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Un parroco-fotografonel Piemonte rurale

Don Emilio Bellino(Savigliano, 1864 - Cinzano, 1920)

è stata un’originale figura di parroco, appas-sionato di fotografia, che per oltre un ven-tennio ha instancabilmente documentato, attraverso il suo obiettivo, il territorio della Collina Torinese e del Piemonte, lasciando-ci un patrimonio prezioso, da conoscere e divulgare.

tra Belle Époquee Grande Guerra

Comune di Cinzano

Il Piemonte ruralenelle fotografie di don Emilio Bellinoparroco di Cinzano 1890-1920a cura di Gianpaolo Fassino

I lavori agricoli nella cascina e nei campi, la vita religiosa, i giochi infantili e gli

svaghi degli adulti, le forme dell’abito tradizionale, l’architettura rurale, il paesag-gio, i mezzi di trasporto, la vita militare, sono alcuni dei temi sviluppati nel volume

attraverso lo sguardo fotografico di don Emilio Bellino (Savigliano, 1864 - Cinzano,

1920), originale figura di parroco, amateur photographer. Le oltre quattrocento

fotografie presenti nel libro – relative a Cinzano (Torino) e più in generale al terri-torio piemontese, ma non solo – contribuiscono a descrivere uno spaccato della so-cietà italiana in un cruciale momento storico, al trapasso fra Ottocento e Novecento.

L’avvento della modernità, da cui il parroco-fotografo pare sensibilmente attratto e

di cui sembra intuire le epocali trasformazioni future, lo spinge a documentare ana-liticamente il mondo rurale del proprio tempo attraverso l’utilizzo della fotografia.

Un inedito corpus di immagini che costituisce oggi, a distanza di un secolo dal-la sua realizzazione, una fonte etnografica preziosa per interpretare il Piemonte, la

sua agricoltura, i suoi paesaggi, la sua gente. Un patrimonio fotografico disperso

che viene per la prima volta organicamente raccolto e presentato in questo volume.

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La ricerca prosegueGli autori hanno posto la massima cura nel cer-care di descrivere in maniera dettagliata i sog-getti delle singole fotografie. Non sempre è però stato possibile individuare esattamente perso-ne, luoghi e situazioni. Pensiamo che il lavoro di ricerca su don Emilio Bellino e sulla sua attività di fotografo non sia esaurito con questa pubbli-cazione, ma che anzi essa possa dare impulso a ulteriori ricerche. Nuove informazioni potran-no arrivare dai lettori di questo volume, che sfogliandolo potrebbero avere l’emozione di ri-conoscere un proprio lontano parente o indivi-duare qualche scorcio che a noi non è stato pos-sibile identificare. Inoltre è probabile che altre fotografie di don Bellino siano ancora custodite in vecchi album fotografici o celate al fondo di qualche cassetto, non solamente a Cinzano. In-vitiamo pertanto i lettori ad una lettura – anzi ad una visione – attenta e partecipe delle foto-grafie realizzate da don Bellino, comunicandoci le informazioni che riterranno utili, a partire dal riconoscimento di luoghi, persone e contesti, in vista di futuri approfondimenti sull’opera foto-grafica e documentaria del parroco-fotografo. I lettori possono mettersi in contatto con il gruppo di lavoro che ha condotto la ricerca scrivendo a [email protected].

Il libroQuesto libro presenta per la prima volta il cor-pus fotografico realizzato da don Emilio Bellino sacerdote della diocesi di Torino e appassio-nato fotografo, attivo tra la fine del XIX secolo e i primi decenni del XX. Sono riprodotte oltre quattrocento fotografie provenienti dall’Archi-vio storico del Comune di Cinzano, dagli archi-vi delle parrocchie di Cinzano e di Moncucco Torinese, nonché da alcune collezioni private.Le fotografie di questo volume sono in gran parte inedite e vengono qui presentate per la prima volta al pubblico dei lettori nella loro complessità. Una piccola ma significativa sele-zione era stata presentata nel 2006 su “I Qua-derni di Muscandia”. Quella prima pubblicazio-ne ha avuto il merito di richiamare l’attenzione del pubblico e degli studiosi nei confronti della figura di questo sacerdote e della sua attività di fotografo dilettante, attivo nel territorio del-la Collina Torinese fra Ottocento e Novecento.Ogni fotografia è stata studiata da un gruppo di studiosi, ciascuno dei quali specializzato in un diverso settore, ed è corredata da una dettagliata didascalia che illustra il soggetto dell’immagine, ricostruendo in numerosi casi anche il contesto storico e culturale in cui lo scatto è stato realizzato o a cui comunque il soggetto dell’immagine fa riferimento. Osser-vando le fotografie e leggendo i commenti che le accompagnano il lettore è invitato a com-prendere come dietro all’immagine non vi sia solo la momentanea scena che essa rappresen-ta, ma un mondo più composito e complesso.

Testi e ricerche di:Davide Alaimo, Carlo Bosco, Marina Cappellino, Daniele Colciago, Gianpaolo Fassino, Achille Maria Giachino, Flavio Giacchero, Piercarlo Grimaldi, Silvia Mira, Franco Zampicinini.

Il mondo rurale piemontesenegli scatti

di un parroco di campagna:un grande libro illustrato

per conoscereil passato contadino

della Collina Torinesee del Piemonte

Un inedito corpus di immagini che costituisce oggi, a distanza di un secolo dalla sua realizza-zione, una fonte etnografica preziosa per inter-pretare il Piemonte, la sua agricoltura, i suoi pa-esaggi, la sua gente. Un patrimonio fotografico disperso che viene per la prima volta organica-mente raccolto e presentato in questo volume.

I lavori agricoli nella cascina e nei campi, la vita re-ligiosa, i giochi infantili e gli svaghi degli adulti, le forme dell’abito tradizionale, l’architettura rurale, i paesaggi, i mezzi di trasporto, la vita militare, sono alcuni fra i molti temi sviluppati nel volume attraver-so lo sguardo fotografico di don Emilio Bellino, par-roco della Collina Torinese agli inizi del Novecento.

Informazioni e prenotazioni: [email protected]

Comune di Cinzano

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Il Piemonte ruralenelle fotografie di don Emilio Bellino

parroco di Cinzano1890 - 1920

a curadi Gianpaolo Fassino

Comune di Cinzano

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Testi e ricerche di:

Davide Alaimo Carlo Bosco Marina Cappellino Daniele Colciago Gianpaolo Fassino Achille Maria Giachino Flavio Giacchero Piercarlo Grimaldi Silvia Mira Franco Zampicinini

Coordinamento editorialee progetto grafico

di Carlo Bosco

© di Davide Alaimo, Carlo Bosco, Marina Cappellino, Daniele Colciago, Gianpaolo Fassino, Achille Maria Giachino, Flavio Giacchero, Piercarlo Grimaldi, Silvia Mira, Franco Zampicinini per i testi.

© del Comune di Cinzano (To), della Parrocchia di Sant’Antonio Abate di Cinzano (To) e della Parrocchia di San Giovanni Battista di Moncucco Torinese (At) per le rispettive immagini.

I diritti di traduzione, riproduzione e adattamento totale o parziale e con qualsiasi mezzo - elettronico, meccanico, reprografico, digitale - sono riservati per tutti i Paesi ai sensi di legge (art. 171 della legge 22 aprile 1941, n. 633).

ISBN: 978-88-908150-1-0

Siamo su internet:www.ricerchedea.it

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IndiceIntroduzione del Sindaco di CinzanoIntroduzione dell’Assessore all’Istruzione e dell’Assessore all’Agricoltura della Regione PiemonteIntroduzione del Parroco di Cinzano

Il parroco di campagna che sapeva scrivere con la lucePrefazione di Piercarlo Grimaldi

Don Emilio Bellino parroco e fotografoGianpaolo Fassino

L’agricoltura collinare piemontese fra Unità d’Italia e Prima guerra mondiale:una lenta e complessa trasformazione verso la meccanizzazioneFranco Zampicinini

Testimone e committente: don Emilio Bellino e l’architettura cinzaneseDavide Alaimo

Saluti da Cinzano: don Emilio Bellino autore di cartolineDavide Alaimo

Don Emilio Bellino e la fotografia stereoscopicaDaniele Colciago e Gianpaolo Fassino

Abbigliamento popolare nella raccolta fotografica di don Emilio BellinoSilvia Mira

Catalogo delle fotografie di don Emilio Bellinoa cura di Gianpaolo Fassino e Franco Zampicinini

La collezione fotografica di don Emilio BellinoDavide Alaimo, Gianpaolo Fassino e Franco Zampicinini

D Lavori agricoliD Lavori femminiliD Lavori di costruzioneD SvaghiD Mezzi di trasportoD Luoghi ed edificiD Viaggi reali e viaggi immaginariD Famiglie, uomini e donneD BambiniD Preti e suoreD Militari

Gli alberi genealogici delle famiglie ritratte nelle fotografiedi Gianpaolo Fassino e Carlo BoscoAlbero genealogico della famiglia BellinoAlbero genealogico delle famiglie Capriolo di CinzanoAlbero genealogico delle famiglie Cassina, Pullino e VignaAlbero genealogico della famiglia RossottoBibliografiaGli AutoriRingraziamenti

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Introduzione del Sindaco di Cinzano

A distanza di alcuni anni dal ritrovamento dei negativi fotografici realizzati da don Emilio Bel-lino, parroco di Cinzano a cavallo tra il XIX e il XX secolo con tecniche fotografiche sicuramente inno-vative ma ancora poco diffuse in quell’epoca, è stato dato alle stampe questo volume che, riteniamo, di notevole importanza storica non soltanto a livello locale.

