+ All Categories
Home > Documents > Personaggi e luoghi farnesiani della Tuscia viterbese nell’opera di Stendhal, «Rivista di...

Personaggi e luoghi farnesiani della Tuscia viterbese nell’opera di Stendhal, «Rivista di...

Date post: 25-Nov-2023
Category:
Upload: independent
View: 0 times
Download: 0 times
Share this document with a friend
24
PERSONAGGI E LUOGHI FARNESIANI DELLA TUSCIA VITERBESE NELL’OPERA DI STENDHAL A Ludovica 1. Le cronache romane Alla famiglia Farnese 1 e alle capitali dei suoi ducati Henry Beyle dedicò La Chartreuse de Parme e L’Abbesse de Castro, due tra le princi- pali opere dell’ultimo periodo della sua produzione. Un sottile filo rosso lega questi scritti, entrambi apparsi nel 1839, che costituiscono per certi versi un unico blocco narrativo. Stendhal aveva più di cinquant’anni e si trovava a condurre noio- samente la sua carriera diplomatica a Civitavecchia quando intraprese una serie di lavori che si distinguono nettamente rispetto alla sua crea- zione letteraria precedente, di cui Le rouge et le noir rappresenta il più compiuto esempio. Nell’“ultimo” Stendhal l’attenzione per la verosimi- glianza storica e l’analisi psicologica lascia spazio all’evasione, all’amore per l’azione e l’avventura, al gusto per il tragico ed il macabro. L’autore realizza una tecnica di scrittura sintetica, quasi cinematografica, che dipinge dall’esterno i personaggi, senza troppo preoccuparsi dell’interio- rità. Questo bisogno di distacco e di semplificazione spiega anche l’esi- genza di spostare il quadro dell’azione dalla Francia della Restaurazione all’Italia del Cinquecento ed in particolare ai colli laziali, popolati da un’umanità primitiva e un po’selvaggia ma passionale ed autentica, l’op- posto della società francese del tempo, ipocrita e conformista. Anche la Parma ottocentesca immortalata nella Chartreuse de Parme e “compressa” dalla Restaurazione è pur sempre un’immagine trasfigurata che si nutre delle suggestioni di una Roma cinquecente- sca, simbolo del Rosso, dell’energia fine a se stessa di contro al Nero, emblema dell’oppressione schiacciante operata dal clero e dal ritorno dell’Ancien régime. Lo Stendhal senescente è un uomo deluso dalla real- tà contemporanea, che si rifugia nel mito 2 di un’Italia ormai lontana, l’Italia degli entusiasmi giovanili, a cavallo tra i mai sopiti ricordi delle campagne napoleoniche ed il Rinascimento. L’unità tematica e forma- le delle “opere farnesiane” è il frutto della genesi parallela e della loro unicità d’ispirazione, che scaturisce dalla lettura di manoscritti appar- tenenti alla stessa epoca, una parte dei quali confluiti nelle Chroniques italiennes.
Transcript

Personaggi e luoghi farnesiani della Tuscia viTerbese nell’oPera di sTendhal

A Ludovica

1. Le cronache romane

alla famiglia farnese1 e alle capitali dei suoi ducati henry beyle dedicò La Chartreuse de Parme e L’Abbesse de Castro, due tra le princi-pali opere dell’ultimo periodo della sua produzione. un sottile filo rosso lega questi scritti, entrambi apparsi nel 1839, che costituiscono per certi versi un unico blocco narrativo.

stendhal aveva più di cinquant’anni e si trovava a condurre noio-samente la sua carriera diplomatica a civitavecchia quando intraprese una serie di lavori che si distinguono nettamente rispetto alla sua crea-zione letteraria precedente, di cui Le rouge et le noir rappresenta il più compiuto esempio. nell’“ultimo” stendhal l’attenzione per la verosimi-glianza storica e l’analisi psicologica lascia spazio all’evasione, all’amore per l’azione e l’avventura, al gusto per il tragico ed il macabro. l’autore realizza una tecnica di scrittura sintetica, quasi cinematografica, che dipinge dall’esterno i personaggi, senza troppo preoccuparsi dell’interio-rità. Questo bisogno di distacco e di semplificazione spiega anche l’esi-genza di spostare il quadro dell’azione dalla francia della restaurazione all’italia del cinquecento ed in particolare ai colli laziali, popolati da un’umanità primitiva e un po’selvaggia ma passionale ed autentica, l’op-posto della società francese del tempo, ipocrita e conformista.

anche la Parma ottocentesca immortalata nella Chartreuse de Parme e “compressa” dalla restaurazione è pur sempre un’immagine trasfigurata che si nutre delle suggestioni di una roma cinquecente-sca, simbolo del rosso, dell’energia fine a se stessa di contro al nero, emblema dell’oppressione schiacciante operata dal clero e dal ritorno dell’Ancien régime. lo stendhal senescente è un uomo deluso dalla real-tà contemporanea, che si rifugia nel mito2 di un’italia ormai lontana, l’italia degli entusiasmi giovanili, a cavallo tra i mai sopiti ricordi delle campagne napoleoniche ed il rinascimento. l’unità tematica e forma-le delle “opere farnesiane” è il frutto della genesi parallela e della loro unicità d’ispirazione, che scaturisce dalla lettura di manoscritti appar-tenenti alla stessa epoca, una parte dei quali confluiti nelle Chroniques italiennes.

federiCA CAsini278

durante il soggiorno laziale, stendhal entrò in possesso di una serie di vecchie cronache “tragiche”, a metà strada tra il giornalismo e la sto-ria, riguardanti clamorosi avvenimenti occorsi nella roma papalina del cinquecento e seicento: drammatici fatti di sangue e grandi esecuzioni, storie di vendette, incesti, adulteri, supplizi e decapitazioni redatte da anonimi cronisti più o meno vicini agli avvenimenti narrati, maggior-mente interessati a illustrare in modo fastoso e teatrale la bella morte dei colpevoli piuttosto che a raccontarne i crimini. con tutta probabi-lità, stendhal riuscì a procurarsi il materiale tramite la frequentazione della famiglia romana dei caetani (storicamente legata, per vincoli di parentela, a quella dei farnese3), che possedeva un ricco archivio di antichi volumi contenenti storie italiane manoscritte, che lo scrittore francese ebbe l’autorizzazione di poter copiare nel marzo 1833. l’anno successivo egli manifestò l’intento di tradurre in modo fedele le crona-che, seppure con estrema cautela, data la sua posizione presso lo stato pontificio. in realtà stendhal non si limitò ad una semplice traduzione ma rielaborò in modo personale ed ampio tali storie, tanto da dare loro una propria e compiuta fisionomia. lo scrittore pubblicò in tutto otto cronache, di cui quattro nella “revue des deux Mondes” (Vittoria Accoramboni, Les Cenci, La duchesse de Palliano, l’Abbesse de Castro) tra il 1837 e il 1839 ed altrettante edite postume, oggi raccolte sotto il titolo di Chroniques italiennes.

2. il manoscritto dell’Origine

una delle cronache che impressionarono maggiormente stendhal è di sicuro dell’origine della fortuna della famiglia farnese, una dinastia alto laziale di capitani di ventura, saliti agli onori nobiliari grazie ad un’oculata politica matrimoniale e “sentimentale”.

a differenza delle storie tragiche come l’Abbesse, il testo dell’ Origine (che occupa le carte 11-18 del manoscritto italiano 170, con-servato nei fonds italiens della bibliothèque nationale di Parigi) non narra fatti di sangue, bensì vuole mostrare (come nella Vita di Urbano Viii) in che modo si possa diventare papi. si tratta di uno scritto di carattere libellistico, composto a distanza di parecchio tempo rispetto agli avvenimenti narrati e quindi ricco di imprecisioni e deformazioni leggendarie della realtà. stendhal, ignaro degli errori storici presenti in esso, vide nelle vicende di questa dinastia la sintesi del rinascimento italiano e progettò di tradurre e riscrivere il manoscritto, insieme ad altri.

