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Rota e i suoi primi film: canzoni, film e leitmotiv

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CONSERVATORIO DI MUSICA SAN PIETRO A MAJELLA DI NAPOLI L’ALTRO NOVECENTO DI NINO ROTA Atti dei Convegni nel centenario della nascita Roma, 2 dicembre 2011 Napoli, 15-16 dicembre 2011 a cura di DANIELA TORTORA Edizioni del Conservatorio di Musica San Pietro a Majella Napoli 2014
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CONSERVATORIO DI MUSICA SAN PIETRO A MAJELLA DI NAPOLI

L’ALTRO NOVECENTODI NINO ROTA

Atti dei Convegni nel centenario della nascita

Roma, 2 dicembre 2011Napoli, 15-16 dicembre 2011

a cura diDANIELA TORTORA

Edizioni del Conservatorio di Musica San Pietro a MajellaNapoli 2014

Premessa del Direttore del Conservatorio di musica San Pietro a Majella di Napoli, Elsa Evangelista .......................................................................................................... 7

Premessa del curatore, Daniela Tortora ........................................................................... 9

Programma del convegno-seminario “Nino Rota. Le musiche non filmiche” ................... 13

Programma del convegno “Napoli per Nino Rota, nel centenario della nascita”............... 14

Giovanni Guanti, Depositum custodi: Nino Rota guardiano della tradizione (non soltanto musicale) ................................................................................................... 17

Eleonora Di Cintio, La committenza affettuosa: le liriche da camera di Nino Rota A Maria .................. 25

Pier Paolo De Martino, Rota, Benedetti Michelangeli e il concerto nel cassetto ................................................. 55

Daniela Tortora, Voce bianca, candore e altre cose: Rota e il mondo dell’infanzia ................................. 73

Nicola Scardicchio, La luce iniziatica della lampada di Aladino nell’opera di Nino Rota e di Vinci Verginelli ......................................................................................................... 93

Simone Caputo, Le musiche per le commedie di Eduardo De Filippo: Gennareniello, Il contratto, Quei figuri di tanti anni fa .......................................... 113

Dinko Fabris – Bruno Moretti, Napoli milionaria, una lettura a quattro mani .......................................................... 143

Antonio Rostagno, Un seminario a Roma, Nino Rota. Le musiche non filmiche: contenuti, discussioni, conclusioni .................................................................................. 195

Manuela Rita, I quindici preludi per pianoforte tra anacronismo e tradizione ................................. 203

INDICE

Alessandro Maras, Musica clandestina: i concerti per ottone e orchestra ................................................... 211

Pasquale Giaquinto, Mysterium Catholicum: Nino Rota e il sacro ............................................................. 227

Paola Ronchetti, Le Messe di Nino Rota per la Venerabile Cappella Giulia della Basilica Vaticana ... 239

Federica Nardacci, «Caro Goffredo….», le lettere inedite di Nino Rota a Goffredo Petrassi ................... 257

Antonio Ferrara, Rota e i suoi primi film: canzoni, pastiche e leitmotiv ............................................... 271

Roberto Calabretto, Molto più di un semplice ronron. La musica nel cinema di Mario Soldati .............. 303

Matteo Sansone, «Godfather of Italian Music»: Rota nella critica angloamericana ............................ 319

Simone Perugini, Ipotesi per una drammaturgia filmico-musicale di Prova d’orchestra ....................... 333

Laura Valente (a cura di), Nino Rota al teatro di San Carlo. Cronologia .............................................................. 355

Indice dei nomi ....................................................................................................................... 377

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Antonio FerraraROTA E I SUOI PRIMI FILM: CANZONI, PASTICHE E LEITMOTIV

Questo contributo affronta il periodo meno noto e indagato della carriera cinematografica di Nino Rota, quella fase della sua vita professionale liquidata troppo frettolosamente solo per l’atteggiamento remissivo del maestro, ridotto a docile artigiano di compilazioni mu-sicali. L’analisi delle musiche di questi film, lontani dalle celebri collaborazioni con Fellini e Visconti, rivela, invece, quell’ostinata resistenza a seguire il proprio percorso artistico, al di là delle singole pellicole e, com’è noto, dello stesso steccato della musica per film. La pellicola può diventare dunque anche un immediato supporto per verificare temi, spunti melodici e tecniche di variazione: un’operazione favorita dalla committenza cinematogra-fica che fornisce al compositore un ampio campo di azione al cui interno egli si muove con disinvoltura, assimilando tecniche e abitudini – buone e cattive – e confrontandosi con stili e forme musicali disparate.

Si tratta dunque di aggiungere il tassello iniziale a quel necessario processo di stori-cizzazione della lunga carriera cinematografica del compositore: un percorso ricognitivo orientato, da un lato, a individuare gli eventuali prestiti o le assimilazioni associabili al contesto storico-cinematografico nel quale sono sorte queste prime partiture; dall’altro, a delineare la persistenza di strategie compositive adottate a contatto con la settima arte.

Per questo ho voluto focalizzare l’attenzione sui tre elementi cardine ricorrenti nelle partiture cinematografiche di Rota: il leitmotiv, termine forse scorretto se riferito alla sua origine wagneriana, ma comunemente impiegato nel linguaggio filmico-musicale e solo in tal senso utilizzato in questa sede; la canzone, una delle forme musicali più congeniali al cinema e, fin dall’inizio, ricorrente nei film rotiani; il pastiche, qui inteso come atteggia-mento disinvolto dell’atto compositivo nei confronti della categoria dell’originalità (abito mentale perfettamente consono alle esigenze della musica cinematografica).

Il mio punto di partenza è quindi inevitabilmente Treno popolare (1933) di Raffaello Matarazzo (1909-1966), il precoce e isolato debutto cinematografico del compositore.

Troppo spesso, soprattutto sul versante della letteratura rotiana, questo film è stato sommariamente liquidato con giudizi che rilevano audiovisioni superficiali e non stori-cizzate. Giudizi probabilmente condizionati dalla marginalizzazione che lo stesso mae-stro milanese ha operato nei suoi ricordi. È nota, infatti, l’intervista rilasciata a Guido Vergani nella quale il compositore ricordò la sua partecipazione a questo «filmetto», svolta «quasi per gioco e del tutto gratis», riportando quell’aneddoto – raccontato più ampiamente da Fedele d’Amico nel necrologio scritto per il compositore1 – secondo cui

1 «Sul principio del ’33, […] di ritorno dai due anni di studio passati a Filadelfia, Nino Rota […] fu […] invitato a comporre le musiche per un filmuccio intitolato Treno popolare, opus n. 1 di Raffaello Matarazzo, venne ad alloggiarsi per un mese, a Roma, in casa mia ossia di mio padre. E non appena ebbe composto il primo pezzo me lo suonò, perché io gliene controllassi la durata. Cresceva di quaranta secondi. Possibile? Me lo suonò di nuovo; e io confermai: Nino, doveva essere d’un minuto e venti cioè ottanta secondi, tu ne hai fatti centoventi. E lui: ma uno e venti non vuol dire centoventi? Dovetti faticare un bel po’ per ricordargli

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sbagliò tutti i tempi perché era «convinto che il minuto fosse di cento secondi. Ne erano venuti fuori dei pezzi chilometrici».2

Com’è noto, il titolo del film richiama inequivocabilmente quell’iniziativa del regi-me che offriva a operai e impiegati biglietti economici per gite domenicali fuori porta. La visione della commedia, che si svolge lungo l’arco di una sola giornata nella quale un gruppo di romani va in gita turistica a Orvieto, non rileva, però, in nessun punto intenti celebrativi: non si vedono autorità, non vi sono parate e nessun personaggio associa l’ini-ziativa né al regime, né a Mussolini. Il film denota invece un atteggiamento irriverente nei costumi e disinvolto nei rapporti di genere tra uomini e donne, che riecheggiano anche nel testo della canzone omonima associata al film, scritta da Ennio Neri (1891-1985), il paroliere della famosissima Parlami d’amore Mariù.3 La «gaia istituzion» è piena di confu-sione, famigliole, seduzione e buon umore.4

Per quanto riguarda, invece, la precaria e sbagliata organizzazione delle misure cro-nometriche, ricordata da Rota e d’Amico, non si vuole certamente mettere in discussione l’aneddoto raccontato dai due. La visione del film, tuttavia, rivela una tale quantità di sincroni, che può essere stata determinata solo da un preciso e rigoroso minutaggio. In un primo momento Rota avrà anche sbagliato le lunghezze, ma nel lavoro definitivo deve aver prestato, invece, molta attenzione alla riuscita dei numerosi punti di incontro tra la musica e le immagini presenti nella pellicola.

A tal proposito è necessario precisare che siamo negli anni in cui il campo del di-battito filmico-musicale è interamente occupato dalla contrapposizione tra sincronismo e asincronismo: i due aspetti considerati più problematici nel rapporto tra immagini in movimento e musica. Non è questa la sede per dilungarmi su questa contrapposizione. È importante solo sottolineare che i partigiani del sincronismo considerarono i cartoni ani-mati di Disney, nei quali la musica è completamente piegata alla riproposta sincronica dei movimenti delle figure animate, come l’espressione musicale più riuscita nell’associazione audiovisiva.5

che minuti e secondi sono una cosa e il sistema decimale un’altra. Sei proprio sicuro? ripeteva timidamente. Cedette a stento», Fedele d’Amico, La farfalla sul pianoforte, «L’Espresso», XVII, 29 aprile 1979, ripubb. in Fra cinema e musica del Novecento: il caso Nino Rota, Dai documenti, a cura di Francesco Lombardi, Firenze, Olschki, 2000, p. 207.

2 Guido Vergani, Intervista a Nino Rota, ivi¸ p. 3.3 La canzone di Cesare Andrea Bixio che è stata utilizzata come elemento cardine del noto film di Mario

Camerini Gli uomini che mascalzoni (1931).4 Ecco l’intero testo della canzonetta: «Quanta allegra confusione / nei vagoni del treno popolar! / Già

gremita è la stazione: / oggi è festa e ci si può svagare! / Ecco la famigliola col papà, / ecco delle “maschiette” in libertà; / uno sciame di studenti, / un ardor di gioventù?... // * Oh treno popolar, / gaia istituzione; / di mille mille cuor / sei la seduzion! / Ne la campagna in fior / fischia già il vapore, / tra un coro di canzon / regna il buon umore! *// Bimba!.. sui verdi colli salirem”.. / Bimba!.. sul mare azzurro andremo insiem!... / Più lieto ognun, doman, / tornerà al lavor… / O treno popolar / caro al nostro cuore // Il vecchietto intraprendente / la sartina vuole conquistar; / lì vicino, lo studente / fuma e canta.. senza protestar…. / Ecco si ferma il treno alla stazion! / Mentre che il vecchio cerca nel vagon / lo studente e la sartina / vanno insieme a colazione! [* ritornello]».

5 Fu il letterato Giacomo Debenedetti, allora molto impegnato nella critica cinematografica e interessato al discorso sul rapporto tra musica e film, a decretare «la vittoria di Topolino», cfr. Giacomo Debenedetti, La vittoria di Topolino, in Id., Al cinema, a cura di Lino Micciché, Venezia, Marsilio, 1983, pp. 43-59.

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Nell’ultima parte della lunga sequenza iniziale alla stazione di Roma, è proprio con il mickeymousing – la tecnica di scrittura così denominata perché adoperata sistematicamen-te nei cartoni di Mickey Mouse e Silly Symphonies – che viene risolta l’associazione della musica alle immagini. Oltre ai precisi sincroni della chiusura in successione delle porte del treno (di facile effetto), la musica segue la corsa goffa dell’ultima passeggera fino alla salita sul vagone, riuscendo a terminare il pezzo, con effetto prossimo a quello utilizzato nei cartoon, in perfetta coincidenza con la chiusura dell’ultima porta.

Fig. 1: Raffaello Matarazzo, Treno popolare (1933): Roma, stazione ferroviaria

Ritengo, piuttosto, che la tendenza a marginalizzare questo debutto cinematografico sia legata al fiasco della pellicola.6 Per questi giovani debuttanti – Matarazzo e Gastone Bo-sio7 avevano solo ventiquattro anni; Rota, invece, non aveva ancora compiuto i ventidue

6 In realtà, il film ebbe diversi commenti critici favorevoli tra i quali quello di Filippo Sacchi, il critico del «Corriere della Sera»: «Treno popolare ha freschezza, semplicità, spontaneo interesse per le cose, impulsiva sincerità nel raccontarle. C’è però anche [ ..] un notevole senso di proporzione e di misura [...], un’attenzione sempre vigile portata all’azione e ai caratteri principali [...] È un film divertente e simpatico, intonato e gentile, giusto di ritmo, cinematografico sempre […] Buono l’accompagnamento musicale di Rota: aderente all’azione e giustamente popolare», F[ilippo] Sacchi, «Corriere della Sera», 15 novembre 1933, ripubb. in Cinecittà anni Trenta. Parlano 116 protagonisti del secondo cinema italiano, 1930-1943, I-III: III, a cura di Francesco Savio, Roma, Bulzoni, 1979, p. 364.

