+ All Categories
Home > Documents > Orientamenti dell’arte contemporanea; Critica istituzionale (2015)

Orientamenti dell’arte contemporanea; Critica istituzionale (2015)

Date post: 30-Nov-2023
Category:
Upload: uniroma3
View: 0 times
Download: 0 times
Share this document with a friend
7
questi due Paesi, con i quali l’A. condivide due confini tut- tora chiusi. Rimaneva irrisolta la questione del Nagorno Karabakh, dove persisteva una situazione di conflitto ‘con- gelato’ con frequenti scontri lungo il confine che rischiavano periodicamente di degenerare in una guerra su larga scala. Inoltre, dopo le inconcludenti trattative per un accordo di associazione con l’Unione Europea, il 9 ottobre 2014 l’A., già membro della Comunità degli Stati indipendenti (v. csi) e dell’alleanza militare dell’Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva (CSTO), optò per l’iniziativa pro- mossa dalla Russia, suo principale partner economico e stra- tegico-militare, aderendo all’Unione economica eurasiatica. Bibliografia: Histoire des Arméniens, éd. G. Dédéyan, Tou- louse 1982, 2007 2 (trad. it. Storia degli armeni, a cura di A. Arslan, B.L. Zekiyan, Milano 2002); A. Ishkanian, Democracy building and civil society in post-Soviet Armenia, London-New York 2008. Riccardo Mario Cucciolla ARRIGHI, Giovanni. – Economista e sociologo, nato a Milano il 7 luglio 1937 e morto a Baltimora (Md.) il 18 giugno 2009. Docente presso le Università di Londra, Ha- rare in Zimbabwe, Dar es Salaam in Tanzania, Trento, Mi- lano, Cosenza, Binghamton (New York), Johns Hopkins (Baltimora). Nel corso della sua permanenza in Africa svolse ricerche sulle caratteristiche dell’offerta di lavoro, sul colo- nialismo e sui movimenti nazionali di liberazione. Oggetto delle sue analisi sistemiche e sottosistemiche, quantitative e qualitative, furono anche il gap di reddito tra Paesi ricchi e Paesi poveri, le differenze di welfare, i processi di mo- dernizzazione, il processo di finanziarizzazione dell’econo- mia globale, la world history, le dinamiche di longue durée del capitalismo. Fra le sue opere si ricordano Sviluppo eco- nomico e sovrastrutture in Africa (1969), Essays on the poli- tical economy of Africa (1973), Geometria dell’imperialismo (1978), Antisystemic movements (1989), Il lungo XX secolo (1996), I cicli sistemici di accumulazione (1999), Adam Smith in Beijing (2007). Stefania Schipani ARTE. I nuovi ambiti dell’arte. Orientamenti del- l’arte contemporanea. La delegated performance. Post- medialità dell’arte contemporanea. Tendenze della ricerca artistica dopo la ‘fine’ dell’arte. Bibliografia. Critica isti- tuzionale. Gli inizi e i pionieri della critica istituzionale. I successivi sviluppi. Bibliografia. Distopia. Mimesi lette- raria. Critica politica. Modernismo fallito. Tecnodistopia. Bibliografia I nuovi ambiti dell’arte. – Il campo delle cosiddette arti visive ha subito nell’ultimo decennio un profondo cambiamento, dal punto di vista sia del suo statuto sia della comune percezione di quelle espressioni usualmente asso- ciate a questo ambito. In particolare, si è messa fortemente in discussione la possibilità, dal punto di vista estetico, di poterne chiarire i confini a partire dalla specificità del mezzo e del linguaggio utilizzati. Sebbene questa crisi di denomi- nazione sia iniziata in tempi non recenti, in particolare con l’emergere di una sensibilità postmoderna, è solo negli ul- timi anni che si sono potute riscontrare le sue effettive con- seguenze nell’area della creatività contemporanea. Fra i tanti tentativi di definizione è di particolare interesse quello di arte percettiva, non perché essa descriva meglio di altre un territorio che sembra non poter essere facilmente circo- scritto, ma poiché rivela, nella ricerca artistica attuale, le istanze, i bisogni e l’importanza dell’‘altro’, sia esso pub- blico, fruitore, spettatore e finanche cliente a seconda dei contesti ai quali ci si riferisce. La centralità dell’esperienza, che ha chiari riferimenti e talvolta connivenze con il per- vasivo ambiente del marketing, viene sempre più spesso sottolineata nelle letture interpretative delle opere. Per dare conto di una situazione così liquida e ramificata si è preferito, quindi, tralasciare la descrizione delle tecniche tradizionali – come pittura, scultura, grafica – per affrontare piuttosto campi semantici più ampi che, non casualmente, ab- bracciano aree all’apparenza non direttamente riferibili alla produzione artistica o che hanno la loro radice in contesti di- versi, come, per es., la pratica dello storytelling o i fenomeni di ipermediazione e postmedialità (v. intermedialità). Nel- l’esaminare le correnti e i filoni di ricerca degli ultimi anni si è scelto di attenersi a quelli che hanno un’effettiva cogenza ri- spetto al sistema dell’a. (v.) contemporanea, che vive spesso una sua eteronomia rispetto all’esperienza creativa e che, ne- gli ultimi anni, ha mostrato di essere arrivato a piena auto- nomia nel suo circolo di dipendenza reciproca fra curatori, critici, mercato (v. mercato dell’arte), trustees, fiere e ras- segne periodiche. Un’autonomia che ha influenzato, con il suo peso di validazione dell’opera, anche i recenti e apparente- mente non controllabili movimenti finanziari sviluppatisi a partire dalla crisi. In questo senso, le categorie tradizionali delle arti visive, pur continuando a essere fenomeni diffusi e con un seguito di pubblico costante, non risultano a oggi par- ticolarmente adatte a essere verificate da teorie critiche che fanno della potenzialità di allargamento a campi diversi la loro forza, come, per es., è il caso dei visual studies (v.). La vastità di queste aree applicative ha la sua radice nel definitivo af- fermarsi dell’estetica relazionale (v.) come base di una dia- lettica fra opera e guardante che porta inevitabilmente con sé la percezione di transitorietà e provvisorietà, divenuta ne- cessaria a qualunque forma di godimento estetico. Naturale corollario questo a una decisiva revisione del concetto di pro- prietà del bene di lusso che lascia spazio, piuttosto, al desi- derio di accedere a contenuti, conoscenze ed esperienze ad altri preclusi. Luigia Lonardelli Orientamenti dell’arte contemporanea. – Il pano- rama delle arti visive nei primi decenni del 21° sec. è ca- ratterizzato da un’ulteriore accelerazione di processi già profilatisi alla fine del secolo scorso, a partire dalla compiuta ‘mondializzazione’ del sistema dell’a. – allargatosi a com- prendere ormai, in stretta connessione con le dinamiche economiche e politiche generali, anche aree in precedenza considerate periferiche, in primo luogo la Cina, e quindi l’America Latina, il subcontinente indiano, il mondo arabo. Numerose sono anche le nuove istituzioni museali pubbli- che e private specificamente dedicate alla creazione artistica contemporanea aperte nello stesso periodo – per es., la nuova sede della Fondation Pinault nella restaurata Punta della Dogana a Venezia (2009), il MAXXI (Museo nazionale delle Arti del XXI secolo) e il MACRO (Museo d’Arte Con- temporanea ROma) a Roma (2010), il Centre Pompidou a Metz (2010), la Power Station of art a Shanghai (2012), il Museo-Fundación Jumex a Città di Messico (2013), la Fondation Vuitton a Parigi (2014), il Guggenheim Abu Dhabi (apertura prevista nel 2017) –, mentre le principali fiere internazionali hanno rafforzato la loro tendenza ad ac- creditarsi come ‘eventi’ complessi e influenti anche in senso culturale (esemplare il caso della fiera Art Basel con le sue tre sedi di Basilea, Miami e Hong Kong), a conferma del ruolo cardine del mercato e del collezionismo nell’orienta- mento della ricerca artistica più recente. L’esponenziale aumento della sua visibilità non rende meno complesso per la critica il compito di definire i ca- ratteri dell’arte contemporanea, un sintagma che non rinvia 109 ARMENIA - ARTE A definitivo IX app 001_145:Appendice IX 28-09-2015 12:42 Pagina 109
Transcript

questi due Paesi, con i quali l’A. condivide due confini tut-tora chiusi. Rimaneva irrisolta la questione del NagornoKarabakh, dove persisteva una situazione di conflitto ‘con-gelato’ con frequenti scontri lungo il confine che rischiavanoperiodicamente di degenerare in una guerra su larga scala.

