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Le proposte di pubblicazione saranno accettate a giudizio del comitato di redazione.Ogni articolo esprime il lavoro e/o le convinzioni degli autori i quali assumonola responsabilità di quanto dichiarato. Quando l’articolo esprime o può coinvolgere la responsabilitào l’immagine dell’istituzione di appartenenza o quando gli autori parlano a nome della medesima,occorrerà una liberatoria scritta dei relativi responsabili.La pubblicazione dei lavori è gratuita; il materiale anche originale pervenuto,anche se non pubblicato, non sarà restituito.Gli autori sono tenuti a specificare se la proposta di pubblicazione è stata inoltrata presso altreriviste.Il comitato editoriale si riserva di eseguire, nell’eventualità che appaia opportuno, un lavoro direvisione formale del testo, ferma restando la conservazione dei contenuti espressi dall’Autore, perrenderli conformi allo stile della Rivista
La rivista In...formazione OSDI pubblica lavori di interesse didattico, scientifico e assistenzialiriguardanti il diabete e gli argomenti correlati.Indicare, oltre al proprio indirizzo, il numero di fax e l’indirizzo e-mail per l’eventuale corrispondenza.La struttura del lavoro dovrà conformarsi alle seguenti indicazioni:- Titolo: il titolo deve essere il più possibile conciso, ma chiaramente esplicativo della natura dellavoro.- Nome dell’Autore (o degli Autori): nomi e cognomi per esteso in lettere maiuscole; accanto aciascun nome uno o più asterischi con riferimento alla successiva indicazione.- Indicazione, preceduta dal relativo numero di asterischi, per ciascun autore della qualifica o strutturadi appartenenza; va indicato l’indirizzo e-mail dell’Autore cui fare riferimento.- Riassunto: il riassunto dovrà essere non superiore alle 300 parole e illustrare succintamente scopodel lavoro e risultati.- I riferimenti bibliografici dovranno essere riportati in calce al lavoro numerati progressivamentein cifre arabe poste tra parentesi quadre:indicando il cognome e le iniziali del nome dell’Autore, il titolo dell’articolo per esteso, il titolo dellarivista, il volume (in corsivo), i numeri della prima e dell’ultima pagina e l’anno.
Le bozze di stampa inviate agli autori devono essere corrette e restituite entro 4 giorni.
Il materiale dovrà essere inviato all’indirizzo e-mail: [email protected] o su supporto digitale a: ChiandettiRoberta SOC 1 Medicina Generale Azienda Ospedaliero-Universitaria 33100 Udine
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IN...FORMAZIONEPeriodico trimestraledell’Associazione OSDIOperatori Sanitaridi Diabetologia ItalianiVia Guelfa, 9 - 40138 Bolognawww.osdi.itAutorizzazione del tribunaledi Lecce n. 1014 - marzo 2009
DIRETTORE RESPONSABILERoberta Chiandetti
VICE-DIRETTOREMaria Teresa Branca
COMITATO SCIENTIFICORoberta ChiandettiMaria Teresa BrancaRosanna ToniatoLia Cucco
COMITATO DI REDAZIONECarla AlibertiAnnunziata BondioliDaniela CristofanelliLia CuccoAdia FabbriziLaurenzia FerrianiLuigia MilanoRosetta NoccioliniAnnamaria TeseiRosanna ToniatoLorena Urbani
PROGETTAZIONE GRAFICA,IMPAGINAZIONE E STAMPACarra Editrice73042 Casarano (Le)Tel. 0833.502319
som mario
editorialeFirenze...ospiteràil IX Congresso Nazionale OSDIdi Rosetta Nocciolini
vita associativaa cura di Roberta Chiandetti
la parola all’espertodi Marina Cassoni
lo sapevate chea cura del Comitato Scientifico 33
45scuola di formazionepermanente OSDIa cura del Direttore della Scuoladi Formazione OSDI
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La parola all’esperto
Scuola di formazionepermanente OSDI
Vita associativa
Letteradal direttore
6lettera dal direttoreDiario di un infermiere
di Roberta Chiandetti
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Caro Andrea,ci hai lasciato in un giorno che doveva essere di festa, il 12 aprile del 2009.
Te ne sei andato in silenzio così come sei sempre vissuto, senza che avessimoneppure l’amaro momento di un addio.
Incredulità e tanta amarezza nel cuore, con le lacrime che a tanti di noi hannosolcato il viso.
Eppure è vero, non vedremo più il tuo eterno, luminoso e sereno sorriso.Adesso non ci sono più le tue parole di conforto dei momenti tristi, le tue riflessioni
filosofiche di tante notti trascorse a scrivere, le tue poesie, i tuoi fiori che sapevisapientemente allegare ai tuoi scritti per rinforzare un concetto, per inviare auguri,e sempre, coglievi nel segno, possedevi il magico dono di comprendere i desideri, ibisogni dell’altro.
Non mancavi mai agli appuntamenti importanti, ma sapevi farlo in modo discreto,spesso scusandoti per aver osato “rubare del tempo”.
Ricordo ancora quel tuo ultimo messaggio: “ti chiamerò solo per farti gli auguri”,ma non ne hai avuto il tempo, ed io sento il profondo rimorso di non essere riuscitaa precederti.
Troppo presto ci hai lasciati, avevi ancora tanto da insegnarci, o forse, ci staiinsegnando ancora tanto così, con il tuo “eterno silenzio”.
Sei riuscito a farci guardare dentro molto più di quando ti avevamo vicino, nonsarà facile adesso far finta di niente perché il tuo ricordo sarà più forte della tuapresenza fisica.
Quante volte ti abbiamo deluso, quante volte ti abbiamo ferito, magari senzacattiveria, ma tu avevi un animo grande, tu sapevi perdonare le nostre “debolezzedi uomini”, tu sapevi volare più alto di noi.
Sapevi ascoltare ed aspettare, stimolare e consolare, tu sapevi donarti senzachiedere, tu sapevi raggiungere l’anima “in punta di piedi”.
La tua forza era l’amore, ed amore hai sempre donato, con generosità, conentusiasmo, con gioia, senza clamore, sommessamente, accompagnando ogni tuogesto, ogni tua parola con un lucente sorriso.
Ci mancherai Andrea, molto più di quanto tu abbia potuto percepire, ci mancheràla tua saggezza, la tua semplicità, il tuo saper dare valore al tempo, il tuo saper darefiducia al prossimo anche quando forse non lo meritavamo, perdonaci se non siamostati sempre capaci di renderti i tuoi stessi sentimenti.
Vivrai con noi Andrea, nei momenti belli e nei momenti tristi, nel cuore di chi tiha conosciuto ed amato e porteremo il tuo ricordo a chi vorrà sapere “la PersonaSpeciale che eri”.
A Francesca tua moglie e a Jonathan tuo figlio, va tutto il nostro sostegno ed ilnostro affetto, nel tuo ricordo, certi che se tu li hai amati saranno senz’altro personespeciali come te.
Un grosso abbraccio da tutti noi, da coloro che ti hanno voluto bene.Ciao
Rosetta Nocciolini
RICORDANDOANDREA CAVALLARO
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Maggio è il mese ed esattamente neigiorni 20 – 22 dell’anno 2010 si terrà ilnostro prossimo congresso.
Il tema trattato sarà: “Il Diabete Mellitotipo 2 e le complicanze croniche”.
Come sempre ci saranno momenti dicondivisione in plenaria con gli ultimi ag-giornamenti sul tema ma anche confrontinelle tavole rotonde e numerosi saranno
i simposi ove sviscerare gli argomenti.Altro non voglio ancora svelare per
lasciare spazio alla vostra immaginazione,ma il Comitato Scientifico sta già lavorandocon cura al programma.
… Ma un Congresso non è soltantoaggiornamento, non è solo condivisionedi saperi, è anche un momento di grande
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Firenze…la città e la sua storia, l’arte e le sue opere, stupende testimonianze di un tempoche fu.
“Palazzo Vecchio”, progettato da Arnolfo di Cambio, decorato sontuosamente dal Vasari,con la Loggia Dei Lanzi che domina Piazza Della Signoria ove è possibile ammirare le sueimportanti statue tra cui “Il Perseo” del Cellini e “Il ratto delle Sabine” del Giambologna.
“Palazzo Pitti”, residenza di famiglia di Cosimo I De’ Medici dal 1549, famoso anche per igiardini che lo circondano: “I giardini di Boboli”.
Il “Duomo” in stile gotico, completamente coperto da marmo colorato, al cui interno èpossibile ammirare “La Pietà di Michelangelo” o le porte di bronzo dell’altare, o gli intarsi delBrunelleschi e di Antonio Del Pollaiolo, ed ancora le splendide vetrate di artisti quali: Donatello,Andrea del Castagno, Paolo Uccello.
“La Cupola” che Filippo Brunelleschi iniziò a costruire nel 1420, il “Campanile di Giotto”,la “Basilica di San Lorenzo”, le “Cappelle Medicee”, Il “Ponte Vecchio e il Corridoio Vasariano”,questo e molto altro ancora, sono Firenze.
Firenze ed i suoi Artisti: Dante Alighieri, Giovanni Boccaccio, Filippo Brunelleschi, PietroCimabue, Leonardo Da Vinci, Michelangelo Buonarroti, Macchiavelli….
Firenze... ospiterà ilIX Congresso Nazionale OSDI
aggregazione, è un riconoscersi, è unfocalizzare le nostre menti sui conte-nuti del nostro “Codice Deonto-logico”. Il Codice è un insieme conve-nuto di regole e aspettative per orien-tare la pratica della professione, conla funzione di promuovere e mante-nere gli standard etici di condottaprofessionale e da sempre rappresentaun modello nel campo dei doveri pro-fessionali ma oggi evidenzia anche leresponsabilità.