“Le colline della tradizione” ha origini lontane. Inizia, infatti, a prendere corpo già in quei giorni di oltre dieci anni fa col reperimento di oltre trecento lastrine di vetro presso un antiquario della zona, identificate come parte integrante della collezione del parroco-fotografo, il quale, a tutti gli effetti, va considerato come un autentico pioniere di quell’arte fotografica che si sarebbe imposta nel tempo come irrinunciabile strumento di comunicazione.

L’acquisizione di questo patrimonio da parte del Comune di Cinzano, economicamente suppor-tata da contributi regionali, ne permise la catalogazione e la conservazione presso l’Archivio Storico Comunale, evitandone la dispersione attraverso la miriade di canali commerciali dei vari collezionisti. Già allora il progetto di pubblicare, e quindi presentare al vasto pubblico di studiosi e semplici lettori, un volume con le pregevoli immagini ottenute con ponderate inquadrature da don Bellino, venne posto come obiettivo primario nel panorama culturale del nostro territorio, fiero di presentarsi, attraverso pagine di straordinario splendore, nelle sue vesti originali: quelle appartenenti ad un mondo contadino indissolubilmente legato alla sua identità collinare e alle sue tradizioni.

Grande merito per il compimento di questo lavoro va attribuito a Flavia Di Bartolo, per dieci anni membro dell’Amministrazione Comunale, di cui cinque come Assessore alla Cultura. Abbiamo il dovere di ringraziarla non solo per l’attività istituzionale che in tanti anni l’ha portata a dedicarsi con perizia e tenacia agli aspetti e agli eventi culturali del nostro comune, ma anche, e in questo momento va sottolineato in modo particolare, per aver creduto, lei per prima, alla possibilità di poter diffondere attraverso un libro fotografico le immagini di un’epoca di grande fascino, lontana soltanto nel tempo.

Ringraziamo inoltre il curatore dell’opera Gianpaolo Fassino e tutti gli altri autori che su queste pagine hanno profuso passione e competenza.

Ringraziamo infine tutti coloro, e sono tanti, che quest’opera l’hanno attesa per lungo tempo. Tempo dedicato a lunghe e minuziose ricerche che hanno consentito di allegare alle fotografie, già di per sé eloquenti testimonianze, dettagliate didascalie, e di arricchire il volume di saggi di grande valore storico e documentale.

Con grande soddisfazione invito quindi il lettore ad accostarsi a queste pagine con la consapevo-lezza che non vi troverà soltanto una mera rievocazione di un mondo passato che non c’è più, ma anche un’allettante panoramica su quelle che sono le nostre radici.

Delfino Casalegno

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Introduzione dell’Assessore all’Istruzionee dell’Assessore all’Agricoltura

della Regione Piemonte

La Collina Torinese è indubbiamente uno degli ambiti territoriali forse più interessanti e allo stesso tempo sconosciuti del Piemonte. Essa domina, fra Superga e Cavoretto, la città di Torino, capo-luogo regionale, da cui prende il nome. In realtà si tratta di un territorio molto più vasto, articolato e complesso, che dalle propaggini dell’altopiano di Poirino, fra Cambiano e Trofarello, si allarga, da un lato lambendo il corso del Po e toccando Torino, dall’altro sfiorando la città di Chieri per poi spingersi, fino a confondersi, con le colline dell’Astigiano e del Monferrato.

Claudio Magris ha sapientemente descritto la Collina Torinese, inserendola nei suoi Microco-smi, presentandola come un luogo dell’anima, un territorio in cui perdersi, un mondo da esplorare con tranquillità ed emozione. “Il viaggio in Collina - ha scritto il narratore triestino - non segue il tracciato rettilineo del tempo e della sua freccia irreversibile, ma va a zig zag, sabotando il tempo, gettandolo via e ritrovandoselo in mano come il disco di un yo-yo”.

Il libro Le colline della tradizione - Il Piemonte rurale nelle fotografie di don Emilio Belli-no parroco di Cinzano 1890-1920. Il Piemonte rurale nelle fotografie di don Emilio Bellino raccoglie per la prima volta il vasto e inedito corpus fotografico realizzato nella Collina Torinese da don Emilio Bellino, per un trentennio parroco di Cinzano, una piccola località che possiamo geograficamente e idealmente immaginare come il cuore di questo territorio, baricentrica fra Torino, Chieri e Chivasso.

L’occhio fotografico di don Bellino, figlio di una famiglia della intraprendente borghesia di Savi-gliano, sembra voler descrivere, quasi a cerchi concentrici, il piccolo mondo del Piemonte del suo tempo. A partire dalla cascina parrocchiale, dal suo stesso cortile di casa, egli allarga infatti via via lo sguardo ad altri centri della Collina: Bardassano, Rivalba, Castiglione Torinese, Casalborgone, Castagneto Po e Marentino sono solo alcuni dei luoghi immortalati nelle fotografie raccolte in questo libro. Questo parroco d’altri tempi sa uscire dagli stretti confini della sua parrocchia e rivolge il suo obbiettivo inda-gatore a Torino, dove si sofferma sul patinoire del Valentino e sul Borgo Medievale, per poi attraver-sare il Piemonte, di cui documenta angoli sconosciuti, come l’imbocco del Canale Ceronda a Venaria Reale, e financo remoti, come erano all’epoca alcuni luoghi delle Alpi piemontesi, addentrandosi nelle pendici della Valle del Tesso, dove fotografa la borgata Fornelli di Monastero di Lanzo e lo scenografico borgo alpino di Chiaves. La voglia di conoscere luoghi per lui inesplorati (brama comune al fratello, il cavalier Ernesto Bellino, impegnato nella costruzione del Canale di Panama) lo porta infatti anche all’estero, come documentano fra le altre le fotografie del porto di Marsiglia e quelle delle cascate di Schaffhausen. Un’attenzione che ci piace immaginare anche come il segno, da parte di questo figlio del Piemonte profondo - e più in generale della comunità di Cinzano, che lui ha per tanti anni guidato e rappresentato - di una antesignana ed autentica apertura all’Europa.

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Il territorio della Collina Torinese, che questo libro racconta per immagini, si presenta oggi come un territorio vocato all’agricoltura, e in particolare ad una agricoltura di qualità. Le piccole produzioni agricole – quelle orticole e vitivinicole in particolare, ma non solo – che caratterizzano questo lembo di Piemonte sono l’esito di un secolare sviluppo che ha bisogno di essere raccontato e documentato, anche per poter restituire alle produzioni tipiche tutta la profondità storica e mitica che le caratterizza. In que-sta prospettiva il lavoro di raccolta iconografica di don Bellino appare essere precursore di sensibilità etnografiche che sarebbero poi maturate in Italia solo nei decenni seguenti, un lavoro fotografico prezio-so volto a documentare tassonomicamente i diversi lavori agricoli che scandivano la vita in cascina. Un archivio fotografico di notevole importanza che, descrivendo il passato di un territorio, fornisce anche conoscenze utili per progettarne il presente e per immaginarne il futuro.

Don Bellino però non è solo un osservatore del mondo rurale, ma egli stesso ne è protagonista, parte di quel mondo di “parroci agronomi”, che si impegnano, fra Otto e Novecento, a modernizzare l’agricoltura delle proprie comunità con l’esempio, l’istruzione, il sostegno. Valgono senz’altro anche per don Bellino le icastiche parole con cui Claudio Magris ha dipinto un coevo parroco della Collina Torinese: “Filosofo, Latinista, Enologo”. Da una divertente poesia d’occasione, pubblicata in questo stesso volume, veniamo a sapere che don Bellino nell’arco di un ventennio riuscì a quintuplicare la resa vinicola della cascina parrocchiale: “Ci racconti il prevosto quante brente / di vino radunava in sua cantina: / – di poco oltrepassava la ventina – / mentre oltre cento contane al presente”. Una capacità organizzativa e culturale, quella del parroco Bellino, che egli mise a disposizione dell’intera comunità, promuovendo la nascita di istituzioni benemerite, quali l’asilo infantile e la società mutua cooperativa di assicurazione contro gli incendi.

