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Veterani del Quarantotto a Padova, una foto di gruppo

Date post: 27-Mar-2023
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Veterani del Quarantotto a Padova, una foto di gruppo Dove sono i generali che si fregiarono nelle battaglie con cimiteri di croci sul petto? Dove i figli della guerra, partiti per un ideale, per una truffa, per un amore finito male? Fabrizio de André Volontari, e poi? Il volontariato risorgimentale è materia abbondantemente e brillantemente trattata in storiografia, un tema che non viene tralasciato anche nei lavori più recenti sul Risorgimento. Dei volontari viene analizzato, prima di tutto, il ruolo politico, la molteplicità delle mete che monarchici, repubblicani, unitari e federalisti, si prefiggevano. Ma si guarda anche al loro effettivo contributo alla causa unitaria, a partire dal generoso, frammentato, caotico raggrupparsi del Quarantotto e al contributo più organizzato e razionale delle guerre successive. Vengono ricordati il dualismo con l’esercito regolare, le fasi di frizione e di rottura, anche traumatica (Aspromonte, Mentana), accanto a quelle di collaborazione e assimilazione dei volontari ai corpi regolari 1 . Altra caratteristica del volontariato è il legame con l’idea della giovinezza, il volontario è giovane per età e per idee: giovinezza e patriottismo si incontrano all’inizio nelle università, come a Padova, Pisa, Pavia e proseguono a braccetto, coinvolgendo tutti i settori più dinamici delle realtà urbane, facendo breccia tra chi è insofferente alla passività politica, tra chi vive una situazione di frustrazione sociale o professionale, tra coloro che per le ragioni più varie desiderano un cambiamento degli equilibri politici tradizionali 2 . Ai giovani e agli studenti, si unisce il pubblico dei teatri, conquistato dal messaggio patriottico, romantico, melodrammatico, veicolato da Verdi, Rossini e Donizetti 3 : alla vigilia dell’8 febbraio a Padova in centinaia vestono “all’Ernani”. Ancora prima, però, si è avviato il “Lungo Quarantotto” con le ripetute manifestazioni di giubilo per l’elezione papale di Pio IX, seguite da cortei brulicanti di tricolori e costumi medievaleggianti, spesso sottratti ai magazzini dei teatri. Sono manifestazioni quantomeno pittoresche che non trascuravano di lasciare spazio anche alla rievocazione delle antiche corporazioni di mestiere: all'élite culturale cittadina e ai giovani, si unisce il mondo delle professioni manuali urbane, segmento sociale in prima fila anche nella costituzione delle guardie civiche che giocheranno un ruolo importante nelle insurrezioni del '48 4 . Nonostante la battuta d’arresto del 1849, la partecipazione volontaria si fa sempre più ampia: nel '59 il ruolo del volontarismo è determinante nell’indurre l’Austria all’ultimatum e alla guerra, così come si rivela importante nell’orientare favorevolmente l’opinione pubblica europea verso la causa italiana, oltre che utile dal punto di vista militare. 5 I volontari sono così numerosi che l’esercito piemontese, cui è affidata la gestione degli aspiranti combattenti, non riesce ad addestrarli tutti 1 ANNA MARIA ISASTIA , La guerra dei volontari. Ruolo politico e dimensione militare, in: Gli italiani in guerra Conflitti, identità, memorie dal Risorgimento ai nostri giorni, direzione scientifica di MARIO ISNENGHI , volume I, Fare l’Italia: unità e disunità nel Risorgimento, a cura di MARIO ISNENGHI ed EVA CECCHINATO, Torino, 2008, pp. 172 - 179 2 EVA CECCHINATO e MARIO ISNENGHI , La nazione volontaria, in Storia d’Italia – Annali 22 – Il Risorgimento, a cura di ALBERTO MARIO BANTI e PAUL GINSBORG, Torino, 2007, pp. 697 - 720 3 Sull’argomento: CARLOTTA SORBA, Il Risorgimento in musica: l’opera lirica nei teatri del 1848, in Immagini della nazione nell’Italia del Risorgimento, a cura di ALBERTO MARIO BANTI e ROBERTO BIZZOCHI, Roma, Carocci, 2003 e ancora, più recentemente CARLOTTA SORBA, Il 1848 e la melodrammatizzazione della politica, in Storia d’Italia – Annali 22 – Il Risorgimento, cit. , pp. 481 - 508 4 SIMONETTA SOLDANI, Il popolo dei mestieri alla conquista di una patria, in Gli italiani in guerra cit. pp. 75 -87 5 ISASTIA, La guerra dei volontari, cit. p. 175 1
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Veterani del Quarantotto a Padova,una foto di gruppo

Dove sono i generali che si fregiarono nelle battagliecon cimiteri di croci sul petto?

Dove i figli della guerra, partiti per un ideale,per una truffa, per un amore finito male?

Fabrizio de André

Volontari, e poi?

Il volontariato risorgimentale è materia abbondantemente e brillantemente trattata in storiografia, un tema che non viene tralasciato anche nei lavori più recenti sul Risorgimento. Dei volontari viene analizzato, prima di tutto, il ruolo politico, la molteplicità delle mete che monarchici, repubblicani, unitari e federalisti, si prefiggevano. Ma si guarda anche al loro effettivo contributo alla causa unitaria, a partire dal generoso, frammentato, caotico raggrupparsi del Quarantotto e al contributo più organizzato e razionale delle guerre successive. Vengono ricordati il dualismo con l’esercito regolare, le fasi di frizione e di rottura, anche traumatica (Aspromonte, Mentana), accanto a quelle di collaborazione e assimilazione dei volontari ai corpi regolari1.Altra caratteristica del volontariato è il legame con l’idea della giovinezza, il volontario è giovane per età e per idee: giovinezza e patriottismo si incontrano all’inizio nelle università, come a Padova, Pisa, Pavia e proseguono a braccetto, coinvolgendo tutti i settori più dinamici delle realtà urbane, facendo breccia tra chi è insofferente alla passività politica, tra chi vive una situazione di frustrazione sociale o professionale, tra coloro che per le ragioni più varie desiderano un cambiamento degli equilibri politici tradizionali2.Ai giovani e agli studenti, si unisce il pubblico dei teatri, conquistato dal messaggio patriottico, romantico, melodrammatico, veicolato da Verdi, Rossini e Donizetti3: alla vigilia dell’8 febbraio a Padova in centinaia vestono “all’Ernani”. Ancora prima, però, si è avviato il “Lungo Quarantotto” con le ripetute manifestazioni di giubilo per l’elezione papale di Pio IX, seguite da cortei brulicanti di tricolori e costumi medievaleggianti, spesso sottratti ai magazzini dei teatri. Sono manifestazioni quantomeno pittoresche che non trascuravano di lasciare spazio anche alla rievocazione delle antiche corporazioni di mestiere: all'élite culturale cittadina e ai giovani, si unisce il mondo delle professioni manuali urbane, segmento sociale in prima fila anche nella costituzione delle guardie civiche che giocheranno un ruolo importante nelle insurrezioni del '484.Nonostante la battuta d’arresto del 1849, la partecipazione volontaria si fa sempre più ampia: nel '59 il ruolo del volontarismo è determinante nell’indurre l’Austria all’ultimatum e alla guerra, così come si rivela importante nell’orientare favorevolmente l’opinione pubblica europea verso la causa italiana, oltre che utile dal punto di vista militare.5 I volontari sono così numerosi che l’esercito piemontese, cui è affidata la gestione degli aspiranti combattenti, non riesce ad addestrarli tutti

1 ANNA MARIA ISASTIA , La guerra dei volontari. Ruolo politico e dimensione militare, in: Gli italiani in guerra – Conflitti, identità, memorie dal Risorgimento ai nostri giorni, direzione scientifica di MARIO ISNENGHI, volume I, Fare l’Italia: unità e disunità nel Risorgimento, a cura di MARIO ISNENGHI ed EVA CECCHINATO, Torino, 2008, pp. 172 - 1792 EVA CECCHINATO e MARIO ISNENGHI, La nazione volontaria, in Storia d’Italia – Annali 22 – Il Risorgimento, a cura di ALBERTO MARIO BANTI e PAUL GINSBORG, Torino, 2007, pp. 697 - 7203 Sull’argomento: CARLOTTA SORBA, Il Risorgimento in musica: l’opera lirica nei teatri del 1848, in Immagini della nazione nell’Italia del Risorgimento, a cura di ALBERTO MARIO BANTI e ROBERTO BIZZOCHI, Roma, Carocci, 2003 e ancora, più recentemente CARLOTTA SORBA, Il 1848 e la melodrammatizzazione della politica, in Storia d’Italia – Annali 22 – Il Risorgimento, cit. , pp. 481 - 5084 SIMONETTA SOLDANI, Il popolo dei mestieri alla conquista di una patria, in Gli italiani in guerra cit. pp. 75 -875 ISASTIA, La guerra dei volontari, cit. p. 175

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quanti e molti non fanno a tempo a scendere sul campo di battaglia, complice l'inatteso armistizio di Villafranca.L’anno seguente si registra il più celebre e rappresentativo momento del volontarismo risorgimentale: la spedizione dei Mille, forse uno degli episodi più analizzati del Risorgimento, anche in tempi recenti6. Chi sono i Mille? Studenti, artisti, commercianti, operai, professionisti, quasi tutti settentrionali (i sudditi borbonici sono poco meno di cento)7, l’entusiasmo e la partecipazione attorno alle loro spedizione è grande e crescente. A Taverna Catena, presso Teano, il passaggio di consegne: Garibaldi cede la guida delle operazioni ed il comando dei volontari a Vittorio Emanuele II, poco dopo nasce il Regno d’Italia. Il Veneto e Roma però rimangono questioni aperte: nel 1862 i volontari vanno da soli ma sono fermati in Aspromonte dall'esercito italiano. Nel 1866 si ripropone la guerra con l’Austria, perduta a Lissa e Custoza dalle truppe regolari, riscattata in parte dai volontari a Bezzecca, terminata ingloriosamente con l'accordo che prevede l'annessione del Veneto attraverso la sua cessione dall’Austria alla Francia e poi da questa al Regno d’Italia. C’è poi Mentana, nel 1867: volontari giovani ed impreparati, male equipaggiati, ricacciati indietro dalle truppe francesi che presidiano ciò che resta dei domini pontifici8. Dalla breccia di Porta Pia nel 1870 passeranno i bersaglieri: le battaglie del Risorgimento terminano simbolicamente qui.Volontari nel Quarantotto, volontari cospiratori, volontari nelle Patrie Battaglie, volontari assimilati nell’esercito, volontari rimandati a casa. E poi? E poi il ritorno: alla famiglia di origine o a quella che nel frattempo ci si è costruita, alla bottega, all’ufficio, allo studio, alla disoccupazione. Gli ex combattenti, passato il momento eroico, iniziano a riunirsi in associazioni che all’inizio sono prettamente mutualistiche: le disparità di destino, carriera, fortuna, non cancellano il ricordo delle esperienze vissute in età più o meno giovanile e la solidarietà tra commilitoni, a dispetto delle distanze sociali che nel frattempo di sono allargate: alcuni dei volontari sono diventati sindaci, ministri, deputati, ufficiali dell’esercito, altri sono ritornati nell’anonimato della bottega di ciabattino o nello studio di avvocato, oppure sono precipitati nella miseria, nella malattia, ai margini della società.All'origine delle società reducistiche del Risorgimento c’è, da una parte, il desiderio di aiutare i commilitoni in difficoltà attraverso il mutuo soccorso, dall’altra la volontà di celebrare il proprio ruolo nella genesi dello stato nazionale e di coltivarne il mito fondativo in chiave pedagogica.Ma con il tempo le associazioni iniziano anche a connotarsi politicamente, dapprima con la distinzione tra veterani e reduci e via via sempre più frammentandosi. In principio si distinguono i vecchi e i nuovi, quelli del Quarantotto e quelli delle Patrie Battaglie, che poi si tramutano, da una parte, in conservatori, leali alla monarchia e, dall'altra, in garibaldini, democratici, repubblicani.Nonostante le divergenze lo stato, attraverso gli organi del potere locale (primi fra tutti i comuni) si serve di queste associazioni, le sostiene, le finanzia, le incoraggia e le lusinga fornendo sedi, spazi, onori, visibilità nelle cerimonie ufficiali. Gli ex combattenti si prestano a propagandare gli ideali patriottici e nazionali: contribuiscono a creare consenso attorno alla nazione, coltivano il mito unitario nelle manifestazioni pubbliche di cui si sentono protagonisti. Nonostante ciò le vicende di queste associazioni per lungo tempo sono trascurate dalla storiografia, mentre se ne perde il ricordo nella società. Le ragioni di questo oblio sono fondamentalmente tre:1)Scarso peso politico: la figura dell’ex combattente del Risorgimento non ha avuto la stessa “fortuna” dei reduci della prima guerra mondiale che negli anni ’20 del ‘900 diventarono un vero e proprio fenomeno di costume, caricato a scopo politico di valori simbolici molto marcati; il reduce risorgimentale invece, pur presente nella società e inserito nel tessuto cittadino, non riuscì a radicarsi nell’immaginario collettivo con altrettanta forza9 .