I suoi Articoli ci riportano ripetu-tamente alla centralità dell’assistito,a i rapport i con la persona,all’informazione, al pluralismo etico,al consenso agli atti sanitari,all’autonomia ed all’autodeter-minazione dei cittadini, ai dolori edai sintomi, ai limiti delle cure, al ruolodei familiari, al lavoro di equipe.
Un Codice Deontologico è un cor-po di regole che i professionisti si autoimpongono rispetto ai doveri profes-sionali, ma un Codice non sostituiscela legge (che regola i comportamentidel cittadino), o l’etica (che regola icomportamenti dell’uomo), rappre-senta una guida ma non è un man-sionario né un ricettario.
Sono principi guida sottesi al Co-dice Deontologico: “L’autonomia”(rispetto per l’autodeterminazionedell’assistito e il coinvolgimento nelledecisioni che lo riguardano); “Labeneficialità” (orientamento al benedell’assistito secondo i suoi valori e ilsuo interesse); “La non maleficialità”
(evitare ciò che nuoce o danneggial’assistito ); “La giustizia/equità” (op-porsi a discriminazioni e ingiustizie epromuovere un’equa distribuzionedelle risorse).
E’ altresì ribadito l’impegnodell’infermiere ad essere preparato.L’agire “se” e “quando” è preparato;il diritto/dovere ad essere formato eal richiedere l’intervento di colleghiesperti o altri professionisti come con-sulenti o erogatori di prestazioni qua-lora non sia pronto ad eseguirle.
Morale, etica, deontologia, stile,norma, assumono quindi perl’infermiere un significato pregnanteed ogni morale detta norme etichealla ricerca del bene comune e dellaconvivenza.
L’infermiere è un agente morale,cioè una persona che compie sceltedi natura etica poiché il suo agire ècondizionato, ma non interamentedeterminato, dal contesto, dal cliente,dalle prescrizioni, dall’organizzazionedel lavoro.
Egli agisce continuamente unasintesi tra valore, norme morali e giu-ridiche, deontologia professionale,cultura e situazioni contingenti.
L’infermiere tutela il decoro proprioe della professione ed esercita l’attivitàcon lealtà nei confronti dei colleghi edegli altri operatori.
Buone vacanze a tutti.
Rosetta Nocciolini
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Ti abbiamo conosciutodiversi anni fa ed ognu-no di noi ti ha apprezza-to per la tua bontà, latua genuinità e la tuasemplicità, per la tuagrande voglia di fare edi crescere.Il vuoto che hai lasciatoè immenso, non basteràun oceano per riempirlo.Ti siamo grate per ciòche ci hai lasciato, i tuoiarticoli, le tue stupendepoesie, ma soprattuttoil tuo sorriso, il tuo otti-mismo e la tua gioia divivere.Non rivedremo più il tuovolto, ma sarai sempretra di noi e con te conti-nuerà il cammino diquell’OSDI in cui tantocredevi.
Consiglio DirettivoNazionale
ANDREA
di Roberta Chiadetti
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Ben trovati a tutti,
magari un po’ stanchi e aspettando con ansia le sospirate ferie…Sono stati tre
mesi intensi; sono state molte le occasioni che nelle diverse Regioni hanno portato
a ritrovarsi. Ci siamo visti, abbiamo parlato, ci siamo confrontati …non sempre su
cose piacevoli, purtroppo.
Il giornale si apre con i saluti ad un Amico, un Collega gentile e generoso che, come
si capisce dalle testimonianze, lascerà un vuoto profondo.
Ma anche le consuete poche parole di presentazione del numero di giugno, abbiamo
voluto sostituirle da una testimonianza, tanto anonima quanto coraggiosa nel fare,
nel pensare, nello scegliere…è il “Diario di un Infermiere” nei giorni del Terremoto in
Abruzzo. Molto poco di questa testimonianza è stato omesso, esclusivamente per
scelta di imparzialità politica del giornale, ma quel che resta è più che sufficiente
per farci pensare…Il documento che leggerete è ricavato da una serie di testimo-
nianze raccolte da Maria Antonietta Melchiorre, che ringraziamo e alla quale siamo
tutti vicini con un ideale abbraccio che racchiude tutti gli altri colleghi abruzzesi .
Buona estate
Roberta Chiandetti
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Iqui è il caos. il terremoto è arrivato dinotte distruggendo.morti. feriti. senza casa.brutte storie. anche belle storie.l’umanità è il tratto che più mi emoziona.sono al lavoro da diverse ore. lavoreròancora.ora. la mia rivoluzione è contribuire adarginare il dolore degli altri.fate il possibile per darci una mano.
IIè stato il caos.a partire dalla notte della scossa. hocreduto che la casa mi venisse addosso.ma non ho avuto paura. il sonno cosìimprovvisamente interrotto non garan-tiva lucidità.venti secondi. forse trenta. sembravanon finire.poi ho chiamato Fabio immediatamente.mi ha risposto Francesca piangendo edurlando: “aiuto, aiuto... siamo salvi maè crollato tutto!” ed è caduta la linea.sono andato al 118. alcuni di noi sonopartiti in ambulanza. io sono rimasto infarmacia a raccogliere materiali da man-dare. sono poi andato in aeroporto dovearrivavano aerei ed elicotteri con i feriti.nel pomeriggio turno d’emergenza al118. perché non si è fermato nulla nelfrattempo. e l’ospedale era al collasso.e la gente si aggirava in pronto soccorsosenza capire.non credo che le parole rendano i fatti.c’è una realtà che non è descrivibile.solo vedendola è possibile leggerla nellasua completezza.ieri pomeriggio una delle tante macchinecon una famiglia rimasta senza casa èarrivata qui in postazione:“vorremmo un posto dove dormire. nonabbiamo più nulla. abbiamo due bambinipiccoli in macchina ed una personaanziana. aiutateci”e si è messo a piangere. ha cercato diabbracciarmi. mi sono scostato. non misono sentito così degno di condividereil suo dolore. com-patire è soprattuttoun onore.è una questione di dignità. io non cel’ho, non me la sono sentita. vivo unterritorio a rischio sismico. non ho fattonulla per evitare queste morti. ho la miaparte di colpa. e l’ho sentita tutta lacolpa. l’ho accarezzato in viso e nonl’ho abbracciato quell’uomo che pian-geva. non ne ero degno. mi resta il sensoliquido di quel pianto sulle mani. e moltavergogna per tutto quello che è successo.ieri mattina ho collaborato con dei soldatidell’esercito. portavano feriti in un eli-
cottero da guerra molto grande. eranoragazzi dolcissimi. accarezzavano i feritie sorridevano loro. in divisa da guerra.una specie di ossimoro. una stranezza,non trovi?mi sono sentito come loro. sono statoanche io un soldato da guerra. io. tirendi conto?mi ha colpito l’umanità della gente. ildolore ci rende umani. un soldato diven-ta un infermiere. un infermiere diventaun soldato. un elicottero da guerra si famacchina di salvezza. il dolore ribaltatutto nel senso dell’umanità. forse do-vremmo essere perennemente addoloratiper essere migliori di quello che siamo.accanto alla colpa ho sentito l’occasionedi crescita. sono distrutto. ma anchediverso. potere aiutare la gente è davveroun privilegio. mi sento bene questamattina. male e bene nello stesso tempo.ho la morte e la vita dentro. il pianto eil riso.è così.
IIIil PMA (Punto Medico Avanzato) in piaz-za d’armi a l’aquila ha una trentina diposti letto per i ricoveri urgenti. ha unasala di pronto soccorso ed una farmaciaaccanto. c’è luce al neon a differenzadelle tende nel campo ma nessun riscal-damento. il gelo della notte sarà la formadi questo ricordo. ricorderò questo ter-remoto con un brivido di freddo. sempre.ho appena concluso il turno di nottecon alcuni miei colleghi del 118 di Pe-scara e tre infermieri teramani.ora il PMA, passata la prima fase diemergenza, accoglie pazienti affetti dapatologie che in genere non costituisco-no un imminente pericolo di vita.nei giorni immediatamente successivialla scossa del 6 aprile, nel PMA sonotransitate persone affette soprattuttoda traumatismi vari. sono state ricoveratequi dove hanno ricevuto le prime cure,i più gravi sono stati trasferiti in ospedalidella regione.questa notte si sono rivolti a noi soprat-tutto pazienti in preda al panico. la paurain questo campo è l’elemento comunea tutti: c’è chi trema di paura, chi piange
di paura, chi ride di paura, chi si mostraindifferente per paura. è sempre la pauraad agire i comportamenti. ed anche ipensieri.le scosse non smettono mai: costituisco-no lo sciame sismico che in genere segueuna grossa scossa. questa notte alle 3in punto c’è stata una scossa 5.1. lapaura, la solita paura, ha assunto laforma del panico; ho sentito urla, lamen-ti, anche tirate comiche tese a sdram-matizzare. ma non saprei definire unamanifestazione su tutte le altre. la pauraha anche questa caratteristica: la mono-tonia delle forme. tutte le persone im-paurite ti guardano negli occhi comeper chiedere aiuto. anche gli sbruffoniimpauriti ti chiedono aiuto. strafottentima in preda al panico, vorrebbero farticredere d’essere eroi ed invece non sonoaltro che “cagasotto”.la paura ci fa tutti “cagasotto”.credo che molto si dovrà fare nel pros-simo futuro per arginare la paura dirom-pente. le benzodiazepine non potrannocostituire la soluzione al problema. pos-sono essere un tampone, un conteni-mento momentaneo ma dovremo inven-tarci altro visto che non basteràricostruire le case.ieri sera ho conosciuto dei medici clownche lavorano con la paura. ci scherzanosu, la accarezzano e la smontano. ciprovano. i bambini sembrano divertirsi.anche gli adulti e gli anziani. il teatro,la clownerie, possono essere in futurodelle possibili alternative alle benzodia-zepine.ma c’è altro.
