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ABSTRACT BOOK LE NUOVE FRONTIERE NELL’IMMUNOTERAPIA DEI TUMORI: REALTÀ E PROSPETTIVE 16 ottobre 2015 Roma, ISS, Aula Pocchiari organizzato da Istituto Superiore di Sanità e Assobiotec nell’ambito della
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ABSTRACT BOOK

LE NUOVE FRONTIERE NELL’IMMUNOTERAPIA DEI TUMORI:

REALTÀ E PROSPETTIVE

16 ottobre 2015 Roma, ISS, Aula Pocchiari

organizzato da

Istituto Superiore di Sanità e

Assobiotec

nell’ambito della

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LE NUOVE FRONTIERE NELL’IMMUNOTERAPIA DEI TUMORI: REALTÀ E PROSPETTIVE 16 ottobre 2015

Roma, ISS, Aula Pocchiari

Programma 8.30 Registrazione 9.00 Saluto di benvenuto e cenni introduttivi

W. Ricciardi , Presidente, Istituto Superiore di Sanità R. Palmisano, Vice Presidente, Assobiotec

Sessione I Immunoterapia dei tumori: stato dell’arte e prospettive Moderatori: I. Capone, P. Nisticò 9.30 Il nuovo scenario dell’immunoterapia dei tumori: realtà e prospettive

G. Parmiani 9.50 Gli anticorpi immunomodulanti e il loro uso nella terapia dei tumori

M. Maio 10.10 Immunoterapia del neuroblastoma: un modello per altri tumori solidi?

F. Locatelli 10.30 Vaccini e attivazione sistema immunitario nel percorso oncologico oggi

M. Nuti 10.50 Discussione 11.00 Coffee break Sessione II Il contributo dell’industria nello sviluppo clinico di nuovi farmaci immunoterapici Moderatori: R. Camerini, E. Proietti 11.30 La pipeline terapeutica di Novartis per l’immunoterapia dei tumori

G. Fincato 11.50 La strategia di Celgene per farmaci immunoterapici

F. Pantellini 12.10 Bristol-Myers Squibb e immunochekpoints inhibitors

E. Calabrese 12.30 Studi traslazionali di un anticorpo monoclonale nell'immunoterapia della leucemia mieloide

acuta M. Binaschi 12.50 Discussione 13.00 Intervallo pranzo e poster session

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Roma, ISS, Aula Pocchiari

Sessione III Utilizzo clinico di nuovi farmaci cellulari per l’i mmunoterapia dei tumori Moderatori: M.C. Cox, M.C. Galli 14.00 Immunoterapia dei gliomi: cellule dendritiche e altre strategie

G. Finocchiaro 14.20 Vaccinazione con cellule dendritiche nel melanoma: criticità e prospettive

M. Guidoboni 14.40 Verso lo sviluppo clinico di cellule dendritiche generate con IFN-α

C. Rozera 15.00 Una roadmap per lo sviluppo clinico dell’immunoterapia con cellule CAR-T in Europa

A. Bondanza 15.20 Sviluppo di un vaccino terapeutico per l'epatocarcinoma

M. Tagliamonte 15.40 Discussione 16.00 Riflessioni conclusive

F. Belardelli, M.L. Nolli 16.20 Chiusura dei lavori

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Roma, ISS, Aula Pocchiari

Sessione I

Immunoterapia dei tumori: stato dell’arte e prospettive

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Il nuovo scenario dell’immunoterapia dei tumori: realtà e prospettive

Parmiani G., Maccalli C., Maio M. Divisione di Oncologia Medica e Immunoterapia, AOU di Siena

La scoperta che le cellule neoplastiche di tumori indotti con cancerogeni chimici, con raggi UV o con virus esprimono antigeni (Ag) condivisi e/o unici per ogni tumore, ha fornito la prova della potenzialità del sistema immune di sviluppare il rigetto di cellule tumorali. Successivamente si dimostrò che i principali effettori di questo rigetto erano i linfociti T. Tuttavia le risposte cliniche dei protocolli di immunoterapia dei tumori negli anni 1990-2010 sono state limitate (<10-20%). Negli ultimi 5 anni, però, la disponibilità delle tecniche di genomica e di definizione bio-molecolare delle cellule tumorali ha cambiato lo scenario della immunoterapia dei tumori. Ciò è dovuto a 3 elementi: a) caratterizzazione molecolare e uso terapeutico degli Ag tumore-specifici derivanti da mutazioni somatiche; b) controllo di alcuni meccanismi di evasione immunologica; c) identificazione e utilizzo di anticorpi contro molecole bloccanti la risposta immunologica (“checkpoints”). Si discuterà come la combinazione di questi fattori ha aumentato significativamente la risposta clinica dei pazienti in studi clinici di fase III.

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Immunoterapia del neuroblastoma: un modello per altri tumori solidi? Locatelli F. IRCCS Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Roma, Università degli Studi di Pavia Il neuroblastoma rappresenta il più frequente tumore extracranico dell’età pediatrica, con un’incidenza di circa 100-120 nuovi casi nel nostro Paese per anno. Mentre nel corso degli anni si sono registrati significativi progressi per i pazienti affetti da forme localizzate di tumore, la prognosi delle forme metastatiche o caratterizzate da lesioni molecolari sfavorevoli, quali l’amplificazione dell’oncogene n-Myc rimane insoddisfacente, con percentuali di guarigione non superiori al 30-40% a dispetto dell’impiego di strategie di trattamento multimodali comprendenti trattamenti citostatici convenzionali, terapia ad alte dosi con supporto di progenitori emopoietici, chirurgia, radioterapia sul letto tumorale e trattamento differenziante. Alcuni studi hanno dimostrato che l’impiego di un anticorpo monoclonale diretto contro una molecola chiamata GD2 (un disalganglioside) presente sulla superficie delle cellule maligne può essere di beneficio per i pazienti affetti da questa patologia. Sfortunatamente, tuttavia, l’efficacia dell’immunoterapia basata sull’impiego di anticorpi rimane subottimale e vi è, quindi, la necessità di sviluppare approcci immunoterapici innovativi. Tra questi rientrano certamente quelli basati sull’impiego di linfociti T ridirezionati sul bersaglio tumorale attraverso l’impiego di recettori chimerici (chimeric antigen receptors) specifici per la molecola GD2. Risultati preliminari dimostrano la significativa efficacia di questo approccio, il quale potrà essere ulteriormente rifinito attraverso strategie mirate a ottimizzare l’impiego di domini co-stimolatori nel costrutto genico, la persistenza delle cellule geneticamente modificate e la loro penetrazione nel tessuto tumorale.

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Vaccini e attivazione sistema immunitario nel percorso oncologico oggi Nuti M. Unità Terapie Cellulari e Immunologia dei tumori, Dipartimento medicina Sperimentale, Policlinico Umberto I, Sapienza Università di Roma

L’immunoterapia si colloca oggi come l’unica strategia terapeutica che ha la potenzialità di eliminare la malattia oncologica residua minima per la capacità intrinseca del sistema di immunitario di riconoscere ed eliminare in modo specifico le cellule tumorali in tutti i distretti tissutali senza danneggiare i tessuti normali. Evidenze sperimentali e cliniche, anche in pazienti con malattia metastatica avanzata, hanno dimostrato in modo inequivocabile che l’attivazione della risposta immune è in grado di controllare la progressione tumorale con un impatto significativo sulla sopravvivenza. Le straordinarie risposte cliniche ottenute con anticorpi immunomodulanti, i nuovi vaccini, le terapie cellulari vaccinali e adottive e le tecnologie ricombinanti per la manipolazione della popolazione linfocitaria effettrice hanno favorito la rapida collocazione di molte di queste terapie innovative in prima linea nel trattamento di tumori metastatici che fino a poco tempo fa erano considerati terminali. In questa presentazione verranno discussi i parametri e le criticità nell'applicazione dei nuovi protocolli di immunoterapia nel percorso oncologico dei pazienti.

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Sessione II

Il contributo dell’industria nello sviluppo clinico di nuovi farmaci immunoterapici

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La pipeline terapeutica di Novartis per l’immunoterapia dei tumori Franco Mainini, Gianluca Fincato Business Unit Oncology, Novartis Farma SpA L’idea di utilizzare il sistema immunitario per curare il cancro è un vecchio concetto, ovverossia, attivare il sistema immunitario per colpire il tumore, piuttosto che colpire direttamente la cellula tumorale: questo approccio rappresenta un vero e proprio cambio di paradigma terapeutico. In passato sono stati esplorati vari approcci per stimolare una risposta immunitaria antitumorale, ma solo negli ultimi anni, a seguito di importanti scoperte sulla biologia dell’interazione tra sistema immunitario e tumore, l’immunoterapia dei tumori ha conosciuto una nuova fase di sviluppo, in particolare legata allo sviluppo di inibitori dei checkpoint dei linfociti T e lo sviluppo della terapia CART – un trattamento personalizzato che implica l’utilizzo di linfociti T geneticamente modificati per colpire le cellule tumorali. Novartis Oncology è impegnata in tre filoni principali di Ricerca e Sviluppo nell’immunoterapia dei tumori: 1) mAb inibitori di checkpoint, 2) attivatori della risposta immunitaria (attivatori di STING), 3) immunoterapia adottiva con T linfociti ingegnerizzati (Chimeric Antigen Receptor T cells-CART), anche attraverso soluzioni innovative nella metodologia di sviluppo e partnership strategiche con istituzioni accademiche (Penn University), collaborazioni con società di biotecnologie (ADURO) e acquisizioni (COSTIM pharma). Per quanto riguarda gli inibitori di checkpoint, il programma di sviluppo vede l’inizio della sperimentazione clinica “First in Human” per tre composti: 1) PDR001 mAb umanizzato anti-PD-1; 2) LAG525 anti-LAG-3 IgG4; 3) MBG453 anti-TIM-3 IgG4. MIW815 è invece un attivatore di STING (Stimulator of Interferon Genes), in grado di attivare la risposta immunitaria innata mediante l’asse TBK-1/IRF-3, NF-κB and STAT6 e iniziare una risposta immunitaria, quando somministrato nel microambiente tumorale. Infine, per quanto riguarda la metodica CART (CTL019), Novartis sta sviluppando una terapia per le leucemie a cellule B CD19+. CTL019 è attualmente in sperimentazione clinica nelle LLC e LLA CD19+ resistenti/refrattarie, sia in pazienti pediatrici che adulti. Questi nuovi trattamenti e le possibili strategie di combinazione con farmaci già in uso nella pratica clinica o in sperimentazione, continuano a generare progressi con la speranza di trovare cure più efficaci per molti tipi di cancro.

