Presìdi Slow Foode sviluppo sostenibile
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Il concetto di sviluppo sostenibile compare ufficialmente, per la prima volta, all’inizio degli anni ’80, nel saggio della International Union for the Conservation of Nature (IUCN, 1980). Oggi la definizione universalmente accettata di sviluppo sostenibile è quella contenuta nel rapporto Our Common Future della World Commission on Environment and Development (WCED, 1987): “Lo sviluppo sostenibile soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri”.
Soltanto con il Summit della Terra di Rio De Janeiro del 1992, il tema della sostenibilità è accolto dalla comunità internazionale. Infatti, proprio dal programma di azione scaturito dalla Conferenza ONU su ambiente e sviluppo, nasce Agenda 21, documento che fornisce indicazioni su come raggiungere lo sviluppo sostenibile nel ventunesimo secolo.L’Agenda 21 afferma: “I governi (...) dovrebbero adottare una strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile... Tale strategia dovrebbe essere predisposta utilizzando e armonizzando le politiche settoriali. L’obiettivo è di assicurare uno sviluppo economico responsabile verso la società, proteggendo nel frattempo le risorse fondamentali e l’ambiente per il beneficio delle future generazioni. Le strategie nazionali per lo sviluppo sostenibile dovrebbero essere sviluppate attraverso la più ampia partecipazione possibile e la più compiuta valutazione della situazione e delle iniziative in corso”.
In sintesi, i principi dello sviluppo sostenibile sono tre e sono numerosi gli strumenti e le azioni necessarie per dargli corso:
1 - principio di equità: assicura la giusta ripartizione degli oneri e dei benefici di ogni politica e in ogni settore nel tempo e nello spazio;
2 - principio precauzionale o del pregiudizio: eticamente sistematico, evita gli esiti più gravi con misure di tipo preventivo, proattive e condivise, per la difesa dell’ecosistema;
3 - principio di sussidiarietà: garantisce la cooperazione di tutte le strutture di governo in favore della sopravvivenza sociale ed ecologica e della difesa di diritti umani e natura (Luciani e Andriola, 2001).
L’esigenza di conciliare crescita economica ed equa distribuzione delle risorse in un nuovo modello di sviluppo ha iniziato a farsi strada negli anni ’70, ma oggi è sempre più attuale, grazie alla diffusa consapevolezza che il concetto di sviluppo classico, legato esclusivamente alla crescita economica, sia la principale causa dell’incipiente collasso dei sistemi naturali. Nella sua accezione più ampia, il concetto di sostenibilità implica la capacità di un processo di sviluppo di sostenere, nel corso del tempo, la riproduzione del capitale mondiale composto dal capitale economico (tutto ciò che i singoli individui e le imprese hanno creato e creano), umano/sociale (gli individui stessi) e naturale (ambiente).
In tale contesto si inserisce l’attività di Slow Food che, dalla fine del secolo scorso, partendo dal cibo, sviluppa una serie di progetti in Europa e non solo - cercando una nuova armonia all’interno del sistema produttori-consumatori - e che, soprattutto, affronta in modo olistico questioni, come quelle ambientali e sociali, spesso trattate in modo separato, sia a livello scientifico, sia politico.In particolare, l’azione di Slow Food abbraccia e rafforza uno degli elementi innovativi dello sviluppo sostenibile: la ricerca di un’equità di tipo intergenerazionale, principio in base al quale le generazioni future hanno gli stessi diritti di quelle attuali.
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Inoltre, l’approccio Slow Food prevede un forte riferimento all’equità intra-generazionale: all’interno della stessa generazione persone appartenenti a diverse realtà politiche, economiche, sociali e geografiche hanno gli stessi diritti.
Il punto di partenza dell’azione di Slow Food è il cibo nella sua accezione più ampia (non solo eno-gastronomica), ovvero come risultato di numerose politiche su materie prime, qualità, biodiversità, agricoltura, allevamento e trasformazione.La visione olistica che caratterizza l’approccio di Slow Food non si limita alle tre direzioni dello sviluppo sostenibile (ambientale, sociale ed economica) ma, al loro interno, evidenzia percorsi conoscitivi più complessi che prendono origine dai saperi tradizionali e dalla loro trasmissione alle generazioni future.I punti di riferimento del percorso proposto da Slow Food derivano dalle riflessioni emerse all’interno dell’associazione Slow Food e dal confronto con il mondo scientifico, economico e politico; riflessioni sui temi relativi alla tutela della biodiversità, alla necessità di promuovere uno sviluppo locale e rurale per fronteggiare le idee poste/imposte dalla globalizzazione, al ripensamento del rapporto produttore-consumatore e alla ricerca di un nuovo concetto di qualità.Attingendo da diversi ambiti, Slow Food restituisce nei suoi progetti una visione di tipo olistico che re-interpreta questi elementi, creando fra di loro una connessione, con l’obiettivo di promuovere un cibo, “buono, pulito e giusto”.
I punti cardine del progetto dei Presìdi Slow Food• La biodiversità e la tutela della multifunzionalità degli agro-ecosistemiSlow Food inizia a occuparsi di biodiversità alla fine degli anni ’90, mettendo al centro della sua azione il cibo ed evidenziando in tal modo come l’approccio della maggior parte delle organizzazioni nazionali e internazionali che si occupano di biodiversità sia spesso troppo settoriale.Slow Food propone, fin dal suo esordio nella discussione sulla biodiversità, un approccio complesso e sistemico che tiene conto di tutte le componenti della biodiversità del cibo, tra cui quella delle produzioni agricole (varietà, ecotipi, razze autoctone e popolazioni selezionate dall’uomo nel corso dei secoli), quella alimentare, costituita dalla varietà dei prodotti trasformati tradizionali, e infine quella selvatica (data dalla raccolta da popolazioni spontanee e dal mantenimento degli habitat naturali).
Il punto di partenza dell’approccio Slow Food trae spunto dal dato di fatto che l’uomo, da alcuni decenni, sta attaccando metodicamente l’agro-biodiversità, semplificandola e omologandola con la continua riduzione delle varietà coltivate e delle razze allevate e con la diffusione di modelli di produzione agro-industriale che fondano la loro ragione d’essere soprattutto sulla monocoltura intensiva. Inoltre, l’uomo stesso incide in modo spesso indiretto sulla biodiversità a livello mondiale, modificando gli ecosistemi: scavando pozzi, coltivando terre vergini, contribuendo all’erosione e all’impoverimento dei suoli, prosciugando le riserve idriche, alterando il clima e, dunque, modificando gli habitat naturali e alterando le comunità ecologiche. In sintesi, ciò che l’uomo nel corso di 10.000 anni ha sapientemente e pazientemente selezionato - creando dal nulla una straordinaria biodiversità - oggi è progressivamente cancellato proprio dall’uomo. Il collasso delle colture locali, in Italia come in Europa, implica la perdita di valori, tradizioni, servizi forniti dagli ecosistemi sempre più quantificabili in danni ambientali, sociali ed economici.
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Le attività dei Presìdi Slow Food rafforzano il legame tra gli agricoltori e la loro terra, valorizzano le produzioni tipiche e tradizionali, promuovono un’adeguata remunerazione dei produttori.L’idea è di ricostruire e rafforzare la dignità culturale dei piccoli produttori, come incentivo per la continuazione delle loro attività, anche nelle aree più marginali, per rivitalizzare le piccole economie locali. In Europa questo si traduce nella salvaguardia delle tradizioni e del patrimonio ambientale e culturale utili, anzi, indispensabili per conservare le identità territoriali e il piacere alimentare.