7 Gastone Bosio (1909-1987) fu uno degli autori del soggetto e della sceneggiatura, nonché direttore di

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anni –, questo insuccesso dovette certamente rappresentare un pesante fardello nei loro personali ricordi. L’aspettativa riposta nel cinema, in un debutto così precoce, e la scot-tante delusione, ebbe sicuramente un peso per il giovane compositore che, infatti, riprese a lavorare in quest’ambito soltanto dieci anni più tardi. Per Matarazzo, lo shock fu così forte da condizionare l’intera sua carriera:8 abbandonò il carattere sperimentale presente in quella pellicola e proseguì esclusivamente con la regia di film di genere, grazie ai quali ottenne, invece, successi clamorosi.

Prima di entrare nel merito della partitura rotiana, è necessario premettere la seguente considerazione su un aspetto tecnico determinante. Nel 1933 il film sonoro, che in Italia aveva solo tre anni di vita – sette anni dalla prima proiezione commerciale negli Stati Uniti –, non disponeva ancora del missaggio: l’operazione che consente di dosare, con livelli di intensità diversa, la fusione tra musiche, dialoghi e rumori. Una limitazione tec-nica che, da un lato, orientò la produzione verso i cosiddetti film «parlati al 100%», nei quali le presenze musicali erano sostanzialmente relegate alla sola sfera diegetica; dall’al-tro, determinò il mantenimento di quella tendenza compilativa che lasciava alla musica la copertura di gran parte della banda sonora, in continuità con quanto era avvenuto nel cinema muto. L’allestimento sonoro di questo film ricade proprio in questa seconda tendenza. Il commento musicale occupa infatti i due terzi della lunghezza complessiva (quaranta minuti sui sessanta totali) di una pellicola caratterizzata oltretutto da uno stile documentaristico che ha ulteriormente favorito una così ampia presenza di musica.

A dispetto del paradigma sull’inattualità della musica rotiana, lo stile musicale rima-ne perfettamente in linea con l’orizzonte musicale contemporaneo. Il modello di riferi-mento è quello francese. La leggerezza del tono ricorda le musiche dei primi film sonori di René Clair – Sous les toits de Paris (1930, musiche di Raoul Moretti e Vincent Scotto), Le million (1931, musiche di Armand Bernard, Philippe Parès, Georges van Parys), A nous la liberté (1931, musiche di Georges Auric) – pellicole che in Italia ebbero un gran suc-cesso di critica.9 Già allora, il giovane Massimo Mila rilevò questa affinità: «chi invece si è messo felicemente sulla via segnata da Georges Auric in A nous la liberté, è Nino Rota, che ha dettato per Treno popolare alcune musiche graziose e vivaci, in buona armonia col tono insolitamente elevato del film».10 Un commento che fa il paio con quello precedente dedicato alla musica del film francese:

Non meno orecchiabili e gaie e spigliate le ariette composte da Georges Auric per la sma-liziata satira cinematografica che René Clair ha mosso alla meccanizzazione inesorabile

produzione del film. 8 Riporto la testimonianza di Raffaello Matarazzo sull’esito disastroso dell’anteprima al cinema Barberini

di Roma: «Hanno gridato e fischiato […] come non ho mai visto fischiare un film: erano diventati rossi a forza di fischiare dentro le chiavi, dentro qualunque cosa. […] E così per me quella fu una serata molto triste», in Bernard Eisenschitz, 1964. Una conversazione con Raffaello Matarazzo, ripubb. in Angela Prudenzi, Raffaello Matarazzo, Firenze, La Nuova Italia, 1990, p. 19.

9 Non bisogna dimenticare che il regista francese aveva diretto nel 1927 Un chapeau de paille d’Italie, la commedia di Eugène Labiche e Marc-Michel per la quale il compositore scriverà Il cappello di paglia di Firenze, la sua farsa musicale (1946) rappresentata per la prima volta al teatro Massimo di Palermo il 21 aprile 1955.

10 [Massimo Mila], Radio e cinema, «La rassegna musicale», VII, n. 2, 1934, p. 143.

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della civiltà e della vita moderna. Qui la «canzonetta» è il punto d’arrivo di un lungo e ostinato processo di semplificazione: è facile, orecchiabile, ma dietro il velo diafano di questa semplicità ammicca causticamente il sorriso d’un’arte dotta e raffinata. Diver-timento di letterato in vena di democrazia; leggerezza, raggiunta attraverso l’assoluta padronanza, tecnica, facilità da cui l’arte non è assente. Né per questo si pensi a qualche cosa di ambiguo, di fumistico, di cerebrale: l’arguzia vi è sincera e cordiale, anche se maliziosa. La sottile ironia di René Clair non avrebbe potuto desiderare più adeguato commento musicale.11

Veniamo dunque alla canzonetta e alla sua collocazione nel corso della vicenda. Bisogna dire innanzitutto che il pezzo risponde perfettamente al tono della pellicola. Rota non cede alla presunzione di stravolgere le caratteristiche di un genere di larga diffusione che doveva mantenere una struttura semplice, una facile cantabilità e un tono leggero. Tra l’altro, le sue capacità di fine orchestratore, rilevabili anche in questa occasione, non appesantiscono minimamente il carattere e restituiscono un risultato perfettamente cor-rispondente al compito richiesto.

All’interno della classica struttura di strofa e ritornello, la canzone si caratterizza per la presenza di due brevi cellule di forte impatto mnemonico [Ess. 1-2], che caratterizzano le due parti del pezzo, e una terza, leggermente variata tra la strofa e il ritornello [Es. 3], che funge da ponte alla riproposta dei due temi.

Es. 1: Treno popolare, ritornello

Es. 2: Ivi, dalla canzone omonima, ritornello

Es. 3: Ivi, strofa

Ma al di là della struttura, l’aspetto che qui interessa stabilire è la relazione esistente tra le occorrenze del materiale musicale associato alla canzone e la sua collocazione nel film. Se, cioè, il materiale tematico di questa canzonetta aderisca a quel meccanismo che, attraverso un’enunciazione evidente, funge da riferimento mnemonico per lo spettatore per mezzo della sua associazione a un personaggio e a una situazione ricorrente. In altre

11 M.M. [Id.], Radio e cinema, «La rassegna musicale», VI, n. 1, 1933, pp. 64-65.

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parole, dunque, se le semplici idee musicali legate alla canzone assumono la funzione di leitmotiv.

Nella prima breve proposta, il compositore segnala la partenza del treno con i corni che riprendono l’incipit del ritornello. Successivamente, durante il viaggio di andata, la canzone è proposta per intero. Rispetto alla diegesi del racconto, la collocazione del pezzo risulta ambigua: sembra nascere fuori da essa, come commento alle immagini interne ed esterne al treno, ma un’inquadratura di due giovani coppie intente ad ascoltare un gram-mofono rivela un ascolto condiviso con i viaggiatori. Nella successiva proposta, durante la sequenza del pic nic, nella quale il testo e la linea melodica non subiscono alcuna varia-zione rispetto al precedente segmento filmico, la collocazione è invece pienamente extra-diegetica. Il testo della canzone allude chiaramente alle immagini mostrate (in un’inqua-dratura si vede un uomo che pranza con la sua famiglia mentre la canzone recita «Ecco la famigliola col papà»), avvicinandosi, in maniera fin troppo evidente, a una funzione di accompagnamento. Molto interessante è, invece, la successiva proposta, coincidente con il momento in cui i gitanti-passeggeri, durante il viaggio di ritorno, si appisolano per la stanchezza. In questo caso la linea melodica corrisponde al solo ritornello, che viene can-tato con ritmo più lento da un coro muto sostenuto solo dalla presenza appena percepibile dei contrabbassi: dal punto di vista musicale l’intervento è minimo; in combinazione con le immagini, però, determina un risultato accattivante, corrispondente a quella funzione drammaturgica che Sergio Miceli chiama «di livello mediato», in base alla quale gli spet-tatori possono percepire l’ascolto interiore dei personaggi.12 Infine, l’ultima occorrenza strumentale, coincidente con la sequenza finale – nella quale le immagini notturne del treno sono inframmezzate dal divertente scambio dei due giovani (Giovanni e Maria), delusi dalla gita, che lascia presagire un felice esito sentimentale anche per loro – il com-positore riduce l’organico orchestrale e lascia emergere la tromba a cui è affidata la linea melodica del ritornello, ripetuto fino al cartello con la scritta «Fine».

Pur in presenza di alcune soluzioni accattivanti, presumibilmente suggerite da in-dicazioni registiche,13 ben assecondate in ogni caso dal compositore, Rota non sfruttò, fors’anche per le pressioni produttive di Bosio,14 le potenzialità allusive di questa semplice materia musicale, rimasta sostanzialmente inalterata nelle successive occorrenze e priva di relazioni con gli altri spunti musicali del film, anch’essi presenti nel corso della vicenda in associazione ad alcune situazioni ricorrenti: un motivo legato al brulichio dei passeggeri (tre occorrenze); un motivo dedicato a Maria, la ragazza triste e sconsolata, affidato all’o-boe (due occorrenze); un motivo, molto raffinato, associato alle immagini della campagna orvietana, visitata in bicicletta dai giovani protagonisti del film (tre occorrenze); un bal-

12 Cfr. Sergio Miceli, Musica per film. Storia, Estetica-Analisi, Tipologie, Lucca, LIM, 2009, pp. 643-666.13 Molto divertente è la soluzione con la quale il regista ha risolto, grazie alla musica, la sequenza del

litigio tra Giovanni e Carlo, i due contendenti di Lina, la giovane impiegata. Prima delle botte, la macchina da presa mostra una banda suonare un pezzo che, senza interruzione, diventa commento alla successiva sequenza del litigio, nella quale, anche grazie ai movimenti concitati dei personaggi, si allude chiaramente alle comiche dell’epoca del muto: un’efficace soluzione registica suggellata dalla scelta di Matarazzo di interpretare il ruolo del direttore di banda.

14 Per Bosio il «motivetto», sottoposto a «estenuanti elaborazioni», «sembrava difficile», cfr. Pier Marco De Santi, La musica di Nino Rota, Bari, Laterza, 1983, p. 36.

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labile lento di matrice jazzistica, corrispondente alle scene sentimentali di Carlo e Lina, i due giovani gitanti che si innamorano nel corso della gita (tre occorrenze). Il ricorso a questi altri motivi conduttori, alcuni dei quali di intrinseca qualità musicale, non differi-sce dal modo in cui sono state precedentemente descritte le occorrenze della canzonetta, che, a differenza delle canzoni dei successivi film, non può essere considerata il nucleo generativo di questo allestimento musicale, ancora in parte vicino agli stilemi del muto.

Se va ricercato un limite di questa partitura, di cui purtroppo si sono perse le tracce,15 esso va individuato nello scarto di tono tra l’eccessiva semplicità di questa canzone e la qualità raffinata degli altri inserti musicali. Volendo prendere come termine di paragone proprio la musica di Auric per A nous la liberté, se a quest’ultima manca la qualità e la ricchezza di spunti presenti nelle musiche rotiane, nella partitura di Treno popolare manca invece quella compattezza drammaturgica che il film francese riesce a rendere proprio attraverso l’utilizzo variato della canzone della libertà: motivo di cui si può ritrovare una labile traccia anche nella canzone composta da Rota. Anche se non è una delle più belle partiture della storia del cinema, come ha sostenuto Jacques Lourcelles nel suo Dictionnai-re du cinéma,16 questo debutto cinematografico di Rota, in relazione al coevo panorama filmico-musicale, va, in ogni caso, rivalutato.