ci sono tossicodipendenti in trattamentoche chiedono metadone.ci sono anziani affetti da altzheimer chenon sanno cosa stia succedendo intornoa loro.ci sono bambini senza scuola. bambinial freddo. bambini senza giochi.ci sono alcolisti cronici che non hannoun posto dove comprare il vino che liriscaldi e li addormenti di notte.ci sono “barboni” che non hanno piùi portici per dormire e non credono diriuscirci in una tenda buia e fredda.ci sono schizofrenici che non sentonopiù voci e non hanno sigarette.ci sono clandestini che cercano clande-stini che non si trovano.ci sono sciacalli. veri sciacalli, falsi sciacalli.c’è il battaglione san marco che presidiai cumuli di macerie.ma soprattutto c’è il freddo di notte.che viene col buio. forse è la paura cheraggela l’aria, che chiama la notte e nonil contrario. quando si fa buio la genteentra nelle tende e arriva il silenzio.nel PMA cala l’affluenza. solo paure:
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gente che si sveglia di notte gridando econ il cuore al galoppo. e poi una vec-chietta che vomita ed ha la pressionealta, una donna rumena con il mal dipancia, una bambina che aspetta unainiezione di antibiotico.è notte.
IVLa lontananza dall’epicentro è soprat-tutto motivo di riflessione. Essere lì ècome non pensare ed invece fare, fare,fare...Fare dimenticando tutto.Nei tre giorni di distanza da L’Aquila,qui a Pescara dove il terremoto arrivaormai senza magnitudo, ho avuto mododi ragionare la mia prossima partenza.Molto schematicamente.Quello che non ho apprezzato del miointervento nel PMA aquilano è l’eccessivavisibilità.Intervenire invisibilmente è ciò che defi-nirei “aiuto senza distrazione”.La visibilità confina con la vanità. La suaricerca, nonostante la buona fede, èesercizio che supera il nursing.Molto schematicamente.Visibilità, distrazione, vanità, narcisismo:extranursing.
Rendersi disponibili, com-prendere glialtri ed i loro bisogni costituisce l’ambitodel nursing. Dire di sé, autocelebrarsianche se con misura, esporsi fino aguadagnare la scena televisiva, tutto ciòrappresenta l’elemento debordantel’intenzione d’aiuto.C’è insomma un’estetica dell’aiuto chenon è solo compostezza ma è anchebellezza: dovrò tenere in considerazionel’elemento estetico attraverso pratichedi autodisciplina ovvero di sottrazionedalla vanità.Un cooperante è più vicino ad un samu-rai che ad un attore di reality. In quellemovenze esatte e nette, in quella rinun-cia delle forme spettacolari, in queiprolungati silenzi, nella scelta di traspa-rire, in queste forme del corpo che sonol’essenza dell’arte dei samurai, è il para-digma dell’assistenza, la sua essenza.
Il mio prossimo intervento nelle zonedel terremoto sarà votato alla ricercadell’invisibilità attraverso l’autodisciplinanella speranza che sottrarsi alle news,sia l’equivalente della concentrazionesui bisogni altrui.Molto schematicamente.Defilarsi, smettere di essere una notizia,praticare il silenzio stampa; insomma,trasparire è come farsi mero motoreassistenziale. Nulla di più.
L’ emergenza in senso stretto sembraconcludersi ed il passaggio di fase puòessere rappresentato dalla sostituzione
di interventi di natura assistenziale adinterventi su traumatismi: le vittime sonofinalmente sopra le macerie. Qui sopra,e non sotto, si interverrà a partire dadomani.L’ organizzazione dei campi secondoaccettabili standard igienico-sanitari, ilr i s c a l d a m e n t o d e l l e t e n d e ,l’illuminazione, l’allestimento di doccecon acqua calda, il lavoro sul tempolibero soprattutto con i bambini e glianziani sono le nuove direzioni dell’aiutoe non c’è alcuna necessità di adoperareforme spettacolari o comunque incen-trate sull’ego.Com-prendere l’altro d’altronde, contie-ne già in partenza un elemento inalie-nabile: chi aiuta un proprio simile, aiutaanche un po’ se stesso poiché riceve daquest’esercizio importanti quote di be-nessere e felicità; l’aiuto attiva sempremeccanismi gioiosi e di autoappagamen-to risultando così inutile esagerare nellapromozione di sé.Molto schematicamente.Sarò a L’Aquila nei prossimi giorni riget-tando ogni ipotesi di espansione egoicae costringendo il il mio intervento allarelazione d’aiuto.Di me non resterà traccia.
VSono al campo San Biagio di Tempera,un paesino vicino L’Aquila. Ci sono 127residenti per la maggior parte anziani.Nel campo lavorano insieme la Protezio-ne Civile, la Misericordia di Montefalcio-ne e la Brigata di Solidarietà Attiva diRifondazione Comunista. Ci sono unacucina da campo, un magazzino scorte,una segreteria, un ambulatorio medicoed infermieristico, un team di psicologhe,un sacerdote. Solo ieri sono arrivatialcuni bagni chimici. E’ consentito illavaggio delle mani in un lavandinocomune; l’acqua è fredda e non potabile.L’acqua.Dobbiamo evitare che diventi un even-tuale mezzo di contaminazione. Chiamoal telefono un farmacista del Ordine deiFarmacisti di Cuneo che è qui vicino conuna farmacia mobile. Amuchina nellacisterna da 10.000 litri d’acqua, erogatoridi ipoclorito di sodio nei bagni ed edu-cazione dei residenti. Questa mattinacomincio il lavoro di igienizzazionedell’acqua.
Terminata l’emergenza, l’infermieristicadi comunità mi sembra sia il modo giustoper essere qui.Ieri pomeriggio ho fatto un giro per letende distribuendo salviette umide edAmuchina:“Buongiorno. Sono Lorenzo, l’infermieredel campo. Vorrei parlarvi delle mani. Edi quanto sia importante per noi tuttilavarle. Oggi e qui più di ieri ed a casa:lavarle bene e spesso”. I bambini mifanno le smorfie e ridono.C’è interesse verso comunicazioni diquesto tipo, c’è spirito di collaborazioneda parte dei residenti ed anchel’intenzione ad autorganizzarsi, a nonstare fermi, a prendere in mano la situa-zione: “Ho recuperato un aspirapolveree pulirò la tenda come facevo con casamia. Tutti i giorni”, mi dice una mammacon un bambino in braccio.
Questo campo è una comune. O qual-cosa di simile. Non c’è gerarchia ma cisono ruoli, funzioni e nessuno ha lapretesa di comandare. Gli riderebberoin faccia se solo lo facesse. Tutti fannoqualcosa e questa opera è un lavorolibero dal salario ed assolutamente or-ganizzatoL’autonomia è la regola del campo. Man-cando il comando ma anche la rappre-sentanza e la delega, la gente sembrarealizzare quanto importante sia assu-mersi la responsabilità dell’ opera dasvolgere.Tutti assumono comportamenti volti allaresponsabilità e nell’aria si respira tuttaquesta necessità di fare da sé.…………..(omissis). Questo clima delcampo così lontano dal dibattito pubbli-co sul terremoto è il motore dell’organiz-zazione.Dell’autorganizzazione!
Tadeus è in Italia da 11 anni. Colpitodalla recente crisi perde il lavoro e sitrasferisce a Tempera da Roma ed acqui-sta una casa vecchia che il terremotobutta giù inesorabilmente a restauroappena concluso: “Se non l’avessi re-staurata ci sarei morto dentro”, mi diceraccontandomi dei lavori svolti tenendopresente la possibilità del sisma.Tadeus è un elettricista ed arriva in am-bulatorio per chiedere una Tachipirina.Ci sono fili elettrici a terra, non c’èancora l’illuminazione ed il frigoriferocon i farmaci non ha corrente elettrica:“Posso sistemare tutto subito, sono unelettricista”, dice Tadeus. Nel giro di dueore l’ambulatorio s’illumina e si riscaldacon una riscaldatore elettrico.Tadeus, il polacco, finisce per diventareun punto di riferimento nel campo, è ingiro con i suoi attrezzi e non smette dilavorare.Forse ho dimenticato di somministrarglila Tachipirina.Tadeus è l’esempio di come funziona
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l’ingaggio nel campo: hai desiderio difare una cosa, ti offri, illustri il tuo pro-getto, lavori. Punto e basta.
La notte è fredda, gelida nonostante lastufa elettrica di Tadeus. Sono rimastosolo in ambulatorio e non spengo laluce perché credo sia importante comu-nicare che questo posto di cura nonchiude.Collego il mio PC alla rete ed attraversovelocemente Facebook, leggo la postapoi passo a qualche poesia di Luzi, quindia Chomsky : Anarchismo, contro i mo-delli culturali imposti.Mi annoia un po’, il gelo mi impediscela concentrazione ed allora ripiego suCornelio, il fumetto di Lucarelli.Gli ultimi pensieri della notte:-Meglio Julia che Cornelio. Meglio Cor-nelio che Chomsky. Quando fa freddo,naturally...-Ricostruire è possibile se esistono per-sone come Tadeus.-Le poesie di Luzi sono l’unico caldo inquesto gelo. Più della stufa di Tadeus.-Gliel’ ho poi data la Tachipirina a Ta-deus?-Sto bene in questo campo. La gentemi piace.-Cazzo, ci sto mettendo il cuore: nonvoglio andarmene!-Bisognerà rendere visibile l’ambulatoriocon una bandiera-Dove troviamo gli erogatori di ipocloritoper i bagni? Telefoniamo a Rifondazionedomattina. Boh!-Oddio che freddo... devo fare la pipìma non ci vado. La tengo fino a domat-tina.