Don Bellino appare quindi consapevole che, nel momento in cui l’agricoltura, e con essa la so-cietà rurale che la incarnava, si avviava inesorabile a una lenta quanto epocale trasformazione, era necessario documentarla, perché quel mondo, che per secoli aveva caratterizzato il Piemonte collinare, non venisse del tutto dimenticato dal sopravanzare della modernità, di cui pure don Bellino sembra avvertire potentemente il fascino, come dimostrano ad esempio le fotografie che egli fa alle trebbiatrici, alle biciclette, ai motocicli e alle automobili.

L’archivio delle lastre fotografiche di don Emilio Bellino, ricomparso alcuni anni fa sul mercato antiquario dopo decenni di oblio, venne acquisito dal Comune di Cinzano, grazie al sostegno della Re-gione Piemonte, per far sì che un patrimonio storico-antropologico così delicato e prezioso non venisse disperso e rimanesse a disposizione della comunità di Cinzano e del territorio. Da quel primo intervento ne sono discesi altri: dapprima la necessaria catalogazione archivistica, poi l’avvio della ricerca, con-dotta da un gruppo di studiosi, sapientemente coordinati da Gianpaolo Fassino, e i cui esiti scientifici vengono ora offerti in questo volume. Le diverse competenze dei ricercatori che hanno partecipato al lavoro d’indagine hanno fatto sì che le fotografie di oltre un secolo fa ora possono tornare a narrare le storie di un microcosmo collinare che immaginavamo dimenticate, e che invece si rivelano, attraverso le belle pagine di questo libro, ancora vive e stimolanti per l’oggi e il domani.

Gianna PenteneroAssessore all’Istruzione, Lavoro, e Formazione Professionale della Regione Piemonte

Giorgio FerreroAssessore all’Agricoltura, Caccia e Pesca della Regione Piemonte

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Sono trascorsi ormai novantacinque anni da quando è mancato don Emilio Bellino, parroco di Cinzano dal 1890 al 1920: quasi un secolo, un tempo lungo, che supera la memoria dei viventi, un periodo sufficiente a farne scivolare la figura nell’oblio. I parrocchiani più anziani, se interrogati, ricor-dano ancora bene la figura e l’opera di don Carlo Bonaudo (parroco dal 1928 al 1961) e di don Fran-cesco Ferrara (parroco dal 1962 al 2000), i due sacerdoti che hanno guidato la parrocchia di Cinzano per buona parte del Novecento. Già don Levrino, parroco dal 1920 al 1928 sfugge al ricordo di molti cinzanesi, ancor di più quindi può apparire debole e lontana la memoria di don Bellino. Eppure questo sacerdote è meritevole del ricordo della nostra comunità parrocchiale per il suo ricco ministero, prestato ai cinzanesi in decenni non facili, quando l’Italia si trovava a vivere grandi difficoltà sociali, economiche e politiche, culminate nella Prima guerra mondiale, quella che il pontefice di allora, Benedetto XV, non esitò a definire “lo spettacolo mostruoso”, “lo spaventoso flagello”, “l’orrenda carneficina”, “il suicidio dell’Europa civile”, “l’inutile strage”. Fu una pagina tristissima per la storia dei popoli e delle nazioni; anche Cinzano fu funestata da numerosi lutti, come ci ricorda la lapide che, proprio di fronte alla Par-rocchia, ne perpetua i nomi: Giuseppe Bertello, Luigi Bertello, Michele Cappone, Giacinto Cassina, Giovanni Destefanis, Luigi Elia, Antonio Orgiazzi, Giuseppe Rossotto, Luigi Rossotto, Giuseppe Va-retto e Giovanni Zeppegno. Erano tutti giovani nati fra il 1886 e il 1897, ragazzi che don Bellino ben conosceva, avendoli visti crescere fin dalla più tenera età. È difficile per noi oggi immaginare il dolore non solo di un parroco, ma di una intera comunità per la morte repentina e incomprensibile di questi suoi giovani figli. Mi piace immaginare questo mio predecessore intento in quegli anni ad asciugare le lacrime delle madri inconsolabili e a lenire le ferite nel cuore afflitto dei padri.

Scorrendo le pagine di questo libro emergono anche altri meriti che contribuiscono a rafforzare il ricordo e la stima per don Bellino. Fu lui a costruire nel 1911 la nostra bella casa parrocchiale, un moderno edificio funzionale che rese più comodo il ministero ai suoi successori. Se indubbiamen-te don Bellino fu un “parroco costruttore”, ed anche un bravo agronomo, come documentano molte carte dell’archivio storico parrocchiale, allo stesso tempo fu un vero sacerdote di Cristo, per trent’anni impegnato soprattutto a far crescere spiritualmente la comunità di Cinzano, che gli era stata affidata dall’arcivescovo Gaetano Alimonda. Come molti preti della sua generazione, sulla scia del magistero pontificio di Pio IX e di Leone XIII, don Bellino fu un apostolo della devozione a San Giuseppe, in cui onore promosse la costituzione della Compagnia della Buona Morte sotto il titolo di Gesù Mo-rente e M.V. Addolorata e sotto la Protezione di S. Giuseppe, eretta nella chiesa parrocchiale di Cinzano il 10 marzo 1896. Un sodalizio religioso che dietro ad una denominazione lunga e complessa, tipica della spiritualità del tempo, nascondeva il suo grande amore e devozione a Gesù, alla Madonna Addolorata, nonché il riconoscimento del patrocinio potente presso Dio di San Giuseppe. L’archivio storico della parrocchia testimonia, attraverso gli elenchi degli iscritti alla Compagnia, quanto bene e quanta grazia sia scaturita per tutto il Novecento da questa bella iniziativa di spiritualità e di preghiera così fortemente voluta da don Bellino. Altrettanto intensa appare la devozione mariana di don Bellino, testimoniata in queste fotografie dalle immagini relative al santuario della Madonna delle Grazie di

Introduzione del Parroco di Cinzano

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Villanova d’Asti, a quello di Notre-Dame de la Garde a Marsiglia e al pellegrinaggio a Lourdes, la cui Grotta egli volle poi ricostruire a ridosso della chiesa di Sant’Antonio, nel cuore di Cinzano, a beneficio e devozione di tutti i suoi parrocchiani. Una preziosa eredità spirituale che, seppur in forme mutate dal differente contesto del tempo presente, trovo tuttora viva nel cuore dei cinzanesi, segno che il seme gettato oltre un secolo fa da don Bellino ha germogliato e dato buoni frutti.

Scorrendo le immagini che sostanziano questo interessante volume fotografico, ognuno potrà realizzare il proprio personale percorso di lettura: i cinzanesi vi potranno ritrovare luoghi conosciuti, talvolta oggi notevolmente trasformati, e ricercare i volti di persone di cui si è sentito talvolta echeggiare il nome - come è sicuramente il caso dell’ingegner Giovanni Cassina, commemorato a Cinzano anche da una via, per lunghi anni sindaco e amico caro di don Bellino - fino magari a riconoscere il volto di qualche trisavolo. I non cinzanesi osservando queste fotografie potranno invece trovare altri motivi di interesse: i lavori agricoli immortalati dall’occhio fotografico di don Emilio Bellino costituiscono indub-biamente una preziosa testimonianza il cui valore storico e antropologico va ben al di là del piccolo ter-ritorio parrocchiale, documentando forme e pratiche di vita proprie del mondo contadino che ritroviamo in tutto il Piemonte e non solo. Personalmente, come sacerdote e come parroco, percepisco ed apprezzo, attraverso le fotografie di don Bellino, quanto egli abbia coltivato l’amicizia e la condivisione con i suoi confratelli nel sacerdozio, a partire in primis da quelli attivi nelle parrocchie circonvicine: Casalborgone, Rivalba, Bardassano, Marentino, Moncucco, Vergnano...

Le oltre quattrocento fotografie che compongono il volume erano un patrimonio fragile e disperso (provengono dall’archivio storico del Comune di Cinzano, nonché dagli archivi storici delle parrocchie di Cinzano e di Moncucco), come disperse e frammentarie erano le notizie che riguardavano don Bel-lino e i numerosi soggetti delle sue fotografie. Si è lavorato con impegno e lungamente perché questo patrimonio di storia e di vita comunitaria trovasse unità all’interno di questo libro, ed il risultato editoriale, promosso e sostenuto dall’Amministrazione comunale di Cinzano, conferma che l’obiettivo prefissato è stato oggi pienamente raggiunto. Si tratta di un lavoro di ricerca prezioso, per il quale la comunità parrocchiale è riconoscente agli studiosi che hanno messo a disposizione il proprio tempo e le proprie competenze scientifiche per dare nuova voce e nuova vita alle fotografie di don Emilio Bellino. Ho avuto modo nel corso di questi anni di seguire la nascita e la crescita di questo libro, in occasione delle frequenti visite del curatore e degli altri studiosi che hanno partecipato alla redazione dei testi agli archivi storici delle parrocchie di Cinzano e di Moncucco (dove il prevosto don Giuseppe Francesetti, fraterno amico di don Bellino, conservò preziose carte e fotografie del parroco di Cinzano). Posso quindi testimoniare personalmente di quanto sia stato un percorso d’indagine lungo e complesso quello che ha portato oggi al risultato di questo libro. Una ricerca minuziosa, sostanziata dalla ricerca anche di “piccole” notizie che non meritavano di essere dimenticate.

