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Tesi P. Pierpaolo

Date post: 12-Jan-2023
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SIGLE E ABBREVIAZIONI SCRITTI DI FRANCESCO D’ASSISI Am Ammonizioni LOrd Lettera a tutto l’Ordine Rb Regola bollata Rnb Regola non bollata BIOGRAFIE DI FRANCESCO D’ASSISI CAss Compilazione di Assisi (Leggenda perugina) 1Cel Vita del beato Francesco (Vita prima), di Tommaso da Celano 2Cel Memoriale nel desiderio dell’anima (Vita seconda), di Tommaso da Celano 3Comp Leggenda dei tre Compagni Fior I Fioretti di san Francesco Jacopone Laudi di Jacopone da Todi LegM Leggenda maggiore, di Bonaventura da Bagnoregio Spec Specchio di perfezione 1
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SIGLE E ABBREVIAZIONI

SCRITTI DI FRANCESCO D’ASSISI

Am Ammonizioni

LOrd Lettera a tutto l’Ordine

Rb Regola bollata

Rnb Regola non bollata

BIOGRAFIE DI FRANCESCO D’ASSISI

CAss Compilazione di Assisi (Leggenda perugina)

1Cel Vita del beato Francesco (Vita prima), di Tommaso

da Celano

2Cel Memoriale nel desiderio dell’anima (Vita seconda),

di Tommaso da Celano

3Comp Leggenda dei tre Compagni

Fior I Fioretti di san Francesco

Jacopone Laudi di Jacopone da Todi

LegM Leggenda maggiore, di Bonaventura da Bagnoregio

Spec Specchio di perfezione

1

CRONACHE E ALTRE TESTIMONIANZE

Eccleston L’insediamento dei frati minori in Inghilterra, di

Tommaso da Eccleston

Giordano Cronaca di Giordano da Giano

Salimbene Cronaca di Salimbene de Adam da Parma

Spalato Tommaso da Spalato

SCRITTI E FONTI BIOGRAFICHE DI CHIARA D’ASSISI

LegsC Leggenda (o Vita) di santa Chiara vergine

ALTRE ABBREVIAZIONI

AF Analecta Franciscana

FF Fonti Francescane

EV Enchiridium Vaticanum

SC Costituzione dogmatica sulla Sacra Liturgia

Sacrosanctum Concilium

CC.GG. Costituzioni Generali

SS.GG. Statuti Generali

SS.PP. Statuti Provinciali

2

BIBLIOGRAFIA

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8

INTRODUZIONE

L’Ordine Francescano vanta una lunga tradizione liturgico-

musicale di otto secoli, caratterizzata da un proprio stile

che, con il continuo richiamo a un passato glorioso, si apre,

in tempi nuovi, a quell’esperienza d’irresistibile fascino che

san Francesco per primo ha saputo vivere e comunicare con

animo profondo e suggestivo. A partire dalle fonti, è

possibile analizzare i tratti essenziali di una musicalità

francescana che nasce dalla percezione della voce di Dio nella

bellezza delle cose, una musicalità intesa come trascendente

manifestazione dell’anima dell’uomo, in una costante

armonizzazione di materia e spirito, vita terrena e

misticismo. Nello spirito francescano liturgia e musica si

fondono per esprimere un profondo senso di gioia e di bellezza

nel lodare e benedire il Signore; uno spazio in cui canto,

musica e liturgia fioriscono come espressioni di gratuità,

fiducia e accoglienza, nella coscienza di dover in qualche

modo restituire a Dio, il datore di ogni bene, ogni beneficio9

ricevuto. Francesco fa coincidere nella propria esperienza

liturgia e vita, preoccupandosi non tanto della forma, quanto

della sostanza della preghiera, pur desiderando di rimanere in

piena comunione con la tradizione della Chiesa. La Regola non

esaurisce il discorso sulla vita di preghiera dei frati nel

capitolo terzo, ma lo riprende anche in seguito, in

riferimento più ad uno stile di vita quotidiano: i frati sono

chiamati a non spegnere mai lo spirito di orazione e devozione

e a pregare sempre con cuore puro; il capitolo terzo invece

determina più strettamente l’organizzazione della preghiera.

Per Francesco dunque la preghiera è la linfa che deve

alimentare continuamente la vita del discepolo, e la liturgia,

arricchita e resa più solenne dal canto e dalla musica,

diventa il mezzo per mantenere viva questa preghiera.

Per spiegare meglio la funzione che il canto e la musica

hanno svolto nella tradizione liturgica francescana, occorre

partire dal valore che hanno avuto nella vicenda vocazionale e

nel carisma di Francesco e dei suoi frati. Solo così sarà

possibile tracciare un itinerario spirituale e normativo

all’interno della vita e delle consuetudini dell’Ordine che,

lungo i secoli, ha sempre mantenuto saldo il principio di una

fraternità fondata su Cristo, cioè sulla sequela di Cristo

10

povero, umile e crocifisso (Christi vivendi forma) e fondata da

Cristo, cioè sulla forma di vita specifica che lo Spirito del

Signore ha suggerito a Francesco e che la Chiesa ha approvato

(Apostolica vivendi forma).

11

CAPITOLO I

IL CANTO E LA MUSICA NELLA VITA DI SAN FRANCESCO

E NELLA TRADIZIONE FRANCESCANA

1. Francesco poeta, musicista e “giullare di Dio” 1

Il primo protagonista della musica e della poesia

dell’Ordine Francescano fu proprio san Francesco d’Assisi, il

quale «nella giovinezza spensierata aveva imparato e cantato

le sirventesi degli oratori provenzali […], quando in Italia

era penetrata la dolce poesia di Provenza»2. Un modello di

arte che attirò Francesco finché visse con le allegre brigate

e, in seguito, quando sentì la chiamata del Signore a compiere

la vera missione della sua vita; egli «fuse, come Dante, nel

suo cuore magnanimo Terra e Cielo e donò al mondo il poema

1 Su questa definizione del carisma di san Francesco si veda F. X.CHERIYAPATTAPARAMBIL, Francesco d’Assisi e i trovatori, Edizioni «Frate Indovino»,Perugia 1985.2 A. LAURI, Musica francescana in sette secoli, in «Rivista Musicale Italiana», 46(1942), p. 173.

12

francescano, ricco di celesti armonie creatrici3». Francesco è

il cantore della creazione e delle creature e, con lui, i suoi

primi compagni e discepoli; tutti protagonisti della storia

della musica, avendo inaugurato uno dei più antichi

esperimenti conosciuti di lirica religiosa in lingua volgare4,

tra i primi a «staccare l’espressione dell’amor sacro dal

tronco millenario della lingua e della melodia

ecclesiastica5». È la nascita di un nuovo repertorio.

Ci sono molti aspetti della personalità e della spiritualità

di Francesco che possono essere spiegati se posti in relazione

con le sue origini francesi, o meglio, con le sue “devozioni”

francesi: essi vanno inquadrati in quel senso di profonda e

perfetta letizia e di grande cortesia e nobiltà nel suo stare

con gli altri e con Dio, che spesso dimostrava intonando

celebri canzoni francesi o improvvisando testi su melodie

allora in uso. Egli aveva sempre una canzone sulle labbra e

cantava instancabilmente le lodi del Signore, girovagando per

3 ivi, p. 174.4 Le Laudi spirituali monodiche di Jacopone da Todi, come quelle di altriautori meno famosi dell’epoca, presumibilmente accompagnate da strumentiquali il salterio, la viola, il liuto e la tromba, come lasciano pensare ifogli pergamenacei miniati di alcune melodie laudistiche fiorentine,conservate a New York, Worcester, Cambridge e Londra, rappresentano senzadubbio l’esempio più significativo di emancipazione del canto e dellamusica di ispirazione popolaresca [cf. U. FRANCA, Musicalità Francescana, in«Studi Francescani», 3-4 (1951), p. 157].5 F. LIUZZI, La lauda e i primordi della melodia italiana (in F. ABBIATI, Storia dellaMusica, Milano 1939, I, p. 265).

13

le strade e le campagne e in comunione con la natura6. Anche i

valori e gli ideali del tempo in cui visse, contribuirono non

poco a formare l’"uomo" e il "santo" Francesco: la cavalleria

medievale e l’amor cortese diffuso dai trovatori, i movimenti

penitenziali che influenzarono il contesto religioso del

tempo7. Le fonti tacciono riguardo agli influssi che i

trovatori potrebbero aver esercitato sul giovane Francesco:

l’unico elemento di cui possiamo servirci è la sua buona

conoscenza del francese che potrebbe implicitamente rimandare

ad eventuali contatti con i trovatori. È pur vero che nelle

biografie di Francesco compaiono frequenti allusioni che in

modo esplicito rimandano alla sua conoscenza della letteratura

dell’amor cortese e della mentalità trobadorica. In

6 «Il beato Francesco prese con sé frate Egidio e andò nella Marca diAncona, gli altri due si posero in cammino verso un’altra regione. Andandoverso la Marca, esultavano grandemente nel Signore, e l’uomo santo,cantando in francese a voce alta e chiara le lodi del Signore, benedicevae glorificava la bontà dell’Altissimo. Tanta era la loro letizia chepareva avessero scoperto un grande tesoro nel podere evangelico dellasignora Povertà, per amore del quale avevano generosamente espontaneamente disprezzato come spazzatura ogni bene temporale» (Leggendadei tre compagni, in Fonti Francescane. Terza edizione rivista e aggiornata, EditriciFrancescane, Padova 2011, pp. 815).7 Tra i tanti ricordiamo gli Umiliati che nacquero in Lombardia, a primavista come seguaci dei catari e dei valdesi, ma in seguito con trattidistintivi, fino a quando ottennero l’approvazione da parte di InnocenzoIII nel 1201; da notare che questo movimento era suddiviso in tre ordini:i fratelli, le sorelle e un “terz’ordine” per i secolari. Essi eranoattivi nel campo dell’artigianato della lana, perciò è probabile che ilpadre di Francesco, Pietro di Bernardone abbia avuto contatti con loro eche Francesco in qualche modo li frequentasse.

14

particolare la Leggenda dei tre compagni tratteggia alcuni

aspetti interessanti della sua personalità:

Francesco era tanto più allegro e generoso, dedito ai

giochi e ai canti, girovagava per la città di Assisi

giorno e notte con amici del suo stampo, tanto generoso

nello spendere e dissipare in pranzi e altre cose tutto

quello che poteva avere o guadagnare […]. Tuttavia per

indole quasi naturale, era cortese nel comportamento e nel

conversare. E seguendo un proposito nato da convinzione, a

nessuno rivolgeva parole ingiuriose o sporche […]. Queste

virtù di natura furono come gradini che lo elevarono fino

alla grazia di poter dire a se stesso: «Dal momento che

sei generoso e cortese verso persone dalle quali non

ricevi niente, se non un’effimera vuota simpatia; ebbene è

giusto che tu sia generoso e cortese anche con i poveri,

per amore di Dio che contraccambia tanto largamente»8.

Proprio come i giovani di oggi, anche Francesco non avrebbe

potuto non farsi coinvolgere dalle mode del suo tempo, proprio

quando la cultura trobadorica proveniente dalla Provenza

esercitava una grande influenza ovunque. A cavallo tra XII e

XIII sec., fiorì l’ideale della cavalleria e della vita

cavalleresca all’interno dell’ambiente delle corti provenzali,

8 3Comp 1, 2: FF 1396-1397. Con lo stesso tono san Bonaventura parla delgiovane Francesco (LegM 1, 1: FF 1028-1029); anche il Celano descrive ungiovane dedito ai «canti» e «molto cortese», ma lo fa tratteggiandoprevalentemente gli aspetti più negativi della personalità di Francesco(cf. 1Cel 1, 2: FF 320).

15

che ispirò contenuti forti per i trovatori, le cui liriche

cantavano di “amore”, “gioia” e “cortesia”. I trovatori più

celebri di Provenza9 giunsero ben presto presso le corti

italiane, trascinando con sé poeti e musicisti del luogo10;

insieme vagavano per la penisola da una festa all’altra nei

palazzi di coloro che facevano a gara per ascoltarli. Ovunque

risuonavano le celebri chansons de geste11 in forma di favole,

ballate e canzoni, che esaltavano le imprese di Re Artù e dei

Cavalieri della Tavola Rotonda. Dalla Francia e dall’Italia i

trovatori si spostarono in Castiglia, Aragona, Catalogna,

Navarra, in Portogallo, Germania e Inghilterra, fino in

Oriente. Francesco era legato all’ambiente e alla cultura

francese non solo per le origini di sua madre12, ma

soprattutto perché fin da piccolo aveva raggiunto quei luoghi

in compagnia del padre durante i suoi viaggi d’affari. Inoltre

è certo che Francesco conosceva la lingua francese poiché le

fonti ci parlano di un giovane che amava intonare canzoni13,9 Tra i provenzali ricordiamo Piere Vidal, Rambaud de Vaqueiras, Bernardde Ventadour, Piere d’Auvergne.10 Tra gli italiani nominiamo Giacomo da Lentini, Manfredo Lancia, AlbertoMalaspina.11 La più famosa è la Chanson de Roland, apparsa in Italia dopo il sec. XII,che racconta la spedizione di Carlo Magno contro i Saraceni di Spagna edescrive la vittoria conseguita da lui e dai suoi cavalieri per la Chiesae l’Impero.12  Pica Bourlemont detta “donna Pica”.13 Cf. LegM 2, 5: FF 1044; 2Cel 90, 127: FF 711; 3Comp 9, 33: FF 1436. Francescoera «di buona memoria» (1Cel 29, 83: FF 464), per questo non è improbabileche egli imparasse a memoria canzoni provenzali che cantava abitualmente.

16

che chiedeva l’elemosina o che evangelizzava cantando, in

francese, anche se non è chiaro di quale francese si tratti14.

Riguardo a Francesco poeta e musicista esistono pure delle

fonti esplicite che ci proiettano nel mondo dei “giullari”15

che erano i compagni d’arte dei trovatori e che, mediante

diversivi comici, rallegravano la gente che era venuta ad

ascoltare le solenni melodie d’amore. Si creava così una sorta

di alternanza tra il serio e il comico, tra momenti di

struggente ascolto e di gioia ludica. La Leggenda Perugina ci

descrive Francesco come un vero trovatore che componeva le

«Lodi del Signore», poneva in musica un testo e manifestava il

desiderio di suonare uno strumento (la cetra o la viella), pur

non sapendolo fare16; inoltre insegna ciò che ha composto ai

14 Il Felder spiega che i testi delle fonti farebbero pensare alla Franciasettentrionale, in relazione al reame di Francia e alla lingua d’oil (cf. H.FELDER, The Knight-Errant of Assisi, Milwaukee 1948, p. 126). Secondo lo Smith,invece, le tracce dell’influenza francese su Francesco rimandanoall’ambiente meridionale della Provenza [cf. J. H. SMITH, The Troubadours atHome: their lives and personalities, their songs and their world (1899), General Books,Hoepli, Milano 2013, pp. 20-21].15 Francesco volle che lui e i suoi frati fossero conosciuti come i“giullari di Dio”.16 «All’epoca in cui il beato Francesco stava presso Rieti, alloggiando peralcuni giorni nella camera di Teobaldo Saraceno per motivo del suo maled’occhi, disse una volta ad uno dei suoi compagni, che nel mondo avevaimparato a suonare la cetra: “Fratello, i figli di questo secolo non sonosensibili alle cose divine. Usano gli strumenti musicali, come cetre, arpea dieci corde e altri, per la vanità e il peccato, contro il volere diDio, mentre nei tempi antichi i santi uomini li utilizzavano per la lodedi Dio e il sollievo dello spirito. Io vorrei che tu procurassi dinascosto una cetra da qualche galantuomo, e mi facessi con essa unamelodia adatta. Ne approfitteremo per accompagnare le parole e le lodi delSignore. Il mio corpo è afflitto da una grande infermità e sofferenza;così per mezzo della cetra, bramerei alleviare il dolore fisico,

17

compagni17. Poi si dice che compose anche una melodia per le

Sorelle Povere, il cui manoscritto porta il titolo «Audite

Poverelle», con la quale, non potendo spostarsi a causa della

malattia, volle consolare le povere dame di San Damiano,

affidando al canto dei frati il suo messaggio per loro18.

trasformandolo in letizia e consolazione dello spirito”. Il beato infattiaveva composto alcune laudi al Signore durante la sua malattia e talora lefaceva dire dai suoi compagni a gloria di Dio e a conforto della suaanima, come pure allo scopo di edificare il prossimo […] (CAss 66: FF1594); l’episodio è riportato anche dal Celano (cf. 2Cel 89, 126: FF 710) eda San Bonaventura (cf. LegM 11: FF 1100). Alcuni identificano il compagnodi Francesco esperto nella cetra con frate Pacifico “il re dei versi”, delquale parleremo in seguito. Oltre alla cetra (strumento a cordepizzicate)il Celano fa menzione della viella (strumento ad arco): «A voltesi comportava così. Quando la dolcissima melodia dello spirito gli fervevanel petto, si manifestava all’esterno con parole francesi, e la venadell’ispirazione divina, che il suo orecchio percepiva furtivamente,traboccava in giubilo. Talora – come ho visto con i miei occhi –raccoglieva un legno a terra e, mentre lo teneva sul braccio sinistro, conla destra prendeva un archetto tenuto curvo da un filo e ve lo passavasopra accompagnandosi con movimenti adatti come fosse una viella e cantavain francese le lodi del Signore» (2Cel 90, 127: FF 711).17 «"Voglio quindi, a lode di lui e a mia consolazione e per edificazionedel prossimo, comporre una nuova lauda del Signore riguardo alle suecreature. Ogni giorno usiamo delle creature e senza di loro non possiamovivere, e in esse il genere umano molto offende il Creatore. E ogni giornoci mostriamo ingrati per questo grande beneficio, e non ne diamo lode,come dovremmo, al nostro Creatore e datore di ogni bene". E postosi asedere, si concentrò a riflettere e poi disse: "Altissimo, onnipotente,bon Segnore…". E vi fece sopra la melodia, che insegnò ai suoi compagni»(CAss 83: FF 1615); più tardi, in occasione di una violenta disputa tra ilVescovo e il Podestà di Assisi, Francesco compose la cosiddetta “strofadel perdono” in aggiunta alle precedenti Laudi del Signore (Cantico difrate Sole), per sedare gli animi dei due contendenti e, terminato dicomporre, invio i suoi compagni ad eseguire il Cantico dinanzi a loro epace fu fatta (cf. CAss 84: FF 1616).18 «Sempre in quei giorni e nello stesso luogo, dopo che il beato Francescoebbe composto le Laudi del Signore riguardo alle creature, fece anchealcune sante parole con melodia, a maggior consolazione delle poveresignore del monastero di San Damiano, soprattutto perché le sapeva moltocontristate per la sua infermità. E poiché, a causa della malattia, non lepoteva visitare e consolare personalmente, volle che, quelle parole glielefacessero sentire i suoi compagni» (CAss 85: FF 1617).

18

Francesco utilizzò frequentemente il canto per

evangelizzare le folle e per portare i loro animi a Dio

attraverso il mezzo efficacissimo della parola in musica e

voleva che i suoi frati andassero per il mondo predicando e

cantando le lodi di Dio. Racconta la Leggenda Perugina:

Il suo spirito era immerso in così grande dolcezza e

consolazione, che voleva mandare a chiamare frate Pacifico

– che nel secolo veniva detto «il re dei versi» ed era

gentilissimo maestro di canto – e assegnargli alcuni frati

buoni e spirituali, affinché andassero per il mondo a

predicare e lodare Dio

Voleva che dapprima uno di essi, capace di predicare,

rivolgesse al popolo un sermone, finito il quale tutti

insieme cantassero le Laudi del Signore, come giullari di

Dio. Quando fossero terminate le Laudi, il predicatore

doveva dire al popolo: «Noi siamo i giullari del Signore e

la ricompensa che desideriamo da voi è questa: che viviate

nella vera penitenza». E aggiunse: «Che cosa sono i servi

di Dio, se non i suoi giullari che devono commuovere il

cuore degli uomini ed elevarlo alla gioia spirituale?».

Diceva questo riferendosi specialmente ai frati minori,

che sono stati inviati al popolo per salvarli19.

Questo passo è fondamentale anche per delineare una

metodologia francescana per l’evangelizzazione e la catechesi:

essa, come si vede, è articolata in diversi momenti e diversi19 CAss 83: FF 1592.

19

ruoli in cui i frati si alternano a seconda delle capacità e

responsabilità; inoltre comprendiamo quanto i ministri

dell’apostolato di lode dovessero essere gioiosi, di una gioia

contagiosa20, proprio come lo stile dei trovatori da cui, fin

dalla sua giovinezza, venne influenzato lungo tutto l’arco

della sua vita. Francesco era convinto del fatto che tristezza

e malinconia sono i nemici peggiori, e che la gioia spirituale

è il mezzo migliore per fronteggiare il peccato21. L’essere

gioiosi, dunque, è un atteggiamento che necessariamente nasce

dall’intima unione amorosa con Dio, proprio allo stesso modo

in cui, per i trovatori, il vero amore è la fonte di tutte le

virtù e come la gioia saggia è l’effetto dell’amor puro e

dall’amore stesso scaturisce; tale amore per Francesco

coincide con Dio stesso. La gioia francescana è qualcosa di

veramente profondo che va a toccare il nucleo della

personalità; è il frutto del vero amore, della caritas

cristiana. Tutto l’apostolato di lode di Francesco e dei suoi

frati è così motivato da questo tema della gioia ed egli era

certo che il mezzo privilegiato per giungere alla gioia dello20 In Francesco il tema della gioia ha un’importanza fondamentale: «E siguardino i frati dal mostrarsi tristi all’esterno e rannuvolati come gliipocriti, ma si mostrino gioiosi nel Signore e lieti e cortesi come siconviene» (Rnb 7, 24: FF 24); e ancora:«E devono essere lieti quando vivonotra persone di poco conto e disprezzate, tra i poveri e deboli, infermi elebbrosi e tra i mendicanti lungo la strada (Rnb 9, 30: FF 30).21 Cf. 2Cel 91, 128: FF 712; 2Cel 88, 709: FF 709.

20

Spirito fosse la musica e il canto di lode, perché molti ne

sono attratti e gli esecutori sono i «giullari di Dio». Gioia

e canto accompagnarono Francesco fino agli ultimi istanti

della sua vita; la Leggenda Perugina, nel capitolo in cui

rappresenta il santo in punto di morte, scrive:

Allora il beato Francesco, sebbene disfatto dalle

malattie, con grande fervore di spirito e interiore ed

esteriore letizia, lodò il Signore. Poi rispose al

compagno: «Ebbene, se la morte è imminente, chiamatemi

frate Angelo e frate Leone, affinché mi cantino di sorella

Morte».

Si presentarono i due davanti a lui e cantarono, in

lacrime, il Cantico di frate Sole e delle altre creature

del Signore, composto dal santo stesso durante la sua

infermità, a lode del Signore e a consolazione dell’anima

sua e degli altri. In questo Cantico, innanzi all’ultima

strofa, egli inserì la lassa di sorella Morte […]22.

