per quanto riguarda l’ACE (Aiuto per la crescita economica), una delle precisazioni ha riguardato la tempistica della deduzione. La prima deduzione è utilizzabile in UNICO 2013, in quanto l’incremento ha rilevanza a partire dall’esercizio nel corso del quale l’assemblea delibera di destinare, in tutto o in parte, l’utile a riserva. I tecnici dell’Agenzia hanno chiarito anche che la perdita d’esercizio (a differenza di quanto avviene per l’utile) partecipa alla determinazione della misura del patrimonio netto contabile.In relazione alla rettifica dell’imputazione temporale dei componenti positivi di reddito, la circolare estende a questi ultimi l’applicazione delle stesse regole dettate dalla circ. n. 31/2010 relativamente all’errata competenza fiscale dei componenti negativi, al fine di evitare il fenomeno della doppia imposizione, concedendo la possibilità al contribuente di recuperare le somme.Per quanto riguarda la percentuale deducibile dal reddito delle spese sostenute dal professionista iscritto a un albo, che partecipa alla formazione continua obbligatoria, essa è pari al 50%, anche se questa tipologia di corso non è contemplata nello speci-fico articolo del TUIR (art. 54, comma 5, del D.P.R. 917/1987).La stessa percentuale di sconto è concessa al professionista che utilizza come studio una porzione dell’immobile in cui risiede superiore al 50%.L’imposta sul valore aggiunto, al passo con la normativa europea, genera molteplici dubbi. Tra gli altri, dopo le ultime modifiche, il momento dell’esigibilità dell’imposta per una prestazione di servizi eseguita da un non residente. Ebbene, è l’emissione della fattura il momento da prendere in considerazione come indice dell’effettuazione dell’operazione. Perciò il committente deve applicare l’imposta quanto riceve la fattura dal prestatore comunitario non residente. In un’altra ipotesi analizzata, il committente nazionale che non riceve la fattura dal fornitore stabilito nella UE deve emettere, entro il mese successivo a quello di effettuazione dell’operazione, un’autofattura nella quale va indicato il numero di partita IVA del prestatore comunitario.Viene sancita inoltre l’indeducibilità delle perdite su crediti scaturite dalle operazioni

Circ. dell’Agenzia delle Entrate n. 35/E del 20 settembre 2012 – Rilievi interpretativi inerenti a quesiti posti nel corso del Modulo di aggiornamento pro-fessionale (MAP) del 31 maggio 2012

1Le circolari e le risoluzioni sono a cura di G. Cutolo, la giurisprudenza è a cura di A. Tanzillo.

Sintesi delle più recenti circolari, risoluzionie pronunce giurisprudenzialia cura diGiuseppe CutoloDottore commercialista e revisore legale dei conti,Dottore di Ricerca nell’Università degli Studi di SalernoAntonio TanzilloDottore in economia e commercio e revisore legale dei conti1

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attive realizzate con operatori localizzati nei paradisi fiscali, per cui l’impresa resi-dente, al fine di godere della deduzione, deve cioè dimostrare che il debitore estero svolge prevalentemente un’attività commerciale effettiva, oppure che l’operazione da cui scaturiva il credito (successivamente trasformatosi in perdita) risponde a un reale interesse economico e che la stessa abbia avuto concreta esecuzione.

Con la circolare in oggetto, l’Agenzia delle Entrate ritorna sul tema dei beni relativi all’impresa concessi in godimento a soci o familiari dell’imprenditore per fini privati, dopo essersi soffermata sulla questione con la circ. n. 24/E del 15 giugno scorso.Nel caso in cui non sia possibile mettere a disposizione documentazione di data certa antecedente all’inizio dell’uso privato del bene, i termini dell’accordo fra le parti (corrispettivo, durata e altre condizioni contrattuali) possono essere dimostrati dal contribuente con altri mezzi di prova.La seconda importante precisazione contenuta nel documento di prassi è tesa a ste-rilizzare eventuali fenomeni di doppia imposizione. Essa prevede che il reddito diverso attribuibile all’utilizzatore va ridotto del maggiore reddito d’impresa imputato allo stesso (imprenditore individuale o socio tassato per trasparenza) in seguito all’indedu-cibilità dei costi del bene concesso in godimento.