Inoltre, dopo le inconcludenti trattative per un accordodi associazione con l’Unione Europea, il 9 ottobre 2014l’A., già membro della Comunità degli Stati indipendenti (v.csi) e dell’alleanza militare dell’Organizzazione del trattatodi sicurezza collettiva (CSTO), optò per l’iniziativa pro-mossa dalla Russia, suo principale partner economico e stra-tegico-militare, aderendo all’Unione economica eurasiatica.

Bibliografia: Histoire des Arméniens, éd. G. Dédéyan, Tou-louse 1982, 20072 (trad. it. Storia degli armeni, a cura di A. Arslan,B.L. Zekiyan, Milano 2002); A. Ishkanian, Democracy buildingand civil society in post-Soviet Armenia, London-New York 2008.

Riccardo Mario Cucciolla

ARRIGHI, Giovanni. – Economista e sociologo, natoa Milano il 7 luglio 1937 e morto a Baltimora (Md.) il 18giugno 2009. Docente presso le Università di Londra, Ha-rare in Zimbabwe, Dar es Salaam in Tanzania, Trento, Mi-lano, Cosenza, Binghamton (New York), Johns Hopkins(Baltimora). Nel corso della sua permanenza in Africa svolsericerche sulle caratteristiche dell’offerta di lavoro, sul colo-nialismo e sui movimenti nazionali di liberazione. Oggettodelle sue analisi sistemiche e sottosistemiche, quantitativee qualitative, furono anche il gap di reddito tra Paesi ricchie Paesi poveri, le differenze di welfare, i processi di mo-dernizzazione, il processo di finanziarizzazione dell’econo-mia globale, la world history, le dinamiche di longue duréedel capitalismo. Fra le sue opere si ricordano Sviluppo eco-nomico e sovrastrutture in Africa (1969), Essays on the poli-tical economy of Africa (1973), Geometria dell’imperialismo(1978), Antisystemic movements (1989), Il lungo XX secolo(1996), I cicli sistemici di accumulazione (1999), Adam Smithin Beijing (2007). Stefania Schipani

ARTE. – I nuovi ambiti dell’arte. Orientamenti del-

l’arte contemporanea. La delegated performance. Post -medialità dell’arte contemporanea. Tendenze della ricercaartistica dopo la ‘fine’ dell’arte. Bibliografia. Critica isti-

tuzionale. Gli inizi e i pionieri della critica istituzionale. Isuccessivi sviluppi. Bibliografia. Distopia. Mimesi lette-raria. Critica politica. Modernismo fallito. Tecnodistopia.Bibliografia

I nuovi ambiti dell’arte. – Il campo delle cosiddettearti visive ha subito nell’ultimo decennio un profondocambiamento, dal punto di vista sia del suo statuto sia dellacomune percezione di quelle espressioni usualmente asso-ciate a questo ambito. In particolare, si è messa fortementein discussione la possibilità, dal punto di vista estetico, dipoterne chiarire i confini a partire dalla specificità del mezzoe del linguaggio utilizzati. Sebbene questa crisi di denomi-nazione sia iniziata in tempi non recenti, in particolare conl’emergere di una sensibilità postmoderna, è solo negli ul-timi anni che si sono potute riscontrare le sue effettive con-seguenze nell’area della creatività contemporanea. Fra itanti tentativi di definizione è di particolare interesse quellodi arte percettiva, non perché essa descriva meglio di altreun territorio che sembra non poter essere facilmente circo-scritto, ma poiché rivela, nella ricerca artistica attuale, leistanze, i bisogni e l’importanza dell’‘altro’, sia esso pub-blico, fruitore, spettatore e finanche cliente a seconda deicontesti ai quali ci si riferisce. La centralità dell’esperienza,

che ha chiari riferimenti e talvolta connivenze con il per-vasivo ambiente del marketing, viene sempre più spessosottolineata nelle letture interpretative delle opere.

Per dare conto di una situazione così liquida e ramificatasi è preferito, quindi, tralasciare la descrizione delle tecnichetradizionali – come pittura, scultura, grafica – per affrontarepiuttosto campi semantici più ampi che, non casualmente, ab-bracciano aree all’apparenza non direttamente riferibili allaproduzione artistica o che hanno la loro radice in contesti di-versi, come, per es., la pratica dello storytelling o i fenomenidi ipermediazione e postmedialità (v. intermedialità). Nel-l’esaminare le correnti e i filoni di ricerca degli ultimi anni siè scelto di attenersi a quelli che hanno un’effettiva cogenza ri-spetto al sistema dell’a. (v.) contemporanea, che vive spessouna sua eteronomia rispetto all’esperienza creativa e che, ne-gli ultimi anni, ha mostrato di essere arrivato a piena auto-nomia nel suo circolo di dipendenza reciproca fra curatori,critici, mercato (v. mercato dell’arte), trustees, fiere e ras-segne periodiche. Un’autonomia che ha influenzato, con il suopeso di validazione dell’opera, anche i recenti e apparente-mente non controllabili movimenti finanziari sviluppatisi apartire dalla crisi. In questo senso, le categorie tradizionalidelle arti visive, pur continuando a essere fenomeni diffusi econ un seguito di pubblico costante, non risultano a oggi par-ticolarmente adatte a essere verificate da teorie critiche chefanno della potenzialità di allargamento a campi diversi la loroforza, come, per es., è il caso dei visual studies (v.). La vastitàdi queste aree applicative ha la sua radice nel definitivo af-fermarsi dell’estetica relazionale (v.) come base di una dia-lettica fra opera e guardante che porta inevitabilmente consé la percezione di transitorietà e provvisorietà, divenuta ne-cessaria a qualunque forma di godimento estetico. Naturalecorollario questo a una decisiva revisione del concetto di pro-prietà del bene di lusso che lascia spazio, piuttosto, al desi-derio di accedere a contenuti, conoscenze ed esperienze adaltri preclusi. Luigia Lonardelli

Orientamenti dell’arte contemporanea. – Il pano-rama delle arti visive nei primi decenni del 21° sec. è ca- ratterizzato da un’ulteriore accelerazione di processi giàprofilatisi alla fine del secolo scorso, a partire dalla compiuta‘mondializzazione’ del sistema dell’a. – allargatosi a com-prendere ormai, in stretta connessione con le dinamicheeconomiche e politiche generali, anche aree in precedenzaconsiderate periferiche, in primo luogo la Cina, e quindil’America Latina, il subcontinente indiano, il mondo arabo.Numerose sono anche le nuove istituzioni museali pubbli-che e private specificamente dedicate alla creazione artisticacontemporanea aperte nello stesso periodo – per es., lanuova sede della Fondation Pinault nella restaurata Puntadella Dogana a Venezia (2009), il MAXXI (Museo nazionaledelle Arti del XXI secolo) e il MACRO (Museo d’Arte Con-temporanea ROma) a Roma (2010), il Centre Pompidou aMetz (2010), la Power Station of art a Shanghai (2012), ilMuseo-Fundación Jumex a Città di Messico (2013), laFondation Vuitton a Parigi (2014), il Guggenheim AbuDhabi (apertura prevista nel 2017) –, mentre le principalifiere internazionali hanno rafforzato la loro tendenza ad ac-creditarsi come ‘eventi’ complessi e influenti anche in sensoculturale (esemplare il caso della fiera Art Basel con le suetre sedi di Basilea, Miami e Hong Kong), a conferma delruolo cardine del mercato e del collezionismo nell’orienta-mento della ricerca artistica più recente.