Con i “giullari di Dio” Francesco inaugurò una nuova forma

di apostolato23 che divenne caratteristica degli ordini22 CAss 7: FF 1547. «Lo spazio in cui fioriscono la musica e il canto, lamusica e il canto per tutte le creature e per la stessa morte, è lo spaziodella fiducia (“una fiducia spinta all’estremo” che nulla viene adoffuscare, gustare, indebolire, limitare) e dell’accoglienza (“perché indefinitiva, di fronte a Dio, solo l’accoglienza, e un’accoglienza piena,ha senso. Ogni restrizione a questa accoglienza, e un’accoglienza chepotrebbe essere indotta dal collegamento e dai meriti o a cose del genere,porrebbe un qualche ostacolo all’assoluto della fiducia”). (C. DI SANTE,Francesco e la musica. In dialogo con Mozart e Barth, Pazzini Stampatore Editore,Rimini 2004, p. 81).23 L’intuizione di Francesco sta nell’aver compreso la validità el’efficacia di un tipo di apostolato modellato sul canto improvvisato,

21

mendicanti (i laudesi italiani e le confraternite mendicanti

europee si adoperarono affinché la lauda crescesse sempre più

nell’ambiente urbano italiano e francese fino alla formazione

del repertorio dei “laudari” e all’opera di Jacopone da

Todi24) e seppe conferire all’arte e allo stile dei trovatori

una nuova dimensione, interpretandoli e praticandoli in una

maniera adeguata alla maggior gloria di Dio, incanalando

l’umano verso il divino.

sull’esempio dei trovatori; in tal senso possiamo interpretare ciò cheFrancesco scrive nella ventesima Ammonizione: «Beato quel religioso chenon ha giocondità e letizia se non nelle santissime parole e opere delSignore e, mediante queste, conduce gli uomini all’amore di Dio in gaudioe letizia. Guai a quel religioso che si diletta in parole oziose e vane econ esse conduce gli uomini al riso» (Am 20: FF 170). Attualmente l’operadi predicazione all’interno dell’Ordine si avvicina molto a questo tipo diapostolato inaugurato da Francesco e dai primi frati; l’evangelizzazioneoggi avviene per lo più attraverso la missione al popolo e la predicazioneitinerante. L’esperienza della Marcia Francescana (a piedi verso Assisi),in tal senso, è molto significativa proprio perché mette in luce le grandipotenzialità del carisma francescano, basato sulla povertà e sulla gioiadella vita e dell’annuncio cristiano. Tra i nuovi “giullari” dell’Ordinevoglio ricordare il siciliano P. Giuseppe Di Fatta, che ho avutol’occasione di incontrare qui nelle Marche e che è stato per un annonovizio nella nostra Provincia Picena. P. Giuseppe è autore di diversicanti nei quali ha saputo trasfondere la bellezza di certe melodie anticheeppure così nuove, che ci riportano al tempo di Francesco e di Chiara, mache allo stesso tempo ci avvicinano all’esperienza umana della nostragente. Inoltre la pastorale giovanile francescana oggi si avvale moltodelle cosiddette “arti di strada” (ballo, mimo, recitazione, canto,musica), all’interno di modelli di animazione in cui la catechesi siunisce allo spettacolo e al sano divertimento.24 Oltre che come poeta, autore di numerosi testi di laudi, Jacopone daTodi fu abile anche come musicista; tale tesi è proposta da Liuzzi nellasua opera sopra citata (cf. nota 4). Egli attribuisce a Jacopone lamelodia di almeno sei laudi contenute nel Laudario di Cortona e nelMagliabecchiano: Troppo perde il tempo, Oimé lasso (Cortona); Lamentomi e sospiro,Tutor dicendo di lui, O Cristo ‘nipotente, Vergene pulzella (Magliabecchiano). Le seilaudi mostrano un’organicità distinta di poesia e melodia, in perfettaaderenza dell’una all’altra, tanto da far pensare ad una loro creazionesimultanea; dal punto di vista musicale traspare un’uniformità stilisticache fa pensare ad unica mano.

22

Francesco visse davvero come un trovatore, mostrando di

conoscere a pieno la forza e l’utilità della musica e del

canto nel dar conforto e consolazione al cuore umano, rendendo

allo stesso tempo gloria a Dio e in questo fu modello e

maestro per i suoi compagni e per tutti coloro si erano

lasciati attrarre ed entusiasmare dalla sua gioiosa

testimonianza di fede. Fra questi vi è frate Pacifico, il “re

dei versi”, che fu chiamato a seguire più da vicino le orme di

Francesco25.

25 Guglielmo da Lisciano di Ascoli a (Lisciano, circa 1158 – Pas deCalais, 10 luglio 1234) aveva incontrato Francesco a S. Severino fra il1212 e il 1213. Era venuto a far visita a una sua parente monaca nelmonastero di S. Salvatore di Colpersito. Esse sono le “povere recluse” acui Francesco, ritornando da Ancona verso Assisi, lasciò l’agnellinoriscattato presso Osimo. Presenti nel monastero di Colpersito fino al1252, emigrarono poi nella parte alta di S. Severino, al riparo dellacinta muraria. San Bonaventura precisa che il monastero si trova a S.Severino e c’informa che Francesco «stava predicando sulla Croce diCristo» quando il giovane poeta lo vide «segnato da due spadesplendentissime, disposte a forma di croce», e allora «come trafitto dallaspada dello Spirito», quella della predicazione della Parola, chiese dientrare nell’Ordine (cf. Lmag 4, 9: FF 1078). La Croce su cui Francescopredicava è ancora là, nella chiesa di Colpersito: si tratta di unromanico crocefisso di legno, vincitore sulla morte. Fra Pacifico fu tra ifrati più vicini al Santo: fu lui a vedere un grande tau illuminaremeravigliosamente e con grande varietà di colori la fronte di Francesco(cf. Lmag 4, 9: FF 1079); fu poi lui uno dei pochi a vedere e toccare lestimmate del Serafino Crocefisso sulla carne di Francesco, quando questiera ancora in vita (cf. 2Cel 99, 137: FF 721); e ancora un noto episodio legafra Pacifico a un altro crocefisso ligneo: pregando davanti ad esso erapito in estasi, vide nel cielo una serie di troni e uno in particolare«più bello degli altri, ornato di pietre preziose e tutto raggiante digloria», e udì una voce dire che quel trono era appartenuto a Lucifero maora era riservato «all’umile Francesco» (cf. 2Cel 86,123; FF 707). FraPacifico è così figura emblematica dell’uomo spirituale, che sa trarre daun incontro e da un’immagine un grande programma di vita: per lui aColpersito, come per Francesco a S. Damiano, all’origine c’è sempre ilCrocifisso-Risorto.

23

Possiamo prendere le mosse da quanto sappiamo di questo

personaggio alla luce delle fonti originarie26, che contengono

non pochi episodi, anche di vita comune, che sottolineano una

profonda vicinanza, un legame filiale speciale tra Francesco e

questo sommo poeta convertito. Pareva che il santo

approfittasse volentieri della compagnia del «re dei versi e

gentilissimo maestro di canto27» e allo stesso tempo lo stesso

Pacifico stette alla scuola del maestro condividendone gioie e

dolori. Scrive P. Ciro Ortolani da Pesaro:

Frate Pacifico fu realmente l’uomo privilegiato dalla

Provvidenza. Vicino al suo caro Padre si riscaldava ogni

giorno più nell’amore della virtù e della santità,

penetrando così l’anima ardentemente serafica del Santo e

scoprendovi sempre nuovi splendori della grazia divina.

Qualora infatti, non fosse stato così compreso del vero

spirito del Serafino d’Assisi, mai avrebbe potuto dare

giudizi tanto elevati ed esatti su ciò che aveva veduto o

sentito riguardo la sua vita intima e la sua esterna

missione cristiano-sociale. Egli non è stato semplicemente

un convertito dal Santo, ma un vero interprete e un

sincero predicatore della sua spirituale grandezza.

26 Frate Pacifico compare nei seguenti testi delle Fonti Francescane: 2Cel50, 82: FF 669; 2Cel 72, 106: FF 693; 2Cel 86, 122 : FF 707; 2Cel 89, 126: FF 710;2Cel 99, 137: FF 721; 3Cel 2: FF 828; LegM 4, 9: FF 1078-1079; LegM 14, 10: FF1235; LegM IX: FF 1347; Miscellanea Bonaventuriana 3: FF 2699; CAss 65: FF 1570;CAss 83: FF 1592; CAss 108: FF 1638; Fior 46: FF 1886; Spec 59-60: FF 1749-1750;FRATE THOMAS TUSCUS, Imperatorum et Pontificum 1: FF 2677.27 CAss 83: FF 1615.

24

Storicamente parlando, frate Pacifico illustra e completa

la storia della vita di san Francesco d’Assisi […]. E

questo genio, lungi dall’eclissarsi, fuggendo la corte ed

il mondo, si è maggiormente affermato, seguendo la vita

nuova dell’umiltà e dell’amore ai fianchi dello stesso

Poverello di Assisi28.

L’assidua frequentazione tra Francesco e Pacifico trova la

sua migliore rappresentazione nella vicenda della composizione

del Cantico di Frate Sole: per consuetudine si afferma che

Pacifico sarebbe stato colui che sostenne e coadiuvò Francesco

nella stesura del testo e della musica di questo meraviglioso

componimento . A tal proposito scrive Cesare Catà:

Dunque Pacifico, questo stretto compagno di Francesco che

nel secolo era stato decretato il più grande poeta del suo

tempo, si trova al fianco del Santo, nel momento in cui

questi “concepisce” il Cantico di frate Sole, e il Santo

gli “affida” il Cantico affinché lo divulghi tra le genti

del mondo. Questo indizio è di non poco conto, se teniamo

presente i vasti problemi “autoriali” che la stesura del

Cantico presenta al lettore. Per varie ragioni di diverso

ordine, non appare possibile che Francesco abbia composto

da solo, e di getto, queste quattordici strofe assonanzate28 C. ORTOLANI DA PESARO, Il “Re dei versi”, Prem. Officine Grafiche Cav. G.Federici, Pesaro 1932, pp. 39-40, 44.

25

che si pongono come la prima opera della letteratura

italiana.

Anzitutto per motivi contingenti, fisici: nel momento in

cui Francesco avrebbe composto quest’opera, ossia durante

i suoi due mesi di degenza presso San Damiano nella

primavera del ’25, il Santo si trovava in condizioni di

salute drammatiche. Era quasi cieco: il suo tracoma gli

riduceva la vista a poche ombre confuse; la “quartana” lo

torturava con incessanti attacchi di febbre; moltissimi

dolori corporali gli impedivano di riposare di giorno e di

dormire di notte29. Fu all’alba di una di queste

travagliate notti insonni presso San Damiano che, come

sappiamo dalla Leggenda Perugina, Francesco avrebbe

concepito il Cantico.

Il Santo si trovava dunque, in quel momento, nella

impossibilità materiale di assurgere da solo a

quest’impresa. Quelle parole devono essere state perlomeno

dettate30. E qui sorge un secondo e più vasto problema:

ossia il fatto che il Cantico, per primo e più di qualsiasi

altro testo poetico delle origini, rivela un lavoro

29 Cf. 2Cel 161, 213: FF802; CAss 77-79: FF 1608-1609; Spec 100-101: FF 1800-1801. 30 Cf. M. REINDERS, L'ispirazione e l'espressione fonetica nel Cantico di Frate Sole, in «StudiFrancescani», luglio- settembre 1930, pp.35-48.

26

accurato e meditato su ogni termine, sulla costruzione

sintattica, un uso sapiente dei mezzi retorici, compresa

una osservanza non ingenua del cursus31.

Un lavoro del genere non poteva essere svolto

“mentalmente”, “oralmente” – ma necessariamente nella

meditazione “su carta”, per la quale deve dunque essere

stato necessario un visus non impeditus, del quale Francesco,

stando a tutte le testimonianze, in quel momento non

poteva godere.

In secondo luogo – e soprattutto – il Cantico di frate Sole è

più che mai uno scritto doctus: sia per la maniera

originale con cui rielabora e rimodella le fonti

liturgiche, alla luce di una profonda consapevolezza

teologica, sia perché esso è il prodotto di un autore che

potremmo definire “professionista”, “poeta di mestiere”.

Nulla, in questo componimento, è lasciato al caso, ma

tutto è costruito in una complessa e perfetta rete di

architetture letterarie.

Non c’è traccia, negli altri scritti tramandatici di

Francesco, di una tale attenzione e maestria poetica, di

31 Per un approfondimento della struttura e della portata ermeneutica delCantico, rimando all’ottimo studio di A. PAGLIARO, Il Cantico di frate Sole, in«Saggi di critica semantica», Messina-Firenze 1953, pp.199-226.

27

un tale uso di termini ricercati, di una tale perfezione

formale, di un simile utilizzo delle figure retoriche. È

vero che sappiamo come Francesco, prima di vestire il saio

e senza mai dimenticare questa sua conoscenza, avesse

familiarità con le materie dei giullari e dei rimatori –

ma egli avrebbe completamente trasfigurato, e

fondamentalmente trasceso, nel suo cammino di fede, questa

passione “secolare”. Sarebbe fantasioso ipotizzare, al

termine della lunga via penitenziale che lo aveva infine

reso cieco e moribondo, una geniale reminiscenza

giovanile, mai balenata negli scritti precedenti, delle

sue vecchie frequentazioni letterarie.

Il Francesco che abbandona il mondo, per abbracciare la

croce, cambiando per sempre il destino della umanità

occidentale, è anche un ragazzo che si lascia alle spalle

la passione per i versi dei rimatori, così come il gusto

per la Cavalleria e la ricerca delle ricchezze. Infatti,

Bonaventura afferma chiaramente che “Francesco non sapeva

di lettere”32: a riprova del fatto che egli fosse

32 Miscellanea Bonaventuriana 6: FF 2702.

28

tutt’altro che un rimatore “dotto” e tecnicamente

eccezionale come quello che rivela il Cantico di frate Sole33.

L’azione espressa dal verbo trobar, che significa inventare

e comporre strofe, era soltanto una parte della pratica

compositiva dei trovatori; la poesia, infatti, era sempre

legata alla musica. I testi poetici erano sempre accompagnati

da melodie e poiché non tutti i trovatori erano musicisti, di

conseguenza altri autori avevano il compito di supplire a tale

esigenza. La cultura musicale perfezionava la scienza del

perfetto trovatore. Il verbo trobar deriva dal latino tropare

(comporre un canto), che a sua volta si rifà al greco τροπάριον

(tropárion) che si riferisce ad un versetto cantato. Cantando

le chansons trobadoriche Francesco aveva progressivamente preso

dimestichezza con l’arte del comporre strofe musicate; la sua

abilità non era dunque frutto di erudizione, bensì

manifestazione naturale e spontanea di un’anima armoniosa e

poetica. Francesco, amante di Cristo, recava in sé il dono di

esprimere con l’arte dei suoni slanci di celeste fervore.

Nell’espressione letteraria del Cantico si odono gli echi di

33 C. CATÀ, Con l'alloro sotto il saio. Ipotesi su Frate Pacifico e il Cantico di frate Sole, in«Picenum Seraphicum. Rivista di studi storici e francescani», 25 (2006-2008), pp. 355-395.

29

un paradiso terrestre, dove il cielo è dorato e la terra

fiorita, mentre una melodia sconosciuta oltrepassa i confini

del mondo e si apre all’eterno. Nei suoi versi predominano

libertà e ampiezza di stile, in cui l’elemento recitativo

equilibrato dona alla melodia un carattere di autentica e

ispirata improvvisazione, quasi che poesia e musica

sgorgassero simultaneamente dal cuore ardente di Francesco34.

Alcuni studiosi ritengono che il modello musicale al quale

Francesco si sarebbe ispirato, fosse Gautier de Coinci, le cui

canzoni erano maggiormente diffuse nell’Italia centro-

settentrionale35.

Le fonti riguardo al Cantico parlano chiaro: Francesco

scrisse parole, musica e le insegnò a Pacifico e ai suoi

34 Molti compositori hanno scritto musiche per accompagnare il testo delCantico, utilizzando diversi titoli (Cantico delle Creature, Cantico diFrate Sole, Cantico del Sole, Laudes creaturarum, Laudato sii, LaudiFrancescane, La canzone del sole di San Francesco, Cantico de san Francisco deAsis, Hymne des créatures, Le Laudi di san Francesco, Cantico di san Francesco,Cantico del beato Francesco); tra i frati musicisti che lo musicaronoricordiamo: P. Domenico Stella, P. Bonaventura Somma, P. Pier Battista daFalconara; tra i musicisti italiani citiamo: “Cantico delle Creature di R.Mancinoni; “Cantico delle Creature” di S. Varnavà; “Fratello Sole eSorella Luna (dal Laudario di Cortona) di R. Ortolani; “Laudato sii” di T.Cucchiara; “Laudato sii” (dal musical “Forza venite gente”) di G.Belardinelli/G. De Matteis; “Cantico delle Creature” di Mons. M. Frisina:“Cantico delle Creature” di Fr. G. Di Fatta; “Cantico delle Creature” diA. Branduardi. Per un approfondimento sul Cantico musicato dai diversiautori nella storia della musica, rimando a P. MOSCARELLI, Il Cantico delleCreature nella musica, Editrice Franciscanum, Roma 1994.35 Per un’accurata analisi della melodia del Cantico di Frate Soleconsultare E. CLOPS, Les Cantiques de S. François et leurs Melodies, Descleé & Co,Tournai 1908.

30

frati36; la certezza che una musica accompagnasse il testo è

garantita dalla presenza di righi musicali, purtroppo senza

note, in quello che è ritenuto il più antico testo del Cantico

giunto fino a noi, trasmesso dal codice 338 della Biblioteca

di Assisi37.

Ecco perché possiamo affermare con sicurezza che Francesco

fu davvero poeta, musicista e trovatore.

2. I Francescani e il canto religioso popolare

Non è un caso che chi opera nel campo della musica da

chiesa si occupi prevalentemente di questioni riguardanti il

Canto Gregoriano, la polifonia, la musica organistica e

l’organaria, senza riservare sufficiente attenzione al canto

popolare religioso38. In realtà non è difficile capire quale e

36 Cf. nota 16.37 «La prima lauda in volgare che venne rivestita di note musicali fu ilCantico di frate sole e autore della musica fu lo stesso san Francesco[…]. Si sa che nel codice il testo reca il rigo per la musica, rimasto inbianco. Ciò è una conferma dell’esistenza della musica composta dal Santo»(A. FORTINI, La lauda in Assisi e le origini del teatro italiano, Assisi 1961, p.212.38 Il canto popolare religioso non va confuso con il canto del popolodurante le solenni funzioni liturgiche, teso a provocare un’attivapartecipazione corale del popolo durante la messa o altre celebrazioni.Qui ci si riferisce invece a quel tipo di canto, solitamente in linguavolgare o latino popolare, eseguito dai fedeli nelle funzioni extra-liturgiche e durante tutte le manifestazioni e le pratiche religiosecollettive approvate dalla Chiesa (pellegrinaggi, processioni, missioni,

31

quanta importanza ebbe questo tipo di canto nella vita

spirituale della Chiesa e dei suoi figli, soprattutto quando

si pensa che la tradizione del canto religioso popolare è

antica quanto la Chiesa stessa39. Inoltre questo canto è in

grado di esercitare un fascino così potente, una suggestione

tanto indefinibile da conferirgli un’efficacia unica

nell’orientamento spirituale del popolo di Dio.

Resta comunque sempre utile e raccomandabile stabilire

alcune differenze tra “canto liturgico” e “canto religioso

popolare”, partendo proprio dalle caratteristiche precise di

quest’ultimo40. Lo stile della genuina musica popolare lascia

ritiri, percorsi catechistici, ecc.)39 Si vedano le consuetudini corali del popolo ebreo (canti di lode ebenedizione a Dio, intonati e accompagnati da strumenti a corda e apercussione dal popolo d’Israele, protagonista della storia dellasalvezza, o il canto dei Salmi, elemento fondante della vita religiosa neltempio e nella sinagoga), poi trasmesse e riprese dai primi cristiani conla Salmodia, praticata diffusamente nella Chiesa antica con gli inni e icantici, fino ad arrivare ai documenti legislativi particolari sul cantoreligioso popolare dai primi secoli a oggi (cf. Concilium Augustanum, 1567;Concilium Avenionense, 1598; Synodus Baltimorensis, 1791; Concilium ProvincialeAvenionense, 1725; Concilium Pragense, 1860; Concilium Provinciale Coloniense, 1860;Concilium Ultraiectense, 1865; Concilio Plenario Sardo, 1926). Pio XII nellaMediator Dei rileva la necessità di «promuovere il canto religioso popolaree la sua accurata esecuzione fatta con la conveniente dignità, potendoesso stimolare ed accrescere la fede e la pietà delle folle cristiane»; èla prima volta che la S. Sede raccomanda con accenti così chiari e fortila pratica del canto religioso popolare in un documento magisteriale cosìimportante della Chiesa.40 Millet, compositore e direttore di coro spagnolo, vissuto a cavallo traOttocento e Novecento, ha espresso con fine intuizione la differenza trale due specie di canto sacro, quando ha paragonato il canto religiosopopolare e il canto gregoriano a Marta e Maria del Vangelo: creaturegemelle, entrambe accese di un grande amore per il Redentore divino, ma indiversa maniera; Maria con animo più nobile e profondo, Marta con sempliceslancio di cuore in tono confidenziale, semplice e familiare (cf. L.MILLET, El cant popular religiós, Orfeó Català, Barcelona 1912).

32

trasparire innanzitutto una spontanea semplicità nel testo

poetico, sia nel contenuto che nella forma, e una tal natura

ritmica e simmetrica nella posizione degli accenti, da

consentire una limpida declamazione. A ciò corrisponde una

linearità della frase musicale che certamente non permette di

creare sempre nuove e belle melodie: il talento del vero

musicista sta proprio nel comporre con mezzi semplici e a

volte limitati autentici capolavori41.

Per quel che riguarda l’Italia, il patrimonio del nostro

canto religioso popolare è tra i più ricchi e preziosi:

cominciando dai canti in latino popolare (acclamationes,

antiphonae, hymni, tropi, sequentiae) fino a quelli in volgare

(pastorelle, canti della Passione, sacre rappresentazioni,

oratori, laudi42, canzonette spirituali).41 Una semplice melodia natalizia come Stille Nacht ha reso il compositoreaustriaco F. X. Grüber (1787-1863) più celebre di tanti suoicontemporanei.42 Il Laudario di Cortona è da ritenersi il più importante documento per lalauda del sec. XIII; Il volume è costituito da 171 carte di pergamena, elo si può dividere in due parti: la prima, contiene 45 laude,probabilmente trascritte da una sola mano, tutte corredate dellerispettive melodie fino alla prima strofa, eccetto la quinta Ave Maria gratiaplena, per la quale è presente la melodia senza notazione. La secondaparte, di composizione più recente, ha inizio con l'indice deicomponimenti della prima serie e prosegue con altre 19 laude prive dimusica; essa fu compilata in successive riprese, con l'intervento di piùpersone. Tra le due parti si interpone un quaderno di dieci carte,contenente altre due laude musicate Benedicti e'llaudati e Salutiam divotamente,probabilmente inserito agli inizi del Trecento. Le melodie del codice sono46. Il testo poetico è scritto in caratteri gotici. Gli argomenti trattatisono: di carattere mariano (in prevalenza); legati aricorrenze liturgiche dell'anno (Natività, Epifania, Pasqua, Pentecoste,ecc.); legati alla devozione di alcuni santi (san Francesco, sant'Antonio

33

In tale contesto si colloca l’espressione musicale

francescana del sec. XIII, che, aggirando la polifonia, si

basa sull’unico mezzo espressivo della monodia, perché

maggiormente consono alla propria natura legata strettamente

al testo letterario. Possiamo dire che l’espressione musicale

dei primi francescani fu essenzialmente povera e diretta a

tutti, in profonda relazione e sintonia con la scelta di vita

evangelica e si concretizzò nell’opzione per la forma musicale

più semplice, quella monodica, come modello di espressione

sociale delle classi più umili. Una sorta di operazione

di Padova, san Michele e altri). In particolare le laude sono cosìdistribuite: le prime 16 sono dedicate alla Madonna e costituiscono ungruppo unitario e compatto; la 17 è dedicata a Santa Caterinad'Alessandria, la 18 è dedicata a Maria Maddalena; il gruppo dalla 19 alla42 segue l’anno liturgico, costituitoda Natale, Quaresima, Risurrezione, Ascensione, Pentecoste e Trinità; la33 e la 35 hanno per oggetto l'amore a Cristo; la 34 e la 36 riguardano ildisprezzo per le cose del mondo; la 37 e la 38 sono dedicate a SanFrancesco, la 39 a Sant'Antonio da Padova, la 40 di nuovo a Santa MariaMaddalena, la 41 a San Michele Arcangelo, la 42 a tutti i Santi; la 43 ela 44 a San Giovanni Battista, la 45 è un'esortazione all'amoreper Cristo, la 46 è dedicata agli Apostoli, la 47 costituisce il salutofinale alla Madonna. Il Laudario rappresenta «il primo documento noto involgare italiano posto in musica, di un italiano che, anche se organizzatoin forme che reclamano origini lontane come la arabo-andalusa o zejelesca,si innesta a quel tipo di melopea francescana […]» [ANONIMI DEL SEC. XIII,Laudario di Cortona. Testi musicali e poetici contenuti nel cod. n. 91 della Biblioteca Comunale diCortona (studio introduttivo, trascrizione e versione attuale di C. Terni),Centro italiano di studi sull’alto medioevo, Spoleto 1992, p. XIX]; Ternidefinisce il cortonese come la lingua più vicina all’espressione musicaleliturgica dell’epoca, più propriamente a quella francescana («melopeafrancescana»), mentre, riguardo alla musica, chiarisce che non si trattadi musica propriamente liturgica, né di musica extra-liturgica o profana,la quale adottava gli stessi mezzi sonori espressivi di quella liturgicama da essa differiva per il testo; egli definisce “paraliturgica” lamusica del Laudario, che era usata nell’alto medioevo a scopo devozionale,fatta di un ritmo libero in grado di adattarsi alle nuove lingue romanze.