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Roma, ISS, Aula Pocchiari

La strategia di Celgene per farmaci immunoterapici Federico Pantellini, Medical Affairs Director Oncology Celgene Italia Giovanni De Crescenzo, Medical Director Celgene Italia Il ruolo del sistema immunitario nella patogenesi e nello sviluppo di patologie oncologiche ed onco-ematologiche è noto da tempo, ma è soprattutto negli ultimi anni che si è potuto assistere ad un cambiamento significativo delle conoscenze in quest’ambito, tale da aprire nuove prospettive terapeutiche. Celgene è un’azienda biofarmaceutica dedicata alla scoperta, allo sviluppo e alla commercializzazione di terapie innovative per il trattamento del cancro, tradizionalmente focalizzata nella ricerca di nuove soluzioni per pazienti affetti da patologie rare e/o con elevato “unmet medical need”. Grazie alla costante ricerca dei meccanismi implicati nella immunomodulazione proteica, delle alterazioni dell’espressione genica dovute a processi epigenetici e delle applicazioni della nanotecnologia in oncologia, l’azienda ha sviluppato prodotti in grado di migliorare significativamente l’outcome clinico in differenti neoplasie. Celgene in questi anni ha orientato i propri sforzi nella ricerca in immuno-oncologia attraverso la creazione di un centro tematico d’eccellenza (Celgene Immuno-Oncology Center of Excellence- Seattle) focalizzato sulla medicina traslazionale e sviluppo clinico in quest’ambito, mediante lo sviluppo della propria pipeline (Nuovi IMiDs/CELMoDs, anti-CD47) e tramite la creazione di numerose collaborazioni con aziende biotech o farmaceutiche per il co-sviluppo di nuovi farmaci, indirizzati verso diversi target coinvolti nella risposta immunitaria al cancro (checkpoint inibitori, cellule CAR-T, agonisti TLR8).

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Bristol-Myers Squibb e immuno-checkpoints inhibitors E. Calabrese Bristol-Myers Squibb Bristol-Myers Squibb (BMS) è impegnata nella scoperta, nello sviluppo e nella commercializzazione di farmaci innovativi per il trattamento del cancro. La pipeline di BMS in oncologia comprende numerose molecole ad attività antitumorale in diverse fasi di sviluppo; fra queste, una particolare attenzione è rivolta all’Immuno-Oncologia (I-O), un approccio innovativo per la ricerca sul cancro che cerca di sfruttare il sistema immunitario dei pazienti per combattere le cellule tumorali. L’obiettivo principale delle immuno-terapie oncologiche è quello di ripristinare la capacità delle cellule effettrici immunitarie - in particolare le cellule T - di riconoscere ed eliminare le cellule cancerose. La possibilità di sfruttare, come armi terapeutiche, gli inibitori dei cosiddetti checkpoint immunitari è stata validata negli esseri umani con l'approvazione di ipilumumab, un anticorpo monoclonale anti-CTLA-4, per il trattamento del melanoma metastatico. Il recettore PD-1 (Programmed Death 1) è un altro recettore inibitorio espresso sulla superficie dei linfociti T; nivolumab è un anticorpo monoclonale anti-PD-1 interamente umano in grado di inibire questo checkpoint immunitario ed è attualmente in studio in un ampio programma di sviluppo clinico in diversi tipi di tumore, con più di 50 studi clinici - in monoterapia o in combinazione con altre terapie - e più di 8.000 pazienti già trattati a livello mondiale. Ma l’inibizione di questi due importanti checkpoint immunitari rappresenta solo l’inizio di queste nuove strategie terapeutiche. Ci sono molti altri tipi di farmaci immuno-oncologici in studio e BMS continua ad essere impegnata nello sviluppo di nuove e migliori opzioni terapeutiche per il trattamento dei tumori.

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Studi traslazionali con un anticorpo monoclonale per l’immunoterapia della leucemia mieloide acuta Monica Binaschi1, Adriano Venditti2, Giuseppe Sconocchia3, Daniela Bellarosa1, Alessandro Bressan1, Alfredo Martinez4, Keith Wilson5, Angela Capriati6, Simone Baldini6, Cecilia Simonelli6 e Stefano Manzini1. 1 Menarini Ricerche, Pomezia, Italia 2 Ematologia, Università di Tor Vergata, Roma, Italia 3 Istituto di Farmacologia Traslazionale, CNR, Roma, Italia 4 Menarini Biotech, Pomezia, Italia 5 Oxford Biotherapeutics, San Josè, CA, USA 6 Menarini Ricerche, Firenze, Italia

Il MEN1112 è un anticorpo monoclonale, IgG1, umanizzato e defucosilato diretto contro l’antigene CD157/Bst1 che è espresso con elevata prevalenza sui blasti dei pazienti affetti da leucemia mieloide acuta sia alla diagnosi che refrattari o ricaduti alla chemioterapia. Il CD157/Bst1 è una proteina transmembrana, che appartiene alla famiglia di ADP ribosil ciclasi, che internalizza, come dimostrato da studi di immunofluorescenza, molto lentamente quando legata all’anticorpo MEN1112. Il meccanismo di azione del MEN1112 è l’induzione di una potente risposta ADCC dovuta all’alta affinità e specificità sia per il target CD157/Bst1 sia ricombinate che nativo, sia per le diverse isoforme del recettore Fc γIII, comprese quelle a bassa affinità, presenti sulle cellule immunitarie effettrici come le NK. E’ stato dimostrato che, utilizzando il meccanismo ADCC, il MEN1112 è in grado di promuovere un’efficiente lisi di linee cellulari di leucemia mieloide acuta in presenza di PBMC da donatore sano. Studi traslazionali ex-vivo hanno permesso di evidenziare l’effetto farmacologico del MEN1112. Utilizzando sangue periferico o midollare da pazienti affetti da leucemia mieloide acuta, è stata dimostrata la capacità del MEN1112, ad una concentrazione clinicamente rilevante, di indurre deplezione dei blasti leucemici. Sulla base di questi risultati, coniugati ad un profilo di tossicità accettabile e ad una buona farmacocinetica, il MEN1112 ha intrapreso lo sviluppo clinico con lo studio multicentrico di fase I , denominato ARMY.

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Sessione III

Utilizzo clinico di nuovi farmaci cellulari per l’i mmunoterapia dei tumori

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Immunoterapia dei gliomi: cellule dendritiche e altre strategie Finocchiaro G, Pellegatta S, Anghileri E, Eoli M, Acerbi F, Ferroli P, Cuccarini V, Porrati P, Servida M, Frigerio S, Pessina S. Istituto Neurologico Besta, Milano I gliomi sono i più frequenti tumori cerebrali e includono il glioblastoma (GBM) e i gliomi di grado inferiore, un gruppo clinicamente e geneticamente. Con il trattamento standard del GBM (chirurgia, radioterapia e chemioterapia concomitante con temozolomide seguita da temozolomide adiuvante) la sopravvivenza mediana libera da malattia (PFS) è di 6.9 mesi, la sopravvivenza complessiva (OS) mediana di 14.6 mesi. Stiamo sviluppando uno studio di fase I-II per il trattamento di GBM di prima diagnosi (EUDRACT n. 2008-005035-15) in cui al trattamento standard è associata la somministrazione di cellule dendritiche (DC) caricate con lisato autologo di tumore. I risultati della prima fase dello studio che ha coinvolto 25 pazienti hanno dimostrato che il trattamento è ben tollerato. Uno studio parallelo (FluoGlio) è stato condotto nel nostro Istituto per valutare l’uso della fluoresceina durante l’intervento. Le caratteristiche dei pazienti DENDR1 sono sovrapponibili a quelle dei pazienti FluoGlio. IL PFS mediano in DENDR1 è di 10.2 vs 7.5 mesi in FluoGlio (p=0.05), l’OS mediano 19.9 vs 11.5 mesi (p=0.088). Nel sangue periferico dei pazienti con PFS superiore alla mediana sono presenti più cellule NK IFN-gamma+ e cellule T CD8+ IFN-gamma+ e KLRG1+. Il loro numero tuttavia diminuisce dopo la prima somministrazione di temozolomide adiuvante. Abbiamo inoltre preso parte a due studi di fase III. Il primo, ACT IV, è uno studio randomizzato per valutare l’efficacia di vaccinazione con un peptide che riproduce un nuovo epitopo creato dalla delezione del gene EGFR, EGFRvIII. Il secondo è uno studio che confronta l’inibitore del checkpoint immunologico PD-1 (nivolumab) con l’anticorpo anti-VEGF bevacizumab in pazienti con recidiva di glioblastoma. I risultati di questo insieme di studi permetteranno di valutare la direzione più promettente per il trattamento del GBM.

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Vaccinazione con cellule dendritiche nel melanoma: criticità e prospettive Massimo Guidoboni U.O. di Immunoterapia e Terapia Cellulare Somatica, IRCCS-IRST Meldola, Forlì-Cesena

La vaccinazione con cellule dendritiche nei pazienti con melanoma metastatico ha rappresentato un importante strumento terapeutico, per quanto limitato dalle complesse procedure di produzione, fino alla recente introduzione nella pratica clinica di una nuova classe di farmaci immunologici, gli anticorpi immunomodulanti. Ipilimumab, in particolare, ha permesso di ottenere sopravvivenze a lungo termine (oltre i 6-8 anni) in circa il 20% dei pazienti affetti da melanoma metastatico. L’introduzione di nuovi anticorpi immunomodulanti (es. anti-PD-1) e, ancora di più, la loro combinazione, ha permesso di migliorare ulteriormente questi risultati. Tuttavia, ciò comporta la gestione di nuove tossicità che, molto spesso, rendono necessaria la sospensione del trattamento, soprattutto nei regimi di combinazione. L’espressione da parte delle cellule dendritiche delle molecole inibitorie (e costimolatorie) bersaglio dei nuovi farmaci immunomodulanti, apre nuove possibilità di ricerca preclinica e clinica in grado di disegnare nuove modalità terapeutiche potenzialmente più efficaci e meno tossiche.

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Verso lo sviluppo clinico di cellule dendritiche generate con IFN-α Carmela Rozera Dipartimento Ematologia, Oncologia e Madicina Molecolare, Istituto Superiore di Sanità, Roma Nell’ambito delle attività del Reparto di Immunoterapia Sperimentale dell’Istituto Superiore di Sanità è stato sviluppato un metodo di differenziamento rapido di cellule dendritiche (DC) a partire da monociti del sangue periferico. In soli 3 giorni di coltura, in presenza di GM-CSF ed IFN-α, si ottengono DC, definite IFN-DC, caratterizzate da un fenotipo parzialmente maturo, dotate di un’elevata capacità migratoria e di una forte abilità immunostimolatoria. Le IFN-DC rilasciano un insieme di citochine e chemochine (IL-12, IL-15, IP-10/CXCL10, MIG/CXCL9) in grado di indirizzare la risposta immune verso il tipo Th 1 e sono capaci di stimolare efficientemente la risposta cellulare CD8+. Gli studi preclinici in vitro e in vivo, nel modello sperimentale costituito da topi SCID umanizzati, hanno dimostrato una netta capacità delle IFN-DC, superiore a quella di altre DC di riferimento, di indurre una potente risposta immune contro antigeni virali e tumorali. Basandoci sui risultati della sperimentazione preclinica abbiamo condotto, in collaborazione con l’Istituto Dermopatico dell’Immacolata (IDI), un protocollo sperimentale in pazienti affetti da melanoma avanzato trattati con il chemioterapico dacarbazina e con IFN-DC autologhe prodotte in condizioni GMP nella Cell Factory dell’ISS FaBioCell. Il chemioterapico Dacarbazina può indurre l’apoptosi delle cellule tumorali. Il razionale dello studio si basa quindi sul concetto che le IFN-DC, somministrate in una lesione tumorale dopo 24 ore, possano fagocitare nel paziente i corpi apoptotici derivati dalle cellule tumorali, diventando quindi in grado di presentare ai linfociti T un ampio spettro di antigeni tumorali. Il trattamento è stato ben tollerato e abbiamo rilevato stabilizzazione della malattia e induzione di risposta specifica contro il tumore (Rozera et al. J. Transl. Med. May 2;13:139, 2015). Un secondo studio, in collaborazione con l’ematologia dell’Ospedale Sant’Andrea, è attualmente in corso. Nello studio vengono arruolati pazienti affetti da linfoma indolente ed il trattamento con le IFN-DC è preceduto dalla somministrazione intralesionale di Rituximab. I risultati, anche se estremamente preliminari, sono al momento incoraggianti.