6 Ad esempio: EVA CECCHINATO, Camicie rosse – i garibaldini dall’Unità alla grande guerra, Bari, 20077 ISASTIA, La guerra dei volontari, cit. p. 1768 SOLDANI, Il popolo dei mestieri, cit., p. 859 Con la guerra nella memoria: reduci, superstiti, veterani nell’Italia liberale, a cura di ALBERTO PRETI e FIORENZA TAROZZI, in: Bollettino del Museo del Risorgimento di Bologna, anno XXXIX, Bologna, 1994, pp. 6 – 11

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2)Limite biologico: le associazioni di reduci e veterani del Risorgimento erano per scelta statutaria destinate a scomparire con l'estinzione dei soci.3) Difficoltà di reperimento delle fonti: ottimo deterrente nel tenere lontana la storiografia dalle vicende di queste associazioni, i cui archivi non sempre esistono, e quando esistono spesso non sono ordinati ma confusi tra altre carte o frazionati10.L’incontro con la storiografia della sociabilità e l’attenzione della storiografia italiana verso i processi di formazione dell’identità nazionale, hanno però fatto crescere negli ultimi anni l’interesse verso i fenomeni di aggregazione sociale, riaccendendo la luce anche sul fenomeno dell’associazionismo degli ex combattenti del Risorgimento, in particolare per quanto riguarda il ruolo di educazione alla politica e la creazione di una vera e propria religione civile della patria svolto da queste società attraverso le cerimonie commemorative11.Le pagine che seguono tentano di affrontare la questione dell’associazionismo reducistico tenendo conto di queste osservazioni ma partendo da un caso singolo: quello della Società dei volontari veterani 1848-49 di Padova e Provincia. La ricerca è stata resa possibile dall’esistenza di un archivio di questa società12, intatto e ordinato. Di questo archivio sono state analizzate due sezioni in particolare: i fascicoli personali dei soci e le orazioni funebri lette in occasione dei loro funerali13, con l’intento di realizzare una biografia collettiva di questo gruppo di ex combattenti.

Le associazioni di veterani e reduci nell’Italia post-unitaria

La società dei veterani di Padova rappresenta solo un filo del diffuso e capillare tessuto associativo che costituiva l’universo delle società degli ex combattenti del Risorgimento. La densità maggiore di associazioni si poteva individuare in Piemonte con 141 società, in Toscana con 104, in Lombardia con 70 ed in Emilia Romagna con 61. Il meridione risultava meno rappresentato: la Sicilia contava 19 sodalizi, la Sardegna 17, la Campania 16, la Puglia 12, la Calabria uno solo. Marche, Veneto (con Udine), Lazio, Liguria e Umbria, si attestavano a metà strada con circa 30 di associazioni ciascuna. Sempre su scala nazionale, le società dei reduci risultavano più numerose rispetto a quelle dei veterani, secondo un rapporto di 5 a 314. Veterani e reduci non erano semplici etichette terminologiche ma individuavano momenti diversi di partecipazione alle guerre d’Indipendenza dovuti a differenze generazionali e appartenenze di corpo diverse. I veterani erano i più anziani, quelli che avevano combattuto il ’48, i reduci erano quelli della generazione successiva che aveva preso parte alla seconda e alla terza guerra d’Indipendenza e talvolta anche ad altre fasi, come la guerra di Crimea, le campagne contro il brigantaggio, i fatti d'Aspromonte e Mentana. Ma il criterio generazionale non è sufficiente a spiegare le divisioni e le frizioni tra le due categorie di ex combattenti. Anche la distinzione tra volontari, da una parte, e soldati dei corpi regolari, dall’altra, non soddisfa pienamente il criterio di appartenenza alle società di reduci o di veterani15. Per semplificare potremmo sintetizzare così: le società dei veterani aggregavano soprattutto i protagonisti del 1848-4916 e si ispiravano ad ideali monarchici e costituzionali quindi attiravano più

GIANNI ISOLA, Un luogo di incontro fra esercito e paese: le associazioni dei veterani del risorgimento (1861 -1911), in Esercito e città dall’Unità d’Italia agli anni trenta, atti del convegno di studi, Perugia, 11 – 14 maggio 1988, Perugia, deputazione di storia patria per l’Umbria, 198910 Ibid.11 Per il contributo della storiografia della sociabilità rispetto al reducismo risorgimentale si veda anche: FULVIO CONTI, Per una geografia dell’associazionismo laico in Toscana dall’Unità alla Grande Guerra: le società di veterani e reduci, in PRETI e TAROZZI, Con la guerra nella memoria, cit. pp.14 - 5312 Archivio di Stato di Padova (da ora abbreviato ASPD): inventario n. 13 “Archivi di enti diversi”, fondo “Società dei veterani del 1848-49”13 Ibid., buste 3 – 20 fascicoli personali e buste 167 – 169 “Onoranze funebri” dal 1869 al 191114 ISOLA, Un luogo di incontro fra esercito e paese, cit., pp. 503 e 517-51915 PRETI e TAROZZI, Con la guerra nella memoria, cit., pp. 7-816 CECCHINATO, Camicie rosse, cit., p. 206.

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facilmente ex combattenti appartenuti ai corpi regolari anche in fasi successive (Crimea, Brigantaggio). I reduci, numericamente più forti, coagulavano invece varie tipologie di volontari per lo più garibaldini e mazziniani e, con l’andar del tempo, iniziarono a definirsi democratiche, repubblicane17 oppure a coltivare rapporti con l’Internazionale di Londra18.

Diffusione su scala nazionale delle società reducistiche

Questi orientamenti politici, almeno in principio, erano negati dalle associazioni, che tendevano a dichiarasi apolitiche ed a caratterizzarsi piuttosto come aggregazioni di persone che, condividendo gli stessi ideali fondativi della patria, si riunivano per mantenere viva la memoria del Risorgimento e prestare mutuo soccorso agli ex commilitoni.Nella fase iniziale le attività delle associazioni erano di tipo celebrativo e patriottico: veterani e reduci, fungevano, più o meno consapevolmente, da agenzie per la diffusione dell’idea di un nuovo stato nazionale legittimo, nato tanto grazie all’iniziativa dei Savoia, quanto grazie al volontarismo popolare19. Il fatto che sia le associazioni di reduci che quelle dei veterani avessero la presidenza onoraria e congiunta di Vittorio Emanuele II e di Garibaldi rendeva palese il tentativo di conciliare le due anime del Risorgimento20. La partecipazione alle cerimonie patriottiche, ai pellegrinaggi sui campi di battaglia, il culto del Tricolore (simbolo adottato anche dai più radicali) rappresentavano altrettante modalità di adesione e propaganda nazionale ben visibili a tutti i cittadini.Veterani e reduci condividevano poi la medesima democrazia interna ai loro sodalizi: ciascun socio poteva aderirvi versando una quota annuale. Questo contributo dava diritto ad accedere al mutuo soccorso, a partecipare alle attività della società ed inseriva il socio tra gli aventi diritto all’elettorato attivo e passivo all’interno del sodalizio. Queste società, infatti, pur con statuti, regolamenti e consuetudini che cambiavano da caso a caso, erano rette da un’assemblea dei soci che si riuniva con scadenze regolari ed eleggeva al suo interno un organismo più o meno ristretto con funzioni direttive. Considerando il fatto che moltissimi tra gli iscritti a queste società, pur

17 CONTI, Per una geografia dell’associazionismo laico in Toscana, cit., p. 2718 ISOLA, Un luogo di incontro fra esercito e paese, cit., p. 50619 CONTI, Per una geografia dell’associazionismo laico in Toscana, cit., p. 2120 Per la conciliazione delle due anime del Risorgimento si veda anche: Il mito del Risorgimento nell’Italia unita, atti del convegno, Milano 9 – 12 novembre 1993, Milano, Edizioni Comune di Milano, 1995 in: Il Risorgimento – rivista di storia del Risorgimento e di storia contemporanea, anno XLVII n. 1 – 2 Milano, 1995

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considerati pubblici eroi, erano privi del diritto di voto21 (e questo anche dopo la riforma del 1882 che allargava il suffragio), la possibilità di eleggere il direttivo costituiva una sorta di “palestra” all'esercizio del voto nell’attesa che lo stato ne allargasse la fruizione.Altro punto in comune era l'anticlericalismo22: nel 1889 Giovanni Migliorini, veterano del sodalizio di Padova e membro del direttivo, si esprimeva come segue in una lettera indirizzata al Papa

Viva il Papa non Re, tale e [sic] il desiderio di tutti i buoni e fedeli Cristiani. La sede del Vicario di Cristo dovrebbe esser Gerusalemme e non altrove, e meno di tutto Roma Capitale intangibile dell’Italia una e indivisibile. Santità! Qui in Europa avete sostenuto voi ed i vostri Antecessori una politica odiosa a tutti e contraria al retto buon senso. L’Europa Civile e stanca delle vostre Encicliche e delle vostre commedie. Ma insoma [sic] cosa volete? Sperate forse una Crociata? In questi tempi? Ed a che scopo? L’Italia non cede ne cederà la sua Capitale senonché distrutta. Vorrete forse imitare Nerone? Nol credo! Dunque finiamola una volta. Limitatevi al destino come gli altri Principi spodestati, pensate al solo dominio Spirituale che e anche di troppo, scacciate quei vani e cattivi consiglieri che vi circondano, fate quelo [sic]che le circostanze ed il cuore vi detta e che la vera religione di Cristo vi impone, consigliatevi con Dio solo ed avrete la benedizione di tutti i popoli della terra.23

In quegli anni la nazione ed i suoi riti si andavano affermando secondo gli schemi di una “religione civile” concorrenziale a quella cattolica24: l'attenzione che veterani e reduci riservavano ai funerali dei soci era ad un tempo modalità di promozione della nazione e di emancipazione dalla religione. La gestione del corteo funebre era regolata da norme precise e dettagliate che, oltre a dare solennità alla cerimonia, mostravano pubblicamente la forza del sodalizio, i vincoli di solidarietà tra gli iscritti e, soprattutto, rappresentavano una vetrina per promuovere i valori della nazione, trasmessi attraverso le esibizioni di simboli come la bandiera che usciva dalla sede sociale solo in queste occasioni. La comunicazione patriottica passava assai efficacemente anche attraverso le immagini, come nel caso degli stemmi delle società che dicevano dei sodalizi molto di più di qualunque rito funebre25, come nel caso della Fratellanza militare di Firenze sul cui emblema erano impresse due braccia con le mani strette l’una nell’altra a simboleggiare il mutuo soccorso; una delle due braccia vestiva la divisa dell’esercito, l’altra vestiva la camicia rossa dei garibaldini26: il logo rappresentava così sia il mutuo soccorso sia la conciliazione delle due anime del Risorgimento.Le società reducistiche si erano sviluppate come fenomeno urbano, tanto nei grandi centri (Torino aveva 47 società, Firenze 37, Roma 31, Milano 30, Napoli 11) quanto in provincia, dove le associazioni proliferavano: Novara giunse ad avere 32 sodalizi, Forlì 12 come Bologna, Padova superava Venezia 7 a 6, Messina superava Palermo 6 a 527.A cavallo tra gli anni settanta e ottanta, quasi ovunque si era ormai determinata la distinzione tra società dei reduci e società dei veterani28. Questa fase si caratterizzava anche per un altro fattore: il progressivo passaggio dalle attività di tipo celebrativo ad una più marcata funzione di tutela sociale verso i soci bisognosi. La ragione di questo slittamento va cercata nell’eccessiva parsimonia dello stato nell’erogare sussidi e pensioni agli affiliati di queste realtà: a dispetto del contributo dato, prima, sui campi di battaglia e, poi, nelle cerimonie pubbliche, lo stato italiano ripagava gli ex combattenti con una legislazione pensionistica oggettivamente carente, tanto da orientare il movimento reducistico a “far da sé” per provvedere ai bisogni degli affiliati meno fortunati con le

21 MARCO FINCARDI, I reduci risorgimentali veneti e friulani, in Italia contemporanea, n. 222, 2001, p. 6822 ISOLA, Un luogo di incontro fra esercito e paese, cit., p. 50623 ASPD: fondo “Società dei veterani”, busta 12, fascicolo 382. La lettera è anonima ma è inserita nel fascicolo di Migliorini, veterano del ’48 che aveva combattuto anche nelle truppe regolari nel 1860-61 e 1866. Aveva iniziato come volontario per entrare poi nelle truppe regolari (bersaglieri), negli ultimi anni della sua vita fu iscritto sia ai veterani sia al “Gruppo Garibaldino di Padova e Provincia”.24 Si veda a riguardo: ALBERTO MARIO BANTI, La memoria degli eroi, in: Storia d’Italia – Annali 22, cit., pp. 637 - 664 25 CONTI, Per una geografia dell’associazionismo laico in Toscana, cit., p. 4826 Ibid. p. 4627 ISOLA, Un luogo di incontro tra esercito e paese, cit., p. 517-51928 PRETI e TAROZZI, Con la guerra nella memoria, cit., p. 8