34

culturale in cui tra i protagonisti spicca sicuramente l’arte

poetico-musicale di Giuliano da Spira che nella sua Historia Beati

Francisci adotta una forma musicale e uno stile melodico, simile

a quello del Laudario di Cortona: l’opera si presenta come una

grande sequenza intonata in modo solenne, a mo’ di storia

cantata, con influenze dello stile epico di trovatori e

trovieri, in cui protagonista, il cantastorie, è la comunità

stessa. Musicalmente parlando dunque, l’Historia appare come una

sintesi di forme liturgiche ed extra-liturgiche (sequenza,

lauda, chanson de geste), espressioni musicali umili di tutta

l’Europa, luogo di convivenza di elementi dell’ufficialità

liturgica, ma contaminati da segni particolari in cui ogni

comunità possa riconoscersi.

CAPITOLO II

LE FONTI LITURGICO-MUSICALI

DELL’ORDINE FRANCESCANO

35

1. Il canto liturgico nella Regola di san Francesco

Il primo documento di carattere liturgico è contenuto nella

Regola bollata al capitolo terzo43: «Clerici faciant divinum

officium secundum ordinem sanctae Romanae Ecclesiae44 excepto

psalterio45, ex quo habere poterunt breviaria46».

43 «I chierici dicano il divino ufficio secondo il rito della santa ChiesaRomana, eccetto il salterio, e perciò potranno avere i breviari» (FRANCESCODI ASSISI, Regola bollata, in Fonti Francescane. Terza edizione rivista e aggiornata,Editrici Francescane, Padova 2011, p. 91).44 «L’Ordo dal quale (ex quo) Francesco ha tratto il Breviario è certamentel’Ordo di Innocenzo III. Questi nel 1215, in occasione del ConcilioLateranense IV, ordinò una revisione dell’ufficio divino. Il Breviariodella Curia romana, adottato da S. Francesco, fu redatto verso il 1220, edè noto con il titolo Ordo romanae ecclesiae curiae, quem consuevimus observaretemporibus Innocentii tertii papae et aliorum pontificum […]. Quelle parole della Regolanon indicano né il tempo, né il motivo, ma si riferiscono all’ufficiaturapropria del Papa e della Curia romana, da cui S. Francesco ha tratto ilsuo Breviario. È dunque a motivo della provenienza (ex quo), che ilBreviario dei Frati Minori è detto “secondo l’Ordo della santa ChiesaRomana”. Adottando l’Ordo della Curia romana, S. Francesco ha intesolegare sempre più strettamente il suo Ordine al Papa e alla Chiesa diRoma» (M. CONTI, Il Codice di Comunione dei Frati Minori, Edizioni Antonianum, Roma1999, p. 209).45 Nell’imporre ai frati il Breviario della Curia romana, la Regola neeccettua il Salterio. Il motivo di questa eccezione deriva dal fatto chenella Curia romana si usava il Salterio romano, mentre fuori Roma (inItalia e oltralpe) era in uso il Salterio gallicano (cf. M. RIGHETTI, Storiadella Liturgia, vol. 2, Milano 1945, p. 463).46 «Il libro della Liturgia delle Ore è detto “breviario”, non perché siauna abbreviatura dell’ufficiatura tradizionale, ma perché esso rappresental’estratto, cioè la fusione di non pochi libri liturgici richiesti per larecita delle “ore canoniche”, ed anche perché, avendovi incluso ilfascicolo delle norme rubricali (breviarium), questo per “sineddoche” (laparte per il tutto), ha finito con il dare il nome a tutto il volume» (M.CONTI, Il Codice di Comunione dei Frati Minori, pp. 209-210).

36

Esaminando attentamente il significato di questa breve

proposizione, oltre che all’imposizione di un testo e

all’adozione del Salterio Gallicano47, è possibile riscontrare

un riferimento alla pratica del canto nella liturgia. Riguardo

al problema del canto e della liturgia all’interno

dell’Ordine, in contrasto con il Battifol48, quando afferma

che san Francesco e i suoi frati non si posero mai il problema

del canto nella liturgia, che l’Ordine non fece uso di alcuna

pratica musicale e che la consuetudine era di recitare le ore

canoniche, potremmo affermare che con l’espressione «secondo

il rito della santa Chiesa romana», Francesco voglia

prescrivere ai suoi frati l’obbligo di adottare non solo il

testo e il formulario allora in uso negli ambienti della Curia

Romana, ma anche il modo della celebrazione che prevedeva il

canto come parte essenziale dell’ordo romanus, dove il termine

ordo sta per ordinarius o liber ordinarius, cioè la raccolta di

testi, canti e rubriche che si usavano nella celebrazione

dell’ufficio divino della messa e delle ore canoniche. Al

47  San Girolamo redasse tre versioni in lingua latina del salterio intornoal 390 d.C.: la prima, contenuta nel Salterio Romano, è la ripresadella Vetus latina, basata sulla LXX, utilizzata nella sola Chiesa di Roma;la seconda, che va a costituire il Salterio Gallicano, è una revisionedella precedente, ufficiale nella Vulgata e adottata in Francia; la terzafu eseguita da Girolamo tra il 390-405, sulla base del testo ebraico, manon fu mai adottata ufficialmente dalla Chiesa romana.48 P. BATTIFOL, Histoire du Bréviaire Romain, A. Picard, Paris 1911, pp. 242-243.

37

tempo di Francesco il clero secolare e le famiglie religiose

celebravano l’ufficio col canto; in particolare a Roma tale

pratica avveniva per antica consuetudine e, in via ufficiale,

mediante una legislazione liturgica dei riti, nella quale il

canto figurava come elemento necessario. Dobbiamo dire inoltre

che esistono abbondanti conferme del fatto che i frati, san

Francesco vivente, cantavano durante l’ufficio49, restando pur49 FRANCESCO DI ASSISI, Lettera a tutto l’Ordine: «[…] e che i chierici dicanol’ufficio con devozione davanti a Dio, non preoccupandosi della melodiadella voce, ma della consonanza della mente, così che la voce concordi conla mente, la mente poi concordi con Dio, affinché possano piacere a Diomediante la purezza del cuore, piuttosto che accarezzare gli orecchi delpopolo con la mollezza della voce» (LOrd 6, 40: FF 227); un altrofugace accenno è contenuto in Chiara di Assisi, Regola: «Le sorelle chesanno leggere celebrino l’ufficio divino secondo la consuetudine dei fratiminori, e perciò potranno avere i breviari, leggendo senza canto» (RsC 3:FF 2766) e in TOMMASO DA CELANO, Leggenda di santa Chiara vergine: «In quell’oradella Natività quando il mondo eleva con gli angeli canti di giubilo alnato Bambino, tutte le “signore” vanno nell’oratorio per il mattutino, elasciano sola la madre oppressa dalle malattie. Lei cominciò a rifletteresul piccolo Gesù, e dolendosi molto di non poter partecipare alle suelodi, sospirando disse: “Signore Dio, ecco che sono lasciata sola per tein questo luogo”. Subito il mirabile concerto, che si svolgeva nellachiesa di San Francesco, risuonò alle sue orecchie. Udiva il giubilo deifrati che salmeggiavano, distingueva le armonie dei cantori, percepivaanche il suono degli organi» (LegsC 19: FF 3212); e ancora il Celano,descrivendo la sacra funzione dei frati convocati da tutte le parti percelebrare assieme al santo fondatore la solennità del Natale con ilpresepe vivente di Greccio: «Cantano i frati le debite lodi al Signore, ela notte sembra tutta un sussulto di gioia» (1Cel 85: FF 469); TOMMASO DAECCLESTON, L’insediamento dei Frati Minori in Inghilterra: «E per la festa di sanLorenzo, benché fossero soltanto tre frati chierici […], cantaronosolennemente con musica l’ufficio» (Eccleston, 24: FF 2441); e ancora:«Nelle principali feste dell’anno, poi, cantavano con tanto fervorel’ufficio della veglia da prolungarlo non raramente per tutta la notte; equando anche non erano che tre o quattro o al massimo sei, lo recitavanosolennemente e in canto» (Eccleston 27: FF 2445); l’autore fa un accennoanche all’ufficio specifico del frate cantore: «Venne anche frate Enricoda Burford che, mentre era ancora novizio e cantore fra i frati di Parigi,compose durante la meditazione i seguenti versi contro le tentazioni chedoveva combattere […]» (Eccleston 37: FF 2458); in Analecta Franciscana si famenzione del canto dei frati nella chiesa di san Francesco in Assisi allapresenza di papa Gregorio IX: «i frati cantavano: il santo aveva scelto

38

vero che il canto dell’ufficio poteva essere a volte

ostacolato da alcune difficoltà provenienti dall’angustia dei

primi conventi, dalla mancanza di libri liturgici e dallo

stile di vita itinerante dei frati. Non possiamo tuttavia

dubitare, partendo da queste ed altre testimonianze

sull’esistenza di una consuetudine tra i Frati Minori di

cantare la liturgia, del fatto che, con quelle parole che

aprono il terzo capitolo della Regola bollata, san Francesco

esorti i suoi frati ad adottare la pratica del canto liturgico

proprio della Chiesa romana50. In tal modo fu inteso e

praticato per diversi secoli questo precetto della Regola51.

costui come padre […] e il papa sorrise» (AF 10, 375). Che i fratiavessero una certa consuetudine al canto dell’ufficio è supposto anchedalla lettera con cui frate Elia, annunciando la morte di Francesco,ordinava: «I chierici celebrino solennemente e in comune la vigilia» (AF10, 528); GIORDANO DA GIANO, Cronaca: «[Cesario da Spira] celebrò a Worms ilprimo capitolo provinciale. E poiché il luogo dove si erano dati convegnoi frati era ristretto e non adatto per le celebrazioni e per lapredicazione per tanta moltitudine, dietro consiglio del vescovo e deicanonici, si radunarono nella cattedrale. I canonici si restrinsero in unodei due cori e lasciarono l’altro coro ai frati. Celebrando dunque lamessa un frate dell’Ordine e cantando a gara, coro contro coro, compironocon meravigliosa solennità il divino ufficio» (Giordano 26: FF 2353);SALIMBENE DE ADAM, Cronaca: «Ancora frate Giovanni da Parma, mentre eraministro generale […] partecipava all’ufficio divino il giorno e la notte,specialmente a vespro, mattutino e messa; e qualunque cosa gli chiedeva ilcantore, subito la faceva, incominciando le antifone, cantando responsorie letture, dicendo la messa conventuale» (Salimbene 44: FF 2644).50 L’espressione «secundum ordinem» va tradotta «secondo il rito» e non,come hanno inteso alcuni, «secondo la regola».51 A partire dalla metà del sec. XIV fino al sec. XVI, tutte leCostituzioni Generali e Provinciali dell’Ordine raccomandavano chel’ufficio divino fosse cantato integralmente; la situazione si capovolsequando, dal sec. XVII fino ad oggi, gli espositori della Regola deciserodi abbandonarne il senso genuino, ponendo in primo piano il modo ordinariodi soddisfare all’obbligo della recita (termine preso alla lettera) delBreviario, eliminando in tal modo qualsiasi riferimento al canto e alla

39

2. Il canto liturgico nelle “Fonti Francescane” e la

formazione del repertorio liturgico-musicale

Le testimonianze sulla liturgia in canto si fanno più

corpose dopo la morte di san Francesco, quando sotto il

generalato di frate Elia e dei suoi successori, alle primitive

chiesette si aggiunsero le sontuose basiliche erette a gloria

di Dio e del santo Poverello e progressivamente andarono

formandosi le grandi comunità. Con il passare degli anni si

cominciò ad avvertire un bisogno di unità e di uniformità nel

campo della pratica liturgica dell’Ordine e per tale ragione,

durante il Capitolo Generale di Assisi del 1230, si spedirono

in tutte le provincie breviari e antifonari (libri contenenti

le melodie)52, con la ferma intenzione di fornire modelli

liturgici di riferimento per la celebrazione della messa e

dell’ufficio. Le prescrizioni dell’antico Cerimoniale

dell’Ordine risalente al 1257 ci manifestano come ogni giorno

la messa conventuale e l’ufficio divino fossero cantati, e

musica. 52 GIORDANO DA GIANO, Cronaca: «Nel medesimo capitolo generale furonotrasmessi alle province i breviari e gli antifonari propri dell’Ordine»(Giordano 57: FF 2387).

40

come la semplice recitazione fosse riservata all’Ufficio dei

Defunti e della beata Vergine Maria. E ancora nel 1249 la

lettera del Ministro Generale Fr. Giovanni da Parma ordinò a

tutti i superiori di non variare, nel testo e nella melodia,

alcuna parte dell’ufficio, per non contravvenire al già citato

precetto contenuto nel terzo capitolo della Regola; inoltre

Fr. Giovanni da Parma enumerò le quattro antifone in onore

della beata Vergine Maria che ancora oggi si cantano nei vari

tempi dell'anno liturgico53

A fondamento della tradizione liturgica francescana, come

abbiamo già visto, si pone il canto della chiesa di Roma (come

romana era la liturgia adottata nell’Ordine), anche se si

trattava di un canto già decadente. L’Ordine nacque, infatti,

53 L’origine di queste antifone è stata attribuita a Giordano di Sassonia,maestro generale dell’Ordine Domenicano nel 1221, che, per porre fine adalcune controversie sorte a Bologna, ordinò che ogni sera, dopo lapreghiera serale, si cantasse la Salve Regina (antifona introdotta nellaliturgia da Adhemar di Monteil nel secolo XI). Tale usanza si diffuse benpresto a tutte le comunità religiose, finché si arrivò ad aggiungere altretre antifone mariane. Nel 1249 Fr. Giovanni da Parma riferisce chel’Ordine dei Frati Minori cantava una delle quattro antifone dopo lapreghiera della sera secondo i quattro tempi dell’anno liturgico. Questausanza fu accolta stabilmente nel Breviario Romano emanato da Pio V nel1568. Nella Liturgia delle Ore, riveduta dal Concilio Vaticano II, lequattro antifone sono state conservate, ma rese facoltative per qualsiasitempo liturgico alla fine della celebrazione della Compieta. Laconsuetudine prevedeva l’antifona Alma Redemptoris Mater in uso dall’Avventoal 2 febbraio; l’Ave Regina coelorum dal 2 febbraio al Giovedì Santo; il ReginaCoeli durante tutto il tempo pasquale e la Salve Regina dalla domenica dellaSS. Trinità fino all’Avvento. Si pensa che queste antifone mariane sianonate per essere recitate o cantate unitamente ad un salmo e, per la lorobellezza musicale e per l’alto contenuto teologico, divennero moltopopolari, entrando a pieno titolo a far parte delle preghiere consuete deicristiani.

41

in un’epoca alquanto critica per il canto liturgico, quando,

nel trapasso dall’antica monodia gregoriana alla nuova

polifonia, il canto fermo delle prime composizioni polifoniche

si avviava a prendere il sopravvento sulla sobrietà e

linearità ritmica degli antichi tesori melodici del

gregoriano. A partire poi dalla canonizzazione di san

Francesco, di sant’Antonio e di santa Chiara, per i quali ben

presto, fu introdotta l’ufficiatura nell’Ordine, ebbe inizio

quella che propriamente può chiamarsi la produzione musicale

liturgica francescana, la quale vide impegnati nomi di spicco

dell’ambiente letterario e musicale del tempo (Gregorio IX,

Tommaso da Capua, Enrico Pisano54, Giuliano da Spira,

Salimbene da Parma, Tommaso da Celano, Jacopone da Todi55) e

portò anche alla splendida fioritura di maestri cantori e54 SALIMBENE DE ADAM, Cronaca: «Questo papa Gregorio compose a onore del beatoFrancesco l’inno Proles de coelo prodiit, il responsorio De paupertatis horreo […]. Ilcardinal Tommaso da Capua poi compose, a onore del beato Francesco, l’innoIn coelesti collegio e l’altro Decus morum e il responsorio Carnis spicam; composeanche la sequenza, a onore della beata Vergine, che comincia Virgo parensgaudeat, ma solo il testo, mentre il canto è opera di frate Enrico Pisano,da lui pregato, e il controcanto lo fece frate Vita da Lucca, frateminore, il primo mio custode e maestro di canto, il secondo mio maestro dimusica» (Salimbene 14: FF 2591). Enrico da Pisa fu cantore esperto eabilissimo compositore sia nel canto fermo che in quello modulato;parlando di lui, Salimbene si riferisce alle numerose sequenze, inni,canzoni in latino e in volgare che il frate pisano musicò; tra questecompaiono due composizioni a tre voci: Miser homo, cogita facta crucis e ChristeDeus, Christe meus. Vita da Lucca, famoso virtuoso di canto, musicò variesequenze ed inni, di cui spesso fu anche autore del testo; tra le piùcelebri la sequenza Ave mundi spes, Maria; inoltre compose controcanti peralcune melodie di Enrico da Pisa.55 Tommaso da Celano è l’autore della celebre sequenza Dies Irae e Jacoponeda Todi scrisse le due sequenze Stabat mater dolorosa e Stabat mater speciosa.

42

compositori tra i frati56; essi si distinguevano come «anime

sensibili di stranieri che venivano e restavano in Italia dove

S. Francesco aveva preparata la rinascenza europea delle arti

e dei costumi»57. Queste nuove composizioni risentono

indubbiamente del nuovo indirizzo della musica, lontano, come

già detto, dalla semplicità e purezza delle autentiche melodie

gregoriane, con una maggiore attenzione all’accento ritmico

dei versi in rima, sul modello delle canzoni francesi intonate

dal giovane Francesco e dal celebre Guglielmo da Lisciano,

ossia frate Pacifico, re dei versi, abile cantore e amico

diletto del Serafico Padre. Di particolare interesse è l’opera

poetico-musicale Vita e Ufficio Ritmico di San Francesco di frate

Giuliano da Spira58, di stile eccellente e grande preziosità e

delicatezza di melodie, composta attorno al 1230,

probabilmente in occasione della Traslazione del Corpo del

Santo avvenuta in quell’anno e alla quale egli stesso

assistette. L’opera di Giuliano da Spira ci testimonia che

«s’incominciò ben presto a celebrare con la debita solennità

56 Nel convento serafico di Bologna registri medioevali ricordano i nomi dialcuni cantori: Fr. Antonio d’Ungheria (1386), Fr. Nicolò Ungaro (1396),Fr. Giovanni di Boemia (1402), Fr. Giovanni di Borgogna (1423) e Fr.Biagio d’Ungheria (1426).57 A. LAURI, Musica francescana in sette secoli, p. 173.58 GIULIANO DA SPIRA, Vita e Ufficio Ritmico di San Francesco (Traduzione e note di P.Eliodoro Mariani O.F.M.), LIEF, Vicenza 1980; Giuliano da Spira composeanche l’Ufficio Ritmico di S. Antonio di Padova, alcuni responsori e antifonedell’Ufficio di san Domenico

43

le feste proprie dell’Ordine e che in detti giorni si

preferiva l’ufficiatura in canto. Così il cronista ci apre

qualche spiraglio sulla vita liturgica del nuovo Ordine»59.

Col passare del tempo a questo primo nucleo di canti propri se

ne aggiunsero altri (sequenze, inni, antifone) per le nuove

feste introdotte nel calendario dell’Ordine. Generalmente si

preferivano per i nuovi testi melodie tradizionali o ad esse

ispirate.

Dopo i recenti studi che hanno portato all’edizione tipica

dei canti della Chiesa Romana, ai Frati Minori che già

adottavano la liturgia romana, non restava che servirsi dei

nuovi libri con i canti in versione originale; i proprii

dell’Ordine sono stati non solo conservati, ma riveduti e

riportati alla versione più autentica mediante il confronto

dei più autorevoli codici. Tale lavoro è stato assai

facilitato dopo l’esempio dei Benedettini di Solesmes. Ecco

allora che, per opera del P. Eusebio Clop prima, e del P.

Eliseo Bruning poi, accanto al Messale, abbiamo oggi il

Graduale Romano-Seraphicum60 ed, accanto al Breviario, l’Antiphonale

Romano-Seraphicum61. Questi libri ufficiali contengono tutti i

59 K. ESSER, Origini e inizi del movimento e dell’Ordine francescano, Jaca Book, Milano1997, p. 130.60 Graduale Romano-Seraphicum, Desclée & Co, Paris 1928.61 Antiphonale Romano-Seraphicum pro horis diurnis, Desclée & Co, Paris 1928.

44

canti necessari per lo svolgimento della liturgia della messa

e per l’ufficiatura diurna secondo il calendario dell’Ordine,

ma non comprendono i canti usati in altri tempi nella

liturgia, ora non più in uso, e neppure quelli composti

espressamente per funzioni extra-liturgiche o devozionali. Si

tratta dei Cantus varii pubblicati in gran parte nel volume

intitolato appunto Cantus varii romano-seraphici62.