Con la presente circolare viene analizzata la disciplina della trasformazione in capo alle banche delle imposte anticipate in credito d’imposta. Il documento di prassi precisa che tale trasformazione è automatica. La circolare precisa anche che, per i soggetti diversi dalle banche, tale trasformazione è invece solamente facoltativa.La trasformazione delle imposte anticipate in credito d’imposta è possibile in presenza di perdita civilistica, fiscale, o anche nel caso di liquidazione volontaria, o di assogget-tamento a procedure concorsuali, o nei casi di gestione delle crisi.Altro chiarimento fornito dalla circolare riguarda l’estendibilità della disciplina anche alle imposte anticipate relative ai crediti delle banche con svalutazione massima allo 0,5% e recupero dell’eccedenza per noni. Se la perdita di bilancio annulla il patrimonio netto, le DTA si trasformano integralmente. La normativa prevede inoltre che le voci di costo corrispondenti alle imposte anticipate trasformate non sono deducibili a partire «dal periodo d’imposta in corso alla data di approvazione del bilancio». La trasfor-mazione in credito d’imposta delle imposte anticipate iscritte a fronte di una perdita fiscale è cumulabile con quella da perdita civilistica.

Con la circolare in oggetto, l’Agenzia delle Entrate si pronuncia in merito all’ambito applicativo dell’art. 2, comma 1, del D.L. 16/2012, il quale ha previsto la possibilità di sanare l’omissione di quella tipologia di comunicazioni che permettono la fruizione di agevolazioni derivanti da particolari regimi fiscali.Tale norma si pone l’obiettivo di salvaguardare i diritti di quei contribuenti che in buona fede abbiano omesso tali comunicazioni. Si presume, al proposito, che il contribuente abbia tenuto un comportamento coerente con il regime opzionale adottato e che l’omissione quindi riguardi esclusivamente l’adempimento formale. L’Agenzia delle Entrate ritiene che, in sede di prima applicazione, la data entro la quale l’omissione possa essere sanata è il 31 dicembre 2012.

RISOLUZIONICon la risoluzione in oggetto, l’Amministrazione finanziaria precisa che, in materia di robin tax, la sezione II del quadro RX del mod. UNICO può accogliere esclusivamente la gestione di eccedenze e crediti del precedente periodo d’imposta che non possono con-fluire nel quadro corrispondente a quello di provenienza, al fine di consentirne l’utilizzo con l’indicazione degli stessi in dichiarazione.

Circ. dell’Agenzia delle Entrate n. 36/E del 24 settembre 2012 – Beni concessi in godimento a soci o familiari, ai sensi dell’art. 2, commi da 36-terdecies a 36-duodecies, del D.L. 138 del 13 agosto 2011, convertito in legge 148 del 14 settembre 2011. Ulteriori chiarimenti (versione aggiornata del 25 settembre 2012, contenente la correzione di refusi a pag. 5)

Circ. dell’Agenzia delle Entrate n. 37/E del 28 settembre 2012 – Disciplina del credito d’imposta derivante dalla trasformazione di attività per imposte anticipate iscritte in bilancio di cui all’art. 2, commi da 55 a 58, del D.L. 225 del 29 dicembre 2010 – Modifiche apportate dall’art. 9 del D.L. 201 del 6 dicembre 2011, convertito con modificazioni dalla legge 214 del 22 dicembre 2011

Circ. dell’Agenzia delle Entrate n. 38/E del 28 settembre 2012 – Art. 2, commi 1, 2, 3 e 3-bis, del D.L. 16 del 2 marzo 2012 (“decreto semplificazioni fiscali e decreto semplificazioni tributarie”), convertito con modificazioni dalla legge 214 del 22 dicembre 2011

Ris. dell’Agenzia delle Entrate n. 87/E del 14 settembre 2012 – Maggiorazione all’IRES robin tax di cui all’art. 81 del D.L. 112 del 25 giugno 2008 – Trattamento delle

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Le suddette eccedenze possono essere utilizzate secondo una delle seguenti modalità: richiesta a rimborso; compensazione orizzontale ai sensi dell’art. 17 del D.Lgs. 241 del 9 luglio 1997, fino alla data di presentazione della successiva dichiarazione; cessione ai fini della compensazione dell’IRES dovuta dalla consolidante per effetto della tassazione di gruppo.