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quote sociali e le elargizioni dei soci più abbienti29. Diventava frequente tra gli ex combattenti il richiamo retorico alla figura di Cincinnato, cittadino soldato pronto a passare dal campo di battaglia al proprio campicello senza ambire ad onori e privilegi. Se il ritiro di Garibaldi a Caprera era l’esempio più celebre di questa tendenza, orientamenti affini erano assai diffusi tra gli ex combattenti, come riferisce nel seguente passaggio il presidente dei veterani di Padova:

Non chiesero od imposero alla patria il pagamento dei servizi prestati. Vollero rimanere patriotti fino all’ultimo, poveri di fortuna, ma ricchi di sante abnegazioni e pronti ad ogni pericolo. Vollero bastare a sé stessi, e chi riprese il lavoro dei campi e delle officine, chi gli studi prediletti […] tutti da soldati dell’indipendenza si mutarono in soldati del lavoro e della probità 30

Le delegazioni di veterani e reduci piemontesi presenti a Torino in occasione delle celebrazioni della vittoria di Goito elessero nel 1874 una “Commissione permanente” per provvedere agli interessi morali e materiali dei commilitoni: era il primo abbozzo di quello che sarebbe poi divenuto il “Comizio dei Veterani”. Questa collaborazione tra ex combattenti ebbe eco anche in altre regioni, rendendo possibile la costituzione di un primo fondo sociale nazionale, ma la tendenza all’unificazione si scontrava con le singole realtà locali che volevano gestire in autonomia le proprie risorse. Il Comizio centrale di Torino, poi, era programmaticamente apolitico ma politica ed assistenza erano le motivazioni stesse per cui si era formato: nonostante avesse invitato i propri sottocomitati ad astenersi da ogni manifestazione pubblica in cui si potesse infiltrare la politica, la disciplina saltò nel 1877 quando un gruppo di reduci milanesi si staccò dal Comizio lombardo per dare vita alla Società dei reduci delle patrie battaglie in stretto rapporto con il Consolato operaio di Milano (tanto stretto da stabilire la sede al medesimo indirizzo)31.Come abbiamo detto, i reduci erano numericamente superiori rispetto ai veterani e la loro diffusione sul territorio nazionale era più omogenea e capillare. Le loro società seppero subito distinguersi per la consapevole scelta politica, anche se questo, a lungo andare, costituì un punto debole che causò divisioni e defezioni. Nonostante ciò i reduci ebbero la forza di farsi promotori di iniziative di carattere democratico, sostenendo la proposta di estendere il diritto di voto a tutti i reduci, appoggiando i candidati democratici alle elezioni, facendosi fautori, con la fondazione di società ginniche, del modello garibaldino della “nazione in armi” da preferire all’esercito professionale e criticando spesso i Savoia, soprattutto su Trento e Trieste. Queste posizioni costituivano motivo di contrasto coi veterani che continuavano a dichiararsi apolitici e leali verso la monarchia32. Nonostante ciò un riavvicinamento tra le due tendenze si registrò nel 1882 quando gli ex combattenti si impegnarono a riunire annualmente in un incontro nazionale tutte le componenti del movimento: nel 1883 a Roma si ebbe il “Primo Convegno di veterani e reduci” che rappresentò l’inizio di un nuovo tentativo di unificazione, ma solo al “Secondo Convegno”, quello di Torino del 1884, vennero esplicitamente invitate anche le società dei reduci. Proprio in quella sede si riproposero i nodi politici: come conciliare, ad esempio, monarchici e repubblicani? Il problema rimase insoluto riproponendosi al “Terzo Convegno”, a Venezia nel 1885, dove la questione fu accantonata definitivamente33. Il “Quarto Convegno”, tenutosi a Napoli nel 1886, fu quello che ebbe la più alta partecipazione: per la prima volta le società dei reduci superavano il 50% del totale anche a causa di evidenti questioni anagrafiche. A Napoli si discussero i problemi derivanti dalla crescente complicazione delle norme in materia di pensioni e maturò, nuovamente, l’idea di unificare il movimento, questa volta attraverso un comune coordinamento, il “Consiglio supremo”34. Sempre a Napoli venne suggerito ai sodalizi di trasformarsi in “fratellanze militari”, sull'esempio della Fratellanza Militare Vittorio Emanuele II di Firenze. Formata sia da militari che da cittadini, la 29 ISOLA, Un luogo di incontro fra esercito e paese, cit., p. 50530 Cenni storici sulla società veterani volontari 1848-49 della città di Padova, conferenza tenuta da Enrico Nestore Legnazzi, presidente dei veterani, Padova, Crescini, 1893, p. 11 31ISOLA, Un luogo di incontro fra esercito e paese, cit., pp. 506 – 51032 Ibid.33 CECCHINATO, Camicie rosse, cit., p. 212 - 21334 ISOLA, Un luogo di incontro fra esercito e paese, cit., p. 511

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fratellanza fiorentina aveva per scopo il mutuo soccorso, riservandosi di reperire i fondi necessari servendosi dell’opera prestata dai soci nel pubblico insegnamento o accettando commissioni di carattere militare e civile da governo, municipi e semplici cittadini. Alla fratellanza potevano essere ammesse anche le donne che, nel caso specifico, appartenevano alla nobiltà e alla ricca borghesia fiorentina35. Quella delle “Fratellanze” poteva essere la via per far sopravvivere le società oltre la generazione di veterani e reduci, ma il suggerimento non venne accolto.I successivi convegni si tennero a Milano e Firenze a distanza di dieci e dodici anni da quello di Napoli. In questi congressi vennero accolte anche rappresentanze di reduci che avevano combattuto solo la seconda e la terza guerra di indipendenza. Un ultimo congresso si tenne a Milano, nel 1906: le associazioni rappresentate erano 145, 43 in meno rispetto al congresso di Napoli: in tutta Italia ne erano rimaste appena 160 36.

L’associazionismo reducistico, breve bilancio

Veterani e reduci avevano rinunciato pian piano al ruolo assunto inizialmente di simbolo vivente delle patrie battaglie, per diventare sempre più parte attiva nella costruzione di un sistema di tutela sociale più equo e moderno: la scelta era stata indotta dalle manchevolezze dello stato, soprattutto in materia di legislazione pensionistica e di accesso al voto. Temi tra loro intrecciati dato che erano esclusi dal vitalizio statale i reduci privi del diritto di voto37. Il fatto che la maggioranza di veterani e reduci non riuscissero a mettere assieme i requisiti di censo e istruzione richiesti per votare (anche dopo la riforma dell'82) dimostra il generale prevalere all’interno delle società dei settori sociali medio bassi del tessuto urbano. L'esclusione dal voto, a dispetto dei pubblici onori, impedì al movimento degli ex combattenti di affermarsi a livello politico. Con l’andar del tempo le associazioni si aprirono alla società civile con iniziative meritorie in campo sociale: la Società dei reduci delle patrie battaglie di Padova, si adoperava, ad esempio, per l’avvio di una cooperativa che costruisse case popolari38, la Società dei reduci di Catania, invece, era impegnata nella promozione dell’istruzione pubblica e teneva conferenze sui diritti e i doveri dei cittadini39.Nell’associazionismo reducistico, tuttavia, esistevano dei limiti molto gravi: l’incapacità di organizzarsi in maniera flessibile, il localismo, l’interclassismo della composizione sociale non rappresentato adeguatamente nei livelli direttivi delle associazioni, il costante disaccordo tra le componenti conservatrici e progressiste del movimento. La proposta di tramutarsi in “fratellanze militari”, aprendosi ulteriormente alla società civile, venne lasciata cadere da veterani e reduci che preferirono mantenere la loro fisionomia originale di società mutualistiche tra ex commilitoni, accettando che la vecchiaia mettesse fine alle loro esperienze associative.

La Società dei veterani di Padova: dalle origini all’epilogo

La Società Volontari Veterani del 1848-49 della Città e Provincia di Padova venne formalmente istituita il primo giugno del 186840. Ma i veterani padovani avevano iniziato a raggrupparsi già prima della fondazione ufficiale della loro società, con l’idea di replicare anche nella loro città i propositi associativi della società dei veterani di Treviso di cui molti dei soci fondatori padovani erano azionisti, come dimostra la presenza di tagliandi di pagamento delle quote di adesione al sodalizio trevigiano contenuti all’interno di diversi fascicoli personali di soci padovani. Uno tra 35 CONTI, Per una geografia dell’associazionismo laico in Toscana, cit., p. 38 - 4036 ISOLA, Un luogo di incontro fra esercito e paese, cit., p. 51237 Ibid. p. 51638 FINCARDI, I reduci risorgimentali veneti e friulani, cit., p. 7039 CECCHINATO, Camicie rosse, cit., p 22140 Ibid. p. 195

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questi era Andrea Meneghini, primo sindaco di Padova sotto il Regno d'Italia, che ricoprì la carica di presidente dei veterani per due anni, sino alla morte, avvenuta nel 1870. Quella di Meneghini fu però una presidenza poco più che onoraria: a svolgere l’incarico di dirigente effettivo della società era il vicepresidente, Enrico Nestore Legnazzi, nobile, docente universitario a Padova, matematico ed ingegnere, fortemente impegnato nella progettazione degli ossari di Solferino e S. Martino41. Dopo la morte di Meneghini, Legnazzi venne eletto alla presidenza del sodalizio per il triennio 1870-73, cedette per breve tempo il timone dell’associazione ad Alberto Cavalletto per poi riprenderlo dal 1875 sino alla morte, avvenuta nel 190142.La società dei veterani di Padova si era dotata di uno statuto e di un dettagliato regolamento: una lettura critica di questi documenti ci può dire molto in merito alla sua identità.I criteri di ammissione sulla carta erano molto precisi43: poteva far parte della società solo chi potesse dimostrare di aver combattuto effettivamente nel 1848 e 1849, ad esempio presentando gli stati di servizio dell’epoca rilasciati dall’esercito o dai governi provvisori. Quando questi documenti fossero andati smarriti o distrutti era possibile presentarne una copia rilasciata dagli archivi o dai presidi militari locali. La copia poteva essere richiesta anche tramite l’associazione. Ma spesso, come specificato nello statuto, era sufficiente consegnare all’atto dell’iscrizione il diploma allegato alla medaglia commemorativa del 1848-49 istituita da Vittorio Emanuele II nel 1865. In via provvisoria, poi, si poteva essere ammessi dietro dichiarazione di un socio che testimoniasse l’effettiva partecipazione dell’iscritto alle battaglie del ’48-49, purché venisse in seguito presentata la documentazione. La pretesa severità dei criteri di ammissione si scontrava però con la realtà dei fatti e così capitava che il socio Luigi De Cavalli lasciasse l’associazione già nel 1869, un anno dopo esservi entrato, non ritenendo giusto che vi venissero ammesse persone che il ’48 non l'avevano combattuto. Forse alludeva al socio Angelo Bognolo che una delazione giunta alle orecchie dei veterani accusava di avere sì partecipato alle vicende della Repubblica Veneta, ma prima come venditore di zucche, poi come fuggiasco dall’assedio, ed infine come manovale scavatore di trincee... al soldo degli austriaci!44 Oltre ai soci effettivi, esisteva la categoria dei soci onorari: persone “notoriamente benemerite della causa nazionale”che se lo desideravano potevano iscriversi alla società con l’obbligo di acquistare almeno quattro azioni (per un totale di 12 lire annue), i soci effettivi invece erano chiamati a contribuire con una quota minima di almeno una azione (3 lire annue)45. Sempre stando allo statuto, i soci dovevano essere “individui di comprovata moralità”46 e prima di venire ammessi erano sottoposti ad un’inchiesta che verificava la loro fedina penale, ovviamente la loro condotta doveva restare integra anche dopo l’ammissione: il regolamento prevedeva un “Consiglio di disciplina” che si riuniva nel caso in cui un socio si rendesse responsabile di “un fatto qualunque biasimevole”47. Le pene comminate andavano dall’ammonimento verbale alla radiazione, passando per una multa compresa tra 1 e 5 lire48. Se poi il socio veniva condannato dall’autorità giudiziaria non era nemmeno necessario convocare il consiglio di disciplina: la radiazione era immediata49. Anche in questo caso però la rigidità delle norme scritte si stemperava alla prova dei fatti: se nei casi di condanna penale la radiazione scattava subito, le norme che regolavano la disciplina interna risultavano molto più discrezionali di quanto fosse scritto nel regolamento. Al socio Michele Schivi50 un bicchiere di troppo costò ben 50 lire di multa: si era presentato ubriaco al

41 BRUNO TOBIA, Una patria per gli italiani. Spazi, itinerari, monumenti nell’Italia unita (1870-1900), Laterza, Roma -Bari 1991, pp. 181 - 20042 ASPD: fondo “Società dei veterani”, busta 4, fascicolo n. 6943 Statuto della società volontari veterani 1848-49, Art. 1, in Cenni storici, cit., p. 7944 ASPD: fondo “Società dei veterani” cit. buste 4 e 13 fascicolo n. 65 e 41945 Statuto della società volontari veterani 1848-49, Art. 1, in Cenni storici, cit., p. 79, Art 446 Ibid. Art. 147 Regolamento annesso allo statuto della società volontari veterani 1848-49, Art. 41-49, in Cenni storici, cit., pag. 8348 Ibid.49 Ibid. Art 5250ASPD: fondo “Società dei veterani” cit. busta 14, fascicolo n. 464

