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z KEY WORDS: immediate Loading, Guided Tissue Regeneration, Fresh Extraction Sockets, Resonance Frequency Analysis
SummaryThe present work introduces clinical protocols designed to treat, with enough confidence, advanced clinical cases, such as immediate loading, guided bone regeneration (GBR) and immediate extraction sites. Today we have many techniques for dealing with such challenging situations but perhaps it is necessary, according to the literature, draw guidelines to help the operator toward a treatment as predictable as possible. Particular emphasis is given to the Resonance Frequency Analysis, an instrument of utmost importance in risk situations and able to monitor the conditions of implant stability at any stage of treatment.
z PAROLE CHIAVE: carico immediato, Rigenerazione Ossea Guidata, Alveoli post estrattivi immediati, Frequenza di Risonanza
RiassuntoNel presente lavoro vengono descritti dei protocolli operativi per poter affrontare con sufficiente sicurezza casi clinici avanzati, come il carico immediato, la rigenerazione ossea guidata (GBR) e il trattamento dei siti post estrattivi immediati. Oggi possediamo molte tecniche per potere trattare tali situazioni ma forse è necessario, in base alla letteratura scientifica, tracciare delle linee guida che possano orientare l’operatore verso un trattamento il più possibile prevedibile. Particolare enfasi viene dedicata alla Frequenza di Risonanza, uno strumento di grande ausilio in situazioni a rischio e capace di monitorare le condizioni di stabilità implantare in qualsiasi fase del trattamento.
Protocolli operativi e di controllo per massimizzare il successo nelle situazioni cliniche avanzate
P aggiornamento monografico
Carico immediato Il protocollo originale di implantologia
osteointegrata, redatto dal professor
Brånemark alcuni decenni fa, prevedeva un
periodo di guarigione di 3-6 mesi durante i
quali l’impianto doveva rimanere in ambiente
sommerso allo scopo di evitare ogni trauma
nella fase guarigione.
Negli anni successivi alcuni ricercatori
osservarono che il processo di
osteintegrazione poteva avvenire anche in
ambiente transmucoso, l’abutment veniva
direttamente connesso all’impianto al
momento della sua installazione1-3, limitando
la chirurgia a un’unica fase.
Un ulteriore sviluppo della procedura
implantare è stata realizzato agli inizi degli
anni ’90, quando alcuni clinici iniziarono a
caricare immediatamente impianti posizionati
nella sinfisi mentoniera, ottenendo risultati
clinici sorprendenti4,5. Naturalmente la
sinfisi mentoniera rappresenta la zona più
prevedibile per eseguire il carico immediato,
sia per la quantità che per la qualità dell’osso.
Nelle altre aree dei mascellari la quantità e
la qualità dell’osso erano meno favorevoli,
e infatti inizialmente queste zone davano
dei risultati meno soddisfacenti. Per poter
estendere il carico immediato anche alle
zone con osso più soffice è stato necessario
comprendere i fattori e i prerequisiti che
stavano alla base della metodica.
Il fattore principale nel carico immediato
è rappresentato dalla stabilità implantare
nell’osso, che può essere di tipo primario o
secondario:
stabilità primaria. È la stabilità meccanica
dell’impianto ottenibile al momento
dell’inserzione e dipende da alcuni fattori:
≈ tecnica chirurgica. Il sito chirurgico
può essere sottopreparato per ottenere
un maggiore ingaggio al momento
dell’inserzione6,
≈ geometria dell’impianto. Una forma conica
dell’impianto aumenta considerevolmente la
stabilità, specie in osso soffice7,
≈ sufficiente quantità e qualità di osso. Deve
esserci una quantità di osso sufficiente sia in
senso orizzontale che verticale. La presenza
di osso corticale è associata a un aumento
di stabilità implantare con corrispondente
incremento dei valori ISQ di Frequenza di
Risonanza8. In caso di esposizione di parte
dell’impianto è necessario applicare una
tecnica GBR per ottenere la copertura ossea
delle spire;
stabilità secondaria. È la stabilità biologica
che si determina nelle settimane successive
all’installazione implantare e si può identificare
con l’osteointegrazione. La stabilità secondaria
dipende dalle caratteristiche della superficie
impiantare: impianti con superficie ruvida
sono in grado di accelerare il processo di
osteointegrazione4,9,10.
La stabilità primaria (meccanica) può diminuire
lentamente a partire dal giorno dell’intervento
mentre quella secondaria (biologica) mostra un
costante incremento (Figura 1).
Nel carico immediato è fondamentale avere:
una stabilità primaria ottimale che
impedisca micromovimenti dell’impianto
durante le prime settimane di guarigione;
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una stabilità secondaria più precoce,
che induca un più rapido processo di
osteointegrazione.
Come abbiamo detto, gli impianti con una
geometria leggermente conica determinano
una compressione ed espansione ossea
durante l’inserimento, garantendo una
maggiore stabilità primaria. Vanden Bogaerde
e coll.11. In uno studio multicentrico prospettico
hanno installato 124 impianti conici a superficie
liscia in mascellari superiori e mandibole
posteriori, li hanno caricati precocemente entro
15 giorni dalla chirurgia, e ne hanno osservato
i risultati a 18 mesi. La percentuale totale di
sopravvivenza implantare è stata del 96,8%.
Nelle prime settimane dopo la chirurgia
implantare si assiste a un rimaneggiamento
del tessuto osseo perimplantare con possibili
cambiamenti nella stabilità.
Abrahamsson e coll.12 hanno condotto uno
studio nel cane analizzando da un punto di
vista istologico le modificazioni che avvengono
nell’interfaccia osso-impianto durante le prime
settimane di guarigione.
Il comparto della ferita chirurgica viene
inizialmente occupato da coagulo (eritrociti
intrappolati in una rete di fibrina) e tessuto
di granulazione, rimpiazzato presto da una
matrice provvisoria. Il processo di formazione
ossea inizia già nella prima settimana con
formazione di “woven bone” che continua nelle
successive 2 settimane. Dopo 4 settimane
inizia già a osservarsi la formazione di osso
lamellare e osso midollare. Nello studio è stato,
inoltre, osservato che tutto il processo viene
accelerato dalla superficie implantare ruvida.
Questo lavoro ha evidenziato come vi sia, nel
periodo iniziale di guarigione, un considerevole
rimaneggiamento osseo con fenomeni
infiammatori, di riassorbimento e quindi
neoapposizione ossea. Tutto ciò potrebbe
essere responsabile del calo di stabilità
implantare spesso osservabile clinicamente
(mediante frequenza di risonanza) intorno alla
3a-4a settimana.
Gli impianti con superficie ruvida hanno quindi
la caratteristica di velocizzare il processo di
osteointegrazione, fattore molto importante
nel carico immediato. Vanden Bogaerde e coll.13
hanno condotto uno studio multicentrico
con un protocollo analogo al loro lavoro
precedente (2003) ma utilizzando impianti
a superficie ruvida (ossidata). Sono stati
posizionati 111 impianti in zone edentule
dei mascellari e delle mandibole posteriori
e caricati precocemente entro 9 giorni
dall’installazione. La valutazione a 18 mesi
mostrava il fallimento di un solo impianto con
una percentuale di sopravvivenza del 99,1 %.
Analizzando i vantaggi del carico
immediato riscontriamo:
possibilità di ricostruire in tempi brevissimi
la funzione estetica compromessa;
possibilità di ripristinare, almeno
parzialmente, la funzione masticatoria
compromessa;
possibilità di conservare i livelli dei tessuti
duri e molli;
abbreviazione significativa dei tempi
protesici;
tempi e costi ridotti per il paziente.
Se invece prendiamo in analisi gli svantaggi
del carico immediato, si evidenzia:
necessità di un monitoraggio frequente
nelle prime settimane;
necessità della collaborazione costante del
paziente (selezione del paziente);
necessità di un protocollo estremamente
rigido (non ottemperandolo, anche solo
parzialmente, vi sono maggiori possibilità di
fallimento implantare);
necessità di un training particolare
dell’operatore.