L’esponenziale aumento della sua visibilità non rendemeno complesso per la critica il compito di definire i ca-ratteri dell’arte contemporanea, un sintagma che non rinvia

109

ARMENIA - ARTE

A definitivo IX app 001_145:Appendice IX 28-09-2015 12:42 Pagina 109

a categorie estetiche o formali né tantomeno si identifica conla mera attualità. Contemporaneo va inteso non come ciòche semplicemente nasce nel presente, ma piuttosto comeuna forma di interpretazione del presente stesso, che all’ap-parente autoevidenza dell’oggi, al sincronismo sempre rin-novato della moda, contrappone una capacità di accoglieree tematizzare temporalità e durate diverse. In quanto tale lacreazione artistica contemporanea può essere immaginatacome una struttura anacronica, come un tessuto di allegoriee di ritorni, di appuntamenti inattesi tra immagini, simboli,idee, come una frontiera mobile che trascende la cronologiae la riconfigura secondo parametri che compongono un’ipo-tesi alternativa per il presente, ovvero gli conferiscono unadiversa visibilità e possibilità di significato (cfr. J.-L. Nancy,L’arte oggi, in Del contemporaneo. Saggi su arte e tempo, acura di F. Ferrari, 2007, pp. 1-20). Tratto caratteristico diquesta temporalità asincrona, e strategia creativa essenzialedelle pratiche artistiche più recenti, è l’appropriazione, valea dire la citazione, l’annessione, il trasferimento o il furto di‘oggetti’ culturali, siano essi immagini, testi, artefatti, memi,di provenienza ‘alta’ o vernacular. Una modalità intrinse-camente ironica e mimetica – in quanto tale non nuova nélimitata al solo campo artistico – in cui è sempre implicitauna relazione ambivalente con l’oggetto appropriato, dovela riproposizione coincide anche con la reificazione e il‘consumo’. Attraverso l’appropriazione si apre nell’epocapostmoderna la possibilità di sviluppare una serie di dina-miche di risignificazione in cui il gesto artistico si dissolvea contatto con i processi di ripetizione e moltiplicazione ti-pici della produzione di merci e al tempo stesso si proponecome loro momento di crisi e riapertura critica. Essa si ri-vela perciò non uno strumento per liquidare l’esperienzadell’a., ma per riattivare al suo interno una dinamica di tra-sformazione al di là della metafisica dello smascheramentoe della ‘pretesa di verità’ propria delle esperienze moderni-ste (cfr. Welchman 2001).

La delegated performance. – Già dagli anni Ottanta delNovecento le pratiche artistiche si sono presentate comeambito di negoziazione tra narrazioni e rappresentazioni, tra‘realtà’ e ‘finzioni’ in competizione tra loro, nel quale codicie modalità espressive ereditate dalle esperienze dei decenniprecedenti – dalla pop art ai vari filoni concettuali, perfor-mativi e processuali –, dialogano, o entrano in attrito, con imodelli identitari e i meccanismi comunicativi della societàdi massa, sullo sfondo di impetuosi processi di globalizza-zione economica e disidentificazione culturale. Rilevante inquesto senso è la tendenza delle esperienze artistiche degliultimi due decenni a espandersi al campo sociale attraversostrategie diversificate di partecipazione, dove la relazione traartista, opera e pubblico viene ripensata alla luce di formatiinediti, per es. la delegated performance, un peculiare tipo di‘azione’ in cui dei soggetti ‘performano’ aspetti della loroidentità o ruoli appositamente concepiti dall’artista (cfr.Bishop 2012, pp. 219-39).

Di questa modalità è un esempio precoce il lavoro diMaurizio Cattelan (n. 1960) AC Forniture Sud (1991), unasquadra di calcio composta da immigrati senegalesi che re-cavano sulla maglietta il provocatorio logo «RAUSS» (rie-cheggiante il famigerato comando nazista poi diventatoslogan xenofobo), attiva in Emilia Romagna, le cui iniziativevennero reclamizzate dall’artista in uno stand abusivo nellaFiera d’arte di Bologna del 1991. Con la squadra Cattelanimmetteva nel contesto fintamente benevolo di uno sport po-polare un fenomeno recente nell’Italia dell’epoca come l’im-migrazione e la reazione ostile o apertamente razzista cheesso suscitava, senza tuttavia che fosse possibile determinare

con certezza il valore morale dell’operazione: nella sua iro-nica ambiguità, AC Forniture Sud mostra nei corpi vivi deigiovani calciatori il discredito di ogni prospettiva tradizio-nalmente ‘progressiva’ nell’interpretazione del presente.Ancora più controverso e provocatorio è un lavoro come Lí-nea de 250 cm tatuada sobre 6 personas remuneradas (1999)dello spagnolo Santiago Sierra (n. 1966), in cui, durante unaperformance pubblica, sei giovani disoccupati dell’Avana sifacevano tatuare la schiena in cambio di un modesto com-penso. Se il tema politico è dichiarato – la condizione delleclassi subalterne, i meccanismi di dominio economico e so-ciale – la presenza fisica e il gesto irreversibile del tatuaggioconferiscono all’azione una specifica crudeltà che chiama incausa lo stesso spazio discorsivo dell’arte. Ancora su questalinea di tendenza si situa il video Them (2007) del polaccoArtur Żmijewski (n. 1966), in cui l’artista, riprendendoquasi il format di un reality show televisivo, riunisce difronte alla telecamera quattro gruppi rappresentanti di op-posti orientamenti politici e religiosi della società polacca(cristiani integralisti, nazionalisti, socialisti, ebrei), ai qualiviene chiesto di dipingere immagini emblematiche delle ri-spettive visioni del mondo. L’esito dell’incontro è tuttaviacatastrofico: i partecipanti finiscono per scagliarsi contro gliavversari ideologici distruggendone i ‘quadri’. All’investi-mento etico, al valore liberatorio e catartico tradizional-mente connesso alla tradizione dell’a. politica subentra intutti questi casi l’assunzione di una politicità ambigua e ci-nica, colta nel suo farsi atto violento e contraddittorio.