• La qualità narrata per una ridefinizione della relazione produttore-consumatoreAffrontare il discorso sulla qualità in relazione al settore agroalimentare è complesso e comporta la necessità di trattare tematiche di non facile approccio. La complessità è legata innanzitutto alla difficoltà di identificare, in maniera precisa e corretta, cosa si intenda per qualità. Slow Food si inserisce nel dibattito per la ricerca di una definizione più esaustiva di qualità, introducendo il concetto di “qualità narrata”. Poiché la qualità non è sintetizzabile con etichette o indicatori, data la complessità dei fattori che essa deve tenere in conto (conoscenza del territorio, tecniche di trasformazione, ricette, caratteristiche organolettiche e nutrizionali) e nessuno dei quali esaustivo - se preso in considerazione singolarmente - per una comunicazione completa è necessario il racconto. Questo concetto innovativo di qualità, maturato nell’arco di vent’anni di esperienza sul campo, grazie al lavoro svolto a diretto contatto con centinaia di comunità di piccoli produttori, rappresenta sicuramente uno degli aspetti che più caratterizzano l’associazione rispetto ad altre organizzazioni che si occupano di cibo e agricoltura.La qualità è infatti spesso identificata unicamente con analisi chimico-fisiche, panel di degustazione o, comunque, parametri misurabili e definiti. Si tratta di un approccio tecnico che, se è valido in un contesto comparativo e oggettivo, non tiene conto di tutto ciò che sta alle spalle di un prodotto locale, e che si è sviluppato in secoli di storia. Nell’accezione Slow Food la qualità di un prodotto alimentare è invece il frutto di una narrazione. Prende le mosse dall’origine del prodotto (a seconda dei casi può essere il luogo di domesticazione o diversificazione di una specie; il luogo di adattamento e naturale evoluzione di una varietà o di una razza; il luogo di sviluppo di una tecnica di coltivazione, di trasformazione) e poi considera le caratteristiche dell’ambiente, le conoscenze sul territorio (nella comunità), la reputazione locale di cui il prodotto gode, le tecniche di trasformazione, le ricette, i metodi di conservazione e di commercializzazione, la sostenibilità ambientale e, naturalmente, le caratteristiche organolettiche e nutrizionali. La narrazione può così restituire al cibo quel valore competitivo, basato sulla differenziazione del prodotto, che spesso è difficile da attribuire a produzioni che altrimenti rischierebbero di uscire dal mercato (perché provenienti da aree marginali, prodotti in piccole quantità…). Inoltre, attraverso la narrazione, si crea un legame tra produttore e consumatore che eleva il consumatore al rango di co-produttore. Non più, dunque, soggetto passivo, ma consumatore che - grazie al racconto - è stimolato a interessarsi a quanti producono il suo cibo, al modo in cui ha luogo questo processo, ai problemi dei produttori. Un consumatore che - sostenendo attivamente questi ultimi - diventa parte del processo di produzione e rafforza la comprensione della multidimensionalità del concetto di qualità.Slow Food promuove, inoltre, la riduzione della distanza fisica fra le due categorie di soggetti, attraverso la ricerca di percorsi alternativi di sbocco per i prodotti dei Presìdi, per moderare l’incremento dei prezzi lungo la catena distributiva del prodotto e ridurre gli squilibri nei rapporti di scambio. La realizzazione di una filiera corta - o perlomeno accorciata in senso funzionale e ove possibile anche territoriale - dal punto di vista economico (prezzi dei beni alimentari più contenuti per gli acquirenti e più remunerativi per i produttori), ambientale (riduzione dei consumi energetici e dell’inquinamento legato al trasporto e alla
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frigo-conservazione, soprattutto nel caso di una filiera corta territoriale) e sociale (controllo diretto del prezzo e della qualità da parte dei consumatori, maggiore freschezza e salubrità dei prodotti deperibili, rapporto di fiducia e scambio di informazioni senza intermediari tra produttori e consumatori), accresce - e in qualche caso riconsegna ai produttori - un ruolo attivo nel sistema del cibo.
Lo schema di monitoraggio della sostenibilità ambientale, economica e sociale nei Presìdi Slow FoodL’approccio Slow Food al mondo della produzione e, in particolare, il progetto dei Presìdi Slow Food, non è semplicemente la promozione di un modello di sviluppo “conservativo”, dove il capitale locale dato dalle risorse naturali e culturali viene preservato, ma piuttosto un modello di re-interpretazione, redistribuzione e riappropriazione dei valori d’uso e intrinseci delle risorse presenti nel territorio locale, a partire dalle interazioni di quest’ultimo con il contesto locale e globale, di dialogo fra specificità endogene e stimoli provenienti dall’esterno.
L’obiettivo dello schema qui di seguito proposto è l’avvio di un’azione di monitoraggio nel tempo che permetta di valutare, con parametri qualitativi, l’andamento dei progetti dei Presìdi Slow Food in modo sistematico.La costruzione dello schema è partita dall’identificazione della sostenibilità secondo Slow Food, declinata nelle tre direzioni dello sviluppo sostenibile:1 - sostenibilità sociale: capacità di garantire l’accesso a beni considerati fondamentali (sicurezza, salute, istruzione) e a condizioni di benessere (divertimento, serenità, socialità), in modo equo all’interno delle comunità.2 - sostenibilità ambientale: capacità di mantenere nel tempo qualità e riproducibilità delle risorse naturali, capacità di preservare la biodiversità e di garantire l’integrità degli ecosistemi; 3 - sostenibilità economica: capacità di generare in modo duraturo reddito e lavoro e di raggiungere un’eco-efficienza intesa come uso razionale delle risorse disponibili e come riduzione dello sfruttamento delle risorse non rinnovabili.
Lo schema è stato sviluppato in modo da essere applicabile a tutte le tipologie di Presidio e ha l’obiettivo di essere aggiornato, e quindi riproposto, a mano a mano che il progetto avanza verso i suoi obiettivi. Ad esempio, può essere impiegato nella fase di avvio progettuale, t(0) per fotografare la situazione iniziale ed essere di supporto a uno studio di fattibilità per valutare gli interventi da attuare e in momenti successivi t(n+1) per monitorare l’andamento del progetto.
Sostenibilità socialeUn Presidio è sempre l’espressione di una comunità - e non solo di singoli produttori - e rappresenta uno strumento efficace per dare a una comunità altrimenti isolata e svantaggiata opportunità di confronto, crescita e scambio con realtà simili in altre parti del mondo, attraverso formazioni, partecipazione ad eventi e scambi.Gli obiettivi sociali sono dunque il miglioramento del ruolo sociale dei produttori e il rafforzamento della loro volontà di organizzarsi. Gli aspetti socio-culturali sono fortemente legati alla capacità delle persone che partecipano alla rete e ai progetti di ripercorrere la cultura locale, coinvolgendo anche soggetti diversi del territorio (studenti, ristoratori, enti locali, associazioni) al fine di “re-impossessarsi” delle proprie origini e della propria storia ed essere in grado di comunicarla all’esterno. Naturalmente ciò
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può avere ricadute positive sul territorio, ad esempio attraverso il recupero di manifestazioni storiche, interventi architettonici e più in generale, lo sviluppo di un turismo sostenibile.La partecipazione a eventi internazionali, dove il prodotto della comunità è assaggiato, acquistato, esplorato, e valorizzato, funziona quasi sempre come forte stimolo per l’orgoglio della comunità stessa. L’esame delle sottocategorie dell’aspetto sociale mette in evidenza gli obiettivi e le azioni di Slow Food nella creazione dei Presìdi. Infatti, Slow Food - con i Presìdi - intende preservare e valorizzare l’identità storico-culturale di un territorio specifico, cui si lega una particolare produzione; sviluppare relazioni, attività e iniziative con e fra le comunità, (formate da tutti i soggetti che operano nel settore della produzione e della trasformazione del cibo); promuovere e organizzare attività educative (educazione alla salute, sensoriale e del gusto); proporre e organizzare programmi di cultura alimentare diretti ai cittadini e agli operatori del settore gastronomico, per una più diffusa conoscenza delle radici storiche e dei processi produttivi in tutti i settori merceologici.
Gli obiettivi sociali (migliorare il ruolo sociale dei produttori, rafforzare la loro capacità organizzativa) si possono misurare verificando se il Presidio abbia creato un’associazione o una qualche altra forma organizzativa, se i produttori abbiano migliorato la loro capacità di relazionarsi con istituzioni pubbliche e private, se sia aumentata la loro notorietà e se la loro voce abbia più peso, grazie anche all’attenzione dei media.Gli obiettivi culturali (rafforzamento dell’identità culturale dei produttori e valorizzazione delle zone di produzione), strettamente correlati ai precedenti, sono legati alla capacità o meno del Presidio di stimolare la consapevolezza dell’appartenenza a quel territorio e quel contesto culturale, la salvaguardia e la valorizzazione dei saperi e delle tecniche tradizionali, la realizzazione di pubblicazioni dedicate al territorio, la nascita di itinerari turistici e di altre iniziative culturali, ecc.Un tema particolarmente delicato, legato all’identità culturale, è quello dell’innovazione versus tradizione.La biodiversità è continuamente erosa, ma è anche vero che quella domestica sviluppa nuove varietà. Basti pensare agli incroci di vitigni, ai kiwi trapiantati qui dalla Nuova Zelanda che sviluppano varietà locali, alle pesche, alle fragole, ecc. Perché allora non teniamo conto di queste varietà nei Presidi? Perché i Presìdi si concentrano sulle (e sulle razze) varietà tradizionali?Perché la selezione moderna non è il frutto di un lungo lavoro di acclimatamento, di razionalizzazione, di tentativi agronomici volti alla realizzazione di raccolti utili e resistenti. È l’espressione di un lavoro che ha come obiettivi primari: andare incontro al gusto medio del consumatore e ottenere le maggiori rese possibili.Lo sguardo si sposta dal produttore-agricoltore al consumatore. Il suolo, il clima, la storia dei luoghi diventa una variabile dipendente: il clima lo si modifica con le serre, il suolo lo si vitalizza artificialmente, le tecniche si importano, e così via.Anche se la gestione non è industriale lo spirito che anima le nuove varietà, specie, ecc. è prettamente industriale. Garantire alte rese, costi bassi e gradevolezza per il gusto medio. Il rapporto origine (territorio) prodotto si rompe, si stravolge: il territorio viene assunto soltanto come un supporto, una mezzo per la produzione. I Presidi puntano invece a rivitalizzare specie, varietà e razze locali e tradizionali per rinsaldare il legame origine-prodotto, un legame fondamentale per garantire un’agricoltura sana e sostenibile.Il rapporto fra tradizione e innovazione riguarda anche le tecniche di produzione. Fino a che punto - nella visione del progetto - sono possibili modifiche nelle tecniche colturali, negli strumenti di lavorazione, nell’uso di coadiuvanti tecnologici chimico-fisici, senza snaturare le caratteristiche di tradizionalità dei prodotti?