Emergono due tipologie di
controindicazioni al carico immediato:
assolute, il trattamento non deve essere
eseguito nei casi di:
≈ stabilità primaria insufficiente,
≈ nella sostituzione degli incisivi superiori e
presenza di deep bite,
≈ fenomeni infiammatori acuti,
≈ parodontite non trattata;
relative (il trattamento può essere eseguito
con un rigido protocollo di controllo) in caso di:
≈ malattie generali,
≈ bruxismo,
≈ parodontite trattata.
L’implantologia odierna è sempre più protesa
a risolvere casi avanzati con situazioni dentali
e ossee severamente compromesse.
Vi è sempre maggiore richiesta di eseguire
il carico precoce o immediato, di trattare
immediatamente siti post estrattivi freschi, di
combinare carico immediato e rigenerazione
ossea, di trattare pazienti con forte bruxismo o
con occlusioni anomale. Tutto ciò ha generato
una forte necessità di dover quantificare, e
quindi misurare, la stabilità implantare non
solo all’installazione dell’impianto, ma anche
nelle settimane successive.
In altre parole abbiamo bisogno di maggiore
capacità diagnostica, allo scopo di:
sapere quando applicare il carico
all’impianto, immediatamente, precocemente
o tardivamente;
sapere quando eliminare il carico
1. Il grafico mostra la decrescita della stabilità meccanica (primaria) nelle prime settimane, mentre la stabilità biologica (secondaria) cresce progressivamente. La stabilità totale mostra un calo fisiologico intorno alla 3-4a settimana.
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dall’impianto, possibilità di “early warning”;
valutare le condizioni di un impianto in
qualsiasi momento;
trattare con maggiore sicurezza casi a
rischio, e quindi fornire al paziente maggiori
garanzie;
avere un’“impronta digitale” dell’impianto
che ci consenta una migliore comunicazione
con i pazienti e con i colleghi con cui
collaboriamo.
La stabilità implantare può essere misurata
con diverse metodiche: vediamole.
è la misurazione della forza di inserzione
dell’impianto fino al valore di completo
adattamento all’osso (Seating Torque);
è una metodica affidabile, ma ci fornisce
un unico valore, al momento dell’inserimento
dell’impianto, quindi misura solo la stabilità
primaria;
il torque misura le forze di torsione.
si tratta di una metodica messa a punto dal
dottor Meredith negli anni ’9014,15, sviluppata
continuamente nei decenni successivi e oggi
realmente affidabile e ripetibile. Centinaia di
pubblicazioni internazionali confermano la
validità del sistema;
si basa sul principio del diapason.
L’apparecchio emette impulsi magnetici
verso uno “smartpeg” inserito sull’impianto,
registrandone poi un valore numerico in ISQ
(Implant Stability Quotient). La misurazione
avviene in modalità “wireless” (Figure 2-3);
è una misurazione molto precisa e può
essere ripetuta in qualsiasi momento del
trattamento, quindi misura sia la stabilità
primaria che quella secondaria;
ci può fornire due misurazioni del singolo
impianto, secondo due assi ortogonali (mesio-
distale e bucco-linguale);
misura il contatto osso-impianto
soprattutto nel terzo coronale dell’impianto;
misura la resistenza ai movimenti in lateralità.
Indicazioni cliniche all’uso della frequenza di risonanza
La RFA è utile in numerose situazioni cliniche,
ma è da considerarsi indispensabile nella
procedura di carico immediato. In questo
caso, infatti, è fondamentale, durante le
prime 6 settimane dall’intervento, eseguire
un monitoraggio costante degli impianti
per intercettare eventuali cali di stabilità che
potrebbero portare al fallimento implantare.
Alcuni Autori16-18 hanno evidenziato un
fisiologico calo di stabilità dopo 3-4 settimane,
imputabile probabilmente ai fenomeni
infiammatori e di rimaneggiamento osseo che
seguono la chirurgia12.
In uno studio prospettico Vanden Bogaerde
e coll.19 hanno seguito, mediante RFA, 69
impianti Neoss per 18 mesi, evidenziando una
leggera perdita di stabilità dopo 4 settimane,
più marcata nel mascellare superiore che nella
mandibola. Il valore medio di ISQ al baseline
era di 68 ISQ, mentre risaliva a 72 ISQ dopo
6 mesi. Nello studio sono stati posizionati
anche impianti in siti post-estrattivi immediati:
è stato osservato che in caso di difetti ossei
residui di tipo “closed”13 la stabilità media al
baseline era comunque piuttosto elevata,
con un valore di 65.8 ISQ.
Nei difetti di tipo “open”, invece, la stabilità
era piuttosto bassa, prossima alla soglia di
fattibilità, con un valore di 51 ISQ.
La possibilità di inserire impianti in siti
post-estrattivi immediati e caricarli
immediatamente è stata analizzata in
uno studio clinico prospettico20 in cui sono
stati inseriti 50 impianti in siti estrattivi
freschi. I risultati a 18 mesi hanno indicato la
sorprendente percentuale di successo del
100%. L’analisi con la frequenza di risonanza,
eseguita al baseline, dopo 1, 3, 4, 6 settimane
e dopo 3, 6 mesi ha evidenziato tre tipi
di curve: un primo gruppo di impianti ha 2. Registrazione del valore di ISQ: un perno magnetico (Smartpeg) viene avvitato sull’impianto e la punta della sonda registra il valore di stabilità in modalità wireless.
3. Apparecchio per la Frequenza di Risonanza.
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mantenuto la stabilità nel tempo, un secondo
ha mostrato un aumento progressivo di
stabilità mentre un terzo gruppo, più esiguo,
ha evidenziato un iniziale calo con un
mantenimento nel periodo di osservazione.
Carico immediato in
combinazione con la GBR
Il carico immediato può essere eseguito,
in casi ben selezionati e controllati, anche
su impianti che, in considerazione
di mancanza d’osso localizzata, sono
sottoposti a procedura di GBR. Mediante
la RFA possiamo seguire l’evolversi del
processo rigenerativo, constatando che
dopo almeno 6 mesi la rigenerazione
ossea è avvenuta a dispetto della iniziale
esposizione implantare e che i valori di
ISQ sono cresciuti in modo proporzionale
alla rigenerazione stessa. In uno studio su
cadavere21 sono stati estratti tutti i denti
naturali e sostituiti con impianti posizionati
nei siti post-estrattivi. È stato misurato
il torque di inserzione, la frequenza di
risonanza e la profondità dei difetti ossei. Lo
studio ha dimostrato una proporzionalità
diretta tra i difetti verticali perimplantari e i
valori di frequenza di risonanza.
Carico immediato nel gruppo
incisivo superiore
Il carico immediato eseguito nel gruppo
incisivo superiore è una delle situazioni
più a rischio di fallimento. In presenza
di un severo deep bite si configura
addirittura una reale controindicazione al
trattamento, mentre in situazioni occlusali
più favorevoli possiamo eseguire il carico
immediato a condizione di effettuare un
costante monitoraggio durante le prime
settimane di guarigione. È comunque
sempre indispensabile eliminare dalle
protesi provvisorie qualsiasi tipo di contatto
occlusale e istruire il paziente sulla necessità
di evitare qualsiasi atteggiamento o
abitudine viziata che possa determinare un
trauma sull’elemento interessato.
Possibilità di intercettare
un fallimento implantare
La frequenza di risonanza fornisce una
possibilità che nessun altro strumento
finora ci ha consentito: la possibilità di
intercettare un fallimento implantare prima
che esso si concretizzi realmente. Infatti,
il monitoraggio continuo dell’impianto
con la RFA ci permette di ottenere una
“curva di stabilità” implantare. L’analisi
dei valori presenti sulla curva ci mette in
condizione di intervenire allorché gli stessi
calino nel tempo in modo progressivo e
continuo, avvicinandosi o raggiungendo
un determinato “valore soglia”, al di sotto
del quale l’impianto non è più recuperabile.