Ancora diverso è l’approccio alla delegated performance diMarcello Maloberti (n. 1966), che nei suoi lavori investe di-rettamente lo spazio pubblico, la piazza e la strada, adottandodi volta in volta le modalità della festa, del corteo, del con-certo. I suoi lavori sollecitano spesso una forma di coinvol-gimento diretto, come in C.I.R.C.U.S. (2003-07), un grandetendone da mercato e quattro automobili che illuminano lascena (una piazza o un altro luogo simile) con i fari accesi dif-fondendo musica ad alto volume, dove a realizzare l’operasono direttamente i passanti, chiamati a una partecipazionedistratta e tuttavia sufficiente ad attivare un sottile sposta-mento di visuale grazie al quale elementi familiari si ri- compongono in uno spazio temporaneamente sottratto alleconsuetudini sociali. In questa chiave si può leggere ancheThe ants struggle on the snow (2009), una performance realizza -ta nel cuore intellettuale e artistico di Manhattan. È una sortadi collage di elementi familiari del repertorio di Malobertiinseriti in una coreografia anarchica e festosa, un po’ corteocarnevalesco un po’ teatro di strada, metafora di un’umanitàche sembra poter resistere ai processi di dominazione, chenon accetta di ridurre all’orizzonte incombente di una ‘iden-tità senza persona’ ogni ipotesi di mondo a venire.

Postmedialità dell’arte contemporanea. – Nel contestocontemporaneo le opere d’a. si presentano spesso come ir-riducibili singolarità che tematizzano – insieme al propriocontraddittorio status di merci dotate di indiscusso prestigiosociale – la relazione con lo spazio collettivo, il luogo diesposizione, lo spettatore, l’identità psichica e politica, fa-cendone altrettanti snodi di una ridefinizione delle possibi-lità operative dell’a. spesso in una relazione ambivalentecon i dispositivi spettacolari che danno forma all’esperienzasociale contemporanea. Figura chiave in questo senso èquella dello statunitense Mike Kelley (1954-2012), la cuiopera utilizza un’esuberante commistione di linguaggi emedia (disegno, pittura, installazione, performance, video)ed è incentrata su tematiche di ordine psichico e sociale –la repressione del desiderio, l’autorità, la religione, l’in-fanzia, il potere dell’immaginazione e la sostanza emotiva

110

ARTE

A definitivo IX app 001_145:Appendice IX 28-09-2015 12:42 Pagina 110

dell’esperienza quotidiana. Nutrita di psicoanalisi, cosparsadi riferimenti colti, insieme comica e lirica, quella di Kelleyè una magistrale esplorazione della cultura popolare con-temporanea in cui prevale un effetto di abbassamento, diirrimediabile deriva in un universo popolato da ‘adulti di-sadattati’, sottomessi a un’autorità o abbandonati al loroinevitabile fallimento. Le sue installazioni manifestano ilcarattere di un’esperienza creativa in cui forma e stile nonhanno più significato e il cui posto è preso da un’incontrol-labile proliferazione di residui, frammenti, scarti, materie‘abiette’ che riflettono un’assoluta sfiducia nell’ordine socialee nelle presunte virtù salvifiche dei linguaggi artistici.

Una delle sue opere più note, More love hours than canever be repaid (1987), compendia temi tipici del suo lavoro(l’insufficienza affettiva, il desiderio di rassicurazione, l’ac-cumulazione nonsense) e il suo personale uso dei materiali, inquesto caso vecchi peluche, reperti sentimentali dal retro-gusto amaro e struggente. Il giocattolo consunto dal troppouso è in effetti il negativo, materiale e morale, degli scintil-lanti oggetti di consumo, degli elettrodomestici, dei so-prammobili implacabilmente allineati nelle opere di JeffKoons o di Haim Steinbach dello stesso periodo. Il pelucheaddita il sottofondo represso e distorto dell’esistenza con-sumista e al tempo stesso riammette temporaneamente qual-cosa che non può essere mercificato: l’elemento affettivo, ildono, non quantificabile in termini di valore monetario e cheappunto ‘non può essere ripagato’. Un tableau emotivo am-bivalente – dato che, nella condizione contemporanea ancheciò che si compra e si vende è divenuto ‘emozione’ – in cuieconomia e psicoanalisi si intrecciano nella forma impreve-dibile, e falsamente rassicurante, di un rendez-vous fatale.

Dagli anni Novanta in poi Kelley è andato sempre piùconcentrandosi sui temi dalla memoria personale e delpotere dell’istituzione. Opera chiave di questa fase è Edu-cational complex (1995-2008), un plastico in scala che ri-produce, ricombinandoli, tutti gli edifici scolastici in cui siè svolta la formazione dell’artista, perno di una complessainstallazione in cui è raccolta una costellazione di materialid’archivio attraverso i quali si è obliquamente invitati a en-trare in contatto con i meccanismi oppressivi che regolanol’apprendimento. Il modello è realizzato rigorosamente ‘amemoria’ e incorpora spazi vuoti, indefiniti, sfuggiti al ri-cordo; le lacune, come i traumi psichici, fanno emergere ilprocesso attraverso il quale l’individuo viene ‘fabbricato’ dalsistema educativo, la successione di repressioni e discipli-namenti di cui è oggetto, la mescolanza di ansia, frustrazione,malinconia che esso produce. Il risultato è un’accumulazioneinforme di frammenti, di fantasmi, di ossessioni e ripetizioni,in cui l’obbligata negoziazione tra ‘io’ e ‘mondo’ apparenella forma di un’epica grottesca e non sublimata.

Nel suo complesso l’opera di Kelley illustra bene il ca-rattere postmediale dell’esperienza artistica contemporanea,connotata dall’abbandono del carattere specifico dei media(pittura, scultura, fotografia ecc.), a favore di pratiche fondatesu una nozione di arte-in-generale, vale a dire non solo indi-pendente da preoccupazioni tradizionali, e anzi spesso diret-tamente affidata a esecutori specializzati, ma anche pronta aoltrepassare la sfera visiva grazie a sistematici sconfinamentiin altri regimi estetici. Da tecnica di esecuzione, il medium sitrasforma in una ‘matrice’, in uno spazio di possibilità, prontoa sua volta a essere riconfigurato. Così, per es., se la praticapittorica ha perduto nella contemporaneità la sua posizioneprivilegiata, essa non va per questo considerata storicamenteantiquata: al pari di altri media essa è oggi sottoposta a un pro-cesso di revisione e riappropriazione permanente che tendea mostrarne la sua natura internamente eterogenea, ibridata

con altri campi di formazione dell’immagine (fotografia, ci-nema, televisione, architettura ecc.). È quanto accade nel-l’opera di pittori come il belga Luc Tuymans (n. 1958) o lastatunitense Julie Meh retu (n. 1970) che, in modi diversi,mettono apertamente in questio ne il carattere in apparenza‘ritardatario’ della pittura, precisamente inserita in quella dia-lettica tra obsolescenza e redenzione, tra specificità e gene-ralità, che è al cuore della contemporaneità artistica (cfr. R.Krauss, ‘Specific’ objects, «Res», 2004, 46, pp. 221-24; trad.it. in Reinventare il medium, 2005, pp. 37-47). Nel lavoro dellostatunitense Wade Guyton (n. 1972) il ‘dipinto’, realizzato alcomputer e stampato su tela con tecnologia a getto di in-chiostro, diviene invece il luogo di un confronto tra controlloe caso, tra automatismo ed entropia, come nella serie Unti-tled (2011), dove l’immagine di partenza (un monocromonero stampato con intensità al 50%) viene esposto all’acci-dentalità della realizzazione meccanica che ‘sporca’ e altera inmodi imprevedibili l’originaria uniformità.