VIQuanti terremoti conosci?Uno? Dieci? Cento?Non uno ma molti terremoti.
C’è il terremoto che si vede, che tuttivedono in TV, quello delle barzellettesul camping e sul dentista che il premierdispensa agli sfollati nella tendopoliaquilana.C’è il terremoto di Bertolaso, dei sismo-grafi, dei geologi, dei magistrati cheindagano, di Vespa e dei suoi ospiti, deiprogrammi d’intrattenimento che com-muovono, delle storie a lieto fine, delletragedie indimenticabili, delle opinionidella Parietti.C’è il terremoto di Santoro e di Vauro,voci fuori dal coro, voci forse volgari edinaccettabili. Magari censurabili. E per-ché? C’è il terremoto delle notizie vere,delle notizie false, delle notizie senzafondamento, delle notizie allarmistiche,delle notizie oscurate, delle notizie esa-gerate.
Molti terremoti, forse cento. Forse più.C’è il terremoto degli aquilani fieri, forti
e gentili, degli aquilani che piangono imorti riversi sulle bare, degli aquilaniche fuggono al mare, di quelli che nonintendono lasciare il paese per nessunmotivo.C’è il terremoto dei campi, delle tendesenza luce e senza riscaldamento pertroppo tempo, dei bagni chimici luridi,delle cucine da campo, delle brandine,dei PMA per i feriti, dei medici clown,dei volontari della Croce Rossa.C’è il terremoto dei vecchi che siedonomuti ad aspettare e dei bambini chedisegnano macerie, dei cani che hannoperso il padrone, dei cani che il padronenon l’hanno mai avuto e che continuanoa vivere randagi, dei veterinari che de-vono arrivare. Ma non dovevano arrivareoggi?C’è il terremoto dei 300 morti e dei vivie dei feriti che si salveranno e che mo-riranno.
Ci sono molti terremoti ed ognuno dinoi racconta il suo; tutti sembrano veried un po’ lo sono realmente. Per il re-sto...
Il terremoto dei bambini è sui fogli dadisegno: macerie e palazzi sventrati,colori scuri, polvere, caos.Nel campo di Tempera alcune ragazzechiedono ai bambini di disegnare il ter-remoto.C’è Arianna da Roma che è psicologa.Le hanno appena comunicato che haperso il lavoro.Sara invece viene da Pavia, è terapistadella riabilitazione con la specializzazionein arte-terapia.I bambini di Sara ed Arianna hannoindividuato vie tra le tende e le hannonominate: c’è Vico Stretto ed ancheVico Strettissimo, vicino alla cucina dacampo dove è proprio difficile passare.E poi c’è Piazza Grande che potrebbetenerci tutti dentro.Sara dice: “Sai, Lorenzo... c’è poco dafare arte qui: la gente è distrutta, i bam-bini sono impauriti, non mi resta cheaccudire ed ascoltare le storie. Magaripiù in là, chissà. Forse. Non lo so”Vedo molti clown in giro.Hanno il camice da dottore, il truccosugli occhi ed il naso finto e rosso sulnaso vero. Si direbbe un’invasione diclown nei campi. E’ anche il terremotodei clown.Ma cosa c’è da ridere ora? E’ davvero
giusto far ridere questa gente che invecevuole soffrire? Non sarebbe meglio farlapiangere? Questo è il tempo del pianto,della tristezza, delle storie da raccontare,della gente che ascolta. E non ride. Nonride. Non c’è proprio niente da ridereora. Tornate a case signori clown, civedremo tra qualche tempo! Lasciatecipiangere in pace ora.
Cosa è vero, cosa è falso in questosisma?La protezione civile è stata all’altezza diquanto è accaduto a L’Aquila ed in tuttii paesi della provincia.Vero o falso?Non era possibile approntare un pianodei soccorsi prima della grande scossa.Vero o falso?Tutti noi potevamo fare qualcosa perevitare tutte queste morti, per evitaretutta questa disorganizzazione.Vero o falso?
Ore 24,30. Luis è a Pescara, 100 chilo-metri dal sisma. Luis ha 11 anni.La madre chiama il 118 perché il figlionon respira. Arriviamo in codice rosso etroviamo Luis in strada con la mamma,il papà e la sorellina che mi fa le smorfiee ride. Invito il ragazzo a salire in ambu-lanza. Sale anche sua madre.Luis respira male, lunghissime inspirazionidopo brevi espirazioni. Un rumore respi-ratorio. Laringospasmo?La sua saturazione d’ossigeno è normale,la madre descrive il sintomo di Luis cheviene di notte da qualche tempo e digiorno scompare. Luis è già stato inospedale dove non hanno riscontratonulla.A guardarlo bene, il bambino non ha ilviso di chi soffre di dispnea:“Da quando ti succede, Luis?”“Dalla notte del terremoto!”“Hai paura, Luis?”“Ho paura che tutto crolli con una scos-sa!”“Luis! A Pescara il terremoto non arriva,c’è la sabbia sottoterra non la roccia.Luis!”
La paura del terremoto si propaga finoa raggiungere Luis che smette di respirarea 110 chilometri di distanza. MentreSara ed Arianna tracciano la mappa delcampo dei bambini: Vico stretto, VicoStrettissimo.La paura non risparmia neanche noi chesiamo al mare.Per questo non c’è tempo di tremare.Si torna a L’Aquila domani. Senza il nasorosso sul naso vero.Con il rispetto per le storie della terapistaSara. Con la distanza dalle barzellettedel premier sul campeggio. Con la con-vinzione che c’è del vero e c’è del falsoin questo terremoto.Perché ce ne sono tanti di terremoti.
a cura di Roberta Chiandetti
vitaassociativa
ell’ambito del congresso FIRST ITALIAN
DIABETES AND PHISICAL ACTIVITY GLO-
BAL FORUM che si è svolto a Villasimius
(Cagliari) dal 1 al 3 maggio 2009 si è
tenuta una tavola rotonda alla quale hanno
partecipato diverse figure professionali a
rappresentanza delle loro associazio-
ni/istituzioni: il Ministero della Salute, le
società scientifiche (AMD,SID, SIO, OSDI,
FIMG), il laureato in scienze motorie, il
volontariato (ANIAD, FAND, FDG, AID,
Diabete Forum, JDF, AGD), i mezzi di
informazione.
L’obiettivo della tavola rotonda era
quello di definire, ognuno per il proprio
ruolo, il contributo che la propria so-
cietà/istituzione/associazione poteva met-
tere in atto o aveva già attivato per la
causa in oggetto alla tavola rotonda, e
quali potevano essere le potenzialità future
da mettere in campo per delineare un
quadro complessivo delle iniziative e delle
attività realizzate in Italia per la promo-
zione della salute attraverso lo sportnella popolazione a rischio. Lo scopo
finale era quello di definire quali potreb-
bero essere le “call to action” per svilup-
pare un processo coordinato che potesse
coinvolgere tutti gli attori della diabetologia
italiana.
Gli effetti positivi dell’esercizio fisico
sono oramai noti a tutti, ma siamo ancora
lontani dalla diffusione di tale pratica. Si
stima che l’inattività fisica causi 1.9 milioni
di morti annualmente nel mondo. Appros-
simativamente il 10-16% dei casi di cancro
Task Force per la promozione dell’attività fisicanella popolazione a rischio
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del colon e di diabete, e circa il 22% dei
casi di malattia ischemica coronarica sono
attribuibili alla mancanza di attività fisica in
entrambi i sessi (World Health Report 2002).
Trials controllati e randomizzati e studi
longitudinali hanno mostrato sorprenden-
temente la stessa percentuale di riduzione
(60%) di mortalità per malattia cardiova-
scolare in diabetici allenati rispetto a quelli
non allenati e di conversione da IGT a
Diabete.
L’incremento di 1 Met della capacità
fisica riduce il rischio di mortalità da tutte
le cause del 12%.
La terapia comportamentale compren-
dente 30 minuti di attività fisica moderata
(5-7 volte alla settimana) è in grado di
prevenire il diabete tipo 2 nel 50-60%
dei casi di IGT.
La sua eff icacia è superiore
all’intervento farmacologico.
L’esercizio fisico aerobico strutturato
per almeno 8 settimane riduce la emoglo-
bina glicosilata. Migliori risultati si raggiun-
gono con esercizi aerobici ad alta intensità
(livello di evidenza A).
Anche gli esercizi di resistenza (anae-
robici) supervisionati e a carichi progressivi
migliorano il compenso glicemico (livello
di evidenza A).
L’esercizio fisico aerobico riduce il
rischio cardiovascolare primario nei casi
di diabete mellito di tipo 2 (livello di evi-
denza B).
La riduzione del rischio cardiovascolare
deriva dalla sommatoria di molteplici fat-
tori, fra cui riduzione della pressione arte-
riosa, modifiche antiaterogene dei lipidi,
riduzione del grasso addominale.
L’esercizio fisico aerobico prolungato
(7 h/sett.) contribuisce ad impedire il riac-
quisto del peso perduto in obesi con e
senza diabete mellito di tipo 2 (livello di
evidenza B).
Almeno il 60% della popolazione
mondiale non raggiunge la raccomanda-
zione di praticare 30 minuti di attività
fisica moderata-intensa al giorno (WHO
Statement 2004).
Il problema di questa discrasia fra dati
reali e le evidenze della letteratura può
essere risolto solo se affrontato a livello
globale, con il coinvolgimento delle istitu-
zioni, dei governi e della comunità in
generale.