Se noi riusciamo a intercettare il calo di
stabilità prima che raggiunga valori critici,
possiamo rimuovere la protesi provvisoria,
attendere un periodo di guarigione e, infine,
ripristinare il carico. Una vera e propria
“Rescue procedure” in grado di recuperare
completamente un impianto destinato al
fallimento (Figure 4a-4f, Tabella 1).
4a. Incisivo centrale superiore sinistro con una frattura radicolare. 4b. Il dente viene estratto e l’impianto immediatamente inserito.
Tabella 1
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Protocollo di controllo implantare
nel carico immediato medi ante
l’utilizzo di frequenza
di risonanza
Il “valore soglia” di stabilità, misurato in ISQ,
rappresenterebbe il valore al di sotto del
quale la procedura di carico immediato non
deve essere eseguita. Sulla defi nizione esatta
di questo valore non vi è ancora oggi un
consenso unanime.
Vanden Bogaerde e coll.19, in uno studio
prospettico, hanno stabilito arbitrariamente
un “valore soglia” al baseline di 50 ISQ,
osservando clinicamente che valori al di sotto
di 50 ISQ erano associati a una visibile mobilità
implantare. Altri Autori hanno invece defi nito e
utilizzato valori diff erenti.
Probabilmente, un valore soglia adeguato per
il carico immediato potrebbe essere di 55 ISQ,
utilizzando però un protocollo di applicazione
come descritto nella tabella seguente:
4c. Viene eseguito il carico immediato posizionando una corona provvisoria senza contatti occlusali.
4d. L’impianto mostra nel periodo di guarigione un calo di ISQ (vedere tabella 1), per cui viene eliminato il provvisorio fi no a che non ha ripreso un suffi ciente grado di stabilità. I tessuti molli appaiono in ottime condizioni.
4e. Il posizionamento della protesi defi nitiva.
4f. L’immagine radiografi ca rivela un buon mantenimento dell’osso marginale.
Valori di ISQ al baseline (valore soglia 55 ISQ) Trattamento Carico
Inferiore a 55 No al carico immediato -
Compreso fra 55 e 65 Monitoraggio settimanale Nessun carico
Superiore a 65 Monitoraggio bisettimanale Carico molto limitato
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Applicando questo protocollo è
indispensabile poter rimuovere a intervalli
regolari la struttura protesica provvisoria;
pertanto è raccomandato l’uso di una protesi
avvitata e non cementata.
Quando la curva di stabilità, partendo dal
valore al baseline, cala in modo continuo
nel tempo raggiungendo il “valore soglia”
di 55 ISQ, è indicato rimuovere il carico
dall’impianto, attendere alcuni mesi affinché la
stabilità risalga e quindi ripristinare il carico.
Rigenerazione Ossea Guidata Il più importante requisito per il successo
dell’osteointegrazione implantare è
rappresentato da una sufficiente quantità e
qualità del tessuto osseo che possa garantire
la stabilizzazione dell’impianto con formazione
di un contatto osso impianto ottimale22,23.
In caso di insufficiente quantità di tessuto
osseo nel sito dell’impianto, è stato descritta
una minore percentuale di successo
implantare24.
La tecnica che negli anni ha avuto più
successo per incrementare il supporto osseo
è rappresentata dalla Rigenerazione Ossea
Guidata (GBR)25-28.
La metodica GBR deriva direttamente da
un’altra procedura utilizzata per rigenerare
il parodonto perduto a causa di malattia
parodontale, la Rigenerazione Tissutale
Guidata (GTR)29-31.
Questa metodica prevede l’uso di una
membrana che, agendo come una barriera
meccanica, esclude dalla zona di riparazione
chirurgica le cellule non competenti (epiteliali
e connettivali), favorendo nel contempo
la proliferazione di cellule del legamento
parodontale, le uniche in grado di ricostruire il
parodonto profondo.
Basandosi sui principi biologici della GTR,
nella GBR le membrane vengono utilizzate
allo scopo di escludere dalla zona di
guarigione le cellule differenti da quelle ossee,
favorendo quindi la migrazione di cellule
osteocompetenti in grado di rigenerare il
tessuto perimplantare.
La GBR ha elevate possibilità di successo per
il trattamento dei difetti perimplantari32-35
e per la rigenerazione ossea prima del
posizionamento degli impianti in difetti di
cresta localizzati36-38 (Figura 5).
La possibilità di rigenerare l’osso
perimplantare dipende da alcuni fattori:
■ morfologia del difetto;
■ tipo di membrana utilizzata (riassorbibile,
non riassorbibile);
■ tipo di materiale di riempimento (osso
autologo, eterologo, di origine animale);
■ tecnica chirurgica utilizzata.
Le membrane utilizzate per le tecniche di
rigenerazione tissutale devono possedere
alcuni requisiti fondamentali affinchè il
processo rigenerativo sia sicuro e prevedibile.
Tali requisiti sono:
■ biocompatibilità. Il materiale deve essere
biocompatibile;
■ occlusività cellulare. Le membrane devono
possedere capacità di barriera, isolando
la zona di rigenerazione dalle aree non
competenti per tale processo;
■ integrazione tissutale. Il materiale deve
permettere la crescita, al suo interno, di
tessuto connettivo al fine di stabilizzare
la membrana e di ritardare la migrazione
epiteliale;
■ mantenimento di spazio (“spacemaking”).
La membrana dovrebbe possedere una
sufficiente rigidità per garantire, soprattutto
nelle prime fasi di guarigione, uno spazio
sufficiente per la ricrescita di tessuto. Il
collasso della membrana all’interno del
difetto è causa frequente di insuccesso della
tecnica rigenerativa;
■ maneggevolezza clinica. Il materiale deve
essere disponibile in diverse configurazioni
e dimensioni per adattarsi alle differenti
tipologie dei difetti, e deve essere
sufficientemente malleabile per adattarlo
alla morfologia della zona da trattare.
Ma gli impianti posizionati in osso rigenerato
hanno la stessa percentuale di successo di
quelli posti in osso nativo? In uno studio a 5
anni recentemente pubblicato39 sono stati
messi a confronto impianti con simultanea
GBR e impianti in osso nativo come controllo.
La percentuale di sopravvivenza implantare
è stata del 100% per il gruppo GBR e del
94% per il gruppo controllo, senza differenze
statisticamente significative. Anche il livello di
osso marginale mostrava in entrambi i gruppi
un riassorbimento simile a 5 anni.
GBR perimplantare In parodontologia esiste una classificazione
dei difetti parodontali in base al grado di
compromissione dei tessuti parodontali e
al numero di pareti ossee che circondano il
difetto stesso: parliamo di difetti ossei a una,
due, tre pareti e difetti circumferenziali. La
potenzialità rigenerativa e la difficoltà della
tecnica chirurgica dipendono direttamente
dal numero di pareti presenti intorno al
difetto. Un difetto a tre pareti risponde molto
meglio alla terapia sia perché in grado di
mantenere la stabilità del coagulo nelle prime
5. Posizionamento della membrana nella tecnica GBR.
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fasi di guarigione, sia per la sua intrinseca
capacità spacemaking. Diversamente, in
un difetto a una parete il coagulo è molto
meno protetto e la terapia rigenerativa è più
complessa in quanto è necessario creare una
“camera rigenerativa” per consentire l’ingresso
e la maturazione dei tessuti competenti. Sarà
quindi necessario applicare una membrana
rigida fissandola adeguatamente alle zone
circostanti, associandola spesso a un materiale
di riempimento. Basandosi sui principi biologici
della parodontologia è stata proposta una
classificazione dei difetti perimplantari40 che
sono stati classificati come segue:
■ difetti “closed”, con pareti ossee conservate
(Figura 6);
■ difetti “open”, con una o più pareti mancanti
(Figura 7);
■ deiscenze. Mancanza di osso su un lato
dell’impianto, solitamente quello buccale;
■ within the envelope. Difetti inclusi nel
contorno della cresta alveolare (Figura 8);
■ outside the envelope. Difetti che sporgono
dal contorno della cresta alveolare (Figura 9).