PersOnAggi e LUOghi fArnesiAni deLLA TUsCiA ViTerbese 279

il testo italiano dell’Origine, non sempre di facile lettura, narra la storia dell’ascesa dei farnese, di recente entrati a far parte dell’élite nobiliare romana “non per la virtù e valore de loro antenti, ma per la grazia, beltà e lascivia d’una donna d’essa, che l’avea fatta sormontare a tanta altezza”4. secondo la cronaca, giovanna detta la vannozza5, figlia di ranuccio farnese e sorella di Pier luigi (padre di alessandro), divenne la “cortigiana preferita” del cardinal rodrigo lenzuoli, dive-nuto papa col nome di alessandro vi borgia, che “di questa talmente s’invischiò, che abbandonò ogni altra, godendosela notte e giorno, come se fosse sua propria moglie, spendendovi allegramente gran somme di denari, co’quali, e coi gran favori, che tenea nella corte, avea abbagliato gli occhi ai Parenti, in tal guisa che non guardavano, a ciò, che rodrigo facea con tanto loro vituperio”6.

il nipote di vannozza, alessandro (il futuro pontefice Paolo iii) intraprese con successo gli studi classici e, grazie alla protezione della zia, “fu posto a serviggi del cardinal federigo”7. datosi “a carnali dilet-ti”, divenne “straordinariamente insolente, e più lascivo”, al punto da far rapire una ragazza che si recava in carrozza fuori roma, “tenendo-sela seco per molti giorni in una sua villetta, come se fosse stata la sua propria moglie”. il Pontefice innocenzo viii lo fece imprigionare in castel s. angelo, dove riuscì ad evadere dopo mesi, “per mezzo di una corda”, ad opera del cardinale e di un parente. dopo l’elezione papale del cardinal roderigo, il giovane farnese “fu in età di 24 anni promos-so alla Porpora, et arricchito di beneficii di gran rendita […] e si diede più che mai alle lascivie e disonestà, in modo tale che si godè per molti anni una gentil donna per nome creria, come se la fosse sua moglie con procrearci due figliuoli Pier luiggi l’uno e costanza l’altra […]”.

giunto in età matura, “mutò vita e costumi, o almeno finse di mutarli, perché divenne di molta prudenza, affabile, e liberale, et uomo di sublime ingegno, ma pure continuava i suoi amori con creria con tanta segretezza senza inferire niun scandalo […]”. nel 1534, all’età di 67 anni, divenne papa col nome di Paolo iii ed “esaltò i suoi Parenti alle grandezze, et agli onori”8. Per il figlio primogenito Pier luigi creò nel 1537 il ducato di castro e nel 1545 il ducato di Parma e Piacenza e fece cardinali i nipoti alessandro e ranuccio (figli di Pier luigi) e guidascanio sforza (figlio di costanza).

seppure inframmezzata di clamorosi errori sintattico-grammaticali ed inesattezze storiche, la cronaca si mostra in buona parte attendibile. Tra le fonti consultate dall’anonimo redattore c’è sicuramente la tradu-zione volgare del testo latino Vita Pauli iii, aggiunta alle Vite de’Pontefici del Platina da onofrio Panvinio e risalente alla metà del cinquecento9.

federiCA CAsini280

È storicamente accertato che alessandro farnese divenne cardina-le grazie ai rapporti che giulia farnese intratteva con il Papa borgia; che fu messo in prigione ed evase rocambolescamente da castel sant’angelo, anche se, quasi certamente, la causa della reclusione non fu il rapimento di una donna bensì una serie di contrasti con la madre. un breve datato 1484 indirizzato da innocenzo viii al governatore del Patrimonio testimonia che alessandro fu imprigionato10 non per aver commesso personalmente un reato ma per fare in modo che fosse restituita la libertà alla madre, giovannella caetani: “alexandrum non prius e custodia eximere decrevimus quam senserimus matrem eius in sua libertate positam fuisse”11. verosimilmente il giovane alessandro, malgrado i buoni risultati raggiunti nello studio, era amante dei pia-ceri della vita, ai quali destinava ingenti somme di denaro. la madre, preoccupata per il suo futuro, decise allora di tagliargli gli assegni. forse alessandro fece rinchiudere giovannella caetani per estorcerle il denaro di cui aveva bisogno. la donna riuscì tuttavia ad avvisare il papa innocenzo viii, che fece arrestare e mettere in prigione per alcuni mesi a castel sant’angelo il giovane, il quale poté evadere gra-zie all’aiuto di un parente, “calato giù con funi da un balcone fuori del castello” durante le celebrazioni, il 17 aprile 1487, del corpus domini12. il Pontefice non lo perseguì ulteriormente ma decretò che il ragazzo fosse allontanato dalla città, di modo che la sua partenza non suonasse come un esilio bensì come un soggiorno di studio a firenze, presso la corte di lorenzo il Magnifico, dove entrò in contatto con i maggiori esponenti dell’umanesimo (tra cui Marsilio ficino e Pico della Mirandola). alla morte di innocenzo viii, alessandro farnese fece ritorno a roma dove, grazie ad alessandro vi, fu nominato car-dinale13.

il manoscritto sui farnese mette in luce il carattere nepotistico della politica di Paolo iii, mentre esagera una fama di dissolutezza che le ricerche storiche più recenti hanno considerevolmente ridimensiona-to. appartiene invece al dominio della leggenda la notizia che all’origine della fortuna della famiglia ci fosse una vannozza zia del futuro Paolo iii. la favorita di papa borgia si chiamava in realtà giulia, detta la bella, sorella minore di alessandro, data in moglie giovanissima nel 1490 ad orsino orsini signore di bassanello (oggi vasanello), figlio di una cugi-na del cardinal rodrigo borgia, di cui divenne ben presto amante, con il beneplacito della famiglia, come si legge al nelle Promenades dans rome (1829): “il prit une nouvelle maitresse, Julie farnèse, surnommée giulia bella, avec laquelle il vécut sagement, comme louis Xiv avec madame de Montespan […]”14.

PersOnAggi e LUOghi fArnesiAni deLLA TUsCiA ViTerbese 281

il testo della cronaca parla anche di una cleria (particolare ripreso fedelmente da stendhal nella Chartreuse per designare la donna amata da fabrice), compagna e madre dei figli di alessandro iii. Poco si sa di questa donna, probabilmente romana, identificata dagli storici con una certa silvia ruffina, moglie e in seguito vedova del tarquinese gerolamo crispo, la quale, prima che alessandro farnese ricevesse all’età di 51 anni i voti sacerdotali (1519), visse more uxorio nella sua casa fino al 1513 e gli diede Pier luigi (nato nel 1503), Paolo, costanza e ranuccio. la cronaca anonima afferma, al contrario, che la relazione tra Paolo iii e la sua concubina continuò, in segreto, anche dopo la sua elezione papale, cosa smentita dai contemporanei, che parlano di una sua con-dotta irreprensibile dopo l’ordinazione sacerdotale.

l’equivoco sul nome di cleria nasce per via della presenza in famiglia di una clelia, figlia naturale del nipote di Paolo iii, anch’egli di nome alessandro, detto il “gran cardinale”, celebre mecenate rinascimentale che, orgoglioso di lei, pare fosse solito dire: “Tre cose sommamente belle io posseggo: il palazzo di caprarola, la chiesa del gesù e mia figlia clelia”15. fama confermata dal viaggiatore Michel de Montaigne nel suo Journal (1580-1581)16, che definì “la seignora clœlia-fascia farnese […] sinon la plus agréable, sans compareson la plus eimable fame qui fût pour lors à rome, ny que je sçache ailleurs”. e carattere sublime assumerà anche la creria/clélia stendhaliana, che insieme ad alessandro/fabrice costituisce una coppia di amanti ide-ali, immagini emblematiche dell’ardore (e dell’ardire) rinascimentale italiano.

3. dalla cronaca alla Chartreuse

in una nota del 16 agosto 1838 stendhal manifesta il proposito di voler scrivere un “romanzetto” sulla vicenda di alessandro farnese. inizia così una traduzione dell’Origine, con l’intento di farne un libero rifacimento. il primo e 2 settembre comincia ad abbozzare una ventina di pagine, che avrebbero dovuto costituire il primo capitolo di un libro intitolato Alexandre. l’immagine stendhaliana di alessandro risente in modo determinante della versione fornita dalla cronaca romana. il giovane farnese appare allo scrittore un ragazzo di grande ingegno, lussurioso, furbo, “aimable”17, “un des hommes les plus heureux du XVi siècle”18. stendhal tralascia le parti della cronaca dedicate alla matu-rità e alla vecchiaia del farnese (gli anni della carriera ecclesiastica e dell’ascesa al soglio pontificio) per concentrarsi su due dei fatti più

federiCA CAsini282

rappresentativi della sua giovinezza “divina”19: il rapimento della gentil-donna romana e la fuga da castel sant’angelo.

non ci fu, presumibilmente, un grande lavoro di documentazione per la traduzione dell’Origine che henry beyle aveva in mente, come dimostrano alcuni vistosi errori storici; l’autore si limitò al materiale raccolto per la piccola biografia di Paolo iii, definito “l’ultimo dei Papi ambiziosi”, che si trova all’interno delle Promenades dans rome20, in cui si accennava ai possedimenti della famiglia farnese nel territorio di orvieto e alle figure di alcuni suoi ragguardevoli esponenti: “Proprietaire du chåteau de farnetto, dans le territoire d’orvietto, elle avait produit dans le quinzième siècle quelques condottieri distingués”21.

nell’elaborazione della traduzione dell’Origine, stendhal si rifece a quanto scritto nelle Promenades a proposito del passato dei farnese prima del pontificato di Paolo iii. viene infatti messo in risalto che “quelques membres de la famille farnèse n’aient vécu noblement et contracté des alliances avec certaines familles nobles, soit d’orvietto, soit des bords de la fiora, petit fleuve qui, à diverses époques, a fait la séparation de la Toscane et des États du Pape”22.

la traduzione rimaneggiata dell’Origine, dopo un paio di quadri dedicati ad alessandro e vannozza, si arresta prima della prigionia e della fuga da castel sant’angelo. il rozzo e brutale taglio scandalistico della cronaca si ingentilisce sotto la penna di stendhal, trasformando il testo da libello in apologia. l’autore rinunciò tuttavia a fare della traduzione un’altra storia italiana da pubblicare sulla “revue des deux Mondes” e anche all’idea di un romanzo storico ambientato nel cinquecento.

secondo la ricostruzione effettuata da luigi foscolo benedetto, il 3 settembre 1838 henry beyle ebbe l’idea della Chartreuse, che gli fece interrompere l’Alexandre. il progetto del nuovo libro venne però “congelato” fino al 4 novembre, data ufficiale dell’inizio della stesura della Chartreuse noire (questo era l’originario titolo dell’opera), con la ripresa delle pagine abbozzate i primi giorni di settembre ed il fermo proposito di farne un romanzo. stendhal riscrisse le venti pagine dal 4 al 7 novembre; l’8 effettuò un’ulteriore revisione del fascicolo e trasfor-mò alexandre in fabrice, un combattente di Waterloo figlio illegittimo di un ufficiale francese (anche alessandro era nipote di condottieri) e di una nobildonna lombarda (nell’Origine si alludeva a una possibile nascita adulterina di Paolo iii23). la scena venne spostata dalla roma cinquecentesca all’italia austriaca della controriforma, in un immagi-nario ducato di Parma (in quegli anni governato dalla seconda moglie di napoleone).