Con la risoluzione in oggetto, l’Agenzia delle Entrate fornisce dei chiarimenti in merito al corretto trattamento fiscale da applicare agli interessi corrisposti a un soggetto non residente e senza stabile organizzazione, per il tramite di una società fiduciaria.La società fiduciaria, in sede di interpello, ha dichiarato di avere ricevuto dai fiducianti la richiesta di stipulare dei contratti di finanziamento con istituti di credito esteri, presso i quali sono state depositate attività finanziarie, a nome della società stessa, con apposito mandato.In seguito alla sottoscrizione del contratto, la stessa ha ottenuto una linea di credito con l’istituto bancario produttiva di interessi, che la stessa fiduciaria deve corrispondere per conto dei propri fiducianti.L’Agenzia delle Entrate ha ricordato anzitutto che tutti i redditi di capitale percepiti da non residenti (compresi quelli provenienti da attività commerciale senza stabile organiz-zazione) scontano la ritenuta alla fonte a titolo d’imposta. La misura del prelievo (prima fissata al 12,50%) è stata elevata al 20% per i proventi divenuti esigibili dal 1° gennaio 2012.Nel caso di specie, l’aspetto da sottolineare riguarda il fatto che la società fiduciaria agi-sce nell’ambito di un contratto. Essa, infatti, pur operando per conto dei propri fiducianti, rappresenta la controparte negoziale di un finanziamento e, di conseguenza, è tenuta a effettuare la ritenuta alla fonte a titolo d’imposta sugli interessi corrisposti all’istituto di credito non residente.La circolare precisa inoltre che, in presenza di una convenzione contro le doppie imposi-zioni, la fiduciaria può applicare l’eventuale aliquota ridotta.

Con la presente risoluzione, l’Agenzia delle Entrate risponde a un interpello proposto da un editore con sede in un altro Paese membro dell’Unione Europea, il quale vende quotidiani in abbonamento a consumatori finali in Italia.L’istante chiedeva chiarimenti in merito al regime fiscale applicabile al superamento di 35.000 euro annui.L’editore è obbligato a identificarsi ai fini IVA in Italia mediante la nomina di un rappre-sentante fiscale, al fine di tassare le cessioni all’imposta italiana.È comunque applicabile il regime speciale di imposta previsto per l’editoria, il quale prevede l’assolvimento dell’IVA (sulla base del prezzo di vendita al pubblico) da parte del solo editore, con la possibilità riconosciuta in capo allo stesso di determinare la base imponibile per il calcolo dell’imposta stessa sul numero delle copie effettivamente vendute o sul numero delle copie spedite, comprese quelle in abbonamento, al netto della resa forfettaria. Resa forfettaria che non potrà però essere considerata ai fini della determinazione della soglia di 35.000 euro annui, oltre la quale scatta l’obbligo di assog-gettamento delle vendite “a distanza” al regime di tassazione nel Paese di destinazione.

GIURISPRUDENZALa Corte di Cassazione si pronuncia ancora sulla questione della notifica di una cartella al liquidatore di una società in seguito alla cancellazione della stessa dal registro delle imprese.La sentenza precisa, infatti, che la cancellazione dal registro delle imprese di una società determina l’estinzione del soggetto giuridico e la conseguente perdita della capacità processuale, per cui, nel caso di una società di capitali, una volta liquidata

eccedenze pregresse e compi-lazione del mod. UNICO

Ris. dell’Agenzia delle Entrate n. 89/E del 25 settembre 2012 – Interpello – Art. 23, comma 1, lett. b) ed e), del TUIR, approvato con D.P.R. 917 del 22 dicembre 1986 – Trattamento fiscale degli interessi corrisposti a soggetti non residenti senza stabile or-ganizzazione in Italia

Ris. dell’Agenzia delle Entrate n. 90/E del 28 settembre 2012 – Interpello – Art. 11 della legge 212 del 27 luglio 2000 – Regime della forfettizzazione della resa ex art. 74, comma 1, lett. c), del D.P.R. 633/1972 e art. 40, commi 3 e 4, lett. b), del D.L. 331/1993

C. Cass., Sez. Trib., sent. n. 14880, depositata il 5 settembre 2012 – Nullità della cartella notifi-cata al liquidatore in seguito all’estinzione della società

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e cancellata dal registro delle imprese, il processo tributario non può proseguire nemmeno nei confronti dell’ex liquidatore, considerato che la legge non prevede alcun subentro automatico del liquidatore nei rapporti con l’Amministrazione finanziaria.Nel caso di specie, i giudici della Suprema Corte si pronunciavano in merito all’annul-lamento di una cartella esattoriale notificata al liquidatore per debiti della società, la quale cartella veniva ritenuta priva di efficacia in ragione «della già avvenuta estinzio-ne del soggetto passivo dell’obbligazione afferente».