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funerale di un consocio. Giustiniano Bacco51 invece nell’agosto del 1901 venne radiato per offese personali al presidente, in precedenza era già capitato che Bacco prendesse a male parole Legnazzi che lo avevano perdonato: la recidiva comportò l’espulsione immediata. Ma il caso più clamoroso per il giurì d’onore dei veterani di Padova fu quello che coinvolse uno degli iscritti più noti e facoltosi: l’industriale Vincenzo Stefano Breda, senatore del Regno, accusato di aver rovinato con spericolate speculazioni finanziarie molti azionisti della Società Veneta Costruzioni e delle Acciaierie di Terni e di essersi approfittato delle commesse governative facendo pagare a peso d’oro armamenti consegnati in ritardo (o non consegnati). Queste accuse nel 1896 finirono davanti all’Alta Corte del Senato. Poco prima, su sollecitazione dallo stesso Breda, si era riunito il Consiglio di disciplina dei veterani di Padova che, oltre a non formulare nessuna censura sul socio, riprese invece chi in Senato aveva nutrito dubbi sulla sua onestà ed espresse indignazione contro la stampa che lo aveva messo sotto accusa. Il verdetto del giurì d’onore risultò funzionale alla strategia difensiva del Breda che poté esibirlo in Senato come credenziale. Gli atti del giurì padovano vennero poi allegati ad un fascicolo celebrativo della figura di Breda, incentrato sulle sue qualità morali e le sue doti imprenditoriali. La pubblicazione fu stampata e diffusa dall’associazione stessa che si adoperò anche per una contro-campagna giornalistica a favore dell’illustre socio52.Tornando allo statuto e a gli obbiettivi dell'associazione, i veterani di Padova dichiaravano i seguenti scopi sociali:

Art. 2. Conservare e diffondere sempre più lo spirito di fratellanza fra i vari Membri che la compongono, mediante un mutuo appoggio morale e materiale.Tener viva la memoria dell’eroiche gesta di un’epoca tanto gloriosa nella storia delle patrie battaglie.Dispensare sussidi ai Membri effettivi nel caso di comprovata malattia o di fisica impotenza al lavoro, compatibilmente coi fondi disponibili dell’Associazione.

Si faceva dunque un esplicito cenno a forme di solidarietà economica verso i soci indigenti53.. Nel regolamento si specificava la natura di questi sussidi, erogati in caso di “comprovata malattia o di fisica impotenza al lavoro”54 secondo due tipologie: sussidio temporaneo giornaliero, non superiore a 1 lire al giorno e sussidio stabile annuo, non superiore a 200 lire annue55. Era un sistema di mutuo soccorso che il sodalizio poteva permettersi grazie alla solidità economica della società, dovuta ai molti iscritti (738 oltre ai 104 della federata società veterani di Adria)56 ed ai numerosi soci onorari (141 oltre agli 82 di Adria)57 che garantivano una quota minima di quattro volte superiore a quella degli effettivi. Oltre alle quote, la società era spesso beneficiaria di lasciti e contributi da parte di soci onorari e filantropi e non le mancavano aiuti da parte di istituzioni come la Deputazione provinciale di Padova (registrata tra i soci onorari)58 o il Comune di Padova (anch’esso socio onorario)59. Il municipio, oltre al denaro, concedeva la sede presso la Loggia della Gran Guardia in quella che è oggi la centralissima Piazza dei Signori, all'epoca Piazza Unità d’Italia60.I lasciti di privati cittadini non erano solamente in denaro: di particolare interesse erano i donativi in libri che permisero ai veterani di allestire nella loro sede una biblioteca che oltre ai libri annoverava opuscoli, memorie, canzoni, lettere, disegni, proclami, sentenze, manifesti e giornali relativi al

51Ibid., busta 17, fascicolo n. 63052 Ho tratto le notizie sulla vicenda di V. S. Breda da: FINCARDI, I reduci risorgimentali veneti e friulani cit., pp. 88-8953 FINCARDI, I reduci risorgimentali veneti e friulani cit., p. 7454 Cenni storici, cit., p. 1455 Regolamento annesso allo statuto della società volontari veterani 1848-49, Art. 99-100, in Cenni storici, cit., pag. 8356 ASPD: fondo “Società dei veterani”, buste 3 - 2057 FINCARDI, Patriottismo e solidarietà nel Veneto, cit., p 212.58 ASPD: fondo “Società dei veterani” cit. busta 3, fascicolo n. 3559 Ibid. fascicolo n. 3660 FINCARDI, I reduci risorgimentali veneti e friulani, cit., p. 86.

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1848-4961. Le donazioni comprendevano anche armi, uniformi, monete, medaglie, bandiere, ritratti di patrioti e soci, esposti in una stanza adibita a museo.La disponibilità di una sede così ampia rendeva possibile l’utilizzo dei locali anche come luogo di ritrovo, aperto tutte le sere e ogni domenica. Racconta Legnazzi che nella sede i veterani si ritrovavano a rievocare “gli episodi gloriosi e le battaglie” in armonia e concordia. Al di là di questa atmosfera idealizzata che non descrive il clima vero delle serate dei reduci, il dato da registrare è che la sede, pur non essendo esattamente un circolo (mancava delle strutture ricreative tipiche dei club), era sicuramente un luogo di aggregazione piuttosto frequentato. Ma, oltre all’aggregazione, vi si svolgeva anche un vero e proprio servizio di patronato: la società aiutava infatti i veterani che avevano diritto alla pensione a preparare la documentazione per farne domanda al Ministero della Guerra. Nonostante gli esiti assai deludenti (6 riscontri positivi su 229 domande inviate) il servizio era aperto anche ai non iscritti nell’ottica di allargare il numero degli affiliati.Le attività dei veterani non erano circoscritte alla sede: i soci partecipavano ogni anno alla sfilata per la “Festa dello Statuto” e, dopo la morte di Vittorio Emanuele II e di Garibaldi, furono sempre presenti alle commemorazioni cittadine in onore dei due padri della patria. Ai veterani era poi affidata la custodia del monumento cittadino al sovrano e partecipavano, presso l'università, alle cerimonie in ricordo della sollevazione dell’8 febbraio 1848. Particolare attenzione era riservata al culto dei morti: i veterani, oltre a non far mai mancare una loro delegazione ai funerali delle personalità importanti della città, accompagnavano alla tomba con la stessa solennità anche i propri soci, le cui esequie seguivano una ritualità rigida e codificata che si concludeva con la lettura presso il feretro di un’orazione scritta dal presidente o da uno dei soci più prestigiosi. L’orazione veniva poi trascritta e conservata in un apposito registro62. Oltre alle attività in ambito cittadino i veterani organizzarono anche delle uscite, non molte, ma ciò ci permette di vederne alcune nel dettaglio. La prima fu quella del 22 marzo 1868: l'associazione non era ancora formalmente costituita, nonostante ciò una delegazione di coloro che ne sarebbero diventati i primi soci partecipò a Venezia alla cerimonia del ritorno da Parigi delle ceneri di Daniele Manin63. La maggior parte delle persone che si sarebbero poi iscritte aveva combattuto il ‘48 in difesa di Venezia64: il ritorno delle spoglie di Manin a due anni dall’annessione del Veneto all’Italia rappresentava anche per i veterani di Padova un momento di grande valenza simbolica.Altra uscita di una certa importanza fu quella del 12 aprile 1886: i veterani, accompagnati dall’associazione dei Reduci delle Patrie Battaglie di Padova (fondata nel 1871 e presieduta da Carlo Tivaroni), presero parte all’inaugurazione di un monumento che ricordava la “Sortita di Mestre”65. Veterani e reduci, accompagnati dal sindaco e da una delegazione dell’università, raggiunsero Mestre in treno, qui si unirono alle altre associazioni partecipanti (quelle di Venezia, Treviso, Vicenza, Milano e Bologna) e parteciparono all’inaugurazione. Dopo la visita ai luoghi della battaglia, tornarono a Padova dove si tenne un banchetto aperto a tutti coloro che avevano partecipato alla trasferta, veterani o reduci che fossero66. L’ultima uscita fu sui campi di Sorio e Montebello: era il 1892 e nonostante il cinquantenario delle battaglie nel '98 i veterani di Padova (con altre società di Vicenza, Treviso, Verona e Brescia) non se la sentirono di attendere nel timore di giungere all’appuntamento decimati: i soci più giovani nel 1892 avevano quasi tutti superato i sessant’anni e, in effetti, tra il 1892 e il 1898 oltre 70 tra gli iscritti padovani passarono a miglior vita.

61 Cenni storici, cit., p. 15. Presso la Biblioteca Civica di Padova è reperibile, con collocazione B.P.2718, il registro della biblioteca dei Veterani di Padova. Al suo interno sono elencati i 257 titoli, i nominativi dei donatori, le notizie sull'edizione di ciascun pezzo e la collocazione all'interno della biblioteca della sede. 62 FINCARDI, I reduci risorgimentali veneti e friulani, cit., p. 76 e 8563 Cenni storici, cit., p. 3664 Come emerge dalle statistiche elaborate sulla base dei dati ricavati dall’analisi dei fascicoli personali dei soci in: ASPD: fondo “Società dei veterani”, buste 3 -2065 Cenni storici, cit., pp. 37 - 3866 FINCARDI, I reduci risorgimentali veneti e friulani, cit., p. 90

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La decisione di ammettere al sodalizio solo chi aveva combattuto il ’48 costringeva la società ad accettare un termine “fisiologico” della sua esistenza. L’articolo 3 dello statuto ne prendeva atto, contemplando due possibilità di scioglimento:

Art. 3. Per ritenere sciolta di fatto l’Associazione, è necessario che la deliberazione sia presa in seduta pubblica in cui vi sieno presenti tre quarti dei soci effettivi residenti in Padova e colla maggioranza dei due terzi dei voti dei presenti; oppure che il numero dei soci effettivi sia ridotto inferiore ai venti67.

Dopo l’uscita di Sorio e Montebello, il destino della società andava verso la seconda opzione: l’estinzione per emorragia di soci. Giunta agli ultimi venti la società si estinse come da statuto:

Art. 11. Se l’Associazione poi è ritenuta sciolta per essere i Membri viventi in numero di venti, in tal caso resta ai superstiti demandata piena facoltà di disporre dei mobili, degli effetti pubblici e del denaro dell’Associazione, nel modo che ritenessero il più equo e opportuno; fermo però sempre il loro obbligo di consegnare al Patrio Museo di Padova i documenti, gli atti, le armi, i libri, i quadri, le monete e quanto altro è accennato all’articolo precedente68.

Materiali per una biografia collettiva

Oggi l'archivio della società dei veterani padovani è conservato presso l’Archivio di Stato di Padova e contiene diversi gruppi documentari d'interesse: si va dai verbali del consiglio (buste 22-24) alla contabilità (sussidi, pensioni e vitalizi, buste: 32-34, 41-66, 69-94 e 108-164), passando per i documenti del Quarantotto a Padova (buste 1 e 2), l’album dei visitatori (busta 188) ed i registri mortuari e delle “Onoranze funebri” (buste 166-170).

Si volle infine destinata una cartella a ogni socio, in cui sono registrati i più notevoli accadimenti della sua vita. Ne avviene pertanto, che mentre le singole cartelle interessano coloro ai quali si riferiscono, prese invece nel loro assieme costituiscono la cronaca degli anni più fortunosi del risorgimento d’Italia, presentandone la fisionomia precisa e potranno in seguito essere materiali eccellenti agli studiosi della storia patria69

Le parole di Legnazzi fanno riferimento alla porzione del fondo che contiene i fascicoli personali dei soci effettivi. Si tratta di un gruppo di 18 buste contenenti documenti, corrispondenza, certificati e informazioni personali sui 738 soci effettivi. I fascicoli sono costituiti da una cartelletta di cartoncino rosso su cui sono segnati il numero di matricola, il nome, il cognome ed il nome del padre del socio. Sempre sul cartoncino rosso seguono gli spazi in cui andavano aggiunte la data di ingresso nell’associazione, l’eventuale data di esclusione temporanea, del rientro, quella dell'eventuale radiazione, ed infine quella di morte. All’interno della cartella, per quasi tutti, esiste un “foglio di guardia” su cui sono trascritte nuovamente le informazioni relative all’identità, la data dell’ammissione, l’età al momento dell'iscrizione, l’indirizzo, a volte (ma di rado) anche la professione. Il foglio di guardia era completato dalle firme dei due soci che certificavano la partecipazione al Quarantotto e l’iscrizione provvisoria, in attesa che venissero presentati i documenti richiesti per l’ammissione definitiva: si trattava dei già citati stati di servizio originali o in copia, oppure del diploma della medaglia. Gli stati di servizio originali presenti sono tra i pochi materiali risalenti al 184870 ma nei fascicoli si trovano più frequentemente le copie. Anche i diplomi delle medaglie ricorrono piuttosto spesso: la medaglia è quella istituita da Vittorio Emanuele II nel 1865 a beneficio di tutti coloro che avevano preso parte ad una o più guerre dal 1848 al 1861, questa medaglia aboliva tutte le altre attribuite 67 Statuto, Art 3, in Cenni storici cit., p. 7968 Ibid., Art 1169 Cenni storici cit., p. 1570 Altro materiale risalente al 1848 è presente nelle buste 1 e 2 denominate: “Documenti diplomatici dei fatti accaduti in Padova dal 1 Gennaio 1848 al 13 Giugno del detto anno”.