Tendenze della ricerca artistica dopo la ‘fine’ dell’arte. – Perdar conto delle tendenze della ricerca artistica più recenteè opportuno privilegiare quelle personalità il cui lavorotocca problematiche centrali nell’ecosistema culturale diinizio secolo, un cui parziale elenco potrebbe comprendereil rapporto con le altre discipline creative e con l’immagi-nario mediatico, il confronto tra culture diverse, le diffe-renze sociali e di genere, l’impatto delle nuove tecnologie, lasfera biopolitica, i modelli di sviluppo economico, l’orga-nizzazione urbana, le questioni ecologiche, l’eredità storica.Sono questi alcuni dei modi con cui gli artisti contempora-nei tematizzano le nuove coordinate culturali del mondoglobalizzato, un tempo che potremmo definire postumo, so-pravvissuto alla ‘fine’ dell’a., e in cui, almeno in apparenza,tutto è possibile e nulla è veramente ‘differente’ (cfr. A.C.Danto, After the end of art, 1997; trad. it. 2008).

Dotata di una cifra espressiva molto diversificata, l’operadel belga Francis Alÿs (n. 1959) si concentra sui punti di at-trito, politicamente sensibili, dell’attuale struttura sociale. Isuoi lavori nascono sempre da esperienze dirette, da viaggio ‘attraversamenti’ urbani documentati tramite video, maanche disegni, fotografie, dipinti o materiali effimeri. Que-sta flessibilità di approccio è ben esemplificata dall’azioneThe modern procession, realizzata a New York nel giugno2002, in cui Alÿs organizza un corteo che replica il traslocodelle opere d’a. dal Museum of modern art, nel cuore diManhattan, a una sede espositiva temporanea, una ‘proces-sione’ appunto, dove al posto di effigi sacre vengono tra-sportate riproduzioni di celebri capolavori del museo inquello che appare un ironico attacco al valore canonico del-l’a. moderna. Iscritta in un contesto di drammatiche tensionipolitiche e sociali è invece la performance When faith movesmountains (2002) realizzata a Lima, in Perù, in cui un gruppodi 500 volontari, equipaggiati di pale e disposti in una lungafila ai piedi di una gigantesca duna di sabbia, lavora lette-ralmente a ‘muovere la montagna’, spostando il materialesabbioso a una certa distanza. È un gesto «futile ed eroico, as-surdo e necessario», scrive l’artista, che «cerca di trasferire letensioni sociali in una narrazione che a sua volta trasformail paesaggio immaginario di un luogo» (F. Alÿs, A thousandwords, «Artforum», Summer 2002, p. 167).

Il lavoro dell’inglese Jeremy Deller (n. 1966) è caratte-rizzato da uno spiccato valore etnografico. Formatosi comestorico d’arte, Deller ha sviluppato un percorso basato siasulla rivisitazione della memoria collettiva, sia sulla fertiliz-zazione di nuovi scenari sociali e culturali tramite inter-venti destinati ad agire in tempi lunghi. La sua opera piùnota è The battle of Orgreave (2001), ricostruzione di uno

111

ARTE

A definitivo IX app 001_145:Appendice IX 28-09-2015 12:42 Pagina 111

scontro avvenuto il 18 giugno 1984 tra la polizia inglese e ungruppo di minatori in sciopero contro il governo Thatcher.Deller riunisce un gruppo di vecchi minatori e di poliziotti(che, in alcuni casi, invertono i propri ruoli originali) in-sieme a un certo numero di comparse per (re)inscenareuno scontro di piazza rimasto storico per la sua crudezza. Lapratica del re-enactment permette a Deller di far rivivere lastoria, sebbene la ricostruzione della memoria crei qualcosadi completamente nuovo. L’episodio è infatti rivissuto in ac-cordo con cronache e testimonianze, ma senza nascondernela natura controversa e di fatto irriproducibile. In questosenso, la pratica del re-enactment rappresenta una delle fi-liazioni dell’estetica relazionale (v.) teorizzata dal criticofrancese Nicolas Bourriaud (v.), «un’arte che assume comeproprio orizzonte teorico il dominio delle interazioni umanee il suo contesto sociale, più che l’asserzione di uno spaziosimbolico indipendente e privato» (Esthétique relationnelle,1998; trad. it. 2001, p. 14), come appare anche in un’operapiù recente, It is what it is (2009), in cui Deller crea un’oc-casione di dialogo informale sulla guerra in ῾Irāq, coinvol-gendo un riservista dell’esercito e un artista iracheno in unviaggio attraverso gli Stati Uniti accompagnato dal relitto diun’automobile distrutta in un’esplosione a Baghdād.

Punto centrale della ricerca del francese Pierre Huyghe(n. 1962) è il rapporto tra realtà, rappresentazione e inter-pretazione, visto di preferenza attraverso il filtro del cinemae dei prodotti dell’entertainment industry. Così, per es.,nella videoinstallazione The third memory (2000), JohnWojtowicz, il vero autore della rapina a cui si ispira il filmDog day afternoon (1975; Quel pomeriggio di un giorno dacani), reinterpreta in un teatro di posa il drammatico even -to, mentre in parallelo scorrono immagini del film di SidneyLumet e brani delle riprese televisive originali. L’artista siconfronta con la nozione di postproduzione (v.), un ap-proccio creativo che non si limita a selezionare e rielaborarelinguaggi e contenuti, ma riutilizza anche le stesse forme diesposizione e distribuzione alla stregua di inesauribili re-pertori di forme. Un esempio di questo approccio inconsuetoe sottilmente provocante è This is not a time for dreaming

(2004), un film in 16 mm che ripren -de un trasognato spettacolo di mario-nette su musiche di Iannis Xenakised Edgard Varèse in cui l’architettoLe Corbusier, al lavoro sul progettodel Carpenter Center for the visualarts dell’Università di Harvard, l’arti-sta stesso e altri personaggi danno vitaa un’ironica rilettura delle mitologiemoderniste e delle condizioni mate-riali del lavoro creativo (cfr. G. Baker,An interview with Pierre Huyghe, «Oc-tober», Fall 2004, 110, pp. 80-106).Nell’installazione Untilled (2011-12),presentata a Documenta 13, Huyghecrea in un’area marginale del parcopubblico Karlsaue a Kassel un clusterdi segni, oggetti, materiali, animali(tra cui un alveare cresciuto su unascultura e due cani), piante velenose odagli effetti psicotropi e così via, checompongono un insieme instabile econtingente di eventi, processi biolo-gici e trasformazioni fisiche. Lo spa-zio untilled, cioè incolto, diviene cosìun campo aperto di possibilità per-cettive e di associazioni simboliche sul

cui sfondo si disegna una diversa relazione tra vita indivi-duale ed esistenza sociale.

Una diversa linea di ricerca è quella innervata da ciò cheil critico statunitense Hal Foster ha chiamato «impulso al-l’archivio», vale a dire l’uso di raccolte di immagini, oggetti,testi, testimonianze di ogni genere da parte di artisti-archi-visti in un’epoca dominata dal disfacimento accelerato dellamemoria e dalla caduta della tradizionale fiducia umanisticanei poteri terapeutici della storia (cfr. H. Foster, An archi-val impulse, «October», Fall 2004, 110, pp. 3-22). Si trattadi operazioni necessariamente prive di sistematicità, espesso anzi basate su archivi informali o costituiti per l’oc-casione, presentati quasi sempre nel formato dell’installa-zione, il più adatto a preservare la natura eterogenea, di-scontinua, frammentaria degli oggetti ‘ritrovati’.