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Sviluppo di un vaccino terapeutico per l’Epatocarcinoma Maria Tagliamonte, Luigi Buonaguro Istituto Nazionale Tumori “Pascale”, Napoli Il carcinoma epatocellulare (HCC) è il tumore maligno del fegato più comune, rappresentando la terza e la quinta causa di morte per cancro in tutto il mondo rispettivamente negli uomini e nelle donne. Il principale fattore di rischio per lo sviluppo di HCC è l’infezione cronica da virus dell’epatite B e C (HBV e HCV); cause non-virali (ad esempio alcolismo e aflatossine) sono fattori di rischio aggiuntivi. La prognosi dell’HCC è generalmente scarsa a causa della bassa efficacia dei trattamenti disponibili con un tasso di sopravvivenza globale a 5 anni di circa il 5-6%. In questo quadro, gli interventi di immunoterapia, compresi i vaccini tumorali, possono rappresentare una nuova ed efficace strategia terapeutica. Tuttavia, fino ad ora sono state condotte poche sperimentazioni cliniche di immunoterapia per l’HCC che hanno portato a risultati piuttosto contrastanti. Tutto questo suggerisce la necessità di migliorare l’approccio immunoterapeutico nei suoi diversi aspetti. In particolare, l'identificazione di nuovi antigeni tumorali specifici e la valutazione della maggior parte delle strategie combinatorie avanzate potrebbe tradursi in nuovi risultati clinici di grande effetto benefico per i pazienti con carcinoma epatico. Il Consorzio HEPAVAC finanziato dall'Unione Europea nell'ambito del programma FP7 mira ad affrontare questa necessità terapeutica altamente irrisolta, integrando analisi di peptidomica e genomica al fine di sviluppare una strategia vaccinale personalizzata.

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Sessione Poster

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IFN-DC caricate con cellule tumorali apoptotiche inducono l'attivazione dei linfociti NK e un'efficiente risposta anti-tumorale in colture di PBL da pazienti affetti da linfoma follicolare Caterina Lapenta1, Simona Donati1, Francesca Spadaro1, Paolo Castaldo3, Filippo Belardelli1, Maria Christina Cox2, Stefano M. Santini1 1 Dipartimento di Ematologia, Oncologia e Medicina Molecolare, Reparto di Immunoterapia Sperimentale,

Istituto Superiore di Sanità, Roma 2 Unità di Ematologia; Azienda Ospedaliera Universitaria di Roma “La Sapienza”, Roma 3 Chirurgia Generale; Azienda Ospedaliera Universitaria di Roma “La Sapienza”, Roma

Il linfoma follicolare (FL) rappresenta la forma più frequente di linfoma non-Hodgking indolente di tipo B. Sebbene l'introduzione di nuove terapie abbia sostanzialmente cambiato la storia naturale della malattia, il FL rimane caratterizzato da alti tassi di ricaduta ed è virtualmente considerato incurabile. Il nostro gruppo ha investigato la possibilità di attivare la risposta immune linfoma-specifica attraverso una strategia di vaccinazione terapeutica basata sull'uso di cellule dendritiche ottenute da monociti di sangue periferico trattati con IFN-alfa (IFN-DC) e caricate con antigeni tumorali derivati da linfoma autologo, dopo induzione di apoptosi immunogenica, con l'obiettivo finale di sviluppare un nuovo protocollo di immunoterapia per il trattamento di pazienti affetti da FL. Nei nostri precedenti studi abbiamo dimostrato come le IFN-DC siano capaci di internalizzare e processare efficacemente antigeni virali e tumorali, promuovendo risposte T Helper di tipo Th1 ed il cross-priming di linfociti T CD8+ con grande efficienza. In questo nuovo studio, abbiamo invece dimostrato che le IFN-DC caricate con cellule tumorali apoptotiche e coltivate per due settimane con linfociti autologhi sono capaci di indurre un aumento della frequenza di cellule CD8+ e CD56+ e di promuovere la riattivazione della risposta anti-tumorale in colture di PBL da pazienti affetti da FL. I nostri risultati mostrano soprattutto come le IFN-DC siano particolarmente efficienti nell'attivazione delle cellule NK e nell'induzione di una massiccia produzione di IFN-γ in virtuale assenza di IL-10. L'analisi delle sottopopolazioni linfocitarie presenti nelle colture ha peraltro mostrato un aumentato contenuto intracellulare di granzyme-B/perforina nei linfociti T CD8+ ed NK e come questi acquisiscano una migliorata attività citotossica contro le cellule di linfoma autologo. In particolare, i nostri dati indicano un ruolo critico delle molecole MICA/B e della citochina IL-15 nell'attivazione delle cellule NK e nella loro produzione di IFN-γ da parte dalle IFN-DC. In conclusione, i risultati ottenuti suggeriscono che le IFN-DC caricate con cellule tumorali apoptotiche possano rappresentare un valido strumento per migliorare la potency dei vaccini terapeutici nelle malattie oncoematologiche, promuovendo l'attivazione delle cellule NK e dell'immunità cellulare specifica mediata da linfociti T CD8+.

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Gli esosomi delle cellule Natural Killer: un potenziale supporto acellulare nella lotta contro i tumori Luana Lugini1, Serena Cecchetti2, Veronica Huber3, Francesca Luciani4, Gianfranco Macchia2, Francesca Spadaro2, Luisa Paris2, Marisa Colone5, Cristina Federici1, Elisabetta Iessi1, Licia Rivoltini3, Carlo Ramoni2

and Stefano Fais1 1 Dipartimento del Farmaco, Istituto Superiore di Sanità, Roma 2 Dipartimento di Biologia Cellulare e Neuroscienze, Istituto Superiore di Sanità, Roma 3 Unità di Immunoterapia dei Tumori Umani, Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori, Milano. 4 Centro di Ricerca e Valutazione dei Prodotti Immunobiologici, Istituto Superiore di Sanità, Roma 5 Dipartimento di Tecnologia e Salute, Istituto Superiore di Sanità, Roma Recentemente gli esosomi stanno affascinando numerosi ricercatori per le molteplici funzioni biologiche riscontrate. Gli esosomi sono nanovescicole rilasciate nel microambiente extracellulare pressoché da tutte le cellule di origine ematopoietica, epiteliale e tumorale. Sono stati isolati dai sovranatanti di coltura cellulare e dai fluidi biologi umani, i.e. plasma, urine, saliva, liquido amniotico. Gli esosomi prodotti dalle cellule ematopoietiche sono stati largamente studiati per la loro attività immunomodulatoria. L’immunità innata rappresenta la prima efficace barriera di difesa dell’organismo da agenti patogeni e da cellule trasformate. Tra i componenti cellulari più importanti dell’immunità innata spiccano le cellule Natural Killer (NK), in grado di lisare bersagli cellulari sensibili, come le cellule tumorali, senza una precedente attivazione. Poco o nulla si sa degli esosomi delle cellule NK. Noi abbiamo purificato gli esosomi dai sovranatanti di colture cellulari di NK umane isolate da sangue di donatori sani, e direttamente da plasma umano. La caratterizzazione morfologica e fenotipica ha mostrato che le cellule NK resting e attivate producono esosomi (NKEXO) esprimenti sia proteine marker delle vescicole esosomiali (Rab5B e CD63) che marcatori proteici tipici delle NK (CD56, NKG2D, NKp30, NKp46, NKp44) e proteine Killer (i.e. FasL e perforina). Gli NKEXO hanno mostrato attività citolitica verso linee cellulari tumorali di diversa istologia e verso cellule immunitarie attivate, non resting. Analoghi risultati sono stati ottenuti con gli NKEXO isolati dal plasma di donatori sani. Questo studio pertanto dimostra che gli esosomi delle cellule NK possono contribuire all’omeostasi cellulare, e possono essere considerati uno strumento acellulare potenzialmente utile nei futuri approcci terapeutici contro il cancro.

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Esosomi ingegnerizzati come “carrier” di immunogeni: uno strumento innovativo per indurre immunità CTL contro antigeni associati ai tumori Chiozzini C.1, Anticoli S.1, Arenaccio C.1, Ferrantelli F.1, Manfredi F.1, Olivetta E.1, Ridolfi B.2, Di Bonito P.2, and Federico M.1 1 Centro Nazionale AIDS, Istituto Superiore di Sanità, Roma 2 Dipartimento di Malattie Infettive, Parassitarie ed Immunomediate, Istituto Superiore di Sanità, Roma 3 Dipartimento del Farmaco, Istituto Superiore di Sanità, Roma L’induzione di una forte ed ampia risposta immune CTL è un elemento fondamentale per la prevenzione e il trattamento di numerose patologie infettive e tumorali. Gli esosomi sono nanovescicole spontaneamente rilasciate da tutti i tipi di cellule e, tramite ingegnerizzazione, possono rappresentare uno strumento efficace per veicolare proteine immunogeniche. Abbiamo sviluppato una strategia innovativa volta ad indurre una efficace risposta immunitaria indotta da linfociti T CD8+ citotossici (CTL) contro antigeni proteici. Questa strategia si basa sull’ingegnerizzazione di esosomi mirata all’incorporazione ad alti livelli di antigeni tumorali all’interno delle vescicole esosomiali. Abbiamo ottenuto la prova sperimentale che, in questa configurazione, un “tumor associated-antigen” o TAA (HPV-E7) ingegnerizzato negli esosomi induce una forte risposta CTL che correla con una efficiente attività anti-tumorale sia in ambito preventivo che terapeutico. Per poter considerare potenziali applicazioni cliniche di tali risultati, la nostra strategia basata sugli esosomi potrebbe incontrare difficoltà applicative, quali la produzione industriale e la conservazione degli esosomi. Stiamo quindi valutando la possibilità di inoculare nel muscolo DNA codificante per la produzione endogena di esosomi immunogenici. Questa strategia si basa sulla recente osservazione che anche le cellule muscolari rilasciano costitutivamente vescicole “exosome-like”. I vantaggi rispetto all’uso di esosomi prodotti in vitro sono rappresentati dalla facilità di produzione e la stabilità del DNA immunogenico, il costo e la persistenza dello stimolo immunogenico. Ad oggi, stiamo valutando sia l'immunogenicità che l'effetto anti-tumorale di questi DNA che esprimono diversi antigeni associati al tumore.