PersOnAggi e LUOghi fArnesiAni deLLA TUsCiA ViTerbese 283

la genesi della Chartreuse si fonde con quella dell’Abbesse, la cui composizione è “incastonata” in essa. sospeso l’Alexandre, stendhal ini-ziò infatti a scrivere, dal 12 al 13 settembre 1838, la prima parte dell’Ab-besse, che fu completata dopo la fine della Chartreuse (consegnata il 26 dicembre 1838), mentre la seconda parte dell’Abbesse fu dettata tra il 19 e il 21 febbraio 1839. il primo progetto stendhaliano, abbandonato per raccontare una storia ottocentesca, trova dunque realizzazione nell’Ab-besse. Jules branciforte rappresenta la prima immagine di alessandro concepita dalla mente dello scrittore, ossia un uomo d’azione molto più vicino del futuro fabrice al brigante romantico, al rapitore e all’evaso dell’Origine. in sostanza, l’Abbesse porta a compimento l’originaria idea stendhaliana, quella di raccontare la storia della giovinezza “divina”24 di un ragazzo (alessandro farnese ma anche Jules branciforte) che si contrappone al mondo dell’oppressione e dell’ipocrisia e finisce schiac-ciato dalla realtà (alessandro farnese diventa in vecchiaia un papa severo, rigido e moralista; Jules il fuorilegge deve rinunciare al proprio sogno d’amore). Per quanto riguarda infine l’Alexandre, la storia venne riassorbita ed ulteriormente sviluppata nella Chartreuse per mezzo della fantasia di stendhal.

lo spostamento geografico e spaziale operato dall’autore sulla vicenda gli permise, paradossalmente, di restare fedele al canovaccio datogli dal cronista. si notano difatti legami e “corrispondenze” tra la Parma ottocentesca immaginata dallo scrittore ed i farnese, la cui inten-zionalità non è sempre facile da appurare. la critica su questo punto è assai divisa, tra chi vede la non casualità della scelta stendhaliana25 di collocare l’azione in una città appartenuta ai farnese e chi crede, inve-ce, che la spinta a fare di Parma il cuore dell’azione del romanzo avesse come scopo quello di mettere stendhal al riparo da eventuali problemi di censura26, in quanto i farnese erano ormai una dinastia estinta (la morte senza eredi maschi del duca antonio farnese, avvenuta nel 1731, segna la fine della dinastia farnese su Parma e Piacenza in favore del duca carlo di borbone, figlio di elisabetta farnese). la lettura del testo mette tuttavia in luce un tessuto narrativo fatto di personaggi, episodi e riferimenti sapientemente ordito su una trama farnesiana. fabrice diverrà vescovo di Parma così come lo era stato alessandro farnese (1509). il tiranno del romanzo, il principe di Parma ranuce-ernest iv e la duchessa sanseverina, sua nemica, sono fedelmente modellati sulle personalità storiche del crudele ranuccio ii farnese duca di Parma e Piacenza27 e di barbara sanseverina contessa di colorno28, da lui fatta giustiziare nel 1612 insieme al figlio girolamo sanvitale e all’amante Pio Torelli perché sospettati di avere ordito una congiura ai suoi danni.

federiCA CAsini284

Probabilmente respinto dalla bellissima nobildonna (forse amata in pre-cedenza dal nonno, duca ottavio farnese), ranuccio si era vendicato di lei e dell’uomo al quale era legata mettendoli a morte. similmente, nella Chartreuse la duchessa sanseverina, la più bella dama della corte di Parma, si nega a ranuce-ernest iv che, per punirla, perseguita l’ama-to fabrice. la duplice anima (quella valorosa e quella tirannica) della stirpe farnese si sdoppia e si rivela nelle figure di fabrice/alessandro e di ranuce-ernest iv/ranuccio, ennesima incarnazione del duello tra il rosso e il nero in seno alla stessa famiglia.

una sostanziale continuità tematica e spirituale tra le parti tradotte dell’Origine e quelle non tradotte si ritrova nella trama del capolavo-ro, che narra la storia di un giovane appassionato e pieno di energia, costretto ad abbracciare la carriera ecclesiastica perché impossibilitato a seguire la sua vera vocazione: le armi e l’amore. grazie alla protezione di una zia (duchessa sanseverina), amante del primo ministro di Parma (conte Mosca), riesce facilmente a fare carriera nell’ordine, fino a dive-nire arcivescovo. come nella vita di alessandro farnese, si distinguono due momenti nell’esistenza di fabrice del dongo: la giovinezza scape-strata, alla ricerca di facili avventure amorose e la maturità affettiva, raggiunta attraverso il sentimento esclusivo ed assoluto nei confronti di una donna (clélia conti) che lo renderà padre. riguardo ai rapporti di filiazione tra alessandro e fabrice, si ritrovano echi di essi anche nel forte senso di paternità provato da entrambi. il primo desidera ed ottie-ne di essere il “rifondatore” di una stirpe. il secondo, ad un certo punto della storia, decide di volere accanto a sé il figlio sandrino, in assoluta controtendenza rispetto agli eroi del romanzo di formazione francese a lui contemporanei (Julien sorel, lucien de rubempré etc), assoluta-mente indifferenti o molto restii all’idea di divenire padri.

l’episodio del rapimento della donna narrato nell’Origine è ripreso nelle forme non di un ratto ma di una lite con giletti per il possesso dell’attrice Marietta e dietro la prigionia di fabrice nella cittadella di Parma si legge la reclusione di alessandro a castel sant’angelo. stendhal immagina che la cittadella fantastica sia stata fatta costruire agli inizi del Xvi secolo dai nipoti29 di Paolo iii a immagine del mau-soleo d’adriano e che fabrice sia stato rinchiuso nella Torre farnese, “nouvelle prison bâtie sur la plate-forme de la grosse tour, à une éléva-tion prodigieuse”30.

la stessa fuga di fabrice dalla cittadella è modellata sulla fuga di alessandro farnese e di benvenuto cellini da castel sant’angelo, con-dannato curiosamente alla prigionia proprio da Paolo iii ed evaso con clamore, la cui Vita era nota a stendhal.

PersOnAggi e LUOghi fArnesiAni deLLA TUsCiA ViTerbese 285

Ma esiste un altro celebre episodio, legato ai farnese, che stendhal aveva ben in mente, accaduto a uno dei discendenti di Paolo iii, anch’egli recluso a castel sant’angelo e fatto scarcerare in extremis. la storia, riportata col titolo Caso occorso a don ranuccio farnese, duca di Parma, condannato a morte da papa sisto Quinto e come fosse liberato dal cardinal farnese, suo zio, colla relegazione [sic] di tutti gli orologi di roma nel manoscritto italico 170 (cc. 212-32), racconta appunto la corsa contro il tempo del cardinale alessandro farnese junior per salva-re dal boia il nipote (narrazione presente, seppure con alcune differenze rispetto al racconto della silloge stendhaliana, anche nelle Promenades dans rome31). il particolare è presente nella Chartreuse, nel capitolo in cui la sanseverina deve far avvertire il nipote che nei suoi cibi è stato messo del veleno.

in relazione con la vicenda di fabrice potrebbero infine essere altri due episodi aventi come protagonisti esponenti della casa farnese: quello della prigionia del principe ottavio (1598-1643), che era stato recluso a perpetuità dal padre ranuccio i (1569-1622), preoccupato che il figlio naturale potesse avere un giorno pretese dinastiche nei confron-ti dei suoi legittimi eredi32 e quello della detenzione, nella rocchetta di Parma, di don alessandro farnese. figlio illegittimo di alessandro, generale veneziano e ammiraglio spagnolo (1635-1689), don alessandro fu rinchiuso a vita per volere dello zio ranuccio ii (1630-1695) a causa dello scandalo provocato, nel 1692, dai suoi amori illeciti con la mar-chesa caterina scotti, moglie del marchese g. b. verugoli (con la quale aveva tentato una rocambolesca fuga, punita con la prigione33).

storia di intrighi e veleni, la Chartreuse appare dunque un formi-dabile romanzo di potere e di sentimenti che unisce rinascimento e risorgimento italiano nel segno del giglio farnesiano.