Secondo i giudici della Suprema Corte, è da ritenersi legittimo l’accertamento sinte-tico nel caso di acquisto di un immobile in assenza di documentazione giustificativa riguardante la fonte di reddito.Nel caso di specie, il contribuente aveva proceduto all’acquisto di un immobile e, in sede di accertamento, aveva sostenuto di avere acquistato lo stesso anche grazie alla disponibilità di una cospicua somma di denaro donata dai genitori, donazione che, in assenza di un atto pubblico (o di altra documentazione giustificativa), non è stata ritenuta idonea a fungere da mezzo di prova.

Con la sentenza in oggetto, la Corte di Cassazione ha stabilito che le società di autonoleggio e di leasing che cedono autoveicoli (acquistati nuovi) non possono mai usufruire del regime del margine ai fini IVA, in quanto è probabile che (trattandosi di beni utilizzati per l’esercizio dell’attività d’impresa) l’imposta sia stata detratta al momento dell’acquisto.

La Corte di Cassazione si pronuncia in tema di indagini finanziarie, stabilendo che, fatta salva la possibilità in capo al contribuente di fornire prova contraria, l’Ammini-strazione finanziaria può basare la propria attività di accertamento sulla presenza di versamenti e prelievi privi di giustificazione rinvenuti su conti correnti intestati a terzi (ritenuti strettamente legati alla società “incriminata”), se si dimostra, anche attraver-so presunzioni, la natura fittizia dell’intestazione del conto stesso.

La Corte di Cassazione ha stabilito che le sanzioni per infedele dichiarazione si appli-cano anche nel caso in cui il maggiore reddito accertato dal Fisco può essere azzerato con l’utilizzo di perdite pregresse.I giudici della Suprema Corte hanno precisato che il comportamento infedele è da sanzionare pure in presenza di perdite sufficienti ad azzerare i conti con l’Erario.

C. Cass., Sez. Trib., ord. n. 14896, depositata il 5 settembre 2012 – Legittimità dell’accertamento sintetico in presenza di donazio-ne senza atto pubblico

C. Cass., Sez. Trib., ord. n. 14899, depositata il 5 settembre 2012 – Regime del margine non ap-plicabile al leasing

C. Cass., Sez. Trib., sent. n. 15217, depositata il 12 settembre 2012 – Accertamento di redditi di una cooperativa in presenza di dati desunti da rapporti finanziari in capo a soggetti diversi dal contribuente

C. Cass., Sez. Trib., ord. n. 16333, depositata il 27 settembre 2012 – Sanzioni per infedele dichiara-zione applicabili anche nel caso in cui il Fisco venga risarcito

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Scadenze del meseScadenze di novembre 2012Eugenio RussoDottore commercialista e revisore legale dei conti

Venerdì 9 novembre 2012Versamento in modo virtuale dell’imposta di bollo relativa agli assegni circo-lari in circolazione alla fine del terzo trimestre 2012. Si versa a mezzo F/23 con cod. tributo 456T.

Sabato 10 novembre 2012Termine ultimo per la consegna al dipendente o pensionato del mod. 730 integrativo e del prospetto di liquidazione mod. 730/3 integrativo.

Termine ultimo per la trasmissione telematica all’Agenzia delle Entrate dei dati contenuti nelle dichiarazioni integrative 730/2012 e i relativi modelli 730-4 integrativi. Per approfondimenti si veda la circ. n. 15/E del 25 maggio 2012.

Giovedì 15 novembre 2012Registrazione, anche cumulativa, delle operazioni per le quali è rilascia-to scontrino fiscale. Annotazione nel registro di cui all’art. 24 del D.P.R. 633/1972.

Annotazione e registrazione dei corrispettivi e proventi di qualsiasi natura conseguiti nell’esercizio di attività commerciali. Annotazione nel registro approvato con D.M. 11 febbraio 1997 opportunamente integrato.