Mi vengono alla mente le parole di Gesù che, dopo aver operato il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci, ordina agli Apostoli “Colligite quae superaverunt fragmenta, ne pereant”, “Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto” (Giovanni 6, 12). L’invito di Gesù a che “nulla vada perduto” può essere letto come il dovere per ciascuno di noi a “fare memoria”, in modo che il tempo passato non venga dimenticato e lasciato cadere nell’oblio. Il progetto fotografico di don Bellino, volto anche e soprattutto a documentare la quotidianità del lavoro, la fatica del vivere, icasticamente documentata da volti stanchi e mani callose, mi pare possa essere interpretato come una sorta di ere-dità spirituale lascataci affinché anche le storie degli umili, che ai nostri occhi distratti possono talvolta anche apparire insignificanti, siano salvaguardate e protette.

Cinzano, 7 ottobre 2015 - Madonna del RosarioDon Silvano Canta

Parroco di Sant’Antonio Abate in Cinzano

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Il mondo contadino nel momento del pas-saggio alla modernità dimostra, quindi, di avere una straordinaria capacità di acquisire e impiegare via via i più moderni ritrovati della tecnica, ogni qual volta essi si rivelano utili ed efficaci, senza peraltro abbandonare comple-tamente i gesti e le pratiche tramandati da una secolare cultura di impianto orale, come attesta il perdurare dei saperi connessi alla

Prefazione

Il parroco di campagnache sapeva scrivere con la luce

di Piercarlo GrimaldiRettore dell’Università degli Studi di Scienze Gastronomiche

Il mondo contadino della tradizione viene spesso superficialmente immaginato e de-scritto come un mondo monolitico domina-to dal conservatorismo, dalla scarsa capacità di innovazione, chiuso alle influenze, anche positive, che possono arrivargli dall’esterno. L’indagine condotta in Piemonte dall’onore-vole Francesco Meardi all’indomani dell’uni-tà d’Italia, nell’ambito della grande inchiesta agraria diretta da Stefano Jacini, a più ripre-

se, ci presenta gli agricoltori piemontesi “te-naci alle inveterate pratiche” (Meardi, 1883, p. 415), salvo però precisare che essi “benché diffidino delle innovazioni, non disprezzano il buon esempio, anzi lo seguono, quando l’e-sperienza ne abbia dimostrata l’utilità” (Mear-di, 1883, p. 235). È quanto si può constatare con la fortuna che ebbe la meccanizzazione agricola, a partire dalla straordinaria e preco-ce diffusone delle trebbiatrici:

“Quantunque gli agricoltori in genere siano molto restii alle innovazioni, e parchi nello spendere capitali, pur tuttavia le buone macchine finiscono per farsi strada fra essi; lo prova appunto la diffusione delle trebbiatrici e dei ventilatori per granaglie, che per il loro buon lavoro, ed il non grave costo, sonosi molto diffusi nelle nostre campagne. Lo stesso avverrà pure delle altre macchine, quando il loro perfezionamento sia giunto al punto da fare un buon lavoro senza eccessive cure, e quando il loro prezzo sia tale che ne divenga sensibile la convenienza. Alcuni attribuiscono la causa della difficile diffusione fra noi delle macchine agrarie, al loro prezzo elevato ed al basso livello della istruzione agraria dei nostri coltivatori. Non neghiamo che queste due cause possano in parte contribuire a ritardare i progressi della meccanica agraria; ma non dubitiamo di asserire che vi avrebbero minor influenza, se altri più potenti ostacoli non vi si frap-ponessero; tant’è vero che le trebbiatrici a vapore, le più costose e le più complicate delle macchine agrarie furono in pochi anni generalmente adottate ed anche acqui-state in proprio ed esercitate dagli stessi contadini, perché esse furono riconosciute di un’incontestabile utilità pratica” (Meardi, 1883, pp. 271-272).

luna, a quelli magico-religiosi o a quelli delle unità di misura. Un cultura che ancora oggi sincretizza saperi lontani tra di loro nello spa-zio e nel tempo, ad esempio quando consulta con apprensione il meteo sullo smartphone nei giorni che precedono la vendemmia, ma si getta un’occhiata sull’almanacco per veri-ficare quando sarà la luna piena, così come si acquista dal notaio un nuovo terreno misu-

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Don Emilio Bellino è una originale figura di parroco e amateur photographer che segna, con la sua attività di documentazione foto-grafica, una pagina importante nella storia della fotografia di ambito etnografico. Le sue oltre quattrocento fotografie - relative a Cin-zano (Torino) e, più in generale, al territorio piemontese, ma non solo - contribuiscono a descrivere uno spaccato della società italiana in un cruciale momento storico, al trapasso fra Ottocento e Novecento. L’avvento della modernità, da cui il parroco-fotografo pare sensibilmente attratto e di cui sembra intuire le epocali trasformazioni future, lo spinge a documentare analiticamente il mondo rurale del proprio tempo attraverso l’utilizzo del-la fotografia. Il suo quotidiano e prolungato lavoro ha sedimentato negli archivi locali un inedito corpus di immagini che costituisce oggi, a distanza di un secolo dalla sua rea-lizzazione, una fonte etnografica preziosa per interpretare il Piemonte, la sua agricoltura, i suoi paesaggi, la sua gente.

L’attività fotografica di don Bellino si può collocare all’interno di una diffusa sensibilità, al tornante del Novecento, verso la cultura e il mondo popolare. Una sensibilità che in Italia ebbe tra i suoi massimi esponenti Lamberto Loria e Aldobrandino Mochi, i quali nel 1906, in vista della grande Mostra di Etnografia italiana allestita a Roma nell’ambito dei fe-steggiamenti del 1911 per il Cinquantenario dell’Unità d’Italia (Puccini, 2005), invitavano a “illustrare con la fotografia le persone e le cose, i costumi, gli atteggiamenti, le espres-sioni, ecc., tutto quanto riguarda la vita fa-miliare e sociale, quindi le cerimonie civili e religiose, le arti, le industrie, i commerci, gli animali domestici e quanto ad essi si riferi-sce, come bardature, attacchi, veicoli, ecc., le

Don Emilio Bellinoparroco e fotografo

di Gianpaolo Fassino

abitazioni ritratte all’interno e all’esterno, le botteghe, i mobili, gli utensili e tutto quanto può avere qualche interesse per lumeggiare particolari forme di abitudini e modi di attivi-tà. Quando non si tratti di cose inanimate o di natura morta raccomandiamo le istantanee, ottenute per quanto è possibile di sorpresa, perché nelle persone fotografate non abbia-no a notarsi movimenti od atteggiamenti in-tenzionali” (Loria, Mochi, 1906; cfr. Criscen-ti, D’Autilia, 1999, pp. 71-72; Cazzola, 2000, p. 42). Questo auspicio, volto all’utilizzo del mezzo fotografico quale strumento primario per la raccolta di documentazione etnografi-ca, venne recepito ed attuato, nel Piemonte di inizio Novecento, da alcuni fotografi che si impegnarono a documentare – più o meno intenzionalmente – condizioni di vita, mestie-ri, attività artigianali, attrezzi del mondo con-tadino, attuando quanto Loria andava soste-nendo in quegli stessi anni sia con la propria riflessione teorica che con la sua personale ricerca di terreno (Barberani, 2003). Si tratta sovente di “dilettanti-fotografi” (espressio-ne con cui peraltro lo stesso Loria si autode-finiva), figure quali ad esempio Alessandro Roccavilla, Clementina Corti, Grat Éloi Ronc (quest’ultimo attivo nella vicina Valle d’Aosta) e, non ultimo, don Emilio Bellino: tutte figure che meritano di entrare nella storia più vasta degli studi demoetnoantropologici, precur-sori del più sistematico e complessivo lavo-ro di documentazione della vita del mondo popolare, non solo piemontese, condotto nei decenni immediatamente seguenti dal lingui-sta ed etnografo svizzrero Paul Scheuermeier (1921-1932) (Albera, Ottaviano, 1989; Trive-ro, 2006; Peyrot, 2012; Canobbio, Telmon, 2007-2008). L’appartenenza al clero diocesa-no di don Bellino non deve stupire, in quanto

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1. PremessaNel ricco repertorio fotografico di don Emi-

lio Bellino particolare rilevanza rivestono i tanti scatti dedicati alle attività agricole, che esem-plificano efficacemente lo stato in cui versava l’agricoltura collinare piemontese tra fine Ot-tocento e i primi decenni del Novecento. Il parroco seguiva certamente con attenzione l’andamento della cascina del Beneficio, con-dotta a mezzadria1 e che, seppur di modesta dimensione, rappresentava la più importante fonte di reddito per il proprio sostentamento2. Il Beneficio si estendeva, a fine Ottocento, su una superficie di quasi 27 giornate, suddivisa in prati (20,58%), campi (31,16%), vigna (26,94%), gerbidi (3,74%), bosco (17,58%)3. Nei campi venivano coltivati frumento, biada e meliga;

L’agricoltura collinare piemontese fra Unità d’Italia e Prima guerra mondiale: una lenta e complessa trasformazione

verso la meccanizzazionedi Franco Zampicinini

l’uva veniva in parte venduta e in parte vinifica-ta (con la successiva vendita del vino non oc-corrente per il consumo famigliare)4. Una certa rilevanza avevano anche i noccioleti5.