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I Presìdi non nascono con intenti puramente conservativi, ma escludono scorciatoie produttive, tempi innaturali di conservazione, arricchimenti artificiali di forma, colore, sapore e così via. Al contrario, accolgono tecniche e modalità di coltivazione, allevamento, trasformazione che facilitino e semplifichino il lavoro dei produttori (motori sulle barche da pesca, macchine agricole nei campi, strumenti di refrigerazione nelle fasi di trasformazione, e così via). Queste innovazioni devono però essere accolte da tutta la comunità, vissute come patrimonio condiviso e non come fenomeni nati dalla capacità economica maggiore o minore di qualche imprenditore o dal maggiore o minore accesso al mercato di alcuni prodotti. Innovazioni condivise, che non interrompano o alterino il legame prodotto-territorio, che favoriscano il reinserimento nelle attività di nuovi giovani produttori e che non stravolgano in modo sostanziale la narrazione della qualità.Di particolare importanza per lo sviluppo del Presidio è la partecipazione democratica di tutti i produttori alla vita del Presidio stesso. Molto spesso ciò che veramente restituisce slancio e ossigeno a una comunità locale è la fiducia, l’autostima, la capacità organizzativa, la possibilità di relazionarsi con altri soggetti (produttori, istituzioni, università, media), di avere riscontro e attenzione.
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Sostenibilità sociale
NR. SOTTOCATEGORIA PARAMETRI
1 Identità culturaleQual è il legame culturale con il territorio? Il Presidio preserva saperi e tecniche tradizionali? Salvaguarda razze autoctone e varietà vegetali tradizionali?
2 Formazione attraverso lo scambio
Sono stati effettuati scambi di formazione tra il Presidio e altre realtà? I produttori del Presidio hanno viaggiato, hanno partecipato a eventi?
3 Formalizzazione organizzativa
Esiste o è stata creata una forma organizzativa? Se sì, di che tipologia? Come sono stati definiti i ruoli delle persone?
3.a Democraticità del gruppo Tutti i membri partecipano attivamente?
3.b Democraticità del gruppo Il Presidio coinvolge i giovani? Con quale ruolo?
3.c Democraticità del gruppo
Qual è la distribuzione del potere? (egualitaria, accentrata, orizzontale, verticale...)
3.d Democraticità del gruppo Sono previsti momenti di partecipazione?
4 Rapporto con le istituzioni locali Il Presidio ha rapporti con le istituzioni locali? Di che tipo?
5 Rapporto con la rete Slow Food
Il Presidio è in relazione con la rete Slow Food locale, nazionale e internazionale?
6 Orgoglio e gratificazione sociale
I produttori hanno avuto un riconoscimento e quindi una gratificazione personale all’interno della comunità? È cambiato e si è rafforzato il loro ruolo sociale?
7 Trasmissione dei saperi
Esistono forme di trasmissione del sapere orizzontali (tra i produttori del Presidio) e verticali (tra i produttori del Presidio e la comunità)? Come si trasmette il sapere (nel corso di eventi, convegni, nella quotidianità)? Il gruppo si è ampliato? Si è messo in rete con altre realtà?
8 Aspetti educativi Il Presidio organizza o partecipa ad attività educative?
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Sostenibilità ambientaleL’aspetto ambientale è il cuore dei Presìdi, nati per salvaguardare la biodiversità e migliorare le produzioni alimentari sostenibili. L’approccio Slow Food è un progetto legato ai principi della vocazionalità ambientale e della sostenibilità. Si basa, infatti, sulla conoscenza dell’agricoltura locale, sull’applicazione di tecniche (tradizionali e moderne) adatte alle diverse condizioni agro-pedo-climatiche, sulla corretta gestione delle risorse naturali (biodiversità, suolo, acqua). Là dove percorsi precedenti o conoscenze locali hanno permesso lo sviluppo di un’agricoltura biologica (intesa non esclusivamente come certificazione, ma come uso di tecniche agronomiche sostenibili), il Presidio si concentra sul rafforzamento dei concetti di controllo biologico delle colture e sulla diffusione di questa filosofia. Là dove, invece, l’agricoltura convenzionale ha ancora un ruolo importante nella gestione delle colture, il progetto dei Presìdi accompagna i gruppi in un percorso verso una maggiore sostenibilità ambientale, passando da un’agricoltura convenzionale a una ecosostenibile, attraverso la formazione e l’esempio. Naturalmente sono legati agli aspetti ambientali anche i temi del benessere e della sanità animale, del risparmio energetico e del packaging ecologico. Tali percorsi sono esplicitati dall’associazione Slow Food attraverso la realizzazione, in condivisione con i principali attori dei progetti, e la diffusione di vademecum e soprattutto di disciplinari di produzione. Questi ultimi sono strumenti tecnici, redatti in collaborazione con agronomi, veterinari ed esperti, che fotografano il processo di produzione, individuando i passaggi cruciali e le caratteristiche specifiche del prodotto, introducendo o rafforzando proprio gli elementi di sostenibilità ambientale, sociale ed economica individuati e descritti in precedenza.Il disciplinare deve essere condiviso da tutti i produttori che fanno parte del Presidio e costituisce un vincolo forte (non rispettare anche solo uno degli articoli del disciplinare comporta l’esclusione dal Presidio), una validazione di qualità e un motivo di orgoglio e di riconoscimento per chi lo sottoscrive.Le tecniche colturali previste dal disciplinare devono preservare la fertilità della terra e gli ecosistemi idrografici ed escludere il più possibile l’uso di sostanze chimiche di sintesi. I sistemi agricoli e i luoghi di trasformazione devono salvaguardare il paesaggio agricolo e l’architettura tradizionale. Sono escluse le monocolture intensive, gli allevamenti intensivi, le tecniche di pesca non sostenibili, le produzioni industriali e i prodotti geneticamente modificati (anche nell’alimentazione degli animali).È possibile avviare un Presidio unicamente su un prodotto locale, legato alla memoria e all’identità di un gruppo: deve essere una varietà o un ecotipo autoctono e tradizionalmente coltivato nell’area di produzione, con caratteristiche peculiari dovute al legame con un territorio specifico di coltivazione e sviluppatosi grazie al forte collegamento con le caratteristiche pedoclimatiche di una particolare area. Il materiale di propagazione del vegetale oggetto del Presidio (semi e/o piantine) deve essere sano e preferibilmente prodotto localmente dai produttori oppure prodotto da vivai riconosciuti e incaricati dal gruppo di produttori, in grado di garantire l’appartenenza del materiale alla varietà o all’ecotipo oggetto di Presidio.La coltivazione deve essere ecosostenibile e prevedere prioritariamente interventi di tipo manuale o meccanico, a basso impatto ambientale ed ecocompatibili; per la concimazione si devono usare principalmente concimi di origine organica e occorre attuare tutte le buone pratiche agronomiche volte al mantenimento e al miglioramento della fertilità del suolo.
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Il diserbo deve essere attuato innanzitutto con le buone tecniche agronomiche (mezzi di tipo fisico e meccanico) e i prodotti per la difesa del vegetale devono assicurare un basso impatto ambientale e devono seguire i modi, i tempi e le quantità indicate dalla normativa in materia di agricoltura biologica, biodinamica o integrata. Deve essere data priorità a sistemi di coltivazione che garantiscano una gestione sostenibile dell’acqua e del suolo, e a sistemi di rotazione delle colture.Le risorse vegetali spontanee possono essere prelevate solo se non in via di estinzione. Inoltre, nella fase del post raccolta sono ammessi esclusivamente mezzi di tipo fisico per la conservazione.I Presìdi che fanno dell’allevamento l’attività cardine devono salvaguardare le razze autoctone, o per lo meno adattate all’ambiente e al territorio sede del Presidio. L’allevamento degli animali deve essere il più possibile adattato al comportamento tradizionale della razza e alle sue esigenze. Sono da preferire tipologie di allevamento allo stato brado e semibrado, che riducano al minimo la permanenza in stalla. Particolare attenzione deve essere rivolta al rispetto del benessere animale (tipologia e caratteristiche della lettiera, controllo dei parametri ambientali, spazio disponibile per ogni capo). L’alimentazione, qualora possibile, deve basarsi sulla pratica del pascolo giornaliero (che deve essere accuratamente salvaguardato facendo attenzione al carico massimo consentito) e comunque esclusivamente su alimenti naturali, e non può prevedere l’utilizzo di urea, insilati di mais, alimenti semplici e/o composti fabbricati, anche in parte, con organismi geneticamente modificati, additivi, scarti di lavorazione industriale. Come integrazione all’alimentazione reperita dal bestiame allo stato brado si possono usare fieni di prato naturale e farine o fioccati di cereali (mais, orzo, frumento, avena, triticale), ivi comprese crusche e germi, e inoltre: fava, favino, pisello proteico, farina di erba medica ed eventuali foraggi, cereali e leguminose tipici del territorio. L’allevamento dei vitelli prima dello svezzamento (3 mesi) deve garantire l’assunzione di colostro e un’alimentazione almeno parziale con latte non ricostituito. Negli interventi terapeutici deve essere data preferenza a prodotti fitoterapici e omeopatici, mentre antibiotici o medicinali veterinari allopatici devono essere impiegati esclusivamente se non esistono altri rimedi efficaci.Per quanto riguarda la produzione di trasformati e la loro conservazione, i parametri presi principalmente in considerazione nelle linee guida dei Presìdi sono il rispetto dei metodi tradizionali per la preparazione del prodotto (sia esso di origine animale o vegetale) seguendo le normali regole igienico-sanitarie.Nello specifico, i derivati del latte devono essere prodotti a partire da latte crudo filtrato, proveniente dalla mungitura preferibilmente di razze autoctone allevate localmente; la conservazione del latte appena munto deve avvenire nel rispetto dei limiti di temperature e tempi di attesa previsti; il caglio, se impiegato, deve essere di provenienza animale o vegetale; non è ammesso l’uso di alcun tipo di conservante, additivo, colorante che non sia naturale e non è ammesso l’impiego di fermenti lattici se non quelli selezionati dalla propria produzione (ceppi naturali autoctoni). Inoltre, la stagionatura e l’affinamento devono avvenire in locali naturali e le eventuali affumicature devono seguire criteri naturali ed essere effettuate in locali tipici. Può essere impiegata solo legna non trattata, possibilmente prodotta localmente.