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Il frammento anticorpale umano DIATHIS1 interferisce in vitro con il meccanismo inibitorio CEACAM1-mediato che ostacola l'attività antitumorale delle cellule NK: disegno e sviluppo preliminare di una strategia immunoterapeutica innovativa per il trattamento del melanoma Maria Luisa Dupuis1*,Valentina Fiori2*, Alessandra Soriani3*, Biancamaria Ricci3, Diego Moricoli2, Sabrina Dominici2 , Alessandro Ascione1, Angela Santoni3, Mauro Magnani4 and Maurizio Cianfriglia1 1 Department of Therapeutic Research and Medicines Evaluation, Istituto Superiore di Sanità, Rome, Italy 2 Diatheva s.r.l, Fano (PU), Italy 3 Department of Molecular Medicine, Istituto Pasteur-Fondazione Cenci Bolognetti, Sapienza University of

Rome, Rome, Italy 4 Department of Biomolecular Science, University of Urbino “Carlo Bo”, Urbino (PU), Italy *equal contribution. Recenti studi hanno evidenziato che un elevato livello di espressione ‘de novo’ del CEACAM1 (CarcinoEmbryonic Antigen-related Cell Adhesion Molecule 1), una nota molecola di adesione con proprietà immuno-modulanti, correla con la progressione metastatica e la ridotta sopravvivenza dei pazienti in un consistente numero di tumori solidi. Inoltre, è stato dimostrato che l’ interazione omofilica intercorrente tra le molecole di CEACAM1 espresse sulle cellule tumorali e sui linfociti infiltranti (TIL), sia cellule T che cellule NK, rappresenta un importante meccanismo di ‘tumor escape’, presumibilmente in grado di ostacolare in modo consistente la naturale immunosorveglianza e l'efficacia di trattamenti immunoterapeutici cellulo-mediati. Nel presente lavoro noi dimostriamo, avvalendoci di modelli sperimentali in vitro, che il frammento anticorpale umano DIATHIS1, isolato mediante la tecnologia del ‘phage display’ e specifico per il CEACAM1, è in grado di potenziare il macchinario litico delle cellule NK contro cellule di melanoma esprimenti l’antigene CEACAM1. Infatti, la co-incubazione del DIATHIS1 con cellule di melanoma CEACAM1-positive e la linea cellulare NK-92 aumenta significativamente la citotossicità cellulo-mediata in una modalità dose-dipendente. Inoltre, il pretrattamento delle cellule di melanoma con DIATHIS1 promuove l'attivazione e la capacità di degranulazione in vitro di cellule NK provenienti da donatori sani. E’ interessante notare che le linee di melanoma più suscettibili alla citotossicità delle cellule NK indotta dal DIATHIS1, esprimono livelli più elevati di alcune varianti di splicing del CEACAM1 (CEACAM1-3L e CEACAM1-3S), rispetto alle cellule rivelatesi meno sensibili. Nel loro insieme, i nostri risultati suggeriscono che il frammento anticorpale umano DIATHIS1 possa offrire l'opportunità di sviluppare innovative strategie immunoterapeutiche più sicure ed efficaci per il trattamento di preselezionati melanomi e di altri tumori solidi CEACAM1 positivi, potenziando in modo selettivo l'attacco anti-tumorale innescato dalle cellule immunocompetenti, naturalmente presenti e/o derivate da strategie cellulari adottive.

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Impiego di anticorpi intracellulari contro i tumori associati a Papillomavirus umani: studi in vitro e in vivo Francesca Verachi1, Aldo Venuti2, Francesca Paolini2, Zulema Percario3, Paola Di Bonito1, Michela Visintin4, Carla Amici5, Luisa Accardi1. 1 Istituto Superiore di Sanità, Dipartimento di Malattie Infettive, Parassitarie ed Immunomediate, Roma 2 Istituto Nazionale Tumori Regina Elena, Unità di Virologia, Roma 3 Università degli Studi Roma Tre, Dipartimento di Scienze, Roma 4 Layline Genomics, Trieste 5 Università degli Studi di Roma Tor Vergata, Dipartimento di Biologia, Roma Gli anticorpi a singola catena (scFvs) sono anticorpi ricombinanti che grazie al loro versatile formato possono essere ingegnerizzati ed espressi intracellularmente per inibire la funzione di specifici antigeni-bersaglio intracellulari. Gli “intrabodies” rappresentano dunque potenti strumenti per combattere tumori ad eziologia ascrivibile ad antigeni specifici, quali sono i tumori associati a Papillomavirus umani (HPVs). Nei nostri studi, utilizziamo “intrabodies” selezionati contro le oncoproteine E6 ed E7 del genotipo ad alto rischio HPV16 per distruggere le interazioni proteina-proteina che sono alla base della progressione dei tumori da HPV, ed esplorare la possibilità di una loro applicazione nella terapia antitumorale. L’anticorpo intracellulare I7 contro la proteina E6 di HPV16 (16E6) è stato selezionato tramite la Intracellular antibody capture technology (IACT). Alla sequenza di I7 è stato fuso un segnale di localizzazione nucleare (NLS) che ne ha permesso l’espressione nel nucleo di cellule positive per il genoma di HPV16 come I7nuc. E’ stata quindi effettuata una analisi di microscopia confocale di diverse linee cellulari, positive per HPV16 e non, allo scopo di studiare la localizzazione intracellulare della 16E6 in relazione all’espressione di I7nuc. In seguito l’effetto di I7nuc, espresso tramite sistema retrovirale, è stato valutato in vitro sulla proliferazione e la sopravvivenza di cellule positive per HPV16; in vivo ne è stata valutata l’attività antitumorale in due modelli preclinici per i tumori associati a HPV. Altri studi, che prevedono l’iniezione degli “intrabodies” in tumori già insorti o la elettroporazione dei tumori stessi con “intrabodies” somministrati come DNA o proteine, sono in corso in modelli animali, per valutarne l’attività terapeutica. In tutte le cellule utilizzate, I7nuc ed E6 risultavano sempre localizzati nello stesso compartimento, mentre nelle cellule positive per HPV16, I7nuc era in grado di causare lo spostamento di E6 da un compartimento cellulare ad un altro (ri-localizzazione). In altri studi in vitro si è osservato un evidente effetto di I7nuc sulla proliferazione cellulare ed un effetto moderato sulla apoptosi di cellule positive per HPV16, mentre nei modelli animali di tumore da HPV I7nuc ha dimostrato una significativa capacità di far revertire il fenotipo tumorale delle cellule. I risultati presentati sugli effetti dell’ anticorpo intracellulare contro la proteina 16E6, unitamente a quelli ottenuti in precedenza con gli anticorpi contro la proteina 16E7, sostengono fortemente la possibilità di un loro impiego terapeutico per le lesioni pre-neoplastiche associate a HPV o nel trattamento coadiuvante di quelle neoplastiche o metastatiche.

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Trattamento combinato di agenti ipometilanti il DNA e blocco degli immune check-point: un nuovo e promettente approccio immunoterapeutico anti-tumorale Fazio C1,2, Covre A1, Tunici P1,3, Lofiego M2,3, Natali PG4, Coral S1,3, Maio M1. 1 Immunoterapia e Oncologia Medica, Dipartimento di Oncologia, Azienda Ospedaliera Universitaria

Senese Le Scotte, Istituto Toscano Tumori, Siena 2 Genetica Medica, Università di Siena, Siena 3 Epigen Therapeutics S.r.l., Pordenone 4 Istituto Nazionale dei Tumori Regina Elena, Roma L'attività immunomodulatoria degli agenti ipometilanti il DNA (DHA) sui tumori suggerisce un loro potenziale ruolo sinergico con nuove immunoterapie per ottenere risposte antitumorali più efficaci; pertanto, questi agenti potrebbero essere utilizzati per lo sviluppo di nuove strategie immunoterapeutiche di combinazione per il trattamento del cancro. Partendo da questa ipotesi, in questo studio, abbiamo esplorato l'efficacia anti-tumorale di DHA combinati con l’anticorpo monoclonale (mAb) anti-CTLA-4 (clone 9H10), in modelli tumorali murini singenici. A tale scopo, cellule di carcinoma mammario murino (TS/A) o di mesotelioma murino (AB1) sono state iniettate sottocute in topi immunocompetenti e immunodeficienti, successivamente trattati con il DHA 5-aza-2'-deossicitidina (5-AZA-CdR), con il mAb 9H10 o con la combinazione dei due agenti. I volumi tumorali sono stati misurati in diversi tempi e al termine dello studio sono stati effettuati saggi molecolari e immunoistochimici nei tessuti neoplastici e normali. Dopo 12 giorni dall'inizio del trattamento abbiamo osservato, rispetto ai topi di controllo, una riduzione del volume tumorale del 67% (p <0.001), del 44% (p <0.01) e del 24% (p = 0,41) nei topi trattati rispettivamente con 5-AZA-CdR combinata con il mAb 9H10, 5-AZA-CdR da sola e mAb 9H10. L’attività antitumorale del trattamento combinato è stata confermata utilizzando il modello di mesotelioma AB1: dopo 20 giorni di trattamento con 5-AZA-CdR in combinazione con mAb 9H10 e 5-AZA-CdR da sola è stata osservata una riduzione dei volumi tumorali dell’81% (p <0.05) e del 33% (p = 0,10), rispettivamente; nessuna riduzione del volume tumorale è stata osservata nei topi trattati con mAb 9H10 da solo. Solo nei tessuti neoplastici degli animali trattati con 5-AZA-CdR abbiamo osservato una induzione de novo dell’espressione di antigeni tumorali murini. Il coinvolgimento diretto della metilazione del DNA nella regolazione dell'espressione di antigeni tumorali è stato confermato da una significativa riduzione (p<0,05) della metilazione del loro promotore, osservata nei tessuti tumorali dei topi trattati con 5-AZA-CdR da sola o in combinazione con mAb 9H10, rispetto ai topi di controllo. Inoltre il trattamento combinato dei due agenti ha indotto una elevata infiltrazione tumorale dei linfociti CD3 +. Nei topi immunodeficienti, non abbiamo osservato un aumento dell'efficacia anti-tumorale della combinazione del DHA con il mAb 9H10 rispetto all’efficacia osservata dopo somministrazione del DHA da solo. Nel complesso, questi dati forniscono il razionale scientifico per lo sviluppo di nuove e più efficaci strategie epigenetiche-immunoterapeutiche per i pazienti oncologici.