Ultimo giorno per versare imposte, contributi e ritenute, scadenti il 16 otto-bre 2012, più interessi e sanzioni ridotte al 3%. Versamento a mezzo F/24, codici sanzioni 8901 IRPEF, 8904 IVA, 8918 IRES, 8904 IRAP, 8906 Sostituti interessi dal 1989.

Venerdì 16 novembre 2012Versamento del saldo dovuto a seguito di liquidazione IVA mensile relativa a settembre 2012, con cod. 6009, se contabilità affidata a terzi a seguito di opzione di cui all’art. 1, comma 3, del D.P.R. 100/1998. Relativa a ottobre 2012 con cod. 6010, con F/24 telematico. Versamento dell’IVA relativa al terzo trimestre, cod. 6033, interessi 1%.

Presentazione della comunicazione dei dati contenuti nella dichiarazione d’intento ricevuta nel mese precedente. Invio telematico di apposito modello pubblicato su sito dell’Agenzia delle Entrate.

Banche e istituti di credito autorizzati a emettere assegni circolari

Centri di assistenza fiscale (CAF) o profes-sionisti abilitati

Centri di assistenza fiscale (CAF) o profes-sionisti abilitati

Soggetti esercenti commercio al minuto, grande distribuzione, che possono adottare le trasmissione telematica dei corrispettivi ex circ. n. 8/E 2006

Società sportive dilettantistiche, associazio-ni, pro loco che hanno optato per il regime agevolato di cui all’art. 1 della legge 398/1991

Contribuenti tenuti al versamento unitario di imposte e contributi.Ravvedimento

Soggetti passivi IVA.Liquidazione IVA mensile, liquidazione IVA trimestrale

Contribuenti IVA e intermediari abilitati alla trasmissione telematica delle dichiarazioni, che hanno ricevuto dichiarazione d’intento da esportatori abituali

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Versamento, con F/24 EP, delle ritenute alla fonte sui redditi di lavoro dipendente e assimilati, nonché su lavoro autonomo corrisposti nel mese precedente. Codici 100E e 104E. Versamento acconto mensile IRAP cod. 380E, dovuto su retribuzioni, redditi di lavoro dipendente e assimilati. Versamento della rata addizionale IRPEF, regionale cod. 381E e comunale cod. 384E, trattenuta a dipendenti e pensionati su competenze del mese precedente a seguito di conguaglio di fine anno. Versamento in unica so-luzione addizionale IRPEF, regionale e comunale trattenuta a lavoratori e pensionati su competenze del mese precedente a seguito di cessazioni del rapporto di lavoro.

Versamento con F/24 delle ritenute alla fonte su redditi di lavoro dipendente e assimilati, nonché su redditi di lavoro autonomo, codici 1001 e 1040.Versamento delle ritenute su emolumenti arretrati e redditi assimilati a lavo-ro dipendenti, codici 1002 e 1004.Versamento delle ritenute alla fonte su redditi di lavoro dipendente corrispo-sti nel 2011 e operate nel mese di aprile 2012 di cui all’art. 23, comma 3, del D.P.R. 600/1973.Versamento delle ritenute su indennità per cessazione di rapporto di lavoro.Versamento delle ritenute alla fonte su indennità di cessazione del rapporto di agenzia corrisposte nel mese di marzo 2012, cod. 1040.

Versamento delle rate successive alla prima, dell’imposta sostitutiva dell’IR-PEF dovuta in base alla dichiarazione dei redditi UNICO 2012 con maggiora-zione e interessi. Mod. F/24 telematico, cod. tributo 4025. Versamento del saldo IVA con maggiorazione dello 0,40% per mese dal 16 marzo 2012 al 16 giugno 2012, cod. 6099.Mod. F/24 telematico, cod. tributo 1800.Mod. F/24 telematico, cod. tributo 1793.

Versamento delle rate successive alla prima dell’IRES e dell’IRAP, a titolo di saldo per l’anno 2011 e di primo acconto per l’anno 2012 con maggiorazione dello 0,40% e interessi. F/24 telematico. IRES cod. 2003 e cod. 2001. IRAP codici 3800 e 3812. Versamento del saldo IVA con maggiorazione dello 0,4% e con applicazione degli interessi nella misura dello 0,95%. Cod. tributo 6099.