Lo studio Quadri aveva messo in evi-
denza le carenze assistenziali, anche ri-
spetto alla pratica di attività fisica: l’80%
degli intervistati coinvolti nello studio
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sull’importanza dell’attività fisica, ma il
31% (quasi 1 su 3) dei pazienti intervistati
risultava sedentario e pochissimi pazienti
praticavano attività fisica almeno 3-4 volte
alla settimana. Questo si può definire il
paradosso dell’attività fisica: tutti sanno
che è una opzione sicura ed efficace ma
pochi la utilizzano.
Per contrastare tale tendenza è neces-
sario migliorare l’ informazione e
l’educazione dei pazienti. Per indurre
opportuni cambiamenti nei comportamen-
ti, è necessario rimodulare le forme della
comunicazione rispetto ai corretti stili di
vita perché, nonostante l’informazione sia
diffusa (più del 90% è informato su fumo,
controllo del peso, corretta attività fisica
ed alimentazione ponderata), i comporta-
menti reali dimostrano che gli attuali
interventi educativi sono inefficaci.
Occorrono iniziative intersettoriali da
parte di tutti gli operatori interessati che
operino in sinergia per una diffusione
sempre più capillare della pratica
dell’attività fisica nella popolazione in
generale e soprattutto nella popolazione
a rischio.
Sulla base di tali assunti la nostra
associazione ha ritenuto di poter interve-
nire seguendo diverse linee di indirizzo:
• Formazione e aggiornamento degliinfermieri sull’importanza dell’attività
fisica, intesa come parte integrante
della cura del paziente diabetico. E’
opinione condivisa che per sviluppare
nel paziente la motivazione necessaria
ad intraprendere programmi strutturati
di attività fisica, è necessario in primo
luogo che essi siano guidati da operatori
aggiornati e motivati. Un’ infermiere
aggiornato risulta in tal caso determi-
nante, poiché agisce da propulsore
verso il paziente, motivandolo ad assu-
mere, e a mantenere nel tempo, uno
stile di vita più sano e più attivo.
• Programmazione di interventi di
educazione terapeutica strutturata
su l l ’a t t i v i tà f i s i ca , f ina l i zzat i
all’educazione dei pazienti.
• Approfondimenti sull’argomentoattraverso la nostra rivista (scaricabile
anche sul sito www.osdi.it) per sensibi-
lizzare gli operatori anche relativamente
alle patologie collegate all’obesità in
sempre maggior aumento.
• Consulenza infermieristica nei repar-ti di degenza, come previsto dal nostro
codice deontologico: “l’infermiere pre-
sta consulenza ponendo le proprie co-
noscenze ed abilità a disposizione della
comunità professionale”. Stante il sem-
pre maggior numero di diabetici tipo II
che vengono ospedalizzati sia per gli
esordi complicati sia per le complicanze
vere e proprie, si rende necessario met-
tere a disposizione interventi di consu-
lenza diretta sia ai pazienti che al per-
sonale di reparto, per un corretto
rinforzo nel tempo del messaggio edu-
cativo sullo stile di vita che, ovviamente,
non può non comprendere l’attività
fisica.
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• Istituzione di una indagine sugliinterventi strutturati volti alla preven-
zione: corsi di educazione all’esercizio
fisico, educazione terapeutica di gruppo,
educazione alimentare. Tale indagine
ha lo scopo di incentivare i colleghi a
rendere noti i progetti regionali e dif-
fondere la cultura professionale
sull’argomento attraverso il confronto
e la partecipazione attiva.
• Collaborazione con altre associazionie istituzioni su progetti di sensibilizza-
zione, formazione ed educazione (vedi
“Panorama Diabete”, “EASD”ecc).
• Disponibilità a lavorare in coopera-zione con le altre figure professionali
per l’implementazione e il rinforzo dei
messaggi educativi relativi all’esercizio
fisico: proposte agli infermieri di comu-
nità per interventi di educazione sullo
stile di vita alla cittadinanza e nelle
scuole primarie, in collaborazione con
le altre figure professionali (dietisti,
educatori, medici ecc).
Maria Teresa Branca
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Attività fisica: qualunque movimento del corpo prodotto dalla contrazione
dei muscoli scheletrici che richiede spesa energetica in eccesso rispetto al
dispendio energico a riposo.
Esercizio: è un’attività fisica pianificata, strutturata e ripetitiva atta a
migliorare o mantenere uno o più componenti della fitness fisica.
Esercizio aerobico: consiste nella ripetizione ritmica e continua di movimenti
interessanti la maggior parte dei gruppi muscolari per un tempo di almeno 10
minuti come ad esempio camminare, marciare, andare in bicicletta, nuotare.
Esercizi di resistenza: attività che usano contrazioni muscolari strenue
per muovere pesi o lavorare in maniera isocinetica contro una resistenza,
esempi: lifting muscolare o esercizi che utilizzano macchine, pesistica.
MET (equivalente metabolico): un Met è un’unità di intensità uguale
all’energia spesa a riposo. Un’attività fisica corrispondente a 3 Met significa
che per essere espletata utilizza un’energia 3 volte superiore alla condizione
di riposo. Met/ora è un’unità di esercizio/volume in cui l’intensità in Met è
moltiplicata per la durata dell’attività in ore.
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L’associazione OSDI istituisce e promuo-ve il Premio Andrea Cavallaro. Il Premioè finalizzato alla promozione alla salutee nello specifico attraverso lo sport nellapopolazione a rischio. Vuole incentivareinoltre ricerche e progetti di fattibilitàvolti alla programmazione di interventidi educazione terapeutica strutturatasull’attività fisica finalizzati all’educazionedei pazienti diabetici.Il Premio prevede la pubblicazione diinterventi o programmi di educazioneterapeutica strutturata sull’attività fisica.Si propone, inoltre, di incentivare laricerca e/o progetti di fattibilità finalizzatiall’educazione dei pazienti diabetici intema di attività fisica. Il Premio inoltre si propone di ricordare il collega AndreaCavallaro , ricordando la sua umanissimaattenzione al tema del diabete.
INDIVIDUAZIONE DEI PARTECIPANTI
Possono partecipare al concorso:
• tutti GLI ISCRITTI OSDI
• gli studenti iscritti al Corso di Laurea
Magistrale in Scienze Infermieristiche
e Ostetriche, purché risultino coautori
insieme con già laureati magistrali,
in quanto lo studente non può essere
considerato Autore referente.
• INFERMIERI OPERANTI IN STRUTTURE
DIABETOLOGICHE OSPEDALIERE O
TERRITORIALI SIA PUBBLICHE CHE
PRIVATE (nel caso che il progetto sia
presentato da più operatori, dovrà
essere individuato un project leader)
Non possono partecipare al concorso i
membri della Commissione esaminatrice.
CARATTERISTICHE DEI PROGETTIDI RICERCA
I progetti di ricerca proposti devono
essere originali e inediti, e non devono
essere già stati oggetto di tributi.
I progetti di ricerca proposti devono
essere elaborati fino ad un massimo di
10 pagine complessive, utilizzando il
carattere Times New Roman corpo 12
su Word per Windows, secondo il seguen-
te schema:
sei parole chiave (usare i termini
dell’Index Medicus), introduzione, con-
tenuto e metodologia, risultati attesi,
bibliografia di riferimento.
Tutte le domande di partecipazione ver-
ranno valutate da una Commissione
composta da 5 membri selezionati dal
Direttivo dell’Associazione
.
SCADENZA DEL BANDO
Le domande di partecipazione dovranno
pervenire presso la Segreteria Associa-
zione OSDI [email protected] in sup-
porto digitale, entro e non oltre il 15
gennaio 2010
ANDREA CAVALLAROBando di concorso per l’assegnazione di un premio volto adincentivare lo studio e la ricerca nel campo della promozionedella salute attraverso lo sport nella popolazione a rischioe/o la Programmazione di interventi di educazione terapeuticastrutturata sull’attività fisica finalizzati all’educazionedei pazienti diabetici.
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L’infermiere di diabetologia in Sicilia: unpercorso lungo 10 anni verso la qualità.
Il 18 aprile a Leonforte (EN) si è svolto il VCongresso regionale Osdi, che ci ha visti prota-gonisti di una giornata intensa, non solo perchèil congresso si è svolto in una sola giornata ma,perché tra relazioni e votazioni consiglio direttivo,le emozioni hanno avuto il sopravvento. La primarelazione del congresso ha riguardatol’autonomia infermieristica, Giovanni Lo Grasso,coordinatore dell’endocrinologia del P.O. Gari-baldi di Catania, ci ha illustrato come la figuradell’infermiere alla luce dei nuovi ordinamentiè cambiata, ma anche come il miglioramentodella qualità si può ottenere attraversol’umanizzazione e la personalizzazionedell’assistenza. La seconda relazione di GiuseppeBruno, infermiere della Diabetologia dell’ASL3di Acireale, ci ha riportati indietro nel tempoper poi ritornare ai giorni nostri in un viaggioattraverso i dieci nni di vita dell’OSDI, dalla suanascita, fra alti e bassi di quella che è stata edè la nostra associazione in Sicilia oggi. La sotto-scritta invece, fra suoni e musica di sottofondo,dopo una premessa teorica su quella che è lanarrazione autobiografica, attraverso alcunestorie di pazienti diabetici, rivive la loro rotturaautobiografica avvenuta all’accadere della ma-lattia, col solo scopo di emozionare e suscitareempatia, per poi riflettere sulla relazione infer-miere-diabetico.