Le fotografie di don Bellino permettono di ripercorrere l’intero ciclo dell’annata agraria: dalla preparazione del letto di semina, alla fal-ciatura e mietitura, dalla trebbiatura alla ven-demmia e vinificazione. Sono documentati, inoltre, tipici lavori che coinvolgevano princi-palmente le donne, come l’allevamento del pollame, la cura dell’orto, il pascolo del be-stiame. Costituiscono una preziosa testimo-nianza di quel mondo rurale che, nelle aree marginali, è rimasto immutato per secoli, per poi subire un repentino e profondo cambia-mento a partire dagli anni Sessanta del Nove-

1 Nellecampagnepiemontesifinoall’iniziodeglianniSessantadelNovecentoeraassaidiffusoilpattodimezzadria,uncontrattoagrariocolqualeilproprietariodiunacascinaeunagricoltoresiassociavanoperlacoltivazionediunpodere,dividendoingenereametàiprodottielespese.IpiùantichicontrattiassimilabiliallamezzadriarisalgonoalIXsecolo,tuttaviafusolofrailXIVeilXVsecolochequestaformadiconduzionesidiffusespecienell’Italiacentrale,maancheinPiemonte.FinoainizioOttocentolaconduzioneamezzadriarisultavafavorevoleaicoloni,cheavevanoadisposizioneampieareeverginidamettereacoltivazione,poinelcorsodelNovecentol’aumentodemografico,ilmancatoincremen-todellereseproduttiveunitarieelaparcellizzazionedellaproprietàterrieracambiaronoradicalmentelasituazioneafavoredeiproprietarifondiari.Questiultimi,infatti,peraumentarel’utileeranointeressatiadaffidareadognifamigliaunaminoresuperficiediterradacoltivare.LasituazionepeggioròprogressivamenteperimezzadrieportòneglianniSessantadelsecoloscorsomoltidiquestiall’esododallecampagneversoleareeurbaneindustrializzate.Nel1964laleg-gen.754vietavalastipuladinuovicontrattidimezzadriaenel1982laleggen.203convertivaicontrattidimezzadriaancorainessereincontrattidiaffitto.

2 Peralcuniriferimentisuibeneficiparrocchialinell’areacollinarecfr. Zampicinini,incorsodipubblicazione.3 ArchiviostoricodellaParrocchiaSant’AntonioAbatediCinzano,Copiadellarelazionepresentataall’UfficiodelRegi-strodiGassinoil23febbraio1893.

4 ArchiviostoricodellaParrocchiaSant’AntonioAbatediCinzano,Registroprivatodelleentrateeduscite,1912-1914.UnodeiprincipaliacquirentidelvinoprodottodallacascinadelBeneficiodiCinzanoinquegliannierailteologoLorenzoMeano,curatodiSassi(Torino).

5 Loattestanoalcunefotografiecheriprendonoleoperazionidipuliziaeinsaccamentodellenocciolenelcortiledellaca-scinaparrocchiale(Archivio storico del Comune di Cinzano, Fondo Don Bellino, n. di inventario 025, 106, 130).

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Numerose immagini realizzate da don Emi-lio Bellino sono particolarmente importanti per capire l’evoluzione urbanistica e architet-tonica di Cinzano. Il parroco però non fu sol-tanto un eccezionale testimone, ma ebbe un ruolo determinante nelle modificazioni archi-tettoniche del paese. Come committente in-fatti si espresse nella costruzione della nuova canonica, nella costruzione della nuova sede dell’asilo infantile e nel riallestimento interno della chiesa di Sant’Antonio. Nelle sue cam-pagne fotografiche don Bellino sembra pre-stare particolare attenzione per le architettu-re che nel tempo sono state profondamente cambiate come il castello, la piazza con il vec-chio bacino di raccolta per l’acqua, le chiese e gli edifici dei dintorni.

La storia della costruzione della nuova casa parrocchiale merita di essere indagata con at-tenzione. L’edificio venne realizzato in un sito ricco di storia, superando difficoltà notevoli e utilizzando le tecniche e gli accorgimenti più moderni. La collina del castello, fin dall’epo-ca tardo-medioevale, era la zona su cui era situato il ricetto. Dove attualmente è il par-co del castello c’erano numerose abitazioni, protette esternamente da una cinta muraria e da una scarpata chiamata barbacane. Con l’acquisizione nel 1665 del feudo da parte dei Della Chiesa iniziò l’acquisto e la demolizio-ne delle case per creare il parco. I viali e le

Testimone e committente:don Emilio Bellino

e l’architettura cinzanesedi Davide Alaimo

siepi del giardino in gran parte ancora oggi ricalcano l’impianto urbanistico dell’antico nucleo abitato. I marchesi nel corso di più generazioni riuscirono nell’intento di isolare il castello dal resto del paese acquistando tutte le proprietà sulla collina tranne la chiesa par-rocchiale e una piccola porzione di barbacane di proprietà comunale. Per questo motivo tra la casa dell’intendente del marchese – detta anche tribunale o casa del massaro – e la chie-sa parrocchiale è tuttora riconoscibile l’unico tratto di strada medievale superstite che an-cora all’epoca di don Bellino, oltrepassato un cancello in ferro, continuava nel parco del ca-stello. Nel 1828 il Marchese Della Chiesa fece costruire una tribuna (Amore, 1977, p. 281) per assistere alla messa all’interno della chiesa parrocchiale senza dover scendere nella na-vata e un passaggio coperto di collegamento con la cascina dell’Ajra1 attraverso il quale era possibile raggiungere la chiesa senza uscire dalle pertinenze del castello. Nel periodo in cui fu parroco don Giovan Battista Girardi (ret-tore dal 1843 al 15 novembre 1875) venne re-alizzata la sacrestia quasi a sbalzo sulla strada sottostante. Questa è la situazione storica del sito antecedente alla costruzione della nuova casa parrocchiale ed è ben visibile in un di-segno di Clemente Rovere (Amore, 1977, p. 267) dove è possibile riconoscere la zona ab-sidale della chiesa di Sant’Antonio e il muro

1 Cosìerachiamatoilfabbricatoaformaditenagliachedelimitavalacorterusticadelcastello.Graziealcollegamentoapon-teconlachiesaparrocchialeeallatribunainternaquest’ultimadivenneunasortadi“cappellapalatina”,oltreaquellachegiàesistevaall’internodelcastello.Oggilacortediimpiantoellitticoèleggibilesolonellametàdidestra,laparteasinistradell’ingressoèstatasostituitadallavillaRosa(cfr. Lanuovacorterusticadiingresso, in Alaimo, Peres, 1999, p. 76 e segg.).

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1. Una preponderante parte del corpus fotografico realizzato da don Emilio Bellino consiste in fotografie stereoscopiche, imma-gini cioè appositamente realizzate per otte-nere, con l’ausilio di appositi visori, un effetto ottico di immagine tridimensionale. Tale tec-nica fotografica si era già ampiamente diffusa nel secondo Ottocento, ma si può ben imma-ginare l’effetto di stupore e meraviglia che la visione di queste fotografie stereoscopiche poteva suscitare nei cinzanesi ancora ai primi anni del Novecento. Delle circa quattrocento-venti fotografie del parroco di Cinzano quel-le stereoscopiche sono, complessivamente, oltre centosettanta. Di esse presso l’Archivio storico del Comune di Cinzano sono custo-dite centocinquantanove lastre fotografiche realizzate con questa particolare tecnica1, mentre presso l’Archivio storico parrocchia-le di Moncucco Torinese, fra i ricordi di don Bellino raccolti dal suo esecutore testamen-tario, il prevosto don Giuseppe Francesetti, si conservano trentuno stampe stereoscopiche su cartoncino, di cui quindici relative a scatti fotografici non presenti nella raccolta di lastre del Comune di Cinzano2.