Tra Treno popolare e Giorno di nozze (1942) passano quasi dieci anni. Nel suo nuovo debutto cinematografico Rota ritrova Matarazzo, nel frattempo totalmente adeguato alle convenzioni del cinema di genere. L’autarchia fascista ha cancellato i film americani dalle sale e nel cinema italiano domina la commedia collegiale, surrogato del cinema spen-sierato di provenienza hollywoodiana. Anche i primi due film a cui partecipa Rota non si sottraggono, con declinazioni diverse, a questo genere. Se Il birichino di papà (1943), sempre diretto da Matarazzo, rimane più fedele alle caratteristiche dei film sulle giovani collegiali,17 Giorno di nozze, invece, trae origine da una commedia sentimentale che lascia

15 Purtroppo il materiale musicale relativo al film, conservato nel fondo Rota presso la Fondazione Giorgio Cini, di Venezia (ANR RC1), è limitato solo alla canzone ed è relativo al suo arrangiamento per un organico di matrice jazzistica realizzato da M. C. Consiglio e pubblicato nel 1934 dalle Edizioni Musicali Soc. An. Stefano Pittaluga di Torino (n. 100), la casa editrice musicale legata alla Cines-Pittaluga, la più importante major dell’epoca. È interessante, inoltre, segnalare che, nel retro di ogni foglio è stampata, per ogni spartito, la corrispondente parte per un’altra canzone (segnalata con la cifra 2), intitolata Pirulì con versi di G. Messina e musica di F. Lunetta. Si può presumere dunque che a questa pubblicazione sia corrisposta l’incisione di un di-sco con entrambi i pezzi. Le numerose indicazioni in lingua francese e inglese fanno inoltre supporre che questi spartiti siano stati destinati anche al mercato estero. Le parti stampate sono relative a un organico sicuramente diverso da quello utilizzato per registrare le musiche del film, costituito da: piano conduttore, flauto, clarinetto in Sib, 2 sax contralto in Mib, 2 sax tenore in Mib, 2 trombe in Sib, trombone, banjo tenore, batteria, 3 violini, violoncello, contrabbasso.

16 «Cette description est livrée avec un lyrisme délicat qui provient en partie de la structure musicale du film auquel la partition de Nino Rota [...], l’une des plus belles du cinéma, apporte une émotion et une grâce sans pareil», in Jacques Lourcelles, Treno popolare, in Dictionnaire du cinéma. Les films, Paris, Laffont, 1992, ad vocem.

17 Il soggetto di questo film è tratto dall’omonimo romanzo per l’infanzia della scrittrice tedesca Henny Koch, Papas Junge, Stuttgart-Berlin-Leipzig, Union Deutsche Verlagsgesellschaft, 1905, Il birichino di papà, presentato da Grazia Deledda, trad. it. Maria Campanari, Milano, Solmi, 1909. Anche nel romanzo si trovano quegli stessi elementi di ribellione nei confronti del mondo degli adulti presenti nel genere cinematografico a

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ai margini il mondo delle educande. Il suo titolo doveva essere, infatti, Fine mese,18 lo stesso da cui proveniva il soggetto scritto dalla napoletana Paola Riccora (pseud. di Elena Vaglio), autrice teatrale che aveva scritto nel 1938 questa commedia per la compagnia di Raffaele Viviani.19 Nel corso della lavorazione, però, il film non solo perde il titolo, ma anche quella latente critica sociale sulla condizione della piccola borghesia che aveva la commedia. Inoltre, con l’aggiunta di una conclusione diversa, la pellicola finisce per esaltare la grande impresa e i suoi magnati, in un presunto omaggio a Riccardo Gualino, il proprietario della Lux Film, la casa produttrice con la quale Rota ebbe, in quegli anni, un rapporto quasi esclusivo.20

Il contesto favorevole del suo debutto cinematografico, nel quale la musica aveva avu-to grande spazio, è qui ridotto e mortificato. Lo spazio sonoro è interamente occupato dai dialoghi, quasi sempre sovrastanti la musica, spesso appena percepibile. Venendo al lavoro di Rota,21 bisogna sottolineare che la marginalizzazione degli elementi di critica sociale pesarono anche sul commento musicale, dal quale non riesce a emergere quel potenziale gioco parodistico sulle marce individuabile tra gli inserti musicali del film. Tra la marcia nuziale dei giovani sposi, nella quale si può scorgere un richiamo alla nota composizio-ne di Mendelssohn, l’ironica marcia funebre,22 che fa il verso alla sonata di Chopin, e la marcia dei creditori,23 simile a quelle marcette buffonesche utilizzate nelle successive commedie cinematografiche, solo la prima, attraverso alcuni richiami tematici, riesce a diventare un riferimento mnemonico per lo spettatore che è condotto, con la complicità della musica, a focalizzare la propria attenzione esclusivamente sul felice esito nuziale del racconto. D’altra parte, la presenza del tema nuziale nella gag finale dei veri protagonisti

cui può essere associato il film.18 Tra i documenti del fondo del produttore Valentino Brosio, conservato nella biblioteca Luigi Chiarini

del Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma (da qui in avanti: Chiarini), è presente, infatti, una copia della sceneggiatura del film con il titolo originario della commedia, Fine mese.

19 I tre atti della commedia furono pubblicati sul periodico «Il dramma», cfr. Paola Riccora, Fine mese commedia in tre atti, «Il dramma», XIV, n. 273, 1938, pp. 4-27.

20 Sul rapporto tra Rota e questa casa di produzione mi sia consentito di rinviare al mio Rota, musicista abituale della Lux, relazione letta in occasione del Convegno internazionale Bernard Herrmann & Nino Rota, a cura di Sergio Miceli e Roberto Giuliani, Conservatorio di Santa Cecilia, Roma, 9-10 settembre 2011, atti in corso di pubblicazione.

21 La partitura visionata per questo film è conservata alla Chiarini, all’interno di un fondo associato alla casa di produzione Rizzoli. Pur essendo pervenuto in biblioteca all’interno di questo grande archivio, com-prendente documenti di varia natura, tutto il materiale musicale associato a questo fondo è relativo a pellicole prodotte dalla Lux Film negli anni Quaranta. Si tratta, in gran parte, di copie professionali manoscritte di parti orchestrali – e in qualche caso di partiture – ad uso degli orchestrali per le prove e le sedute di registrazione. Per Giorno di nozze è conservata solo la partitura utilizzata da Antonio Pedrotti, il direttore d’orchestra, non accreditato, ingaggiato per questo film.

22 Si tratta del pezzo n. 9 Salita scala corrispondente alla sequenza in cui Adriana (una giovanissima Anna Proclemer ancora con il nome d’arte di Anna Vivaldi), cresciuta in un lussuoso collegio per giovani fanciulle benestanti, si avvede della condizione sociale dei genitori che vivono in un piccolo appartamento di un palazzo di periferia senza ascensore. Esaltando efficacemente la comicità dolente della situazione, il pezzo parodistico accompagna l’ascesa lenta della famiglia verso l’appartamento lungo le scale del condominio.

23 Si tratta del pezzo n. 2 Creditori che accompagna una sequenza iniziale nella quale il ragionier Bonotti (interpretato da Armando Falconi), il padre della giovane sposa, è avvicinato dai suoi creditori dopo aver ritirato il suo magro stipendio.

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della commedia, Armando Falconi e Antonio Gandusio (due attori teatrali di lunga espe-rienza che nel film interpretano i rispettivi genitori dei due sposi), non solo appare come un richiamo simbolico al loro prossimo matrimonio di affari, ma suggella anche il loro protagonismo.

Al di là del gioco parodistico, a Rota fu dato l’incarico di creare le giuste condizioni musicali per lanciare Chiaretta Gelli,24 una giovanissima attrice-cantante con una vo-calità da soprano leggero, che, nelle intenzioni della Lux, avrebbe dovuto fornire alla commedia collegiale il valore aggiunto delle esecuzioni vocali.25 In Giorno di nozze, però, lo spazio a lei destinato fu limitato.26 Le capacità vocali della Gelli emergono, infatti, soltanto in due occasioni, di cui solo una è da ascrivere alla penna di Rota.27 Si tratta di una canzone cantata alla fine del film durante il banchetto nuziale (anch’essa, come gran parte della musica di questo film, coperta da dialoghi che ne disturbano l’ascolto e la comprensione del testo).

Dal punto di vista compositivo, i semplici materiali tematici legati a questa canzo-ne nuziale fanno da perno a una partitura caratterizzata proprio da questi richiami leit-motivici: il tema della prima strofa [Es. 4], il meno utilizzato nella partitura, può essere associato proprio alla cantante, la sorella “dall’ugola d’oro” del giovane sposo; il secondo tema [Es. 5], invece, è associato ai genitori della sposa, che sognano nozze importanti per la figlia; il tema del ritornello [Es. 6], infine, legato alla marcia nuziale, è un richiamo evidente agli sposi,28 al loro matrimonio29 e al banchetto nuziale,30 ma anche, come si è già visto, all’unione d’affari dei rispettivi padri.

24 Queste indicazioni trovano conferma nel diario di Ernesta Rinaldi, la madre di Nino Rota, che costi-tuisce una preziosa fonte informativa per ricostruire le vicende legate alle composizioni cinematografiche del compositore nel corso degli anni Quaranta. Nella pagina dell’1 aprile 1942, Ernesta annota: «che Matarazzo abbia voluto Nino […] indicherebbe desiderio di nobilitare la vicenda e aspirazione di finezza e intimità. Da Nino non può aspettarsi certo musiche appariscenti e ridondanti. Lui mi scrive che c’è di mezzo una cante-rina sedicenne bella e brava, una specie di Deanna Durbin, per la quale ha composto appositamente versi e canzone. Alla prima audizione, l’esecuzione era così lenta che travisava la musica. Nino è intervenuto e, nel giusto movimento, la melodia è piaciuta molto. Il Maestro della fanciulla avrebbe voluto svolazzi e virtuosismi atti a far valere l’ugola dell’allieva. Ma Nino, […] si è opposto decisamente. Han finito poi, con la scusa di “vogliamo l’autore”, a mettere Nino al piano e a sincronizzare con lui [...]», Ernesta Rota-Rinaldi, Diario, in Fra cinema e musica cit., p. 4.

25 Il modello era quello dei film hollywoodiani interpretati da Deanna Durbin che, negli Stati Uniti, avevano raggiunto straordinari risultati di botteghino.

26 Al suo debutto, infatti, non le fu dato il ruolo di protagonista.27 L’altro pezzo cantato dal giovane soprano di coloratura è, infatti, La folletta di Salvatore Marchesi de

Castrone, tratto dalla raccolta Le sei sorelle, nuovi canti siciliani, Leipzig, Fr. Kistner, s.d. [post 1875].28 Nella sequenza del bacio, in accostamento al tema della sorella canterina (n. 7 Nel giardino) e nella

sequenza notturna del treno, quando la promessa sposa, guardando la foto del suo amato, vede, grazie a un gioco di riflessi, la sua immagine riflettersi in quella.

29 Il tema nuziale è presente nel dettaglio del biglietto di partecipazione e, affidato all’organo, nella bre-vissima sequenza della cerimonia, dove, anche se fuori campo, è collocato finalmente nella sfera diegetica.

30 Si tratta appunto della sequenza in cui Chiaretta Gelli canta la canzone.

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Es. 4: Giorno di nozze, n. 1 Titoli̧ tema della sorella dall’ugola d’oro

Es. 5: Ivi, tema dei genitori

Es. 6: Ivi, tema nuziale

Con il costante ricorso a questi materiali tematici, in accostamento tra di loro31 o alle altre idee musicali, si può dunque affermare che la canzone risulta essere il vero nucleo genera-tivo dell’intero commento musicale.

Pur dovendo sottolineare che si tratta della prima occasione in cui Rota adotta questo tipo di allestimento musicale, l’esito complessivo del lavoro compositivo risulta meno riuscito di Treno popolare. Al di là dello scarso valore musicale della canzone – di poco rilievo anche nell’altro film –, sono troppi i punti in cui la musica appare scarsamente aderente allo svolgimento dell’azione, risultando, in taluni casi, addirittura contropro-ducente. Emblematico, da questo punto di vista, è il penultimo inserto musicale,32 il più lungo di tutta la pellicola e anche il più interessante. Il pezzo corrisponde al segmento filmico caratterizzato dalla patetica gioia dei genitori della sposina, che vedono realizzarsi finalmente il sogno di una figlia sposata felicemente, e dalla presenza di facchini intenti a prelevare tutto il mobilio dall’appartamento, sequestrato perché indebitamente acquistato in occasione del ricevimento nuziale: una classica situazione tragicomica per la quale Rota accosta un tema cantabile, quando i genitori vedono la figlia partire, e il tema del ritor-nello nuziale, quando il padre della sposa (Falconi) si prefigura il futuro felice della figlia mentre i facchini portano via gli ultimi mobili, incluso il divano su cui l’uomo è seduto. Pur rispettando precisamente il sincrono del passaggio tra un tema e l’altro, corrisponden-te precisamente al momento in cui il protagonista si siede sul divano, il carattere elevato di tutto l’inserto musicale, il cui tono resta inalterato anche nel passaggio tra un tema e l’altro, depotenzia, e quasi annulla, l’effetto comico determinato, invece, dalla presenza dei facchini. [Fig. 2]

31 Ad eccezione dei titoli di testa, dove i tre elementi tematici sono proposti senza l’accompagnamento del canto e in un ordine diverso da quello della canzone, nella parte restante della partitura non vi sono altri pezzi che includono, al loro interno, tutti e i tre temi della canzone.