La tavola rotonda è stata anch’essa interes-sante, tema: professioni sanitarie a confrontoin ambito diabetologico, composta dalla pastpresident nazionale OSDI, Rosangela Ghidelli,dal presidente AMD Sicilia, Antonino Lo Presti,
da una componente della SID Sicilia, GiuseppinaRusso, dal presidente IPASVI di Enna, GiovanniDi Venti e dalla nostra presidente OSDI Sicilia,Lucia Melita.Tornando alle emozioni di cui viparlavo all’inizio, ci sarebbe tanto da dire, ilcuore di tutti quel giorno era gonfio di tristezza,l’affetto per Andrea Cavallaro, nostro caro collegamancato la vigilia di Pasqua ci ha indotti aricordarlo e a indotto Rosetta Nocciolini, la nostraPresidente nazionale OSDI a prendere un aereo,nonostante i suoi gravi problemi in famiglia, percelebrare Andrea che avrebbe dovuto per noirelazionare sul domani della nostra associazionie quali prospettive e strategie avremmo dovutomettere in atto per continuare il nostro percorso.Con voce rotta dall’emozione e il viso rigato dilacrime, Rosetta ha ricordato il buon amico ecaro collega Andrea, leggendo i suoi pensieri ele sue considerazioni sulla vita e sulla nostraprofessione che negli anni aveva inviato a chivoleva ascoltarlo.
Un Carattere mite e un’anima profonda egentile quale era Andrea meritava essere alcentro di quella giornata, anche se in vita Andreanon aveva mai preteso di esserlo. Non dimenti-cheremo mai Andrea esempio per tutti noi.
Le votazioni del consiglio direttivo si sonoconcluse con la nomina di cinque nuovi consi-glieri che si vanno ad aggiungere a Tripo MariaGiuseppa, Filippo Vitale, Ornella Salemi e LuciaMelita, la presidente. Essi sono: Di Mauro Gio-vanni, Corridore Maria Concetta, Puzzo Elena,Biundo Maria e Strano Salvatore.
Tripo Maria Giuseppa
V Congresso regionale OSDISICILIA
Il 17 e 18 Aprile 2009 si è tenuto a
Bari il VII Congresso Regionale OSDI Puglia
che ha visto la presenza di valenti relatori
e numerosi partecipanti anche tra i neo-
iscritti. Il congresso di quest’anno è stato
anche l’occasione per festeggiare il decimo
anniversario della nascita della nostra
sezione regionale.
L’obiettivo generale del convegno era
quello di sviluppare la formazione infer-
mieristica relativa alla cura e all’assistenza
del paziente diabetico Tipo II attraverso
l’acquisizione delle nuove strategie tera-
peutiche e delle metodologie assistenziali
e organizzative più idonee e più efficaci
secondo l’EBM (evidence based medicine).
Il filo conduttore del congresso era quello
di trasferire ai partecipanti una formazione
che tenesse conto dell’assistenza in tutte
le sue dimensioni, includendo l’analisi dei
contesti organizzativi e i possibili ambiti
di miglioramento per la gestione della
malattia diabetica. In essi il ruolo
dell’infermiere, responsabile dei processi
assistenziali, educativi ed organizzativi
risulta fondamentale per migliorare la
qualità di vita della persona diabetica e
ridurre i costi legati alla malattia. Questo,
partendo dal presupposto che, per poter
realizzare una assistenza efficace e di
qualità, non basta avere dei professio-nisti preparati e formati ma occorre
che essi siano inseriti in un contesto strut-
turale e organizzativo altrettanto valido.
Un sentito ringraziamento va a tutti
i relatori che hanno saputo trasmettere
con estrema chiarezza i contenuti delle
loro relazioni creando un clima di forte
attenzione e numerosi spunti di approfon-
dimento. Grazie, dunque, al Prof. LuigiLa Viola, al Dott. Stefano Albano, alla
Sig.ra Clara Di Gregorio, alla Sig.ra AnnaMaria Idrontino, al Dott. FrancescoMario Gentile, al Dott. Francesco LoSurdo.
Credo valga la pena sottolineare
l’importanza degli argomenti trattati dai
relatori intervenuti e l’attenta partecipa-
zione dei presenti giunti da ogni parte
della Puglia, nonché il clima di interazione
creatosi tra i partecipanti. Si spera che tra
noi colleghi si conservi sempre la capacità
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Diabete Tipo II: la terapia, l’assistenza,l’organizzazione
VII CONGRESSO REGIONALEOSDI PUGLIA 2009BARI HOTEL RONDÒ 17-18 APRILE 2009
Momenticongressuali
di stringere e mantenere rapporti che
permettano scambi culturali e professionali
utili per un lavoro efficace all’interno
dell’OSDI.
Un nutrito ringraziamento al Dott.Antonio Muscogiuri, Anna Maschio e
Josè Chimienti che con le loro relazioni
ci hanno fatto ripercorrere i nostri dieci
anni di vita associativa, proiettando lo
sguardo sia al passato, ricordando tutti
coloro che hanno contribuito alla crescita
dell’associazione, sia al futuro, verso oriz-
zonti sempre nuovi e sempre più signifi-
cativi.
Un’ associazione costruita sulle idee
di tutti, che intende diventare sempre più
un punto di riferimento per gli infermieri
preposti all’assistenza del paziente diabe-
tico, infermieri che non si accontentano
ma vogliono capire e conoscere la realtà
senza filtri.
In questi dieci anni, l’OSDI in Puglia,
ha rafforzato il proprio lavoro. L’impegno
con l’OSDI è intenso, non c’è solo colla-
borazione bensì unità di intenti. Il risultato
è un palinsesto sempre più ricco e artico-
lato in ogni provincia.
Scopo principale del l ’OSDI è
l’aggiornamento professionale nel campo
diabetologico ponendo il paziente come
attore principale, un aggiornamento
continuo e produttivo di idee, che rilancia
l’entusiasmo e la capacità di lavoro in
equipe e funge da volano a tutto il movi-
mento.
Nella stessa circostanza, si sono svol-
te le votazioni per il rinnovo del consiglio
direttivo regionale e la proclamazione
dei nuovi consiglieri da parte della nuova
Presidente Regionale, Sig.ra Josè Chi-
mienti, capo sala dell’unità operativa di
Endocrinologia nell’Ospedale SS Annun-
ziata di Taranto. Si coglie l’occasione
per augurare ai neo consiglieri una se-
rena e proficua collaborazione e un
buon lavoro.
Anna CorvinoVicepresidente Osdi- Regione Puglia-
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A. MaschioPresidente Regionaleuscente
A. CorvinoVicepresidente
Regionale Osdi
Festeggiamentiper il decimoanniversariodella nascitadell’Osdiin Puglia
Analisi dei bisogni formativi
Il congresso regionale è anche il mo-
mento per valutare quali sono i bisogni
formativi dei nostri iscritti. E’ ormai con-
suetudine sondare, attraverso un questio-
nario conoscitivo, le necessità di aggior-
namento professionale dei soci OSDI della
nostra regione. Il questionario ha l’obiettivo
di indagare diverse aree di intervento per
stabilire quali sono le necessità reali su cui
basare le proposte di aggiornamento fu-
ture.
Gli aspetti indagati:
• Aspetti educativi: autocontrollo, alimen-
tazione, calcolo dei CHO, attività fisica
• Aspetti organizzativi: D. Management,
Case management, Day service, gestio-
ne integrata.
• Aspetti comunicativi: empowerment,
strategie della comunicazione, dinami-
che relazionali .
• Informatica: base e avanzata
Per ogni aspetto indagato viene richie-
sto, sostanzialmente, di esprimere un
giudizio sull’argomento e quindi se è
sufficientemente conosciuto o se si vuole
approfondirne i contenuti.
Dall’analisi (vedi fig. 1) emerge che i
soci della nostra regione preferirebbero
approfondire gli argomenti che riguardano
gli aspetti organizzativi della gestione del
paziente diabetico, così come apprezze-
rebbero percorsi formativi per aumentare
le conoscenze in campo comunicativo e
relazionale. Anche l’informatica avanzata
risulta essere un argomento richiesto,
probabilmente in relazione al fatto che
gli interventi coordinati dell’assistenza,
implicano l’utilizzo di strumenti informatici.
I risultati emersi ci aiutano a formulare
l’offerta formativa per indirizzare i nostri
sforzi verso obiettivi che sono oggetto di
interesse comune e reale da parte dei
nostri associati. Lo scopo è quello di favo-
rire la crescita professionale attraverso
una rete di percorsi che possano trovare
una giusta integrazione e un giusto equi-
librio fra le necessità locali e gli indirizzidelle politiche nazionali.
Il Direttivo RegionaleOsdi Puglia
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Figura 1
Saluto del Presidente regionaleOsdi Puglia
Cari Colleghi, si è appena concluso
il VII Congresso Regionale OSDI Puglia.
Come presidente neoeletta, ritengo di
dover innanzitutto ringraziare i colleghi
che hanno creduto nelle mie potenziali
capacità di guidare, per il prossimo bien-
nio, il gruppo di associati che hanno
l’ardire di voler implementare sempre
più le conoscenze e le proprie capacità
formative per poter fornire ai propri
pazienti un’assistenza ai massimi livelli
qualitativi.
Tutti noi siamo consapevoli che la
strada migliore da percorrere è la condivi-
sione e la uniformità dei percorsi assisten-
ziali, pertanto una associazione come la
nostra ha come mandato quello di creare
occasioni di incontro per crescere, con-
frontarsi e garantire a tutti noi un aggior-
namento scientificamente corretto a van-
taggio del paziente diabetico e del suo
hinterland socio-familiare. Gli obiettivi che
il Direttivo Regionale OSDI Puglia si è
prefissato per il prossimo biennio, sono
scaturiti anche dall’indagine conoscitiva
fatta durante il congresso regionale. Te-
nendo conto dei bisogni formativi degli
associati, abbiamo provato a sviluppare
un programma di massima sul quale arti-
colare i progetti futuri:
Realizzare corsi di perfezionamento
ed incontri scientifico-culturali che rispon-
dano alle reali necessità formative dei
soci e che siano un valido supporto per
fronteggiare i forti cambiamenti organiz-
zativi del nostro settore, superando le
difficoltà pratiche che la realtà quotidiana
ci propone.