Un esempio di questa modalità è il lavoro dell’artistabritannica Tacita Dean (n. 1965), articolato in film, video,fotografie, brani sonori, testi, che mettono spesso in rela-zione frammenti dal passato e scenari non avveratisi di unfuturo alternativo. Nei suoi film la tecnica analogica di ri-presa e di proiezione appare un elemento determinante:l’obsolescenza dei mezzi tecnici, le loro caratteristiche ma-teriali (il rumore meccanico dei proiettori, la ‘grana’ delleimmagini sullo schermo ecc.), fanno sì che le proprietà delmedium agiscano in modo ricorsivo sui materiali visualizzati,sviluppando interconnessioni tra dimensione interiore emondo esterno, tra elementi reali e proiezioni immaginarie,tra documentazioni e risonanze poetiche. Tra gli esempi piùeloquenti di questo approccio vi è la trilogia di cortome-traggi dedicata a Donald Crowhurst, un uomo d’affari chenel 1968 partecipò alla Golden globe race, scomparendo inmare durante quello che sarebbe dovuto essere il primo girodel mondo in solitario in barca a vela. Nel terzo dei tre film,Teignmouth electron (2000), l’artista si spinge sino ai Caraibiper documentare i resti del trimarano di Crowhurst, relittoemblematico di un’inevitabile sconfitta. In un altro film in16 mm, Fernsehturm (2001), girato nel ristorante panora-mico ruotante in cima alla torre della televisione a Berlino,Dean documenta invece le metamorfosi di un luogo simbolo

112

ARTE

Jeremy Deller, It is what it is, New Museum, New York, 2009( fot. Carolyn Wachnicki)

A definitivo IX app 001_145:Appendice IX 28-09-2015 12:42 Pagina 112

della ex capitale della Germania orientale nei vari momentidella giornata. Il tempo breve del giorno, scandito dal mo-vimento rotatorio del ristorante, e quello lungo della storiasi congiungono problematicamente così come le due partidella città ormai riunificata.

In Italia, l’esplorazione della memoria, delle sue eclissie dei suoi inattesi ritorni, è al centro del percorso di Elisa-betta Benassi (n. 1966), come mostra un suo lavoro del2007, Alfa Romeo GT Veloce 1975-2007, un’automobilesimbolo della stagione del boom economico italiano, altempo stesso incarnazione della mitologia della velocità e le-tale ‘macchina celibe’, identica al coupé grigio metallizzatoappartenuto a Pier Paolo Pasolini che, nella notte del 2 no-vembre 1975, all’idroscalo di Ostia, si trasformò nelle manidel ragazzo di vita Pino Pelosi nello strumento della mortedel poeta. Immobile, con i fanali accesi, l’Alfa Romeo ap-pare un ostinato revenant, un fantasma non vendicato checontinua a recarsi in modo ossessivo sul luogo del propriomartirio. In Memorie di un cieco (2010), l’artista componeinvece un vasto archivio di fotografie di agenzia, letto let-teralmente ‘dal rovescio’, dal lato cioè delle didascalie, deitimbri, delle etichette, delle marcature apposte sulle stampe,e senza mai rivelare l’immagine vera e propria. L’artista rea-lizza a questo modo un’operazione archeologica, tracciandousi, interpretazioni e circolazione delle immagini nei media,ricostruendo così l’‘indice temporale’ delle singole immaginie trasformando infine la raccolta nel formato ormai obsoletodel microfilm che un lettore automatizzato scorre a caso inavanti e indietro: una peculiare macchina del tempo que-st’ultima che mostra come si fa, come funziona la storia, ri-montando in forma caotica le immagini e mostrandone la

natura dialettica, il loro essere cioè il risultato dell’incontro,della collisione tra diverse prospettive temporali, quelladella loro realizzazione e quella delle loro riletture a distanza(Cortellessa 2010, pp. 7-8).

Bibliografia: F. Bonami, N. Spector, B. Vanderlinden,Maurizio Cattelan, London 2000; N. Bourriaud, Postproduc-tion, Dijon 2001 (trad. it. Milano 2004); J.C. Welchman, Art af-ter appropriation. Essays on art in the 1990s, Amsterdam-London2001; J.-Ch. Royoux, M. Warner, G. Greer, Tacita Dean, Lon-don 2006; C. Medina, R. Ferguson, J. Fisher, Francis Alÿs,London 2007; A. Barikin, Parallel presents. The art of PierreHuyghe, Cambridge (Mass.)-London 2012; C. Bishop, Artificialhells. Participatory art and the politics of spectatorship, London-New York 2012, pp. 219-39; Contemporary art. 1989 to the present,ed. A. Dumbadze, S. Hudson, London 2013. Cataloghi di mostre:A. Cortellessa, Crediti, in E. Benassi, All I remember, Roma,Galleria Magazzino, Roma 2010, pp. 4-9; Maurizio Cattelan. All,ed. N. Spector, New York, Solomon R. Guggenheim Museum,2011-12, New York 2011; S. Chiodi, Una strana gioia di vivere,in Marcello Maloberti. Blitz, a cura di S. Chiodi, B. Pietromarchi,Roma, MACRO, Museo d’arte contemporanea Roma, Macerata2012, pp. 49-64; J. Deller, Joy in people, ed. R. Rugoff, London,Hayward Gallery, London 2012. Stefano Chiodi

Critica istituzionale. – Gli inizi e i pionieri della criticaistituzionale. – Tra gli orientamenti più significativi dellaproduzione e della teoria artistica contemporanea, va segna -lata la institutional critique, «critica istituzionale» secondo ladizione entrata nell’uso italiano, un indirizzo sviluppatosi inambito europeo e nordamericano a partire dalla secondametà degli anni Sessanta del Novecento, codificata solodagli anni Ottanta in avanti e ancora attiva nel panoramadell’a. attuale. A definire questa tendenza è l’analisi critica– condotta attraverso l’impiego di diversi media e altrettantodifferenti assunti e strategie – del sistema dell’a. (intesonella sua accezione più ampia, dagli spazi fisici della galle-ria e del museo a quelli discorsivi come cataloghi e riviste);v. sistema dell’arte.

Le premesse della institutional critique sono da rintrac-ciare in alcune declinazioni dell’a. concettuale che avevanoproposto come operazione artistica l’analisi della stessa no-zione di a., e quindi temi come la figura dell’artista, i suoimezzi e i diversi ambiti della sua attività, come pure nel pen-siero poststrutturalista e in particolare nell’opera di MichelFoucault. In senso lato la critica istituzionale si pone cometermine estremo del percorso del modernismo, dominato daun’attitudine autoriflessiva tesa alla definizione dei proprimezzi, ma al suo sorgere hanno contribuito anche fattori le-gati al contesto storico, come i movimenti di contestazioneche nella seconda metà degli anni Sessanta hanno eletto abersaglio polemico il principio di autorità. Il suo intento ge-nerale è in effetti mettere a nudo le strutture e gli apparatiideologici che governano l’intero apparato discorsivo dell’a.,negandone l’ambizione a proporsi come spazio autonomo eneutrale, e connotandolo invece in senso politico, econo-mico, sociale. Gli artisti intendono così rivelare, esporre, de-costruire tale apparato, estendendo progressivamente illoro campo d’azione, dagli spazi espositivi ai diversi luoghideputati alla produzione, distribuzione e fruizione dell’arte,sino alla teoria estetica e alle pratiche curatoriali.