4. La vicenda della monaca di Castro

stendhal sostiene che la prima delle historiettes romaines da lui tra-scritte ed elaborate fosse proprio l’Abbesse de Castro, la storia alla quale affermava di tenere di più34, quella che lo aveva incoraggiato a “sfidare la polvere infame delle biblioteche”35 e che dava il titolo ad una edizione del 1839 contenente tre di queste storie, precedentemente apparse sulla “revue des deux Mondes”. l’Abbesse venne pubblicata nel 1839, ultima in ordine di tempo, in due puntate, nella stessa rivista.

alla base della storia narrata nell’Abbesse c’è una cronaca manoscrit-ta intitolata Caso occorso in Castro nel Monastero della Visitazione della

federiCA CAsini286

beatissima Vergine, Città del ducato di Parma, tra Monsignor francesco Cittadini Vescovo di quella diocesi nobile milanese e suor elena Orsini nata di giov. francesco Conte di Pitigliano, l’anno 1572 regnante gregorio Xiii, il cui documento originale (usato da Manfredo vanni36 per La storia del vescovo) si trova presso la biblioteca casanatense di roma (si tratta del manoscritto 4149, molto vicino cronologicamente agli eventi narrati).

stendhal dice di aver seguito, per la stesura dell’Abbesse, due mano-scritti risalenti alla fine del cinquecento, uno romano (il manoscritto 171, conservato presso la bibliothèque nationale di Parigi) e uno fio-rentino. la copia stendhaliana, intitolata successo occorso in Castro del duca di Parma nel Monastero della Visitazione fra l’Abbadessa del mede(s)mo ed il Vescovo di d [ett]a Città l’anno 1572 nel Pontificato di gregor Xiii37 e poi tradotta in francese da beyle, è molto simile, nella sostanza, al manoscritto romano (codice casanatense) seguito da vanni. l’ipotesi è avvalorata dalla vicinanza tra la stessa biblioteca casanatense e Palazzo cavalieri, che stendhal aveva scelto come propria abitazione nel 1833. nessuna traccia si ha, al contrario, del manoscritto fiorentino, introvabile o forse inesistente, di cui stendhal afferma di essersi servito per narrare la parte relativa agli amori tra Jules branciforte ed hélène campireali. va detto che il manoscritto annotato da stendhal e quel-lo pubblicato da vanni si differenziano per alcune, sebbene minime, varianti ed omissioni. la più eclatante riguarda il nome della badessa, alla quale il manoscritto italico 171 attribuisce il nome di elena de campi reale, anziché orsini come nel manoscritto 4149. il nome degli orsini ricompare, tuttavia, curiosamente, nel racconto di stendhal come famiglia alla quale i campireali sono alleati, in conflitto con i branciforte, sostenutori dei colonna.

la storia narrata nel manoscritto della casanatense riproduce in maniera abbastanza fedele gli avvenimenti accaduti, fatta eccezione per alcuni particolari. essa racconta gli amori clandestini dei due religiosi a castro, entrambi giovani e nobili, costretti ad una vocazione forzata ed uniti da galeotte circostanze immediate:

[…] per affari del Monastero [il vescovo] ebbe più volte occasione di parlare alla detta abbadessa, siccome anco ella con Monsignor, per la fabrica non compita del chiostro che si ristau-rava nel detto Monastero.

da questa cagione ebbe principio dunque la fabrica dei loro amori, tanto che a poco a poco s’incaminarono a briglia sciolta alla sodisfazione del senso; […] sicché nel Mese di novembre dell’an-no 1572, restando qualche giorno avanti così di concerto, fra di

PersOnAggi e LUOghi fArnesiAni deLLA TUsCiA ViTerbese 287

loro, si determinò l’abbadessa alle ore 5 della notte di accogliere Monsignor vescovo, non solo nel monastero, ma ancora nel suo letto medesimo.

giunto il vescovo alla chiesa, gli fu aperta la Porta dall’ab-badessa medesima, che l’attendeva, et entrato lo condusse nella sua camera. era questa camera contigua alla chiesa, e segregata affatto da quella delle altre Monache. Partissi doppo un’ora di trat-tenimento il vescovo e ritornò al Palazzo.

carnevale seguente diede motivo con la sua libertà a nuovo concerto simile al primo, e passata la quaresima, pochi giorni doppo Pasqua si ritrovarono nel medesimo luogo; et in quella notte la meschina con suo estremo dolore accennò a Monsignore mede-simo li contrasegni della sua gravidanza […]38.

il manoscritto italico 171 accenna alla preoccupazione del vescovo per il misfatto compiuto e “all’ira del duca di Parma, e del cardinale farnese, tutto zelante della pudicizia delle vergini”, mentre nel mano-scritto riportato da vanni si parla dell’ “ira del duca di Parma e l’indi-gnazione del Pontefice”39 gregorio Xiii. Possiamo dedurre che il duca in questione fosse ottavio (1524-1586), sostenuto nel governo del regno dal fratello cardinale alessandro (1520-1589). Quest’ultimo ordinò al Podestà di castro di fare arrestare il vescovo, che nel frattempo era scappato e si trovava infermo a ronciglione. visto il grande clamore suscitato dalla vicenda, il Pontefice fece istituire un processo in cui furono esaminati e interrogati più volte (con ricorso all’uso della tortu-ra) la badessa, il vescovo e una serie di complici degli amanti sacrile-ghi (il medico che aveva visitato la badessa; le monache che l’avevano assistita durante il parto; la moglie del fornaio che aveva consegnato il bambino a cesare del bene per portarlo fuori della città; l’ostessa di Montefiascone che lo aveva raccolto ed affidato ad una balia). la badessa, su consiglio del vescovo, confessò inizialmente che il bambino era figlio di giovan battista doleri, un servitore del monastero morto qualche tempo prima ma, sottoposta al tormento dei ciuffoli, disse di aver mentito per salvare la vita e l’onore del vescovo affinché si occu-passe del figlio, che il padre faceva custodire fuori dallo stato Pontificio (con tutta probabilità a napoli). il prelato negò il fatto e accusò l’amante di calunnia. la sentenza (mitigata dalla pietà del Pontefice) condannò elena orsini alla reclusione in un non precisato monastero di Perugia (come si legge nel manoscritto della casanatense), in una cella murata e chiusa da ogni parte, eccetto una fessura per la distribuzione del cibo, dove morì il nono anno (presumibilmente nel 1581) del pontificato di gregorio Xiii (1572-1585) mentre Monsignor cittadini fu confinato nella fortezza d’ostia e poi trasferito da sisto v ad “oscuro carcere”,

federiCA CAsini288

senza specificare quale e in che circostanze ponesse fine ai suoi giorni. Per il manoscritto italico 171 elena fu condannata alla reclusione a

vita e morì a roma, sei mesi dopo, nel Monastero di s. Marta dove era stata trasferita durante il processo, “in una stanza oscura, che non aveva altro lume che da una piccola fessura, e senza speranza di grazia, dove la misera terminò la sua vita dopo lo spazio di sei mesi che essa venne in quella orrida stanza racchiusa”40. il vescovo, imprigionato a roma in castel sant’angelo, alla morte di gregorio Xiii fu trasferito da sisto v nelle carceri di corte savella “e racchiuso nella più orrida, et oscura prigione, dove non vi penetrava alcuna sorta di lume, nella quale poco doppo per uno così impensato castigo, miseramente ancora esso se ne morì”41.

la realtà dei protagonisti del racconto, in gran parte veritiero, è stata provata storicamente. elena orsini era figlia del conte di Pitigliano giovan francesco orsini e nipote di girolama orsini, moglie di Pier luigi farnese (1503-1547), padre di alessandro farnese. era entrata nell’ordine cistercense nel 1558 nel Monastero della visitazione di castro, fatto fondare dalla zia, che l’aveva fatto trasferire da viterbo. sulla presenza (talvolta messa in dubbio) di un Monastero della visitazione a castro, esiste una precisa testimonianza del 1630 di benedetto Zucchi in informazione e cronica della città di Castro, e di tutto lo stato suo…, in cui si legge: “vi fu eretto a tempo della duchessa ieronima un Monastero di Monache, dove si vede un bellissimo sito principiato, che non so per quale errore furono levate e trasferite in viterbo, che ivi ora detto Monastero si chiama della duchessa […]”42.

nelle Memorie storiche della distrutta città di Castro di eraclio stendardi si conferma che Monsignor cittadini fu la “causa della sop-pressione e trasferimento del convento della duchessa, fondato da girolama orsini, figlia del conte ludovico di Pitigliano a spese di Pier luigi, da castro a viterbo”43.

il manoscritto presente nell’archivio del Monastero della visitazione di viterbo, Memorie sopra l’erezione del Monastero della s.ma Visitazione detto della duchessa di Viterbo…, afferma che elena orsini divenne Priora nel 1562 e badessa nel 1565. nel documento non si fa menzione degli avvenimenti che coinvolsero la orsini negli anni successivi e della sua fine.

di Monsignor cittadini si sa che era un nobile milanese, divenuto vescovo di castro nel 1568. indisse un sinodo nel 1570 in cui si dettavano regole piuttosto severe in materia di morale e di dottrina, come si legge nel Liber plurium actorum episcopalium, ordinationum, collationum, beneficiorum, erectionum, et aliorum actorum episcopalium (ff. 17-2444)

PersOnAggi e LUOghi fArnesiAni deLLA TUsCiA ViTerbese 289

conservato nell’archivio della curia vescovile di acquapendente. “Per la sua pessima condotta fu deposto da gregorio Xiii nel 1581 e poi deportato in ronciglione. Quando fu iniziato il processo – 9 settembre 1573 – non aveva che trentanni […] Mons. cittadini, condannato al car-cere, fu poi chiuso in castel s. angelo [fino al 1601] e solo dopo molti anni di prigionia veniva posto in libertà ma colla assoluta condizione di tornare in Milano”45, come si legge in un breve46 del 10 ottobre dello stesso anno, conservato nel medesimo archivio47.