Incentivare una partecipazione sempre
più attiva dei soci, nella definizione di
tutte le attività del biennio, di modo che
si possa vivere l’associazione da protago-
nisti, condividendo con il consiglio direttivo
progetti di formazione tratti dalla perso-
nale e quotidiana esperienza infermieri-
stica
Supportare ed incentivare la produzio-
ne di lavori originali da parte dei soci da
presentare in occasione del prossimo con-
gresso nazionale OSDI 2010 .
Favorire progetti per l’applicazione
del desease management e della gestio-
ne integrata, per garantire il migliora-
mento delle cure e l’utilizzo di tecniche
assistenziali in grado di prevenire le com-
plicanze.
Favorire l’attuazione di percorsi dia-
gnostico terapeutici condivisi da tutti i
soggetti interessati nei diversi livelli di
assistenza.
Il mio auspicio e quello di tutto il
direttivo regionale è quello di concre-
tizzare quanto ci siamo prefissati e di
rendere la nostra associazione un punto
di riferimento per gli iscritti Osdi. E’
importante, inoltre, creare una rete di
collegamento tra tutte le figure profes-
sionali che si occupano della cura del
paziente diabetico. Per ottenere risultati
in termini di qualità dell’assistenza,
occorre lavorare in collaborazione, in
sinergia ma soprattutto avere obiettivi
condivisi e unitarietà.
Josè ChimientiPresidente Regionale Osdi Puglia
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Josè Chimienti:Presidente Regionale
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intento di questo articolo è duplice:
da un lato sottolineare il valore
dell’intelligenza emotiva per il lavoro di
cura; dall’altro offrire casi di situazioni
relazionali in cui ne cogliamo la mancanza
e i conseguenti effetti.
Perché l’intelligenza emotiva è unacompetenza fondamentale nella rela-zione di cura?
Tento di rispondere a questa domanda
con uno schema “razionale”, ma anche
riflettendo su due dialoghi tra paziente e
operatori sanitari.
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Oggi sappiamo moltissimo sulla biologia neuronale delle emozioni e deisentimenti, ma esiste un problema di divulgazione, per stimolare il megliodella natura umana e reprimere il peggio.
A. Damasio
Capacità di comunicare in maniera chiara ed efficacetenendo conto delle caratteristiche del paziente.
Capacità di mantenere efficacia terapeutica malgradola cronicità della patologia, il probabile deteriora-mento della qualità di vita del paziente e la suadiscontinuità di compliance.
Capacità di mantenere efficacia terapeutica in unarelazione di cura che può protrarsi a lungo ed ancheattivare identificazioni e coinvolgimenti.
Capacità di investire sul paziente e sulle sue possi-bilità, piuttosto che sui suoi limiti.
Empatia.
Capacità di reggere la frustrazione.Capacità di auto motivarsi.
Capacità di elaborare le proprie esperienze emotivecercando il giusto equilibrio di vicinanza/distanza.
Capacità di costruire relazioni improntate alla fiducia.
Che cosa chiede una buona relazione di cura? Che cosa offre l’intelligenza emotiva?
Con il contributo non condizionante di
E l’elenco potrebbe continuare indi-
cando le molteplici risorse che ci proven-
gono dal nostro cervello emotivo.
Il termine intelligenza emotiva si fonda
su un duplice riconoscimento:
1. l’intelligenza basata sull’esercizio della
pura razionalità costituisce un aspetto
delle più generali capacità che permet-
tono all’uomo di misurarsi con le diverse
situazioni incontrate nella vita di tutti
i giorni e di risolvere adeguatamente i
problemi;
2. le emozioni (tra breve ne daremo alcu-ne definizioni) non sono aspetti turbativi
del nostro rapporto con il mondo, bensì
strumenti per conoscere e orientarci,
stabilendo con gli altri quella che si
chiama intersoggettività secondaria.
L’intelligenza emotiva è la capacità di
comprendere le emozioni che si attivano
in noi e di empatizzare con quelle che
possono attivarsi negli altri a fronte di
situazioni, parole, avvenimenti ecc..
Gli studi sull’intelligenza emotiva han-
no fatto grandi progressi sulla scorta delle
acquisizioni delle neuroscienze, che hanno
chiarito gran parte delle referenze neuro-
nali di questa forma di intelligenza indi-
spensabile per il nostro adattamento.
Il concetto di intelligenza emotiva
include quattro tratti fondamentali (tratto
da D. Goleman):
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Ci soffermiamo in particolare sulla
consapevolezza di sé come chiave di volta
dell’intelligenza emotiva.
L’AUTOCONSAPEVOLEZZA è la ca-pacità di riconoscere un sentimento(emozione consapevole) nel momentoin cui esso si presenta.
Le persone orientate a riflettere sui
propri sentimenti allenano la capacità di
stare in contatto con se stesse e con i
segnali del proprio corpo.
La capacità di monitorare i sentimenti
è fondamentale per la comprensione di
sé stessi, dei propri punti di forza e debo-
lezza, della propria resistenza allo stress.
L’autoconsapevolezza r ichiede
l’attivazione della neocorteccia e delle
aree del linguaggio, che consentono di
dare un nome alle emozioni che si sono
attivate.
Possiamo definire l’autoconsa-
pevolezza come una forma di attenzione
non reattiva e non critica verso i propri
stati interiori o, in altre parole, come una
modalità neutrale della mente che
Consapevolezza di sé:
consapevolezza del proprio stato emotivoaccura autovalutazionefiducia in se stessi
Consapevolezza sociale:
empatiaconsapevolezza dell’organizzazioneorientamento al paziente/cliente/collaboratore ecc.
Gestione di sé:
gestione delle proprie emozionitrasparenzaadattabilitàorientamento ala risultatoiniziativa
Gestione delle relazioni interpersonali:
leadership ispiratriceinfluenzasviluppo delle potenzialità altrui
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sostiene la riflessione anche in mezzo
a emozioni turbolente.
E’ la differenza che passa dall’essere
travolti dalla rabbia verso qualcuno e il
pensare:“Quello che sto provando adesso
è collera”, anche nel momento stesso in
cui ne siamo pervasi.
In termini di meccanismi neurali questo
spostamento dell’attività mentale segnala
che i circuiti neocorticali stanno monito-
rando attivamente l’emozione, compiendo
così un primo passo nell’acquisizione di
un controllo su di essa.
La nuova prospettiva teorica apre
possibilità di allenamento e di crescita
delle proprie competenze emotive e
di equilibrio.
Il nostro obiettivo deve essere quel-
lo di fare in modo che le emozioni
siano appropriate, cioè proporzionate
alle circostanze.
Tante sono le situazioni in cui ci accade
di valutare la nostra emozione e il conse-
guente comportamento come sproporzio-
nato. Goleman racconta in questo senso
molti casi. Ne riprendo uno che ho trovato
semplice e significativo:LA P
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Jessica, una bambina di sei anni, si accingeva per la prima volta apassare la notte fuori casa, da una compagna di giochi e non eraben chiaro se la cosa rendesse più agitata lei o sua madre…..latensione della madre raggiunse l’apice verso la mezzanotte. Si stavapreparando per andare a letto e sentì squillare il telefono. …la donnasi precipitò al telefono con il cuore in gola mentre nella mente lebalenavano le immagini della figlia Jessica in preda ad una terribileangoscia. Afferrò il ricevitore e gridò nell’apparecchio: Jessica!!, masi sentì rispondere da una voce femminile: “Mi scusi devo aversbagliato numero…” A quel punto la madre di Jessica recuperò ilproprio sangue freddo e chiese in tono educato e misurato: “Chenumero desiderava?” 1
Che differenza c’è tra emozioni e sen-timenti?
Lo stimolo che genera emozione può
essere un evento, una scena,
un’espressione del volto o un particolare
tono di voce, viene elaborato in prima
istanza dai centr i sottocort ical i
dell’encefalo e in particolare dall’amigdala
che riceve l’informazione direttamente
dai nuclei posteriori del talamo e provoca
una prima reazione neuroendocrina con
la funzione di mettere in allerta
l’organismo. La funzione dell’amigdala è
proprio quella di scatenare –senza molto
discernimento, ma con eccezionale rapi-
dità una reazione impulsiva al pericolo.
In questa fase l’emozione determina
quindi diverse modificazioni somatiche,
come ad esempio la variazione delle pul-
sazioni cardiache, l’aumento o la diminu-
zione della sudorazione, l’accelerazione
del ritmo respiratorio, l’aumento o il rilas-
samento della tensione muscolare.
Lo stimolo viene contemporaneamen-
te inviato dal talamo alle cortecce associa-
tive, dove viene elaborato in maniera più
lenta, ma più raffinata. Nella neocorteccia
una serie di circuiti registra e analizza
l’informazione, la comprende e attraverso
i lobi prefrontali organizza una reazione
coordinata. A questo punto, secondo la
1 D. Goleman, Intelli-genza Emotiva, Rizzoli,1996, pag. 44
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valutazione, viene emesso il tipo di risposta
considerata più adeguata alla situazione,
soprattutto in riferimento alle “regole di
esibizione” proprie dell’ambiente culturale
o della propria educazione (pensiamo alle
differenze per esempio di esibizione del
dolore che ci sono anche fra Nord e Sud
Italia).