Difetti “closed”
I difetti chiusi, con le loro pareti ossee
conservate, offrono condizioni favorevoli per il
processo rigenerativo.
La morfologia di questi difetti è simile a una
scodella o a un piccolo cratere.
Essi contengono stabilmente il coagulo,
ed eventuali innesti ossei, durante tutto
il periodo di guarigione. Le pareti ossee
conservate proteggono l’ambiente di
guarigione dai movimenti dei tessuti
sovrastanti, permettendo l’invasione
indisturbata delle cellule osteorigenerative.
Inoltre, i margini del difetto agiscono come
sostegno impedendo alla membrana di
collassare entro il difetto.
Terapia. Questi difetti, soprattutto quelli con
un “gap” non superiore a 2 mm, potrebbero
essere lasciati guarire spontaneamente,
senza alcuna tecnica GBR. Uno studio
sperimentale41 ha però dimostrato che
più l’ampiezza del difetto aumenta, più
la guarigione, in termini di contatto osso
impianto (BIC), è peggiore.
Quindi, potremmo evitare di trattare solo
difetti molto stretti (1-2 mm), mentre per
difetti più ampi è consigliabile sempre
inserire un riempitivo, meglio se osso
autologo raccolto nelle zone limitrofe. Data
6. Difetto “closed” con pareti ossee conservate. 7. Difetto “open” con mancanza di una o più pareti ossee.
8. Deiscenza “within the envelope”. 9. Deiscenza “outside the envelope”.
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la capacità contenitiva del difetto, nella
maggior parte dei casi non è necessaria
l’applicazione di una membrana (Figure 10-11).
Difetti “open”
L’anatomia dei difetti open è meno favorevole
per il processo rigenerativo dei difetti
closed, dal momento che la mancanza di
una o più pareti ossee espone l’ambiente di
guarigione a traumi esterni. Nei difetti open
il coagulo è meno protetto, innesti ossei
particolati sono più soggetti a spostamento
e una membrana posizionata per coprire il
difetto può facilmente collassare perché non
sufficientemente sorretta dalle pareti ossee
circostanti (Figura 12).
Naturalmente esistono difetti open più
favorevoli e altri meno. I meno favorevoli sono,
per esempio, quelli al di sopra della cresta
in cui, per la mancanza completa di ogni
parete ossea, la terapia rigenerativa è molto
impegnativa e la prognosi incerta.
Terapia. La morfologia dei difetti open
richiede comunque una terapia rigenerativa
più complessa di quelli closed. È sempre
consigliabile riempire il difetto con materiale
di innesto particolato, previlegiando l’osso
autologo rispetto ai sostituti dell’osso.
L’innesto deve essere contenuto e protetto
con una membrana non riassorbibile o
riassorbibile. Già molti anni fa Gelb42 aveva
messo in evidenza l’importanza dell’anatomia
del difetto nel processo rigenerativo. Vennero
trattati sia difetti a tre pareti che difetti a
una parete con diverse terapie rigenerative;
l’Autore osservò che i difetti a tre pareti
guarivano con qualsiasi tipo di terapia
adottata, mentre per quelli a una parete era
più efficace una combinazione di membrana
e materiale riempitivo.
Deiscenze
La deiscenza è la mancanza di osso su di un
solo lato dell’impianto, solitamente quello
buccale, dove la teca ossea è più sottile. Il
difetto comporta l’esposizione delle spire
implantari fino alla testa dell’impianto. Si
distinguono in:
■ deiscenze all’interno dell’envelope. Sono
difetti compresi all’interno del contorno
della cresta ossea alveolare, per cui la parte
esposta dell’impianto risulta circondata da
pareti ossee in grado sia di mantenere un
innesto sia di fornire cellule osteopromotrici
10. Esempio di difetto “closed”con aspetto a cratere. 11. Difetto “closed” trattato con osso autologo particolato.
12. Esempio di difetto “open” con mancanza delle pareti ossee buccale e distale.
13. Deiscenza ossea “within the envelope”.
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(difetto spacemaking). L’anatomia del
difetto consente di posizionare un innesto
di osso autologo, che risulterà spesso
talmente stabile da non necessitare di
una membrana contenitiva (Figure 13-14);
■ deiscenze all’esterno dell’envelope. Sono
difetti che protrudono al di fuori del
contorno osseo, per cui le spire esposte
dell’impianto non sono circondate da
pareti contenitive (Figura 15). Infatti
l’osso è piuttosto lontano dalle spire e
la distanza che devono percorrere le
cellule osteopromotrici è piuttosto ampia.
Sono difetti “non spacemaking”, che non
garantiscono uno spazio sufficiente e
protetto per la rigenerazione. La terapia
consiste nell’utilizzare uno “spacemaker”,
cioè del materiale di riempimento al di
sopra delle spire, che mantenga spazio.
È necessario poi coprire tutto con una
membrana ben fissata con dei chiodini
all’osso circostante. È molto importante
la stabilità della membrana in quanto il
difetto, per sua natura non anatomicamente
protetto, è fortemente esposto ai movimenti
nel cavo orale e quindi a un dislocamento.
Fenestrazioni
Sono difetti simili alle deiscenze, ma che
non arrivano a interessare la parte più
coronale dell’impianto (Figura 16).
In altre parole sono esposizioni limitate di
spire confinate nel corpo dell’impianto.
Non sono stati descritti casi di fallimenti
implantari a causa di fenestrazioni, per cui
la terapia dei casi meno estesi consiste
nel non trattarli. Se abbiamo invece delle
fenestrazioni piuttosto estese possiamo
utilizzare le stesse tecniche descritte per le
deiscenze.
Materiali di riempimento
dei difetti perimplantari
L’osso autologo particolato è considerato il
“gold standard” per il riempimento
dei difetti ossei perimplantari in quanto
combina capacità osteoconduttive
e osteoinduttive. I sostituti dell’osso
posseggono invece solo capacità
osteoconduttive, di “scaffold”; inoltre,
se vengono in contatto con il tessuto
connettivale sono invase immediatamente
da tessuto fibroso, vanificando qualsiasi
rigenerazione.
Nella Tabella 2 sono indicati i vantaggi e
gli svantaggi dell’osso autologo e dei suoi
sostituti.
L’osso autologo particolato può essere
prelevato in piccole quantità utilizzando
tecniche mini-invasive.
Per quantità maggiori, come i blocchi solidi, si
possono utilizzare frese e trephine o, in modo
meno traumatico, il piezo.
Nella Tabella 3 sono elencate alcune di queste
TABELLA 2
Materiali di riempimento Vantaggi Svantaggi
Osso autologo OsteoconduttivoOsteoinduttivoOttima prognosi
Maggiore morbiditàSi riassorbe più facilmente
Sostituti dell’osso Nessun prelievo Solo osteoconduttivoCosto maggioreRischio elevato di invasione di cellule connettivali
14. Nella deiscenza “within the envelope” l’innesto di osso autologo particolato è mantenuto all’interno del difetto dalla presenza delle pareti laterali dello stesso. In genere non occorre l’uso di membrane.
15. Nella deiscenza “outside the envelope” l’impianto protrude dal contorno osseo per cui la tecnica rigenerativa richiede l’uso di mantenitori di spazio, membrane e chiodini di fissaggio.
16. Esempio di fenestrazione ossea.
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tecniche. È stato eseguito uno
studio morfogenico sulla riparazione di
“critical size defects”, cioè difetti che non
guariscono spontaneamente, usando sia
osso bovino deproteinizzato (DBB), sia osso
autologo, nella calvaria di topo43.
Nello studio il DBB non era in grado di
ripristinare l’osso mancante e i difetti
risultarono occupati prevalentemente di
tessuto connettivo fibrotico, mentre solo il
16% era nuovo osso.