L’ampio ricorso alla tecnica stereoscopica da parte di don Bellino è indubbiamente in-

Don Emilio Bellinoe la fotografia stereoscopica

di Daniele Colciago e Gianpaolo Fassino

dizio di quanto egli fosse tecnicamente ag-giornato e preparato. Dopo un periodo di declino della fotografia stereoscopica, nel corso dell’ultimo decennio del XIX secolo, proprio mentre don Bellino muoveva i suoi primi passi come fotografo, si registrò infatti un ritorno di interesse, specialmente da parte dei fotoamatori, verso questa particolare tec-nica fotografica (Lenman, 2005, p. 1025). Don Bellino possedeva una macchina fotografica stereoscopica panoramica Zeiss Tessar, di cui si disfò nel 1909, cedendola in conto vendita al negoziante torinese Alessandro Casalotto.

Sono molteplici e differenti i contesti in cui il parroco-fotografo ricorse alla tecnica stere-oscopica. Molte di queste fotografie atten-gono alla vita rurale all’interno della cascina parrocchiale di Cinzano: i diversi lavori agri-coli (dalla trebbiatura alla fienagione, dalla preparazione dei salici per legare la vigna alla vendemmia), ma anche i momenti di riposo e di svago, come la veglia serale nella stalla, il ricamo, il gioco dei tarocchi, la merenda nel prato, il suono del pianoforte e quello del vio-lino. Moltissime sono anche le fotografie ste-reoscopiche realizzate da don Emilio Bellino al di fuori di Cinzano, come documentano le interessanti vedute del borgo alpino di Chia-

IlprimoparagrafoèdiGianpaoloFassino,ilsecondodiDanieleColciago.1 Fraquesteperòquattrocoppiedilastrefotografiche(rispettivamentequellenumerate104e044,129e045,145e042,190e047)sonodifattodoppie:sihacioèl’identicoscattosuduediversinegativi,suciascunodeiqualisonoimpresseledueimmaginistereoscopiche.Sullasecondaversionediciascunacoppiaèpresenteuna leggerasovrapposizionealcentrodell’immagine.

2 Pressol’ArchiviostoricodellaParrocchiadiSanGiovanniBattistadiMoncuccoTorinese,fasc.980,siconservanoanchealcune fotografie stereoscopiche commerciali, relative a vedutepaesaggistiche e architettonichedella Svizzera, adunmercatoarabo,aunaccampamentodinativiamericanieallasuperficielunare.Alcunediquestefotocommercialiven-neroreimpiegatedadonBellinocomesupportoperapplicarvi,sulretro,lastampadellepropriefotografiestereoscopi-che.Alcuneprovedistampadifotografiestereoscopichesonoancheconservatenell’ArchiviostoricodellaParrocchiadiSant’AntonioAbatediCinzano.

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Il termine costume indica il “modo di vesti-re” che presenta implicitamente un carattere di durabilità e di stabilità, a cui si unisce quel-lo di uniformità. In questo senso il concetto di costume si contrappone a quello di “moda”, che rappresenta al contrario la novità fugace e la variabilità. Proprio quest’ultima caratteristi-ca fa sì che il fenomeno moda si riferisca prin-cipalmente a classi sociali medio-alte in grado di permettersi da una parte l’aggiornamento periodico del proprio guardaroba e dall’altra la manifestazione esplicita - attraverso l’abito come codice - dell’anelito alla differenziazio-ne individuale. La moda secondo il sociolo-go George Simmel sarebbe l’insieme entro cui convergono la tendenza all’uguaglianza sociale, la ricerca dell’affermazione dell’in-dividualità e la variazione (Grandi, 2005). In altre parole il singolo, attraverso l’abito, cer-ca di integrarsi in un determinato contesto socio-culturale ma è nel momento in cui il soggetto, se pur nell’ambito dell’accettazio-ne e nell’imitazione del codice vestimentario della classe di appartenenza, comincia a bi-lanciare tale adesione con la spinta alla diffe-renziazione individuale che si può parlare di “moda”.

L’abbigliamento nasce come esigenza di protezione dagli agenti climatici, come segno di differenziazione netta fra i due sessi - per scongiurare comportamenti ritenuti devianti rispetto alla norma come l’ambiguità sessua-le - come risoluzione di un conflitto inconscio tra l’esibizione della nudità e il pudore - l’a-bito è la razionalizzazione dell’impulso all’e-sibizione del corpo (Flugel, 1930) - come ma-nifestazione di un’identità sociale e religiosa, come indice di una professione (la divisa delle hostess ad esempio), di un mestiere (si pen-

Abbigliamento popolare nella raccoltafotografica di don Emilio Bellino

di Silvia Mira

si al cappello da cuoco o la veste bianca dei fornai), di una missione (l’abito religioso o la divisa militare).

Il concetto di costume è distinto da quello di abbigliamento e si esplicita all’interno delle comunità rurali attraverso l’opposizione tra la quotidianità e la festa. L’abito indossato tutti i giorni, l’abito del lavoro, è sempre portatore di simboli e significati - protegge il corpo, di-stingue i sessi, spesse volte ha un valore “ma-gico” di difesa contro le malattie o contro il “malocchio” - ed in questo è simile al costu-me tradizionale. Ciò che differenzia l’abito dal costume non sono infatti questi “segni” im-prescindibili bensì il fatto che il costume ag-giunga ai valori simbolici quelli dell’identità, sia essa municipale, regionale, confessionale o etnica (Cuisenier, 1999, pp. 70-73; Grimaldi, Rapetti, 2004).

Nella raccolta fotografica di don Emilio Bel-lino siamo davanti a diversi esempi di abbi-gliamento popolare tra la fine del XIX e l’i-nizio del XX secolo. Le vesti delle contadine presentano una tipologia molto semplice co-stituita da camicia, gonna, grembiule e scialle da collo. Quasi inesistenti sono gli ornamen-ti, le “gioie”, fatta esclusione dei “cerchiet-ti” d’oro all’orecchio o dei piccoli pendenti a bottone e di qualche crocetta d’oro o meda-glietta. L’unica concessione alla decorazione sembra essere rappresentata dal grembiule ingentilito dall’uso di passamaneria applicata o da stoffe rigate, puntiate o a fiori minuti.

L’impossibilità di sapere quali fossero i colo-ri usati rende lacunosa l’indagine ma, in linea di massima, si può ipotizzare l’uso di panni lana o tele di cotone - in relazione alla sta-gione - di colori scuri, nero o grigio antracite, per le donne anziane e maritate e di colori

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Catalogodelle fotografie

di don Emilio Bellinoa cura di Gianpaolo Fassino e Franco Zampicinini

Schede di:

Davide Alaimo (D.A.)Marina Cappellino (M.C.)Gianpaolo Fassino (G.F.)

Achille Maria Giachino (A.M.G.)Flavio Giacchero (F.G.)

Franco Zampicinini (F.Z.)

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Dalla fotografia all’etnotestoAlcuni anni fa, dal mercato antiquario, è emersa la collezione di fotografie realizzate agli inizi del Novecento da don Emilio Belli-no, parroco di Cinzano fra il 1890 e il 1920. Al corpus di trecentoventicinque lastre ac-quistate dal Comune di Cinzano nel 2007 (Di Bartolo, 2009), si sono via via aggiunte altre fotografie, realizzate sempre da don Bellino, ritrovate all’interno degli archivi storici delle parrocchie di Cinzano e di Moncucco Torine-se, nonché in alcuni archivi privati, per un to-tale di oltre quattrocento scatti.Le fotografie realizzate dal parroco di Cinzano ritraggono i più diversi soggetti, ma soprat-tutto momenti della vita contadina, la vita co-munitaria di Cinzano, persone singole e grup-pi di famiglia che ricorrevano all’obbiettivo di don Bellino per farsi immortalare. Le fotogra-fie peraltro non riguardano solo Cinzano e i suoi abitanti, ma anche diverse altre località della Collina Torinese (Casalborgone, Rivalba, Bardassano, Castiglione Torinese, Marentino), dell’Astigiano (Vezzolano, Villanova d’Asti, la fonte solforosa di Bardella presso Castelnuo-vo don Bosco), Torino, il fiume Po, il canale Ceronda a Venaria, il territorio delle valli alpi-ne di Lanzo e di Susa, per poi spaziare sino al porto di Marsiglia, al santuario e alla grotta di Lourdes e alla Svizzera tedesca.Le fotografie del parroco di Cinzano sovente non contengono riferimenti diretti che con-sentano una immediata identificazione dei soggetti rappresentati. Mentre per i paesaggi e le architetture, attraverso idonei percorsi di