32 Per la partitura conservata alla Chiarini, si tratta del pezzo denominato Finale II (a).

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Fig. 2: Raffaello Matarazzo, Un giorno di nozze (1942): al termine del banchetto nuziale

L’operazione svolta in Giorno di nozze raggiunge risultati più efficaci nel successivo Biri-chino di papà. Il procedimento utilizzato è simile. Qui, però, Chiaretta Gelli è diventata protagonista33 e le sue performance vocali diventano il principale strumento di insubordi-nazione del suo personaggio: un vero e proprio maschiaccio che rifiuta le regole e l’auto-ritarismo degli adulti.

Lo spazio offerto alla musica34 è dunque molto più ampio e il canto di questo sopra-no leggero punteggia i diversi passaggi del film. Vi è, innanzitutto, la Canzone del calesse, che delinea il profilo caratteriale della protagonista,35 cantata nella prima e nell’ultima sequenza del film. A metà della storia la protagonista canta insieme alle altre collegiali La maestra se ne va, una vera e propria canzone di protesta collocata nell’innocua corni-ce della commedia collegiale.36 Sempre all’interno delle sequenze in collegio, vi sono i vocalizzi in stile rossiniano della protagonista che irrompono e disturbano l’esecuzione

33 Rispetto al film precedente, secondo un meccanismo consolidato del cinema di genere, è riconfermata, salvo qualche eccezione, la stessa troupe e lo stesso cast di attori.

34 Per la musica di questo film è stato visionato il materiale autografo conservato a Venezia, cfr. ANR RC4, nonché la copia manoscritta della partitura, e relative copie orchestrali, conservate alla Chiarini.

35 Questo è il testo: «Trotta trotta senza sosta, / o bel cavallin, / fila fila il calessin, /schiocca bene il mio frustin. /Scivola la strada /sotto il passo tuo legger: / sempre volerem / così finché vorremm! // le galline spa-ventate / svolazzando va: / ecco là un contadinel / che stupito sta a guardare. / Il calesse trionfante / sempre avanti va: / il suo traballare / nessuno potrà fermar. // O sole d’oro, o campi in fiore, / quanta letizia m’empie il cor. / La dolce ebbrezza m’accarezza / e al soffio suo mi pare di volare. / Guardate tutti qua / come si fila ben / col cavallino e con un buon frustino. / Io sono un cocchiere di qualità: / basta uno schiocco, ogni cavallo va!».

36 Questo è il testo: «Per seguir la direttrice / la maestra se ne va, / e ci lascia finalmente / con un po’ di libertà. / Questo tempo non perdiamo, / profittiamo dei pochi istanti / diventiam tutte cantanti / e gridiamo a tutto spian // Per la gioventù ci vuole l’allegria / senza libertà / c’è solo malinconia, / salti in quantità / con canti a profusion / danno ai nostri cuori / la felicità. // Eppure io sono qui a languir / nessuna ascolta i miei sospir. / Bando al carcerier / abbasso gli aguzzini. / Noi vogliam goder / la nostra libertà».

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di un saggio ginnico.37 Nell’ultima parte del film vi è, infine, la Ninna nanna – il cui ritornello ha qualche assonanza con la notissima Non ti scordar di me (1935, Ernesto De Curtis) – intonata dalla protagonista per consolare la sorella, novella sposa già tradita dal marito.38

Come era avvenuto già con Giorno di nozze, anche in questo caso tutti i temi utilizzati per le elaborazioni leitmotiviche sono prelevati esclusivamente dalle canzoni. Qui, però, il materiale tematico è più diversificato ed è pienamente sfruttato da Rota. Al di là della canzone della Ninna nanna, associabile a due identiche occorrenze – all’inizio e alla fine del film – nelle due scene sentimentali tra la sorella della protagonista e suo marito,39 i due temi principali, entrambi associati a Nicola,40 la protagonista, sono un tema cantabile prelevato dal ritornello della Canzone del calesse [Es. 7], utilizzato principalmente nella prima parte del film (quella ambientata nella casa di campagna della protagonista), e un tema di carattere ritmico, prelevato dalla strofa della Maestra se ne va…[Es. 8], presente, invece, negli inserti del collegio.

Es. 7: Il birichino di papà, ritornello della Canzone del calesse

Es. 8: Ivi, ritornello della canzone La maestra se ne va…

Vi è, inoltre, un punto di convergenza dei due temi. Nell’unico momento di difficoltà dell’indomita birichina, infatti, i due semplici temi, già proposti nei Titoli in un acco-stamento lineare, sono sottoposti a semplici ma efficaci variazioni finalizzate alla loro sovrapposizione (n. 15 Nicola e Livia verso la cella): un procedimento che Rota utiliz-zerà frequentemente nei suoi successivi film e che, l’anno precedente, era stato adotta-to da Vincenzo Tommasini (1878-1950) per Un colpo di pistola (1942, regia di Renato Castellani).41

Oltre alla tecnica leitmotivica, affinata rapidamente in queste prime esperienze cine-matografiche, la musica del Birichino di papà ha, però, una particolare valenza nella car-riera di Rota. Questa partitura, infatti, va considerata come una dispensa di idee e spunti musicali che il compositore riutilizzerà in opere più famose. Com’è noto, il meccanismo

37 Si tratta del pezzo intitolato da Rota Coro delle collegiali con coro di Nicola dalla cella di rigore.38 È importante segnalare che gli spartiti per canto e pianoforte, legati alle tre canzoni appena citate,

furono pubblicati da Melos, una casa editrice musicale controllata dalla Lux Film.39 Nel n. 8 Scena d’amore e nel n. 25 Scena fra marito e moglie.40 Così chiamata dal padre, interpretato da Armando Falconi.41 Anche questo film fu prodotto dalla Lux Film. È da sottolineare che questa partitura fu particolarmente

apprezzata, a suo tempo, da Fedele d’Amico, allora collaboratore musicale della Lux, cfr., Fedele d’Amico, Musica e cinematografo. Un connubio difficile, «La Rassegna musicale», XVI, n. 1, 1943, pp. 43-49: 47.

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è pervasivo e attraversa tutte le sue composizioni, filmiche ed extrafilmiche. D’altra parte, anche se collocata in posizione marginale, già in quest’occasione il compositore riutilizza un numero di Treno popolare.42

Es. 9: Il birichino di papà cit., n. 20 Valzer lento

Inoltre, come a indicare un paradigma del suo atteggiamento compositivo, in questa par-titura è possibile anche scorgere un omaggio ad Alfredo Casella – suo maestro, nonché pasticheur della prima ora –, dal cui repertorio cita chiaramente il Galop tratto dagli 11 pezzi infantili (1920).43

Es. 10: Ivi, n. 19 Galop

Venendo dunque ai temi riutilizzati in successive composizioni, è noto che il tema del ri-tornello della Canzone del calesse è ripreso nel Cappello di Paglia di Firenze, come leitmotiv associato al corteo di nozze.44 Sempre in relazione a un’associazione esistente tra queste due partiture, meno nota è la rielaborazione del breve intermezzo danzato, presente nel film [Es. 11], con equivalenti passaggi che caratterizzano il secondo atto della farsa.

Es. 11: Ivi, n. 18 Danza

Infine, come primato di questa partitura va segnalata la prima traccia di quella Sinfonia sopra una canzone d’amore (?-1972),45 i cui temi principali del terzo (“Andante sostenuto”)

42 Si tratta dell’inserto utilizzato per le sequenze sentimentali, qui ripreso, in una riduzione pianistica, come musica diegetica off-screen nella sequenza della festa a casa della sorella del Birichino (n. 20 Valzer lento).

43 Il tema è presente in due brevi sequenze che accompagnano una delle birichinate della vivace protago-nista: esclusivamente con questa idea musicale nel n. 19 Galop e, insieme ad altri temi, nel n. 23 Uscita delle ragazze e fuga di Nicola.

44 Farsa musicale in quattro atti e cinque quadri, su testo del compositore in collaborazione con la madre Ernesta, tratto dalla commedia Un chapeau de paille d’Italie di Eugène Labiche e Marc Michel (1945-46). Interamente revisionata in occasione della prima rappresentazione, avvenuta a al teatro Massimo di Palermo il 21 aprile 1955.

45 Com’è risaputo, questa composizione fu eseguita in pubblico per la prima volta – con la dedica Per il Gattopardo – l’11 giugno 1972 all’Auditorium del Foro Italico di Roma (Orchestra Sinfonica della RAI, sotto la direzione del compositore). La presunta data di composizione è, però, molto anteriore: fissata dal catalogo

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e quarto movimento (“Allegro con impeto”) sono riconoscibili nei principali leitmotiv del Gattopardo (1963) di Luchino Visconti.

Si tratta di un breve frammento che apre e chiude un numero dalla struttura tripartita A-B-A (n. 12 Da Livia che prepara la valigia a Nicola che grida “Aiuto!); ripreso senza so-stanziali modifiche46 all’interno dell’ “Andante sostenuto” della Sinfonia e nella sequenza successiva al bacio appassionato tra Angelica e Tancredi nel Gattopardo (quando i due innamorati esplorano la parte abbandonata del palazzo di Donnafugata).47

Nella partitura del Birichino di papà il pezzo, però, ha uno scarso peso nell’economia drammaturgica del film, non è riconducibile a nessun altro numero musicale e appare sostanzialmente isolato; fuori contesto rispetto ai tratti leggeri della commedia e poco idoneo alle specifiche caratteristiche della sequenza.48 Se si pone in relazione con l’impian-to generale dell’allestimento musicale, il pezzo non valica dunque la semplice funzione compilativa.49 Pur restando fedele all’imperativo dettato dalle misure cronometriche – la durata della musica coincide precisamente con la lunghezza della sequenza, di poco su-periore al minuto e mezzo –, si ha l’impressione che il compositore abbia ‘approfittato’ di questo spazio per soddisfare una propria urgenza creativa.

D’altra parte, però, fin dall’inizio, gli altri temi legati a questa Sinfonia hanno avuto ben altro peso nelle partiture cinematografiche degli anni Quaranta. Com’è noto, infatti, il tema che introduce il primo tempo (“Allegro”) è diventato il principale leitmotiv della Donna della montagna (1943, regia di Renato Castellani) e, qualche anno più tardi, anche del film inglese The Glass mountain (1948, regia di Henry Cass). Inoltre, come si vedrà più avanti, un tema di un certa rilevanza del terzo tempo (“Andante sostenuto”), prima di di-ventare il «tema sensuale» del Gattopardo,50 è già stato utilizzato come principale leitmotiv di Proibito rubare (1948, regia di Luigi Comencini).

della Ricordi al 1947 e, secondo alcune testimonianze del compositore, da anticipare ulteriormente in un arco temporale che va dal 1944 al 1947 (su queste interviste di Rota, cfr. Roberto Calabretto, La Sinfonia sopra una canzone d’amore. Per Il gattopardo, «AAA/TAC Acoustical Arts & Artifacts/Technology, Aesthetics, Communication», V, 2008, pp. 21-124: 21, nota 1). La presenza di una traccia della Sinfonia in un inserto musicale del Birichino di papà lascia presupporre, infine, che già alla fine del 1942 – anno in cui è stata scritta la musica di questo film –, Rota ne avesse composti alcuni frammenti.

46 Se si eccettua l’utilizzo dell’arpa al posto del pianoforte, una lieve differenza nell’orchestrazione dei fiati e una diversa coda finale, nel passaggio da una pellicola all’altra il breve pezzo non subisce modifiche sostanziali.

47 Il segmento musicale corrisponde alla terza sezione del n. 19 del Gattopardo (“A tempo, un poco anima-to”) che Roberto Calabretto, nella sua dettagliata analisi musicale del capolavoro viscontiano, ha denominato “tema scorrevole”, cfr. Calabretto, La Sinfonia sopra una canzone d’amore. Per Il gattopardo cit., p. 39.

48 Dopo aver commesso l’ennesima marachella, Nicol[etta] (Chiaretta Gelli) è scomparsa alla vigilia del matrimonio di Livia, sua sorella. Il padre, preoccupato, la cerca nella stanza della sorella che lo rassicura: la birichina si è rifugiata nella sua camera e sta dormendo. L’associazione audiovisiva non è tra le più felici. Oltre al mortificante missaggio, che azzera quasi del tutto l’elemento musicale, il dinamismo presente nella musica cozza con la staticità delle immagini.

49 Anche l’altra sezione dell’inserto, dal tipico colore pastorale del sinfonismo romantico, non ha alcun legame con gli altri numeri musicali del film.

50 Così denominato dallo stesso compositore nei suoi appunti per il film, cfr. Calabretto, La Sinfonia sopra una canzone d’amore. Per Il gattopardo cit., p. 38.