Per quanto riguarda il bambino nato dalla relazione clandestina tra i due religiosi (avvenuta, secondo il racconto, nel 1572), le uniche tracce di una possibile identificazione con l’alessandro della cronaca romana sono l’atto di battesimo, conservato nei registri parrocchiali della chiesa di s. Margherita a Montefiascone, di un bambino chiamato alessandro il giorno 30 luglio 157348 e registrato come figlio di un Prospero da vetralla.

5. La Castro di stendhal

la struttura dell’Abbesse si articola in tre nuclei narrativi: una dissertazione sul brigantaggio (si tratta della parte in cui si descrive l’amore tra Jules ed hélène), il racconto della relazione tra la badessa e il vescovo avvenuta a castro ed infine la morte di hélène. il primo e l’ultimo sono opera di stendhal, quello centrale è fedele al manoscritto italiano49.

la prima parte del racconto si svolge nei colli albani (in particolare la macchia della faiola e il Monte cavo, zone che stendhal aveva per-sonalmente frequentato tra la fine degli anni venti e gli inizi degli anni Trenta) e racconta l’amore tra la bella hélène campireali, esponente di una nobile famiglia di feudatari e il brigante, figlio di briganti, Jules branciforte, appartenenti a due famiglie che appoggiavano rispettiva-mente le fazioni rivali degli orsini e dei colonna. Quando Jules uccide involontariamente fabio, il fratello di hélène, durante uno scontro tra seguaci dei due clan, la ragazza viene nuovamente inviata al convento della visitazione di castro, presso il quale aveva trascorso alcuni anni come educanda (particolare aggiunto da stendhal). Jules attacca di notte il convento per liberare hélène ma, fallito il tentativo, viene allon-tanato e mandato a combattere al servizio del re di spagna mentre ad hélène viene fatto credere che è morto. a questo punto inizia il lavoro di libero riadattamento compiuto da stendhal, che vede nella relazio-ne della badessa col vescovo il prodotto della “dégradation d’une âme

federiCA CAsini290

noble et généreuse”50 avvenuta per reazione nei confronti del destino e della madre, che aveva sempre ostacolato l’amore della figlia per Jules. stendhal imputa la debolezza dei due religiosi alla scelta forzata di vestire l’abito ecclesiastico (hélène è costretta a lasciare la casa a sedici anni): “la pitié pour un malheur analogue fait leur première liaison” e ancora: “je ne vois que des malheureux, je ne vois pas de coupables”51. stendhal designa ironicamente come “terrible”52 il cardinal farnese, che dà l’ordine di far arrestare e processare i due amanti sacrileghi come mossa strategica per conquistare i voti dei cardinali più severi al prossimo conclave. la figura positiva di hélène si contrappone all’im-magine vile del vescovo, che nega ed offende l’amante per salvarsi. completamente inventata è la fine della badessa, che si uccide immer-gendosi una daga nel cuore alla notizia che Jules è vivo e la sta cercando perché si sente ormai indegna del suo amore. la sordida storia da novel-la di boccaccio si trasforma così nella sublime poesia di un personaggio puro, nobile d’animo ed eroico, che per disperazione scivola nell’abisso della degradazione morale e si immola sull’altare di questo amore per non consegnare all’amante ritrovato l’immagine della sua vergogna.

similitudini tra l’Abbesse e la Chartreuse si trovano, oltre che nella tecnica narrativa, anche nella struttura delle coppie di amanti: fabrice e Jules e clélia ed hélène si assomigliano vistosamente, non solo perché simili a romeo e giulietta ma anche perché complementari nella loro interna composizione. all’eroe maschile intrepido, coraggioso e sensibi-le, fa da corrispettivo l’eroina femminile, sublime vittima degli egoismi di famiglia, dei costumi dell’epoca e dell’autorità ecclesiastica. altre significative vicinanze tra il romanzo e il racconto si scoprono in temi ricorrenti come quello della sconfitta dell’eroe, dei suoi sogni d’amore e di gloria ad opera di un mondo indegno, oppressìvo ed infine il motivo del chiostro. hélène è una suora del convento della visitazione e fabrice predica in una chiesa del convento della visitazione. fabrice morirà nel chiuso di una certosa, elena orsini della cronaca nel chiuso della cella di un monastero. hélène e fabrice infine si assomigliano anche fisica-mente, caratterizzati entrambi da una “physionomie à la corrège”53.

stendhal non si sofferma a riassumere la storia di castro, capitale dell’omonimo ducato del lazio settentrionale, voluto nel 1537 da Paolo iii per il figlio Pier luigi e fatto radere al suolo nel 164954 da innocenzo X. nel capitolo ii si limita a parlare di una città “maintenant détruite”, che identifica quasi esclusivamente col convento della visitazione. al capitolo iv, nel momento in cui Jules progetta di liberare hélène attac-cando il convento, stendhal descrive castro come una “petite ville”55 in cui “les orsini ne manquent pas d’avoir des amis et même des agents”56.

PersOnAggi e LUOghi fArnesiAni deLLA TUsCiA ViTerbese 291

il convento della visitazione è dipinto come un “vaste bâtiment entouré de noires murailles, et assez semblables à une forteresse”57. subito dopo si parla della chiesa del convento

il courut à l’église; elle était splendide. les religieuses, toutes nobles et la plupart appartenant à des familles riches, luttaient d’amour-propre, entre elles, à qui enrichirait cette église, seule partie du couvent qui fût exposée aux regards du public.

[…] Jules s’avança en tremblant dans cet édifice magnifique, resplendissant de marbres et de dorures. […] le grand autel, lui dit-on, avait coûté plus de huit cent mille francs; mais ses regards, dédaignant les richesses du grand autel, se dirigeaient sur une grille dorée, haute de près de quarante pieds, et divisée en trois parties par deux pilastres en marbre. cette grille, à laquelle sa masse énorme donnait quelque chose de terrible, s’élevait derri-ère le grand autel, et séparait le choeur des religieuses de l’église ouverte à tous les fidèles.

[…]

la descrizione del convento continua poco dopo, attraverso gli occhi di Jules, che vorrebbe espugnarlo per liberare hélène:

- un jour, se dit-il, il faudra peut-être en venir à enlever hélène.

et il se mit à examiner les moyens de pénétrer de vive force dans ce jardin.

comme le couvent était fort riche et fort bon à rançonner, il avait à sa solde un grand nombre de domestiques la plupart anciens soldats; on les avait logés dans une sorte de caserne dont les fenêtres grillées donnaient sur le passage étroit qui, de la porte extérieure du couvent, percée au milieu d’un mur noir de plus de quatre-vingts pieds de haut, conduisait à la porte intérieure gardée par la soeur tourière. À gauche de ce passage étroit s’élevait la caserne, à droite le mur du jardin haut de trente pieds. la façade du couvent, sur la place, était un mur grossier noirci par le temps, et n’offrait d’ouvertures que la porte extérieure et une seule petite fenêtre par laquelle les soldats voyaient les dehors. on peut juger de l’air sombre qu’avait ce grand mur noir percé uniquement d’une porte renforcée par de larges bandes de tôle attachées par d’énormes clous, et d’une seule petite fenêtre de quatre pieds de hauteur sur dix-huit pouces de large58.

stendhal scrive nel capitolo v che “le couvent était comme un château fort”59, un vero e proprio luogo fortificato, difeso da servitori ex soldati e da bravi, pronti a respingere gli attacchi dei signorotti vicini:

federiCA CAsini292

il s’agissait de passer par force ou par adresse la première porte du couvent; puis il fallait suivre un passage de plus de cin-quante pas de longueur. À gauche, comme on l’a dit, s’élevaient les fenêtres grillées d’une sorte de caserne où les religieuses avaient placé trente ou quarante domestiques, anciens soldats. de ces fenêtres grillées partirait un feu bien nourri dès que l’alarme serait donnée.

l’abbesse régnante, femme de tête, avait peur des exploits des chefs orsini, du prince colonna, de Marco sciarra et de tant d’autres qui régnaient en maîtres dans les environs. comment résister à huit cents hommes déterminés, occupant à l’improviste une petite ville telle que castro, et croyant le couvent rempli d’or?

d’ordinaire, la visitation de castro avait quinze ou vingt bravi dans la caserne à gauche du passage qui conduisait à la seconde porte du couvent; à droite de ce passage il y avait un grand mur impossible à percer; au bout du passage on trouvait une porte de fer ouvrant sur un vestibule à colonnes; après ce vestibule était la grande cour du couvent, à droite le jardin. cette porte en fer était gardée par la tourière”60.

in realtà, l’“immense couvent, habité par plus de trois cents femmes”61 era con tutta probabilità un edificio dalle dimensioni molto modeste e abitato da poche religiose. al momento del trasfe-rimento del convento da castro a viterbo, si legge nel Manoscritto del Monastero della Visitazione62 di tre monache e una quindicina tra converse e novizie.

a proposito di hélène, dopo il suo definitivo rientro al convento, stendhal afferma che dovette subire il dolore della morte del padre: “la pauvre hélène était traitée en princesse au couvent de castro. la mort de son père l’avait mise en possession d’une fortune considérable, et il lui survint des héritages immenses. À l’occasion de la mort de son père, elle fit donner cinq aunes de drap noir à tous ceux des habitants de castro ou des environs qui déclarèrent vouloir porter le deuil du sei-gneur de campireali”63.

nel manoscritto 4149 si legge che il vescovo, interrogato a propo-sito della frequentazione del Monastero e dei doni fatti alla badessa, si recasse a “consolare la madre abbadessa nella morte seguìta in d.a città del signor orso orsini di lei fratello ucciso a colpi di più pistole”64, particolare confermato nel manoscritto italico, dove si parla sempre dell’origine campireali e non orsini di elena.