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precedentemente (con l’eccezione di quella conferita ai Mille). Nonostante gli ex combattenti preferissero, nelle occasioni ufficiali, sfoggiare le vecchie onorificenze ottenute sul campo, la medaglia del 1865 rappresentava una certificazione ufficiale della partecipazione al Risorgimento 71. La composizione del fascicolo di ciascun veterano risente dell’importanza e degli anni di permanenza in seno alla società; se il fascicolo del presidente Legnazzi è particolarmente corposo e porta un numero di iscrizione basso (n. 69, iscritto il 19 marzo 1868: fase costituente della società) i fascicoli dei fratelli del presidente, Carlo e Filippo, hanno invece numeri di iscrizione molto più alti (n. 628 e n. 682, risalenti al 1879) e contengono pochissimo materiale: la cartella di Carlo Legnazzi è priva del foglio di guardia e al suo interno è conservato soltanto il brevetto della medaglia; poco di più si riesce a sapere di Filippo, giusto l’anno di nascita (il 1828) e che nel ’48 combatté a Novara come tenente colonnello dei bersaglieri. Casi simili non sono sporadici: è capitato più volte di aprire il fascicolo e di richiuderlo subito dopo senza aver appurato nulla a parte nome, cognome, data di entrata in associazione e numero di fascicolo72: lacune inevitabili su un campione di oltre 700 schede. In realtà la situazione della maggior parte dei fascicoli contempla una pluralità di documenti molto interessante.

Sussidi, pensioni, spionaggio e debiti

Oltre alla documentazione probante la partecipazione al Quarantotto, nei fascicoli troviamo anche la corrispondenza interna alla società: le lettere dei singoli soci indirizzate a organi interni alla società oppure a soci influenti. Si tratta per lo più di richieste di pensione o sussidio a cui venivano allegati certificati medici o di povertà. Oppure erano le vedove o i figli dei soci appena deceduti a scrivere: commossi per la partecipazione ai funerali del plotone dei veterani, coglievano l’occasione per ricordare la promessa statutaria di fornire il necessario per far fronte alle spese funebri e, nei casi più miseri, chiedevano aiuto per ottenere un sussidio, un prestito, un lavoro, una raccomandazione. Alle richieste dei soci la società dava sempre una risposta la cui copia veniva allegata alle lettere in entrata all’interno del fascicolo dell’interessato. In questo modo si può seguire l’intero svolgimento di queste comunicazioni. Una risposta scritta non si negava a nessuno ma ottenere ciò che era richiesto non era facile: l’accesso alle pensioni statali era molto difficoltoso, la società raccoglieva i documenti necessari per inoltrarne richiesta ma il numero delle domande accolte era esiguo ed i tempi d’attesa molto lunghi. In risposta a questo stato di cose la maggior parte delle richieste degli effettivi si rivolgeva alla previdenza interna della società cui i soci sentivano di avere maggior diritto, dato che le loro quote andavano a formare il fondo che la erogava. Ma l’accesso al mutuo soccorso era regolato dalle condizioni di salute, lavorative, di reddito e di età di ciascun richiedente. Queste venivano valutate da un “Comitato dei sussidi e delle pensioni vitalizie” cui spettava l’ultima parola sull’assegnazione del contributo. Un’altra fonte di corrispondenza interna alla società era perciò quella tra direttivo e addetti ai controlli necessari a valutare le condizioni di accesso alle pensioni: i veterani disponevano per statuto73 di un medico sociale, eletto dall’assemblea dei soci e inserito nel direttivo. Questo ruolo venne ricoperto a lungo dal dottor Jacopo Mattielli74, nato nel 1818, medico nel Quarantotto presso gli ospedali da campo di Piemonte e Lombardia, socio effettivo dal 1868 e tale sino al 1899, anno della morte. Il dottor Mattielli visionava i certificati presentati da chi faceva domanda di sussidio e visitava i soci per dare poi il suo parere professionale attraverso un altro certificato che andava al “Comitato pensioni e sussidi” e finiva nella cartella del richiedente con gli altri documenti relativi alla domanda. La corrispondenza interna della società ci rivela però un’ulteriore forma di controllo prossima allo spionaggio: talvolta il presidente mandava in “missione” un socio di fiducia a verificare di persona 71 MIRTIDE GAVELLI, Ritrattistica e creazione del mito: i reduci nelle immagini del museo del risorgimento di Bologna, in: Con la guerra nella memoria, cit., pp. 154 e 16772 Non esistono dati anagrafici per i fascicoli 34 e 139, l’uno presente come cartella vuota, l’altro inesistente73 Statuto della società volontari veterani 1848-49, Art. 6, in Cenni storici p. 79, cit.74 ASPD: fondo “Società dei veterani”, busta 12, fascicolo n. 368

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lo stato di salute di uno dei soci che aveva chiesto il sussidio. La traccia di queste “missioni” rimane nelle relazioni scritte consegnate dall'incaricato alla presidenza e inserite nei fascicoli dei controllati. Spesso la vicenda si concludeva con l’osservato speciale che risultava davvero a casa ammalato, oppure con il socio che, in effetti, non era in casa, ma poteva trovarsi dal medico o all’ospedale per una visita. Altre volte però gli esiti della “missione” davano risultati clamorosi, come nel caso di Antonio Ton75 che nella sua domanda dichiarava di essere divenuto cieco con l’età e di dover chiedere un sussidio perché impossibilitato a guadagnarsi da vivere con il proprio lavoro di sarto. Ebbene, la “missione” in questo caso riserva una sorpresa: il sarto Ton sarà anche cieco ma ciò non gli impedisce di giocare alle carte in osteria. Sulla base di questa informativa la domanda viene bloccata. A questo punto si deve attivare il fratello del Ton che scrive alla direzione della società protestando: deve esserci stato uno sbaglio, suo fratello è davvero cieco, motivo per cui chi lo ha visto giocare a carte in osteria deve essersi per forza sbagliato, magari scambiandolo con un altro. Per suffragare le sue dichiarazioni il fratello del sarto, oltre ai certificati medici, presenta anche diversi testimoni tra cui ci sono persino alcuni avventori abituali dell’osteria incriminata. Solo a questo punto la pratica va a buon fine. Ma non sono solo i soci a chiedere denaro alla società, anche la società chiede denaro ai soci e questo flusso si traduce a sua volta in corrispondenza. Abbondano, nei fascicoli, gli avvisi di pagamento ed i richiami per morosità consegnati dall’esattore, figura elettiva prevista dallo statuto, cui viene esplicitamente riservato un compenso, sotto forma di premio annuale oppure in percentuale sulle quote raccolte76. In principio il compito di visitare a domicilio i soci, di ritirare le quote o sollecitarne il pagamento, viene affidato ad un tandem di esattori: al sergente Antonio Fuà viene affiancato il socio Angelo Biasioli. Ma nel 1872 quest’ultimo risulta radiato, proprio come accadeva per prassi ai soci che restavano indietro coi pagamenti. Esattore unico a quel punto rimane Fuà: la sua firma sigla per quasi trent’anni tutte le ricevute, gli avvisi di pagamento e di morosità emessi dalla società. Si tratta di una quantità cospicua di carta, dato che la quota annuale veniva ripartita in dodici rate mensili. Se i pagamenti giungevano in modo regolare veniva emessa una ricevuta ed il discorso terminava lì. Ma se il pagamento non avveniva, partiva un sollecito che comunicava i termini entro cui sarebbero scattati gli interessi di mora e nel quale si faceva riferimento alla possibilità di essere radiati, perdendo ogni diritto sui versamenti precedenti, se i soldi non fossero giunti al più presto. A questa comunicazione c’era chi reagiva protestando di non aver ricevuto la visita dell’esattore, o di averla sì ricevuta ma quel giorno, proprio quel giorno, non era in casa, aveva cercato nei giorni successivi di incontrare Fuà ma non lo aveva trovato, ad ogni modo si impegnava a pagare quanto prima. C’era chi si lamentava del tono vagamente minaccioso del sollecito ma, ad ogni buon conto, versava il dovuto. Altri invece chiedevano un’ulteriore dilazione, proponevano rate sulle rate, tentavano di farsi ridurre il numero delle azioni: caso per caso la società accoglieva o respingeva le richieste. Esistevano anche le sviste: l’esattore non trovava il socio, il socio non trovava l’esattore, veniva emesso un sollecito di pagamento, ma nel frattempo la quota era stata saldata negli uffici della società; a questo punto partivano le lettere di protesta, seguivano verifiche, controlli e scuse. Ma il caso più frequente era quello del silenzio: veniva recapitato l’avviso di pagamento, poi il sollecito, scattava la mora, le rate si accavallavano... a quel punto restava solo la notifica dell’espulsione: i mancati pagamenti, dopo i decessi, risultano la causa principale delle uscite dalla società dei veterani di Padova.

75 Ibid. busta 4, fascicolo n. 4376 Statuto della società volontari veterani 1848-49, Art. 7, in Cenni storici p. 79, cit.

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Soci radiati 1869 - 1902

0

50100

150200

250per debiti

per fedina penalesporcaper non essersimai presentatiper altre ragioni

Sono 244 i radiati tra 1869 e 1902. 231 risultano espulsi per non aver più versato la quota sociale, solo 7 sono stati cacciati perché condannati per qualche reato (per lo più piccoli furti), altri 3 sono stati rimossi perché non si erano mai presentati alle assemblee. Tra questi spicca il socio n. 500, Marina Costa in Volebole, unica donna socio effettivo dei veterani. Dal suo fascicolo risulta infermiera a Venezia durante l’assedio. La sua permanenza tra i soci dura poco più di un anno: dall’iscrizione, datata 31 dicembre 1868, all’espulsione d’ufficio del 19 aprile 1870. Scorrendo l’elenco dei radiati ci si accorge che in certi intervalli di tempo le espulsioni si concentrano in un’unica data: oltre ai 10 nominativi del 19 aprile '70 altri 11 vengono radiati il 4 maggio dello stesso anno, tutti per mancati pagamenti, il 25 luglio 1872 si verifica una fuoriuscita di 30 soci, ancora una volta per mancati pagamenti. Ed il 19 dicembre 1872 escono dalla società in 31, solo 2 sono morti, gli altri 29 sono radiati per debiti.

Radiati per debiti 1870-1902

Anni '70

Anni '80Anni '90 1900 - 02

0

50

100

150

200

Queste “pulizie” cicliche si ripetono per tutti gli anni ’70 anche se i numeri man mano decrescono. Nel corso degli anni ’80 i radiati sono in tutto 40, solo uno è stato allontanato per problemi con la giustizia, gli altri sono stati cancellati perché in arretrato coi pagamenti. Nel decennio seguente i radiati per debiti sono 22, dopo il 1900 ne vengono radiati appena 2: uno per debiti l’altro per aver preso a male parole il presidente della società.Le ragioni di questa tendenza decrescente, a mio avviso, sono due. La prima riguarda il numero dei soci che, all’inizio, è molto alto: sono almeno 600 gli iscritti nel triennio 1868-70. Non tutti però riescono a portare avanti l’impegno assunto, le 3 lire annue ad azione per molti sono un problema e chi non ce la fa preferisce gettare la spugna subito. Questo spiega l’alto tasso di abbandoni nella prima decade: oltre 170 i radiati. Con l’andare del tempo però l’emorragia rallenta, ed ecco la seconda ragione: l’età avanza, i versamenti sono ormai cospicui, non vale la pena di lasciare la società perdendo diritti e privilegi maturati. Si verificano ancora casi di morosità ed espulsione ma sono molto meno frequenti: bisogna cercare di resistere per non perdere quanto messo da parte. Assistiamo anche a dei tentativi di rientro: Angelo Berlese77, classe 1820, ufficiale della legione Galateo nel ’48, è tra i primi ad iscriversi alla società dei veterani, il suo numero di matricola è il 67: si è iscritto lo stesso giorno dell’esattore Fuà e del presidente Legnazzi. Il ritorno alla vita civile gli ha riservato un posto da maestro di scuola ma lo stipendio non basta a far fronte al sostentamento personale e alle spese per la quota sociale, Berlese smette di pagare e già nel 1869 viene cancellato dai ruoli sociali dei veterani. Qualche anno dopo però le sue condizioni economiche sembrano

77 ASPD: fondo “Società dei veterani”, busta 4, fascicolo n. 67

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consentirgli di rientrare nella società, ma l'operazione non è indolore: nel suo fascicolo, come in quello delle altre persone che tentarono il rientro, il cassiere ha depositato la copia del calcolo degli arretrati. Ogni anno trascorso dall’uscita dalla società corrisponde alla quota sociale di un’azione più gli interessi. Molti di fronte alla richiesta si scoraggiano, alcuni tentano e non riescono, Berlese ce la fa e rientra nel numero dei veterani. Ma nel 1894 è nuovamente fuori: i soldi sono finiti di nuovo. Nonostante questa uscita definitiva una mano pietosa aggiorna tre anni dopo il fascicolo personale del maestro con la data di morte: una cortesia che non a tutti i radiati veniva concessa.E’ necessario guardare ai 231 radiati per debiti tenendo conto del fatto che i pagamenti in arretrato non erano sempre segno di scarsa liquidità. Il mancato pagamento, in alcuni casi, poteva rappresentare anche una forma di dissenso verso il direttivo: non tutti avevano la coerenza del notaio Girolamo Armellini78 che, in disaccordo con una modifica dello statuto, comunicò nel 1871 di voler essere tolto dal numero degli iscritti, chiedendo però di continuare pagare la quota del mutuo soccorso.