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Benché nel successivo Zazà (1943), un film diretto da Renato Castellani, Rota venisse coinvolto in un’operazione produttiva di tutt’altro peso rispetto alle sue precedenti espe-rienze cinematografiche – fuori dal sistema convenzionale del cinema di genere –, anche per questo film il musicista costruì la sua partitura a partire dai materiali presenti nelle canzoni composte per l’occasione. Nell’ambito di questa rievocazione musicale del mon-do dei café-chantant, descritto dalla commedia di Pierre-Samuel Berton e Charles Simon (1898),51 il primo compito affidato a Rota fu, infatti, quello di trovare le note giuste da far cantare a Isa Miranda, a quell’epoca la più apprezzata star del cinema italiano, che, avendo limitate capacità vocali52 e una scarsa dimestichezza con la danza, mise a dura prova le capacità del musicista.53

In linea con lo sviluppo della trama, nella quale la chanteuse decide di abbandonare la sua carriera per vivere la sua storia d’amore con Alberto Dufresne, conosciuto casualmente nel corso di un suo spettacolo, l’allestimento musicale del film è suddiviso in una prima parte, nella quale si succedono i pezzi da café-chantant,54 e in una seconda parte, in cui vi sono pochi numeri musicali di livello esterno che assecondano la virata melodrammatica di una vicenda imperniata sul travaglio interiore della protagonista:55 desiderosa di uno stabile e duraturo rapporto sentimentale; condannata, invece, a essere solo un irresistibile ma effimero oggetto del desiderio.

51 Questa pièce fu già utilizzata da Ruggero Leoncavallo per la sua commedia lirica in quattro atti (prima rappresentazione al teatro Lirico di Milano il 10 novembre 1900) e, fino ad allora, ebbe già altre tre versioni filmiche: in Italia, con Lydia De Roberti (1910), negli Stati Uniti, con Gloria Swanson diretta da Allan Dwan (1923), e con Claudette Colbert diretta da George Cukor (1939). Dal punto di vista produttivo, il film italia-no fu realizzato proprio in risposta a questa precedente versione hollywoodiana, per la quale Isa Miranda era stata prima ingaggiata e poi sostituita con l’attrice americana.

52 Nella sua ultima intervista il compositore ricordò che Isa Miranda possedeva «soltanto cinque note», in Guido Vergani, Intervista a Nino Rota, in Fra cinema e musica cit., p. 3. Sui limiti della Miranda e sulle dif-ficoltà del compositore si soffermò, all’epoca, anche la madre Ernesta che il 7 gennaio 1943 annotava: «Nino è depresso: i pezzi di Variété con Isa Miranda risultano mosci, stereotipati, deboli. Tante giornate di laboriosa fatica e ripetizioni innumerevoli, con dedizione ed abnegazione assoluta dal più modesto operatore al regista in capo, per venire poi a un taglio netto di pellicola, è certo spiacevole. Isa Miranda non sa cantare, né ballare ed è un miracolo se arriva a fare quel che fa seduta stante, studiando sotto l’occhio dei comandanti e a furia di tenace volontà e pazienza. Questo ruolo di canzonettista non è pane per i suoi denti, mentre sento dire che nelle scene di passione, ella trova accenti ed espressioni toccanti. È certo un’attrice studiosa e sottomessa alle più dure applicazioni», in Rota-Rinaldi, Diario cit., p. 11. La caparbietà dell’attrice dovette evidentemente soddisfare il compositore che, a lavoro finito, si espresse positivamente sulle performance canore dell’attrice, cfr. lettera dell’8 aprile 1943 di Nino Rota alla cugina Titina, ANR Car. 9-993.

53 Secondo quanto riportato dal diario di Ernesta Rinaldi, il film fu realizzato con molta accuratezza (in più occasioni la donna commenta l’esasperante precisione richiesta dal regista durante le prove). Sulla base del-le date riportate in queste memorie, le prove musicali cominciarono nei primi giorni del ’43 (i primi commenti sulle prove risalgono al 3 gennaio). Le sedute di registrazione, invece, si protrassero fino agli inizi di marzo (vi sono annotazioni sulle registrazioni il 18 febbraio, il 6 e l’8 marzo successivo), cfr., Diario cit., pp. 10-15.

54 Come si può verificare dai materiali musicali conservati a Venezia, cfr. ANR RC3, Rota scrisse i seguenti numeri di café-chantant: Canzone I di Zazà, Canzone II di Zazà, Canzone di Floriana, Canzone degli aranci, Pre-sentazione di Cascard, Bel signore dagli occhioni blu e Can Can. È da segnalare, inoltre, che, tra gli scarsi materiali relativi al film conservati alla Chiarini, è conservata una versione scartata della Canzone di Zazà.

55 Castellani ricordò che questa commedia di fine ’800 poteva «essere addirittura una variazione sotto una forma un po’ curiosa della Signora delle camelie, perché c’è la rinuncia della donna che ama», in Intervista a Renato Castellani, in Cinecittà anni Trenta cit., pp. 248-287: 276.

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Il nucleo generativo dell’intera partitura si fonda dunque sulle semplici note delle due canzoni56 eseguite da Zazà durante il fatidico spettacolo in cui i due protagonisti si co-noscono. Nella prima canzone, intitolata con ironica leggerezza E trullallà…, la sciantosa celebra il suo fascino e la forza della sua sensualità57 [Es. 12]; con Canta con me, invece, gli ammiccamenti alla variegata platea di uomini adoranti – su cui sparge tutta la sua ironia – diventano l’occasione per alludere alla sua carica erotica.58 [Es. 13]

Es. 12: Zazà, ritornello della canzone E trullallà…

Es. 13: Ivi, ritornello della canzone Canta con me

Con una pertinente tecnica leitmotivica, questi semplici spunti musicali, pensati per l’u-gola non troppo felice della protagonista, sono riproposti nei successivi inserti musicali per offrire un determinante contributo alla sostanza melodrammatica di una storia fon-data su un evidente gioco dei contrasti (luce/ombra, sonno/veglia, attrazione/repulsione, solidità/fragilità, ecc.).

56 I testi delle canzoni sono di Michele Galdieri (1902-1965), eclettico paroliere napoletano, autore di riviste teatrali, nonché di numerose sceneggiature cinematografiche. In campo teatrale collaborò con i fratelli De Filippo e con Totò. Tra le tante canzoni scritte da Galdieri, bisogna segnalare la famosissima Munasterio ‘e Santa Chiara (1945, musica di A. Barberis).

57 Il testo della canzone recita: «Zazà che non è bella, / se non è bella, / non gliene importa nulla / ma proprio nulla / Però se va per via / dovunque sia / la gente guarda lei, / soltanto lei. / * [ritornello] E trullallà / la guardano perché / Zazà Zazà / ha un certo non so che, / quel non so che / che a dir la verità / è un non so che ce l’ha sol Zazà * // Lo spettatore a letto / con suo dispetto / quel non so che che piace / non gli dà pace. / La moglie un po’ sorpresa / si mostra offesa / ma lui, dormendo, in viso / ha un bel sorriso / *// Pur di saper se esiste / e in che consiste / quel non so che nascosto / in qualche posto / darebbe anche la testa / la moglie onesta / e alla virtù più casta / direbbe: Basta! / *».

58 Il testo della canzone recita: «Oggi son di buonumore, / voglio ridere e scherzar, / se qualcuno per amore / sente il cuore suo penar / scacci via questo pensiero / bello è vivere e goder, / venga venga il varietà / a cantare con Zazà // Toh guarda al primo posto / con suo bel lucernario / allegro e rubicondo / sta il sor veterinario / in ogni sua calvizie / la sua lucidità / illuminato a giorno / starebbe il varietà / * [ritornello] Canta con me / non ci pensar! / al varietè si viene per scherzar. / Canta con me / non ci pensar! / al varietè si viene per scherzar. // Oh caro quel nonnino / che dopo tanto tempo / rivedo fresco e arzillo / col suo bicchier di vino, / forse perdendo il pelo / pensa alla castità / ma non perdendo il vizio / ritorna da Zazà // * / Tu guarda la caviglia / girando torno torno / e cerchi dal mattino / d’indovinare il giorno, / ti voglio regalare / un pizzico più in su, / ma se ti gira il capo / ritorna a guardar giù // * // Oh finalmente un giovine / un poco più educato / lui guarda le mie mani / con occhio elevato; / forse qualche carezza / se così poco vuole / lo posso accontentar / * // Io mi diverto un mondo / con questo motivetto / a canzonar ognuno / trovandoci difetto / anch’io ho il mio punto debole / misteri non ne fo / ho ancora il cuore giovane / ridiamoci su un po’ // *».

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Per ascoltare il primo inserto musicale extradiegetico bisogna dunque saltare tutta la prima parte del film e arrivare alla partenza di Dufresne (n. 9 Partenza di Dufresne),59 in cui, se si esclude il finale fischio della locomotiva e il breve scambio iniziale tra Zazà e il suo amante, la banda sonora è interamente occupata dalla musica che contribuisce a in-tensificare quel sentimento contrastato provato dall’uomo, tra attrazione e repulsione. Dal punto di vista musicale, l’attrazione, che già comincia a delinearsi come una vera e pro-pria ossessione, è simboleggiata proprio dai temi dei ritornelli delle due canzoni, proposti due volte in accostamento lineare, come era già avvenuto nei titoli di testa; la repulsione, invece, oltre a essere rappresentata dalle immagini del treno in corsa, è sostenuta dalla cellula utilizzata per introdurre la canzone E trullallà..., qui affidata agli ottoni (trombe, tromboni, basso tuba e tuba).

Es. 14: Zazà cit., n. 9 Partenza di Dufresne, bb. 2-3

Dopo aver sostenuto il tema del ritornello della canzone a cui è legata, nella parte finale del numero, questa cellula musicale sale in primo piano e, attraverso un semplice processo iterativo di intensificazione del suono e della velocità esecutiva, conduce la sequenza verso la sua conclusione, coincidente precisamente con la chiusura del finestrino, aperto da Du-fresne per disfarsi della chiave dell’appartamento di Zazà, evidente segnale dell’iniziale prevalenza del sentimento di repulsione.

L’irresistibile forza di attrazione della cantante è, invece, resa efficacemente nel suc-cessivo inserto musicale (n. 10 Primo ritorno di Dufresne da Zazà) nel quale comincia a delinearsi quella contrapposizione timbrica tra i dialoghi rarefatti dei singoli strumenti e le esplosioni del “tutti” di un organico orchestrale di notevoli dimensioni.60 I materiali tematici prelevati dalle canzoni – sempre ben riconoscibili, ma proposti nel grado minimo di intelligibilità melodica – sono perfettamente integrati con i determinanti rumori di scena (il suono di un orologio da tavola, prima, e del campanello della porta di casa, poi) e con il breve dialogo che divide il pezzo in due parti.

Dopo un passaggio iniziale di basso profilo melodico, coincidente con il momento in cui Dufresne si corica sul suo letto di casa, interviene due volte il tema del ritornello della canzone E trullallà...: prima affidato al clarinetto, quando l’uomo si alza come colto da

59 L’uomo, dopo aver passato una notte d’amore con Zazà, prende il treno per ritornare a Parigi pro-mettendo alla sciantosa che sarebbe tornato presto. Appena seduto nello scompartimento cerca invano di addormentarsi, ma non vi riesce: la mente è pienamente assorbita e turbata dal pensiero di lei. Impossibilitato a godere di un sonno ristoratore, Dufresne si avvicina al finestrino e getta via la chiave che Zazà gli ha lasciato come segno di totale disponibilità per nuovi e frequenti incontri amorosi.

60 Nella sua massima estensione l’organico è costituito da ottavino, flauto, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 4 corni, 2 trombe, 3 tromboni, basso tuba, timpano, triangolo, arpa, celesta e archi.

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un turbamento per il profumo della chanteuse, ancora presente nel suo fazzoletto; poi al flauto, sull’immagine di Zazà seduta davanti allo specchio in attesa impaziente del ritor-no dell’amante. L’ellissi temporale, generata dall’accostamento delle due inquadrature, è saldata quindi proprio dalla musica che anticipa il suono del campanello. A questo punto le note si sospendono per lasciare spazio al breve dialogo tra la soubrette e la cameriera, utile a sottolineare l’istinto di Zazà, certa del ritorno dell’amante. Per sostenere gli istanti di fremente attesa della donna, la sua corsa verso la porta e l’abbraccio dei due amanti, il compositore ricorre ancora una volta all’iterazione dell’incipit musicale della canzone E trullallà... che, prima dialoga con una cellula melodica affidata al flauto, e poi si apre con un effetto che carica la tensione, sciogliendosi nelle battute finali con il “tutti” dell’orche-stra.