Accanto al lavoro degli artisti, la institutional critique harappresentato anche un importante filone di riflessione cri-tica. Fondamentali restano in questo ambito i contributi diBrian O’Doherty sui più vasti problemi del contesto artisticoe in particolare i saggi usciti tra il 1976 e il 1981 e poi raccoltinel volume Inside the white cube, in cui viene analizzata lacreazione modernista del ‘cubo bianco’, un ambiente pura-mente ottico in cui i legami con lo spazio e il tempo storico,

113

ARTE

Pierre Huyghe, Untilled, Karlsaue Park, Documenta 13,Kassel, 2012 ( fot. www.contemporaryartdaily.com)

A definitivo IX app 001_145:Appendice IX 28-09-2015 12:42 Pagina 113

la densità sociale e fenomenologica delle opere, la stessa pre-senza fisica degli spettatori vengono trascesi in una dimen-sione astratta, purificata, proiettata sulla scala dell’eternità,che ha come proprio fondamento ideologico la normalizza-zione della portata eversiva dei linguaggi dell’avanguardia.

Fra i primi artisti a operare esplicitamente nei termini dicritica istituzionale è il francese Daniel Buren (n. 1938).Dapprima nell’ambito del gruppo BMPT (insieme a OlivierMosset, Michel Parmentier, Niele Toroni), poi indipen-dentemente, l’artista ha elaborato una concezione teorica euna pratica di lavoro che, in opposizione alla pratiche pit-toriche tradizionali e al primato dello studio come luogo diproduzione, sceglie di operare esclusivamente in situ. Apartire dal 1965 Buren ha adottato un outil visuel («utensilevisivo») invariante, bande verticali bicolori alternate dellalarghezza di 8,7 cm. Questo segno, costante nella sua ricercafino a oggi, viene declinato in vari materiali – tessuto, carta,plexiglas ecc. – e applicato sui più diversi supporti – poster,facciate di edifici, spazi pubblici. L’autore interviene tantoin spazi espositivi quanto in siti non legati all’a., spesso met-tendo in comunicazione interno ed esterno, dove l’utilizzoreiterato del segno modifica la percezione del contesto. Fa-mosa è rimasta in questo senso la sua opera in situ Peinture-Sculpture (1971), una grande tela a strisce bianche e bluappesa al centro della rotonda del Guggenheim Museum aNew York e rimossa ancor prima dell’apertura della sestaGuggenheim international exhibition per le proteste deglialtri artisti coinvolti; alterando la percezione dello spaziodisegnato da Frank Lloyd Wright, il lavoro interrogava larelazione tra museo, opere e pubblico. Fra le opere che se-gnano la consacrazione di Buren vi è il più tardo Les deuxplateaux (1986), installazione permanente nel cortile delPalais Royal di Parigi in cui l’outil visuel bianco e nero è uti-lizzato su colonne di diversa altezza, mentre il pavimento èsolcato da bande bicolori e da griglie che danno accesso vi-sivo e sonoro a vasche d’acqua sotterranee.

Un altro fra i pionieri della critica istituzionale è il belgaMarcel Broodthaers (1924-1976). Dopo gli esordi comepoeta, Broodthaers si spostò nel territorio delle a. visive. Lariflessione sull’a. scandì il suo itinerario fin dall’invito allaprima personale nel 1964, in cui espresse umoristicamentel’intento di «vendere qualcosa e avere successo nella vita»e per questo di aver voluto «inventare qualcosa d’insincero».Il suo progetto maggiore legato a questo filone di ricerca èla fondazione di un museo fittizio denominato Musée d’artmoderne, Département des Aigles, di cui si nominò direttore.Dal 1968 al 1972 varie sezioni di questa ‘istituzione’ furonopresentate in diversi luoghi, dalla propria casa di Bruxel-les a Documenta di Kassel. Queste esposizioni raccoglie-vano materiali differenti, da oggetti comuni a riproduzionidi opere d’arte, stampe, fotografie, tutti accompagnati dauna targhetta che specificava «questa non è un’operad’arte». Mimando le strategie museali, Broodthaers con-dusse la propria critica nel terreno della finzione, nellaconvinzione che quest’ultima fosse lo strumento più adattoa mostrare la natura enigmatica dell’a., il suo situarsi sullasoglia tra ‘vero’ e ‘falso’ e in uno spazio che può essere de-finito solo in termini negativi.

Negli Stati Uniti i temi della critica istituzionale sono alcentro dell’opera di Michael Asher (1943-2012). Nei suoiinterventi site-specific, l’artista provocava una temporaneamodificazione dei luoghi espositivi attraverso l’aggiunta, lasottrazione o la modificazione di elementi. Nel 1973, per es.,rimosse l’intonaco all’interno della Galleria Toselli di Mi-lano; l’anno successivo eliminò la separazione fra l’ufficio elo spazio espositivo della Claire S. Copley Gallery di Los

Angeles, ‘esponendo’ così l’attività commerciale che solita-mente si svolge dietro le quinte. Fra i suoi progetti maggiorifigura quello concepito per l’esposizione decennale SkulpturProjekte di Münster: a ogni edizione della mostra (1977-2007), l’artista presentava una roulotte parcheggiata in variluoghi della città tedesca (Installation Münster [Caravan]),suggerendo una sottile riflessione sulla relazione tra conte-sto fisico e ‘luogo’ mentale dell’esperienza estetica.

Nel lavoro del tedesco da tempo residente negli StatiUniti Hans Haacke (n. 1936) la critica dell’istituzione s’in-treccia da subito a un orizzonte più ampio di problematichepolitiche, sociali, economiche. In uno dei suoi lavori più noti,Shapolsky et al. Manhattan Real estate holdings, a real timesocial system, as of May 1, 1971 (1971), Haacke documentacon testi e immagini le proprietà di uno dei più importantispeculatori immobiliari di New York, denunciandone im-plicitamente le pratiche affaristiche. L’opera, che dovevaessere esposta nella personale dell’artista al Guggenheim Mu- seum, cancellata proprio a causa delle imbarazzanti relazioniesistenti tra Shapolsky e i trustees del museo, finisce così perchiamare in causa l’indipendenza dell’istituzione museale edesporre la sua inconfessabile contiguità con il potere.

I successivi sviluppi. – Gli anni Ottanta e Novanta hannosegnato un nuovo sviluppo delle pratiche di critica istituzio-nale, grazie alle ricerche degli artisti che negli ultimi decennisi sono misurati con la normalizzazione delle istanze critichepiù radicali all’interno di un sistema istituzionale che nel frat-tempo ha reso più sfuggente e ‘tollerante’ il proprio mecca-nismo. La facilità postmodernista, la morbida disponibilitàalla provocazione, lo stesso successo dell’a. contemporaneasono diventati i temi di una rinnovata critica dell’istituzioneal cui centro si pone la fondamentale questione della naturae del ruolo sociale di una pratica artistica oggi più che maiesposta al rischio di trasformarsi in un’esperienza irrilevante,in intrattenimento inoffensivo, in cui evapora il valore co-gnitivo che ne aveva caratterizzato la vicenda moderna. Il rag-gio problematico si estende così sino a includere anche lafigura dell’artista e altre tipologie di spazi istituzionali, comepure i meccanismi sociali di esclusione e inclusione, e leforme di autorità riflesse nei codici visivi e linguistici. La ge-nerazione che emerge in questo momento è segnata inoltre dauna maggiore considerazione nei riguardi dell’interazione edella performatività. La statunitense Andrea Fraser (n. 1965)ha basato, per es., la propria pratica sulla performance site-spe-cific, facendo ricorso anche a video e installazioni, sostenutida una estesa riflessione teorica. Nella performance Museumhighlights. A gallery talk, realizzata nel 1989 al PhiladelphiaMuseum of art, l’artista impersona una guida che conduce ungruppo di ospiti in una visita al museo, parodiandone la re-torica e utilizzando come fonti svariati testi critici.