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Gli imballaggi e le confezioni di tutti i prodotti trasformati devono essere ecocompatibili e a basso impatto ambientale.Per quanto riguarda i prodotti ittici, le specie utilizzate, sia per il consumo fresco sia per la trasformazione, non possono essere a rischio di estinzione, devono essere storicamente diffuse nell’areale di pesca in questione e tradizionalmente consumate dalla popolazione locale. Inoltre, le metodologie di pesca devono essere sostenibili e tradizionalmente in uso tra i pescatori locali per la specie in questione.La tipologia di pesca deve essere altamente selettiva, riducendo al minimo la possibilità di catture accessorie e la stagione di pesca deve seguire i cicli di sviluppo, evitando i periodi in cui le catture possono mettere a rischio la sopravvivenza della specie.L’intervallo di tempo tra la cattura e la lavorazione del pescato non deve essere superiore alle 12 ore. La conservazione e trasformazione del pescato deve avvenire secondo metodologie storicamente e tradizionalmente in uso nell’area e integrate con tecniche che hanno lo scopo di salvaguardare il valore biologico e la qualità sensoriale degli ingredienti di partenza, garantendo allo stesso tempo sicurezza alimentare e stabilità commerciale del prodotto finito. Non è ammesso, per la trasformazione, l’uso di conservanti, additivi e coloranti (ad eccezione del sale inteso come Na Cl).
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Sostenibilità ambientale
CATEGORIA NR. SOTTOCATEGORIA PARAMETRI
9 Definizione dei soggetti e area di produzione Chi sono, quanti sono e dove si trovano i produttori?
TERRITORIO
10 Aspetti territorialiQuali azioni mette in atto il Presidio per la tutela dell’ecosistema locale? (per es. promuove la biodiversità in generale, permette il recupero di pascoli o zone marginali...)
11 Gestione dell’acqua Sì/No. Se sì, come gestisce l’acqua?
12 Fertilizzazione chimica Sì/No. Se sì, di che tipo e in quali quantità?
13 Fertilizzazione organica Sì/No. Se sì, di che tipo e in quali quantità?
14 Difesa delle colture Con quali prodotti?
15 Tipo di energia utilizzata Il Presidio utilizza energie rinnovabili?
PRODOTTO
16 Reperimento dei semi Dove sono reperiti i semi? Sono acquistati o moltiplicati in azienda?
17 Rotazioni Sì/No. Se sì, con quali colture?
18 Consociazioni Sì/No. Se sì, con quali colture?
19 Benessere animale/ Tipologia di allevamento
L’allevamento è sostenibile? Quale attenzione si dedica al benessere animale?
20 Alimentazione degli animali
Qual è la composizione dei mangimi, comprendono insilati, materie prime OGM...?
21 Trasformazione Sì/No. Se sì, la tecnica di trasformazione è artigianale?
22 Conservazione del prodotto Sì/No. Se sì, la tecnica di conservazione è artigianale?
AZIENDA
23 Disciplinare di produzione Esiste un disciplinare? È condiviso? È applicato? È efficace?
24Confezionamento/packaging/comunicazione del prodotto
Esiste un packaging? È ecosostenibile? Le caratteristiche del prodotto sono bene illustrate in etichetta?
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Sostenibilità economicaGli obiettivi economici sono l’aumento delle quantità prodotte e vendute, per migliorare la sussistenza alimentare ed economica delle comunità che partecipano al progetto (senza snaturare la qualità del prodotto), la capacità di ottenere una migliore remunerazione dei produttori e l’aumento dell’occupazione diretta o in settori complementari, come ad esempio il turismo. In passato, su questa dimensione specifica sono stati condotti diversi studi. Gli aspetti economici del progetto dei Presìdi sui territori italiani, ad esempio, sono stati oggetto di una ricerca dell’Università Bocconi di Milano (Antonioli Corigliano, M. and Viganò, 2002, G., I Presìdi Slow Food: da iniziativa culturale ad attività imprenditoriale, Il Sole24Ore). Lo studio, incentrato su 54 Presìdi italiani di diversi settori, ha evidenziato il notevole impatto economico dei progetti, rilevando cambiamenti in termini di quantità qualità e prezzo di vendita delle produzioni, sia di prezzo di vendita. Un’analoga esperienza è stata ripetuta nel 2006 (Baggi, 2007, Slow Food Presidia: a survey on their economic, social and environmental impact, Thesis of Master in Food Culture: Communicating Quality Products at the University of Gastonomic Science A.A. 2005-2006) con un nuovo questionario proposto a 31 Presìdi (18 Presìdi italiani, 6 dal resto d’Europa, 3 dal Centro e Sud America, 2 in Asia e Africa). Il prezzo dei prodotti dei Presìdi è un tema molto delicato. Le ricerche citate sopra evidenziano aumenti talvolta considerevoli. Slow Food rifiuta l’idea di favorire prodotti di nicchia, accessibili solo ad élites danarose: il Presidio nasce per riequilibrare situazione di evidente difficoltà produttiva, per ridare equità a processi produttivi messi in crisi dalle moderne logiche di distribuzione e di produzione, non per creare totem simbolici. Il prezzo dunque deve essere equo, per il produttore e per il consumatore, e non può essere un alibi per giustificare l’espulsione dal mercato di tecniche magari meno efficienti, dal punto di vista quantitativo, ma immensamente più qualitative e sostenibili.
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Sostenibilità economica
NR. SOTTOCATEGORIA PARAMETRI
25 Filiera cortaI produttori del Presidio vendono direttamente? Se sì, come e dove? Partecipano a Mercati della Terra di Slow Food? Esistono molti intermediari tra produttori e consumatori?
29Mercato di riferimento e tipologie di commercializzazione
Il mercato di riferimento è locale, nazionale, internazionale?
26 Prezzo di vendita Qual è il prezzo di vendita? È aumentato? È remunerativo per i produttori?
27 Equa distribuzione degli utiliGli utili sono equamente distribuiti e arrivano effettivamente nelle mani dei singoli produttori? (N.B. Solo nei casi in cui sia presente un’associazione)
28 Quantità di produzioneC’è stato un aumento di produzione dalla nascita del Presidio? Indicare la quantità iniziale e quella attuale. Se non c’è stato, è considerato un limite?
Lo schema di monitoraggio dei progetti dei Presìdi Slow Food così come è stato elaborato ha lo scopo di registrare i singoli aspetti (sociale, ambientale, economico), ma anche di evidenziare l’integrazione tra le diverse dimensioni considerate, con riferimento a:
• efficienza della produzione e del consumo, intesa come riduzione dei costi ambientali e come valorizzazione nel medio termine di opportunità e vantaggi economici correlati (integrazione delle dimensioni economica e ambientale), possibilità di accesso per tutti i membri della comunità alle risorse e alla qualità ambientale (integrazione delle dimensioni sociale e ambientale);
• qualità della vita degli individui e delle comunità, intesa come intreccio tra qualità ambientale e qualità degli spazi costruiti, condizioni economiche, di benessere e di coesione sociale (integrazione delle dimensioni sociale, economica e ambientale);
• competitività locale, intesa come capacità innovativa che investe nel capitale naturale e sociale e valorizza e potenzia le risorse locali (integrazione delle dimensioni sociale, economica e ambientale).
14
Casi studio: 10 Presìdi europeiPer evidenziare i punti di forza e di debolezza dello schema proposto, si è partiti da 10 casi studio individuati come significativi della realtà europea, ma con un obiettivo di maggior respiro, che intende estendersi alla totalità dei progetti relativi ai Presìdi.