Poiché la morte di orso orsini risale al 1576 e gli amori tra elena e Monsignor cittadini al 1572, è improbabile che il vescovo si recasse a consolare la badessa per alleviarle il dolore della perdita di un familiare che sarebbe avvenuta solo alcuni anni dopo. Paradossalmente, risulte-

PersOnAggi e LUOghi fArnesiAni deLLA TUsCiA ViTerbese 293

rebbe più plausibile l’ipotesi della morte del padre giovan francesco orsini, avvenuta nel 1567 (che stendhal sostiene, diversamente dai due manoscritti) malgrado l’arrivo del vescovo a castro sia del 1568.

se i luoghi e gli ambienti nell’Abbesse de Castro sono creati o rein-ventati dalla fantasia dello scrittore, la descrizione del ducato di castro appare ancora più esile e scarna. Mancano rappresentazioni della campagna castrense, che stendhal riserva al contrario alla campagna romana e ai suoi dintorni (albano, foresta della faiola e Monte cavo). Tuttavia possiamo trovare una possibile immagine di essa nel ritorno verso la foresta di Jules, che, accolto un po’ troppo freddamente da hélène, fugge arrabbiato da castro in direzione albano. le immagini delle terre che il personaggio attraversa e del mare potrebbero addicersi anche alla parte di ducato che dalle campagne di castro oltrepassa il Ponte di san Pietro e segue il fiume fiora fino a Montalto, per prose-guire poi in direzione di Tarquinia e civitavecchia:

d’abord il marcha vers rome. […]la vue des hommes qu’il rencontrait sur la route augmentait

sa colère; il poussa son cheval à travers champs, et dirigea sa course vers la plage déserte et inculte qui règne le long de la mer. Quand il ne fut plus troublé par la rencontre de ces paysans tranquilles dont il enviait le sort, il respira: la vue de ce lieu sauvage était d’accord avec son désespoir et diminuait sa colère; alors il put se livrer à la contemplation de sa triste destinée65.

il “verde cupo e profondo della foresta”66 della faiola, regno dei briganti e quartier generale di Jules, potrebbe infine addicersi perfet-tamente alla descrizione della selva del lamone, riserva di caccia dei farnese e in seguito celebre roccaforte e rifugio di briganti e fuoriusciti.

6. La Tuscia stendhaliana

non sappiamo se la rielaborazione contemporanea dei due mano-scritti sui farnese fosse casuale o mossa invece dall’idea, ben presente all’autore, di un legame che unisce le storie, entrambe ambientate in due dei luoghi chiave della geografia farnesiana: castro e Parma. abbiamo, al contrario, precise testimonianze riguardo alla frequentazione della Tuscia da parte di henry beyle. da alcuni brevi appunti manoscritti che avrebbero dovuto essere utilizzati per le Promenades dans rome67, risulta che attorno agli anni Trenta stendhal si recasse a canino (città natale di alessandro farnese, dato di cui stendhal non poteva essere a

federiCA CAsini294

conoscenza poiché a lungo si è creduto fosse nato a roma) per visita-re gli scavi effettuati da luciano bonaparte (fratello di napoleone i68) principe di canino e poi di Musignano, a cerveteri, Ponte della badia, vulci e corneto69. un’amicizia, quella coi bonaparte “italiani”, sicura-mente non esibita da stendhal, la cui posizione di console obbligava a muoversi con circospezione nei confronti di un personaggio tenuto ad un regime di sorvegliato speciale dalla polizia dello stato Pontificio.

il ricordo dei principi bonaparte è legato inoltre ad un fatto di cronaca accaduto a canino, i cui echi si ritrovano nella Chartreuse. nel 1836 i fratelli Pietro70 (1815-1881) e antonio bonaparte (1816-1877), figli di luciano, giovani ribelli politicamente sospetti, reagiscono al loro arresto uccidendo sulla piazza del mercato di canino un capitano pontificio e ferendone altri con un coltello da caccia (particolare ripreso da stendhal nella Chartreuse, nella rissa tra giletti e fabrice, al quale Marietta lancerà un coltello da caccia per difendersi dal rivale). Pietro bonaparte, ferito, viene arrestato, condannato e incarcerato a castel sant’angelo (1836-1837).

spontaneo sorge il raffronto tra la vicenda di alessandro farnese, alla quale stendhal si stava interessando in quegli anni e il giovane bonaparte, liberale dallo spirito fiero e indomito, ennesima incarnazio-ne dei briganti cinquecenteschi delle cronache romane ed appartenente alla stirpe di colui che era considerato dallo scrittore “om fatal”. nessun riferimento esplicito ai principi di canino, alla Tuscia, ai suoi paesaggi o abitanti o alla città di castro (i cui scavi iniziarono solo nel 1961) da parte del viaggiatore stendhal, che si limita a descrivere le tombe e i ritrovamenti archeologici avvenuti a corneto, canino e Ponte della badia. indirettamente le immagini dei luoghi ed ambienti ritornano nella ricca ricostruzione stendhaliana della campagna laziale presente nell’Abbesse, mentre i ricordi dei giovani liberali71 nutrono le figure di Jules branciforte e di fabrice, anch’egli amante degli scavi archeologici.

È difficile stabilire, si è detto, quanto e come la sequenza farnese-castro-Parma fosse intenzionalmente presente nella mente di stendhal. Mancano documenti che comprovino l’esistenza di un disegno di stendhal relativo ad una serie di opere dedicate alla famiglia farnese. la stessa immagine dei suoi principali esponenti non è quella autenti-ca, non nasce da uno scrupoloso studio delle fonti storiche ma è quella delle cronache leggendarie, filtrate da un immaginario cinquecentesco a caccia di aneddoti piccanti, più che di una rigorosa documentazione d’archivio. la frequentazione da parte di stendhal della Tuscia avvalora però l’ipotesi di un radicamento di queste opere in un preciso contesto storico-geografico, che stendhal conobbe e fece finta di ignorare (forse

PersOnAggi e LUOghi fArnesiAni deLLA TUsCiA ViTerbese 295

per prudenza) ma che è stato in grado di ricreare sapientemente, con una capacità che va forse ben oltre i suoi intenti consapevoli.

nella Chartreuse l’anticlericale stendhal riesce infine a superare la cronaca boccaccesca per penetrare idealmente, con la sua arte, nella vita profonda dell’uomo alessandro farnese, sbrigativamente liquidato nell’Alexandre come heureux. l’apparente sconfitta di fabrice, vinto dal noir, è probabilmente più vicina di quanto si possa immaginare alla riuscita di alessandro. la chiusura di fabrice nella certosa e il suo distacco da clélia e dal mondo assomigliano singolarmente all’avventu-ra spirituale del futuro Paolo iii che, come nelle migliori “conversioni romanzesche”72, abbandona l’esistenza mondana, prende i voti per dedicarsi alla chiesa e al suo progetto di riqualificazione morale di essa. l’episodio della detenzione nella Torre farnese anticipa e simboleggia il raccoglimento interiore, l’espiazione e la fuga dal mondo nella certosa di fabrice da una parte, la rinuncia alla donna amata e la decisione di prendere i voti da parte di alessandro farnese dall’altra, straordinarie metafore dell’archetipo cristiano di “morte e risurrezione73”, già presen-te nel rouge et le noir nell’esperienza della torre-prigione di Julien sorel e nel suo rifiuto di difendere la propria testa. la simbologia farnesiana si lega qui con quella stendhaliana. il tema della torre-prigione svolge, sia nel rouge che nella Chartreuse, un ruolo fondamentale: l’altezza infonde alle anime ancora prigioniere del mondo un senso di pace, un distacco, un’elevazione spirituale che guarirà i protagonisti che vi sono reclusi dalle loro malattie: “[…] on est ici à mille lieues au-dessus des petitesses et des méchancetés qui nous occupent là-bas”74, afferma fabrice.

da questa esperienza Julien sorel uscirà guarito dalla sua osses-sione per il mondo; fabrice, come alessandro, conoscerà un radicale rinnovamento interiore e riuscirà, grazie alla rinuncia alla violenza, ad avere una vita felice agli occhi degli uomini e dei saggi e a morire con l’animo in pace, come predettogli dall’abbé blanès75, che legittima l’interpretazione di una conclusione heureuse della Chartreuse: “to the happy few”76, come recita l’ultima frase del romanzo.

anche l’Abbesse non fornisce una ricostruzione esatta o veritiera della Tuscia e di castro, città distrutta da ben due secoli all’epoca di stendhal. la veridicità storica dei fatti è sempre inquinata da vistose inesattezze e incongruenze, la rappresentazione dei personaggi filtrata attraverso le distorsioni mitiche delle cronache. va precisato comun-que che a stendhal non interessava fare un romanzo storico nel senso manzoniano o moderno del termine. la grandezza della sua arte risiede piuttosto nel far rivivere una città che non esiste più e forse non è mai

federiCA CAsini296

esistita, almeno nei termini in cui egli l’ha descritta, bensì a risuscitare un mondo scomparso che la veduta di quello che rimane oggi di castro riesce solo in parte a farci intuire. stendhal realizza un magistrale lavoro di “ri-costruzione” fantastica di un mondo sepolto dove visi, corpi, vicende, riprendono vita come gli scheletri nel deserto descritti da ezechiele77. lo spirito creativo di stendhal soffia, come quello del profeta, sulle ossa della valle dei morti e li fa tornare in vita per ricon-segnare alla memoria collettiva l’immagine inventata, ma verosimile, di un posto cancellato dalla realtà storica. il luogo dell’assenza e dell’oblio, il “qui fu castro” torna ad essere spazio vivo, indimenticabile teatro di azioni e passioni. straordinario tributo stendhaliano alla città di castro e formidabile arma, a distanza di secoli, contro l’orrida barbarie di chi pensò di annientarne per sempre la presenza ma non riuscì mai a can-cellarne il ricordo.