Nei difetti trattati con osso autologo si
poteva invece assistere a una completa
chiusura dei difetti con osso neoformato.
Gli innesti ossei devono spesso essere
coperti e protetti da una membrana;
esistono membrane non riassorbibili
(e-PTFE), che devono essere rimosse dopo
alcuni mesi, e membrane riassorbibili
(PLA o collagene) che non necessitano di
alcuna rimozione.
Nella Tabella 4 sono riportati i vantaggi
e gli svantaggi dei due tipi di membrana.
GBR preimplantare
Ricostruzioni di cresta (RR)
Spesso nei mascellari si riscontrano
estese perdite di tessuto osseo dovute a
infezioni, cisti, estrazioni dentali, fratture
radicolari, impianti falliti.
Queste aree possono essere localizzate in
zone strategiche per la masticazione
oppure in aree estetiche, situazioni che
richiedono in molti casi il posizionamento
di impianti per ripristinare la funzione
perduta.
Le ricostruzioni di cresta (RR) sono quindi
quelle procedure chirurgiche che mirano
a ripristinare l’integrità della cresta
alveolare mediante l’utilizzo di materiali di
riempimento e membrane, in vista di un
successivo trattamento implantare.
I grossi difetti crestali possono essere più
o meno contenitivi in base alla presenza o
meno di pareti ossee conservate.
Terapia. Data l’ampiezza dei difetti è
indispensabile un materiale di riempimento
che consenta la proliferazione delle
cellule osteogenetiche. La distanza fra
le pareti ossee non consente, infatti, un
naturale “jumping” cellulare e l’innesto
rappresenta un indespensabile “scaffold”
per la rigenerazione. È inoltre consigliabile
associare una membrana che potrà
essere non-spacemaking (membrana in
collagene) nei difetti con pareti conservate,
o spacemaking (membrana riassorbibile in
PLA o non riassorbibile in e-PTFE), fissate
con pernini in titanio.
Quasi sempre è richiesta una notevole
quantità di materiale come “scaffold”:
abbiamo diverse possibilità:
■ prelevare osso autologo dalla branca
montante della mandibola, riducendolo poi
a particolato;
■ prelevare osso autologo con uno scraper
con lembo o con tecnica “a tunnel”;
■ fare un innesto miscelato di osso
autologo particolato e osso bovino nella
proporzione di 60/40. Non è consigliabile
usare solo osso bovino per il rischio
di colonizzazione estesa di tessuto
connettivo e insufficiente formazione di
osso;
■ usare una tecnica a strati (Layer-
Technique, Vanden Bogaerde, 2011). La
procedura consiste nel riempire la metà
o i 2/3 apicali del difetto con osso bovino
e la restante parte coronale con osso
autologo particolato.
Il principio alla base di questa tecnica
è quello di circondare completamente
l’innesto di osso bovino con osso
autologo, impedendo così che, in fase
di guarigione, cellule connettivali
invadano le particelle di xenotrapianto.
Al di sopra dell’innesto viene, infine,
posizionata e fissata una membrana
riassorbibile in PLA. Il maggiore
vantaggio della riassorbibilità risiede
nel fatto che in caso di esposizione
non deve essere rimossa (Figure 17a-17g).
TABELLA 3
Osso autologo Sistemi di prelievo Caratteristiche
Osso particolato Scraper Riccioli di osso, discreto volume e consistenza, bassa morbidità
Frese degli impianti Piccole quantità, poco consistente, morbidità nulla
Scalpellini monouso Piccole quantità di osso corticale, bassa morbidità
Ossivore Quantità discrete di osso consistente, bassa morbidità
Trephine piccoliPiccole quantità di osso consistente, bassa morbidità se usatio in sede di impianto
Blocchetti di osso Frese o piezoPossibilità di grosse ricostruzioni, morbidità elevata, limitabile usando il piezo
Trephine grossi Possibilità di grosse ricostruzioni, morbidità elevata
TABELLA 4
Membrane Vantaggi Svantaggi
Riassorbibili Quando si espongononon vanno rimosseNon richiedono unintervento di rientro
In difetti non spacemaking necessitanodi un riempitivo di supporto
Non riassorbibili Maggiori capacità spacemaking Quando si espongono vanno rimosseRichiedono un intervento di rientro per la rimozione
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Aumento orizzontale
di cresta (HRA)
Le creste alveolari, in seguito
all’estrazione dei denti, sono soggette
a gravi fenomeni di riassorbimento in
senso verticale, ma ancora di più in senso
orizzontale.
Si formano delle creste a lama di coltello
di larghezza così ridotta da impedire il
posizionamento di impianti.
Per tale motivo è necessario applicare delle
tecniche preimplantari per incrementare
l’osso in senso orizzontale.
Le procedure sono molteplici e la scelta
della loro applicazione dipende spesso
dalla familiarità e dall’esperienza che
l’operatore possiede nei confronti di una
determinata metodica:
■ innesto di osso autologo + membrana
riassorbibile fissata con chiodini;
■ innesto di osso autologo + membrana
non riassorbibile fissata con chiodini;
■ innesto a blocco di osso autologo fissato
con viti da osteosintesi;
■ split-crest.
Aumento verticale di cresta
(VRA)
L’aumento verticale di cresta è una tecnica
che consente di incrementare la quantità
di osso crestale in altezza. È probabilmente
la tecnica più impegnativa nel settore
della GBR e riservata a operatori altamente
specializzati e competenti.
È anche una delle tecniche meno
prevedibili in quanto il difetto da trattare
è completamente senza pareti e la
sorgente di cellule osteopromotrici arriva
solo dalla base dello stesso. Inoltre, vi
possono essere serie difficoltà nell’ottenere
una copertura dell’innesto con i tessuti
molli.
Può essere eseguita in due modi:
■ procedura in due tempi. Innesto di osso
autologo o di miscela osso autologo/
osso bovino posizionato sopra la cresta
+ membrana non riassorbibile rinforzata
fissata con chiodini in titanio.
17a. RICOSTRUZIONE DI CRESTA. Ampio riassorbimento osseo esito di un processo infettivo.
17b. “LAYER-TECHNIQUE”. Il fondo del difetto viene riempito con osso bovino deproteinizzato.
17c. Lo strato più coronale dell’innesto è costituito da riccioli di osso autologo raccolto con uno “scraper”.
17d. Una membrana riassorbibile in PLA, fissata con due chiodini in titanio, protegge e contiene il materiale di innesto.
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Aumento del pavimento
del seno mascellare (SFA)
Molto spesso la presenza delle cavità
dei seni mascellari impedisce il corretto
posizionamento di impianti nei settori
posteriori dei mascellari superiori. La
metodica chirurgica definita come “rialzo
del seno mascellare” mira a creare una
base ossea sufficiente per gli impianti
e può oggi essere considerata una
procedura ben sperimentata e codificata.
Proposta per la prima volta da Boyne et al.
nel 1980, oggi viene eseguita di routine
e la letteratura ci conforta sulle sue
possibilità di successo a lungo termine44,45.
L’osso bovino deproteinizzato (DBB) ha
la caratteristica di mantenere il volume
inalterato nel tempo; è stata eseguita
un’analisi morfologica e morfometrica46
su biopsie eseguite a distanza di 11 anni
utilizzando osso bovino deproteinizzato
miscelato con osso autologo nella
percentuale 80/20%.
Gli Autori hanno evidenziato la presenza,
dopo 11 anni, di particelle di DBB ben
integrate in osso lamellare senza segni di
riassorbimento.
Generalmente si esegue la metodica in
due tempi, con un intervallo di almeno
6 mesi; talvolta, però, se l’osso residuo
crestale è superiore a 6 mm si possono
posizionare gli impianti contestualmente
al rialzo.
La tecnica chirurgica può così essere
riassunta:
■ sollevamento di un lembo a tutto
spessore, spesso con un’incisione di
rilasciamento mesiale o distale;
■ assottigliamento della parete ossea
esterna del seno utilizzando uno scraper
fi no a evidenziare il caratteristico colore
bluastro della membrana.