Nel 1907 P. Eusebio Clop, anticipando l’analoga

pubblicazione dell’Edizione Vaticana del Cantorinus Romanus,

fece stampare un Cantorinus ad usum Fratrum Minorum63, comprendente

62 Cantus varii in usu apud nostrates ab origine Ordinis aliaque carmina in decursu saeculorum pieusu parta, Desclée & Co, Paris 1902; il nucleo principale di questa raccoltaè costituito da canti veramente vari per forma e stile (inni, antifone,responsori, sequenze) in successione continua e indistinta, dove però èpossibile virtualmente distinguere i canti propri, ordinati secondo lefeste dell’anno liturgico a cominciare dalla solennità dell’ImmacolataConcezione, i canti del comune (appena cinque) e, infine, una sorta diappendice con ben trentotto canti in onore della Vergine Maria. La formapredominante è la sequenza: ve ne sono più di ottanta e di queste almenodieci in onore di san Francesco; esse si richiamano a melodie tradizionali(il Virginis Mariae laudes e il Veni Virgo Virginum sono parafrasi rispettivamentedella sequenza di Pasqua e di Pentecoste), mentre altre hanno la melodiadell’attuale sequenza di san Francesco Sanctitatis nova signa e altre ancoraricalcano melodie meno note. Una parte cospicua della raccolta è purerappresentata dagli inni, una cinquantina circa, adattamenti di melodietradizionali; i tipi più riprodotti sono quelli del Decus morum e Sanctitatisnova signa di Giuliano da Spira. Tra le antifone alcune adottano il tipodell’antifona O stupor dell’Ufficio di san Francesco, mentre per gli Alleluiail tipo maggiormente riprodotto è quello di O Patriarca pauperum, trattosempre dall’Ufficio di san Francesco.63 Cantorinus seu cantus communes, Desclée & Co, Paris 1907; noto anche comeCantorinus ad usum chori, contiene quasi esclusivamente dei recitativi ed èdiviso in due soli capitoli, di cui uno con la parte musicale e l’altrodotato di un apparato critico sufficientemente completo. Al suo internotroviamo le intonazioni di lezioni, omelie, profezie, martirologio,orazioni, epistole e vangelo; i toni sono quelli comunemente ammessi esegnalati dalle fonti come toni secundum ordinem o propri dell’Ordine deiMinori.

45

anche alcuni canti particolari in onore della beata Vergine

Maria, di san Francesco e di sant’Antonio di Padova. Infine

nel 1929 P. Eliseo Bruning, a completamento del suo lavoro per

il Graduale e l’Antifonale dell’Ordine, pubblicò un Cantuale

Romano-Seraphicum64, nel quale, insieme a molti canti comuni a

tutta la Chiesa o presi dal repertorio di Solesmes, ritroviamo

numerosi canti propri della tradizione francescana, scelti

dalle raccolte migliori (antichi processionali)65.

64 È la pubblicazione più recente, redatta con criteri molto più moderni epratici; è suddivisa in tre parti: la prima s’intitola Regulae quaedam proDivino Officio ed è brevissima; la seconda Pro laudibus et processionibus è la piùsviluppata; la terza è la Pars ritualis, un centinaio di pagine che riportanocanti desunti dal Rituale dell’Ordine. Ciò che costituisce il Cantualevero e proprio è la seconda parte, che sostituisce gli antichiprocessionali; il materiale raccolto è analogo a quello dei Cantus varii, madiverge per ciò che riguarda i canti (in onore del SS. Sacramento, S.Cuore, SS. Nome di Gesù, della beata Vergine Maria, di san Giuseppe, sanFrancesco, sant’Antonio e altri santi dell’Ordine e del Comune) e la lorosuccessione, poiché, accanto ad un certo numero di canti propridell’Ordine, ne troviamo altri desunti dall’Antifonale e dal GradualeRomano o dai libri solesmensi. Preziosissima è poi la terza parte desuntadal Rituale (edizione ufficiale: Rituale Romano-Seraphicum, Desclée & Co,Paris 1931), utile e necessaria per il buon svolgimento e il decoro dellenostre particolari funzioni65 Con l’adozione generale del Cantuale, la cui terza edizione fupubblicata da P. Bruning nel 1951, si sarebbero rese superflue nuoveristampe dei Cantus varii. Per i recitativi, invece, sarebbe stato necessarioun lavoro di revisione molto più accurato, a partire dalla consultazionedi fonti note e autorevoli; tra di esse una fonte poco nota ma degna dienorme considerazione è il codice latino 2893 della BibliotecaUniversitaria di Bologna, già oggetto di particolare studio da parte delM° P. Giovanni Battista Marabini in un suo manoscritto rinvenuto tra lesue opere musicali, suddiviso in cinque capitoli: 1. Dei recitativi liturgici ingenerale – 2. I recitativi liturgici francescani dell’ufficio divino – 3. I recitativi liturgicifrancescani nella Messa solenne – 4. I recitativi liturgici francescani nella Settimana santa – 5.I recitativi extra-liturgici. Un’analisi dettagliata del codice di Bologna, cheriporta sul dorso della coperta il titolo Cantorinus Franciscanus, è riportatain P. PATUELLI, Raccolta, revisione e ristampa di canti vari e recitativi della tradizionefrancescana, in «Studi Francescani», 3-4 (1951), pp. 199-210; questa fonte èsegnalata anche in E. CLOP, I recitativi liturgici nella tradizione francescana, in«Rassegna Gregoriana», 11-12 (1908), pp. 3-4.

46

3. La legislazione generale dell’Ordine Francescano

La legislazione liturgico-musicale francescana66, come

logica e ordinata evoluzione dello spirito genuino della

Regola, nei suoi frequenti riferimenti ed esortazioni al canto

liturgico, mostra di interpretare la volontà di Francesco.

Troviamo così nelle Costituzioni e nei documenti dei Capitoli

Generali, prescrizioni e norme relative al canto e alla

66 Nel Corpus Juris Seraphici, contenente la Regola dei Frati Minori, le varieredazioni delle Costituzioni Generali, gli Statuti particolari delleProvincie, i Cerimoniali, gli Statuti per la Formazione el’Evangelizzazione, è inclusa anche un’attività legislativa intorno allamusica sacra e il canto. Nel corso di otto secoli essa si presentapiuttosto abbondante, varia e di non poco interesse. Paradossalmente,mentre la storiografia francescana di questi ultimi anni si è fortementeinteressata del rapporto tra liturgia, canto popolare della lauda emusica, nessuno studioso, eccetto alcuni importanti spunti di P. IlarinoFelder, ha svolto, con un metodo storico-giuridico, ricerche approfonditesulla prassi liturgica e musicale, contenuta nei documenti legislatividell’Ordine, dalle origini ai giorni nostri. Solamente alla fine deglianni cinquanta P. Bartolomeo Belluco ha affrontato tale questione inmaniera diretta e sufficientemente dettagliata nella sua tesi di laurea inDiritto Canonico e Canto Gregoriano. Da questo studio emergono tutte leproblematiche riguardanti la pratica liturgico-musicale dell’ordinefrancescano e, in particolare, le diverse consuetudini appartenenti ai treordini francescani dei Frati Minori, Frati Minori Conventuali e FratiMinori Cappuccini.

47

musica, soltanto in forma generica, in riferimento soprattutto

a omissioni o abusi (proibizione del canto figurato,

emendazione dei libri corali, istituzione del ruolo del

Magister chori, uso degli strumenti musicali). Esisteva per tutto

l’Ordine il Cerimoniale del 1257, contenente tutte le norme

specifiche intorno al canto della Messa e dell’Ufficio67; esso

viene a costituire, insieme alla Regola, la fonte ufficiale

primaria della legislazione liturgico-musicale fino al sec.

XVI e ad essa le Costituzioni si appellano con qualche

opportuna variante. Proprio dal sec. XVI la legislazione

cominciò a parlare più diffusamente del canto e della musica

liturgica: le Costituzioni e il Cerimoniale riservano entrambe

norme specifiche e tassative, in vari paragrafi, sul modo di

cantare68. Nelle Costituzioni più recenti (Aloisiane del 1889,

Leoniane del 1897, Piane del 1913 e tutte quelle successive

fino alle ultime del 2009) ben poco si dice in merito al canto

liturgico69, poiché nel Cerimoniale Romano-Seraphicum del 1927 si67 Il Cerimoniale contiene prescrizioni perfino sulla scelta dei toni degliinni e delle orazioni, sul modo di cantare le antifone, i responsori e glialleluia.68 In quest’epoca venne a mancare nell’Ordine la pratica giornaliera delcanto, essendosi i frati accomodati alla semplice recita dell’ufficio, ealtresì lo stimolo per lo studio della musica, indispensabile alladecorosa pratica del canto corale. Per questo i superiori, onde evitareepisodi d’ignoranza e incompetenza, per quei giorni in cui era ordinata lasolenne celebrazione della liturgia, imposero lo studio e la praticaextra-corale del canto e lo studio della musica.69 Le Costituzioni Generali del 1953 all’articolo 146 prescrivono che«nelle domeniche e nelle feste di precetto e nelle principali festività

48

richiedeva una certa qualità del canto e del modo di cantare

e, allo stesso tempo, la legislazione comune della Chiesa si

esprimeva più chiaramente e in modo perentorio in materia

liturgica, in strettissima connessione con le prescrizioni del

Codice di Diritto Canonico e degli Statuta pro studiis dell’Ordine.

3.1. La legislazione particolare delle Province

La legislazione particolare delle singole Provincie

dell’Ordine è anch’essa abbondante e mantiene le stesse

caratteristiche di quella generale. Negli Statuti e nelle

Ordinazioni dei secoli XIII-XVI ci si attiene fondamentalmente

del nostro Ordine, in quei conventi nei quali vi è un numero sufficientedi religiosi esperti nel canto liturgico, si canti la Messa, epossibilmente anche i vespri e la compieta»; l’articolo 150 al paragrafo 1ordina che «nella recita dell’ufficio corale si osservino le prescrizionidel Cerimoniale dell’Ordine e le norme date dalla S. Sede relative alcanto ecclesiastico»; all’articolo 388 si dice che durante la celebrazionedel Capitolo Generale «dopo l’arrivo degli altri vocali si canterà unaMessa solenne di ringraziamento»; sempre riguardo al Capitolo Generalel’articolo 407 al paragrafo 1 prescrive che «in un giorno conveniente, dafissarsi dal Ministro generale, si canti a vespro il notturno dei defuntiper i confratelli e benefattori morti e il giorno seguente, dopo la Messasolenne, si tenga l’orazione funebre, dopo la quale si canti ilresponsorio Libera me» e al paragrafo 2 dell’articolo 408 prosegue: «Dopoche sarà stata letta la medesima tavola, con voce chiara e intellegibiledal pulpito, avanti a tutti i vocali, tutti procedano in chiesa al cantodel Benedictus, e ringrazino il Signore per il felice esito delle cose,secondo che è prescritto dal Rituale» (Regola e Costituzioni Generali dell’Ordine deiFrati Minori, Scuola Tipografica “Pax et bonum”, Roma 1955, p. 24, 60-62,153, 159). Le Costituzioni del 1970 riguardo alla messa, all’articolo 19,dicono solo che «nelle domeniche e nelle feste, secondo la tradizionedell’Ordine, la celebrazione dell’Eucaristia sia più solenne»; riguardoall’ufficio, all’articolo 20, prescrivono che «nelle chiese dell’Ordine sipromuova il canto delle Lodi e dei Vespri insieme con il popolo» (Regola eCostituzioni generali dell’Ordine dei Frati Minori, Tipografia Porziuncola, Assisi 1971);le Costituzioni successive non fanno più alcun riferimento al canto nellaliturgia della messa e dell’ufficio.

49

a quanto prescritto nelle Costituzioni e nei Cerimoniali

dell’Ordine, mentre nei secoli successivi le norme si fanno

via via più particolari, sia per ciò che concerne l’istruzione

musicale dei novizi e dei chierici, sia riguardo al ruolo e

all’ufficio del Magister chori.

In linea generale dobbiamo dire che la legislazione

francescana sulla musica è stata prevalentemente considerata

in rapporto alla liturgia e solo eccezionalmente vi si

rintracciano prescrizioni riguardo al canto e alla musica al

di fuori del contesto liturgico; solo recentemente, infatti,

si è cominciato a parlarne in termini di occupazione

intellettuale specifica per i religiosi e come materia

d’insegnamento.

Le fonti legislative riguardanti il canto nella liturgia

durante il primo secolo di storia dell’Ordine scarseggiano: la

Regola di san Francesco parlava chiaro e i frati già cantavano

tutto l’ufficio corale della Messa e delle Ore canoniche, per

cui per tutto il sec. XIII esiste solo qualche documento che,

senza nulla aggiungere al precetto della Regola, si riferisce

a casi particolari di omissioni o abusi nella liturgia. Al

sec. XIV risalgono le prime normative riguardanti il canto

della Liturgia delle Ore, in risposta forse ai primi tentativi

50

di abusi o trasgressioni all’interno della prassi comune. Le

“Costituzioni Toscane” (1316 – 1318) prescrivono che devono

essere cantate tutte le ore, eccetto l’Ora sesta, e, cosa

rilevante, che nei conventi dove risiedono almeno sei chierici

e ci siano libri liturgici disponibili, si cantino almeno i

Vespri, il Mattutino e la Messa. In pratica la semplice recita

era riservata alle Ore minori. Ma dovette trattarsi di una

breve pausa di rilassamento, alla quale seguì nel 1362 un

aggiornamento, mediante nuove prescrizioni contenute nelle

medesime Costituzioni: «[…] quod in conventibus omnes horae

cantentur iuxta formam papalium Statutorum. Et si quando ex

praesidis negligentia alia hora non fuerit cantata, talis

praeses ad comendum panem et aquam teneatur in sequenti

prandio vel coena». Tale puntualizzazione scaturì quasi

certamente a seguito di quello che prescrivevano le

Costituzioni Benedettine del 1336: «in singulis Ordinis

Conventibus hora sexta sicut aliae horae cum nota dicatur». Le

Costituzioni Martiniane confermarono tale affermazione,

inserendo qualche precisazione riguardante la possibilità per

i superiori, fermo restando l’obbligo di cantare tutto

l’ufficio, di dispensare dal cantarlo quando vi fosse

ragionevole causa (scarsa presenza di frati, mancanza di libri

51

liturgici, conventi in costruzione) o altri particolari

impedimenti.

3.2. La legislazione dei Conventuali, dei Cappuccini

e degli Osservanti

Dalla seconda metà del sec. XV cominciò a manifestarsi tra

i Conventuali una tendenza al rilassamento, come si può

apprendere dalle Costituzioni Sistine (1469) e Alessandrine

(1500), dando facoltà ai superiori di dispensare dal canto

«ubi commode cani non possunt». Tutti gli Istituti e le

Congregazioni religiose, sorte in questo periodo si attennero

alla semplice recita delle Ore canoniche. Ancora nel 1523 il

Ministro Generale Quiñones70 concesse ai frati di recitare

tutto l’ufficio nei conventi dei Recolletti spagnoli, usanza

che poi si diffuse anche nei conventi italiani.

70 Nel 1523 fu eletto Ministro generale Francesco de Angelis Quiñones,proveniente dalla “recollezione” del P. Giovanni da Puebla; egli si mostròaperto verso i frati riformati ed invitò i provinciali ad esserecomprensivi verso coloro che desideravano la riforma dell’Ordine. Dettò adessi norme speciali”, sul modello di quelle in vigore dei riformati diSpagna; tra le altre cose Quiñones ordinava che i frati potevano recitarel’ufficio «in medriocri tono»; imponeva inoltre uno stile di vitacaratterizzato da un silenzio perpetuo; proibiva di ricevere offerte didenaro per le messe e per qualsiasi altro motivo. Inoltre prescrivevadigiuni ed esercizi penitenziali.

52

Particolare la posizione dei Cappuccini che, fin dalla loro

nascita, a motivo del loro stile di vita eremitica, non

ammisero la pratica del canto; nel Cerimoniale del 1882 è

scritto: «Congregatio nostra formalis cantus non habet».

I Riformati abitualmente cantavano l’ufficio solamente in

occasione delle maggiori solennità, come affermano i loro

statuti: «officium recitabunt sine cantu, sed gravi, sonora

plenaque voce». Tuttavia il guardiano poteva ordinare il canto

per il Te Deum, per la Messa, per i Vespri e Compieta nelle

principali solennità «ad saeculi devotionem et ad spiritualem

fratrum consolationem».

Anche gli Osservanti, influenzati da tali vicende, vissero

un periodo di rilassamento, come mostrano le loro Costituzioni

del 1593: «nei conventi dove sono almeno sei frati ad cantum

idonei si canti Terza, la Messa e Vespri nelle Domeniche e

feste di precetto71».

Anche le Costituzioni Urbaniane del 1628 mostrano come anche

tra i Conventuali si sviluppò la tendenza ad escludere sempre

di più il canto dalla liturgia.

Quando nel 1889 si arrivò all’unificazione delle famiglie

francescane nei tre Ordini con le Costituzioni Aloisiane, la

71 Gli Statuti particolari di ogni provincia determinavano quali fossero leparti dell’ufficio da cantare.

53

normativa sul canto nella liturgia prescriveva di cantare

qualche parte dell’ufficio e la messa nelle domeniche e nelle

feste di precetto; tale norma rimase in vigore anche nelle

Costituzioni Leoniane del 1897 e in tutte le seguenti72,

regolata da usi diversi secondo quanto prescrivono gli Statuti

particolari delle Province dell’Ordine73.

3.3. Legislazione speciale: il rifiuto della

polifonia

In forza della Regola i Francescani sono tenuti dunque a

seguire nella sostanza e nel modo, quanto è proprio del canto

della liturgia romana e ciò è ben comprovato dai manoscritti

musicali che si mostrano conformi a quelli in uso a Roma.

Inoltre le Costituzioni di Perpiniano (1331) oltre che

prescrivere l’istituzione di revisori dei libri liturgici,

fanno pure obbligo ai frati visitatori delle province di

controllare le correzioni, gli aggiornamenti e la conformità

72 Riportiamo ad esempio ciò che dicono le Costituzioni Generali del 1953:«nelle domeniche e festività di precetto e nelle principali festedell’Ordine, nei conventi dove vi è sufficiente numero di religiosiesperti nel canto ecclesiastico, si canti la Messa e, se possibile, ilVespro e Compieta.73 I nostri Statuti Provinciali all’articolo 7 affermano: «La Liturgiadelle Ore venga celebrata per intero e comunitariamente. Dove è possibile,anche con i fedeli, almeno le Lodi e i Vespri. [cf. Statuti Provinciali dellaProvincia Picena San Giacomo della Marca dei Frati Minori (a cura della CuriaProvinciale dei Frati Minori), Pro manuscripto, Jesi 2009, p. 7].

54

all’originale dei libri corali in uso nei conventi. Per tale

ragione i libri di canto francescani conservarono anche

durante il periodo di decadenza (dal sec. XVI) la loro purezza

melodica in armonia con la tradizione romana.

Quando sorse l’Ordine dei Frati Minori la polifonia era già

in fase di perfezionamento e alcuni musicisti, che poi

entrarono nell’Ordine, non mancarono di introdurre anche nelle

chiese francescane queste nuove forme74, altrove già molto

diffuse, pur restando il Canto Gregoriano il modello base del

canto liturgico. Tali tentativi furono immediatamente

stroncati dal Ministro Generale Fr. Giovanni da Parma e dalle

prescrizioni del Capitolo Generale di Assisi del 1304, che

fece obbligo ai superiori di punire gravemente tutti i frati

che in qualche modo praticassero la polifonia nelle liturgie,

eseguendo «cantos fractos vel dissolutos vel a nota Ordinis

discrepantes». Totale rifiuto, dunque, per la polifonia e per

il canto fratto o figurato, espresso da tutte le Costituzioni,

in modo molto diretto e perentorio75. Tale divieto per gli

74 Una nuova forma di canto si stava sviluppando nel corso del sec. XIII:trattasi di canto misurato e figurato, sviluppato dalla praticapolifonica, costituito da linee melodiche suddivise secondo valori ecorrispondenti figure di durata, denominato cantus fractus.75 «Chi in coro o in pubblico introduce simili canti, sia privato di voceattiva e passiva; sospensione (se frate), senza velo (se suora)»(Congregazione Generale della Verna, 1563); la stessa prescrizione è contenutanelle Costituzioni Napoletane del 1590 per arrivare poi all’interventodecisivo di papa Benedetto XIII, che nel 1727 obbligava, per bocca del

55

Osservanti cessò con la promulgazione delle Costituzioni del

1889, mentre per i Riformati rimase ancora in vigore. Negli

anni successivi la proibizione si attenuò fino a diventare

un’esortazione all’utilizzo del solo Canto Gregoriano,

evitando quella musica che non rispondeva alle direttive della

santa Sede.

Per i Conventuali, invece, polifonia e canto figurato erano

pratiche ammesse fin dalle Costituzioni e dal Cerimoniale del

1628, ma in epoca moderna anch’essi sono tornati alla purezza

del Gregoriano, tanto che a loro si deve la pubblicazione dei

libri ufficiali di canto per la Messa e per l’Ufficio ad opera

prima di P. Clop (1902-1903) e poi di P. Bruning (1924-1928).

3.4. Legislazione speciale: l’uso dell’organo e degli

altri strumenti

Nel sec. XIII la legislazione francescana non ne fa

menzione, poiché il canto sacro di regola non era mai

accompagnato da strumenti, diversamente dai brani del

Ministro Generale Fr. Matteo da Pareta, Osservanti, Riformati, Recollettie Discalciati, all’uso esclusivo del Canto Gregoriano, escludendo ognialtra forma o genere di musica nell’Ufficio e nella Messa nelle domenichee nelle feste solenni. Tale rifiuto per le nuove forme si spiegava con ilfatto che il canto figurato era considerato dannoso per la devozione, inquanto la sua esecuzione richiedeva grande impegno e attenzione e lesonorità ottenute distraevano la mente e il cuore.

56

repertorio profano (mottetti, madrigali, canzoni, ecc.).

Neppure la presenza dell’organo è segnalata, sebbene alcuni

organi fossero già installati nelle maggiori chiese

francescane76. Dal secolo successivo iniziò il fenomeno di

diffusione nelle chiese dei conventi dell’Ordine degli organi

come strumenti ancora di piccole proporzioni. Quando verso la

metà del sec. XV fu sancita l’indipendenza tra Conventuali e

Osservanti con la Bolla Ut sacra del 1446, i primi ottennero il

permesso di utilizzare gli organi nelle loro chiese, mentre ai

secondi fu negata tale opportunità per non recar danno allo

stile di povertà e semplicità dei frati77. Solamente con il

Capitolo Generale di Assisi del 1547 fu concesso agli

Osservanti il permesso di studiare l’organo e di installare

nuovi organi e mantenere quelli già presenti nelle chiese. Le

Costituzioni Napoletane (1590) concessero l’uso nelle nostre

chiese «in divinis officiis» dell’organo e del “regale”

(piccolo organo portatile), escludendo altri strumenti, anche76 Nella Basilica di san Francesco in Assisi esisteva un organo, cometestimonia un passo della Leggenda di santa Chiara (cf. nota 1).77 L’interdetto per gli Osservanti Ultramontani arrivò con le prescrizionidella Congregazione di Salamanca (1461), mentre per i Cismontani con laCongregazione di Roma (1469); la normativa riguardava non solo laproibizione di costruire organi e di apprendere la tecnica organaria eorganistica, ma anche l’obbligo di vendere gli organi già esistenti nellechiese appartenute ai Conventuali. Alcune eccezioni furono fatte perquelle chiese dove maggiore fosse il concorso dei fedeli e per unamaggiore solennità del culto (Aracoeli in Roma, S. Francesco in Venezia,Mantova e Napoli). Per i restanti luoghi occorreva il permesso del VicarioGenerale dell’Ordine.

57

quelli che erano stati ammessi dalla Chiesa nella liturgia

(trombe, viole e flauti), al fine di salvaguardare sempre

l’austerità, la povertà e la semplicità dello stile di vita

dell’Ordine. Tali disposizioni furono estese anche agli

Osservanti Ultramontani e rimasero in vigore fino alla

promulgazione delle Costituzione Aloisiane, nelle quali non si

fece più alcun riferimento all’uso degli strumenti musicali.