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Vaccinazione terapeutica a DNA contro un nuovo target di HPV-16 Francesca Paolini2,Marcelo Nazário Cordeiro1, Silvia Massa3, Gianfranca Curzio2, Elena Illiano4, Rita de Cássia Pereira de Lima1, Rosella Franconi3, Massimiliano Bissa4, Antonia Radaelli4, Antonio Carlos de Freitas1, Lucino Mariani2 and Aldo Venuti2 1 Federal University of Pernambuco; Department of Genetics; Laboratory of Molecular Studies and

Experimental Therapy (LEMTE); Pernambuco, Brazil 2 Regina Elena National Cancer Institute; HPV-UNIT; Rome, Italy 3 ENEA; Italian National Agency for New Technologies, Energy and Sustainable Economic Development;

C.R. Casaccia, UT BIORAD-FARM; Rome, Italy 4 Department of Medical Biotechnologies and Translational Medicine; Università di Milano; Milan, Italy

L’oncoproteina E5 potrebbe rappresentare un target terapeutico, essendo coinvolta nel processo di trasformazione da parte degli HPV ad alto rischio, come l’HPV16. Sviluppare un vaccino costruito sulla base di due differenti versioni del gene E5 di HPV 16: una con l’intera sequenza genica di E5 e l’altra, meno tossica, E5Multi, costituita da un gene sintetico con multiple copie di epitopi dell’oncogene E5. Per valutare l’efficacia dei nostri vaccini abbiamo prodotto in E.coli la proteina E5 per allestire i test immunologici. Il modello pre-clinico murino utilizzato è stato quello delle cellule C3 che abbiamo verificato esprimere l’oncoproteina E5. In topi C57BL/6 abbiamo analizzato la risposta immunologica al vaccino e la sua attività terapeutica nei confronti della crescita tumorale. Le due versioni del vaccino hanno dimostrato di indurre una risposta cellulo-mediata ed una attività terapeutica nei confronti del tumore C3 sia con uno scheduling preventivo che terapeutico. Gli effetti antitumorali indotti dai vaccini E5 e E5Multi erano paragonabili a quelli ottenuti con vaccini a DNA contro gli oncogeni E6 ed E7. L’immunizzazione genetica basata su E5 è possibile ed efficace. Un miglioramento tecnico di questo approccio potrebbe rappresentare la base per studi clinici, specialmente nelle prime fasi della carcinogenesi indotta da HPV

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Il “delivery” di Interferone alfa alle cellule espr imenti PDL-2 potenzia l’efficacia della chemioterapia Alessandra Rossi1, Iole Macchia1, Simona Donati1, Valentina La Sorsa1, Paola Sestili1, Genevieve Garcin2, Yann Bordat2, Gilles Uzè2, Filippo Belardelli1, Enrico Proietti1 e Laura Bracci1 1 Dipartimento di Ematologia, Oncologia e Medicina Molecolare, Istituto Superiore di Sanità, Roma, Italia 2 CNRS UMR 5235, Università di Montpellier II, Montpellier, Francia Lo sviluppo di una neoplasia è accompagnata dal reclutamento di cellule ad attività immunosoppressiva che favoriscono la crescita delle cellule tumorali attraverso l’inibizione della risposta immunitaria antitumorale. L’efficacia terapeutica di un farmaco antitumorale risiede nella possibilità di contrastare i segnali immunosoppressori che si generano all’interno del microambiente tumorale, oltre che di arrestare la proliferazione delle cellule tumorali. L’interferone di tipo I (IFN-I) è una citochina ampiamente utilizzata in clinica per via delle sue proprietà antivirali, antiproliferative e immunostimolanti. Tuttavia, a causa dell’ubiquità del suo recettore, il trattamento prolungato con IFN-I è accompagnato dall’insorgenza di gravi fenomeni di tossicità che obbligano alla sospensione del trattamento. Lo scopo di questo studio è valutare l’attività antitumorale dell’ IFN-alfa diretto alle sole cellule esprimenti la molecola immunosoppressiva PDL-2 attraverso la fusione della molecola di IFN-alfa ad un nanobody specifico per PDL-2 (PD-L2-IFN-Nb) somministrata a tre giorni di distanza dal trattamento con ciclofosfamide (CTX) in topi impiantati con un linfoma sperimentale. Da un precedente lavoro, era emerso infatti che un singolo inoculo di CTX, oltre ad esercitare un effetto citotossico sulle cellule tumorali che tuttavia non è sufficiente alla loro completa eradicazione, induce il reclutamento di cellule dendritiche e di macrofagi esprimenti alti livelli di PDL-2. La somministrazione combinata di CTX e PD-L2-IFN-Nb ha determinato una maggiore riduzione della massa tumorale e un aumento della sopravvivenza dei topi rispetto al trattamento con il solo chemioterapico. In particolare, l’effetto terapeutico del PD-L2-IFN-Nb risulta comparabile a quello ottenuto con una dose di IFN solubile, non veicolato, di 100 volte superiore. Questa strategia di “delivery” rivitalizza il potenziale terapeutico dell’IFN-alfa e apre la strada alla creazione di una nuova generazione di farmaci a bersaglio molecolare.

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Vaccini Terapeutici contro i tumori causati dal Virus del Papilloma Umano (HPV) Franconi R.1, Massa S.2, Paolini F.3, Spanò L.4, Venuti A.3 1 Laboratorio Tecnologie Biomediche, SSPT-TECS-TEB 2 Laboratorio di Biotecnologie, SSPT-BIOAG-BIOTEC, ENEA CR Casaccia, Roma 3 Laboratorio di Virologia HPV-UNIT, Istituto Nazionale Tumori Regina Elena, Roma 4 Università degli Studi dell’Aquila, L’Aquila L’efficacia dei vaccini terapeutici anti-cancro può essere potenziata, tra le varie possibilità, dalla combinazione con altre terapie (convenzionali o di immunoterapia), oppure dall’uso di nuovi adiuvanti. Il virus del papilloma umano (HPV) è l’agente causale del tumore del collo dell’utero e di altri tumori ano-genitali. HPV è anche implicato in alcuni tumori del cavo orale e, globalmente, in circa il 5% di tutti i tumori maschili e femminili. La presenza in questi tumori di antigeni tumorali derivati dal virus (oncoproteine E5, E6, E7) offre ampie prospettive di cura. Da circa 15 anni, ci stiamo occupando di vaccini terapeutici (genetici o proteici) per i tumori indotti da HPV utilizzando il mondo vegetale sia come fonte di molecole ad attività immuno-stimolatoria che come sistema di produzione più efficace. Abbiamo sviluppato un vaccino genetico dove il gene di E7 è stato fuso con il gene codificante una variante della proteina vegetale “saporina” di Saponaria officinalis. Questa proteina “presenta meglio” al sistema immunitario l'antigene tumorale E7 determinando la regressione del tumore in due modelli murini differenti (tra cui uno ortotopico per i tumori testa-collo) (brevetto europeo). Inoltre, abbiamo ottenuto formulazioni di vaccini proteici per HPV (E7 ed E6) in diversi sistemi di espressione eterologa quali la pianta intera, colture di radici ‘in vitro’, microalghe, e batterio. Alcuni di questi vaccini sperimentali si sono dimostrati molto efficaci nel proteggere animali di laboratorio dopo la sfida con il tumore. Per future applicazioni cliniche, è prevista la caratterizzazione dei meccanismi cellulari e molecolari alla base dell’attività immunoterapeutica del vaccino e l’ utilizzo del vaccino terapeutico in combinazione con chemio e/o radioterapia. La strategia concettualmente è estendibile ad altri tumori con un antigene specifico ad essi associato.

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Bioreattori “verdi” per la produzione di vaccini te rapeutici anti-HPV Massa S.1, Demurtas O.C.1, Paolini F.2, Franconi R.3, Venuti A.2 1 Laboratorio di Biotecnologie, SSPT-BIOAG-BIOTEC 2 Laboratorio Tecnologie Biomediche, SSPT-TECS-TEB, ENEA CR Casaccia, Roma 3 Laboratorio di Virologia HPV-UNIT, Istituto Nazionale Tumori Regina Elena, Roma

Le immunoterapie ed i vaccini terapeutici contro i tumori provocati dal Papillomavirus Umano (HPV) hanno in larga parte fallito in ambito clinico dimostrando la necessità di approcci innovativi. Abbiamo realizzato diversi vaccini terapeutici contro i tumori da HPV sfruttando le piante e piattaforme di produzione derivate da esse o da microrganismi “verdi” (rispettivamente, colture di radice ed alghe verdi unicellulari, sistemi sterili ed 'in contenimento' concettualmente vicini alla produzione di biofarmaci secondo ‘Good Manufacturing Practices’). Tali sistemi rappresentano dei bioreattori sicuri ed a costo ridotto per la produzione in regime di alta qualità di immunoterapie 'rationally designed' che potrebbero racchiudere in sé antigene, 'adiuvante' e sistema di delivery. Il loro uso ha grandi potenzialità, in generale, per la produzione di proteine e formulazioni con attività farmacologica. In particolare, abbiamo prodotto vaccini basati sulla fusione tra l'antigene tumore-specifico E7 di HPV16 con una serie di “carrier”: una lichenasi batterica, un peptide segnale vegetale ed una variante della proteina Saporina prodotta naturalmente dalla pianta medicinale Saponaria officinalis (European patent n. 2456785). Tali vaccini sperimentali sono stati prodotti con successo ed alcuni di essi, in fase avanzata di sperimentazione, hanno dimostrato, in modelli pre-clinici, interessanti proprietà di 'promozione' della scarsa immunogenicità dell'antigene E7 in grado di bloccare anche completamente la crescita di tumori sperimentali aggressivi.

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Vettori Fowlpox ricombinanti esprimenti i geni E6 ed E7 mutati di HPH16 per l’immunoterapia dei tumori associati ad HPV Illiano E.1,2, Paolini F.3, Zanotto C.4, De Giuli Morghen C.4,5, Massa S.6, Franconi R.2, Venuti A.3, Radaelli A..1,5 1 Dipartimento di Scienze Farmacologiche e Biomolecolari, Università degli Studi di Milano, Milano 2 Laboratorio Tecnologie Biomediche SSPT-TECS-TEB 3 Laboratorio di Virologia HPV-UNIT, Istituto Nazionale Tumori Regina Elena, Roma 4 Dipartimento di biotecnologie mediche e medicina traslazionale, Università degli Studi di Milano, Milano 5 Farmacologia Cellulare e Molecolare delle Cellule Nervose, CNR Istituto di neuroscienze, Università

degli Studi di Milano, Milano 6 Laboratorio di Biotecnologie SSPT-BIOAG-BIOTEC, ENEA CR Casaccia, Roma Le infezioni causate dai virus del papilloma umano ad alto rischio (Hr-HPV, in particolare HPV16) sono un’importante causa di tumori a livello dell’epitelio anogenitale, orofaringeo e cutaneo. Attualmente, l’espressione, a scopo vaccinale, delle oncoproteine E6 ed E7 (bersaglio d’elezione in quanto responsabili della trasformazione e progressione neoplastica) è stata realizzata mediante diversi sistemi basati sia su vettori virali, che batterici ed eucariotici. Nel presente lavoro abbiamo realizzato e valutato nuovi vaccini terapeutici seguendo diverse strategie di somministrazione di tipo prime/boost, che prevedono l’uso di ricombinanti virali basati su vettori fowlpox (sistemi di espressione sicuri poichè in grado di infettare, ma non di replicare, in cellule di mammifero) contenenti i geni mutati, non oncogeni, E6 ed E7 di HPV-16 in associazione col DNA plasmidico contenente gli stessi geni. E’ stata valutata la loro capacità di stimolare una risposta immune mediata da cellule e/o umorale in grado di bloccare la crescita tumorale in un modello murino di carcinogenesi indotta da HPV.