Gli impianti vengono installati non prima
di 9 mesi dalla chirurgia;
■ procedura in un tempo unico. Gli
impianti vengono posizionati alcuni
millimetri al di sopra della cresta e
contestualmente viene eseguita la
tecnica rigenerativa come descritta
sopra. È una procedura più rischiosa di
quella precedente in quanto, in caso di
esposizione della membrana, si vanifica
la rigenerazione e una parte delle spire
implantari rimangono esposte.
17e. Radiografi a postoperatoria. 17g. Radiografi a a 6 mesi.
17f. A 6 mesi l’osso è rigenerato con una consistente corticale e l’impianto può essere inserito.
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L’uso dello scraper consente anche di
raccogliere dei frammenti ossei che
alla fine dell’intervento possono essere
utilizzati a chiusura della finestra ossea.
Per assottigliare l’osso si può anche
utilizzare il piezoelettrico;
■ utilizzo del piezoelettrico o di una fresa
a pallina per disegnare il contorno della
finestra e arrivare alla membrana;
■ scostamento della membrana, prima
con il piezo e poi con scollatori dedicati;
■ riempimento del seno con osso bovino
oppure con una miscela di osso bovino
e autologo.
La presenza di coagulo sanguigno è
favorevole.
Possiamo naturalmente utilizzare
osso autologo per l’innesto, tuttavia
la necessità di una quantità notevole
di materiale comporta anche una
maggiore morbidità per il paziente;
■ chiusura della finestra con uno strato di
osso autologo raccolto con lo scraper
e copertura con una membrana in
collagene;
■ sutura a punti staccati.
Eventuali piccole lacerazioni della
membrana possono essere trattate con
una membrana in collagene, sostituendo
l’osso bovino particolato con osso bovino/
collagene che presenta minori rischi di
dispersione di materiale all’interno del
seno mascellare.
Grandi lacerazioni invece rappresentano
una reale controindicazione a questa
metodica.
È sempre consigliabile eseguire un
monitoraggio nel tempo degli impianti
inseriti in un seno mascellare
aumentato utilizzando la Frequenza di
Risonanza.
Le misurazioni ci consentono di stabilire
quando gli impianti hanno raggiunto la
sufficiente stabilità per sopportare il carico
occlusale.
Il trattamento dei siti post-estrattivi Nella pratica clinica quotidiana, con
sempre maggiore frequenza ci troviamo
nelle condizioni di dovere scegliere fra il
mantenimento di un elemento dentario e la
sua estrazione con immediato o successivo
posizionamento di un impianto.
Escludendo naturalmente i casi di frattura
radicolare o di carie estesa alla radice in cui
è imperativo eseguire l’avulsione, vi sono
situazioni più sfumate in cui la scelta può
dipendere da numerosi fattori:
■ l’integrità e la lunghezza della radice del
dente naturale;
■ la presenza di lesioni periapicali;
■ la necessità di eseguire un allungamento
della corona clinica dei denti adiacenti,
con conseguente perdita di osso anche a
carico di questi ultimi;
■ la presenza di una parodontite diffusa
che comporta una prognosi incerta per il
mantenimento dell’elemento dentario a
medio termine;
■ il rapporto costo-benefici di una terapia
complessa per la conservazione del dente
naturale.
Se si decide per l’estrazione del dente
è necessario conoscere le dinamiche di
rimaneggiamento osseo che avvengono
nelle settimane e nei mesi successivi
all’intervento.
Schropp e coll.47 in uno studio clinico
hanno analizzato le modificazioni
dell’alveolo post-estrattivo usando
radiografie standardizzate. I risultati hanno
dimostrato che i maggiori cambiamenti
dell’alveolo avvengono durante i primi
12 mesi successivi all’estrazione con una
riduzione di spessore della cresta alveolare
del 50%, quantificabile in 5-7 mm.
Inoltre, i due terzi di questa riduzione
avviene nei primi 3 mesi dopo l’avulsione.
Araùjo e Lindhe48 hanno studiato i
cambiamenti dell’alveolo post-estrattivo
utilizzando una tecnica convenzionale a
lembo e una tecnica “flapless”.
L’esperimento dimostra che la rimozione
di un dente comporta, durante la
guarigione, una marcata riduzione della
cresta alveolare, soprattutto nella parte
più coronale e più dal lato buccale che da
quello linguale.
Dopo 6 mesi di guarigione si è verificata
una riduzione del 35% di quantità di tessuto
osseo. L’osservazione più importante è stata
però che la quantità di tessuto duro perso
nel periodo di guarigione è stata simile
sia con la tecnica a lembo che con quella
flapless.
Il riassorbimento osseo principalmente
localizzato sul lato buccale dell’alveolo
sembra essere correlato alle caratteristiche
anatomiche della zona. Infatti, la teca ossea
buccale è spesso costituita esclusivamente
da “bundle bone” cioè quel tipo di lamina
ossea in cui si inseriscono le fibre di
Sharpey (fibre del legamento parodontale)
provenienti dal cemento radicolare.
Sembra che dopo l’avulsione dentaria il
“bundle bone” perda la sua funzione e
quindi si riassorba. Il piatto osseo linguale
subisce meno riassorbimento perché
costituito sia da “bundle bone” che da osso
lamellare49.
Allorché la teca ossea buccale si riassorbe,
si assiste all’ingresso di tessuto molle
nello spazio prima occupato dal “bundle
bone”, con conseguente mancanza di
spazio per la rigenerazione ossea e quindi
al collasso della cresta in senso orizzontale
e verticale.
Covani e coll.50 hanno dimostrato che la
rimozione di un singolo dente intercalato
causa un marcato cambiamento della
parete ossea buccale e, come conseguenza,
la cresta alveolare si riduce scivolando
lingualmente.
Il riassorbimento osseo verticale risulta più
marcato (10.6 mm) nel centro della cresta
rispetto alle estremità mesiale (5.4 mm) e
distale (6.6 mm).
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Riassumendo, quando decidiamo di estrarre
un dente, abbiamo in genere 3 opzioni:
■ attendere la guarigione dell’alveolo;
■ ricostruire l’alveolo;
■ inserire un impianto contestualmente
all’avulsione.
Abbiamo già visto come l’estrazione
del dente comporti spesso un collasso
dell’alveolo.
Esistono oggi delle possibilità di
impedire questo fenomeno utilizzando
delle tecniche che promuovano una
ricostruzione ossea dell’alveolo?
La ricostruzione dell’alveolo
Fickl e coll.49 hanno studiato la
possibilità di mantenere
dimensionalmente gli alveoli post-estrattivi
utilizzando il seguente protocollo di
ricerca:
■ inserimento nell’alveolo di osso bovino
collagene;
■ osso bovino collagene e innesto
gengivale libero;
■ solo coagulo come controllo.
L’innesto xenogenico sembra essere
in grado di sostituire il “bundle bone”
prevenendo in parte il collasso
dell’alveolo.
Esso agirebbe anche come “scaffold”
per la rigenerazione ossea sebbene,
nella parte più coronale, le particelle
innestate siano circondate da tessuto
connettivo.
Sembra inoltre che l’uso di un innesto
gengivale libero per sigillare l’ingresso
dell’alveolo comporti dei benefici rispetto
al gruppo di controllo senza innesto.
Tuttavia non vi è un accordo definitivo
sulla possibilità di prevenire il collasso
dell’alveolo mediante biomateriali.
Araujo e coll.51 hanno eseguito uno studio
sul cane trattando siti post-estrattivi con
osso bovino collagene e usando il lato
controlaterale non trattato come
controllo.
I risultati istologici mostrano come la
presenza di cellule multinucleate nel
tessuto circostante l’innesto xenografico
ritardi la guarigione dell’alveolo.
Una presenza significativa di nuovo osso è
stata osservata solo nella parte più apicale
dell’alveolo dove il materiale di innesto era
assente.