Per ciò che riguarda i Riformati, la loro avversione per

l’utilizzo dell’organo si manifestò più specificatamente nei

loro Statuti del1642, nei quali era prescritta la scomunica

per coloro, che avessero osato introdurre organi nelle loro

chiese. Tali leggi rimasero in vigore fino alle Costituzioni

Riformate del 1889 che permettevano l’uso dell’organo previa

licenza del Ministro Generale e del Definitorio Provinciale.

Con le Costituzioni Aloisiane del 1889 si mise da parte la

questione e nel Cerimoniale fu prescritta l’adozione delle

norme liturgiche della Chiesa, che prevedevano appunto l’uso

del solo organo tra gli strumenti ammessi nella liturgia78.

78 Il Caeremoniale Romano-Seraphicum del 1927 riporta all’articolo VIII unasezione dedicata all’organo, intitolata De Organorum sono, sudduvisa neiseguenti paragrafi: Organorum sonus, Organa silent, Diebus licitis; nel primo siraccomanda che il suono dell’organo non sia «lascivus aut impurus» e chele melodie eseguite siano appropriate all’Ufficio e non siano «profanaeaut ludicrae»; nel secondo si vieta all’organo di suonare durante i tempiforti di Avvento e Quaresima, fatta eccezione per la terza Domenica diAvvento (Gaudete) e per la quarta di Quaresima (Laetare) e si specificainoltre che ciò che si dice dell’organo vale anche per l’Harmonium; infine

58

3.5. Legislazione speciale: il Maestro e Direttore di

Coro

Fin dalle origini dell’Ordine l’ufficio del Magister chori fu

istituito in special modo nelle fraternità dei grandi

conventi. Tale consuetudine è riportata non da testi

legislativi, bensì nelle opere dei cronisti e degli scrittori

dell’Ordine. È noto che Fr. Giuliano da Spira esercitò

l’ufficio di maestro di coro e di cantore presso il convento

di Parigi, mentre Fr. Salimbene da Parma scrisse di frati

maestri che nei conventi di studio dirigevano cori79. Solo dal

sec. XVI le fonti legislative fanno riferimento a questo

ufficio con le Costituzioni Alessandrine(1500) e Giulianee

(1508) dei Conventuali, che proclamarono l’istituzione del

«Magister vel Rector Chori» nei loro principali conventi. Per

gli Osservanti Cismontani l’istituzione è avvenuta con le

Costituzioni Vallisoletane (di Valladolid, 1593) e con il

Capitolo di Toledo (1633); per i Riformati con gli Statuti del

1642 e gli Statuti particolari delle Province e il Cerimoniale

nel terzo paragrafo si ricorda che il suono dell’organo accresce lasolennità delle celebrazioni e si descrivono i diversi momenti in cuiall’organo è lecito suonare (Caeremoniale Romano-Seraphicum Ordinis FratrumMinorum (Editio altera), Typographia Collegii S. Bonaventurae, Firenze1927, pp. 77-79).79 Cf. nota 9.

59

di metà Ottocento, contenente tutta la legislazione liturgico-

musicale.

Diversi i nomi attribuiti a questo importante ufficio:

magister, moderator, regens, praefectus chori, ma quello più frequente

era Vicarius Chori. Qualità precipua del Maestro di Coro era la

scienza del Canto Gregoriano e delle cerimonie (scienza

liturgica) e che fosse anche «robusti pectoris, vocis plenae,

grandis et sonorae»80, avendo egli piena responsabilità della

recita e del canto dell’ufficio e di tutto ciò che potesse

riguardare esecuzioni musicali e corali. Il Magister chori

possedeva inoltre altri incarichi essenziali alla vita

fraterna e liturgica della comunità: corrector chori et mensae, cioè

addetto a sovraintendere alla cantillazione dei testi che si

leggevano in refettorio. Essi godevano di alcuni privilegi,

soprattutto coloro i quali esercitavano nei conventi più

importanti dell’Ordine e per concessione estendibili a tutti

gli altri conventi; tali privilegi furono eliminati con le

80 Le norme relative alle celebrazioni dell’ufficio e della messa sitrovano nella seconda, terza e quarta parte del primo libro e nella prima,seconda e terza parte del secondo libro del Cerimoniale del 1927; inparticolare, nella terza parte del primo libro l’articolo IX, intitolatoDe Magistro chori et de choralibus, dice: «Qui in Conventibus nostris saltemmajoribus est designandus, praecipuum munus obtinet, chorum universumquoad cantum et Psalmodiam dirigendi et moderandi. Propterea cantumGregorianum apprime calleat, et in Rubricis sacrisque Ritibus beneversatus, robusti sit pectoris, vocis plenae, gravis et sonorae, ita uttotum chorum in cantu regere et sustentare valeat» (Caeremoniale Romano-Seraphicum Ordinis Fratrum Minorum, p. 79).

60

Costituzioni Aloisiane del 1889, ma l’ufficio non cessò di

esistere, anzi divenne sempre più un incarico di grande

responsabilità.

3.6. Legislazione speciale: l’istruzione musicale dei

frati

Poiché la Regola prescriveva una liturgia solenne in cui la

Messa e l’Ufficio fossero sempre cantati, viene spontaneo

pensare che un istruzione liturgico-musicale ben organizzata

non potesse assolutamente mancare all'interno dei programmi

formativi dell’Ordine. Fr. Salimbene da Parma ci informa sul

fatto che nei principali conventi di studio dell’Ordine

risiedevano maestri esperti nel canto liturgico e che lui

stesso in pochi anni ne frequentò almeno due, entrambi stimati

cantori e compositori81. Tuttavia all’interno della

legislazione liturgica non troviamo riferimenti espliciti ad

un percorso formativo musicale, se si eccettua ciò che

affermano le Costituzioni Narbonesi (1260): «Novitii vacent ad

divinum officium addiscendum», precetto che resterà valido

anche nelle Costituzioni successive. Ci si riferisce qui

all’apprendimento non solo delle rubriche, ma soprattutto allo

81 Cf. nota 9.

61

studio dei salmi, degli inni e delle antifone con le loro

particolari melodie. Gli Statuti e le Ordinazioni delle

singole Province sono però assai più espliciti nel prescrivere

che i giovani frati fossero istruiti nel canto sacro82 ed

avessero a questo scopo un maestro, con pene severe verso

coloro che avessero trascurato tale necessità; ai discepoli in

particolare si arrivò a precludere persino l’accesso alla

sacra ordinazione, se non fossero stati trovati

sufficientemente istruiti nel canto83. Dal sec. XVI la

questione venne affrontata in maniera più chiara e specifica

da parte della legislazione autorevole. Sappiamo ad esempio

che le Costituzioni dei Conventuali prevedono per i giovani,

uno studio regolare del canto e della musica e comminano

sospensioni a quei Superiori che osassero ordinare frati

sacerdoti non abbastanza esperti nel canto. Per gli Osservanti

Cismontani le Costituzioni esigono l’istruzione musicale dei

Novizi e dei Chierici, specificando che il Maestro dei Novizi

sia esperto nel canto sacro e nella liturgia84. Per gli

82 Eccleston 37: FF 245883 Quasi tutti gli Statuti Provinciali nei sec. XIII-XIV sono su questalinea (cf. Statuti della Provincia toscana, 1362).84 Cf. Costituzioni Giulianee, 1508 e Costituzioni Napoletane, 1590; tale norma si èconservata fino ad oggi; le Costituzioni del 1953 contengono almeno seiriferimenti al canto liturgico: l’articolo 56 al paragrafo 2 riferisce che«i novizi sotto la guida di un religioso idoneo siano istruiti anche nelcanto ecclesiastico, almeno una volta alla settimana» (Regola e CostituzioniGenerali dell’Ordine dei Frati Minori, 1953, p. 24); le più recenti Costituzioni

62

Osservanti Ultramontani rimase in vigore quanto già era stato

prescritto dalle Costituzioni dei Conventuali di fine

Quattrocento.

Le ragioni di tale insistenza per l’insegnamento del canto

nella liturgia risiedono sicuramente in quella situazione di

eccessivo rilassamento venutasi a creare nei cori dei

conventi, dove ormai l’ufficio era solo recitato e la messa

conventuale non si cantava più. Per questo, affinché non

venisse a mancare quella debita preparazione necessaria alla

celebrazione delle solenni liturgie raccomandate dall’Ordine,

i Superiori, sottostando alle direttive provenienti anche dal

Concilio di Trento, si prodigarono per la diffusione di scuole

d’insegnamento nei conventi. In alcune Ordinazioni Provinciali

del sec. XVIII, sono addirittura fissate le ore di studio

teorico e di pratica corale riservata ai Novizi e ai Chierici

Generali del 1970, 1973, 1988, 2004, non parlano in maniera specifica diformazione alla musica e al canto, ma di formazione «nelle scienze o nellearti» [cf. Regola e Costituzioni generali dell’Ordine dei Frati Minori, TipografiaPorziuncola, Assisi 1971, 1974 e Costituzioni Generali dell’Ordine dei Frati Minori (acura della Curia Generale O.F.M.), Mancini S.A.S., Roma 2010, p. 163],rimandando ai relativi Statuti Generali che però, agli articoli 95-104,non puntualizzano nulla sulle materie e le discipline formative [StatutiGenerali dell’Ordine dei Frati Minori (a cura della Curia Generale O.F.M.), ManciniS.A.S., Roma 2010, pp. 287-295], e cosi pure i nostri Statuti Provinciali[cf. Statuti Provinciali della Provincia Picena San Giacomo della Marca dei Frati Minori, pp.24-32]; all’articolo 7 essi dichiarano: « Si dia congruo spazio al canto,specialmente nelle Case di formazione (cf. SS.PP. O.F.M. Marche 2, art. 7). NellaRatio Formationis Ordinis Fratrum Minorum del 1991 e del 2003 non vi è alcunaccenno all’insegnamento e apprendimento, né all’esercizio della musica edel canto.

63

(ad esempio tre ore settimanali per le province tedesche e

un’ora al giorno per la Sassonia e il Nord America)85. Con le

Costituzioni Aloisiane (1889) ha inizio l’ultimo periodo

organizzativo dell’istruzione musicale all’interno

dell’Ordine. Tre le definizioni principali: a) perizia

nell’insegnamento e nella pratica del Canto Gregoriano da

parte dei Maestri dei Novizi; b) agevolazioni per i Novizi

nell’apprendimento della musica e del canto; c) periodi di

studio di canto e liturgia per i Chierici e i Sacerdoti

durante le vacanze86.

In tempi attuali, con il Congresso Nazionale di Musica

Sacra di Firenze (1950) e la Congregazione della Verna (1958),

si è vissuto nelle Province dell’Ordine un periodo di

risveglio per quanto riguarda lo studio della musica, grazie

soprattutto al lavoro portato avanti dalla Commissione

Nazionale dei Frati Minori per la Musica Sacra (1951) con due

importanti pubblicazioni: la prima s’intitola “Norme e

Regolamento dell’Ordine dei Frati Minori d’Italia per la

85 Queste informazioni si trovano nei decreti emanati dai Ministri GeneraliFr. Matteo da Pareda (1727) e Fr. Clemente da Palermo (1757).86 Tali norme sono state conservate fino alle Costituzioni Generali del1953, che si riferiscono in particolare agli Statuta pro studiis regendis,sull’obbligo di studiare la musica, inserendola nell’orario scolastico,fin dai primi anni nei Collegi Serafici. Gli insegnamenti vertevano nonsolo sulla pratica del Canto Gregoriano, ma anche su elementi di musicafigurata e sull’apprendimento di uno strumento musicale.

64

Musica Sacra” (1957); la seconda è il “Programma per

l’insegnamento” (1958), nel quale sono stati concordati anche

i manuali scolastici più idonei. Resta però ancora da

risolvere il problema fondamentale che è quello della

preparazione di insegnanti competenti da inserire nelle Case

di Formazione e Studio delle singole Province.

65

CAPITOLO III

LA TRADIZIONE LITURGICO-MUSICALE FRANCESCANA

DALLE ORIGINI FINO AL SECOLO XIX

1. Le origini

All’inizio del primo capitolo abbiamo già precisato come il

ruolo di poeta e musicista sia riservato per primo a

Francesco, uomo dotato di una spiccata propensione per l’arte,

sviluppatasi grazie ai frequenti contatti della sua famiglia

con l’ambiente francese e alla conoscenza e frequentazione

dell’arte poetico-musicale dei trovatori, che lo misero nella

condizione di poter esprimere con la musica e con il canto la

lode e la gloria del suo Signore; così è nato il Cantico di

Frate Sole che diede origine alla grande tradizione letteraria

del Duecento e dei secoli a seguire. Secondo le intenzioni del

santo, il Cantico doveva fungere da testo base della vita

spirituale e di apostolato dei frati, chiamati ad intonarlo e

a diffonderlo tra gli uomini. Una sorta di inno dell’Ordine

66

cantato con una melodia semplice, popolare e facile da

insegnare.

Nei capitoli 1 e 2, accennando all’importanza che il canto

e la musica ebbero all’inizio della storia dell’Ordine nella

vita liturgica, spirituale e pastorale dei frati, abbiamo

ricordato i nomi di religiosi esperti nel canto e nella

musica, a cominciare da frate Pacifico “re dei versi”, che più

di tutti hanno contribuito a porre le basi per la nascita di

un vero e proprio repertorio liturgico-musicale francescano,

aprendo la strada alle nuove correnti poetico-musicali che si

svilupperanno nel corso dei secoli successivi.

2. Dai “giullari di Dio” alle “Cappelle musicali”

Fra tutti gli ordini religiosi, quello francescano è

certamente il più rappresentativo nel panorama artistico-

musicale nel corso dei secoli fino ad oggi; nomi di grande

levatura artistica hanno arricchito la letteratura musicale

sacra e profana con opere vocali e strumentali più o meno

conosciute ed eseguite, di autentico valore. Le ragioni

dell’importanza del ruolo dei francescani nel canto e nella

67

musica vanno ricercate principalmente in cinque ambiti: a)

quello della tradizione poetico-musicale dei trovatori che

tanto influenzò san Francesco e che egli stesso coltivò e

trasmise ai suoi frati; b) quello della tradizione popolare

della lauda come veicolo di diffusione del messaggio cristiano

e della spiritualità francescana; c) quello degli insediamenti

e dell’opera di predicazione dei frati in Italia e poi nel

mondo nella storia dell’Ordine; d) quello della tradizione

liturgica e della pratica religiosa all’interno dei conventi

(messa, ufficio, devozioni); e) quello dello storico processo

di evoluzione in ambiente sacro e profano dell’ars antiqua, in

cui nuove forme compositive (monodiche e polifoniche) si

affiancano, come si è già detto, al tradizionale repertorio

liturgico della monodia gregoriana che continuò a mantenere un

ruolo predominante nella tradizione della Chiesa.

Nei tre ordini francescani i Cappuccini non sono

rappresentati in maniera significativa a causa, come già

accennato nel capitolo precedente, del loro rifiuto nei

confronti della consuetudine di una liturgia cantata e

musicata. Restano dunque sulla scena per lo più i nomi di

Frati Minori e Frati Minori Conventuali in ragione di tale

mancanza e per altri due motivi: a) il primo, di carattere

68

territoriale, è che i Conventuali, abitando di preferenza nei

grandi centri cittadini, furono in grado di istituire nelle

loro chiese grandi cappelle musicali (Padova, Assisi, Bologna,

Venezia, Roma) che, nella maggior parte dei casi, erano

dirette dai religiosi stessi; b) il secondo, di carattere

liturgico e spirituale, riguarda la consuetudine dei Frati

Minori di arricchire con il canto e con la musica le

celebrazioni della messa e dell’ufficio, non solo nelle

solennità ma anche nella pratica liturgica quotidiana;

inizialmente ciò avvenne con l’impiego esclusivo del Canto

Gregoriano e successivamente, in modo progressivo, attraverso

una lenta evoluzione della mentalità e della pratica musicale.

Occorre inoltre sottolineare che la maggior parte dei

religiosi francescani coltivò l’arte della musica e del canto

essenzialmente per scopi pratici, in vista cioè della liturgia

e dell’apostolato, mantenendo saldo il precetto della Regola

dei Frati Minori87 e imitando fedelmente lo stile di

predicazione di Francesco. Soprattutto nell’ambito

dell’apostolato e dell’evangelizzazione i frati si aprirono

alla pratica della nuova arte musicale (ars antiqua), agevolando

l’utilizzo di forme e stili, capaci di avvicinare sempre più

87 Cf. capitolo 2, nota 1.

69

la musica alla gente e più idonei alla maggior diffusione del

messaggio evangelico, preferendo testi e melodie semplici e

adeguate alle esigenze del popolo, secondo quello spirito che

era proprio dei “giullari di Dio”.

Per i secoli XIV e XV non possediamo sufficienti documenti

per citare nomi e opere di musicisti francescani; le cause di

questa carenza di fonti si possono così riassumere: a) le

grandi questioni sull’interpretazione della Regola e sulla

povertà che assorbirono gran parte dell’attenzione all’interno

dell’Ordine, impedirono ai frati di dedicarsi ad altre

occupazioni in altri campi; b) la nascita e lo sviluppo

dell’Ars nova che rivoluzionò e rinnovò le tecniche e gli

stili della pratica musicale vocale e strumentale, provocò

contaminazioni da parte di elementi della musica profana

nell’ambito del canto e della musica liturgica tradizionale,

dinanzi alle quali la Chiesa reagì mediante decreti di

proibizione nei confronti di certe forme musicali più adatte

allo sfoggio virtuosistico che allo spirito della liturgia; c)

l’indirizzo che l’Ordine stava prendendo in merito agli studi

e alla formazione si diresse sempre più a favore della scienza

e della teoria. Ciò nonostante qualche nome di frate

dell’epoca esperto in musica ci è stato tramandato: ricordiamo

70

il religioso inglese Simone Tunstede che ritroviamo Magister

chori ad Oxford nel 1351, autore di un trattato teorico sulla

pratica delle nuove tecniche polifoniche88, pubblicato dal

Coussemaker (Scriptores, IV, 1876); Bonaventura da Brescia,

autore della Regula musicae planae (1497), in volgare, sul Canto

Gregoriano e la Brevis collectio artis musicae (1439) sulla teoria

musicale in generale; Giovanni Tisserand, famoso predicatore

francescano, scrisse il testo del ritmo pasquale di O filii et

filiae, sulla melodia di un Noël tradizionale provenzale del sec.

XIII. Nel campo dell’organaria89 è doveroso ricordare l’opera

di Fr. Urbano da Venezia, che agli inizi del sec. XV costruì

organi per la cattedrale di Treviso e per la Basilica di S.

Marco in Venezia. Proprio in questo secolo la tecnica

organaria in Italia acquistò importanza con la formazione in

alcune città toscane (Prato, Cortona, Siena) delle prime

maestranze artigiane che nel secolo successivo forniranno

organi alle maggiori chiese italiane, permettendo la

formazione di nuovi stili e repertori di musica organistica.

Il secolo XVI fu il periodo più fervido e prezioso per la

storia della musica dell’Ordine Francescano; compaiono i nomi,

88 S. TUNSTEDE, Quatuor principalia musicae, Ann Arbor, UMI Dissertation Services,Michigan 1997.89 L’arte organaria riguarda la costruzione e la manutenzione degli organi.

71

alcuni molto importanti, di compositori, teorici, liutai e

organari. Tra gli organari e i liutai ricordiamo Dardanello da

Mantova (liutaio), Corrado Rotterburger e Leonardo da Marca

(organari); tra i teorici, Giovanni Bermudo, che scrisse la

Declaratione de strumentis musicalibus (1555), un trattato di storia e

tecnica degli strumenti musicali; il perugino Girolamo Diruta,

famosissimo, autore de “Il Transilvano” o “Dialogo sopra il

vero modo di suonar organi e stromenti di penna” (1594);

Pietro Cannuzzi (o De Cannutiis) di Potenza, il cui nome è

legato all’opera Regulae florum musices (1510) su questioni di

teoria musicale che saranno poi riprese e risolte da Giuseppe

Zarlino, la cui appartenenza all’Ordine dei Frati Minori è

messa in discussione. Ma i nomi più significativi li

ritroviamo tra i musicisti e compositori: sempre nel medesimo

secolo, P. Costanzo Porta, autore di numerose opere di musica

sacra e profana, non solo rivelò una tecnica espertissima, ma

anche, specie nelle musiche liturgiche, serietà e originalità

d’ispirazione; P. Ludovico Grossi da Viadana, si distinse per

il suo stile melodico ampio e vibrante, inaugurando con i suoi

“Cento Concerti ecclesiastici” la pratica della monodia

accompagnata nella musica da chiesa.

72

Occorre precisare che quasi tutta la produzione musicale

sacra del sec. XVIII venne molto influenzata dal gusto profano

di certe composizioni che molto piacevano alla maggior parte

del pubblico, ormai educato al gusto concertato della musica

profana, e che riuscivano a far abbandonare la polifonia di

austera fattura dei secoli precedenti. Non si ascoltò più

alcun accenno alle melodie gregoriane; scomparve ogni rispetto

per le leggi della declamazione o della retta pronuncia

sillabica o per ogni benché minima proprietà polifonica; si

imposero lunghe e interminabili introduzioni e intermezzi

strumentali di carattere virtuosistico.

Tra i secoli XVI e XVIII operarono P. Giulio Belli, P.

Pietro Antonio Cesti, P. Francesco Antonio Vallotti, che fu il

primo a manifestare i segni di una volontà di ripresa

stilistica verso la classicità, come scrisse il Tebaldini:

Il P. Vallotti qui a Padova sarebbe stato il solo in tutte

le Scuole d’Italia, che secondando l’opera del Maestro

Veneziano (Antonio Lotti che a Venezia seppe ribellarsi al

carattere di un’arte creata di convenzionalismi, tentando

energicamente la resurrezione della classica polifonia)

avrebbe potuto mettersi a capo di sì nobile impresa, pari

a quella di restaurare nell’arte sacra le forme elette, e

di ripristinare il predominio del cuore, sull’artificio

convenzionale di barocchi formulismi. Questa convinzione

73

scaturisce spontanea e naturale alla lettura di alcuni

Introiti e di alcune Antifone del P. Vallotti, composte nel

più puro stile contrappuntistico, di una soavità, di una

dolcezza, di una casta e pura idealità da far rimanere

estatici. Non si dovrebbe esitare a dire che giudicando il

P. Vallotti da tali composizioni meriterebbe giustamente e

senza restrizioni l’appellativo di Palestrina del suo

tempo90.

Ricordiamo, infine, il bolognese P. Giambattista Martini,

di grande sapienza musicale, perfetto conoscitore di tutti le

tecniche compositive e compositore prolifico, violinista,

organista e teorico. Celebri allievi di P. Martini furono P.

Stanislao Mattei e P. Ludovico Antonio Sabbatini.

3. Frati Minori organisti e compositori

nell’Ottocento

Il secolo XIX rappresenta l’epoca d’oro della musica

organistica in ambito profano e liturgico; una schiera di

organisti compositori da tutta l’Europa diede vita ad una

grande tradizione musicale e strumentale. Tra gli esponenti di

questa rinascita dell’organo come strumento privilegiato, non

90 G. TEBALDINI, L’Archivio musicale della Cappella Antoniana, Padova 1895, p. 6.

74

solo nell’ambito della musica da chiesa, ma anche in ambito

concertistico, occorre menzionare per primo il celebre P.