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La chemio-immunoterapia inibisce efficacemente lo sviluppo del tumore in un modello murino di carcinogenesi spontanea della mammella Eleonora Aricò1*, Paola Sestili1*, Giulia Carpinelli2, Rossella Canese2, Serena Cecchetti2, Giovanna Schiavoni1, Maria Teresa D’Urso1, Anna Maria Pacca1, Daniele Macchia1, Filippo Belardelli1 and Enrico Proietti1 1 Dipartimento di Ematologia, Oncologia e Medicina Molecolare, Istituto Superiore di Sanità, Roma 2 Dipartimento di Biologia Cellulare e Neuroscienze, Istituto Superiore di Sanità, Roma *equal contribution

La tolleranza immunologica rappresenta un ostacolo per lo sviluppo di risposte tumore-specifiche da parte di vaccini anti-tumorali. I topi transgenici per l'antigene HER2/neu costituiscono un modello di carcinogenesi spontanea legato alla tolleranza immunologica, ed è anche per questo motivo che sono tutt’ora ampiamente utilizzati per testare l'efficacia di strategie terapeutiche o profilattiche di vaccinazione contro i tumori mammari. In questo studio riportiamo i risultati ottenuti testando, sul modello HER2/neu, l’efficacia di protocolli di vaccinazione profilattica e terapeutica basati sulla combinazione di ciclofosfamide (CTX) ed il trasferimento adottivo di cellule e siero immuni. Nel complesso, i nostri dati mostrano che questo approccio immunoterapico esercita un effetto significativo sui topi portatori di tumori HER2/neu, con la conseguente drastica diminuzione del numero di tumori mammari che inizia subito dopo il trattamento e raggiunge un picco minimo dopo 4/5 settimane. L'eliminazione completa di un numero significativo di lesioni tumorali è stata documentata da analisi periodiche delle lesioni in remissione mediante Risonanza Magnetica T2 multistrato, ed è accompagnata dalla presenza di anticorpi anti-p185 e da una significativa infiltrazione leucocitaria nelle masse tumorali. Infine, gli esperimenti di vaccinazione profilattica nel modello HER2/Neu hanno mostrato un significativo ritardo nello sviluppo tumori mammari dei topi trattati con CTX più trasferimento adottivo di cellule e siero immuni rispetto ai topi non trattati. Oltre a dimostrare la notevole potenzialità di questa strategia di vaccinazione profilattica, questa osservazione ha anche dimostrato che la regressione osservata nei topi portatori di tumore non veniva ottenuta attraverso un effetto diretto sulle cellule tumorali. La somministrazione di CTX e trasferimento adottivo di cellule e siero immuni potrebbe invece indurre una risposta immunitaria efficace perché capace di rompere la tolleranza immunologica contro l'oncogene transgenico. Questi risultati aprono nuove prospettive per l’uso di trattamenti immuno-modulanti, come la combinazione tra chemioterapia ed immunoterapia, per superare la tolleranza immunologica nei pazienti oncologici.

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Il fattore di regolazione dell'interferone-1 (IRF-1) è indotto dalla ciclofosfamide e controlla diversi aspetti delle sue attività immunomodulanti Carla Buccione1, Alessandra Fragale1, Federica Polverino1, Giovanna Ziccheddu1, Filippo Belardelli1, Enrico Proietti1, Angela Battistini2, Federica Moschella1 1 Dipartimento di Ematologia, Oncologia e Medicina Molecolare, Istituto Superiore di Sanità,Roma 2 Dipartimento di Malattie Infettive, Parassitarie ed Immunomediate, Istituto Superiore di Sanità, Roma

La Ciclofosfamide (CTX) migliora l'efficacia anti-tumorale dell’immunoterapia attraverso numerosi meccanismi immunomodulanti, tra cui la deplezione delle cellule T regolatorie (Treg), la polarizzazione dei linfociti T helper verso il fenotipo Th1, la produzione di interferone (IFN) di tipo I e di citochine proinfiammatorie. IRF-1 è un regolatore trascrizionale di IFN e di geni inducibili da IFN, coinvolto nel controllo del differenziamento Th1/Treg e nell’infiammazione sterile. Per studiare il ruolo svolto da IRF-1 nella regolazione di alcuni dei meccanismi immunomodulanti della CTX, gli effetti di questo farmaco sono stati studiati in topi C57Bl/6 wild-type (wt) e knockout per il gene IRF-1 (IRF-1-/-). I risultati ottenuti dimostrano che nella milza di topi wt, la CTX induce un aumento transitorio dell’espressione di IRF-1, che correla con l’induzione di geni coinvolti nel differenziamento delle cellule Th1 (IL-12, T-bet, IFN-gamma), noti per essere sotto il controllo positivo diretto e indiretto di IRF-1. Questi effetti non sono stati osservati in topi IRF-1-/-, suggerendo che questo fattore di trascrizione possa controllare la polarizzazione dei T helper mediata da CTX. Inoltre, in linea con i nostri precedenti studi sulla regolazione del differenziamento delle Treg da parte di IRF-1, mentre la somministrazione di CTX riduce sia i livelli di espressione di Foxp3 che le percentuali di cellule Treg nei topi wt, lo stesso effetto non si ottiene nei topi IRF-1-/-. Ulteriori esperimenti hanno dimostrato che in risposta al trattamento con il chemioterapico aumenta l’espressione genica e/o proteica di iNOS, Caspasi-1, IL-1β, IL-6 e CXCL10 e dei livelli di ossido nitrico, ed hanno evidenziato un importante ruolo di IRF-1 nel regolare la trascrizione o l’attivazione di questi fattori ed, in ultima analisi, l’accensione di una risposta infiammatoria sterile. Complessivamente questi dati indicano che IRF-1 gioca un ruolo chiave nella regolazione di diversi meccanismi attraverso i quali la CTX riduce la tolleranza indotta dal tumore e sposta l'equilibrio verso una risposta immunitaria efficace contro il tumore. Questi risultati inoltre aprono la strada ad un possibile utilizzo di IRF-1 quale marcatore predittivo per il superamento dello stato di immunotolleranza e per l’innesco della risposta antitumorale nei pazienti trattati con CTX o con chemioimmunoterapia.

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IFN-α potenzia gli effetti antitumorali diretti ed immuno-mediati dei farmaci epigenetici nel trattamento delle cellule metastatiche e staminali del tumore del colon-retto Buoncervello M1, Romagnoli G1*, Buccarelli M1*, Fragale A1, Toschi E1, Parlato S1, Lucchetti D2, Macchia D1, Spada M1, Canini I1, Sanchez M3, Falchi M4, Musella M1, Biffoni M1, Belardelli F1, Capone I1, Sgambato A2, Ricci Vitiani L1, Gabriele L1. 1 Dipartimento di Ematologia, Oncologia e Medicina Molecolare, Istituto Superiore di Sanità, Roma . 2 Istituto di Patologia Generale, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma 3 Dipartimento di Biologia Cellulare e Neuroscienze, Istituto Superiore di Sanità, Roma 4 Centro nazionale AIDS, Istituto Superiore di Sanità, Roma *equal contribution Le alterazioni epigenetiche, tra cui le modificazioni istoniche e la metilazione alterata del DNA, controllano la progressione del tumore del colon-retto (CRC). Infatti, le cellule neoplastiche utilizzano la regolazione epigenetica nel governare alcuni pathway cellulari, tra cui i segnali di proliferazione, metastatizzazione e apoptosi, che interessano ogni fase dello sviluppo tumorale. Poiché le aberrazioni epigenetiche possono essere farmacologicamente revertite dagli inibitori delle istone deacetilasi (HDACi) e delle DNA-metiltransferasi (DNMTi), le terapie epigenetiche, anche in associazione a terapie standard, hanno la potenzialità di controllare la progressione tumorale, sconfiggendo la resistenza associata ai farmaci tradizionali. In questo studio, noi abbiamo dimostrato che la combinazione di due diversi farmaci epigenetici, ovvero azacitidina (DNMTi) e romidepsina (HDACi), con IFN-α, mostra una elevata efficacia terapeutica, capace di controllare anche le componenti cellulari più aggressive, tra cui le cellule staminali tumorali (CSCs). Di grande interesse, l’efficacia antitumorale di questa nuova combinazione terapeutica, esplicata attraverso il controllo di segnali cellulari, è associata all’induzione di molecole coinvolte nella morte cellulare immunogenica. Infine, abbiamo dimostrato il ruolo chiave dell’IFN-α nell'indurre effetti sia antiproliferativi che pro-apoptotici nelle cellule staminali tumorali di CRC. Nel complesso, questi risultati aprono una nuova frontiera sulla capacità dell’IFN-α di cooperare con agenti epigenetici in nuove strategie terapeutiche nel trattamento di pazienti con CRC.

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Le risposte antigene-specifiche mediate dai linfociti T sono isolabili nei pazineti con mesotelioma maligno trattati con tremelimumab, un anticorpo monoclonale anti-CTLA-4 Carla Chiarucci1,2,3, Gianluca Giacobini1,2,3, Diana Giannarelli4, Luana Calabrò2, Cristina Maccalli1,2, Michele Maio2 1 Network Italiano per la Bioterapia dei Tumori (NIBIT)-Laboratorio, Siena 2 Immunoterapia e Medicina Oncologica, Dipartimento di Oncologia, Azienda Ospedaliera Universitaria

Senese, Le Scotte, Siena 3 Genetica Medica, Università di Siena, Siena 4 Unità di Statistica, Istituto Nazionale Tumori Regina Elena, Roma L’immunoterapia ha mostrato un crescente successo terapeutico in numerose neoplasie umane in particolare con l’utilizzo di anticorpi monoclonali (mAbs) immunomodulanti. Il trattamento di pazienti affetti da mesotelioma maligno (MMES) con l’anticorpo monoclonale anti-CTLA-4 tremelimumab, nell’ambito dei due studi clinici MESOT-TREM-2008 e -2009; (Calabrò L. et al, 2013 e 2015) ha consentito di osservare un beneficio. Lo scopo principale del presente studio è stato quello di determinare le possibili risposte antigene-specifiche mediate da cellule T nel sangue periferico di pazienti con MMES nel corso del trattamento. La somministrazione del mAb tremelimumab nei due studi clinici sopra citati (n=58) prevedeva rispettivamente una dose di 15 mg/kg ogni 90 giorni e di 10 mg/kg ogni 28 giorni. Le cellule mononucleate del sangue periferico (PBMCs) dei pazienti con MMES sono state raccolte sia al tempo basale che a due differenti tempi (ciclo 2 e 5-6) dopo il trattamento. La reattività dei linfociti T circolanti contro antigeni associati al tumore (TAAs; NY-ESO-1, MAGE-A3, WT-1, MUC1, hTERT, SVV-1, Mesotelina) è stata determinata con il saggio di rilascio di IFN-γ (ELISpot) in pazienti HLA-A1+, -A2+, -A3+ or –A24+ (N=37). Inoltre con lo stesso test è stato determinato il riconoscimento dei linfociti T di linee allogeniche di MMES che condividevano le molecole HLA selezionate oppure la reattività cellulare innata (Natural Killer, NK) contro la linea cellulare K562. I PBMCs dei pazienti MMES mostravano reattività mediata dai linfociti T contro TAA multipli, sia al tempo basale (N=11 pazienti) che nel corso del trattamento (rispettivamente N=7 e N=4 pazienti al primo e al secondo tempo post-trattamento). I TAA più comunemente riconosciuti dai linfociti T erano hTERT e NY-ESO-1. Il riconoscimento tumorale dei linfociti T era rispettivamente in N=3 pazienti al tempo basale e in N=4 pazienti dopo il trattamento. In alcuni casi, in assenza di reattività specifica anti-tumore dei linfociti T, è stata osservata attività delle cellule NK sia al tempo basale (N=6 pazienti) che in corso di trattamento (N=4 pazienti). Nei pazienti con MMES trattati con il mAb anti-CTLA-4 è stato possibile isolare risposte antigene-e/o tumore-specifiche mediate dai linfociti T. Queste risposte immunologiche potevano venire modulate in relazione con il trattamento terapeutico. La correlazione di questi risultati con le risposte cliniche dei pazienti è in corso di valutazione.