Meno interessante per la tecnica leitmotivica, ma ugualmente efficace per il gioco di contrasti, è il successivo inserto musicale coincidente con il punto in cui la protagonista rileva appieno, nonostante il suo mestiere e le pesanti allusioni presenti nella canzone Canta con me, tutta la sua innocenza e il suo desiderio di vivere la sua storia d’amore con dedizione e, persino, senso di sacrificio.61 Con un efficace gioco simbolico sul contrasto interiore vissuto dalla donna, il pezzo musicale si sostiene dunque proprio con i materiali tematici associati alla canzone Canta con me, fortemente allusiva della carica erotica di Zazà. La trasfigurazione di tono, dalla volgare superficialità del ritornello alla delicata e sognante atmosfera di questo “Adagio”, avviene per mezzo di un’operazione di rarefazione sonora nella quale il tema in questione, scambiato tra le parti solistiche degli archi, dialoga con le brevi scalette cromatiche discendenti di un flauto: il tutto sostenuto esclusivamente dall’esile presenza degli archi, della celesta e degli arpeggi finali dell’arpa che concludono il pezzo fino al risveglio della donna [Fig. 3].

A differenza degli altri pezzi di livello esterno, nel penultimo numero musicale (n. 19 Da Zazà sul letto all’arrivo del treno) Rota non si affida ai temi riconoscibili dei ritornelli, bensì agli spunti musicali associati all’incipit e alla strofa della canzone Canta con me. Si tratta della sequenza in cui Zazà, dopo aver scoperto che Dufresne ha moglie e figlia, comunica al suo vecchio compagno di palcoscenico di aver deciso di rinunciare al suo amante. Con un peso drammaturgico meno rilevante rispetto ai precedenti inserti, la musica sostiene i due sentimenti espressi dalla donna, corrispondenti alle due parti in cui è suddivisa la sequenza. Nella prima parte, il dialogo tra il violoncello e i flauti, che riprendono l’incipit della canzone, sostiene la rassegnazione di Zazà, decisa a cambiare città pur di non vedere il suo amante. Nella seconda parte, meno efficace della precedente, l’esplosione del “tutti” dell’orchestra sostiene, invece, la disperazione urlata di Zazà che, pur di non vedere più il suo amante, vorrebbe partire subito.

61 Si tratta del segmento narrativo in cui Zazà, dopo che è stata portata da Dufresne in un albergo di Pari-gi, si addormenta su una poltrona in attesa dell’amante, rimasto bloccato a casa sua tutta la notte per l’inaspet-tato rientro dalle vacanze della moglie e della figlia. L’inserto musicale corrisponde dunque alla sequenza in cui Dufresne, rientrato al mattino nella stanza d’albergo, sveglia delicatamente la donna. Come avveniva spesso nei film dell’epoca, il passaggio repentino tra l’incontro imprevisto di Dufresne con la moglie e la sequenza in questione è deturpata da un taglio della musica che ne rovina il risultato espressivo.

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Fig. 3: Renato Castellani, Zazà (1943): Zazà attende Dufresne in albergo

Si arriva, infine, all’ultimo inserto musicale, coincidente con la sequenza finale del film. Nella prima parte, le tragiche e sofferte parole di commiato, rivolte da Zazà al suo amante, sono sostenute da un lieve accompagnamento musicale affidato ai registri sopracuti degli archi e dei legni, che si scambiano frammenti del tema E trullallà…, tra-sfigurato quanto basta per sostenere lo sbandamento emotivo della donna, distrutta dal dolore. In coincidenza con le definitive parole di addio, il clarinetto riprende lo stesso tema, questa volta pienamente riconoscibile, che viene trasferito a tutta l’orchestra in concomitanza con la chiusura della porta. Successivamente, con un efficace sincrono corrispondente alla soggettiva di Zazà [Fig. 4], il pezzo prosegue con l’altro tema che, prima di una nuova attenuazione sonora, conduce, con un carattere solenne, al cartello conclusivo.

Già in questo film, dunque, dal punto di vista musicale e drammaturgico, Rota rivela tutte quelle specifiche doti utili alle esigenze cinematografiche. Innanzitutto confezio-na un allestimento musicale perfettamente conforme ai limiti cronometrici imposti dal montaggio (sono numerosi ed efficaci gli eventi sincronici) e adeguato all’interazione con i dialoghi e i rumori; rispetta pienamente la regola della parsimonia, secondo cui bisogna

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utilizzare, e valorizzare, pochi temi musicali;62 supera l’insidia della banalità, nonostante l’esilità del materiale musicale a disposizione, con continui processi di variazione del tim-bro, dell’andamento ritmico e della tonalità, lasciando inalterata, tranne in rari momenti, l’intelligibilità della melodia.

Questa capacità di valorizzare anche il minimo spunto musicale ha un ulteriore ri-scontro in un’elaborazione leitmotivica realizzata dal compositore e non utilizzata nel missaggio finale del film. Come gli altri motivi conduttori, anche in questo caso il tema è associato ad un evento musicale presente nella sfera diegetica della narrazione filmica. Rispetto alle canzoni, però, l’idea musicale non nasce dalla penna di Rota e il suo valore musicale risulta del tutto inesistente. Si tratta, infatti, della sonatina infantile, suonata da Totò63 (la figlia di Dufresne) a Zazà, in occasione della visita clandestina della donna in casa del suo amante: un dono innocente e inaspettato che segna il riconoscimento della sconfitta sentimentale della sciantosa.

62 Su questo aspetto ha pesato anche la scelta di eliminare altri numeri musicali realizzati dal compositore. I numeri eliminati sono il n. 15 Gliela darò io la cioccolata a quella là, coincidente con la sequenza in cui Zazà decide di recarsi a casa di Dufresne per affrontare quella che presume sia la precedente amante dell’uomo, il n. 16 Zazà con la bambina, corrispondente all’incontro tra la chanteuse e Totò (la figlia di Dufresne), e il n. 18, nonché la prima sezione del n. 19.

63 Si tratta di una versione ulteriormente semplificata del pezzo n. 3, intitolato Canzonetta di W.A. Mozart, tratto dall’Antologia pianistica per la gioventù (I) di Beniamino Cesi ed Ernesto Marciano (1928). Nella com-media lirica in quattro atti, con le parole e la musica di Ruggero Leoncavallo, edita da Edoardo Sonzogno, la scena è molto simile. In questo caso, però, la bambina suona l’Ave Maria di Luigi Cherubini.

Fig. 4: Zazà cit.: partenza definitiva di Dufresne

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In un primo momento, quindi, come si può verificare dai materiali musicali relativi al film,64 la presenza incombente di questa bambina nelle scelte successive di Zazà doveva corrispondere ad un motivo conduttore di cui è rimasta una traccia solo nell’inserto Fi-nale, nel momento in cui la chanteuse accenna all’esistenza della bambina nel suo ultimo dialogo con Dufresne. Le ragioni che hanno indotto gli autori del film a eliminare le altre occorrenze di questo temino non sono note. Dal punto di vista drammaturgico, un’altra presenza tematica avrebbe, infatti, giovato al risultato complessivo dell’allesti-mento musicale, fin troppo schiacciato sui materiali musicali legati alle canzoni. Avendo come parametro di riferimento solo quel rapido richiamo presente nella sequenza finale, nel quale l’intensità sonora è talmente lieve da essere appena percepibile, si può presume-re che questi tagli siano stati dettati da motivi tecnici legati alle possibilità limitate della registrazione ottica monofonica, non in grado di valorizzare adeguatamente la soluzione ideata da Rota. Si tratta infatti di un impasto timbrico, caratterizzato dalla presenza dell’arpa, della celesta e degli armonici dei violini.

Anche in un film di livello superiore, dunque, il compositore mostra una disponibilità totale a ideare procedimenti compositivi funzionali alle esigenze della narrazione filmi-ca, anche a partire, come in quest’occasione, da minimi eventi musicali. D’altra parte, a quell’epoca il musicista fu molto vicino a Castellani,65 un regista che concepiva i suoi film sulla base di nuclei generativi.66 Non appare irrilevante, infine, segnalare che, nello stesso anno in cui fu girato questo film, Fedele d’Amico, sostenitore e amico di lunga data del compositore, scrisse questa sorta di vademecum sulla scrittura filmico-musicale:

Nella specie, si tratterà di un impegno […] di semplificazione […] per la già provata diffi-coltà della musica d’arrivare allo spettatore, per la simultaneità d’altre presenze nella colon-na sonora, per l’imperfezione tecnica della registrazione o degli apparecchi di riproduzione. Impossibili quindi i frammentismi, i «particolari», i colori complessi o preziosi, i rapporti armonici ardui, gl’impianti formali non elementari. A parte ogni impegno di stilizzazione, di avvio al balletto o simili, risultati d’arte […] sono possibili solo attraverso pezzi dalla struttura immediata e semplice, dall’orchestrazione solida e semplice, dalla tematica incisi-va e semplice, dall’armonia evidente e semplice. Bisogna poter afferrare tutto un pezzo da un momento qualsiasi preso a caso, come s’assaggia il vino d’una botte da un sorso solo67.

Dopo Zazà Rota ritrova ancora una volta Castellani nella Donna della montagna, un film che lo stesso regista ha ricordato come «un’occasione mancata per tutti».68 La sua comples-

64 Si tratta del n. 18, del n. 19 e del Finale, nel quale, tuttavia, almeno in un’occorrenza, il breve inciso non è stato eliminato.

65 La frequentazione con Castellani è attestata da una lettera di Rota a suo fratello Gigi del 9 dicembre 1943, cfr. ANR Car. 9-995. È importante ricordare che, dopo questo film, il regista lavorò con il composi-tore ancora per i suoi successivi quattro film. La collaborazione si interruppe solo dopo la realizzazione di È primavera… (1950).

66 Nell’intervista rilasciata a Francesco Savio, Castellani disse: «Ma io credo che le cose, cioè i film o qua-lunque opera, qualunque cosa si faccia, nascono in un certo modo per un nucleo che hanno dentro», Savio, Cinecittà anni Trenta cit., p. 281.

67 D’Amico, Musica e cinematografo. Un connubio difficile cit., p. 49.68 Savio, Cinecittà anni Trenta cit., p. 287.

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sa lavorazione è stata infatti pesantemente condizionata dalla degenerazione degli eventi bellici che hanno impedito alla troupe di terminare le riprese,69 montate in assenza del regi-sta.70 Anche se per Castellani è un’opera «senza né capo né coda», i suoi momenti migliori rivelano, invece, una qualità delle professionalità messe in campo che, se non fossero state ostacolate dagli eventi esterni, avrebbero probabilmente portato ad un risultato finale del tutto diverso.

È difficile stabilire se le precarie condizioni della lavorazione abbiano condizionato anche il lavoro di Rota71 che, per questa commissione cinematografica, ha composto solo quindici minuti di musica – suddivisa in otto inserti, inclusi titoli di testa e sequenza finale72 – sui novanta complessivi del film. Le difficoltà logistiche e organizzative hanno certamente pesato, invece, sul missaggio, del tutto inadeguato a risolvere la fusione tra i rumori ambientali (in primis il vento) e la musica.

Il limitato campo di azione offerto al compositore pesa inevitabilmente anche sulle idee musicali associate al film, dalle quali emerge chiaramente solo il tema che accompa-gna la dolente storia d’amore tra Rodolfo (Amedeo Nazzari) e Zosi (Marina Berti); 73 già noto perché ripreso nel primo tempo (“Allegro”) della Sinfonia sopra una canzone d’amore e anche nella co-produzione italo-inglese The Glass Mountain, dove il motivo conduttore, sempre legato ad una vicenda sentimentale di ambientazione alpina, diventerà, nel corso degli eventi, persino un duetto d’opera.74

69 Il soggetto è tratto dai Giganti innamorati (1938) di Salvator Gotta. Castellani lo lesse; non gli piacque, ma si mise al lavoro stravolgendone la trama. Per la degenerazione degli eventi bellici, il film, girato a tamburo battente nel ’43, fu interrotto senza alcune riprese e ugualmente concluso senza la supervisione del regista.

70 Come nei precedenti film di quegli anni, anche questo film musicato da Rota fu prodotto dalla Lux Film.

71 Dalla stessa lettera del 9 dicembre 1943, precedentemente citata, si viene a sapere che la successiva settimana avrebbe inciso i pezzi per il film e che, questi ultimi, erano già pronti da tempo (ANR Car. 9-995).

72 Si tratta dei seguenti pezzi: Titoli, n. 2 Valzer d’albergo (orchestrina), n. 3 Rodolfo al cantiere, n. 4 Fine I parte e 4 bis Inizio II parte, n. 5 La lettera, Primavera al ruscello, n. 7 Rose e vestiti, n. 9 Tormenta e dialogo. Le partiture autografe sono state visionate a Venezia, ANR RC5.