La collezione fotograficadi don Emilio Bellino:

dalla dispersione al catalogodi Davide Alaimo, Gianpaolo Fassino, Franco Zampicinini

ricerca, è stato possibile in molti casi determi-nare il soggetto, la cosa è risultata più com-plessa per i gruppi di persone. A ormai cento anni di distanza da quando don Bellino realizzò le sue immagini è infatti pressoché impossibile riconoscere qualcuno direttamente, anche se la memoria di alcuni anziani cinzanesi è sta-ta preziosa per dare un nome a molte delle persone raffigurate. La ricerca per l’individua-zione dei soggetti ritratti nelle fotografie si è basata, oltre che su strumenti più tradizionali (riscontri sul territorio, confronto con altri re-pertori fotografici e dialogo con altri studiosi), anche sulla pubblicazione di alcune fotografie su periodici locali (Fassino, 2013) e all’intero di gruppi Facebook. Il ricorso ai social network è stato proficuo, come ad esempio nel caso della fotografia realizzata in un vicolo di For-nelli, frazione di Monastero di Lanzo, che è sta-to possibile riconoscere solo grazie alla fami-gliarità con il luogo da parte di Daniela Valeri, persona che non conoscevo, la quale lì aveva trascorso per molti anni le proprie villeggiatu-re estive e che ha individuato il borgo alpino commentando un post da me pubblicato su Facebook. Il ricorso ai social network, con la possibilità di raggiungere e contattare diretta-mente grandi numeri di persone, anche senza conoscerle personalmente, può quindi essere un nuovo mezzo di indagine e di conoscenza, seppur non disgiunto da pratiche di ricerca più convenzionali, ma che mantengono inalterata la loro validità e necessità.Una particolare serie di immagini che carat-terizza questa raccolta è quella dei ritratti di

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Lavoriagricoli

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Sulla collina di Santa Maria, una ragazza porta al pascolo le mucche. L’inquadratura ha come sfondo il centro storico dell’abitato di Cinzano, sovrastato dal castello che all’epoca apparteneva alla famiglia dei marchesi Della Chiesa. Sulla sinistra si intravede il frontone della chiesa di San Sebastiano, successivamente demolita. (D.A.)ArchiviostoricodelComunediCinzano,FondoDonBellino,n°diinventario076.

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Il cane di don Bellino e due gatti sul balcone della cascina parrocchiale.Archivio storico delComunediCinzano, Fon-doDonBellino,n°diinventario300.Fotografiastereoscopica.

Giuseppe Rossotto, in un momento di pausa dal lavoro, accarezza il cane. Alla cintola porta appeso il coè (por-ta cote) utilizzato come contenitore della cov (cote), adoperata per affilare periodicamente la lama durante la fal-ciatura. (G.F.)CollezioneprivataDavideAlaimo,n°di inven-tarioDA14.

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Davide Alaimo, architetto (laureato con una tesi sul castello dei Della Chiesa, marchesi di Cinzano), è da sempre appassionato di storia cinzanese. Per il volume I castelli della provincia di Torino, curato da Sabina Fornaca (Asti-Savigliano, Se.Di.Co.-Gribaudo, 2005), ha redatto la scheda sulla storia del castello di Cinzano. Si occupa di storia dell’arredamento e del disegno industriale, temi cui ha dedicato alcuni arti-coli comparsi in riviste specializzate. Con Silvia Mira ha recentemente pubblicato il volume Colli. Interni al-toborghesi. Una storia di eccellenza torinese: Torino, Milano, Roma (1831-1981) (Torino, Scaravaglio, 2014).

Carlo Bosco, ricercatore di storia locale, si occupa in particolare del territorio della collina torinese. È autore di numerosi articoli e pubblicazioni fra cui: Un paese, una società, una stretta di mano. 150 anni di storia della Società operaia agricola di mutuo soccor-so di Gassino Torinese (1852-2002) (Gassino Torinese, Imagina, 2002); Sciolze tra Po e Monferrato (Sciolze-Gassino Torinese, Comune di Sciolze-Imagina, 2003); Anche a Gassino sventolava il Tricolore (1848-1918). Cronaca e storia in Gassino e dintorni negli anni del Risorgimento Italiano (Gassino, Comitato per la pro-mozione e la divulgazione di Cultura e Tradizioni di gassino e del suo territorio, 2012). Le vicende stori-che del territorio sono anche al centro del suo primo romanzo La collina si tinse di rosso (2014).

Marina Cappellino, architetto attivo nel campo del restauro e riqualificazione di edifici storici del Piemonte, tra cui il castello di Moncucco Torinese, il palazzo comunale di Piovà Massaia, il castello di Monale, numerose chiese e case parrocchiali nel nord dell’Astigiano, alcune sedi di Società di Mutuo Soccorso, e di edifici storici della Libia: la sede del comando militare e la moschea di Porto Bardia (To-bruk), il forte di Bir Duvan (Misurata), la sede del co-mando francese a Ghat e il forte di Murzuq (Sahara libico). Dal 2002 al 2009 è stata Direttore del Museo del Gesso di Moncucco (At). Suoi contributi cono comparsi nei volumi I soffitti di gesso del Basso Mon-ferrato (Asti, Provincia di Asti, 2000); Il paesaggio del romanico astigiano (Asti, CR Asti, 2006); Il paesag-gio dipinto dell’Astigiano (Asti, CR Asti, 2007); Libya Antiqua-Annual of Departement of Archaeology of

Libya (vol. V, 2010); Tra gotico e neogotico. Le chiesa parrocchiali astigiane (Asti, CR Asti, 2012).

Daniele Colciago, specializzato in traduzioni tec-nico-scientifiche, si occupa anche di fotografia stere-oscopica in formato analogico e digitale, fotografia naturalista, fotografia in grande formato, macrofo-tografia, fotografia all’infrarosso, fotografia al micro-scopio. Nel 2007, in collaborazione con la Biblioteca Civica “Nietta Aprà” di Cinzano, ha realizzato una elaborazione digitale delle fotografie stereoscopiche di don Emilio Bellino, presentata nell’ambito della mostra Immagini ritrovate. Foto tra Otto e Novecen-to di don Emilio Bellino dalle collezioni dell’Archivio Storico del Comune di Cinzano. Suoi contributi e ap-profondimenti sulla fotografia stereoscopica e la sto-ria di questa tecnica fotografica sono comparsi sulla rivista telematica “NadirMagazine” e su siti internet specializzati.

Gianpaolo Fassino, dottore di ricerca in antropo-logia culturale presso l’Università di Udine, è attual-mente assegnista all’Università degli Studi di Scien-ze Gastronomiche di Pollenzo-Bra, dove si occupa di antropologia dell’alimentazione e dello sviluppo del progetto “Granai della Memoria” (www.granai-dellamemoria.it). È autore di numerose ricerche nei settori dell’etnografia, dell’antropologia storica, del-la storia delle discipline demo-etno-antropologiche e della storia culturale del Piemonte. Suoi contributi sono recentemente comparsi nei volumi Narrare la città. Tratti identitari, linguistici e memoria della tra-dizione a Novara (a cura di G. Ferrari e M. Leigheb, Novara, Interlinea, 2013), Hertz. Un homme, un culte et la naissance de l’ethnologie alpine (Aosta, Région Autonome de la Vallée d’Aoste, 2013) e Trino e l’arte tipografica nel XVI secolo. Dal marchesato del Mon-ferrato all’Europa al mondo (a cura di M. Balboni, Novara, Interlinea, 2014). Con Paolo Corvo ha curato il libro Quando il cibo si fa benessere. Alimentazio-ne e qualità della vita (Milano, Franco Angeli, 2015). Insieme a Davide Porporato ha realizzato il volume Sentieri della memoria. Studi offerti a Piercarlo Gri-maldi in occasione del LXX compleanno (Bra, Slow Food Editore - Università degli Studi di Scienze Ga-stronomiche, 2015).

Gli Autori

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Flavio Giacchero, musicista ed etnomusicologo, ha eseguito numerose registrazioni di ricerca sul campo. Dal 2003 al 2013 ha lavorato negli archivi so-nori del Centro Regionale Etnografico Linguistico di Torino. Collabora con l’Associazione Culturale Cham-bra d’Oc nella tutela e diffusione delle lingue mino-ritarie. Ha collaborato alla realizzazione dei supporti sonori di F. Castelli, E. Jona, A. Lovatto, Senti le rane che cantano. Canzoni e vissuti popolari della risaia, Donzelli, 2005 e di E. Jona, S. Liberovici, F. Castelli, A. Lovatto, Le ciminiere non fanno più fumo. Canti e memorie degli operai torinesi, Donzelli, 2008. Ha re-centemente pubblicato una sua ricerca su La musica tradizionale delle Valli di Lanzo per la Società Storica delle Valli di Lanzo e un saggio su Sergio Liberovici nel volume Musiche tradizionali in Polesine. Le regi-strazioni di Sergio Liberovici (per Squilibri-Minelliana).