Funerali solenni

Da una parte ci sono le attività di celebrazione dello Stato Unitario, le sfilate, i pellegrinaggi ai campi di battaglia, la memoria del proprio ruolo nel Risorgimento, il senso di appartenenza ad un gruppo elitario79: contenuti simbolici offerti dalla società ai suoi soci. Dall’altra le opportunità pratiche: il mutuo soccorso, la mediazione con le autorità per avere aiuti economici, la possibilità di ottenere posti di lavoro, la pensione. Tra queste due dimensioni, l’una simbolica, l’altra più concreta, si colloca la promessa di un funerale solenne, laico, con un plotone di ex commilitoni e la banda che seguono il feretro, la bara preceduta dalla bandiera della società80 e la lettura di un’orazione in memoria al momento della sepoltura.Nei fascicoli personali le tracce di questo solenne impegno si trovano nelle lettere dei parenti che ringraziano la direzione per il servizio funebre oppure, se hanno provveduto in proprio, chiedono alla società un contributo a copertura delle spese. Altre tracce si trovano nei manifesti funebri appesi dalla società con il nome dell'estinto e la data dei funerali: una volta terminata la loro funzione i manifesti venivano rimossi ed una copia era inserita nel fascicolo personale del socio deceduto. Nei fascicoli si trovano anche i fogli dei giornali in cui la società faceva pubblicare un necrologio se il defunto era particolarmente importante. Per chi non era abbastanza noto da rendere necessario un necrologio poteva esserci un epitaffio composto dai soci (tra i quali c’erano anche due poeti: Arnaldo Fusinato e Angelo Sacchetti81), che ne ripercorreva per sommi capi la vita sottolineandone il ruolo nel Quarantotto ed eventualmente nelle altre vicende della genesi della nazione. Talvolta gli effetti erano involontariamente comici: di Antonio Bellan, morto a 50 anni nel 1869, si legge quanto fosse “valente nel lenire le umane infermità”, un omaggio sproporzionato alla sua professione di callista82. Le orazioni funebri vere e proprie però, quelle lette sul feretro non sono presenti nelle schede personali ma ricopiate in bella grafia e conservate in appositi registri83. Con l’andare del tempo la disciplina si attenua e negli ultimi anni nei registri vengono lasciati direttamente i necrologi dei giornali e i fogli originali su cui l'orazione era scritta. In alcuni casi questi fogli sono resi illeggibili dalla pioggia caduta sulla carta durante il funerale.

78 Ibid. busta 3, fascicolo n. 279 FINCARDI, I reduci risorgimentali veneti e friulani, cit., p. 8580 La Bandiera tricolore del bastione 7 del forte di Marghera, messa in salvo nel momento della caduta del forte e portata a nuoto fino a Venezia da un artigliere padovano della compagnia “Fratelli Bandiera e Moro”, stando a quanto descritto in: ANDREA MOSCHETTI, Il museo civico di Padova: cenni storici e illustrativi, Padova, Soc. Cooperativa tipogr., 1938, pp. 397-398 81 ASPD: “Società dei veterani”, buste 4 e 8, fascicoli n. 70 e 20382 Ibid. busta 8, fascicolo n. 181 e busta 16783 ASPD: “Società dei veterani” cit. buste 167 – 169

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Una lettera molto interessante

Giovanni Gullio84 nel 1869 ha sessant’anni, fa il commerciante a Padova ma nel Quarantotto è stato capitano nella Legione Brenta e Bacchiglione e ha combattuto a Sorio, Montebello e Venezia. Gullio aderisce alla società dei veterani dal 15 marzo del 1868 quando questa non si era ancora ufficialmente costituita. Il suo numero di matricola è il 3: probabilmente è uno tra quelli che hanno avuto per primi l’idea di radunare anche a Padova gli ex commilitoni, magari copiando l’iniziativa dall’Associazione Volontari 1848-49 di Treviso di cui Gullio possedeva un’azione. Un anno dopo, siamo nell’aprile del 1869, la società dei veterani padovani conta ormai diverse centinaia di iscritti e Giovanni Gullio, che fa parte del direttivo nel ruolo di consigliere anziano, riceve una lettera da fuori città. Gli scrive un vecchio commilitone di Piove di Sacco:

Piove, 14 aprile 1869.Sig. Giovanni Gullio Padova.Con relazione alla gradita vostra con cui mi invitate per parte della Presidenza della nostra Società Volontari 1848.49 a prestarmi per sollecitare quegli individui che facevano parte della nostra Legione nella precedente [illeggibile] epoca, ad inserirsi nella nostra Distinta Società, mi sono occupato per quanto ho potuto di ciò, ma con un risultato contrario affatto alla mia aspettativa, mentre nessuno si persuade ad iscriversi addonta di tutta la mia insistente sollecitazione e di aver fatto anche pubblicare dall’altare una tale istituzione coll’invito, a quelli che ne avevano il diritto, di concorrere ad aumentare il numero degli iscritti. La ragione dei generali rifiuti si è che essendo quasi tutti villici od artigiani non possono capacitarsi di fare sacrifizi per ciò, non sapendo persuadersi dello scopo nobilissimo e sacro di una tale istituzione. Potrebbe darsi che i miei continui discorsi in mezzo ai crocchi sull’argomento producessero qualche effetto; vi sono ancora 16 giorni di tempo, e qualcheduno potrebbe persuadersi, ma sarà sempre cosa miserabile. Mi dispiace infinitamente di non poter corrispondere, come era mio desiderio, alle nobili vostre premure. Dove posso disponete di me liberamente: colgo la favorevole occasione per presentarvi i miei sinceri sentimenti di stima imperituri.Il vostro Bragato A85

Antonio Bragato è nato nel 1805 a Piove di Sacco, nel Quarantotto è stato capitano nella “Brenta e Bacchiglione”, proprio come Gullio. Ha combattuto prima a Vicenza poi a Chioggia, infine ha preso parte alla difesa di Venezia. E forse è qui, se non prima, che i due si sono conosciuti. Certamente vent’anni dopo nel ’68 si sono visti a Padova, quando Bragato è andato ad iscriversi alla società dei veterani: sul suo foglio di guardia c’è la firma di Gullio a convalida dell'iscrizione. Nonostante ciò il tono della lettera sembra piuttosto formale. Probabilmente perché Bragato non sta scrivendo al parigrado capitano Gullio ma ad un membro del direttivo dell’associazione e per di più in risposta ad una richiesta che viene dalla Presidenza, ricoperta a quel tempo dal sindaco di Padova, Andrea Meneghini. La richiesta che Bragato ha ricevuto dal direttivo è la seguente: fare proseliti per la società a Piove di Sacco e farlo in fretta perché entro fine mese (vi sono ancora 16 giorni di tempo) scatterà una qualche scadenza. Bragato non è l'ultimo arrivato, abita da sempre a Piove di Sacco, ha fatto il Quarantotto ed è arrivato al grado di capitano, deve essere una gloria locale o, per lo meno, data l’età, un cittadino rispettato. Nonostante ciò non è affatto convinto di essere riuscito a rendere un buon servizio all'associazione. Certamente si è impegnato, utilizzando tutti i mezzi a disposizione: prima ha messo in gioco il suo personale ascendente (la mia insistente sollecitazione), poi ha chiesto l’aiuto del parroco riuscendo a far partire un invito all’iscrizione direttamente dall’altare della chiesa, infine ha proseguito la sua opera di persuasione inserendosi di continuo nelle conversazioni (in mezzo ai crocchi) perorando la causa dell’associazionismo. Tutto inutile, Bragato si lamenta del fatto che nessuno si sia deciso ad iscriversi ed i rifiuti, evidentemente arrivati senza troppi giri di parole, sarebbero dovuti al fatto che le persone a cui l’invito è rivolto sono per lo più villici e artigiani che non possono permettersi di pagare la quota o che, pur potendolo, non sono propensi a fare sacrifici 84 Ibid. busta 3, fascicolo n. 385 Ibid. busta 5, fascicolo n. 96

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per la nobile causa del mutuo soccorso (scopo nobilissimo e sacro): la speranza è l’ultima a morire, qualcuno si potrebbe convincere in extremis, ma la missione darà comunque un esito molto inferiore alle aspettative.Questa lettera ci dice diverse cose interessanti sulle strategie di affiliazione dei veterani, in questo caso fuori dal capoluogo. A quanto pare il direttivo individuava un socio che per prestigio personale, conoscenze, appartenenza locale, autorità, avesse la possibilità di convincere gli ex combattenti di una certa zona ad iscriversi. L’incaricato a questo punto iniziava a muoversi nella sua realtà: poteva parlare con gli ex soldati prendendoli uno a uno oppure in gruppo, magari riesumando il vecchio rapporto cameratesco o di subordinazione gerarchica, oppure poteva cercare di persuadere all’iscrizione illustrando le attività e gli onori riservati ai soci, i privilegi, i sussidi, la pensione, il funerale solenne riservato a ciascuno. Se poi godeva di un prestigio tale da far passare in secondo piano l’anticlericalismo di fondo degli ex combattenti, poteva ottenere l’aiuto del parroco nel diffondere l’idea che il mutuo soccorso degli ex combattenti era cosa buona e giusta. E se l’aiuto dell’altare ancora non bastava, l’incaricato poteva mescolarsi alla gente nei crocchi, nelle osterie, alle feste e inserirsi nelle conversazioni perorando la causa dei veterani. La missione di Bragato però non va a buon fine, nessuno si iscrive. Le ragioni sembrano per lo più di tipo economico e culturale, le persone cui l’invito è rivolto sono contadini e piccoli artigiani a cui proprio non entra in testa di sacrificare parte di quel poco che hanno a favore del mutuo soccorso con gli ex combattenti di tutta la provincia. Bragato si dispiace: ciò che per lui è uno scopo nobilissimo e sacro non è tale per i suoi ex commilitoni di Piove di Sacco. Per gli abitanti della provincia, poi, ci sono alcune ragioni in più per non aderire alla società dei veterani di Padova: oltre alla quota annuale c’è l’obbligo di presentarsi a Padova almeno una volta l’anno per l’assemblea generale, ma ci sono anche le assemblee straordinarie che possono essere convocate in qualunque momento, il che può essere una bella seccatura, tanto più per il fatto che se i soci residenti a Padova non si presentano in numero sufficiente (almeno un quinto di loro)86

l’adunata viene annullata e deve essere ripetuta. I soci di Padova godono poi di uno status di fatto superiore rispetto ai soci di provincia: hanno la facoltà di proporre all’assemblea modifiche dello statuto, basta che ci siano 25 residenti in Padova disposti a farsi portavoce della proposta87, i provinciali possono solo limitarsi a votare a favore o contro. In seguito poi, la società inizierà a chiedere ai soci che abitano fuori dal capoluogo di indicare un altro socio residente a Padova che li rappresenti in città: non c’è scritto nello statuto ma la richiesta emerge dalla corrispondenza tra società e soci residenti fuori Padova. Perciò oltre alle difficoltà economiche ed alla diversità di vedute sulla nobiltà del mutuo soccorso, traspare anche una sottile forma di discriminazione tra soci padovani e non. E’ quasi certo che gli ex commilitoni di Bragato non avessero letto lo statuto: molti probabilmente erano analfabeti se davvero, come scrive il loro capitano, si trattava in massima parte di contadini e piccoli artigiani. Eppure per esperienza, diffidenza o realismo, potevano avere ugualmente sentore del fatto che in città sarebbero stati trattati da paria, veterani di serie B.

Una bussola

Per affrontare i 738 fascicoli personali dei soci iscritti alla società dei veterani di Padova è stato necessario dotarsi di una “bussola”: una griglia interpretativa nella quale inserire le notizie reperibili nei fascicoli in modo da poter dare una rotta alla navigazione in questo mare di informazioni. Una rotta flessibile, ovviamente, che consentisse di deviare di tanto in tanto di fronte a dati non sistematici e seriali ma che segnasse anche la direzione verso cui tornare dopo le inevitabili divagazioni. Quella che segue è la griglia prescelta:

86Statuto della società volontari veterani 1848-49, Art. 9, in Cenni storici p. 79, cit.87 Ibid. Art. 15

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Numero matricola

Cognome e nome

Data di nascita

Data di morte

Entrata in Ass.

Uscita dall’Ass.