73 Protagonista del film è Rodolfo, un giovane ingegnere la cui fidanzata muore tragicamente in un inci-dente alpinistico. Devastato dal dolore, l’uomo è accudito da Zosi, una giovane benestante che si innamora di lui e fa di tutto per riconciliarlo alla vita. L’uomo accetta il matrimonio per sfuggire dai ricordi che tuttavia riaf-fiorano sistematicamente e scatenano la sua nevrosi. La clausura in montagna, condivisa dalla donna, accentua la tensione tra i due coniugi. Nonostante la freddezza del marito e le condizioni estreme di vita, la giovane donna resiste in queste condizioni per alcuni mesi. Ossessionato dal ricordo della sua prima fidanzata, alla quale vuole rendere omaggio con una pericolosa scalata ad alta quota, Rodolfo accetta la moglie solo quando comprende di aver idealizzato una donna dai tratti torbidi che lo aveva tradito in più di un’occasione durante la loro relazione. Il film termina dunque con un lieto fine che risulta tanto improvviso quanto affrettato e incongruente rispetto allo svolgimento della vicenda.

74 La finzione narrativa, infatti, comprende anche la rappresentazione di un’opera lirica composta dal protagonista, un compositore inglese rifugiatosi sulle Dolomiti in seguito ad un’azione di guerra, a cui, dopo il conflitto, La Fenice di Venezia commissiona un lavoro teatrale. Sull’operazione musicale svolta da Rota, cfr. Calabretto, La donna della montagna e The Glass Mountains, in La Sinfonia sopra una canzone d’amore. Per Il gattopardo cit., pp. 35-37. Per i legami esistenti tra le due pellicole cfr. Richard Dyer, Nino Rota. Music Film and Feeling, London, Palgrave Macmillan, 2010, pp. 14-18.

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Tralasciando quest’ultimo film e anche la relazione con la Sinfonia, il cui richiamo alla sua origine canora appare un’ulteriore conferma sull’importanza della canzone nella poetica rotiana, appare interessante rivelare come Rota abbia raggiunto uno dei risultati migliori della sua produzione filmico-musicale di quegli anni, proprio in un numero mu-sicale composto per La donna della montagna.

Ricordata da Castellani come una delle sue cose migliori fatte all’epoca, la sequenza consiste in un «pezzo puramente descrittivo» nel quale

la moglie di Nazzari che era tenuta in una condizione quasi di serva, [...] dopo essere rimasta tutto un inverno chiusa in questa casa di montagna, [...] usciva improvvisamente per prender [...] della legna e s’accorgeva che la neve si stava sciogliendo e che veniva la primavera e aveva il senso [...] di aver trascorso cinque o sei mesi prigioniera in questa casa. Cioè aveva il senso del tempo che era passato.75

Per la mancanza di dialoghi e per la suggestione dell’ambientazione, il pezzo, denomina-to Primavera al ruscello,76 presenta caratteristiche ideali per l’elaborazione di un discorso musicale parallelo. Per comprenderne l’efficacia, però, è necessario chiarire che, oltre al tema associato al tormentato rapporto tra i due coniugi [Es. 15], nella partitura rotiana è presente un altro spunto musicale di grandi potenzialità drammaturgiche. Si tratta di una breve serie di accordi che creano un effetto di sinistra immobilità [Es. 16]: caratteri-stiche associabili alla prima fidanzata di Rodolfo, la cui morte in un incidente alpinistico è segnalata dalle urla fuori campo nella sequenza iniziale del film. L’associazione tema-personaggio avviene dunque con una figura soltanto evocata, che aleggia e incombe sui due protagonisti come un vero e proprio fantasma.

Es. 15: La donna della montagna, tema dell’amore

Es. 16: Ivi, tema del fantasma

75 Savio, Cinecittà anni Trenta cit., p. 287.76 Al contrario di quanto segnalato nel volume La filmografia di Nino Rota, a cura di Fabrizio Borin, Firen-

ze, Olschki, 1999, in cui, a proposito del materiale musicale legato al film, è riportata la dicitura «manca del tutto la documentazione musicale» (cfr., ivi, p. XIV), si evidenzia che, ad oggi, nel medesimo fondo catalogato nel volume, è possibile consultare la partitura autografa legata alla pellicola (ANR RC5).

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Con un classico meccanismo iterativo, vivacizzato da un gioco di simmetrie orizzontali e verticali che coinvolgono i timbri dell’orchestra e la melodia,77 il compositore concepisce un numero fortemente simmetrico in cui, attraverso un efficace gioco di mascheramenti ed epifanie, le due idee musicali – il tema cantabile, legato alla complicata storia d’amore di Rodolfo e Zosi (tema a), e la successione di note legate al fantasma (tema b) – sono prima accostate, in ripetute proposte variate, e poi sovrapposte alla fine del pezzo, dove finalmente la successione di note legate al fantasma è pienamente riconoscibile.

Es. 17: Id., La donna della montagna cit., successione dei temi nel numero Primavera al ruscello

In sostanza, attraverso l’enunciazione di un discorso di natura intrinsecamente musicale, la cui reiterazione favorisce i punti di contatto con le immagini, i suoni riescono a dire quello che le immagini, pur belle e suggestive, non riescono a esprimere in pieno. Solo attraverso la musica, infatti, riusciamo a percepire la presenza occulta del fantasma che impedisce la piena realizzazione della storia d’amore tra i due coniugi, anche quando l’ar-rivo della primavera sembra favorire migliori condizioni di vita e, per Zosi, la speranza di un rapporto migliore con Rodolfo. Già in quest’occasione, dunque, come avverrà in successive e più prestigiose composizioni cinematografiche, Rota concepisce un pezzo che riesce a trascendere la funzione di commento per diventare esso stesso «un vero alter ego della narrazione».78

Per completare il quadro su questa prima stagione cinematografica rotiana, appare doveroso concludere l’indagine con Proibito rubare (1948) di Luigi Comencini, non solo perché è l’altro film in connessione diretta con l’ “Andante sostenuto” della Sinfonia sopra una canzone d’amore – e quindi con il Gattopardo – ed è la prima pellicola rotiana di am-bientazione napoletana, ma anche perché questa partitura può essere considerata l’emble-ma di atteggiamenti compositivi adottati nei film del dopoguerra.

Anche se non è ampia la distanza cronologica nei confronti della Donna della monta-gna, siamo evidentemente in una stagione cinematografica – e storica – completamente diversa: nel cinema italiano irrompe il fenomeno neorealista e le sale sono nuovamente, e più massicciamente, invase dalle pellicole hollywoodiane.79

77 Lo strumento protagonista del pezzo è certamente il flauto, a cui è affidato, in più occasioni, il tema d’amore che, verso la fine, viene scambiato prima con i violini e poi ai registri scuri di viole e violoncelli. Più accattivante risulta la soluzione timbrica ideata per sostenere la successione di note legata al fantasma. In que-sto caso, infatti, Rota sceglie un impasto, costituito da ottavino, arpa e celesta – tipico della sua poetica –, che legherà sempre al mistero e all’ignoto.

78 Si tratta di una locuzione che Roberto Calabretto ha utilizzato per la musica composta da Rota nella sequenza del Viaggio a Donnafugata del Gattopardo, cfr. Roberto Calabretto, Schermo sonoro, Venezia, Marsilio, 2010, p. 123.

79 Anche il primo lavoro cinematografico rotiano del dopoguerra rappresenta simbolicamente questa

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In linea con questa tendenza, la musica di Proibito rubare occupa quasi per intero la colonna sonora del film. Come molte altre pellicole rotiane di quell’epoca, il film non è un capolavoro e oltretutto registra un misero incasso. Si confronta, però, con i due pilastri sui quali si sostiene il cinema italiano del dopoguerra: la rappresentazione della dura realtà del momento, raffigurata emblematicamente dalla città di Napoli e dai suoi scugnizzi, e la relazione con il cinema hollywoodiano, sancita dall’esplicito richiamo al film Boys Town (1938, trad. it. La città dei ragazzi, regia di Norman Taurog).80

Sentimentalismo e umorismo si intrecciano dunque in una commedia lacrimevole nella quale vi è un forte scarto tra la denuncia sulla condizione tragica della gioventù partenopea, affiorante dal crudo realismo dei codici figurativi, e il soggetto edificante, condotto inesorabilmente verso un banalissimo lieto fine.81 Lo stesso Comencini, deluso dal risultato complessivo di questo suo primo lungometraggio, ricordò che «una sola cosa faceva vibrare il film: le facce dei ragazzini che erano vere e parlavano da sole».82

In ossequio all’imperante modello hollywoodiano, la presenza della musica è perva-siva. Secondo Ernesta Rota-Rinaldi, molto contenta della partitura del figlio (la giudica infatti «formidabile» e «tra le più belle di Nino»), l’allestimento è svolto con una «rapidità che ha del miracolo»; «inciso e finito in due giorni»:83 un’indicazione temporale che fa ap-parire inversamente proporzionale il rapporto tra quantità di tempo impiegato e quantità di inserti musicali presenti nel film.84 Per l’occasione, infatti, Rota imbastisce un pastiche di idee musicali già utilizzate in sue precedenti composizioni, intrecciate con altre suggerite

invasione. Sono, infatti, le note di The Star-Spangled Banner (l’inno statunitense) ad accompagnare le prime immagini dei titoli di testa di Un americano in vacanza (1945, regia di Luigi Zampa).

80 Protagonista del film è un candido e ingenuo prete missionario (un irriconoscibile Adolfo Celi), prove-niente da Sondrio e diretto in Kenya per una missione di evangelizzazione. Il religioso è a Napoli di passaggio, deve imbarcarsi per l’Africa. A causa dell’incontro/scontro con alcuni scugnizzi che gli rubano la valigia, de-cide di fermarsi nel capoluogo campano: la sua nuova sede di evangelizzazione. Nel film diventa dunque, Zi’ prevete, il soprannome affibbiatogli dai giovanissimi attori del film, veri scugnizzi ingaggiati per l’occasione. Ribaltando l’assunto del film hollywoodiano, nel quale un prete realmente esistito, padre Flanagan interpreta-to da Spencer Tracy, costruisce una Boys Town per sottrarre alla strada i giovani emarginati, in questa vicenda non è l’uomo di chiesa ad aiutare i ragazzi, ma è, in realtà, Peppiniello (il più piccolo degli scugnizzi) che – di nascosto e autonomamente – decide di destinare i proventi della vendita degli orologi preziosi rubati dai suoi compagni per la nascita di questa versione partenopea della città dei ragazzi.

81 Sullo stesso filone di Proibito rubare può essere considerato Campane a martello (1949, regia di Luigi Zampa, Lux Film), un’altra pellicola con le musiche di Rota. La commedia si sostiene, infatti, su un equivoco grazie al quale la protagonista (Gina Lollobrigida), una ‘signorina’ che è riuscita ad accumulare una discreta somma di denaro grazie ai ‘benefattori’ americani, diventa l’involontaria benefattrice di un orfanotrofio ‘mul-tietnico’, ospitante bambine nate durante la guerra, gestito dal prete (Eduardo De Filippo) dell’isola (Ischia) in cui è cresciuta la protagonista. Anche in questo caso, il film è ambientato in Campania e la storia è centrata sul tema dell’infanzia abbandonata. Rispetto a Proibito rubare, però, i toni di denuncia sono ulteriormente mitigati, anche in considerazione dell’ambientazione ischitana, meno problematica di quella partenopea.

82 Luigi Comencini, Infanzia, vocazione, esperienze di un regista, Milano, Baldini & Castoldi, 1999, p. 70.

83 Rota-Rinaldi, Diario, in Fra cinema e musica cit., p. 42.84 Su circa ottanta minuti di durata complessiva, la musica ne occupa più di cinquanta, benché vi siano

solo due numeri musicali presenti nella sfera diegetica: la banda che accompagna la processione dell’Ecce Homo (scritta in ogni caso da Rota) e la breve sequenza con i due posteggiatori che, al mandolino, suonano Simmo ’e Napule, paisà. Per il materiale musicale relativo al film, è stata visionata la partitura autografa, ANR RC 28.

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dallo svolgimento della narrazione: una modalità operativa che rivela una padronanza del mestiere ormai pienamente acquisita e che, evidentemente, può aver favorito la riduzione dei tempi di lavorazione.