David Moretti da Bergamo, organista, pianista e suonatore di

vari strumenti a fiato; egli godeva già buona fama quando nel

1818 entrò nell’Ordine dei Frati Minori. Fu compositore di

gran merito ed esperto contrappuntista, scrivendo soprattutto

per organo e vari brani di musica sacra. La sua musica fu

tutta fortemente influenzata dal gusto e dallo stile

operistico ottocentesco, secondo la moda del tempo di eseguire

brani ispirati alle sinfonie e alle arie d’opera che

risuonavano in tutti i teatri cittadini italiani. E fino a

quando ciò avveniva negli ambienti profani della musica da

concerto, la situazione rimase accettabile; le cose si

complicarono quando la musica operistica entrò nelle chiese

per essere eseguita durante la celebrazione della messa. È

l’inizio di un periodo di profondo degrado che colpì la musica

liturgica. A tal riguardo, un grande maestro e appassionato

restauratore della musica sacra e organistica, Luigi Bottazzo

(1845-1924), che fu tra i primi ad aderire al movimento

75

ceciliano91, così scriveva a tal riguardo nelle sue Memorie

storiche sulla riforma della musica sacra in Italia:

L’organista cattolico è chiamato alla ricerca ideale del

bello nelle laudi di Dio, sola e vera sorgente di ogni

bellezza. Egli deve essere quindi artista per eccellenza,

poiché è destinato ad unire le voci del meraviglioso suo

strumento alle voci dei fedeli, che lodano, benedicono e

glorificano il Santo dei Santi […]. Per raggiungere tale

grado, l’organista ha bisogno di tre condizioni: essere

dotato di spirito profondamente religioso; avere ricevuto

una soda educazione artistica; vivere nella certezza che

l’opera sua viene debitamente apprezzata, ed in pari tempo

che fra i doveri vi è pure quello del sacrificio92.

Queste parole, che rispecchiano perfettamente il modo di

pensare dei musicisti francescani, ci introducono nel contesto

della musica e della liturgia nelle chiese e nei luoghi di

vita religiosa, visti dalla parte di coloro che hanno vissuto

tutta o gran parte della loro esistenza dentro questi stessi

91 La prima società di S. Cecilia fu fondata a Ratisbona in Germania nel1868 e a Monaco i riformatori tedeschi si prodigarono per far conoscerel’antica polifonia sacra; tra i maggiori compositori del cecilianesimotedesco ricordiamo M. Haller e J. Mitterer. Dalla Germania il fenomenocominciò a svilupparsi in maniera stabile anche in Italia. Ciò che piùcolpisce nella storia del movimento ceciliano in Italia, è la velocità concui la riforma dell’organo giunse a destinazione senza bisogno diparticolari interventi e mediazioni da parte delle autorità; se per lamusica sacra ci fu bisogno delle codificazioni del Motu proprio di Pio X, inambito organistico le cose andarono avanti con una certa autonomia fino alraggiungimento di molti dei traguardi sperati. 92 E. PAPINUTTI, Giullari di Dio, Edizioni Urban, Segrate (MI) 1997, pp.294-295.

76

ambienti; ci riferiamo ai tanti musicisti religiosi consacrati

e sacerdoti e in particolare a tutti quei frati dell’Ordine

Francescano, che dai conventi hanno recato il loro personale

contributo alla storia della musica nei settori del Canto

Gregoriano, della musica polifonica e della musica

organistica93. Tutti i nomi appartengono o all’Ordine dei

Frati Minori o all’Ordine dei Frati Minori Conventuali (non si

trovano figure di rilievo all’interno dell’Ordine dei Frati

Minori Cappuccini); una schiera di frati che, lungo sette

secoli di storia, hanno dedicato la loro vita per l’arte

musicale:

Vi sono stati francescani nel periodo dell’origine della

Lauda nel secolo XIII, teorici valenti su questioni

riguardanti il Canto Fermo e la musica speculativa e

scientifica in tutti i secoli, compositori di grande

93 «Urgeva estromettere dalle chiese la profanità e l’incompetenzamusicale: la profanità era nelle musiche e negli stessi organi econsisteva essenzialmente nello scimmiottare melodie, ritmi e modiesecutivi del teatro e delle sale da concerto; la non competenza era datadal fatto che tali musiche non corrispondevano al bisogno dei riti […].Bisognava riproporre ideali perduti e ricercare modelli significativi daadditare ai musicisti del rinnovamento. Ma dove trovare i modelli dellamusica autenticamente sacra se non a ritroso nel tempo nelle epoche d’orodella monodia medioevale (gregoriana) e della polifonia cinquecentesca(palestriniana, a cappella). Per i romantici puri il viaggio all’indietrorappresentava un’occasione di fascinosa esplorazione fine a se stessa; peri ceciliani fu una necessità, in quanto – obiettivamente – non c’era dimeglio nella storia più recente […]. I classici non dovevano e non devonoessere fotocopiati in nessuna maniera. Una trappola che poteva condurre alblocco della creatività, nel quale per fortuna non caddero i musicisti piùaccorti e capaci […]» (V. DONELLA, La musica in chiesa nei secoli XVII-XVIII-XIX. Perdita erecupero di una identità, Casa Musicale Edizioni Carrara, Bergamo 1995, pp.264-265).

77

valore nel periodo della polifonia classica che rispondono

ai nomi di Costanzo Porta, Viadana, Giulio Belli, Gerolamo

Diruta. Nei secoli XVIII e XIX grandi nomi appartenenti ai

Frati Minori e ai Frati Minori Conventuali, che, pur

ossequienti alle abitudini ed allo stile della

composizione sacra dei loro tempi, hanno lasciato

composizioni di indiscusso valore che meriterebbero essere

scelte, fra la loro numerosa produzione, e degnarle della

riesumazione94.

Nell’ambito della musica organistica del diciannovesimo

secolo, a vent’anni dalla nascita del già citato P. David da

Bergamo, è doveroso menzionare P. Pietro Singer O.F.M. (1810-

1882), di origine tedesca, molto famoso come organista, anche

al di fuori degli ambienti religiosi95. È ricordato pure come

inventore e costruttore di uno strumento musicale meccanico,

con le voci a lame metalliche vibranti, una specie di

“orchestrione”, che egli denominò Pansynphonicon. Molto attivo

come compositore di musica sacra (Messe, Offertori, Litanie),

pubblicò una raccolta di canti corali della Provincia

religiosa del Tirolo, a cui apparteneva come frate, intitolata

Cantus Choralis in Provincia Tirolensis consuetus (1862). P. Pietro ebbe

94 U. FRANCA, Ricerca e riesumazione della produzione musicale francescana, in «StudiFrancescani», III-IV, Firenze, luglio-dicembre 1951, p.190. 95 Di lui Franz Liszt soleva affermare: «se io sono il Paganini del piano,fra Pietro è il Liszt dell’organo».

78

l’opportunità di assistere e partecipare, nella sua lunga

vita, al passaggio tra le due diverse generazioni di

organisti, il cui punto di snodo coincise con il periodo più

caldo della vita musicale italiana, quello del Casamorata per

intenderci, in cui cominciavano a prendere forma e a

concretizzarsi gli ideali della riforma, intorno agli anni

cinquanta96.

96 I primi segnali di questa importante riforma si erano già manifestatinell’opera di Luigi Ferdinando Casamorata (1807-1881), grande figura dimusicista illuminato, famoso non tanto per le sue musiche, quantopiuttosto come divulgatore dell’idea del rinnovamento organistico; egli fuattivo come scrittore e critico musicale in collaborazione con i giornaliitaliani del tempo e autore di un trattato di esecuzione organisticaintitolato Del retto modo di suonar l’organo durante le sacre funzioni e incidentalmente delBreve Metodo per l’organo dei Signori Müller e Rinck, pubblicato in quattro puntatesulla Gazzetta Musicale di Milano nei nn. 41, 43, 45, 49. In particolareil Casamorata si scagliava contro coloro che sostenevano la spudorata ediffusa abitudine di eseguire dissacranti motivetti d’opera e “ballabili”all’interno di celebrazioni liturgiche; constatava inoltre la mancanza discuole di organo nei conservatori italiani, che, grazie alla suainsistente denuncia e propaganda, cominciarono ad essere istituite apartire da quella di Milano con Almasio nel 1846, a cui seguirono Bolognacon Busi nel 1869, Firenze con Maglioni nel 1871, Pesaro con Petrali nel1882, Roma con Renzi nel 1886, Parma con Mattioli nel 1888, Napoli conBossi nel 1889, Torino con Remondi nel 1892 e infine Venezia con Bossidirettore nel 1895. Scriveva a proposito il Casamorata: «È una cosa stranache mentre in tutti i nostri Istituti di musica vi sono scuole dipianoforte, di strumenti ad arco, di strumenti a fiato, in veruno, o quasiveruno ( per quello che so) si trovi una speciale scuola d’organo». Appareevidente che sino a quel momento nessuno si era preoccupato di studiareseriamente l’organo, e la grande fioritura di scuole organistichesviluppatasi nell’ultimo quarto di secolo è dovuta principalmenteall’opera e all’azione del Casamorata prima e dei ceciliani poi. Oltre chenel campo della prassi teorico-musicale, ci furono forti sintomi dirinnovamento e di originalità anche nelle opere di esimi organisti ecompositori che avevano cominciato a distaccarsi dalle consuetudinimusicali dell’epoca in questione. Alcuni di essi molto semplicemente, eforse anche un po’ inconsapevolmente, evitavano di adeguarsi a quellostile operistico e al carattere popolare di certe melodie di cui tuttiabusavano a sproposito, per dedicarsi alla creazione di uno stilemaggiormente ricercato e personale.

79

Come rappresentanti della nuova generazione di musicisti

francescani citiamo i nomi e l’opera di tre frati organisti e

compositori provenienti rispettivamente dalla Toscana, dalle

Marche e dall’Abruzzo. Il primo, assai poco noto ma degno di

essere conosciuto e riscoperto è P. Damiano da Rocca S.

Casciano, al secolo Giuseppe Poggiolini, prematuramente

scomparso all’età di 40 anni. Nato in Romagna nel 1851, vestì

l’abito francescano nel 1872 e divenne sacerdote nel 1875. La

sua esperienza musicale iniziò quando nel 1872, salito al

Santuario della Verna, giovane fratino, conobbe l’organista

della Basilica P. Raimondo da Luicciana, col quale iniziò gli

studi di Teologia, di Arte e di Organo. Dopo sei anni P.

Bernardino da Portogruaro, allora Ministro Generale

dell’Ordine, lo portò con sé a Roma nel 1878, affidandolo alle

cure dei Maestri Gaetano e Filippo Capocci, dei quali ben

presto divenne discepolo prediletto. In particolare dal figlio

Filippo97, P. Damiano apprese e sviluppò una grande abilità97 Di certo Filippo Capocci (1840-1911) non raccolse aridamente l’ereditàdel padre Gaetano, ancora appartenente alla vecchia scuola organistica, masi lasciò più facilmente influenzare dalle nuove correnti capeggiate danoti esponenti della cultura e dell’arte musicale, organistica eorganaria, non solo a livello italiano. Tutto concorre nell’arte diFilippo Capocci alla creazione di una sorta di mondo sonoro perfetto incui predominano le sfumature di colori chiari, brillanti e smaglianti, maitroppo invadenti e penetranti per chi ascolta in religioso silenzio le suecomposizioni. Semplicità e trasparenza sono le due coordinate fondamentaliche caratterizzano l’impronta stilistica e la tecnica musicale delmusicista romano e che certamente non sono solo distintive della sua arte,ma appartengono a tutta una scuola di maestri che si istruivano e si

80

tecnica, che unì alle sue già spiccate doti musicali e

artistiche. Così scriveva di lui il Pierotti:

Un’anima profondamente religiosa come quella di P.

Damiano, che già per intuizione intravedeva altre vie alla

sua arte per disancorarla dal profano andazzo del tempo,

respira a pieni polmoni alla scuola del M° Capocci e si

libra a tutto volo verso la conquista dei nuovi orizzonti

che gli sono aperti davanti. Il successo suo […], oltre

che da temperamento musicale straordinariamente dotato di

tutti i requisiti necessari ad essere un perfetto artista,

proviene da un sapiente addestramento fatto per il normale

tramite della scuola, con un buon maestro98.

sostenevano gli uni gli altri, nell’accorata ricerca e realizzazione diuno stile capace di assolvere a quell’importante compito di rieducazionenei confronti del popolo della musica, non solo di quella sacra, affinchèfosse in grado di riacquistare quella sensibilità musicale e spirituale,di cui era stato privato dalle ingiustizie perpetrate dagli abusi dellaprecedente generazione. Non è qui il caso di fare processi a presunticolpevoli, dimenticando che molte scelte e azioni furono comunque dettateda un radicato modo di concepire e di sentire la musica e la liturgia inun’epoca di grave rilassamento delle tensioni spirituali e mistiche. Lagenerazione del Capocci e degli altri suoi contemporanei fu perciòchiamata ad una speciale missione, che consisteva, e ancor oggi consiste,in una vera e propria vocazione, termine densissimo di significato, chedovrebbe identificare ogni musicista che si reputi e proclami tale. Tantopiù ciò dovrebbe valere per quei musicisti che operano nel campo dellamusica sacra e liturgica e che svolgono un servizio, definibile come veroe proprio ministero, all’interno della Chiesa per il popolo di Dio. LaRiforma Ceciliana in tal senso ha prodotto effetti mirabili mediante laconsacrazione di grandi organisti liturgici, in particolare in Italia,dove il la fede religiosa in fermento ha continuato, tra mille ostacoli ein un clima di profonda degenerazione, a educare e formare coscienzemusicali cattoliche autentiche98 A. PIEROTTI, Il P. Damiano di Rocca S. Casciano nel primo centenario della nascita (1851-1951), in «Nozze d’oro sacerdotali di Padre Vigilio Guidi organista dellaVerna», Tipografia G. Concetti, Firenze 1951, p.35.

81

Egli concluse i suoi studi musicali nel 1881, dopodiché si

stabilì permanentemente alla Verna, svolgendo l’incarico di

organista del Santuario fino agli ultimi mesi della sua vita,

quando per motivi di salute, fu costretto a stabilirsi a

Firenze, dove il clima invernale era più sopportabile.

Anche in cima al Monte della Verna erano giunti gli echi della

profanazione musicale che in quegli anni stava dilagando in

tutta Italia:

Allorchè fu eletto organista della Verna [nel 1876] il

gusto musicale del pubblico era proprio pervertito. In

quel tempo quasi ovunque le più profane marciate (come le

chiamavano) ed i ballabili venivano eseguiti con gran

soddisfazione degli ascoltatori durante le sacre funzioni.

Era un continuo sfoggiare di campanelli e di gran cassa;

una vera ira di Dio […]. Egli [P. Damiano] troncò

nettamente questo periodo di profanazione, inaugurandone

uno nuovo sulle vere basi della musica sacra; e con il suo

modo di suonare puro, semplice, solenne, religioso, dopo

non brevi e dolorose lotte coll’ambiente che si ritraeva e

reagiva scandalizzato, vinse guadagnandovi terreno palmo a

palmo, finchè si sentì religiosamente ascoltato. Fu questa

la sua maggiore soddisfazione. Ben presto tutti ne furono

entusiasti e coloro che da ogni parte salivano al Monte

della Verna, ascoltando l’organo suonato da lui,

rimanevano sempre profondamente impressionati99.

99 P. PICHI, P. Damiano dalla Rocca San Casciano, in «Gazzetta Musicale di Milano»,13 settembre 1891, p.601.

82

Ciò che colpiva maggiormente dell’arte di P. Damiano era lo

stile improvvisativo che poneva in risalto le sue affascinanti

doti musicali ed espressive, la cui forza maggiore risiedeva,

a detta di tutti, proprio nelle improvvisazioni nelle quali

egli di tanto in tanto si dilettava:

Ma forse il meglio di lui è proprio quello che è andato

irreparabilmente perduto, creato di volta in volta

all’organo […], nell’impeto d’una ispirata improvvisazione

[…]. Gli ascoltatori erano rapiti, e il Padre Damiano,

quando toglieva le mani dai tasti e i piedi dalla

pedaliera, era esausto dalla sua creazione […]. In quel

momento creativo si davano convegno sull’organo tutte le

potenze dell’anima sua e le stesse risorse del suo essere

fisico erano spinte al massimo del rendimento nella linea

convergente del supremo sforzo e dell’impiego unitario

d’ogni più nascosta ed umile energia. Tutto l’uomo veniva

impegnato: il P. Damiano vi metteva la sua religiosità

profondamente serafica, il suo culto delle memorie del

passato, il senso georgico della natura delle cose più

umili e gentili […], le aspirazioni imbattibili della

speranza cristiana e della fiducia ottimistica nella

potenza dell’ingegno umano, sebbene il suo povero fisico

fosse così debole e fragile […]. Mi punge oggi il

desiderio delle geniali improvvisazioni di P. Damiano, e

mi vien fatto di porre il problema del loro rapporto con

83

la musica – edita o inedita, vocale od organistica – che

ci resta di lui. Dove fu maggiore l’artista ed il genio100?

Nell’opera di P. Damiano è sempre molto evidente il senso

religioso mistico dell’ispirazione; i suoi canti semplici,

delicatissimi e, allo stesso tempo elevati, avevano lo

straordinario potere di commuovere gli animi dei fedeli

durante le celebrazioni del santuario alvernino. Pur avendo

vissuto per tutta la sua breve vita da frate sul monte della

Verna, gli echi della musica di P. Damiano furono uditi in

diverse regioni italiane, trasportati dalle testimonianze di

coloro che nel cuore e nell’anima erano stati guariti dal

balsamo delle sue celesti melodie. P. Damiano seppe fare del

carisma musicale un dono per tutti e una restituzione a Dio

che glielo aveva concesso, secondo lo stile proprio di

Francesco e dei primi frati che con il canto e con la musica

amavano infiammare il cuore degli uomini affinché con fede

potessero a Lui ritornare.

Il secondo è P. Pier Battista da Falconara (1844 – 1915),

marchigiano di origine, ma vissuto sempre nella provincia

100 A. PIEROTTI, Il P. Damiano di Rocca S. Casciano nel primo centenario della nascita (1851-1951), p. 35.

84

religiosa romana101, affermato organista ed esperto

compositore, così descritto da P. Brunelli102:

aveva appreso tutte le buone regole dell’arte musicale;

però quando si trattava di comporre, dimenticava tutto e

dava libero corso a quanto gli dettava il suo cuore

innamorato delle bellezze di nostra santa Religione […].

Ma quello che più distintamente si rileva nelle sue

composizioni è il sentimento profondamente religioso. […]

egli ritenne sempre l’arte musicale per un puro ornamento

del sacerdote, e però pose tutto il suo studio nel

disimpegno del divin ministero […]. Nei primi anni del

nostro collegio […] insegnò anche canto-fermo ai nostri

giovani, i quali tutti gli posero subito tanto affetto, da

non potersi altrimenti spiegare che colla perizia non

comune e coll’amabilità salesiana del nostro Padre. Ci

siamo più volte chiesto donde mai il P. Pier Battista

avesse appreso quel suo modo di fare così, dolce ed

efficace, nonostante la sua indole piuttosto fiera e

ardente. Ci sovviene ora ch’egli visse per molti anni in

101 Proprio a Roma nel 1868 intraprese lo studio degli autori della scuolaRomana sotto la guida del M° Capocci. Coltivò con entusiasmo anche l'artedel canto fino a diventare maestro di musica sacra. Essendo molto dotatomusicalmente, fu presto nominato organista della Chiesa di Aracoeli e poidella chiesa del Collegio Internazionale S. Antonio, dove era ben noto airomani che frequentavano la chiesa. Le sue composizioni edite e inediterivelano tutta la sua genialità, fertile fino agli ultimi anni. Leprincipali città d'Italia facevano a gara per averlo sia per il collaudodegli organi, sia per dirigere le sue grandiose musiche nelle qualidistintamente si rileva il sentimento profondamente religioso. P. PierBattista fece anche parte di quel gruppo di riformatori che nel 1884appoggiarono il Regolamento pubblicato dalla Sacra Congregazione dei Ritiche prescriveva le norme generali per la musica sacro-figurata, vocale estrumentale, permessa o proibita in chiesa. 102 G. BRUNELLI, La morte del P. Pier Battista da Falconara, in «La voce di S. Antonio»,20/4 (1915), pp. 97-100.

85

compagnia di quell’anima eletta, che fu il Rev.mo P.

Bernardino da Portogruaro, alla cui scuola, […] si

formarono tanti nobili caratteri, che illustrarono e che

tuttora illustrano il nostro Serafico Ordine.

Il terzo frate organista e compositore è P. Cristoforo da

Lanciano (1837 – 1905), di origine abruzzese103. Nel 1868 fu

nominato maestro di cappella della Chiesa della SS.

Annunziata; il 3 maggio 1869 viene prescelto come Compositore

Onorario dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia di Roma,

titolo di notevole rilievo che gli permise di ritagliarsi uno

spazio anche nel panorama musicale nazionale. Il secondo

periodo della vita e della produzione artistica del nostro

compositore fu fortemente caratterizzato dalla sua conversione

alla vita francescana. Il musicista lancianese vestì le sacre

lane il 16 luglio del 1882. All'incirca un anno dopo, il 19

maggio 1883, fu ordinato sacerdote, con il nome di Padre

Cristoforo da Lanciano. Abbandonata definitivamente la

103 Il 15 ottobre 1905 P. Cristoforo muore nel convento di Monteripido (PG)e qui, per le esequie solenni, fu eseguita la Messa a 2 voci del P. PierBattista da Falconara. Il 16 ottobre si celebrarono altri funerali a S.Maria degli Angeli. La messa funebre era accompagnata dalla musica grave esolenne del compianto maestro e fu diretta dal P. Pier Battista, venutoappositamente da Roma. Dopo l’elevazione venne eseguito un mottetto a solevoci del P. Pier Battista. P. Cristoforo aveva intrattenuto rapporti diamicizia con molti maestri, tra i quali, appunto, P. Pier Battista che conlui aveva diretto le grandi musiche in Roma, Assisi e Perugia, eseguiteper il centenario di S. Francesco.

86

composizione musicale di genere teatrale e da concerto, da

questo momento in poi l’ingegno del compositore abruzzese si

concentrò soprattutto sulla composizione musicale di genere

sacro e religioso, in modo particolare sulla produzione di

brani per organo. Oltre a svolgere l’attività di maestro di

cappella e dedicarsi con grande zelo alla sua missione

sacerdotale, il Padre Cristoforo da Lanciano continuò a

coltivare la sua attività di critico musicale sulla rivista

francescana «L'Oriente Serafico».

Da questa rapida rassegna di sette secoli nella storia

dell’Ordine Francescano abbiamo conosciuto i nomi più

significativi dei frati che hanno dedicato la loro vita per

l’arte musicale; dalla produzione che essi hanno lasciato si

vede chiaramente l’importanza di primo piano che l’Ordine gode

sul terreno della tradizione liturgico-musicale nel corso dei

secoli.

CAPITOLO IV87

LA TRADIZIONE LITURGICO-MUSICALE FRANCESCANA

NEL NOVECENTO

1. I Francescani oggi e il repertorio liturgico-

musicale

Diamo ora uno sguardo alla situazione dell’Ordine

Francescano in riferimento alla questione del canto, della

musica e della liturgia nel periodo del post-Concilio fino ai

giorni nostri. Partendo dai principi contenuti nella

Sacrosanctum Concilium104, osserviamo che i contesti in cui i

Francescani si sono trovati ad operare sono più o meno gli

stessi delle epoche passate: canto e musica nella celebrazione

della messa e dell’ufficio; il problema dell’istruzione

liturgica e musicale all’interno dei conventi, soprattutto

nelle case di formazione; la cura e la conservazione della

tradizione del Canto Gregoriano e della polifonia classica; la104 CONCILIO VATICANO II, Costituzione dogmatica sulla Sacra LiturgiaSacrosanctum Concilium (4 dicembre 1963), in EV, 1, EDB, Bologna 1976, nn.112-121. Il 5 marzo 1967 la S. Congregazione dei Riti pubblicòl’Istruzione Musicam sacram sulla musica nella Sacra Liturgia, per incaricodel Sommo Pontefice, non per elencare di nuovo tutta la legislazioneliturgico-musicale, ma per fissare le norme principali più necessarie perquegli anni in cui era in corso la riforma liturgica .