Federica casini

1 Per una bibliografia fondamentale sui farnese si vedano i seguenti studi: flaminio Maria annibali, notizie storiche della casa farnese, Montefiascone, Tipografia del seminario, 1917-1918; antonio valeri, i farnese, firenze, neMi, 1934; giovanni drei, i farnese. grandezza e decadenza di una grande dinastia italia-na, roma, ist. Poligr. stato, 1954; giovanna rabbi solari, storie di Casa farnese, Milano, Mondadori, 1964; emilio nasalli rocca, i farnese, Milano, dall’oglio, 1969; M. aymard-J. revel, La famille farnèse, i, 2, texte, roma, École française de rome, 1981. ringrazio vivamente romualdo luzi, storico della famiglia farnese, per il prezioso aiuto fornitomi.

2 si vedano in merito: charles dédéyan, stendhal et les Chroniques italiennes, Paris, didier, 1956; stendhal, Chroniques italiennes, Paris, gallimard, 1964; vittorio del litto, La vita di stendhal, Milano, Mursia, 1967; Michel crouzet, stendhal et l’italianité. essai de mythologie romantique, Paris, corti, 1982 (trad. it.: stendhal e il mito dell’italia, il Mulino, 1991); Per uno stendhal “romano”. Libri, idee, immagini. Catalogo della Mostra (roma, Palazzo Primoli, 24 ottobre - 9 dicembre 2002), a cura di Massimo colesanti, roma, edizioni di storia e letteratura, 2002.

3 si veda in proposito: Patrizia rosini, Viaggio nel rinascimento tra i farnese ed i Caetani, www.nuovorinascimento.org

4 Per il testo di dell’Origine, si segue la versione contenuta nel codice capponiano 31 della biblioteca vaticana, riportata ne La Parma di stendhal di luigi foscolo benedetto (Milano, adelphi, 1991, pp. 96-97).

5 l’equivoco sul nome è sicuramente riconducibile al fatto che rodrigo borgia aveva un’amante di nome giovanna cattanei, detta vannozza, madre di quattro dei suoi figli, tra cui cesare e lucrezia. il matrimonio di giovanna con carlo canale nel 1486 creò un allontanamento tra i due, in seguito al quale il pontefice strinse una relazione con giulia farnese. si veda al riguardo: carlo fornari, giulia farnese: una donna schiava della propria bellezza, Parma, silva editore, 1995.

6 l.f. benedetto, La Parma di stendhal, pp. 96-97.7 errore per roderigo commesso dal redattore.8 ibidem.9 ibidem, pp. 104-105.10 ibidem, p. 103.11 ludwig von Pastor, storia dei Papi dalla fine del Medioevo, versione italiana di

angelo Mercati, roma, 1924, vol. v, p. 14 n. 4.

PersOnAggi e LUOghi fArnesiAni deLLA TUsCiA ViTerbese 297

12 Vita di Paolo iii, in Le vite dei pontefici di bartolomeo Platina… accresciute con quelle de’ papi moderni…, venezia, Turrini-brigonci, 1688, p. 592.

13 secondo odorici, giovanna di onorato gaetani signore di sermoneta fu chiusa in prigione dal figlio, signore di farnese, che l’accusava di adulterio (federico odorici, i farnese, in Pompeo litta, famiglie celebri italiane, Milano, 1868, tav. vii). innocenzo viii inviò a castel sant’angelo alessandro, che il 17 aprile 1487 riuscì a fuggire.

14 stendhal, Promenades dans rome, Paris, le divan, vol. iii, p. 87.15 clemente lanzi, Memorie storiche sulla regione castrense, roma, Tipografia

Menaglia, 1938, p. 241. si veda anche: Patrizia rosini, Clelia farnese, la figlia del gran cardinale, viterbo, sette città, 2010.

16 Michel de Montaigne, Viaggio in italia, roma-bari, laterza, 1991.17 lettera datata 27 agosto 1832, in stendhal, La Chartreuse de Parme, Paris,

gallimard, 1972, p. 526. 18 ibidem. nella Chartreuse si legge che fabrice “se croyait fait pour être plus

heureux qu’un autre” (p. 104).19 in una lettera datata 18 marzo 1835, indirizzata a fiore e a colomb, stendhal

scrive: “la jeunesse de Paul iii est divine” (cit. in l.f. benedetto, La Parma di stendhal, p. 110).

20 ibidem, p. 115.21 stendhal, Promenades dans rome, t. iii, p. 115. 22 si segue il testo della traduzione di stendhal riportata da l.f. benedetto in

La Parma di stendhal, p. 118-128.23 oltre ad inesattezze legate alla data di nascita di alessandro, nella cronaca

si allude addirittura alla possibilità che il futuro Paolo iii fosse il figlio illegittimo di giovannella caetani e di un gentiluomo napoletano di nome giovanni bozzuto, che invece fu il secondo marito di giulia farnese, da lei sposato nel 1509. ibidem, pp. 116-121.

24 ibidem, p. 85.25 vedi: francesco novati, stendhal e l’anima italiana, Milano, cogliati, 1915 e

Teresa gardenghi, stendhal e Parma, “aurea Parma”, iv (1920), p. 205.26 l.f. benedetto, La Parma di stendhal, pp. 321-322.27 divenuto duca nel 1592, riformò le strutture dello stato, che guidò per un

trentennio. Personalità “sospettosa e autoritaria”, affascinato dall’alchimia e dalle pratiche magiche, fu poco amato dai suoi sudditi. nella Chartreuse il crudele ernest iv è tormentato dai sospetti ed è costantemente impegnato a sventare congiure, vere o presunte, a spese dei liberali (pp. 107-109).

28 ronchini, Vita di barbara sanseverina, contessa di sala e Marchesa di Colorno, Modena, 1865.

29 stendhal, Chartreuse, p. 127.30 ibidem, p. 267.31 ibidem, pp.  350-351. nelle Promenades si legge che il giovane ranuccio

farnese (salito al trono nel 1592), figlio di alessandro (1586-1592) duca di Parma e governatore dei Paesi bassi, chiese un’udienza al Pontefice. Poiché il giovane aveva l’abitudine di girare armato, fu perquisito in vaticano e, trovategli alcune pistole, fu immediatamente arrestato e condotto a castel sant’angelo. il cardinal farnese, subito informato dell’accaduto, chiese un’udienza al Papa, ricevendone un rifiuto. egli, che conosceva bene sisto v e temeva per la sorte del giovane principe, tornò alla carica e riuscì ad ottenere per le dieci di sera l’udienza richiesta. Mentre il car-dinale si prostrava al Papa, il governatore di castel sant’angelo riceveva dal santo Padre l’ordine di far decapitare ranuccio. sisto v, agendo in modo doppio, finse di cedere e firmò anche l’ordine di scarcerazione del principe, confidando che il giova-ne farnese sarebbe stato giustiziato prima dell’arrivo dello zio. allora il cardinale, senza perdere un minuto di tempo, corse a castel sant’angelo e trovò il nipote che si lamentava tra le braccia di un confessore; aveva ritardato la sua morte solo perché aveva chiesto una confessione generale. il governatore, visto l’ordine del pontefice, liberò il prigioniero. il cardinale nel frattempo aveva dei cavalli pronti, che traspor-tarono dopo poche ore il principe fuori dai confini dello stato Pontificio.

32 si vedano in proposito: emilio nasalli rocca, i farnese, p. 155 e giovanna rabbi solari, storie di Casa farnese, p. 129-138.

federiCA CAsini298

33 f. odorici, i farnese, tav. XiX34 l.f. benedetto, La Parma di stendhal, p. 71.35 ibidem, p. 64.36 Manfredo vanni (sorano 1860 - Milano 1937), La storia del vescovo, Pavia,

corriere Ticinese, 1896. lo scrittore, come stendhal, racconta la relazione tra il vescovo di castro e la superiora del Monastero della visitazione. la cronaca occupa per intero il cap. Xvi, dal titolo La catastrofe, pp. 210-228.

37 si segue il testo del Ms ital. 171 così come riprodotto nell’edizione dell’Abbes-se de Castro, a cura di franca Zanelli Quarantini, Torino, einaudi, 1993, pp. 235-243.