Ancora diverso è l’approccio della statunitense RenéeGreen (n. 1959), che si concentra in particolare sul rapportofra immaginazione e invenzione, tra invenzione narrativa egenealogia storica. Il lavoro di Green si configura nellaforma di complesse installazioni in cui testi, immagini, og-getti, diventano lo spunto per esaminare i processi di sele-zione, elaborazione e archiviazione alla base dei fenomeniculturali, e dove l’artista invita lo spettatore a farsi soggettoattivo della decostruzione e ricostruzione del significato.L’istituzione cessa così di essere individuata nello spazio del-l’a. e la prospettiva può allargarsi a uno spettro assai ampiodi esperienze culturali. Esempi di questa attitudine sono la-vori come Secret (1994), un nucleo di fotografie e videorealizzati da Green nella Unité d’habitation di Le Corbu-sier a Firminy, e Partially buried in three parts (1995-97), incui l’opera di land art di Robert Smithson Partially buried

114

ARTE

A definitivo IX app 001_145:Appendice IX 28-09-2015 12:42 Pagina 114

woodshed (1970) viene accostata all’esame di alcuni episodidi repressione cruenta delle rivolte studentesche negli StatiUniti e nella Repubblica di Corea.

Bibliografia: B. O’Doherty, Inside the white cube. The ideol -ogy of the gallery space, Santa Monica 1986 (trad. it. Milano2012); B. Buchloh, Conceptual art 1962-1969. From the aesthet -ics of administration to the critique of institutions, «October», 1990,55, pp. 105-43; J. Meyer, What happened to the institutional cri-tique?, New York 1993; J. Bryan-Wilson, A curriculum of insti-tutional critique, in New institutionalism, ed. J. Ekeberg, Oslo2003, pp. 89-109; A. Fraser, From the critique of institutions to aninstitution of critique, «Artforum», 2005, 1, pp. 278-83; Institutio-nal critique and after, ed. J.C. Welchman, Zürich-New York2006; Institutional critique. An anthology of artists’ writings, ed. A.Alberro, B. Stimson, Cambridge 2009. Stefano Chiodi

Distopia. – Pur se ha avuto origine nel discorso lettera-rio (v. distopica, letteratura), la distopia ne ha valicatopresto i confini per invadere il vasto regno delle a. visive. Ènel dialogo fra i differenti linguaggi espressivi che dob-biamo seguire il filo della distopia, in costante dialettica conla controparte utopica, spesso contaminata con altre formedell’immaginario e intrecciata con istanze diverse (femmi-nismo, ecologia, tematiche di gender). Tale complessità ponela distopia sotto il segno della pluralità e della polisemia. Inlinea generale essa sembra assolvere a una funzione di criticain senso lato politica, proiettando un riflesso oscuro in cuila società può rispecchiarsi. La mappatura delle diversedeclinazioni della distopia nell’ambito delle arti visive con-temporanee è stata organizzata per nuclei tematici.

Mimesi letteraria. – La prima e più semplice strategia at-traverso la quale gli artisti lavorano con la distopia consistenella mimesi del discorso letterario. Solitamente, attraversol’impiego di vari media, gli artisti plasmano il disegno glo-bale di una società che si pone sul piano finzionale. Fra i pro-getti più rappresentativi dell’ultimo decennio è Slave city delcollettivo olandese Atelier Van Lieshout (fondato da Joepvan Lieshout nel 1995): una città fondata sulla schiavitù, i cuicriteri sono improntati alla razionalità, all’efficienza e alprofitto; un’integrale riformulazione dell’economia e del-l’organizzazione sociale, di valori etici ed estetici. Iniziato nel2005, il progetto è ancora in corso e ha preso finora la formadi disegni, quadri e modelli architettonici (in alcuni casirealizzati). Slave city segnala il mutamento di status delladiade utopia/distopia nella seconda metà del 20° secolo. Perun verso l’opera s’iscrive nella tradizione distopica, di cui ri-produce il meccanismo fondamentale: l’estremizzazione dialcuni tratti della società contemporanea (in questo casosoprattutto la ricerca del profitto alla base dell’attuale capi-talismo multinazionale). Per un altro ne scardina alcunifondamenti, introducendo al suo interno anche elementipositivi come, per es., il carattere ecologico. Il risultato èquella che potremmo definire una distopia ambigua. Nelcomplesso, l’intera produzione di Atelier Van Lieshout –come quella di molti autori contemporanei – testimonia unintreccio e un mescolamento di utopia e distopia, nella con-vinzione espressa dal fondatore «che ci sia una parte di-storta in ogni utopia almeno quanto c’è una parte razionalee positiva in ogni distopia» (J. van Lieshout, M. Mauer,Tutto potrebbe cambiare, «Abitare», 2012, 523, p. 99).

Le fonti – letterarie, ma anche cinematografiche – del-l’immaginario distopico sono citate in maniera esplicitanel progetto (TH.2058) che Dominique Gonzalez-Foerster(n. 1965) concepisce nel 2008 per la Turbine Hall dellaTate Modern di Londra. L’artista immagina un futuro incui la capitale inglese è sotto una pioggia incessante: ilmuseo è stato trasformato in ricovero per le persone, le

opere d’arte, i libri (ospitati su una serie di letti a castello).La narrativa distopica è nuovamente al centro dell’instal-lazione dello stesso anno Reading rug (Dystopia).

Critica politica. – Un altro gruppo di autori elaboradifferenti tipologie di fonti (anche al di fuori della fin-zione), declinando la distopia in una dimensione preva-lentemente politica. L’artista statunitense Paul McCarthy(n. 1945) fa deragliare l’immaginario disneyano e holly-woodiano verso una deriva distopica, pervertendolo inchiave sessuale, violenta e scatologica, in un’esplorazionedel lato oscuro del sogno americano.

La storia degli Stati Uniti è anche al centro dell’opera diSam Durant (n. 1961). La dialettica utopia/distopia viene in-terpretata in termini antinomici nell’installazione Partiallyburied 1960s/70s: dystopia revealed (Mick Jagger at Alta-mont) & utopia reflected (Wavy Gravy at Woodstock), del1998. Due specchi rettangolari poggiati sul pavimento sonocoperti da una pila di terra, all’interno della quale è nasco-sto un registratore: il primo diffonde la voce di Mick Jagger(cantante dei Rolling Stones) durante il concerto di Altamontdel 1969, trasformatosi in tragedia per la morte di quattrospettatori; il secondo nastro trasmette il discorso dell’attivi-sta Wavy Gravy in occasione del festival di Woodstock dellostesso anno. A quattro mesi di distanza l’uno dall’altro, i dueconcerti sono appaiati da Durant a simboleggiare l’utopia ela distopia: da un lato Woodstock rappresenta infatti l’apicedella cultura hippy, dall’altro Altamont l’emblema della finedi tali ideali utopici. Il mischiarsi delle due voci fa sì che l’ini-ziale dicotomia si sciolga in un’unità entropica (nozione chel’artista riprende da Robert Smithson).

A un altro momento della storia del proprio Paese si ri-ferisce Michael Landy (n. 1963). Bersaglio polemico delprogetto Scrapheap service (1995) – che si sviluppa attraver -so disegni, video e una grande installazione – è il thatche -ri smo e la sua dottrina economica neoliberista. Mimando

115

ARTE

Joep van Lieshout nel suo atelier, Rotterdam, 2005( fot. Camera Press/Steve Double/Contrasto)

A definitivo IX app 001_145:Appendice IX 28-09-2015 12:42 Pagina 115


Recommended