88

promozione dei repertori di canto popolare religioso;

l’attenzione e l’onore da attribuire all’organo come strumento

musicale tradizionale della Chiesa latina; la formazione di

una buona coscienza musicale, secondo lo spirito cristiano, in

coloro che sono chiamati a comporre musica sacra. Analizziamo

ora singolarmente alcuni degli articoli del documento

conciliare, mettendoli in relazione con l’opera portata avanti

dai Francescani in ciascuno degli ambiti sopra elencati.

n. 113:

L’azione liturgica riveste una forma più nobile quando i

divini Uffici sono celebrati solennemente in canto, con i

sacri ministri e la partecipazione attiva del popolo […].

Come si è già visto al capitolo 2 il canto nella liturgia è

stato da sempre praticato nell’Ordine Francescano, con le

dovute eccezioni e gli adattamenti particolari all’interno

delle tre famiglie, delle province e delle singole fraternità.

Attualmente nelle nostre comunità conventuali è diffusa la

consuetudine di celebrare al mattino l’Ufficio delle Letture

seguito dalle Lodi mattutine (a volte inserite nella

celebrazione eucaristica, se prevista dall’orario della

fraternità, con la partecipazione dei fedeli); verso

mezzogiorno si celebra l’Ora media (Sesta) a cui precede o

89

segue la meditazione personale, oppure è unita all’Ufficio

delle Letture, se non è già stato celebrato al mattino; nel

tardo pomeriggio si celebrano i Vespri (a volte inseriti nella

Messa concelebrata, in genere, dai frati di tutta la comunità

e partecipata dai fedeli); la sera, dopo cena o prima del

riposo notturno, si celebra la Compieta (come ultima preghiera

della giornata). Nelle fraternità di eremo e nelle case di

preghiera vige l’alzata notturna (a mezzanotte o all’una) con

un’ora di preghiera in cui si celebra l’Ufficio delle Letture

durante l’Adorazione Eucaristica. Sempre negli eremi, nelle

case di preghiera e nelle comunità monastiche delle Sorelle

Povere di Santa Chiara (clarisse), si celebra l’Ora media

nelle sue parti di Terza (dopo le Lodi o la Messa del

mattino), Sesta (verso mezzogiorno) e Nona (verso le ore 15).

L’orario, evidentemente, varia a seconda dell’organizzazione e

delle consuetudini delle singole fraternità, ma generalmente

ogni provincia religiosa tende a fornire un modello di orario

comune per tutte le case. Le varie celebrazioni dell’Ufficio e

della Messa sono prevalentemente cantate e accompagnate spesso

dall’organo o dall’harmonium, soprattutto dove ciò è reso

possibile dalla presenza di un numero cospicuo di religiosi e

di almeno un frate musicista; a tale scopo, gli ordini e le

90

singole province hanno anche proposto modelli comuni

d’intonazione dei salmi, le cosiddette “salmodie” o “toni

salmodici”, che tendono a favorire la preghiera comunitaria

tra le diverse fraternità, in occasione di capitoli

provinciali e spirituali o incontri fraterni105.

n. 115:

Si curi molto la formazione e la pratica musicale nei

seminari, nei noviziati dei religiosi dei due sessi e

105 Alcune province e federazioni o fraternità locali di conventi emonasteri hanno pubblicato raccolte di canti per la messa, salmiresponsoriali, inni, antifone e toni salmodici, anche in occasione dicelebrazioni di Santi o ricorrenze particolari. Ciò avviene soprattuttonei luoghi di maggior frequentazione da parte dei fedeli (santuari,basiliche, ecc.). L’Ordine Francescano vanta la presenza di numerosiluoghi in cui la liturgia è particolarmente curata e celebrata in formasolenne: Sacro Convento S. Francesco in Assisi, Sacro Convento dellaPorziuncola in S. Maria degli Angeli, San Damiano, Protomonastero SantaChiara in Assisi, Sacro Convento S. Antonio di Padova, Collegio S. Antonioin Roma, S. Antonio in Bologna, Santuario della Verna, Santuario dellaSanta Casa di Loreto, Santuario di Padre Pio in S. Giovanni Rotondo ealtri. Elenchiamo qui alcune pubblicazioni legate all’Ordine Francescanoin Italia: per i toni salmodici: PROVINCIA FRATI MINORI TOSCANA, Canterò al Signoreun canto nuovo, Santuario della Verna 2010; Centro Orientamento Vocazionidei Frati Minori delle Marche, Laudate Deum in Psalterio. Melodie per la Liturgia delleOre (a cura del Santuario SS. Crocifisso di Treia), pro manuscripto, Treia(MC); SR. C. L. SERBOLI, Moduli salmodici per la Liturgia delle Ore (a curadell’Ufficio Liturgico dell’Arcidiocesi di Bari-Bitonto), Monastero diSanta Chiara, Camerino; per le antifone e i toni salmodici in celebrazioniparticolari: R. DE CRISTOFARO, Impressione delle stimmate di San Francesco,Bandettini, Firenze 1992; per i salmi responsoriali: P. AURELIO ZORZI,Ritornelli dei salmi responsoriali (su iniziativa di P. M. Ferraldeschi), Roma 2011;per i canti liturgici: COORDINAMENTO DELLE FEDERAZIONI CLARISSE D’ITALIA, Note diLuce. Canti a Chiara d’Assisi, pro manuscripto, Albano Laziale (RM) 2004; SERVIZIOORIENTAMENTO GIOVANI SACRO CONVENTO DELLA PORZIUNCOLA , E danzando canteranno. Canti, Lodi eVespri, Edizioni Porziuncola, S. Maria degli Angeli (PG) 1999; CentroGiovanile Francescano delle Marche, Le laudi del Signore, Santuario SS.Crocifisso di Treia, pro manuscripto, Treia (MC) 2001; per i repertori diCanto Gregoriano: P. A. SANTINI, Preghiamo cantando. Melodie Gregoriane, EdizioniMusicali C. Casimiri, Roma; G. BECCHIMANZI-T. FLURY, Gregoriano Simplex.Accompagnamenti organistici ai canti del Graduale Simplex, Casa Editrice Francescana,Assisi 2008.

91

negli studentati, come pure negli altri istituti e scuole

cattoliche; per raggiungere questa formazione si abbia

cura di preparare i maestri destinati all’insegnamento

della Musica sacra.

Si raccomanda, inoltre, dov’è possibile, l’erezione di

Istituti Superiori di Musica sacra.

Anche in questo caso rimandiamo a quanto già detto al

capitolo 2 riguardo alla legislazione speciale dell’Ordine

Francescano in merito all’istruzione liturgico-musicale dei

frati e aggiungiamo, in riferimento alla situazione attuale

dei nostri conventi e delle nostre case di formazione, che

forse si potrebbe fare qualcosa di più per ripristinare una

realtà in cui la cura del canto e della musica nella liturgia

riceve un interesse e un’attenzione maggiore da parte dei

responsabili della formazione dei giovani frati (formazione

iniziale) e della formazione permanente106. Ciò che ancora è in

vigore presso i nostri conventi e monasteri più importanti107,

dove risiedono e operano tuttora religiosi esperti nel canto e

106 Abbiamo già segnalato come nelle recenti Costituzioni e StatutiGenerali e Particolari dell’Ordine non compaiano più riferimentisignificativi all’istruzione liturgico-musicale da impartirsi ai frati.107 Cf. nota 2.

92

nella musica liturgica108, dovrebbe appartenere a tutte le

realtà locali dell’Ordine.

n. 116:

La Chiesa riconosce il canto gregoriano come canto proprio

della Liturgia romana: perciò nelle azioni liturgiche, a

parità di condizioni, gli si riservi il posto principale.

Gli altri generi di Musica sacra, e specialmente la

polifonia, non si escludono affatto dalla celebrazione dei

divini Uffici, purché rispondano allo spirito dell’azione

liturgica, a norma dell’art. 30.

Nel secondo paragrafo del capitolo 2 abbiamo analizzato in

generale l’iter della formazione del repertorio liturgico-

musicale dell’Ordine, soprattutto in relazione all’opera di P.

Clops e P. Bruning.

Parlando in maniera più specifica dei Frati Minori delle

Marche, dobbiamo ricordare l’opera del nostro P. Umberto

Franca, musicista, insegnante, direttore di coro e grande

esperto di Canto Gregoriano e Musica sacra, apprezzato

all’interno dell’Ordine ma anche in altri ambienti

108 Ricordiamo per l’Italia solo alcuni nomi di frati che operano neiluoghi più frequentati: P. Giuliano Viabile OFM Capp (Loreto), P. GennaroBecchimanzi OFM Conv (Roma-Assisi), P. Maurizio Verde, P. MatteoFerraldeschi e Fr. Alessandro Brustenghi OFM(Umbria); Fr. AlessandroFortin OFM Conv (Veneto); P. Giuseppe Magrino OFM Conv (Assisi). Molti diessi hanno compiuto i loro studi presso il Pontificio Istituto di MusicaSacra di Roma.

93

ecclesiastici italiani109. Da una sua lettera del 28 settembre

1949 inviata al Sindaco-Presidente del Comitato del Congresso

Mariano di Montemaggiore al Metauro, che aveva disdetto

l’invito a prestare servizio con la Scuola Polifonica fondata

dal Franca a Fano, veniamo a conoscere l’attività che il

giovane musicista aveva svolto a Roma. Così scrive:

a San Carlo al Corso dove sono stato organista per 5 anni,

a S. Maria Maggiore dove ho suonato come Organista

sostituto per oltre un anno e dove ho rinunciato al posto

di Organista titolare; a Sant’Andrea al Quirinale, a San

Luigi dei Francesi, a San Sebastiano, a San Benedetto in

Piscinula, al Quo Vadis dove avevo una Scuola di Canto, dai

Padri Mechitaristi dove ho insegnato canto Gregoriano e

pianoforte, all’Ospedale dei Fatebenefratelli dove ho

insegnato musica per 2 anni».

109 Padre Umberto Franca nacque il 21 maggio 1914 a Monterinaldo in diocesidi Fermo. Entrato nell’Ordine dei Frati Minori nel convento diMontebaroccio, il 18 gennaio 1931 iniziò l’anno di noviziato al terminedel quale emetteva la prima professione della Regola francescana e deivoti religiosi e il 30 maggio 1935 si consacrava de nitivamente al Signoreficon la professione solenne o perpetua. L’11 luglio 1937 veniva ordinatosacerdote nella cattedrale di Zara dove i frati marchigiani avevano lostudio teologico. Iscrittosi il 30 ottobre 1939 al Ponti cio Istituto difiMusica Sacra, il 13 giugno 1940 conseguiva il Baccalaureato e il 10 giugno1941 la Licenza in Canto Gregoriano, il 27 giugno 1942 il Baccalaureato eil 16 giugno 1943 la Licenza in Composizione sacra, il 16 giugno 1944 ilBaccalaureato e il 30 ottobre 1946 la Licenza in Organo, il 16 giugno 1944il Magistero in Composizione Sacra, il 1 luglio 1947 il Magistero in CantoGregoriano. Pubblicò studi e saggi di Paleografia gregoriana e di musicafrancescana.

94

Il 28 marzo 1947 pubblica un manifesto con il quale invita

giovani non inferiori ai 18 anni a frequentare la “Scuola

Polifonica” che ha lo scopo di:

Somministrare ai giovani volonterosi ed entusiasti la

conoscenza della musica per dare un contenuto maggiore

alla loro allegria; affinare il senso estetico con

l’apprendere criteri per gustare la musica classica;

arricchire la propria cultura con notizie storico-

paleogra che per la musica antica, con discussioni efi

conferenze sui principali problemi estetici dell’arte in

genere e in specie dell’arte musicale”. Al 15 aprile gli

iscritti erano 45, elencati nell’apposito registro, “quasi

tutti studenti di Liceo, Magistrali e Commerciali che

giornalmente, nelle ore di pomeriggio, frequentano la sede

suonando il pianoforte, mandolini e chitarre, giocando a

carte e a dama, leggendo libri, giornali e riviste”. Al 6

novembre 1947 i giovani erano saliti a 62, annotava il

segretario aggiungendo: “molte iscrizioni sono state

riconfermate. Alcuni giovani sono partiti da Fano avendo

terminato i loro studi. Molte iscrizioni sono nuove.

Il P. Umberto Franca con la collaborazione dei giovani

cantori aprì un doposcuola per alunni delle scuole elementari:

«Da questo doposcuola è nata la sezione dei ‘Putti cantori’

che in numero di 16 si sono aggiunti alla Scuola Polifonica»,

scriveva il segretario in data 25 gennaio 1948, da allora il

95

coro si compose di voci miste. Infatti i ragazzi frequentavano

il doposcuola al termine del quale si iniziavano le prove di

canto. Alla data 12 ottobre si legge nel registro che prestava

collaborazione la maestra Giovanna Giustiniani e che fu

necessario tenere un corso-bis di doposcuola e prove di canto

per i ragazzi che avevano lezione nel pomeriggio, inoltre che

«le spese per il doposcuola erano sostenute dal convento di

Santa Maria Nova per i mesi di ottobre, novembre, dicembre,

dal gennaio 1949 penserà il Centro Italiano Femminile». I

“Putti Cantori” registrati erano saliti a ventisette. È di

questo tempo la composizione di padre Franca di un O salutaris

hostia per soprano e organo. L’1 settembre 1950 lasciò Fano per

trasferirsi a Sassoferrato quale insegnante di musica e canto

al ginnasio dei Frati Minori marchigiani. La sua attività

musicale continuò poi in altri conventi, dove venne

successivamente destinato, non ultimo a Roma, dove ebbe

l’incarico dal 10 maggio 1977 di insegnante gerente della

cattedra di Paleogra a gregoriana al Ponti cio Istituto difi fi

Musica Sacra con Decreto della Congregazione per l’Educazione

Cattolica, prestandosi anche come cantore salmista delle

celebrazioni papali nella basilica di S. Pietro in Vaticano

no al 30 novembre 1982, quando fu messo in quiescenza. Fufi

96

allora che il cardinale Salvatore Pappalardo arcivescovo di

Palermo, apprezzandone le doti, lo chiamò a insegnare nella

scuola di musica sacra di questa città dove rimase no a tuttofi

il 1992, allorché il maestro si ritirò nel convento di

Monteprandone. In seguito ad incidente stradale, subìto il 24

giugno 1993, padre Umberto Franca decedeva nell’ospedale di

Ancona il successivo 11 luglio110.

Accanto a P. Umberto Franca, dobbiamo ricordare i nomi di

altri frati marchigiani che si sono spesi per l’insegnamento

della musica nelle scuole pubbliche, nei nostri istituti e

nelle nostre case di formazione: P. Pietro Carlucci, P. Pietro

Trillini, P. Leonardo Bellonci, P. Armando Pierucci e P.

Filippo Venanzi.

n. 118:

Si promuova con impegno il canto popolare religioso, in

modo che nei pii e sacri esercizi, come pure nelle stesse

azioni liturgiche, secondo le norme stabilite dalle

rubriche, possano risuonare le voci dei fedeli.

Anche in questo caso ci riferiamo a quanto già anticipato

in precedenza nel secondo paragrafo del capitolo 1 riguardo

alle caratteristiche del canto popolare religioso. Nel

110 S. BRACCI, Due musicisti a Santa Maria Nova, in «La chiesa di Santa Maria Novaa Fano», Fondazione Cassa di Risparmio di Fano, Fano 2009, pp. 36-39.

97

tentativo di attualizzare la questione, occorre prendere in

esame la vita e l’opera di alcuni frati organisti e

compositori che hanno fatto del “popolare” un elemento

importante del loro stile. Ci riferiamo in particolare a P.

98

Settimio Zimarino111, P. Terenzio Zardini112 e P. Armando

Pierucci113.

P. Zimarino svolse per alcuni anni una ricerca musicologica

relativa al periodo compreso tra i primi decenni del

Settecento e l’inizio del Novecento, rendendo noti nomi di

111 Padre Settimio Zimarino (1885-1950), nato a Casalbordino (Chieti), fubattezzato col nome di Carmine Antonio, al quale rinunciò per prenderequello di Settimio al momento dell’ingresso nell’ordine francescano. Giàall’età di quattordici anni decise di dedicarsi alla vita religiosa evenne ordinato sacerdote nel giugno del 1908. Per le sue doti musicali sirecò a Pesaro a studiare presso il Liceo Musicale “Rossini” conseguendo ildiploma di Licenza e Magistero di Musica Sacra nel 1917 sotto la guida delM° Antonio Cicognani. Nel 1919 si trasferì a Lanciano per svolgere ilsacerdozio presso il convento di Sant’Anna e l’attività di compositore edirettore del coro nella cattedrale Santa Maria del Ponte. Fu quello dellapermanenza nella città frentana un periodo di grande attività di Zimarinocome musicologo e compositore sotto lo pseudonimo di Ezio Marino. Fece unlavoro di raccolta di canti popolari visitando le campagne e contattandodirettamente i contadini, per questo viene riconosciuto tra i promotoridella rinascita della canzone abruzzese. Nel 1923 si trasferì a Chietipresso il Convento del Sacro Cuore ove assunse l’incarico di organistadella cattedrale di San Giustino. Per venticinque anni fu insegnante diMusica Sacra al Pontificio Seminario San Pio X contribuendo a rinnovare ilrepertorio liturgico. I manoscritti contenenti le sue opere sonoconservati all’Aquila presso la Provincia dei Frati Minori.112 Padre Terenzio Zardini (1923-2000), nato a Montecchia di Crosara(Padova) nel 1923, fu battezzato col nome di Gaetano. Entrato nell'Ordinedei Frati Minori a Vittorio Veneto nel 1939, assunse il nome di Terenzio.Fu ordinato sacerdote il 14 aprile 1947. Compì i suoi studi presso ilLiceo Musicale di Verona e poi al conservatorio “B. Marcello” di Venezia,ove nel 1954 si diplomò in Composizione . Divenne organista e direttore dicoro nel convento di San Bernardino a Verona, dove fu anche insegnante dimusica, direzione e composizione corale presso il Conservatorio di Verona.Compositore di musica sacra, compose opere per organo e per coro,soprattutto ad uso liturgico. Seguirono gli studi all'allora LiceoMusicale di Verona e poi al Conservatorio Benedetto Marcello di Veneziadove, nel 1954, si diplomò con il massimo dei voti in Composizione. Lacomunità di Montecchia ha voluto che in paese rimanesse qualcosa chemantenesse viva per sempre la figura di Padre Terenzio e così, poco dopola morte dell'illustre concittadino, avvenuta il 23 febbraio del 2000, lanuova sala civica è stata battezzata in suo nome. Solo nel febbraioscorso, infine, anche Verona ha voluto tributare il proprio omaggio alfrancescano dei Lauri, riservandogli un posto di tutto rispettoall'interno dei giardini che, tra via Cimarosa e via Leoncavallo, sonodedicati ai grandi compositori italiani.

99

musicisti abruzzesi fino a quel momento sconosciuti. Dalla

metà degli anni trenta cominciò a comporre Pastorali natalizie

che rappresentano la parte più rilevante della sua opera, che

ammonta a 749 composizioni. La sua produzione musicale

rappresenta una gran parte del repertorio liturgico abruzzese

e spazia nell’ambito della musica sacra. Essa è piuttosto

eterogenea e comprende composizioni per Messe, Mottetti,

Responsori, Inni, Sonate per organo, Pastorali, Miserere, Resurrexit,

Alleluia. Lo stile musicale di Zimarino è improntato ad una

profonda semplicità che si riscontra sia sul piano prettamente

musicale sia su quello del contenuto. Alla semplicità e

povertà dello stile, derivante dall’utilizzo di molti temi113 Padre Armando Pierucci (1935) è nato a Maiolati Spontini (Ancona) il 3settembre 1935. Dal 1988, risiede ed opera a Gerusalemme, in seno allaCustodia di Terra Santa, ed è l’organista della basilica del SantoSepolcro. Padre Pierucci si è diplomato in Organo, Composizione, Musicacorale, Pianoforte e Canto Gregoriano al Pontificio Istituto di MusicaSacra (Roma) e nei Conservatori di Napoli e di Pesaro. La sua attività siè snodata tra esecuzioni organistiche, direzione di cori, composizione edinsegnamento, presso il Conservatorio di Pesaro e lo Studio TeologicoFrancescano di Gerusalemme ed in altri ambiti accademici, ecclesiali oprivati. Ha dato concerti in Italia, Grecia, Cipro e Terra Santa. Hacomposto musica per organo, coro, recorder, accordeon, ottoni epianoforte. Tra le sue numerose opere, sono da ricordare le cantate ViaCrucis, De Profundis, The Burrial of Moses at Mount Nebo, Invocazione per la Pioggia e LaTerra dei Fioretti. Per dieci anni, fino al 1999, Padre Pierucci ha diretto larivista “La Terra Santa”. E’ il fondatore ed il Presidente Esecutivodell’Istituto Magnificat a Gerusalemme, una scuola di musica fondata nel1995, la cui caratteristica principale è quella di essere luogo didialogo, di pacifica convivenza, di promozione umana e sociale, nonchéluogo di orientamento e di preparazione professionale di altaqualificazione in campo concertistico e didattico. Attualmente, la scuolaannovera tra le proprie fila oltre 200 allievi, seguiti da circa 18insegnanti: essi sono Israeliani, Palestinesi, Armeni, di religioneebraica, cristiana e musulmana.

100

desunti dal repertorio popolare, fa riscontro una ricchezza di

suggestione e di atmosfera. Tra le sue composizioni più note

ricordiamo quelle natalizie: “Alla fredda tua capanna, Venite a

Betlemme, Venite adoremus, Natale cantiamo.

Anche P. Zardini s’impegnò nel recupero di brani dalla

tradizione popolare veronese e mantovana e toscana, facendo in

modo che non venissero perduti e li adattò alla liturgia,

creandone pezzi ancora oggi eseguiti frequentemente. Pacioso e

gioviale, è stato uomo di Chiesa molto amato tra i suoi

compaesani che non nascondono l'orgoglio di aver conosciuto e

scherzato spesso con lui, destinato a diventare uno dei

compositori di musica sacra più noti. E dire che il piccolo

Terenzio aveva fatto la conoscenza della musica in modo

assolutamente casuale. Trovò sotto il suo banco uno spartito.

Guardò curioso quel foglio pieno di segni indecifrabili e

decise che sarebbe stato un peccato lasciarlo lì, senza sapere

cosa potesse significare. Cominciò in questo modo il suo amore

per la musica. Padre Terenzio scriveva la sua musica di notte,

ispirato dalla gioia contemplativa: sono nate così le oltre

duemila musiche sacre che sono diventate i brani tradizionali

per l'animazione della Santa Messa, conosciuti dai fedeli di

tutte le età e di tutte le generazioni tanto per

101

l'orecchiabilità del motivo musicale quanto per la semplicità,

mai banale, del testo. Che poi Padre Zardini le considerasse

«tute batarìe», poco importa. Padre Terenzio ai suoi allievi

di conservatorio era solito dire che la musica bella era stata

già composta tutta e che lui aveva scritto la brutta». Però la

sua notissima “Dov'è carità e amore”, a dispetto del fatto che

l'avesse definita «'na feta de polenta», è stata e rimane

costantemente in cima alla hit parade delle musiche da messa.