Austria - Sorbo ciavardello del Wiesenwienerwald
Bulgaria - Fagioli di Smilyan
Germania - Razza bovina di Limpurg
Italia (Abruzzo) - Lenticchia di Santo Stefano di Sessanio
Italia (Lombardia) - Bitto storico
Italia (Sicilia) - Cappero di Salina
Olanda - Gouda artigianale stravecchio
Romania - Branza de burduf dei monti Bucegi
Svezia - Caprino dello Jämtland stagionato in grotta
Ungheria - Salsiccia di mangalica
15
Austria - Sorbo ciavardello del WiesenwienerwaldLa collina più alta della foresta di Vienna si chiama Schöpfl e separa due ambienti naturali: verso la capitale un bosco molto fitto, oltre la Schöpfl un paesaggio più aperto, morbido, inframezzato da pascoli e da campi coltivati tra vecchi alberi da frutta isolati (peri, meli e sorbo ciavardello). Non a caso questa regione è anche detta Wie-senwienerwald, cioè “i prati della foresta di Vienna”. L’albero del sorbo ciavardello si trova in tutta Europa, ma solo qui il frutto è consumato (fresco o essiccato) e trasformato (in distillati e altri prodotti). Gli alberi (in questa zona ne sono stati individuati almeno 300) sono molto vecchi (raggiungono anche i 200 anni) e altissimi (fino a 15-20 metri). La raccolta, che si svolge tra metà settembre e ottobre, è un’operazione complessa e pericolosa. I raccoglitori salgono su scale altissime con una cinghia ai fianchi e un sacco di tela. Arrivati in cima si legano all’albero per non cadere e inizia la raccolta: occor-re staccare il ramoscello con i frutti e le foglie, spezzandolo con delicatezza e facendo molta attenzione a non compromettere il germoglio dell’annata successiva. I frutti sono bacche ovali e piccole (poco più piccole di una ciliegia), di colore marrone scuro. All’interno ci sono tre o quattro semini marroni che hanno un sapore intenso di amaretto. Dopo il raccolto si collocano in un luogo fresco e asciutto e si aspetta una settimana circa, affinché raggiungano un grado di maturazione omogeneo. Quindi si rovescia il raccolto su un tavolo e tutta la famiglia riunita inizia pazientemente a separare i frutti dai ramoscelli. Questa operazione comunitaria, in dialetto locale, si chiama oröwen. Di recente i produttori hanno iniziato a essiccare i frutti e a proporli da sgranocchiare come aperitivo o digestivo. Anche altri prodotti stanno avendo un buon successo, in particolare il cioccolato ripieno. Il sorbo fresco, inoltre, è usato dai migliori chef della zona in diversi piatti freddi, caldi, dolci e salati. Il trasformato più importante rimane però il distillato. Una volta ripulite da rametti e foglie, le bacche sono messe in bidoni con un’aggiunta di acqua e lievito. L’impasto è rimescolato con un vecchio strumento (un bastone di legno e una sorta di elica di ferro che un tempo aveva la funzione di rompere le patate destinate ai maiali) finché il frutto non si apre. A questo punto può iniziare la fase della distillazione. Il prodotto che se ne ricava è morbido, equilibrato, con una piacevole nota di marzapane.Area di produzione: Wiesenwienerwald, regione della Bassa Austria
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Bulgaria - Fagioli di SmilyanLa valle superiore del fiume Arda, sui monti Rodopi a ridosso del confine con la Grecia, è un pittoresco patchwork di prati, pascoli, terreni coltivati e boschi di conifere e latifoglie. Una valle incantata, dove la natura è ancora incontaminata e le comunità cristiane e musulmane convivono da secoli pacificamente. Le condizioni pedoclima-tiche della valle - temperature mai troppo alte in estate, e una forte escursione termica tra il giorno e la notte - ne fanno un piccolo paradiso per la produzione di fagioli che questa piccola comunità montana coltiva da tempo im-memore (almeno 250 anni). Ogni famiglia si dedica a piccoli appezzamenti perfettamente inseriti nel paesaggio della valle e tutti usano la tecnica colturale della consociazione dei legumi con altre piante, quali mais e patate, che permette di non ricorrere all’uso dei fertilizzanti chimici e non impoverisce il suolo. Si tratta di produzioni mol-to piccole, molto spesso destinate al consumo familiare, e che comunque non superano mai i 200 chilogrammi per produttore. I fagioli di Smilyan sono di due tipologie: i primi, più piccoli, marroni con screziature nere, sono ingrediente di minestre o della trahna, uno stufato di fagioli e mais tipico della zona; i secondi, più grandi, con semi bianchi o viola con screziature, sono ottimi nelle insalate oppure fritti in un impasto di acqua, farina e uova. Ogni anno, a fine novembre, si tiene il Festival dei fagioli di Smilyan, manifestazione voluta dal sindaco del villaggio e organizzata con il supporto della condotta Slow Food Smilyan Rhodopi. Questa festa rappresenta un’occasione per tutta la comunità di celebrare i propri fagioli, attraverso recite, balli e concorsi, tra cui il premio per il miglior produttore dell’anno.Area di produzione: municipalità di Smilyan e alta valle del fiume Arda, provincia di Smolyan, Bulgaria centro meridionale
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ty Bo
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dutto
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bre 2
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adre
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sieme
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e di
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ri, as
sieme
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on pr
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0 pro
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i pro
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zzam
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l gr
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nno p
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ni da
intra
pren
dere
in re
lazion
e alla
pr
oduz
ione e
alla
prom
ozion
e del
prod
otto.
3.b D
emoc
ratic
ità de
l gr
uppo
Il Pre
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coinv
olge
i giov
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Con q
uale
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ood h
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, è un
o deg
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ttivi c
he S
low F
ood v
uole
otten
ere
nel m
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perio
do.
3.c D
emoc
ratic
ità de
l gr
uppo
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one d
el po
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taria,
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centr
ata, o
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ve
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li ges
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ità di
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tuo so
ccor
so e
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china
ri agr
icoli,
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n gru
ppo
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ifico c
he pr
ende
sse d
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ulla fi
liera
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i Smi
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ttori s
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ono i
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lizza
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oluzio
ni. Le
decis
ioni s
ono p
rese
prev
alente
-me
nte in
man
iera c
olleg
iale.
Sost
enib
ilità s
ocial
e
23
3.d D
emoc
ratic
ità de
l gr
uppo
Sono
prev
isti m
omen
-ti d
i par
tecipa
zione
?No
Dall’a
vvio
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io, i p
rodu
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, per
lav
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ieme e
pren
dere
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ioni c
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iali.
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pr
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lizza
zione
e ide
ntific
are
poss
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oluzio
ni.
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orto
con l
e isti
tuzi-
oni lo
cali
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rti co
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stituz
ioni
locali
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dei 4
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tuzion
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esti-
val d
ei fag
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l nom
e di S
mylan
è sta
to pr
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so in
sieme
al
prod
otto.
Il Pre
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manti
ene e
raffo
rza le
buon
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zioni
con
le au
torità
loca
li. Le
sue a
ttività
di pr
omoz
ione,
infatt
i, da
nno v
isibil
ità no
n solo
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odott
o, ma
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n, sia
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tivam
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e anc
he co
n con
vivium
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ricon
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uindi
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cazio
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perso
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ione p
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valle
dell’A
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itanti
ne
coltiv
avan
o anc
he so
lo po
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iante,
prop
rio pe
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l loro
att
acca
mento
alla
comu
nità.
I pro
dutto
ri han
no pa
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rosi
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ti inte
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a naz
ionale
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erna
ziona
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ro gr
ande
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enzio
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ono s
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chur
e, int
ervis
te.
Slow
Foo
d ha a
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zione
indiv
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i pro
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uali o
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li de
ll’imp
ortan
za de
l pro
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o e de
lla tu
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el pr
oprio
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torio.