Con il suo carattere malinconico, il tema del protagonista (Zi’ prevete), del tutto simile a quello presente del Gattopardo,85 contribuisce ad alimentare il sentimentalismo che per-vade il film. Come ha giustamente ricordato Roberto Calabretto, si tratta di «una melodia fiorita dalle tinte popolari e mediterranee», nella quale «una terzina e una quartina di semicrome conferiscono al tema delle movenze ornamentali all’interno di un’articolazione molto regolare che procede per gruppi di 2+2 // 2+2 battute».86

Es. 18: Proibito rubare, n. 1 Titoli, tema di Zi’ prevete

Risulta dunque una struttura equivalente a quei temi prelevati da quelle canzoni presenti nelle precedenti partiture cinematografiche, particolarmente idonea ad attivare processi di scomposizione e accorpamento delle idee musicali. Nel corso del film, infatti, la breve cellu-la associata a Peppiniello (il piccolo scugnizzo), costituita da poche note su ritmo sincopato affidate al flauto e all’ottavino [Es. 19] –, si insinua nell’altro tema instaurando una sorta di dialogo tra la malinconia del prete, incapace di portare a termine la sua missione, e lo scugnizzo, la cui presenza risulta determinante per la realizzazione dei suoi propositi.87

Es. 19: Ivi, n. 12 Prete e Peppiniello, tema di Peppiniello

85 Rispetto alla Sinfonia e al Gattopardo, dove il tema è sostenuto da brevi passaggi ai corni e ai legni, nel film Rota utilizza, nei titoli di testa e nella sequenza dello svenimento del prete, un’energica e pesante marcia, come pedali, alterando il carattere lirico della linea melodica; nelle scene in cui domina la figura mesta del prete, le proposte solistiche dell’oboe, del clarinetto o dei primi violini sono accompagnate, invece, da semplici arpeggi dell’arpa.

86 Calabretto, La Sinfonia sopra una canzone d’amore. Per Il gattopardo cit., p. 38.87 L’intreccio avviene in molti punti del film. Vi sono, però, due numeri dedicati proprio a questa asso-

ciazione: nel n. 6. La nave, quando il prete decide di non partire per l’Africa, grazie proprio allo scugnizzo che gli restituisce il portafoglio precedentemente rubato, e nel n. 12. Prete e Peppiniello, quando lo scugnizzo accompagna il prete alla ricerca degli scugnizzi, nel frattempo allontanatisi dalla città dei ragazzi.

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Oltre a quello che possiamo definire «il tema di Zi’ prevete», al protagonista del film è associato anche un tema di fanfara di carattere enfatico e altisonante.88 Si tratta del tema di padre Flanagan [Es. 20], il protagonista di Boys Town, evocato in Proibito rubare e in-carnato, con l’aiuto della musica, nel prete missionario in quelle scene in cui l’impresa di costruire questa “città” sembra andare a buon fine.

Es. 20: Proibito rubare cit., n. 22, tema di Padre Flanagan

Nel film, inoltre, si incontrano altri motivi conduttori associati ad identità collettive. As-secondando l’impostazione didascalica del soggetto, per i ragazzi presi in carico dal prete vi è una doppia associazione musicale: quando si comportano come scugnizzi, la proposta tematica è caratterizzata da una pesante marcia, con intromissioni di scalette ascendenti dell’ottavino e degli altri fiati nei registri acuti; quando appaiono come fanciulli innocen-ti, con un tema semplice e delicato affidato all’ottavino o, in alternativa, alla celesta; in quest’ultimo caso, con un richiamo evidente alle sonorità del carillon.89

Per il resto, tutti i passaggi da commedia brillante che alleggeriscono la visione sono sostenuti da spunti tematici che configurano musicalmente la città di Napoli: con accenni alla tradizione locale, nei richiami alla tarantella, e alla nuova musica americana, nei ri-chiami al boogie-woogie.90

Infine, sempre in relazione ai toni di commedia, bisogna segnalare un altro leitmotiv con un numero di occorrenze più limitato rispetto agli altri, ma di equivalente rilevanza nell’economia drammaturgica del film. Si tratta del tema che Rota ha utilizzato anche per le musiche di Totò al giro d’Italia (1948, regia di Mario Mattoli) – una partitura cinema-tografica composta in parallelo a quella di Proibito rubare –, consistente in una semplice marcetta caratterizzata ritmicamente da brevi passaggi sincopati che ne vivacizzano l’an-damento.

88 Pur se differente, il carattere del tema, introdotto con tre semiminime ascendenti dai corni e dalla tuba e poi da tutti gli ottoni, ricorda vagamente l’inno americano, brevemente citato, nella sequenza in cui viene evocata la pellicola hollywoodiana.

89 Sempre in relazione a questo tipo di sonorità, è da segnalare la presenza di un inserto musicale intitolato Bambini, composto da Rota per La freccia nel fianco, per la sequenza degli orologi che gli scugnizzi nascondono per volere di un ladro che glieli ha affidati. La relazione simbolica con la sequenza di quest’ultimo film è evi-dente: in entrambi i casi si tratta di ragazzini che agiscono in un contesto di mistero e clandestinità. Tuttavia, anche per l’infelice montaggio del pezzo, repentinamente tagliato e registrato con un volume troppo basso, la nuova collocazione audiovisiva risulta del tutto inefficace a sostenere le immagini.

90 Questi elementi sono presenti anche nella sfera diegetica con la canzone Simmo ‘e Napule, paisà (1944) e con il boogie ballato da uno scugnizzo, su un accompagnamento corale improvvisato dagli altri ragazzi.

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È lo sguardo ironico del compositore che, attraverso la comicità del tema, commenta l’inadeguata relazione tra personaggi e contesto. Come avviene in tutti quei passaggi in cui il prete rivela la sua incapacità ad affrontare la realtà locale, oppure quando, alla fine del film, le autorità civili e religiose, dopo aver precedentemente negato ogni aiuto al prete, convengono in corteo per l’inaugurazione della città dei ragazzi, sorta solo grazie all’iniziativa clandestina del piccolo Peppiniello. Anche se non adeguatamente variato nelle proposte legate al prete91 e mortificato da un avvilente missaggio nella sequenza del corteo cerimoniale, questo accattivante spunto musicale sarà meglio sviluppato in Totò al giro d’Italia92 dove, non solo è proposto con maggiore frequenza, essendo associato inequivocabilmente al protagonista del film, ma è anche sottoposto a diverse variazioni, in sintonia con le straordinarie pose dell’attore partenopeo.

Con Proibito rubare, dunque, il processo di maturazione del compositore è pienamen-te compiuto. Termina un’ampia partitura in poco tempo, padroneggia con disinvoltura la tecnica leitmotivica, arrivando a superare anche gli automatismi legati all’associazione tema/personaggio, e sfrutta con disinvoltura le possibilità compilative offerte dalla musica per film. Allo stesso tempo, però, è proprio l’eccessiva quantità di inserti musicali, con le numerose concatenazioni lineari dei vari temi che si susseguono nel corso della vicenda, la causa di quell’ipertrofia che depotenzia progressivamente la forza evocativa della musica.

Al termine di questa ricognizione sulle prime esperienze cinematografiche di Rota, nella quale si è tentato di aggiungere un tassello alla necessaria opera di scandagliamento dell’in-tera attività compositiva del maestro, sembra opportuno spostare momentaneamente lo sguardo da queste dimenticate partiture a quella del Gattopardo, un lavoro cinematografi-co che, com’è noto, ha meritato ben altro interesse tra gli studiosi:93 uno spostamento di

91 L’unica lieve modifica tra le proposte del leitmotiv associato al prete si riferisce solo ad una lieve accele-razione dell’andamento ritmico nell’ultima sequenza citata relativa al prete.

92 Anche per questa pellicola – «una strizzatina al mito di Faust che strizza l’occhio a It’s a Wonderful Life [in it. La vita è meravigliosa, 1946, regia di Frank Capra]» in Valentina Ruffin, Totò al massimo, in Scuola Nazionale di Cinema. Storia del cinema italiano 1945-1948, VII, a cura di Callisto Cosulich, Venezia-Roma, Marsilio - Bianco & Nero, 2003, pp. 268-279: 273 – Rota associa il tema alla medesima categoria comica, in questo caso declinata unicamente sul protagonista. Prima la musica sottolinea l’inadeguata relazione tra Totò-seduttore e il contesto del concorso di Miss Italia, e poi, nella parte restante di questa esile vicenda giocata sull’ambigua relazione tra finzione e realtà, tra Totò-ciclista e il contesto del Giro d’Italia con i veri campioni dell’epoca.

93 Tra tutti devono essere segnalati i due lunghi articoli monografici di Sergio Miceli, Le musiche del film. Una breve analisi, in Il Gattopardo, a cura di Lino Micciché, Napoli, Electa-Centro Sperimentale di Ci-nematografia, 1996, pp. 28-39 e Calabretto, La Sinfonia sopra una canzone d’amore. Per Il gattopardo cit.,

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prospettiva suggerito dal suggestivo legame esistente tra la partitura del capolavoro viscon-tiano e quella appena descritta di Proibito rubare.

Dopo un breve accenno alla fine dei titoli di testa, quello che nel film di Comencini era il tema di Zi’ prevete, nel film di Visconti diventa il «tema sensuale» che trova la sua collocazione nelle seguenti scene: nella sequenza della trasferta notturna del principe di Salina a Palermo [Fig. 5], quando si intrattiene con l’amante-prostituta Mariannina (n. 2 Passeggiata notturna. Palermo);94 in una riproposta più contratta [Fig. 6], nella scena in cui Tancredi, prima di unirsi ai garibaldini, saluta lo zio (il principe) e la cugina Concet-ta, intimamente innamorata di lui (n. 3 Partenza di Tancredi); quando Angelica fa la sua prima apparizione nel palazzo di Donnafugata [Fig. 7] e saluta il principe (n. 11 Entrata di Angelica); in una forma più ampia e variata, nella scena del bacio tra Tancredi e Ange-lica [Fig. 8] che lega, con un’ellissi temporale, alla successiva scena in cui i due esplorano la parte disabitata del palazzo di Donnafugata (n. 19 Angelica e Tancredi);95 infine, nel drammatico dialogo tra il principe di Salina e il piemontese Chevalley [Fig. 9], nel preciso passaggio in cui il principe, dopo aver chiarito le motivazioni del suo rifiuto a far parte del nuovo parlamento italiano, prima spiega la natura dei siciliani e poi, per far comprendere meglio al suo interlocutore cosa intendesse veramente dire, afferma: «ho detto siciliani e dovevo dire Sicilia, quest’ambiente, la violenza del paesaggio, la crudeltà del clima, la con-tinua tensione in ogni cosa» (n. 24 Dialoghi con Chevalley). Si tratta dunque di un tema di notevole peso drammaturgico.

pp. 21-124.94 Come ricorda Calabretto: «la “sensualità” di cui parla Rota viene evidenziata dall’ingresso del clarinetto,

con il suo timbro caldo, nel momento della comparsa di Mariannina», ivi, p. 52.95 Ricordiamo che in questo caso, come avviene nel terzo tempo della Sinfonia sopra una canzone d’amore,

il tema “sensuale” è seguito da quello “scorrevole”, a sua volta coincidente con quello utilizzato, e già segnalato, nel Birichino di papà.

Fig. 5: Luchino Visconti, Il gattopardo (1963): il principe di Lampedusa e la prostituta

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Fig. 6: Il gattopardo cit.: Tancredi e la cugina Concetta

Fig. 7: Ivi: il Principe conosce Angelica

Fig. 8: Ivi: il bacio tra Angelica e Tancredi

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Fig. 9: Il gattopardo cit.: il Principe a colloquio con Chevalley

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Pur non essendo l’oggetto di questa indagine, la relazione simbolica, tutta interna al di-scorso musicale di Rota, tra queste sequenze, accomunate dalla presenza di un sentimento amoroso che include attrazione, per il fascino sensuale dei personaggi a cui è rivolto (un sentimento riservato dal principe alla stessa terra di Sicilia), e sconforto, per la consapevole inafferrabilità connaturata all’essenza di questo fascino, e quelle di Proibito rubare, carat-terizzate dalla malinconia e dalla mestizia del prete, consapevole di essere impotente ad af-frontare la sua missione nella Napoli del dopoguerra, ancora vitale nonostante le profonde ferite inferte dal conflitto bellico, non solo offre una stimolante chiave interpretativa per comprendere la presenza di questo tema nella partitura del capolavoro viscontiano, ma è anche l’ulteriore conferma che i fili nascosti della poetica di Rota attraversano l’intero arco compositivo della sua lunga carriera.

ISBN 978-88-98528-06-6© copyright 2014

Edizioni del Conservatorio di MusicaSan Pietro a Majella

con il contributo diSapienza Università di Roma,Dipartimento degli Studi Greco-Latini, Italiani e Scenico-Musicali

tutti i diritti riservati

grafica e impaginazioneGianni Ascione, Napoli

stampa nel luglio 2014Tris, società cooperativa, Napoli

per conto diEdizioni del Conservatorio di MusicaSan Pietro a Majellagatoria Tonti, Napoli


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