2. P. Armando Pierucci e la Provincia Picena - Terra

dei Fioretti

P. Armando Pierucci è un frate dalla personalità poliedrica

e un musicista completo: profondamente appassionato di Dio e

di Francesco, ha saputo testimoniare tutta la sua fede e il

suo ardore nella sua opera di organista, direttore,

compositore, ricercatore, insegnante, superiore e fondatore.

Uomo innamorato della sua terra di origine, le Marche, e della

terra di Gesù, la Palestina, in Terra Santa P. Armando

continua ormai da più di vent’anni a portare la pace e l’amore

102

di Cristo servendosi non solo della sua musica, ma soprattutto

dell’arte di tutti quei giovani allievi musicisti e

insegnanti, cristiani e mussulmani, che hanno frequentato e

frequentano la scuola del Magnificat Institute, una sorta di

Accademia della Musica nella quale s’insegnano tutti gli

strumenti, il canto, la direzione corale e un posto

particolare è riservato all’organo, dalla cui scuola sono

usciti validi esecutori, allievi dello stesso P. Armando, che

ora si alternano nell’accompagnamento della liturgia nella

Basilica del S. Sepolcro a Gerusalemme, dell’Annunciazione a

Nazareth e della Natività a Betlemme. Ma la vena poetico-

musicale più originale e sensibile, P. Pierucci l’ha riversata

nelle sue cantate, oratori e altri brani vocali, strumentali e

organistici di genere sacro; tra le cantate ve n’è una che si

distingue per la sua particolare ispirazione e per la

struttura poetico-musicale. Scritta nel 2006, s’intitola “La

Terra dei Fioretti” e P. Armando così ne annuncia la nascita

114:

Quando nel novembre del 1988, venni a Gerusalemme, lasciai

il manoscritto del libro “Incontriamo Francesco nelle

Marche”. Vi avevo raccolto quei testi delle “Fonti

114 A. PIERUCCI, La Terra dei Fioretti. Cantata per Mezzosoprano, Baritono, Coro, Oboe, Tromba eOrgano, Istituto Magfnificat, Gerusalemme 2006.

103

Francescane” che raccontano le infinite visite di San

Francesco d’Assisi nelle Marche.

I frati della mia Provincia Picena fecero una bellissima

pubblicazione con quanto avevo raccolto e, nel 2005,

ripensarono alla propria identità con il progetto “la

Terra dei Fioretti”, che non è soltanto un nome. È anche

un ideale, una rifondazione, una riappropriazione.

La proposta ha affascinato anche me. Ho ripreso in mano le

pagine del 1988 e ne ho fatto un canto di gratitudine, di

amore: “La Terra dei Fioretti”, un pellegrinaggio ideale

insieme a Francesco che, camminando, cantava; e nel canto

indicò la via della pace, del conforto e della speranza.

Con queste parole P. Armando Pierucci presenta la sua

opera: una cantata suddivisa in dodici quadri, ispirati agli

episodi marchigiani della vita di San Francesco e dei suoi

primi frati, contenuti nei capitoli 42-53 dei “Fioretti”115. Si

tratta di un itinerario musicale (P. Armando parla di un vero

e proprio “pellegrinaggio”), che si apre con un “Preludio”,

questo è il titolo del primo quadro, in cui l’autore esprime

il desiderio di cantare, alla maniera di Francesco, le «lodi

del Signore», attraverso il racconto di «stupendi fatti e

detti», compiuti e proclamati dal Santo e dai suoi primi

compagni in terra marchigiana, e termina con la celebre

115 Fior 42-53: FF 1877-1895.

104

“Benedizione di San Francesco”, che riassume in sé tutto quel

clima di pace, di conforto e di amore, di cui è pervaso

l’intero pellegrinaggio intrapreso sotto la protezione del

Signore.

Il tema di una famosa lauda tratta dal Laudario di Cortona,

intonato dal Coro nel “Preludio”, percorre tutta l’opera sotto

varie sembianze, conferendole un carattere di spontanea

giovialità, proprio del predicare di Francesco, e un sapore

squisitamente medievale che prepara l’ambientazione dei quadri

successivi; tutto è in perfetta armonia con quanto è scritto

di Francesco e dei suoi primi tre fratelli nella Leggenda dei

tre compagni:

Francesco unitamente ad Egidio andò nella Marca di Ancona,

gli altri due si posero in cammino per un’altra regione.

Andando verso la Marca, esultavano giocondamente nel

Signore. Francesco a voce alta e chiara, cantava in

francese le lodi del Signore, benedicendo e glorificando

la bontà dell’Altissimo116.

Era il 1208 quando per la prima volta in terra marchigiana

si udì quel canto di gioia, che però non fu da tutti accolto

con lo stesso entusiasmo:

116 3Comp 9, 33: FF 1436.

105

Gli ascoltatori si domandavano l’un l’altro: «Chi sono

questi due? Cosa ci stanno dicendo?». A quei tempi l’amore

e il timore di Dio erano come spenti nei cuori, quasi

dappertutto; la penitenza era ignorata, anzi la si

riteneva un’insensataggine117.

Il tema della penitenza e quello della misericordia del

Padre sono ripresi nel contesto del secondo quadro intitolato

“Fabriano”, la prima città toccata da Francesco all’inizio del

suo primo viaggio marchigiano del 1208; nel testo è nominata

pure la sorgente di Valleremita, sede di un antichissimo eremo

francescano di origine benedettina. Abbiamo già detto come

alla sua prima venuta nelle Marche, Francesco fu accolto dagli

abitanti dapprima con sospetto e sorpresa, ma in seguito

ricevette una calorosissima accoglienza; racconta il Celano

che nel 1215 ad Ascoli Piceno il Santo:

annunciò la parola di Dio con tanto fervore, che tutti

pieni di devozione, per grazia del Signore, accorrevano a

lui, desiderosi di vederlo e ascoltarlo. La ressa della

folla era straordinaria e ben trenta, tra chierici e

laici, si fecero suoi discepoli, ricevendo dalle sue

stesse mani l’abito religioso118.

117 3Comp 9, 34: FF 1437.118 1Cel 22, 62: FF 430.

106

Questa è l’atmosfera che circonda il quinto quadro

intitolato “Ascoli Piceno”.

E ancora le Marche nel 1219 ad Ancona raccontano della

partenza del viaggio missionario di Francesco verso l’Oriente,

nel desiderio di portare l’annuncio del Vangelo anche ai

fratelli mussulmani119. Approdiamo così al quarto quadro

intitolato Ancona.

Queste sono alcune delle principali tappe della “via di

Francesco”, da Ascoli Piceno a San Leo, al confine con la

Romagna: ogni tappa corrisponde ad un quadro dell’opera che

prende il nome dal luogo a cui si riferisce (Osimo e San

Severino Marche, Roccabruna di Sarnano, San Liberato, Forano),

fatta eccezione per l’ottavo quadro che s’intitola Fra Beato

Rizzerio da Muccia, uno dei beati della nostra Provincia, intimo e

fedele compagno di San Francesco, morto nel 1236. Le tracce di

questo itinerario francescano furono ripercorse nei secoli

successivi da decine di frati, santi e beati dell’Ordine, che

perpetuarono il messaggio e la testimonianza del Vangelo nella

nostra terra, della quale il padre Sabatier ha scritto negli

ultimi anni dell’Ottocento:

119 LegM 9, 7: FF 1172.

107

La Marca di Ancona doveva divenire e rimanere la provincia

più veramente francescana di ogni altra; là sono Offida,

S. Severino, Macerata, Forano, Cingoli, Fermo, Massa e

molti altri eremi in cui la povertà deve trovare, per più

di un secolo, i suoi araldi e i suoi martiri120.

Ciò è affermato dal Sabatier sulla scia di quanto già era

testimoniato da Ugolino da Montegiorgio, l’autore dei Fioretti,

all’inizio del capitolo 42:

La provincia della Marca d’Ancona fu anticamente, a modo

che ‘l cielo di stelle, adornata di santi ed esemplari

frati, li quali, a modo che luminari di cielo, hanno

alluminato e adornato l’Ordine di santo Francesco e il

mondo con esempi e con dottrina121.

È importante sottolineare come nella sua presentazione, p.

Armando Pierucci si riferisca al tentativo da parte della

nostra Provincia di ripensare alla propria identità attraverso

il Progetto “Terra dei Fioretti”, frutto del lavoro del nostro

ultimo Capitolo provinciale del 2005, che vuole essere una

“riappropriazione”, una “rifondazione”, non solo della nostra

Provincia marchigiana, bensì di tutto l’Ordine, in sintonia

120 P. SABATIER, Vita di San Francesco d’Assisi, 1896.121 Fior 42: FF 1877.

108

con quanto il Rev.mo Ministro generale Fr. José Rodriguez

Carballo ha comunicato nell’ottobre del 2005:

Vogliamo in questo modo riscoprire la grazia delle origini, per

ritornare alle fonti della nostra storia, della nostra

vocazione, non per ricordare nostalgicamente le meraviglie

di un grande passato, ma per abbeverarci alla freschezza

di quelle acque e, rinvigoriti, riprendere con forza e

fedeltà il nostro cammino nella Chiesa e tra gli uomini e

le donne del nostro tempo. Rispondiamo a questo invito al

rinnovamento e alla ri-fondazione del nostro Ordine,

accogliendo di nuovo le provocazioni che già ci venivano

dalla Dichiarazione del Capitolo generale del 1973122.

Non a caso il Progetto “Terra dei Fioretti”, che si

presenta propriamente come uno stile di vita, di preghiera, di

fraternità e di missione, si prefigge come obiettivo

principale la volontà di porre le basi per una nuova

evangelizzazione, col suscitare in noi le stesse energie

spirituali e la stessa passione per il Vangelo che animavano i

primi frati, e che hanno saputo essi stessi sprigionare,

testimoniare e tramandare con la loro opera nel corso dei

secoli.

122 J. RODRIGUEZ CARBALLO, Lettera d’indizione del Capitolo generale straordinario 2006, Roma,4 ottobre 2005.

109

Ecco allora che l’auspicato “pellegrinaggio ideale” che il

M° Pierucci ha voluto rappresentare in questa sua nuova opera,

non vuole essere solamente una pura e semplice descrizione di

fatti e di luoghi geografici, ma vuole esprimere con profonda

fedeltà e passione, una nuova primavera dello Spirito che,

nascendo dalla nostra terra, possa raggiungere anche i confini

più lontani, attraverso la fantasia del Vangelo e

dell’annuncio «come è stato fin dagli inizi della nostra

storia, camminando insieme, come una sola Fraternità che, pur

dispersa nel mondo, vive di un solo Spirito»123.

n. 120:

Nella Chiesa latina si abbia in grande onore l’organo a

canne, strumento musicale tradizionale, il cui suono è in

grado di aggiungere un notevole splendore alle cerimonie

della Chiesa, e di elevare potentemente gli animi a Dio e

alle cose celesti.

L’Ordine ha sempre cercato di mettere in pratica tale

norma, che non compare qui per la prima volta, ma è stata

ripresa dai documenti magisteriali precedenti (in particolare

Motu Proprio di Pio X del 1903). Nel corso del secolo XX le

123 Ibidem.

110

chiese francescane si sono riempite di organi. In particolare

nelle Marche, solitamente le nostre chiese conventuali

ospitavano organi di piccola portata (molti costruiti da Zeno

Fedeli, nei primi anni del Novecento), oppure piccoli

harmonium: l’utilizzo essenzialmente era per accompagnare la

liturgia in coro e la messa conventuale. Nei santuari e nelle

parrocchie, invece, s’installarono strumenti più consistenti,

per la maggior parte provenienti dalle fabbriche di Zanin

(Udine) e Mascioni (Varese), a cui i frati sempre si

rivolsero. Tra questi vale la pena segnalare il monumentale

organo “Mascioni” 124 della chiesa di S. Maria Nova di Fano125,

installato nel 1959 per volontà di P. Francesco Talamonti,

allora guardiano della fraternità francescana di Fano, e

progettato da don Igino Tonelli126, sacerdote fanese esperto di

organo, composizione, direzione corale e canto gregoriano.

124 Si tratta di un organo a tre tastiere, composto da 2952 canne e 99registri.125 Nel 1962 iniziarono le stagioni concertistiche nella chiesa di S. MariaNova e si susseguirono annualmente durante i mesi estivi, specie neivenerdì di agosto, prevedendo, a seconda delle annate, tre, quattro,cinque, fino anche otto concerti. Complessivamente dal 1962 al 2011 iconcerti delle stagioni estive sono stati 233, e hanno visto l’esibizionedi 168 organisti provenienti da tutto il mondo.126 Il M° Igino Tonelli decantava i pregi del nuovo strumento, scrivendo alcostruttore Giovanni Mascioni:«Certo, a riguardarne tutta la struttura,c’è proprio da incantarsi delle grandi possibilità e risorse timbriche, aifini di tanta musica antica e moderna di tutte le scuole e anche ai finidel servizio liturgico comune e solenne» [L. PERONI, Documenti di organariarelativi al M° Tonelli, in «Monsignor Igino Tonelli (1906-1908) nel centenariodella nascita (a cura di Silvano Bracci)», Fano 2006, p.75].

111

Altri organi degni di nota si trovano nei nostri santuari

di Monteparandone (Mascioni), Treia (Zanin), S. Severino

Marche (La Frescobalda) e nelle parrocchie di Ascoli Piceno

(Vegezzi-Bossi), Jesi (Zanin), Macerata (Zanin), Falconara

(Mascioni). Un altro strumento interessante è l’organo

“Mascioni” della chiesa monumentale del nostro Convento “S.

Giovanni Battista” di Pesaro127, voluto da P. Armando Pierucci

nel 1982.

Tra i nostri frati organisti, oltre al già più volte

menzionato P. Pierucci, non possiamo dimenticare la figura di

P. Pietro Carlucci128, che si trovò a operare proprio nel

127 Organo a due tastiere con 25 registri: piccolo ma potente e moltoversatile per l’esecuzione di diversi repertori. Anche nella chiesa di S.Giovanni Battista di Pesaro, i frati organizzano da alcuni anni laRassegna Organistica “Organo e Liturgia” e un concerto di Natale, vocale estrumentale, intitolato “Natale all’organo”. 128 Nato a Jesi il 27 febbraio del 1883, Pietro Carlucci entrò nell’ordinefrancescano, dedicandosi in particolare alla musica. La cattedrale di Jesilo ammirò, prodigioso organista, ancora ragazzo. Il giovane frate jesinofu allievo di Ulisse Matthey, organista della basilica di Loreto, unmaestro animato da una visione superiore della musica e dell’arte. PadreCarlucci, che ne aveva ricevuto i segreti della tecnica organistica, mapiù ancora ne aveva intuito e accolto l’anima, fu tra i suoi allievi piùcari e intelligenti, tanto da dedicargli una sua composizione “Armonielauretane”. Gli esami al conservatorio di Bologna sigillarono la maturitàartistica del giovane frate. All’organo P. Carlucci si fece apprezzare perla perfezione tecnica ed espressiva. La sua fama arrivò alle maggioricittà d’Italia e d’Europa. Fu definito un valente maestro di musica, unvero artista, un insuperabile maestro d’organo. Don Lorenzo Perosi lochiamava “il pedalista”, per la precisione e la cantabilità con cuieseguiva, all’organo, la parte del pedale. Godeva dell’amicizia dicompositori, musicologi e organisti di chiara fama, come RaffaeleCasimiri, Licinio Refice e Giovanni Tebaldini. Tra le vecchie cronachedella nostra città lo troviamo presente il 9 novembre del 1912 nellachiesa delle Grazie alla solenne funzione religiosa celebrata dal vescovoGandolfi «per i valorosi caduti nella recente guerra libica e l’inno diringraziamento per la pace ridonata alla patria». In quella occasione le

112

periodo del Cecilianesimo e della riforma della musica sacra

di Pio X. Occorrevano a quel tempo musicisti che riuscissero a

presentare le pagine di Palestrina e di Bach, del canto

gregoriano e di Franck, di Perosi e dei moderni compositori di

musica organistica, dando il fascino dell’arte, la nobiltà

della musica sacra, il senso della maestà di Dio. P. Carlucci

fu uno di quei musicisti; ma la sua attività di musicista

francescano non si limitò ai concerti e alle esecuzioni

liturgiche. Notevole fu anche la sua opera d’insegnante e

direttore di cori. Ricorda P. Armando Pierucci che «quando

egli stesso prendeva la direzione di un coro, esso subiva una

trasformazione: quasi per incanto le voci si amalgamavano, le

frasi si snodavano senza urti. Anche da piccoli cori, come

spesso erano quelli che doveva dirigere, riusciva a trarre

tutto il potenziale di bellezza».

musiche, del Perosi, erano accompagnate all’organo dal Padre PieroCarlucci. Negli ultimi anni la sua vista si era andata affievolendo, così,a poco a poco, si era ritirato. P. Pietro morì nell’infermeria delconvento “La Pace” di Sassoferrato il 6 settembre del 1969.

113

CONCLUSIONE

La sacra liturgia, benché sia principalmente culto della

maestà divina, è anche una ricca fonte di istruzione per

il popolo fedele. Nella liturgia, infatti, Dio parla al

suo popolo e Cristo annunzia ancora il Vangelo. Il popolo

a sua volta risponde a Dio con i canti e con la

preghiera129.

Ho scelto di chiudere la mia trattazione con questo passo

della Sacrosanctum Concilium, per dare un senso compiuto a ciò

che ho esposto fin qui. Si tratta di capire qual è il

messaggio che noi francescani vogliamo dare al mondo

contemporaneo e se veramente sappiamo essere strumenti di pace

e di gioia, arrivando al cuore dei nostri fratelli e

accendendo in essi la speranza e la fiducia nella grazia del

Signore Gesù. Tale era la grande preoccupazione di san

Francesco e dei suoi primi compagni, quando vagavano per le

strade del mondo cantando le lodi del Signore e salutando

tutti con parole di pace e di consolazione. Perciò è giusto e

129 SC 33.

114

doveroso comprendere sempre meglio le cose di Dio per poter,

come Francesco, entrare in profonda relazione con lui,

parlando lo stesso linguaggio che non è fatto solo di parole,

ma anche di segni e di simboli. Frate Francesco era abituato a

parlare alla gente semplice e povera, proprio come Gesù che si

esprimeva in parabole, cioè con il linguaggio del popolo,

fatto di quotidianità e familiarità, che faceva sì che le

persone si sentissero a loro agio, come un bambino in braccio

a sua madre. Gesù e Francesco usavano la loro immaginazione

quando parlavano, non nel senso che inventavano storie, ma nel

senso che erano originali e creativi e sapevano stuzzicare

l’interesse e la curiosità dei loro ascoltatori: Gesù usava le

parabole, Francesco cantava in francese e gridava benedicendo

Dio davanti a tutti. Due metodologie di apostolato e di

evangelizzazione, ma soprattutto due modi di entrare per

sempre nel cuore e nella vita delle persone.

Tutto questo è possibile farlo attraverso la celebrazione

liturgica, che è fatta di parole, gesti, segni, simboli, canti

e musica; con tutto ciò la liturgia vuole esprimere la gioia

di un popolo che si rallegra nel Signore. Ma nella

celebrazione non parla mai uno solo: la liturgia è un dialogo

tra chi presiede e l’assemblea che partecipa e questo dialogo

115

diventa segno del dialogo tra Dio e il suo popolo chiamato a

rispondere all’unanimità. Il canto è quell’elemento che meglio

traduce l’unità del popolo radunato: cantare a una sola voce

traduce in maniera sonora la comunione dei credenti riuniti. È

un atto cultuale poiché noi cantiamo per Dio, ma è

contemporaneamente un atto pedagogico poiché noi cantiamo

anche per il popolo radunato.

San Francesco ha fatto suo il desiderio di insegnare a

tutti gli uomini a pregare e servire Dio con il canto,

utilizzando ciò che aveva a disposizione dentro e fuori di sé:

nel suo cuore aveva gioia, pace e tanto amore per il Signore e

per le sue creature; al suo fianco aveva i fratelli che Dio

aveva scelto per lui. Con queste armi Francesco ha combattuto

la “buona battaglia”, dando testimonianza di una profonda

conversione e di un’esperienza forte di Dio nella sua vita,

dicendo a tutti:

Come i trovatori cerchiamo di toccare le corde armoniose

della gioia, della pace e dell’amore, e di cantare la

canzone dell’umanità cortese; come i giullari gridiamo il

nostro sincero augurio di «Pace e bene!» ad ogni fratello,

116

proclamando con gioia che siamo i giullari di Dio per un

nuovo mondo di speranza130!

Così i francescani nel mondo, fin dalle origini, hanno

testimoniato che vivere in fraternità significa accogliere il

Signore in mezzo a noi e poterlo celebrare degnamente in una

liturgia di lode senza fine. Per otto secoli le nostre

fraternità hanno vissuto donandosi totalmente a Dio e agli

uomini nella preghiera, nella predicazione e nell’apostolato

itinerante, proprio come voleva Francesco, il quale amava

rifugiarsi per alcuni periodi negli eremi, per poi lanciarsi

alla conquista del mondo e delle anime. Nei chiostri dei

conventi e dei monasteri un coro di voci per secoli è

risuonato, unendosi ai gemiti e alle grida di un’umanità in

attesa e bisognosa di conforto e di speranza. Il canto dei

francescani ha riunito cuori che si erano dispersi, ha

asciugato volti irrigati dalle lacrime, ha spalancato occhi

chiusi per sempre, mettendosi a servizio della liturgia per

esprimere l’inesprimibile e per far toccare il mistero di Dio.

130 F. X. CHERIYAPATTAPARAMBIL, Francesco d’Assisi e i trovatori, p. 188.

117

INDICE

SIGLE E

ABBREBIAZIONI.................................................

....................................... 1

BIBLIOGRAFIA …………………………………………………………………..... 3

118

INTRODUZIONE ………………………………………………………………….... 7

CAPITOLO I Il canto e la musica nella vita di san

Francesco e nella tradizione francescana

1. Francesco poeta, musicista e “giullare di

Dio”……………………………….. 9

2. I Francescani e il canto religioso popolare

…………………………………... 20

CAPITOLO II Le fonti liturgico-musicali dell’Ordine

Francescano

1. Il canto liturgico nella Regola di san Francesco

……………………………... 23

2. Il canto liturgico nelle “Fonti Francescane” e la

formazione del repertorio liturgico-musicale

.........................................................

.................................................... 25

3. La legislazione generale dell’Ordine Francescano

……………………........... 30

119

3.1. La legislazione particolare delle Province

………………………………. 31

3.2. La legislazione dei Conventuali, dei Cappuccini e

degli Osservanti ……. 33

3.3. Legislazione speciale: il rifiuto della polifonia

………………………….. 34

3.4. Legislazione speciale: l’uso dell’organo e degli

altri strumenti ………..... 35

3.5. Legislazione speciale: il Maestro e Direttore di

Coro ………………….... 37

3.6. Legislazione speciale: l’istruzione musicale dei

frati ……………………. 38

CAPITOLO III La tradizione liturgico-musicale

francescana dalle origini fino al secolo XIX

1. Le origini ……………………………………………………………………... 41

2. Dai “giullari di Dio” alle “Cappelle musicali”

……………………………….. 42

3. Frati Minori organisti e compositori nell’Ottocento

………………………...... 46

120

CAPITOLO IV La tradizione liturgico-musicale francescana

nel Novecento

1. I Francescani oggi e il repertorio liturgico-

musicale ......................................... 54

2. P. Armando Pierucci e la Provincia Picena - Terra dei

Fioretti ......................... 62

CONCLUSIONE …………………………………………………………………........ 69

121


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