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La suscettibilità agli inibitori di BRAF delle risp oste anti- tumorali mediate dalle cellule T può venire influenzata dall’origine dei linfociti Gianluca Giacobini1,2,3, Carla Chiarucci1,2,3, Elisa Scala2, Giorgio Parmiani1,2, Cristina Maccalli1,2, Michele Maio2 1 Network Italiano per la Bioterapia dei Tumori (NIBIT)-Laboratorio, Siena 2 Divisione di Oncologia Medica e Immunoterapia, Azienda Ospedaliera Universitaria Senese, Istituto

Toscano Tumori, Siena 3 Genetica Medica, Università di Siena, Siena Gli inibitori di BRAF (BRAFi) possono modulare le risposte immunitarie nei pazienti con melanoma metastatico (MM). Lo scopo di questo studio è stato: i. determinare il repertorio antigenico riconosciuto dai linfociti T del sangue periferico di pazienti con MM trattati con BRAFi; ii. valutare l’effetto in vitro di BRAFi su linfociti T isolati dalle cellule mononucleate del sangue periferico (PBMC) o dai linfociti infiltranti il tumore (TIL) di pazienti con MM. PBMC sono stati isolati da pazienti con MM al tempo basale e post-trattamento con BRAFi. La tipizzazione delle molecole HLA, è stata condotta sui PBMC al fine di selezionare i pazienti (N=34) HLA-A1+, -A2+, -A3+ o –A24+. Il riconoscimento da parte delle cellule T circolanti degli antigeni associati al melanoma (MAAs; NY-ESO-1, MAGE-A1, A2 o A3, Gp100, MART-1, Tyr, hTERT, SVV-1, SOX-2) è stato valutato mediante la determinazione del rilascio di IFN-γ (ELISpot). La correlazione tra questi dati e la risposta clinica dei pazienti è stata determinata con il log-rank test. Inoltre, la suscettibilità dei PBMC (N=2) e dei linfociti infiltranti il tumore (TILs; N=2) isolati da pazienti con MM al trattamento in vitro con BRAFi (10, 2 e 0.2 µM) è stata valutata mediate saggio di proliferazione con tecniche di IF e citofluorimetria. Colture miste di linfociti e cellule tumorali autologhe (MLTC) sono state generate in presenza o meno di BRAFi, utilizzando le cellule tumorali come fonte antigenica per generare in vitro cellule T anti-tumore. Anche i TIL sono stati trattati in vitro con BRAFi e la reattività anti-tumorale di quest’ultimi e delle MLTC è stata valutata mediante saggio di rilascio di citochine (IFN-γ, ELISpot). La risposta antigene-specifica delle cellule T circolanti era misurabile nei pazienti con MM (N=14) al basale, ma l’induzione post-trattamento del riconoscimento di altri MAA è stata osservata per N= 8 pazienti. Mage-A2, hTERT e Tyr rappresentavano gli antigeni più comunemente riconosciuti dai linfociti T dei pazienti con MM. Una correlazione positiva è stata osservata tra il riconoscimento antigene-specifico mediato dalle cellule T circolanti e le risposte cliniche (ORR; p>0.01) dei pazienti. La proliferazione cellulare, dopo la stimolazione in vitro con mitogeni (PHA/ConA), dei PBMC e dei TIL trattati con BRAFi era ridotta (40-80%) con andamento dose-dipendente rispetto alle cellule non trattate. Il riconoscimento delle cellule tumorali autologhe delle MLTC era completamente abrogata dal trattamento con BRAFi in confronto con l’MLTC di controllo. Contrariamente, la reattività anti-tumore da parte dei TIL era incrementata (30-50%) dal trattamento con BRAFi. I nostri risultati indicano che gli inibitori di BRAF possono influenzare differentemente la risposta anti-tumorale dei linfociti T, a seconda dell’origine e dello stato di attivazione di quets’ultimi. BRAFi possono influenzare negativamente l’induzione di cellule T tumore-specifiche isolate dal sangue periferico, mentre possono potenziare la reattività anti-tumorale dei TIL, nei quali potenzialmente si può verificare un arricchimento di cellule T anti-tumore. Inoltre, è stato possibile osservare che il trattamento con questi farmaci dei pazienti con MM può modulare le risposte immunitarie anti-tumore, in alcuni casi in associazione con il beneficio clinico. Complessivamente questi risultati, anche se necessitano la valutazione in un maggior numero di pazienti, possono avere rilevanti implicazioni per il disegno di terapie di combinazione con farmaci a bersaglio molecolare e l’immunoterapia per i pazienti con MM.

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La combinazione terapeutica di DTIC e vaccinazione peptidica induce una risposta immunitaria CD8+ antigene-specifica polifunzionale dipendente dall’attivazione di AKT e sostenuta da ICOS Ornella Franzese1, Belinda Palermo2, Cosmo Di Donna2, Isabella Sperduti3, Virginia Ferraresi4, Maria Laura Foddai2, Helena Stabile5, Angela Gismondi5, Angela Santoni5, Paola Nisticò2 1 Dipartimento di Medicina, Università of Tor Vergata, Roma 2 Dipartimento di Ricerca, Diagnostica Avanzata e Innovazione Tecnologica, Istituto Nazionale Tumori Regina

Elena, Roma 3 Biostatistica e Direzione Scientifica, Istituto Nazionale Tumori Regina Elena, Roma 4 Oncologia Medica1, Dipartimento di Oncologia Sperimentale, Istituto Nazionale Tumori Regina Elena, Roma 5 Dipartimento di Medicina Molecolare, Università di Roma “La Sapienza”, Roma L'identificazione di vie di attivazione linfocitaria, correlate ad una efficace risposta clinica, è determinante nel disegno di nuovi trials clinici di immunoterapia. Recentemente il nostro gruppo ha riportato che linfociti T CD8+ Melan-A-specifici, isolati da pazienti trattati con il chemioterapico dacarbazina (DTIC) il giorno prima della vaccinazione peptidica (Melan-A e gp100) più IFN-α hanno una maggiore reattività anti-tumorale e un repertorio linfocitario T Melan-A-specifico diversificato, rispetto ai linfociti isolati dai pazienti trattati con la sola vaccinazione peptidica. Questi dati suggerivano che il trattamento combinato di chemio immunoterapia potesse favorire una risposta immunitaria anti-tumorale efficace, capace di proteggere il paziente da ricadute di malattia. Per identificare i meccanismi molecolari e funzionali della risposta immunitaria anti-tumorale osservata in questi pazienti lungo sopravviventi, è stata analizzata la risposta linfocitaria T CD8+ antigene-specifica, prima e dopo i trattamenti immunoterapici. In un pannello di cloni antigene-specifici isolati da cinque pazienti è stato valutato il fenotipo di differenziazione (CCR7 e CD45RA), il profilo di espressione delle molecole co-stimolatorie (CD27, CD28 e ICOS) ed inibitorie (TIM-3, Gal-3 e PD-1), la capacità polifunzionale (IFN-γ, TNF-α e Granzyme B) e l'attivazione del pathway AKT (pSer473-AKT). L’attivazione di tale pathway può favorire l’induzione ed il mantenimento di molecole effettrici dei linfociti T citotossici, mentre la sua inibizione previene la produzione di IFN-γ. E’ stato osservato che i linfociti T CD8+ Melan-A-specifici isolati dai pazienti prima di entrambi i trattamenti hanno una bassa polifunzionalità e una ridotta espressione del recettore di attivazione ICOS e possiedono uno stato di attivazione di AKT correlato al loro profilo di differenziazione linfocitario “early” e/o “intermedio”. Al contrario, l’analisi dei cloni linfocitari isolati dopo la terapia ha evidenziato che solo i pazienti trattati con la combinazione di chemio immunoterapia presentavano un’espansione di linfociti T CD8+ tumore-specifici con un profilo fenotipico e funzionale tipico di cellule effettrici altamente differenziate e attivate. Questi cloni sono altamente efficienti nel riconoscere e uccidere linee tumorali di melanoma, sono altamente polifunzionali, hanno recettori inibitori up-regolati. Dal punto di vista funzionale mantengono un’alta capacità proliferativa e dati biochimici evidenziano l’attivazione del pathway di AKT in modo non correlabile allo stadio di differenziazione ma dipendente dalla presenza del recettore di attivazione ICOS. In particolare, è stato osservato che la polifunzionalità di tali cellule è strettamente dipendente dall’attivazione di AKT, come dimostrato da esperimenti di blocco con inibitori specifici. Il risultato del nostro lavoro suggerisce che il profilo di differenziazione fenotipico e funzionale, osservato in pazienti trattati con la combinazione di DTIC e vaccinazione peptidica, è determinato da uno stretto bilanciamento tra qualità di riconoscimento recettore TCR/antigene, segnali di inibizione e di co-stimolo (quale ICOS) e mantenimento di uno stato di AKT attivo. Tale pathway di attivazione linfocitaria determina una efficiente risposta anti-tumorale in grado di proteggere i pazienti da recidive. Questo studio rappresenta un importante contributo per la comprensione dei meccanismi che governano una risposta immunitaria efficace e per l'identificazione di nuovi biomarcatori che possano essere impiegati come indicatori di una risposta immunitaria in grado di contrastare la crescita tumorale.

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A phase I trial to evaluate the safety and activity of a-Dendritic Cell-based immunotherapy in indolent non-Hodgkin lymphomas (IFN-DC-2 Study) M. Cox1, C. Rozera2, R. Dolcetti3, A. Pavan4, M. Mattei5, L. Santodonato2, G. D'Agostino2, G. Natale4, P. Castaldo6, A. Di Napoli4, M. Cantonetti7, A. Brescia8, S. Vaglio4, C. Berdini9, A. Tafuri4, L. Ruco4, E. Proietti2, F. Belardelli2, I. Capone2. 1 UOC Ematologia, Azienda Ospedaliera Sant'Andrea, Roma 2 Dipartimento EOMM, Istituto Superiore di Sanità, Roma 3 UO Immunoterapie, Centro Oncologico di Aviano, Pordenone 4 Dipartimento di Medicina Clinica e Molecolare, Università Sapienza, Roma 5 UO Radiologia Senologica, Azienda Ospedaliera Sant'Andrea, Roma 6 UOC Chrirurgia 1, Azienda Ospedaliera Sant'Andrea, Roma 7 UO Oncoematologia, Università Tor Vergata, Roma 8 UO Day Surgery, Università Sapienza, Roma 9 UO Centro Trasusionale, Azienda Ospedaliera Sant'Andrea, Roma Immuno-chemotherapy has led to a dramatic improvement in progression free survival and overall survival of Indolent B-cell Lymphoma patients (I-NHL). However I-NHL remain incurable and there is a need for novel therapies, with less toxicity and more specific targeting of tumor cells. Recently two studies have shown the potential efficacy of active immunotherapy by repeated administration of autologous dendritic-cells in both relapsed/refractory and de novo I-NHL.The Experimental Immunotherapy Unit at ISS has developed a particularly effective modality of ex vivo differentiation of DC from human monocytes in the presence of GM-CSF and type IFN-α. The DC generated by this method, designated IFN-DC, exhibit a phenotype of highly active partially mature DC, endowed with a high migratory and immuno-stimulatory ability and with a peculiar efficiency in inducing a TH1 type immune response and CD8+ T cells against a variety of antigens. The IFN-DC-2 study is a phase I to evaluate safety and tolerability as well as immune and clinical responses of a IFN-DC based therapy in combination with rituximab for the treatment of patients with advanced I-NHL. The Primary endpoints are: I) Evaluation of safety and tolerability of treatment II) Evaluation of tumor-specific immune responses. by determining: i) Tumor-specific immune response in peripheral blood; ii) Intratumoral infiltration of immune cells;iii) DTH test. The secondary endpoint is clinical response 18-75 years patients with relapsed or refractory I-NHL (Follicular, Marginal or Lymphoplasmocytic subtypes) after one or more lines of treatment, not needing immediate retreatment basing on the GELF Criteria. Patients are divided into two groups (ten for each group) both receive intranodal injection of rituximab (5-10mg, depending on the size of the lymph node) in combination with low (group 1) or high doses (group 2) of IFN-DC (20x106 or 60x106cells respectively). IFN-DC will be administered one day after treatment with rituximab. Treatment regimen foresees eight injection cycles. Rituximab and IFN-DC are administered by intranodal direct injection (IDI). The study started in October 2014 and up to now four patients have been enrolled. No serious adverse events have been reported so far, while immunological and clinical evaluations are ongoing. Although DC-based immunotherapy represents a promising approach for treating lymphoma, there is a strong need for consensus on the optimal protocol and type of DC to be used. The IFN-DC-2 trial evaluates the safety, feasibility and potential activity of two different doses of highly active IFN-DC combined with rituximab in Relapsed/Refractory I-NHL patients. Furthermore, specifically designed biological assessments will help to identifiyng predictive markers of clinical activity.