Versamento dell’imposta sugli spettacoli ISI relativa al mese di giugno 2012. F/24 telematico, cod. 6728.

Versamento della terza rata 2012 dei contributi fissi all’INPS. Versamento a mezzo F/24, sezione INPS.

Versamento della quarta rata dell’imposta sostitutiva nella forma della “cedolare secca”, dovuta a titolo di saldo per l’anno 2011 e di primo acconto per l’anno 2012, con la maggiorazione dello 0,40% e con applicazione degli interessi nella misura dello 0,95%.

Enti e amministrazioni pubbliche individuate dai D.M. economia e finanze del 5 ottobre 2007 e del 22 ottobre 2008

Sostituti d’imposta

Persone fisiche che presentano la dichia-razione dei redditi (UNICO 2012) e che si avvalgono del regime agevolato per le nuove iniziative imprenditoriali e di lavoro autono-mo (“forfettino”).Regime agevolato dei “contribuenti minimi”.Regime agevolato per l’imprenditoria giova-nile e i lavoratori in mobilità

Soggetti IRES, IRPEF per i quali sono stati elaborati gli studi di settore e coloro i quali non erano soggetti a studi di settore

Soggetti esercenti attività di intrattenimento di cui alla tariffa allegata al D.P.R. 600/1972

Artigiani e commercianti

Locatori, persone fisiche titolari di partita IVA, proprietari o titolari di altro diritto reale di godimento su unità immobiliari abitative locate, per finalità abitative, che abbiano esercitato l’opzione per il regime della cedo-lare secca e che hanno scelto il pagamento rateale e hanno effettuato il primo versamen-to entro il 20 agosto

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Lunedì 26 novembre

Presentazione degli elenchi riepilogativi (INTRASTAT) delle cessioni e/o acquisti intracomunitari di beni, nonché delle prestazioni di servizi intra-comunitari effettuati nel mese precedente. In via telematica all’Agenzia delle Dogane, a mezzo EDI, oppure all’Agenzia delle Entrate sempre in via telematica.

Mercoledì 28 novembre 2012Versamento del PREU relativo al quinto periodo contabile (settembre-otto-bre). Quarta rata pari al 25% di quanto dovuto per il periodo maggio-giugno 2012. Si versa con F/24. Accise e cod. tributo 5159.

Venerdì 30 novembre 2012Versamento dell’ultima rata con maggiorazione dello 0,4% oltre interessi nella misura dell’1,55%. Versamento a mezzo F/24, codici tributo 4001; 4033; 1668 interessi; 3801, 3805 (interessi); 3844, 3845.

Versamento della seconda o unica rata dell’IRPEF e dell’IRAP dovuta a titolo di acconto per l’anno 2012. Versamento a mezzo F/24, codici 4034 e 3813.

Versamento della seconda o unica rata dell’imposta sostitutiva nella forma della “cedolare secca”, dovuta a titolo di acconto per l’anno 2012. A mezzo F/24, cod. 1841.

Versamento della seconda o unica rata dell’IRES e dell’IRAP dovuta a titolo di acconto per l’anno 2012. Codici tributo 3813 IRAP, 2002 IRES.

Operatori intracomunitari con obbligo men-sile

Concessionari AAMS di apparecchi di in-trattenimento con vincite in denaro

Contribuenti non titolari di partita IVA che hanno optato per il pagamento rateale delle imposte da UNICO 2012

Persone fisiche tenute a effettuare i ver-samenti risultanti dalle dichiarazioni dei redditi, da quelle in materia di IRAP e dalla dichiarazione unificata annuale

Locatori, persone fisiche titolari di partita IVA, proprietari o titolari di altro diritto reale di godimento, che abbiano esercitato l’op-zione per il regime della cedolare secca

Società di persone ed enti equiparati, sog-getti IRES

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Vicenza, 8 e 9 novembreMilano, 14 e 15 novembrePadova, 27 e 28 novembreVerona, 4 e 5 dicembreBari, 12 e 13 dicembreI rapporti patrimoniali. Lo scioglimento e la liquidazioneRoma, 12 e 13 ottobreLe operazioni societarie straordinarieRoma, dal 19 ottobreDal bilancio d’esercizio al reddito d’impresaMilano, dal 19 ottobre

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