Nella restante parte dell’alveolo innestato,
i granuli di biomateriale risultavano
circondati da una matrice provvisoria
infiammata ed erano frequentemente
ricoperti da cellule multinucleate che
potevano essere identificate come
osteoclasti derivanti dalla linea dei
macrofagi.
La presenza di cellule multinucleate
nella matrice provvisoria indicava che le
particelle di xenoinnesto erano
riconosciute come estranee all’organismo.
Nei siti non innestati di controllo si
potevano osservare grandi quantità di
“woven bone” distribuite nella maggior
parte dei compartimenti dell’alveolo.
Santos e coll.52 hanno condotto una
ricerca sul cane per valutare la reazione
dei tessuti duri e molli dopo l’inserimento
in alveoli post-estrattivi immediati di due
differenti tipi di idrossiapatite (sintetica e
naturale) e di vetro bioattivo.
I risultati del gruppo di controllo
mostravano la formazione di osso lamellare
dopo 4 settimane e di osso compatto
dopo 28 settimane.
Le idrossiapatiti e il biovetro mostravano
a 28 settimane risultati simili, con la
formazione intorno alle particelle sia di
tessuto connettivo che di osso neoformato.
Nessuno dei materiali risultava
completamente riassorbito. In ultima
analisi, si può dire che tutti i materiali
innestati hanno ritardato la guarigione
dell’alveolo.
La tecnica da noi preferita per la
ricostruzione dell’alveolo è quella che
viene definita “Layer- Technique” (Vanden
Bogaerde, 2011).
Questa procedura consiste nel
riempimento dell’alveolo in modo
stratificato: sul fondo, a livello di circa i
due terzi dell’alveolo, viene posizionato
dell’osso bovino.
Il terzo coronale viene riempito con osso
autologo prelevato con scraper. Infine, un
innesto gengivale libero sigilla l’imbocco
dell’alveolo.
A nostro parere il vantaggio di questa
tecnica consiste nell’isolamento completo
dell’innesto di biomateriale, che risulta
interamente circondato da osso nativo e
innestato.
Il biomateriale non entra direttamente
in contatto con il connettivo o l’epitelio
ed è quindi colonizzato solo da cellule
osteopromotrici (Figure 18a-18d).
TABELLA 5
Opzioni Vantaggi Svantaggi
Attendere la guarigione Terapia semplice e poco costosa Grave riassorbimento osseo, corona clinica molto lunga
Ricostruire l’alveolo Possibilità di mantenere parzialmente il livello osseoPosizionamento dell’impianto in osso stabilizzato
Terapia impegnativa, tempi lunghi, costi importanti
Inserire un impianto Possibilità di mantenere parzialmente il livello osseoTempi di trattamento molto brevi
Imprevedibilità della recessione dei tessuti molliResidui di tessuto infiammatorio nell’alveolo
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Inserimento contestuale
dell’impianto
Dall’analisi degli studi sopra riportati
si evince che il tentativo di preservare
l’alveolo per mezzo di biomateriali spesso
non è all’altezza delle aspettative.
Possiamo, a questo punto, domandarci se
possa essere utile, per il mantenimento del
livello osseo, posizionare immediatamente
un impianto in un sito post-estrattivo fresco.
Ma, secondo la letteratura, quale prevedibilità
e possibilità di successo hanno gli impianti
posizionati in siti post-estrattivi? Botticelli e
coll.53 hanno eseguito uno studio prospettico
a 5 anni ottenendo una percentuale di
sopravvivenza implantare del 100%.
Quindi gli impianti posizionati in siti post-
estrattivi, a condizione di rispettare un
adeguato protocollo chirurgico, avrebbero,
in termini di percentuale di successo, una
prognosi paragonabile a quelli posizionati in
osso nativo.
Ma l’impianto può prevenire il riassorbimento
dell’osso marginale?
Paolantonio e coll.54 in uno studio clinico e
istologico nell’uomo hanno asserito che il
posizionamento immediato di un impianto in
un sito post-estrattivo può evitare il processo
di riassorbimento del piatto osseo buccale.
Questo risultato è stato successivamente
smentito da altri ricercatori55,56. Recentemente,
Sanz e coll.57 hanno confermato che impianti
posizionati in siti post-estrattivi immediati
comportano una marcata riduzione del livello
osseo sia in senso orizzonatale che verticale,
più marcato sul lato buccale che su quello
palatino.
Il riassorbimento osseo verticale sul lato
buccale può essere quantificato in 2.6 mm
secondo Araujo e coll.56 in uno studio a 3 mesi
nel cane, o di 2.8 mm secondo Botticelli e
coll.58 sempre in uno studio sul cane a 4 mesi.
18d. A chiusura dell’alveolo è consigliabile inserire un innesto gengivale libero.
18a. RICOSTRUZIONE DI ALVEOLO. Alveolo post estrattivo fresco. 18b. “LAYER-TECHNIQUE”. Il fondo dell’alveolo viene riempito con osso bovino deproteinizzato
18c. Lo strato più coronale è costituito da osso autologo particolato.
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Guarigione spontanea
del “gap” perimplantare
È necessario chiarire ciò che avviene nel “gap”
perimplantare durante la fase di guarigione.
Uno studio istologico di più di dieci
anni fa41 esaminava la guarigione ossea
del gap perimplantare lasciato guarire
spontaneamente.
Gli Autori valutarono, in siti post-estrattivi
simulati, gli effetti di “gap” perimplantari
di varia ampiezza, lasciati guarire
spontaneamente.
Furono preparati difetti sperimentali di
ampiezza crescente di 0.5, 1.0, 1.4 mm, con un
lato controllo senza gap. I difetti furono lasciati
guarire senza alcuna terapia rigenerativa.
Benché clinicamente tutti i difetti erano
guariti, l’esame istologico, eseguito dopo
12 settimane, mostrava che la percentuale
di contatto osso impianto (BIC) diminuiva
quanto maggiore era l’ampiezza del difetto
iniziale.
Questo articolo ci indica che un difetto può
essere lasciato guarire spontaneamente
purché la sua ampiezza sia ridotta;
diversamente, la connessione osso impianto
ne può risultare indebolita.
Morfologia del difetto
perimplantare
Il processo di guarigione del difetto dipende
anche dalla morfologia dello stesso; vi sono
difetti più o meno spacemaking, cioè in grado
di mantenere sufficiente spazio durante il
periodo di guarigione.
È stata proposta una classificazione dei difetti
ossei in base alla morfologia e al numero di
pareti ossee presenti40.
I difetti ossei contigui agli impianti sono
stati distinti in due gruppi principali: closed,
cioè difetti con presenza di pareti ossee
completamente conservate, simili ai difetti
parodontali a tre pareti; open, cioè difetti
con mancanza di una o più pareti ossee.
È evidente che il primo tipo di difetto, per
la sua conformazione anatomica, mostra
caratteristiche di mantenimento di spazio,
con ottima stabilità del coagulo durante le
prime fasi di guarigione e quindi migliore
prevedibilità del processo rigenerativo.
I difetti open, invece, in considerazione della
mancanza di una o più pareti ossee hanno
minori possibilità di mantenere la stabilità
del coagulo o di un eventuale materiale di
innesto.
Quindi questi difetti hanno una prognosi
meno prevedibile dei precedenti e richiedono
una terapia rigenerativa più complessa e
costosa, consistente in innesti ossei e utilizzo
di membrane.
Trattamento del “gap”
perimplantare
Un aspetto importante è rappresentato dal
materiale di innesto che possiamo utilizzare
per il riempimento dei difetti.
Vi è un comune consenso sul fatto che
l’osso autologo sia il “gold standard” fra
gli innesti ossei in considerazione delle
sue capacità sia osteoconduttive che
osteoinduttive.
A dispetto della crescente diffusione di
sostituti ossei, ancora oggi l’osso autologo
può essere considerato il materiale di prima
scelta per questo genere di lesioni.