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Pre-
sidio)
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e, int
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lte l’a
nno,
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me al
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ivium
Slow
Foo
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opi S
milya
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rodu
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trato
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i bam
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LE
24
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izion
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e il d
iscipl
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Germania - Razza bovina di Limpurg La Limpurg è la più antica razza bovina del Württemberg ancora esistente. Il nome deriva dall’antico principato di Limpurg, a sud della città di Schwäbisch Hall, e la razza ha origine dall’incrocio tra l’antica vacca rossa locale, ancora presente dopo la Guerra dei trent’anni, e la razza dell’Allgäu, la regione a cavallo tra la Baviera sudoc-cidentale e il sudest del Baden-Württemburg. Particolarmente adatta all’allevamento brado, anche su pascoli ripidi, è perfetta per questo paesaggio misto, caratterizzato dalla zona montuosa del paese di Limpurg, dalla foresta svevo-francone e dalle rigogliose valli fluviali del Rems e della Lein. In passato, il suo sviluppo è stato favorito dal grande fermento dei commerci di questa regione: gli animali, infatti, servivano sia per il trasporto, sia per fornire carne e latte. Nella zona di Hohenlohe (area settentrionale del Baden-Württemberg), l’ingrasso dei buoi, già nel XVIII secolo, era la più importante attività commerciale, garantendo agli allevatori un certo benes-sere. Secondo testimonianze scritte del XIX secolo, il bue di Limpurg aveva una «carne piacevolmente morbida, succosa e gustosa», ed era commercializzata anche al di fuori dei confini regionali, sino in Francia e Svizzera, «dove era pagata un prezzo più elevato per la qualità superiore».Il manto degli animali va dal fulvo chiaro al giallo-rosso e la stazza è media. Razza rustica, longeva e a duplice attitudine (latte e carne), ha un temperamento affabile e docile, spalle ben sviluppate e robuste, buona muscola-tura, petto marcato e forte, arti regolari con zoccoli duri, struttura ossea fine e buone proprietà di vacca nutrice.Il Presidio punta alla conservazione della razza, ma anche a rilanciare l’allevamento dei buoi di Limpurg, che diventano straordinariamente grandi e pesanti e hanno un’ottima resa alla macellazione. La carne ha una fibra sottile a basso contenuto di grasso, è succosa, morbida e ben marezzata, in particolare quella dei buoi allevati al pascolo e, durante l’inverno, alimentati esclusivamente con fieno di pascolo, senza aggiunta di soia o di insilati.Area di produzione: foresta svevo-francone intorno a Schwäbisch Hall, distretto agricolo di Hohenlohe, Baden-Württemberg
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Italia (Abruzzo) - Lenticchia di Santo Stefano di SessanioÈ piccola e molto saporita: una minuscola lenticchia di pochi millimetri di diametro, globosa e di colore scuro, marrone-violaceo. Cresce oltre i mille metri di altitudine solo sulle pendici del Gran Sasso, nei territori inconta-minati del Parco Nazionale. Alcune coltivazioni si spingono fino a 1600 metri, ma è intorno ai 1200 che danno i risultati migliori. Per le loro piccolissime dimensioni e l’estrema permeabilità, le lenticchie di Santo Stefano di Sessanio non hanno bisogno di alcun ammollo preliminare. Sono straordinariamente saporite e il modo migliore per apprezzarle è una zuppa molto semplice: bisogna coprirle con acqua e aggiungere spicchi d’aglio scamiciati, qualche foglia di alloro, sale, olio extravergine e portare quindi a leggera ebollizione, a pentola chiusa. Non si tratta di una lenticchia qualsiasi ma di un biotipo preciso selezionatosi in questa zona da tempi immemori. Basti pensare che le coltivazioni di legumi, e in particolare di lenticchie, in questa zona dell’Aquilano sono già citate in documenti monastici dell’anno 998. Qui ha trovato un habitat ideale, fatto di inverni lunghi e rigidi - al termine dei quali, alla fine di marzo, si seminano le lenticchie - e di primavere brevi e fresche. I terreni poveri di montagna (calcarei) sono perfetti per le lenticchie, che non richiedono nemmeno grandi concimazioni. Diventa-no invece legumi impegnativi al momento della raccolta, che avviene tra la fine di luglio e la fine di agosto. Le lenticchie maturano in modo scalare e anche in tempi diversi, secondo l’altitudine del campo. A volte trascorrono 15 giorni tra la falciatura, quasi sempre manuale, e la battitura: le piantine falciate, se lasciate sul campo - prima accumulate in piccoli covoni e poi ammassate sotto la protezione di un telo - nutrono comunque i semi portandoli a maturazione. Spesso non è possibile usare la mietitrebbia, perché i campi sono in zone impervie ma soprattut-to perché i legumi si sviluppano vicino al terreno e con la raccolta meccanizzata le perdite potrebbero arrivare al 30-40% del raccolto. Insomma, la raccolta avviene ancora come mille anni fa ed è molto faticosa. Area di produzione: comuni di Santo Stefano di Sessanio e alcune aree dei comuni limitrofi (provincia di L’A-quila).
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Italia (Lombardia) - Bitto storicoIl Bitto è, senza dubbio, uno dei simboli della produzione casearia lombarda: formaggio di grande tradizione e straordinaria attitudine all’invecchiamento, è legato in maniera profonda alle montagne da cui prende origine. Il nucleo storico della sua produzione si trova nelle valli formate dal torrente da cui prende il nome: Gerola e Albaredo, in provincia di Sondrio. Il formaggio che si produce negli alpeggi di queste valli, a un’altitudine che va dai 1400 ai 2000 metri, conserva caratteristiche speciali. I caricatori, infatti, sono impegnati nel mantenimento di tutta una serie di pratiche tradizionali che esaltano la qualità del formaggio, oltre a svolgere un ruolo basilare nella conservazione dell’ambiente e della biodiversità alpina. Innanzitutto, si pratica il pascolo turnato: nei tre mesi di alpeggio, la mandria è condotta attraverso un percorso a tappe, che va dalla stazione più bassa a quella più alta. Lungo la via, i tradizionali calècc - millenarie costruzioni in pietra che proteggono la zona di caseifica-zione - fungono da baita di lavorazione itinerante, sempre a portata di mano, in modo che il latte non debba viaggiare, se non per pochi metri, e possa essere lavorato prima che il suo calore naturale si disperda. Un’altra pratica, promossa dai produttori storici, è la monticazione, insieme alla mandria bovina, delle capre Orobiche. Il latte di questi animali entra per un 10-20% nella produzione del Bitto e gli conferisce una speciale aromaticità e persistenza. Per assicurare il massimo controllo delle condizioni sanitarie del bestiame, i monticatori mungono solo a mano. La salatura del formaggio avviene preferibilmente a secco; in questo modo si forma una crosta più delicata, garanzia di una migliore maturazione. È inoltre espressamente vietato l’uso di integratori nell’alimenta-zione dei bovini e l’uso di additivi, conservanti o fermenti selezionati nella produzione del formaggio. Il Bitto è ingrediente fondamentale, assieme al burro, al grano saraceno e alle verze nella composizione del piatto simbolo della Valtellina, i pizzoccheri. Un trionfo dei sapori della montagna, una bomba calorica che si può metabolizzare soltanto se la ricetta fa parte del DNA personale o se si scalano quelle stesse montagne da cui ha origine. Ma sarebbe ingiusto relegare uno dei più nobili formaggi italiani al rango di condimento: il Bitto giu-stamente stagionato è straordinario da tavola, e quando poi si prolunga l’affinamento per 6, 7 anni o più, diventa uno dei rarissimi formaggi da meditazione del mondo. Area di produzione: valli di Albaredo e Gerola e alpeggi confinanti (provincia di Sondrio).
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ocra
ticam
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i pre
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41
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venti
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io-ne
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ttori h
anno
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uto un
ricon
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mento
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indi u
na
grati
ficaz
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non e
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non e
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re re
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iato a
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suma
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siona
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r-na
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elle
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uzion
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lla ris
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miss
ione
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Italia (Sicilia) - Cappero di SalinaArbusto perenne di probabile origine tropicale, il cappero è diffuso nell’area mediterranea da tempo immemorabi-le: riferimenti al suo uso, sia alimentare sia medicinale, si trovano nella Bibbia, negli scritti di Ippocrate, Aristotele e Plinio il Vecchio. In Italia, la superficie coltivata a cappero si aggira intorno ai 1000 ettari, distribuiti tra Liguria, Puglia, Campania e Italia insulare.In particolare l’isola di Salina, a nord delle coste siciliane, si è affermata come centro della produzione italiana di qualità; il cappero è parte integrante del paesaggio e, fino all’avvento del turi-smo, ha costituito il motore trainante dell’economia isolana. La raccolta si effettua da fine maggio a tutto agosto, ogni 8, 10 giorni. I raccoglitori iniziano prestissimo, verso le 5 del mattino, per evitare il solleone. I capperi sono stesi ad asciugare su teli di juta, al fresco, per impedire loro di sbocciare.Dopo qualche ora si separano i capperi dai capperoni, i bottoni più grandi sul punto di sbocciare. Quindi si procede alla salatura (alternando uno strato di capperi a uno strato di sale marino grosso) che avviene, solitamente, in fusti (cugniettu), utilizzati anche per le acciughe, o in tinedde, ricavate da botti vecchie tagliate a metà. Nei quattro, cinque giorni seguenti i capperi devono essere “curati”, cioè travasati da una tinedda all’altra, per evitare che l’azione combinata di sale e calore, dovuto alle fermentazioni, li rovini. Dopo circa un mese sono pronti per il consumo. Dall’inizio degli anni Ottanta la produzione totale dell’isola è notevolmente diminuita. Le ragioni di questo crollo sono molteplici: il prepotente ingresso sul mercato dei prodotti nordafricani, l’impossibilità di meccanizzare le operazioni colturali, l’alto costo della manodopera e il comparire di nuovi parassiti, prima sconosciuti. I capperi di Salina si caratterizzano per compattezza, profumo e uniformità. Particolarmente importante il primo di tali fattori: un bocciolo compatto, infatti, è una garanzia di durata nel tempo (il cappero dell’isola sotto sale si conserva fino a due-tre anni). Da sottolineare anche la quasi totale assenza di trattamenti con antiparassitari o concimi chimici di sintesi, garanzia di assoluta salubrità del prodotto. Utilizzati nella cucina siciliana in diverse preparazioni, per “dare mordente” e carattere al piatto, i capperi si sposano ottimamente a un semplice sugo di pomodoro e basilico, alla classica caponata, ai piatti di pesce.Area di produzione: isola di Salina (provincia di Messina)
46
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ita
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iovan
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2011
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iovan
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Slow
Foo
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de di
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47
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nti lo
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iazion
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io-ne
socia
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a dell
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a gra
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, ser
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ci, ev
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egni,
... -
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uzion
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i cus
todire
un
patrim
onio
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ttivo.