38 Ms ital. 170, in stendhal, Abbesse, pp. 235-243.39 Per la documentazione d’archivio e il Ms 4149 si segue la tesi di laurea di

itala battisti, stendhal console a Civitavecchia: politica, archeologia e letteratura, rela-tore Prof. alberto beretta anguissola, università degli studi della Tuscia, aa 1990-1991, p. 185.

40 stendhal, Abbesse, p. 243.41 ibidem, p. 243.42 benedetto Zucchi, informazione e cronaca (1630) in flaminio annibali,

notizie storiche della casa farnese, Montefiascone, 1818, vol. ii, p. 25. 43 eraclio stendardi, Memorie storiche della distrutta città di Castro, viterbo,

seconda ed., 1959, p. 74.44 ibidem.45 ibidem.46 cartella 8, capitolo di castro, ff. 84r, 84v, 85r.47 la bolla della scomunica lanciata da gregorio Xiii porta la data del 10 otto-

bre 1573 (archivio diocesano acquapendente, cartella 8, capitolo di castro).48 archivio parrocchiale di s. Margherita in Montefiascone, atti di battesimo

1566-1575, vol. 7, (atto 30.07.1573).49 Mariella di Maio, interno di un racconto: l’Abbesse de Castro, in stendhal,

roma, l’italia, atti del congresso internazionale (roma, 7-10 novembre 1983), roma, edizione di storia e letteratura, 1985, pp. 517-526.

50 stendhal, Abbesse, p. 174.51 ibidem, p. 22.52 ibidem, p. 208.53 stendhal, Chartreuse, p. 103. cfr stendhal, Abbesse, p. 26.54 il ducato di castro (1537-1649) comprendeva una fascia di territorio laziale,

a ridosso della Toscana, che si estendeva dal Mar Tirreno al lago di bolsena, nella striscia di terra delimitata dai fiumi Marta e fiora. essa includeva castro, Montalto, Musignano, Ponte della badia, canino, cellere, Pianiano, arlena, Tessennano, Piansano, valentano, ischia, gradoli, grotte, borghetto, bisenzio, capodimonte, Marta, le isole bisentina e Martana e la contea di ronciglione (con ronciglione, caprarola, nepi, carbognano, fabrica di roma, canepina, vallerano, vignanello, corchiano, castel s. elia). la citta maremmana di castro, antica sede vescovile, fu scelta quale capitale dell’omonimo ducato, che costituiva uno stato autonomo all’in-terno dello stesso stato ecclesiastico, in seguito alla promulgazione, da parte di Paolo iii, della bolla Videlicet immeriti del 31 ottobre 1537. all’architetto toscano antonio di sangallo fu affidata la sua trasformazione urbanistica in città rinascimentale, mai completata a causa della successiva acquisizione del ducato di Parma e Piacenza da parte dei farnese e allo spostamento della loro attenzione verso i possedimenti emiliani. i debiti contratti con la camera apostolica dai farnese nel corso degli anni determinarono il declino della città. il 18 marzo 1649 il nuovo vescovo di castro, il barnabita mons. cristoforo giarda, nominato dal Papa contro il volere farnesiano, venne assassinato da due sicari incappucciati mentre era in viaggio da roma verso la sua nuova sede episcopale. il processo individuò come mandante dell’omicidio il duca di castro ranuccio farnese. Papa innocenzo X Pamphili dichiarò guerra alla città. castro fu assediata a partire dai primi giorni di aprile. contrariamente ai patti di resa sottoscritti il 2 settembre 1649, il pontefice (probabilmente sotto l’influenza della cognata, donna olimpia Maidalchini) decise di far cacciare gli abitanti e di demolire l’intero abitato. la tradizione narra che sulle rovine di castro fosse sparso del sale e innalzata una colonna con su scritto: “Qui fu castro”. nello stesso anno il territorio di castro entrò a far parte dello stato ecclesiastico e fu aggregato alla

PersOnAggi e LUOghi fArnesiAni deLLA TUsCiA ViTerbese 299

provincia pontificia del Patrimonio di san Pietro. vedi: romualdo luzi, L’inedito giornale dell’assedio, presa e demolizione di Castro (1649) dopo l’assassinio del Vescovo barnabita Mons. Cristoforo giarda, “barnabiti studi”, 2 (1985), pp. 7-55.

55 stendhal, Abbesse, p. 106.56 ibidem, p. 104.57 ibidem, p. 106.58 ibidem, p. 124.59 ibidem, p. 138.60 ibidem, pp. 138-140.61 ibidem, p. 206.62 i. battisti, stendhal console a Civitavecchia, ff. 7v, 8r.63 stendhal, Abbesse, p. 180.64 i. battisti, stendhal console a Civitavecchia. orso orsini, conte di Pitigliano,

era figlio naturale di giovan francesco (morto nel 1567) e fratello di nicola, con il quale ebbe frequenti contrasti per il possesso della contea. capitano di ventura e temperamento sanguinario, si macchiò di delitti quali l’uccisione di galeazzo farnese nel 1573 e la morte della moglie, eleonora degli atti da Morlupo, uccisa di propria mano nel 1575 nel Parco presso Pitigliano (che prese il nome di Poggio strozzoni in ricordo del delitto compiuto) perché sospettata di tradimento proprio con il duchino di latera (la famiglia farnese era divisa in due rami: i duchi di castro e il ramo cadetto dei duchi di latera e farnese). Morì nel 1576, ad opera dei sicari dei farnese, che vollero così vendicare l’omicidio del loro congiunto. vedi in merito: angelo biondi, L’uccisione del “duchino” di Latera. nuova luce da un docu-mento di Parma, in Cardinale girolamo farnese Ultimo duca di Latera, (giornata di studi. Museo della Terra,15 novembre 1999), grotte di castro, tip. cecccarelli, (s.d), pp. 39-50.

65 stendhal, Abbesse, p. 116. il corsivo è nostro.66 Philippe berthier, Topo-énergétique de l’“Abbesse de Castro”, “stendhal club”,

110 (gennaio 1986), p. 142.67 il frammento intitolato Voyage à Canino-Vases etrusques è stato scoperto da

v. del litto e pubblicato nei Voyages en italie, Paris, 1973, supplément i, pp. 1194-1197. sui rapporti intrattenuti da stendhal con i bonaparte, si veda: claude boncompain, françois vermale, stendhal ou la double vie de henry beyle, amyot et dumont, 1955, pp. 290-295. vedi inoltre: fabrizio barbaranelli, h. beyle. stendhal console a Civitavecchia, civitavecchia, Tip.  etruria, 1963; ludovica cirrincione d’amelio, due testimonianze romantiche sulla Tuscia: Charles didier e stendhal, in Viaggiatori da e per la Tuscia, a cura di gaetano Platania, viterbo, sette città, 2003, pp. 149-158.

68 in rotta con napoleone per la sua svolta autoritaria e per le ingerenze nelle proprie scelte matrimoniali, luciano, fervente repubblicano, subì l’esclusione da ogni diritto ereditario e la condanna all’esilio, che trascorse per alcuni anni tra frascati e la Maremma, dove Papa Pio vii gli vendette nel 1808 una tenuta e gli conferì nel 1814 il titolo di Principe di canino (cui si aggiunse nel 1824 il titolo di Principe di Musignano). vedi: andrea donati, Luciano bonaparte principe di Canino, Morciano di romagna, e. gaspari, 1921.

69 stendhal, Les tombeaux de Corneto, “revue des deux mondes” (1 settembre 1853), pp. 996-1004.

70 su Pietro bonaparte si vedano: andrea donati, il principe Pietro bonaparte, roma, scuola tip. don luigi guanella, 1936; roma tra storia e cronaca dalle fotogra-fie di giuseppe Primoli, a cura di Piero becchetti e carlo Pietrangeli, roma, Quasar, 1981; leonardo sciascia, il Principe Pietro, in Cronachette, Palermo, sellerio, 1985; caterina di bella ragonesi, Pietro bonaparte e la rosa di Castro, “Tuscia”, 43 (1988), pp. 12-15.

71 stendhal si ispirò alla figura del precettore dei principi bonaparte, padre Maurizio da brescia, per la creazione del precettore di fabrice, l’abate appassionato d’astrologia blanès (bruno Pincherle, il r. P. Maurizio da brescia, ovvero il cannoc-chiale dell’abate blanès, in in compagnia di stendhal, Milano, all’insegna del Pesce d’oro, 1967, pp. 271-327). nella caratterizzazione di fabrice, ossessionato dai presa-gi, influì probabilmente anche il ricordo della passione di Paolo iii per la magia, cui stendhal allude nella prefazione dell’Origine rimaneggiata (l.f. benedetto, La Parma

federiCA CAsini300

di stendhal, p. 155). si veda in proposito il volume di alessandro Menghini e felicita Menghini di biagio, Paolo iii. Pillole e profezie. Astrologia e medicina alla Corte papale del Cinquecento, Perugia, aMP, 2004.

72 rené girard, Mensonge romantique et vérité romanesque, Paris, grasset, 1961.73 rené girard, dostoevskji, du double à l’unité, Paris, Plon, 1963.74 stendhal, Chartreuse, pp. 308-309.75 ibidem, pp. 167-169.76 ibidem, p. 489.77 ez 37, 1-10.


Recommended