Effettivo/Radiato

223403404416

Fabbiani CarloPavon AngeloBaitello GiovanniManeo Quinziano

1824182318261826

---12/07/189911/03/190829/05/1901

18/08/186831/12/186831/12/186802/12/1888

10/03/186912/07/189911/03/190829/05/1901

RadiatoEffettivoEffettivoEffettivo

Studi Professione Fatto d’armi

Corpo d’appartenenza

Grado Note Categoria professionale

---Analfabeta---Laurea

FacchinoDomesticoFalegnameIng. Militare

---Vicenza e Venezia---Venezia

L. Brenta e Bacch.Guardia mobileGuardia mobileCacciatori del Sile

MiliteCaporaleMiliteMilite

Fedina penale ------Consigliere

InservienteInservienteArtigianoMilitare

Quelle inserite in griglia sono le informazioni reperibili nella maggior parte dei fascicoli. Non sempre però, nello spoglio del singolo fascicolo, emergevano tutte assieme e, per quanto riguarda alcune di queste voci, le informazioni trovate al termine dello spoglio è risultata molto più scarsa rispetto ad altre, come si può osservare nel grafico seguente:

Spoglio fascicoli

0%

20%

40%

60%

80%

100%

120%

Mat

ricola

Nome

Data di n

ascit

a

Data di m

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Entra

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Fatto

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Corpo

Gra

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Catego

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rofe

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le

Le percentuali indicano la quantità di informazioni trovate per ciascuna voce in relazione al numero dei fascicoli. La punta massima è rappresentata dalla voce “Numero di matricola” dato presente in tutti i fascicoli. La punta minima è quella delle “Note” che prendono in considerazione solo un numero limitato di soci.Per migliorare la qualità e la quantità delle informazioni si è reso necessario cercare ulteriori notizie sui veterani uscendo dai fascicoli personali e andando a caccia di conferme e maggiori informazioni in altri due repertori: il registro mortuario della società88 e la raccolta delle orazioni funebri89. Attraverso questo supplemento di ricerca si è potuta verificare l’esattezza dei dati raccolti in precedenza e incrementare i risultati in maniera considerevole.

88ASPD: fondo “Società dei veterani”, busta 166 “Registro mortuario” 1869 - 189189 Ibid., buste 167 – 169

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Confronto dati

59%

15%

54%45%

54%60%

16%

69%

56%

69%

0%10%20%30%40%50%60%70%80%

Data di morte Studi Professione Fatto d'armi Categoriaprofessioale

Spoglio fascicoli Integrazione ricerca

Tuttavia, anche dove non si sono registrati incrementi importanti della quantità di dati, si sono avute ugualmente delle risposte interessanti, come vedremo nel paragrafo seguente.

Date di morte, titoli di studio: quello che le fonti (non) dicono

Il grafico “Confronto dati” evidenzia come l’integrazione della ricerca non abbia portato a miglioramenti significativi per quanto riguarda le informazioni delle voci “Data di morte” e “Studi”: le informazioni presenti nei fascicoli non sono molto distanti da quelle recuperabili altrove. L’esito della ricerca su queste due voci ci pone di fronte a due domande. La prima: perché i veterani, così attenti al culto dei morti, non hanno registrato il 40% delle date di morte dei loro affiliati? La seconda: possibile che solo al 16% di loro si possa attribuire un titolo di studio?Procediamo con ordine. La mancanza del 40% delle date di morte è legata al tasso di espulsioni: chi veniva radiato non vedeva più aggiornata la propria scheda personale, così i fascicoli dei soci allontanati tra il 1869 e il 1902 non ricevettero aggiornamenti se non in rari casi (come quello del maestro Berlese). Gli ex soci non venivano trascritti nel registro mortuario né erano oggetto di orazione funebre. I radiati nel corso dell’esperienza associativa dei veterani furono 244 su 738 soci totali, il 33% circa. Resta fuori un 7%, equivalente a poco meno di 50 persone: questa sono i soci ancora vivi dopo l’ottobre del 1912 che è l’ultima data di morte accertata nei fascicoli personali90. Il numero di 50 superstiti appare però un po’ troppo alto se si pensa che la società venne sciolta poco più di un anno dopo, tra il 1913 e il 1914, perché ridotta a meno di 20 soci. E’ vero che a quell’epoca i soci più giovani, come i fratelli Francesco e Cristoforo D’Agostini91 classe 1833 e 1834, potevano plausibilmente essere ancora vivi, avendo circa 80 anni. Ma per altri, più anziani, che risultano ancora iscritti oltre il 1912 c’è da nutrire qualche dubbio: probabilmente negli oltre 40 anni di vita del sodalizio, qualche nominativo era sfuggito qua e là ai curatori dei registri mortuari, soprattutto nell'ultimo periodo, quando a questa pratica venne riservata qualche cura in meno.Veniamo ora alla seconda domanda, quella sulla difficoltà di fissare il grado di istruzione dei soci: la voce che riguarda il titolo di “Studi” si è rivelata l’anomalia magnetica della bussola; è stato possibile attribuire una classificazione del tipo di studi o del grado di alfabetizzazione solo al 15,5% dei soci, cioè ad appena 117 veterani su 738: questo non significa che gli altri soci fossero tutti analfabeti, tutt'altro. Ma per capire meglio questa anomalia sarà utile analizzare con attenzione le informazioni a disposizione. La prima osservazione da fare è che la maggior parte delle notizie trovate riguarda i gradi più alti degli studi: i soci laureati risultano essere 86. Queste lauree sono state accertate in due modi: o era specificato nel fascicolo che il socio possedeva la laurea, oppure la si poteva assumere come dato implicito quando risultasse necessaria per svolgere la professione (medico, ingegnere, avvocato…). 90 Ibid., busta 5, fascicolo n. 11791 Nel 1848 dovevano avere rispettivamente 15 e 14 anni eppure dichiaravano di aver partecipato al Quarantotto e all’assedio di Venezia probabilmente nel ruolo di tamburini, compito assegnato ai più giovani. I fascicoli dei D’Agostini sono conservati nella busta 4 e sono il n. 62 e 63. Non si tratta degli iscritti più giovani, il primato spetta a Paolo Bognolo, classe 1836, anche lui a Venezia nel 1848-49 come tamburino della Legione Euganea, il suo fascicolo è nella busta 5 ed è il n. 112

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Per quanto riguarda invece il “grado zero” di istruzione, l’analfabetismo inteso come incapacità totale di leggere e scrivere, questo è stato attribuito ai 20 soci nel cui fascicolo si sono trovati documenti firmati con una croce. Per quanto riguarda i diplomati, 11 in tutto, si è attribuito questo status solo a coloro che dichiarassero esplicitamente il possesso di un diploma oppure esercitassero una professione tale da renderlo necessario (ragioniere, maestro di scuola…). Ciò però non esclude che esistessero persone che pur non dichiarandolo avevano un diploma, questo anche in considerazione del fatto che ci mancano i dati sulla professione svolta dal 31% dei soci. Il dato più ampio numericamente e più complicato da interpretare è quello dei 621 soci cui non è stato possibile attribuire un titolo di studio o una classificazione del grado di istruzione. In questo numero in realtà dovrebbero entrare alcuni tra quelli che pur avendo un diploma non lo dichiaravano, è il caso dei religiosi che facevano parte della società dei veterani: Luigi Rossetto, Benedetto Nappi, Giovanni Battista Tonelli e Sante Fretti92, essendo sacerdoti dovevano aver frequentato il seminario. Ugualmente è difficile credere che i rappresentanti della nobiltà nel cui fascicolo non fosse presente l’indicazione di un titolo di studio, né un documento che dimostrasse il loro grado di dimestichezza con la carta e la penna, fossero incapaci di leggere e scrivere; magari non tutti erano laureati come il marchese Osvaldo Buzzaccarini ma nemmeno si potevano classificare analfabeti solo perché il loro fascicolo risultava parco di informazioni. Un altro punto critico è rappresentato dal sottile e poroso confine che separa gli analfabeti da coloro che hanno un grado minimo di scolarizzazione: il socio che si fa redigere la corrispondenza da un’altra persona e poi sigla il foglio con una firma storta e tremolante è un anziano signore semianalfabeta o un anziano signore sfinito dall’artrosi? Spesso i fascicoli non forniscono elementi per azzardare una risposta. C’è poi differenza tra l’analfabeta che si firma con una croce e quello che ha imparato a scrivere il proprio nome ma che ugualmente ha bisogno dell’aiuto di altri per leggere e scrivere? E’ impossibile stabilire se dietro ad una firma sgangherata o ad una croce, ci sia o no la comprensione, almeno parziale, di quanto scritto da altri: ciò rende inutile anche solo tentare una divisione tra grado zero e grado uno di istruzione. Tenendo conto del contenuto dei fascicoli, di quello che doveva essere il sistema scolastico e delle varie tipologie di mestiere individuate, possiamo pensare a cinque livelli di istruzione: 1) analfabetismo assoluto, 2) capacità minima di lettura e scrittura, 3) persone che sanno leggere, scrivere e far di conto ad un livello più che elementare, 4) persone che possiedono queste capacità ad un livello di diploma, ed infine 5) il livello più alto, i laureati, il cui numero di 86 deve essere vicino alla realtà perché messo in risalto dalle fonti, reso evidente dal titolo di “dottore”, dalle carte intestate, dalla necessità per alcuni lavori di possedere la laurea. Nello spoglio dei documenti è stato automatico attribuire la laurea al primario in ospedale o all'avvocato, mentre è stato assai più difficile, quando non impossibile, accertare se l’impiegato di un ufficio avesse o no un diploma o se il calzolaio o il falegname sapessero leggere e scrivere e con quale abilità. Quest'ultima riflessione ci porta però un passo più avanti e invita a guardare al di là dei titoli di studio, delle croci, delle firme, per avventurarsi invece tra uffici e officine, strade e botteghe, ozi e negozi dei veterani padovani.

Le professioni dei veterani

Le voci “Professione” e “Categoria professionale” sono i due campi della ricerca che hanno tratto maggior beneficio dal supplemento di indagine di cui si parlava in precedenza. Grazie a questo sforzo ulteriore, le informazioni relative a queste voci sono aumentate del 15%. Il dato si traduce nella possibilità di attribuire al 69% degli iscritti alla società un’indicazione abbastanza certa non solo sull’ambito professionale ma addirittura sulla professione singola. Meglio ancora: la ricerca della professione singola (pizzicagnolo, miniatore, notaio, falegname, oste, tagliapietre…) è risultata molto più semplice rispetto alla suddivisione successiva in categorie più ampie (artigiano,

92 Ibid., buste 6, 9, 10, fascicoli n. 147, 153, 264, 293

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professionista, esercente…), questo perché alla voce “Professione” venivano registrate le occupazioni dei soci così come riportate nei fascicoli o nelle orazioni funebri. Ne risulta una costellazione di lavori in cui si incontrano professioni che talvolta coincidono o si somigliano: come il beccajo e il macellaio, il droghiere e il pizzicagnolo, il ciabattino e il calzolaio. Ci sono poi i lavori che si fanno in strada o porta a porta: Giuseppe Campello fa il negoziante girovago, Pietro Zamborlini, segnalato dalla Prefettura di Padova alla direzione dei veterani come “ubriaco non molesto”, preferisce definirsi negoziante ambulante, Giustiniano Bacco fa di mestiere l’ambulante, mentre Alessandro Bulegan e Antonio Ogniben si dicono commessi viaggiatori. Cambiano i termini ma il concetto resta quello. Non mancano i mestieri oggi scomparsi (cocchiere, fabbricante di carte da giuoco, suonatore di organetto) né le professioni ancora attuali (ingegnere, avvocato, farmacista). Per mettere ordine in questa galassia di professioni, lavori e mestieri si è resa necessaria una divisione in gruppi. Il risultato di questa operazione è visibile nella voce “Categoria professionale” che ha la stessa consistenza di dati della voce “Professione” (69%) tentando però di includere sotto la stessa etichetta più mestieri. Ecco l’elenco delle principali “etichette” individuate:

Artigiani falegnami, fabbri, calzolai, legatori di libri, materassai, cappellai…Inservienti camerieri, commessi, portinai, custodi, uscieri, bidelli…Professionisti avvocati, notai, ingegneri, medici, farmacisti, docenti d’università…Impiegati pubblici e privati, maestri, insegnanti, contabili, scritturali, segretari…Commercianti negozianti, esercenti, macellai, pizzicagnoli, droghieri, fruttivendoli…Pubblica sicurezza guardie daziarie, carabinieri, militari di carriera, medici militariOperai in bilico tra piccolo artigianato, lavoro dipendente, lavori pesanti… Alti funzionari prefetti, sindaci, magistrati, direttori d’ospedale…

Suddivisione che in termini di peso numerico si può visualizzare così:

Il "peso" delle professioni

102

86

71

51

48

47

36

11

Artigiani

Impiegati

Inservienti

Professionisti

Commercianti

Pubblica sicurezza

Operai

Alti funzionari

Facendo un rapido calcolo ci accorgiamo che mancano all’appello 286 professioni: 228 di queste (31%) non sono state trovate. Le restanti 58 (8%), presenti nella voce “Professione”, rappresentano situazioni difficili da collocare in una categoria più ampia, oppure fanno parte di una categoria professionale sottorappresentata: tra questi non collocabili, ad esempio, c’è Antonio Boscaro, agricoltore. E’ l’unico: altri contadini non ce ne sono, a riprova della difficoltà di affiliazione nelle campagne denunciate dal capitano Bragato nella sua lettera. Più problematica la posizione della nobiltà. Tra i soci, molti di coloro che potevano fregiarsi di un titolo nobiliare lo abbinavano ad una professione: il presidente Legnazzi, di famiglia nobile, si dichiarava ingegnere e docente universitario. Non era il solo: anche il socio Giulio Alberti, anche lui di nobili origini, dichiarava la professione di consulente amministrativo commerciale. Altri esponenti della nobiltà però non specificavano alcun lavoro: alcuni si dichiaravano possidenti, altri presentavano il solo titolo nobiliare: il socio Ferdinando Quagliatti si dichiarava Nobile, pensionato dal Re... rendendo difficile, se non inutile, un inserimento tra i lavoratori. Un’altra categoria di difficile collocazione è quella degli invalidi, presumibilmente cinque tra i soci. Tre si dichiaravano esplicitamente tali, come Giordano Trevisan che nelle carte del suo fascicolo si

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dice Invalido permanente a carico della moglie. Altri due invece sostenevano di essere maestri di scherma. Difficile credere che si trattasse di un lavoro vero e proprio: spesso capitava che a svolgere i ruoli di maestri di tiro, scherma e ginnastica fossero gli invalidi di guerra93, assegnare loro questi incarichi era un modo per farli sentire utili e consentir loro di arrotondare la pensione. Anche religiosi e politici (è il caso di Alberto Cavalletto o dell’ex ministro Giuseppe Gadda94) risultano difficili da inquadrare in una categoria professionale, sia perché il loro non è un lavoro ma, almeno nelle intenzioni, un servizio reso alla comunità, sia perché, ed è il caso dei politici, essi avevano spesso alle spalle la qualifica per svolgere un lavoro (Cavalletto era ingegnere) che però di fatto non facevano.Esaminate le eccezioni e spiegati i “vuoti” nell’indagine sulle professioni, possiamo tornare al peso delle categorie professionali all’interno dell’associazione; il grafico “Il peso delle professioni”, ci restituisce l’immagine di una società di ex combattenti in cui la categoria numericamente più presente è quella degli artigiani (102), seguita da impiegati (86), inservienti (71), professionisti (51), commercianti (48) e servizi di pubblica sicurezza (47). Ci sono poi gli Operai (36) ma si tratta di una categoria “spuria” in cui rientrano una serie di soci che si trovavano in situazioni lavorative che oggi diremmo umili o di fatica (muratore, mugnaio) talvolta vicine all’artigianato (vetraio soffiatore, stampatore). Altre volte però è il socio a definirsi operaio, come Pietro Milani, operaio in fonderia. L’ultimo gruppo per consistenza numerica è quello degli alti funzionari (11).Il dato che emerge da questi numeri è la prevalenza tra i soci di persone che svolgevano lavori manuali, di fatica, spesso subalterni (209 professioni sulle 510 trovate). A seguire si può individuare un gruppo mediano di impiegati, commercianti e tutori dell’ordine (181 su 510) ed un ultimo gruppo, più ristretto, di persone la cui professione o il cui incarico si collocava più in alto in una ideale scala di prestigio: i professionisti e gli alti funzionari (62 su 510). Semplificando le categorie professionali possiamo visualizzare questa “scala” come segue:

"Scala semplificata"

209181

62 58

41% 35% 13% 11%0

50

100

150

200

250

Fascia del lavoro manuale Fascia mediana Fascia delle Professioni Altri

Al timone della società

Un sodalizio che elegge attraverso il voto il proprio direttivo, quale composizione darà al suo organismo dirigente? Si rifletteranno in esso le fasce che abbiamo appena individuato oppure il gruppo dirigente si discosterà da queste proporzioni? Per rispondere è necessario illustrare il contenuto della voce “note” della griglia interpretativa. Questa voce contiene delle osservazioni sul 14% dei fascicoli personali visionati: tali osservazioni riguardano, da una parte, curiosità e dettagli che non rientravano nella griglia di ricerca ma che sarebbe stato un peccato tralasciare (come il fatto che il muratore Michele Schivi venisse multato 93FINCARDI, I reduci risorgimentali veneti e friulani, cit., p. 7594Giuseppe Gadda fu ministro dei Lavori Pubblici nel Governo Lanza, dal 1869 al 1871 quando venne sostituito. ASPD: fondo “Società dei veterani del 1848-49”, busta 8, fascicolo n. 199

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con 50 Lire di ammenda per essersi presentato ubriaco al funerale di un socio, o che il sellaio Antonio Carrozza morisse letteralmente di fame sulla pubblica via nel 1882) dall’altra, la voce “note” è servita per segnalare i soci che avevano all’interno dell’associazione una carica sociale a partire dal grado più semplice, quello di consigliere, passando poi ad un grado intermedio ovvero quello dei consiglieri membri di uno dei comitati interni (comitato pensioni e sussidi, comitato beneficenza) oppure dei consiglieri che venivano incaricati della revisione dei conti, infine un terzo settore di cariche quelle direttive, in cui erano concentrati i vertici del sodalizio. I soci cui è stato attribuito una carica risultano essere 73 (10% del totale), distribuiti come segue:

Per quanto riguarda i 31 consiglieri “semplici” è stato possibile risalire alla posizione professionale di 24 tra loro. La composizione della loro rappresentanza, tenendo conto della precedente divisione in “categorie professionali”, si può visualizzare così:

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"Composizione consiglieri" (1)

0 1 2 3 4 5 6

altro

impiegati

inserv ienti

artigiani

commericianti

operai

prof essionisti

Pubblica sicurezza

"Composizione consiglieri" (2)

0123456789

10

Fascia del lav oromanuale

Fasciamediana

Fascia delleProf essioni

27%

30%43%

Il direttivo

Presidenti, vice, segretari: 27%Membri di comi-tati: 30%Consiglieri: 43%

I numeri ci consegnano un sostanziale equilibrio: tra i consiglieri prevalgono, di poco, i rappresentanti delle categorie di “fascia mediana”: impiegati, commercianti, agenti di pubblica sicurezza (9 consiglieri) seguono i “lavoratori manuali”: artigiani, inservienti, operai (8 consiglieri) e chiudono i rappresentanti del mondo delle professioni (5 consiglieri). Due sono i rappresentanti fuori categoria: il possidente Antonio Rizzo e Antonio Massenz impresario edile. Purtroppo mancano i dati sul lavoro degli alti 7 consiglieri.Per quanto riguarda gli incarichi all’interno delle commissioni (assegnazione sussidi e pensioni, revisione conti, beneficenza) abbiamo 16 posizioni lavorative su 22 membri, i grafici seguenti cercano di fotografarne la composizione

Nei comitati e tra i revisori la componente “mediana” predomina con 10 rappresentanti, mentre latitano gli esponenti del lavoro manuale (solo 2), lo stesso vale per i professionisti (3). Nelle commissioni è presente anche un nobile, Girolamo Dolfin Boldù95, revisore dei conti.Andiamo infine a vedere i vertici del direttivo, composto dalla presidenza, dai vice presidenti e dalla segreteria. In queste cariche di primo piano si alternano in 20, per 15 di questi è stato possibile ricavare un’indicazione sulla professione.

"Com posizione pres identi, vice , segre tari" (1)

0 2 4 6 8

altro

alti funzionari

artigiani

commercianti

professionisti

pubblica sicurezza

95 Ibid., busta 8, fascicolo n. 202

24

"Composizione membri di com itato e revisori" (2)

0

2

4

6

8

10

12

Fascia lav oro mauale Fascia mediana Fascia Prof essioni

"Com posizione m em bri di comitato e revisori" (1)

0 2 4 6 8 10

altro

artigiani

commercianti

impiegatiinservienti

professionisti

"Com posizione pres identi, vice, segretari" (2)

0

2

4

6

8

10

Fascia del lavoromanuale

Fascia mediana Fascia delleprofessioni

Nelle cariche di vertice il predominio si sposta a vantaggio della fascia legata alle posizioni professionali più prestigiose (9 esponenti). La fascia mediana si riduce a 2 rappresentanti mentre l’unico artigiano svolge un lavoro manuale molto particolare, il legatore di libri96. Le professioni non inserite in categoria (“altro”) sono rappresentate da Alberto Cavalletto, presidente per un breve periodo, ingegnere per formazione ma uomo politico, Angelo Sacchetti, epigrafista, poeta e scrittore, che fu vicepresidente e dal nobile Francesco Lotto, anche lui vicepresidente. Presidenti oltre a Cavalletto furono: il sindaco di Padova, Andrea Meneghini, notaio, e l’ingegnere, professore e nobile Enrico Nestore Legnazzi, affiancato alla vice presidenza e poi sostituito da Antonio Griffi, medico. Tutti esponenti di categorie professionali molto lontane per prestigio, reddito e riconoscimento sociale, da quelle che andavano per la maggiore tra gli iscritti. La situazione cambia se si guarda alle cariche di seconda fila dove predominano i rappresentanti di quella che abbiamo chiamato “fascia mediana” mentre le tre “fasce” sono in equilibrio per quanto riguarda i semplici consiglieri. Considerando solo le professioni di cui siamo a conoscenza e guardando al direttivo senza dividerlo per consiglieri, membri di commissione e vertici ma nel suo insieme, l'immagine che se ne ricava è quella del prossimo grafico, intitolato “composizione del direttivo”, al di sotto della quale è ripetuta la “scala semplificata” delle professioni di tutti i soci. Il confronto permette di rispondere a quanto ci domandavamo all'inizio: quale la composizione del direttivo dei veterani di Padova?

Composizione del direttivo

0

5

10

15

20

25

Fascia dellavoro

manuale

Fasciamediana

Fascia delleProfessioni

Altro

"Scala semplificata"

209181

62 58

41% 35% 13% 11%0

50

100

150

200

250

Fascia del lavoro manuale Fascia mediana Fascia delle Professioni Altri

I tracciati dei due grafici non corrispondono, le proporzioni tra la composizione sociale e la composizione del direttivo non sono le stesse: la presenza numerica più alta all’interno del direttivo

96 Si tratta di Luigi Muller, classe 1828, che combatté il Quarantotto nel “Reggimento Unione Roma”. ASPD: fondo “Società dei veterani”, busta 12, fascicolo n. 384

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è quella dei lavoratori di “fascia mediana”, questa maggioranza relativa ha in mano però solo le commissione e i ruoli di controllo, mentre i vertici sono esclusiva del mondo delle “Professioni”: non esiste un presidente dei veterani che sia artigiano o impiegato; presidenti, vice e segretari sono cattedratici, medici, politici, notai, nobili.

Conclusioni

Le conclusioni che possiamo trarre da questa indagine su lavori e mestieri sono due, a mio avviso. La prima: prendendo come indicatore del posizionamento sociale la professione, vediamo come la maggioranza degli iscritti svolgesse una professione collocata nell’orizzonte del lavoro manuale. Si tratta di una maggioranza relativa perché un’altra grossa fetta degli iscritti si guadagnava da vivere in ruoli professionali posizionati ad un livello superiore di prestigio sociale, quelli che abbiamo definito di “fascia mediana” (impiegati, commercianti, insegnanti, agenti di pubblica sicurezza). C’è poi un numero molto meno consistente di soci che appartiene all’élite del mondo professionale: ingegneri, avvocati, notai, alti funzionari. Resta infine un gruppo, ancora più piccolo, composto da soggetti difficili da collocare nel nostro schema ma in un certo senso armonizzabili alle varie fasce (invalidi e disoccupati sono facilmente collocabili nei ceti più umili, sacerdoti, politici e nobili possono rientrare senza difficoltà nella buona società). Bisogna poi tener conto dei soci il cui mestiere ci resta ignoto; sono quasi un terzo del totale. La seconda conclusione è legata alla prima: a fronte di una composizione sociale in cui dominano i ceti medi e bassi, le posizioni di vertice nel direttivo sono occupate, invece, da esponenti dei ceti più alti. Esito atteso, ma non scontato: se i ruoli di vertice sono esclusiva del mondo delle professioni, la presenza della “fascia mediana” all’interno del direttivo risulta, se non maggioritaria, vicina ad esserlo, anche se relegata ai ruoli di controllo (commissioni, revisione dei conti). Nel tirare le somme dobbiamo però tener conto dei “vuoti” della ricerca, manca all'appello il 31% delle professioni e questo si ripercuote anche sull’analisi dei risultati che riguardano il direttivo: su 73 membri di questo abbiamo trovato la professione soltanto per 55 di loro: i “vuoti” si attestano anche nel gruppo dirigente attorno al 30%. La foto di gruppo che emerge dai numeri ci mostra un gruppo di uomini, per lo più appartenenti a strati medio bassi del mondo del lavoro urbano, cui si aggiunge un gruppo di professionisti, mediamente più colti, collocati ad un livello di prestigio professionale e sociale superiore: questi ultimi gestiscono il direttivo ai livelli più alti, lasciando però a chi sta uno scalino sotto di loro i ruoli di controllo ed un esiguo spazio di rappresentanza agli iscritti dei ceti più umili.

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