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sioni
hann
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smes
so ai
cons
umato
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onsa
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capp
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mich
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gli st
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larme
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tività
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SITU
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LE
48
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ori.
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ione.
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evan
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co e
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io ne
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i nec
essa
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nti.
Non è
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ssar
io dis
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are l
’impie
go de
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ua in
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rtilizz
azion
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ca ch
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stag
ione,
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sita l
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atori s
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Trad
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Olanda - Gouda artigianale stravecchioNel XVII secolo la città di Gouda era un crocevia strategico per il mercato del formaggio: le prime tasse imposte ai contadini della zona sulla vendita delle forme (in base al loro peso) risalgono al 1668 e, nel 1698, la quantità di formaggio di fattoria venduto superava le 1000 tonnellate.A fine Ottocento, nel nord dell’Olanda, la produzione di formaggio passò dai singoli casari a una serie di grandi cooperative lattiero-casearie. Fortunatamente alcuni piccoli produttori resistettero, preservando il gouda tradi-zionale. Oggi, in Olanda, 250 casari producono ancora formaggio a latte crudo artigianale (boerenkaas) e la maggior parte vive nella regione di Gouda. La sopravvivenza della loro attività, tuttavia, è compromessa dalla costante espansione delle aree urbane e dalla combinazione di una serie di elementi: l’aumento dei costi di produzione, il prezzo basso del formaggio e la concorrenza di imitazioni industriali, fatte con latte pastorizzato, proposte a prezzi inferiori e sempre più diffuse sul mercato nazionale e internazionale.Il gouda artigianale stravecchio (boeren-goudse oplegkaas in olandese) è prodotto con latte crudo solo in estate, quando le vacche sono allevate sui pascoli di torba della Green Heart, una regione fra Amsterdam, Rotterdam e Utrecht. L’aggettivo opleg equivale a “stravecchio”: le forme, infatti, stagionano come minimo 24 mesi, ma pos-sono raggiungere i quattro anni di maturazione. Una particolarità della lavorazione sta nel fatto che la cagliata viene lavata: dopo il taglio, la massa è riscaldata e sciacquata con acqua calda. Questa tecnica dona al gouda una dolcezza equilibrata, contenendo l’acidità e il gusto amaro nelle forme più stagionate. Inoltre, per avviare la coagulazione si utilizzano innesti prodotti in azienda con il latte del giorno prima.Il gouda è un formaggio piacevole: la pasta è dolce e gialla, con un sapore mite che fiorisce in bocca. Quando è ben fatto ha un retrogusto persistente, con una leggera acidità, ma al contempo è pieno e caramellato. La pasta è densa, compatta e cremosa anche dopo due o tre anni di stagionatura.Area di produzione: regione Green Hart, fra le città di Amsterdam, Rotterdam e Utrecht
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gistra
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no co
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i pro
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e alla
pr
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ozion
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3.2 D
emoc
ratic
ità de
l gr
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3.3 D
emoc
ratic
ità de
l gr
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a del
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golar
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53
3.4 D
emoc
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l gr
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Sono
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lizza
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I pro
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Romania - Branza de burduf dei monti BucegiIn Transilvania, sulle pendici dei monti Bucegi, tra i più alti dei Carpazi, dove è ancora viva la tradizione della transumanza, la produzione di formaggio è una delle attività principali. All’inizio dell’estate i pastori raccolgono ovini e bovini da vari proprietari e conducono le greggi alle malghe ad alta quota (le stane). Qui lavorano il latte crudo e, come ricompensa, trattengono una parte del formaggio e degli agnelli. Le due razze ovine autoctone rumene sono la tigae e la turcana, che ha un pelo molto folto con il quale si realizzano i tipici giacconi e le coperte di vello. Sono pecore rustiche, adatte ai pascoli montani, la maggior parte dei quali è raggiungibile solo tramite sentieri. Con il loro latte i pastori producono il telemea, un cacio simile alla feta greca, la ricotta (urda), il cascaval e il ças, ottenuto da un minimo di 40% di latte ovino e il resto vaccino. Quest’ultimo è anche la base con la quale, dopo una seconda lavorazione, si ottiene il branza de burduf, il più pregiato dei formaggi rumeni. Il ças si ottiene coagulando con caglio di vitello o di agnello il latte appena munto, riscaldato a circa 40° C. Si procede poi alla rottura della cagliata in grani fini, che sono lasciati depositare per tre quarti d’ora. Con un telo si raccoglie la massa e si fa fuoriuscire il siero, strizzando il sacco e sottoponendolo alla pressatura. La massa, infine, è riposta in un tino in legno. Il ças può essere consumato fresco o, una volta prelevato dal tino, frantumato e miscelato con sale, può essere conservato dentro la vescica, nella pelle di pecora oppure - e questa è la produzione più rara - nella coaja de brad (corteccia di abete): questa tipologia si chiama branza de burduf. Il branza de burduf si produce solo da maggio a luglio, quando l’albero è ricco di resina molto aromatica: la corteccia, privata della parte più legnosa e ammorbidita nel siero caldo, è cucita con lo spago per formare un cilindro di 25 centimetri di altezza e 10 di larghezza, chiuso poi alle estremità con un disco, sempre di corteccia. Il branza si può consumare dopo averlo lasciato stagionare come minimo 20 giorni e come massimo tre mesi; nel tempo acquisisce un gusto piccante più marcato. La corteccia di abete conferisce al cacio note resinose molto pronunciate e ne arricchisce le caratteristiche organolettiche.Area di produzione: comuni di Bran, Moeciu, Fundata, contea di Brasov
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Svezia - Caprino dello Jämtland stagionato in grottaIl caprino stagionato in grotta è una produzione tipica della Svezia centrale, in particolare della contea di Jämtland. Chiamato semplicemente formaggio di capra, è prodotto da secoli, nel periodo estivo, da piccole fattorie con l’ottimo latte di capre allevate al pascolo in un ambiente straordinario, fatto di laghi, prati e boschi di conifere. Alcuni produttori praticano ancora l’alpeggio estivo, non perché manchi il pascolo in pianura, ma per garantire al formaggio un sapore speciale. Ogni forma ha caratteristiche uniche, date dalla diversità dei pascoli e dalle muffe naturali, che si formano in superficie durante l’affinamento in antiche grotte di pietra. La produzione di questo formaggio contribuisce anche alla salvaguardia di una razza caprina autoctona, la svensk lantrasget. Si tratta di una capra piccola e dal pelo lungo che si è adattata perfettamente al clima rigido della Svezia. Un tempo se ne contavano diverse migliaia, oggi è una razza a rischio: ne sopravvivono meno di 2500 esemplari. La caseificazio-ne inizia al mattino: al latte della sera precedente si aggiungono latte fresco, innesto prodotto in azienda e caglio animale, poi si rompe la cagliata, a mano o con la lira, in grani della dimensione di un chicco di mais. Il formaggio è quindi pressato manualmente in fascere rettangolari di legno, aggiungendo eventualmente una spruzzata di sale. Le forme sono poi salate normalmente sulle due facce e messe a stagionare su assi di legno in cantine di pietra, nelle quali le condizioni di temperatura e umidità favoriscono lo sviluppo sulla crosta di muffe variegate e garantiscono alla pasta una notevole morbidezza. La tradizionale stagionatura di sei o sette mesi consente di ottenere un formaggio di carattere, dai notevoli sentori di funghi porcini, di sottobosco e di erba verde. Ma questo caprino può essere anche consumato dopo appena tre mesi, evidenziando delicati sapori ircini, oppure prolungare la maturazione sino a un anno, acquisendo sensazioni leggermente piccanti.Area di produzione: province di Jämtland e Härjedalen, contea di Jämtland
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Ungheria - Salsiccia di mangalicaLa razza suina mangalica (detta anche mangaliza o mangalitsa) un tempo diffusa e apprezzata in tutta la pianura pannonica, in particolare in Ungheria, si caratterizza per il suo inconfondibile pelo folto e arricciato, in genere biondo, o bianco e nero o, più raramente, rosa. Si tratta di un maiale molto grasso, che cresce lentamente e che non può essere rinchiuso: assolutamente incompatibile, quindi, con l’allevamento industriale.Dopo avere rischiato la scomparsa, è stato riscoperto sul finire degli anni Novanta grazie all’ottima carne carat-terizzata da un alto contenuto di grasso, ma per un basso livello in colesterolo.L’allevamento di suini mangalica è diventato così un business proficuo anche al di fuori delle zone originarie e la stessa associazione di produttori che doveva tutelarne la razza ha avvallato l’allevamento di maiali incrociati con la più comune large white, dando vita a razze spurie, in grado di raggiungere il peso necessario alla macel-lazione in 8-10 mesi, invece dei tradizionali 18- 24 mesi. Nel Parco nazionale di Kiskunsag alcuni piccoli produttori allevano questa razza in purezza e allo stato semi-brado e integrando il pascolo con alimenti naturali prodotti in azienda. Le carni sane e saporite della mangalica si cucinano al forno, in umido, in brodo e si accompagnano con crauti, patate e peperoni ripieni. Seguendo la tecnica tradizionale, gli allevatori confezionano in proprio prosciutti affumicati e salsicce. Proprio la salsiccia è il prodotto principale e più interessante. Si trova in diversi formati, ma la più tradizionale è insaccata nel duodeno del maiale, ha un diametro di circa 3 centimetri ed è molto lunga (fino a 70 centimetri). La sua preparazione prevede di macinare finemente il lardo e le carni (a mano o con un tritacarne elettrico, unica concessione alla modernità) e di condirle con sale, pepe, paprika dolce e altre spezie (diverse da ricetta a ricetta). Una volta insaccate a mano, le salsicce sono affumicate a freddo al fumo del fuoco di legna (acacia o quercia) e stagionano per qualche mese (le migliori hanno da 60 a 90 giorni di maturazione). Tradizionalmente si mangiano a fette, accompagnate con verdure fermentate (cetrioli e peperoni ripieni di cavolo).Area di produzione: contea di Kiskunság
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ConclusioniIl monitoraggio dei 10 Presìdi è la prima tappa di un lavoro più ampio che Slow Food intende sviluppare sul tema dello sviluppo sostenibile. Il punto di partenza è l’ampliamento del concetto di sostenibilità a fattori esterni all’aspetto agro-ambientale ed economico ma ad essi strettamente connesso quale l’a-spetto socio-culturale che ha contribuito a formare l’agroecosistema nel tempo e che oggi ne garantisce il mantenimento. Significa, in breve, rimettere al centro del sistema l’uomo e cioè dare a chiunque lavori in agricoltura un forte senso di responsabilità e possibilità di scelta, una possibilità spesso offuscata dai nuovi sistemi agricoli che propongono ai contadini, agli allevatori, ai pescatori pacchetti tecnologici “chiusi”, espropriandoli così dei loro saperi.