Per i difetti perimplantari in genere non
necessitano ingenti quantità di osso, per
cui si possono eseguire dei micro prelievi
nell’ambito del cavo orale.
A tale scopo è possibile utilizzare degli
scraper, strumenti in grado di asportare
dalla superficie dell’osso piccole quantità di
materiale da innesto.
È interessante osservare come spesso
all’interno di questi prelievi sia possibile
rinvenire cellule ossee vitali, a testimonianza
dalla bassa traumaticità di tale metodica.
Esistono attualmente anche dei mini-scraper
con i quali possiamo eseguire prelievi con
tecniche mini invasive.
Una di queste è la “tecnica a tunnel”: si
esegue un’incisione verticale sul lato esterno
della mandibola a livello del primo molare, si
scolla il periostio, si inserisce il mini-scraper
di forma tubulare e, muovendolo avanti
e indietro, si gratta la superficie dell’osso
corticale raccogliendo nell’apposito deposito
piccoli “riccioli” di osso.
Pochissimi punti di sutura sono necessari per
chiudere la ferita di accesso.
L’utilizzo di sostituti dell’osso per il
trattamento del gap perimplantare espone,
a nostro parere, il difetto a una indesiderata
invasione di tessuto connettivo, con
conseguente incapsulamento delle particelle
di biomateriale e assenza di neoformazione
ossea.
La guarigione del difetto ne risulterebbe
impedita con il rischio, inoltre, che la
proliferazione connettivale funga da
tramite per possibili fenomeni infettivi e
infiammatori.
Uso di impianti conici
Dobbiamo anche analizzare la possibilità di
riempire il gap perimplantare con
titanio invece che con innesto particolato:
usando impianti conici, che mimano
la morfologia dell’alveolo, possiamo
ridurre al minimo la presenza del difetto
perimplantare.
Un recente studio sperimentale nel cane59
ha analizzato questa problematica.
Sono stati posizionati impianti in siti post-
estrattivi immediati, nel lato controllo sono
stati inseriti impianti cilindrici di piccolo
diametro, mentre nel lato test impianti conici
più larghi con forma a radice.
Dopo 4 mesi sono state eseguite delle analisi
istomorfometriche.
I risultati evidenziano un riassorbimento osseo
sia nel lato test che in quello controllo, con
una maggiore perdita buccale nel gruppo test
rispetto a quello di controllo.
Quindi, l’utilizzo di impianti conici non solo
non preverrebbe il riassorbimento della cresta,
ma indurrebbe un maggiore riassorbimento
buccale rispetto agli impianti cilindrici.
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Posizione dell’impianto
nell’alveolo
La localizzazione dell’impianto nell’alveolo
post-estrattivo è stato oggetto di uno
studio specifico condotto da Caneva e coll.60
nell’animale da esperimento (cane).
Sono stati posizionati impianti in siti post-
estrattivi immediati: nel lato controllo al centro
dell’alveolo, mentre nel lato test sono stati
inseriti 0.8 mm in profondità e verso il lato
linguale.
Dopo 4 mesi sono stati analizzati da un punto
di vista istomorfometrico. Tutti gli impianti
risultarono integrati con presenza di osso
lamellare; vi era in entrambi i gruppi un
riassorbimento marginale, tuttavia questo
risultava meno pronunciato nel gruppo test
(impianti più profondi e linguali) che in quello
di controllo.
In conclusione, è consigliabile posizionare
l’impianto sempre verso il lato linguale per
diversi motivi:
■ la teca ossea linguale è più spessa e si
riassorbe meno facilmente;
■ la parete ossea linguale è in genere
costituita da osso corticale e quindi
garantisce maggiore stabilità primaria
all’impianto;
■ posizionando l’impianto verso il lato
linguale liberiamo più spazio sul lato
buccale per un eventuale innesto osseo.
Per quando riguarda la profondità di
inserzione dell’impianto, dobbiamo valutare
le differenti localizzazioni nelle arcate
mascellari:
■ nelle zone estetiche è consigliabile
posizionare l’impianto a livello della cresta
o più profondamente; la scelta dipende
sia dallo spessore dell’osso alveolare sia
dallo spessore e dalla consistenza dei
tessuti molli. Dobbiamo considerare che
un impianto collocato a livello o sotto la
cresta è spesso accompagnato, nella fase
di guarigione, da un riassorbimento della
cresta legata alla necessità di stabilirsi
dell’“ampiezza biologica”;
■ nelle zone posteriori può essere invece
utile posizionare l’impianto 1-2 mm sopra
la cresta sia per minimizzare la perdita
ossea verticale legata all’“ampiezza
biologica”, sia per diminuire la distanza
interocclusale e quindi il braccio di leva.
Tecnica flapless
Araujo e Lindhe48 hanno eseguito uno
studio nel cane per valutare la guarigione
del tessuto osseo dopo estrazione dentale
eseguita con o senza lembo. La procedura
di estrazione dentale eseguita con o
senza lembo non comporta differenze
statisticamente significative in termini di
riassorbimento osseo marginale. Blanco
e coll.61 hanno condotto uno studio nel
cane per valutare le alterazioni della cresta
alveolare dopo avulsione dentaria, sia in
senso orizzontale che verticale. Dopo 3
mesi le misurazioni hanno evidenziato
un riassorbimento verticale di 1.48 mm
e 1.22 mm per i gruppi flap e flapless
rispettivamente, e una perdita orizzontale
di 4.41 mm e di 4.5 per i gruppi flap e
flapless rispettivamente. I risultati non erano
però statisticamente significativi. Quindi il
riassorbimento osseo non era influenzato
dal tipo di tecnica utilizzata, se flap o
flapless.
I pareri non sono però concordi; infatti
Fickl e coll.62 hanno concluso uno studio
nell’animale teso a definire le conseguenze
sull’osso di tecniche di estrazione con o
senza lembo. Gli Autori hanno riscontrato
una perdita ossea di 2.1 mm nel gruppo
flapless e di 2.5 mm nel gruppo flap,
considerando la differenza significativa.
Hanno quindi concluso che lasciando in
sede il periostio diminuisce la velocità di
riassorbimento dell’alveolo estrattivo. È
necessario sottolineare che le differenze di
risultati degli studi citati potrebbero essere
attribuibili alla diversa localizzazione degli
elementi dentari interessati, con differenti
anatomie e spessori ossei.
Precauzioni nell’inserimento
di impianti in siti post-estrattivi
immediati
Prima di procedere con l’inserimento degli
impianti in siti post-estrattivi immediati è
indispensabile assumere alcune precauzioni
tese a valutare alcuni fattori:
■ la presenza di parodontite. La presenza
di malattia parodontale attiva è una
controindicazione all’implantologia in
siti post-estrattivi immediati. È necessario
preventivamente: eseguire una terapia
adeguata della parodontite, tenere
sotto controllo la placca batterica con
un programma di igiene orale rigoroso,
monitorare nel tempo le condizioni
implantari mediante radiografie e
frequenza di risonanza. È stato dimostrato
che in caso di parodontite aggressiva
generalizzata (GAP), i pazienti hanno
una maggiore incidenza di patologie
parimplantari, un più accentuato
riassorbimento osseo marginale e
un minore tasso di sopravvivenza
implantare63,64;
■ impianti in siti infetti. Sembra possibile
inserire impianti anche in siti infetti,
eseguendo un accurato curettage
dell’alveolo; tuttavia, dobbiamo sempre
tenere presente che, in tali siti, possono
residuare dei frammenti di tessuto
infiammatorio che possono rimanere
intrappolati dopo l’installazione
implantare dando origine a fenomeni
infettivi anche gravi con perdita
dell’impianto o con formazioni di
perimplantiti apicali (granulomi);
■ la concomitanza di parodontite e
fumo può rappresentare una seria e
reale controindicazione alla procedura
implantare63.
CorrispondenzaLeonardo Vanden Bogaerde
Via Dante 32 - 20863 Concorezzo (MB)
Telefax 039.6049005
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