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FaBioCell l’officina farmaceutica dell’Istituto Superiore di Sanità Laura Santodonato, Giuseppina D’Agostino, Mariarosaria Napolitano, Enrica Montefiore, Davide Carlei, Imerio Capone, Paola Rizza, Valentina La Sorsa, Filippo Belardelli, Carmela Rozera Dipartimento di Ematologia, Oncologia e Medicina Molecolare, Istituto Superiore di Sanità, Roma Negli ultimi anni i progressi dell’immunoterapia hanno aperto nuovi orizzonti nel trattamento terapeutico di varie patologie, in particolare in oncologia. Proprio allo scopo di favorire il trasferimento dei risultati delle ricerche dal laboratorio alla clinica in campo oncologico e, in generale, lo sviluppo delle Terapie Cellulari Avanzate, L’Istituto Superiore di Sanità (ISS) ha promosso l’attivazione di FaBioCell, un’officina farmaceutica, o cell factory, dedicata alla produzione, secondo le Norme di Buona Fabbricazione (Good Manufacturing Practice, GMP), di farmaci cellulari. L‘obiettivo principale di FaBioCell è, infatti, sviluppare metodologie per la produzione GMP di diverse tipologie di Prodotti Medicinali per Terapie Avanzate (PMTA), siano essi frutto di ricerche interne all’ISS o proposti da ricercatori di altre strutture, al fine di rendere disponibili farmaci cellulari idonei all’uso clinico in sperimentazioni innovative, principalmente nel campo dell’immunoterapia, disciplina in cui il gruppo proponente è attivo da molti anni. FaBioCell è divenuta operativa nel 2011 a seguito del conseguimento dell’autorizzazione alla produzione di farmaci cellulari rilasciata dall’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA). In questi anni è stato condotto un primo trial clinico basato sull’impiego di un particolare tipo di cellule dendritiche, frutto della ricerca svolta in ISS, definite IFN-DC. I risultati dello studio, condotto in collaborazione con l’Istituto Dermopatico dell’Immacolata e l’Azienda Ospedaliera Sant’Andrea, Università Sapienza, sono stati recentemente pubblicati (J. Transl. Med 2015 May 2;13:139). Attualmente, la cell factory è impegnata in due ulteriori sperimentazioni cliniche la prima delle quali basata di nuovo sull’impiego di IFN-DC e condotta in collaborazione con l’Azienda Ospedaliera Sant’Andrea, Università Sapienza. La seconda, rivolta a pazienti affetti da Leucemia Linfoblastica Acuta e condotta in collaborazione con il Policlinico Umberto I, Università Sapienza, prevede il trattamento dei pazienti con un diverso farmaco cellulare costituito da cellule Natural Killer autologhe espanse ex vivo.

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LE NUOVE FRONTIERE NELL’IMMUNOTERAPIA DEI TUMORI: REALTÀ E PROSPETTIVE 16 ottobre 2015

Roma, ISS, Aula Pocchiari

Espressione costitutiva delle molecole MHC di classe II nelle metastasi cerebrali di melanoma: implicazioni per l’ immunoterapia Cutaia O., Fazio C., Bertocci E., Altomonte M., Macalli C., Fonsatti E., Maio M. U.O.C. Immunoterapia Oncologica, Azienda Ospedaliera Universitaria Senese, Istituto Toscano Tumori, Siena E’ stata osservata una relazione tra l’espressione delle molecole MHC di classe II nei tessuti tumorali dei pazienti affetti da melanoma metastatico (MM) e l’andamento clinico. Lo scopo di questo studio è stato quello di determinare l’espressione ed il ruolo funzionale delle molecole MHC di classe II in linee di metastasi cerebrali da melanoma (BMM) isolate da pazienti afferenti alla nostra Unità Operativa. L’espressione delle molecole MHC di classe II e delle molecole accessorie CLIP e CD74, è stata determinata mediante analisi citofluorimetrica in 11 linee di MM e 12 linee di BMM. L’espressione di CIITA, il gene regolatore dell’espressione dell’HLA-DR, è stata determinata mediante qRT-PCR. Colture miste di linfociti T e cellule tumorali (MLTC) autologhe sono state generate in vitro al fine di determinare l’attività funzionale delle molecole HLA-DR espresse dalle BMM nel presentare gli antigeni tumorali. L’attività anti-tumorale delle cellule T è stata valutata attraverso test di rilascio di INF-ɣ (saggio ELISpot) in seguito a co-coltura con le cellule tumorali autologhe pre-incubate o meno con gli anticorpi monoclonali diretti contro le molecole HLA di classe I o II. L’82 % delle linee cellulari di BMM ed il 66% delle linee di MM erano positive per l’espressione delle molecole HLA-DR. Questa espressione correlava con i livelli intracellulari di CD74, mentre non è stata rilevata alcuna espressione di questa molecola sulla superficie cellulare. L’espressione intracellulare e in membrana di CLIP è stata riscontrata solamente nel 4% delle linee cellulari esaminate. In aggiunta, l’espressione di tutte le molecole analizzate veniva up-regolata in seguito al trattamento in vitro delle linee cellulari con INF-ɣ. La generazione delle MLTC ha permesso di determinare che linfociti T CD4+ con attività anti-tumore venivano isolati in vitro solo quando linee BMM HLA-DR + venivano utilizzate come fonte antigenica. Questi dati suggeriscono che le linee BMM possono efficientemente processare e presentare antigeni tumorali in associazione con le molecole HLA-DR e quindi indurre, in vitro, risposte anti-tumore mediate dai linfociti T CD4+.

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LE NUOVE FRONTIERE NELL’IMMUNOTERAPIA DEI TUMORI: REALTÀ E PROSPETTIVE 16 ottobre 2015

Roma, ISS, Aula Pocchiari

Elementi predittivi di risposta a trattamenti chemio-immunoterapici in pazienti con melanoma metastatico Francesca Urbani1, Carla Buccione1, Luciano Castiello1, Belinda Palermo2, Paola Nisticò2, Federica Moschella1, Enrico Proietti1, Virginia Ferraresi2, Francesco Cognetti2, Diana Giannarelli2, Caterina Catricalà3, Imerio Capone1, Filippo Belardelli1 e Iole Macchia1 1 Dipartimento di Ematologia, Oncologia e Medicina Molecolare, Istituto Superiore di Sanità, Roma 2 Dipartimento di Oncologia Sperimentale, IFO-IRE- Istituti Fisioterapici Ospitalieri, Istituto Regina Elena,

Roma 3 IFO-ISG- Istituti Fisioterapici Ospitalieri, Istituto San Gallicano, Roma Il riconoscimento del ruolo chiave del sistema immunitario nel promuovere o inibire la progressione tumorale ha portato negli ultimi anni a focalizzare l’attenzione sui marcatori immunologici da utilizzare come potenziali fattori prognostici e/o predittivi della progressione della malattia, soprattutto nell’ambito dell’immunoterapia dei tumori. Obiettivo principale del presente lavoro è stato quello di monitorare la risposta immunitaria ex vivo di cellule mononucleate di sangue periferico (PBMCs) di pazienti con melanoma avanzato nell’ambito di uno studio clinico randomizzato di fase II, basato sulla vaccinazione con peptidi di antigeni tumorali (MART-1 e NY-ESO) associati a IFN-α, in combinazione o meno con trattamento chemioterapico (dacarbazina, DTIC). A tale scopo sono stati messi a punto e ottimizzati alcuni pannelli citofluorimetrici per la caratterizzazione fenotipica e funzionale di diverse sottopopolazioni cellulari quali linfociti T CD4+, CD8+, CD4+CD8+ doppio-positivi, cellule T regolatorie (TREGs), nonché cellule natutal killer (NK) e linfociti T γδ. Inoltre è stato sviluppato un saggio funzionale multiparametrico (FMT) basato sull’analisi d IFNγ intracellulare e dell’espressione di un marcatore di degranulazione (CD107a) per valutare la funzionalità delle cellule NK. In questa fase del lavoro ci siamo concentrati sullo studio della possibile correlazione tra stato immunologico pre-vaccinazione e andamento clinico, a prescindere dal tipo di trattamento, inserendo come gruppo di controllo dei donatori sani. La sopravvivenza media complessiva dei pazienti dopo tre anni dalla fine dell’ultimo trattamento è risultata del 55%, migliore rispetto a quella documentata in letteratura. I risultati preliminari hanno evidenziato una percentuale di cellule TREGs, prima del trattamento, statisticamente più elevata nei pazienti che sono andati incontro a recidiva rispetto a quelli liberi da malattia e ai donatori sani. Inoltre i pazienti liberi da malattia mostravano un tipico pattern fenotipico rispetto a quelli che sono andati incontro a progressione di malattia (maggiore rapporto del fenotipo central memory (CM)/effector memory (EM) di diverse sottopopolazioni linfocitarie). Altra osservazione di rilievo riguarda l’esame dei mediatori della risposta immunitaria innata; in particolare, la percentuale di linfociti T γδ prima del trattamento è risultata statisticamente più elevata nei pazienti liberi da malattia rispetto a quelli recidivanti. Inoltre sono emerse delle differenze legate allo stato di malattia, sia in termini di percentuale che di diversa capacità citotossica e produzione di IFN-γ delle cellule NK totali e dei relativi subset. I risultati ottenuti suggeriscono un ruolo rilevante dei marcatori immunologici esaminati nel controllo della patologia neoplastica ed il loro potenziale valore predittivo della risposta a trattamenti immunoterapici.


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