Analizzando nell’insieme le 10 schede di monitoraggio, il percorso dei Presìdi si dimostra terreno ideale per innescare processi di autostima dei produttori, di nuovi rapporti con i consumatori (o meglio co-produttore) e di un più forte legame della produzione con il suo territorio. In tutti i casi esaminati, emerge una forte crescita negli anni della gratificazione individuale dei pro-duttori i quali, oggi sono consapevoli dell’importanza del proprio lavoro e del ruolo che esercitano nella tutela della biodiversità del proprio territorio. I produttori dei Presìdi hanno partecipato e partecipano a numerosi eventi locali, nazionali e internazio-nali e la stampa dedica loro una crescente attenzione. La rete di Slow Food - con la quale, negli anni, sono entrati in una relazione sempre più stretta - ha permesso non solo questa promozione di prodotti e produttori ma soprattutto ha incentivato gli scambi di saperi tra produttori, produttori e consumatori, produttori ed enti e istituzioni locali. È il caso della collaborazione dei Presìdi del caprino dello Jämtland stagionato in grotta (Svezia) e del sorbo ciavardello del Wiesenwienerwald (Austria) con le università presenti sul territorio. Le attività di educazione ambientale e alimentare (vedete ad esempio il Presidio dei fagioli di Smilyan in Bulgaria) rivolta ai bambini in età scolare permette inoltre quello scambio di saperi intergenerazionale che è un presupposto fondamentale per la nascita di una nuova visione di sviluppo. Sempre in tema di generazioni è particolarmente interessante notare come, in virtù di migliori condizioni anche di tipo eco-nomico, molti Presìdi (lenticchia di Santo Stefano di Sessanio e Bitto storico in Italia, gouda artigianale stravecchio, in Olanda) siano riusciti a coinvolgere le nuove generazioni non solo come aiuto nelle aziende di tipo familiare ma come produttori a pieno titolo dei Presidi, in alcuni casi anche in posizioni chiave dell’associazione (è il caso del branza de burduf dei monti Bucegi, in Romania, dove un giovane coordina il gruppo dei produttori).
Altro aspetto interessante che emerge dal monitoraggio è come l’attività messa in atto dai produttori sia sempre rivolta non solo alla salvaguardia di ecotipi vegetali o razze animali autoctone, ma alla salva-guardia e alla valorizzazione dell’ambiente e del paesaggio. Ciò è evidente in quelle produzioni che insistono su territori particolarmente fragili come i pascoli di alta quota (ad es. il bitto storico in Italia) o i territori isolani (ad es. cappero di Salina in Italia). In questi casi, infatti, l’attenzione al carico di animali per pascolo, nel primo caso, o il ripristino di terrazzamenti e muretti a secco, nel secondo, permettono non solo di avere ottimi risultati, anche economici, per i produttori ma svolgono una importante funzione sociale di corretta gestione dell’ambiente, sottolineando ancora una volta il valore insostituibile della multifunzionalità dell’azienda agricola e del ruolo dei produttori come custodi.
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Sempre considerando gli aspetti ambientali, è bene sottolineare come la concertazione tra produttori e tecnici per la realizzazione di disciplinari di produzione e trasformazione abbia permesso un no-tevole passo avanti nell’affermazione di sistemi di coltivazione più sostenibili rispetto al passato, con una migliore gestione dell’acqua, una più coerente fertilizzazione del suolo e una riduzione nell’ uso di sostanze chimiche di sintesi. Questa visione partecipativa delle decisioni ha portato ad esempio il Presi-dio della salsiccia di mangalica (Ungheria) alla coltivazione con il metodo dell’agricoltura biologica delle materie prime destinate all’alimentazione animale. L’ottimizzazione delle tecniche colturali, tratto comu-ne di tutti i 10 casi studio, non ha sempre garantito un aumento delle produzioni, anche perché in molti casi non era quello l’obiettivo prioritario: infatti in molti casi (bitto storico in Italia, caprino dello Jämtland stagionato in grotta in Svezia, fagioli di Smilyan in Bulgaria, razza bovina di Limpurg in Germania), si è puntato di più sul miglioramento degli aspetti qualitativi a scapito di quelli quantitativi. L’aumento di quantità di prodotto oggi presente sul mercato per alcuni Presidi (cappero di Salina in Italia, lenticchia Di Santo Stefano di Sessanio in Italia, branza de burduf dei monti Bucegi in Romania) è dovuto in effetti a un aumento di superfici e a un ritorno alla produzione/allevamento/trasformazione da parte di agricoltori che, sconfortati dalla situazione di mercato precedente alla nascita del progetto dei Presidi, avevano abbandonato i “vecchi” prodotti per mettere in coltura e/o allevare nuovi prodotti con nuovi sistemi.
Sicuramente il mondo agricolo che ha scommesso insieme a Slow Food sulla possibilità di guardare alla tradizione e ai saperi antichi per creare sistemi agricoli sostenibili è stato premiato dai consumatori (co-produttori), che si sono dimostrati disponibili a spendere un po’ di più per poter avere sulle proprie tavole prodotti di alta qualità. In tutti e 10 i casi è infatti possibile evidenziare un aumento del prezzo di vendita, giustificato dalla ridotta produttività dei sistemi e dalla insistenza degli stessi in territori difficili. È altresì evidente che i produttori hanno avuto la possibilità di imparare a vendere, raccontando i propri prodotti e i propri territori, abbracciando e sostenendo l’idea che la qualità va narrata. Ed è per questo hanno tanto successo tutte le forme di vendita diretta sia presso l’azienda agricola stessa partecipando a mercati e manifestazioni locali. In ultimo, è evidente come il lavorare insieme dei produttori dei Presìdi abbia quasi naturalmente portato al rafforzamento o alla formazione di forme associative in cui gli agri-coltori si riconoscono e partecipano per tutto ciò che concerne la promozione dei prodotti e in alcuni casi un primo tentativo di vendita comune. Sicuramente il punto debole di tutti i casi studio presi in esame è il tema del packaging, dove molta strada è ancora da fare.
Definiti gli ambiti del sistema in questo primo monitoraggio - sistema che si è concentrato soprattutto sulle interviste ai produttori - il percorso dei Presìdi avvierà un secondo momento di riflessione sulla sostenibilità del progetto attraverso la costruzione di un sistema di indicatori “pesati”, che siano in grado di fornire in forma sintetica informazioni utili su fenomeni così complessi. Gli indicatori di descrizione/mi-surazione della sostenibilità potranno aiutare a comprendere le correlazioni tra i diversi fenomeni locali e globali, identificare e analizzare in modo sistematico i cambiamenti, le tendenze, i problemi prioritari, per promuovere una strategia di medio/lungo periodo, e infine per supportare i processi decisionali delle aziende e delle forme associative.
www.slowfood.itwww.fondazioneslowfood.it