Achille Maria Giachino, cultore di storia della medicina militare e di storia locale, da molti anni de-dica il suo tempo libero a studiare e ad approfondire argomenti riguardanti il corpo sanitario degli eserciti di ogni epoca e gli aspetti poco noti del territorio, soprattutto monferrino. Ha al suo attivo circa un cen-tinaio di saggi e pubblicazioni: tra i suoi ultimi scritti la Storia degli ospedali militari dalle origini all’unità d’Italia, Il contributo delle genti astigiane alle guerre d’indipendenza, Valetudinaria: gli ospedali delle le-gioni romane, L’ospedale militare Alessandro Riberi di Torino. Ha curato recentemente gli atti del con-gresso La sanità militare nella storia d’Italia. È inoltre presidente dell’Associazione Nazionale della Sanità Militare Italiana – sezione Piemonte, Lombardia e Valle d’Aosta (www.sanitamilitare.it), membro della Società Italiana di Storia della Medicina, della Società Italiana di Storia Militare e dell’International Society for the History of Medicine.

Piercarlo Grimaldi è professore ordinario di Antropologia culturale all’Università degli Studi di Scienze Gastronomiche (Pollenzo-Bra), ateneo di cui è anche Rettore dal 2011. Ha insegnato anche pres-so l’Università di Torino e l’Università del Piemonte Orientale. È autore di numerosi studi tra i quali: Il ca-lendario rituale contadino. Il tempo della festa e del lavoro fra tradizione e complessità sociale (Milano, Franco Angeli, 1993), Tempi grassi, tempi magri. Per-corsi etnografici (Torino, Omega, 1996), Cibo e rito. Il gesto e la parola nell’alimentazione tradizionale (Pa-lermo, Sellerio, 2012). Ha curato diverse opere: Rivol-tare il tempo. Percorsi di etno-antropologia (Milano, Guerini e Associati, 1997); Bestie, santi, divinità. Ma-schere animali dell’Europa tradizionale (Torino, Mu-seo Nazionale della Montagna, 2003), Il corpo e la festa. Forme, pratiche, saperi della sessualità popola-

re (Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2004), Parlandone da vivo. Per una storia degli studi delle tradizioni po-polari (Torino, Omega, 2007), Il teatro della vita. Le feste tradizionali in Piemonte (Torino, Omega, 2009), Un certo sguardo. Elementi di ricerca sul campo: il caso della Baìo di Sampeyre (Bra, Università degli Studi di Scienze Gastronomiche, 2012). Ha inoltre documentato la memoria delle culture orali, condu-cendo indagini di antropologia visiva e realizzando archivi multimediali (www.atlantefestepiemonte.it e www.granaidellamemoria.it).

Silvia Mira storica dell’arte, cultore della materia presso l’Università degli Studi di Torino, ha tenuto seminari e conferenza circa la storia del costume e della moda. È membro italiano del Centre Internatio-nal des Etudes des Textiles Anciennes di Lyon. Suoi contributi sono comparsi nei volumi: Dolcezze d’Ita-lia (Firenze, ICE, 2004), Dalla testa ai piedi. Costume e moda in età gotica (Trento, Soprintendenza per i Beni Storico-Artistici, 2006), Ettore Fieramosca. Se-greti e passioni secondo Blasetti (a cura di F. Prono e E. Nicosia, Torino 2007), Moda in Italia. 150 anni di eleganza, 1861-2011 (catalogo della mostra a cura di C. Goria e A. Merlotti, Venaria 2011), Imperfezio-ne. Il merletto: tradizione e creatività (catalogo della mostra a cura di L. Bertoglio e M. Mancini, Valtopina 2014), Storie di cose (a cura di V. Marchis, Torino, Ar-chivio storico della Città di Torino, 2014). Insieme a Davide Alaimo ha pubblicato il volume Colli. Interni altoborghesi. Una storia di eccellenza torinese: Tori-no, Milano, Roma (1831-1981) (Torino, Scaravaglio, 2014).

Franco Zampicinini, ingegnere, ha svolto nume-rosi studi in un variegato campo di filoni di ricerca, aventi come denominatore comune l’ambiente, l’ar-chitettura, la cultura del mondo contadino, con spe-cifici riferimenti relativi al Basso Monferrato. È autore di numerosi studi sulla storia della meccanizzazione agricola, fra cui l’importante monografia Trebbiatrici italiane (Vimodrone, Nada, 2008). Per la casa editri-ce Il Punto di Torino ha curato una storia fotogra-fica di Cocconato, articolata in tre volumi comparsi fra il 2006 e il 2009, dedicati in particolare al lavoro, alle feste e al palio degli asini. È stato curatore, in-sieme a Gianpaolo Fassino, dei volumi Castelnuovo Don Bosco. L’archivio: memoria della comunità (Riva presso Chieri, EdiTo, 2006) e Il mondo rurale di Do-menico Savio. Aspetti delle campagne alto-astigiane di metà Ottocento (Castelnuovo don Bosco, Asso-ciazione “Terra, boschi, gente e memorie”, 2009). Attualmente è impegnato nel coordinare una vasta ricerca interdisciplinare su Chiese e vita religiosa a Cocconato.

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Ringraziamenti

Molte sono le persone che hanno contribuito al buon esito di questa pubblicazione, mettendo a nostra di-sposizione i propri ricordi e le informazioni in loro possesso. Non è possibile citarle tutte una ad una, ma a ciascuna di esse va la riconoscenza del curatore e degli autori, per aver contribuito a restituire nuova voce a queste fotografie, inizialmente mute. Non possiamo però omettere di ringraziare – per lo specifico con-tributo informativo offerto – suor Angelisa delle Figlie di San Giuseppe (Rivalba), suor Maria Lucia del Laboratorio restauro tessili antichi dell’Abbazia Mater Ecclesiae (Orta San Giulio), padre Tito Paolo Zec-ca C.P. del Santuario del Beato Bernardo Silvestrelli (Moricone), Gianfranco Barzaghini (Casalborgone), Domenico Cabodi (Monastero di Lanzo), Beatrice Cassina (Torino), Giovanni Chiavazza e Serenella Pin-ca (Sommariva del Bosco), Luca Ghiardo (Pettinengo), Bernardino Elso Gramaglia (Buttigliera d’Asti), Cesare Locca (Gurdabosone), Maria Grazia Maistrello Morgagni (Casalborgone), Anselmo Nuvolari Duodo (Castiglione Torinese), Luca Percivalle (Casale Monferrato), Aldo e Stefano Rossotto (Cinzano), Elio Solaro (Moncucco Torinese), Roberto Toffanello (Chieri), Daniela Valeri (Torino). Significativo è stato il contributo di Davide Porporato, docente di Etnologia e Antropologia culturale all’Università del Piemonte Orientale, che ha seguito passo passo il farsi antropologico di questo volume ed è stato come sempre prodigo di consigli.Un ringraziamento particolare va a Franco Correggia, presidente dell’associazione “Terra, Gente, Boschi, Memorie” di Castelnuovo don Bosco, che per primo ha creduto all’importanza storico-antropologica e do-cumentaria della raccolta fotografica di don Bellino, ospitando nel 2006 un primo portfolio fotografico ne “I Quaderni di Muscandia”. Alla sua preziosa collaborazione si deve anche il riconoscimento, di volta in volta segnalato nelle didascalie, delle essenze arboree che compaiono in diverse fotografie.Il catalogo fotografico non avrebbe potuto arricchirsi degli ulteriori indispensabili contenuti documentari senza l’appoggio e la collaborazione data alla ricerca da don Silvano Canta, parroco di Cinzano - e, come tale, successore di don Bellino - che ha favorito, insieme ai suoi collaboratori, l’accesso agli archivi storici delle parrocchie di Cinzano e Moncucco Torinese, che custodiscono, insieme a documentazione relativa all’opera pastorale di don Bellino, ulteriori fotografie non presenti nell’Archivio del Comune di Cinzano che hanno arricchito e completato questo lavoro editoriale.Analogo ringraziamento il curatore e gli autori del libro desiderano esprimere al personale del Comune di Cinzano, che parimenti ha agevolato la consultazione delle carte dell’Archivio storico comunale. Archivio che - insieme al Fondo Don Bellino - sì è presentato al nostro gruppo di ricerca riordinato e funzionale, grazie al lavoro di inventariazione compiuto negli anni passati dall’archivista Barbara Clerico e alla deter-minazione e all’impegno di Flavia De Bartolo, già assessore alla Cultura del Comune di Cinzano.Le informazioni che da Milano ci ha fatto pervenire Alberto Boati, discendente della famiglia Bellino, dischiudendoci le proprie preziose memorie domestiche, hanno rinnovato il legame fra la sua famiglia e la comunità di Cinzano, una relazione che con sorpresa abbiamo scoperto essere ancora salda e profonda dopo centoventicinque anni dall’arrivo, nell’aprile 1890, di don Bellino a Cinzano.

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Finito di stampare ilgiorno22ottobre2015

giorno di San Giovanni Paolo II papa

pressoArtiGraficheFaviaS.r.l.

Modugno(BA)


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