Le emozioni, quindi, inizialmente sono
inconsapevoli; solo in un secondo momen-
to noi “proviamo” l’emozione, abbiamo
cioè un sentimento.
Normalmente l’individuo che prova
una emozione diventa cosciente delle
proprie modificazioni somatiche (si rende
conto di avere le mani sudate, il battito
cardiaco accelerato etc.) ed applica un
nome a queste variazioni psicofisiologiche
(“paura”, “gioia”, “disgusto”...). Da un
punto di vista fisiologico un’emozione
sorge prima che l’individuo ne sia conscio.
Nel momento in cui un’emozione si fa
strada nella consapevolezza, vuol dire che
è stata registrata come tale nella corteccia
prefrontale.
LE SEDI DELLE EMOZIONI
Essere consapevoli delle proprie emo-
zioni significa poterle usare come
“informazioni” su quanto sta accadendo.
SONOAGGREDITO
VERBALMENTEVALUTO ALTRE
STRATEGIE
AGGREDISCO
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Usare le emozioni come “alleate” nella
regolazione dei comportamenti, significa
che –grazie all’emozione- (che riconosco!)
so quanto mi sta accadendo.
La rabbia dunque non è necessaria-
mente un impulso ad attaccare, ma un
avvertimento che tale impulso è in atto.
Questo avvertimento apre lo spazio alla
libertà di scelta.
Interagire con le emozioni presuppone
in primo luogo un contatto reale e senso-
riale usando tutti i canali percettivi: visivo,
uditivo, cinestesico, gustativo, olfattivo.
E’ molto importante questo contatto per
sentire come si manifestano le emozioni
e in quale parte del nostro corpo risuona-
no.
Solo sperimentando un vero contatto
con le nostre emozioni disturbanti, pos-
siamo poi in parte comprenderle, digerirle,
trasformarle oppure evitare quelle situa-
zioni che ci procurano sofferenze che
possiamo risparmiarci.
Adesso mi sento meglio ….o peggio:dalle emozioni alla qualità della rela-zione
Veniamo all’incontro con l’altro e al
ruolo potente delle emozioni nella rela-
zione.
L’incontro del paziente con una figura
di cura può produrre un senso di maggiore
benessere indipendentemente da qualche
“concreta” azione terapeutica compiuta,
o da un miglioramento oggettivamente
rilevabile delle condizioni di salute.
Come è possibile? Ci è d’ aiuto il
concetto di sistema limbico.
“Gli scienziati descrivono il circuito
aperto come una regolazione limbica in-
terpersonale, con la quale un individuo,
trasmette segnali in grado di modificare
i livelli ormonali, le funzioni cardiovascolari,
i ritmi sonno-veglia e persino la funzione
immunitaria di un’altra persone. Ricerche
condotte nelle unità di terapia intensiva
hanno dimostrato che il conforto costituito
dalla presenza di un’altra persona non
solo abbassa la pressione sanguigna dei
pazienti, ma rallenta anche la produzione
deg l i ac id i g rass i responsab i l i
dell’occlusione delle arterie”. 2
Il sistema limbico è un sistema a cir-
cuito aperto, mentre quello circolatorio è
un sistema chiuso. Ciò significa che quanto
accade nel sistema circolatorio di un’altra
persona non influenza il nostro. Diverso
è per le emozioni: gioia, allegria, aggres-
sività si diffondono in maniera più o meno
“contagiosa”.
Quando entriamo in relazione con un
altro ne siamo emotivamente influenzati,
ovviamente in rapporto all’importanza, al
tempo e all’intensità dell’interazione.
Ciò vale non solo dal professionista
sanitario, al paziente diabetico, ma anche
viceversa.
Lavorare con i pazienti cronici –ormai
è noto e affermato- mette a contatto con
emozioni di vario tipo: frustrazione, rabbia
perché il paziente non “aderisce”, stan-
chezza nella ripetizione delle prescrizioni,
sfiducia nelle capacità di autocontrollo
ecc… Rispetto a tutte queste possibilità
di “contagio emotivo negativo” gli ope-
ratori hanno necessità di “disintossicarsi”
di prendere distanza dalle emozioni di-
strurbanti, attraverso il confronto con i
colleghi, la riflessione, il riposo psico-fisico
che costituiscono strategie di ricambio.Dobbiamo tuttavia tenere presente che
sono più influenti le emozioni veicolate
dagli operatori, che sono vissuti tenden-
zialmente come “guida” come leader della
relazione terapeutica. La loro mancanza di
empatia o di sintonia con le preoccupazioni
del paziente può ridurre la fiducia, far
temere al paziente di non farcela.
2 R. Boyatzis, A. McKee,Essere Leader,BUR, 2002, pg. 29
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Vi propongo due casi: il primo si svolge
in una maternità milanese, il secondo in
un centro di diabetologia lombardo.
L’obiettivo di queste presentazioni è
quello di proporre materiale di riflessione
e di valorizzazione del proprio lavoro.
Sandro e Luigi sono due gemelli eterozigoti nati alla 38 settimana. Andrea con un peso di circa 3 Kg. e Simonedi 2,4 Kg.La mamma desidererebbe allattarli ed ha bisogno di indicazioni concrete ed anche di qualche parola di sostegno.Il reparto di pediatria dove è ricoverata, ha una nursery così organizzata: i bambini vengono portati 6 voltenelle 24 ore per 1 ora.La mamma riesce ad allattare i gemelli contemporaneamente con un pò di aiuto.Andrea mangia a sufficienza e non deve avere aggiunte di latte artificiale, mentre Simone spesso si addormentae richiede poi integrazioni.Ogni giorno i pediatri informano le mamme circa la quantità di latte assunto. La mamma è in ansia per Simoneche non sembra ancora succhiare. Il messaggio è sempre quello di non farlo diminuire oltre il normale calofisiologico. Un giorno accade che Simone si attacca con particolare vigore proprio quando mancano 5 minutiallo scadere dell’orario.Quando il personale torna a riprendere i bambini, la mamma spiega la situazione e chiede che le lascino ancoraqualche minuto Simone.
Puericultrice: Non è possibile, abbiamo troppi bambini da accudire e dobbiamo rispettare i ritmi… .Mamma: Per la prima volta sta mangiando senza addormentarsi … me lo lasci ancora qualche minuto….P: Guardi è proprio impossibile!M: Lo porto io alla nursery non appena ho finito di allattarlo.P: Per queste eccezioni deve sentire la capo sala.
La mamma demoralizzata si rassegna a questa rigidità, ma decide di cercare la caposala
Dialogo con la Caposala
Capo Sala: Signora non possiamo fare eccezioni … il reparto è organizzato così.M: Quella dei gemelli non è una situazione del tutto ordinaria … Io capisco le regole e l’organizzazione…Le chiedo solo di lasciarmi Simone nel caso in cui cominci a mangiare 10 minuti prima della scadenza ….CS: Non è possibile, noi lasciamo un’ora di tem po … ed è sempre sufficiente!M: … .CS: In ogni caso non riuscirà ad allattarne due!M: …
Nel riflettere su questo episodio, è
necessario tenere presente che questa è
la vicenda come è stata vissuta dalla ma-
dre. Si deve essere ben consapevoli di
quanto differenti possano essere i vis-suti dei soggetti coinvolti, e di quanto
questi siano influenzati dalle caratteristiche
di personalità, dalla situazione.
Qui la madre si trova in una condizione
non certo ordinaria: ansie, stress, stan-
chezza, timori di essere inadeguata sono
lì a complicare il contesto in cui avviene
la relazione. Per altro non ci interessa
sapere se l’episodio sia avvenuto proprio
in questi termini, oppure sia il frutto del
racconto di una madre, che, per un nu-
mero indeterminato di ragioni, può aver
interpretato come aggressive le regole di
un reparto o i rifiuti di una puericultrice.
La componente soggettiva è parte costi-
tutiva della rappresentazione. Il livello di
distorsione della rappresentazione è varia-
bile dipendente dalle condizioni psichiche
della madre.
Quello che interessa qui è se questo
racconto possa dirci qualcosa sulle com-petenze relazionali, sull’intelligenzaemotiva, sulla relazione di aiuto.
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Il momento finale della comunicazione
con la capo sala risulta particolarmente
problematico. La frase - Non è possibile,
noi lasciamo un’ora di tempo … ed è
sempre sufficiente! - toglie legittimazione
alla realtà vissuta dalla madre. Potrà anche
essere vero che per tutte le altre madri,
fino a quel momento, quel tempo sia
stato sufficiente, ma non lo è per la madre
di Sandro e Luigi. Parlando con le madri,
durante i focus group, un dato che è
emerso con frequenza è quanto fosse
importante sentirsi comprese e credute
dal loro medico. Qui la realtà della madre
viene squalificata; e nel momento in cui
si fa un confronto con le altre, non si può
non accrescere un sentimento di inferiorità,
di inadeguatezza. Parole non empatiche,
che non aiutano. La frase preannuncia la
durezza della conclusione: In ogni caso
non riuscirà ad allattarne due! Frase inutile,
che esprime l’aggressività vissuta dalla
capo sala. Siamo di fronte ad una relazione
conflittuale, non di aiuto.
Quale è il compito della capo sala?
Certo far sì che il reparto funzioni con
ordine, secondo delle regole, tuttavia qui
lo sguardo sembra troppo orientato verso
l’istituzione, il reparto, l’organizzazione e
per nulla verso la paziente, la madre. Una
organizzazione orientata al servizio, quale
è il reparto di un ospedale, deve avere al
centro il paziente: non è il paziente che
deve adattarsi alla organizzazione, ma
viceversa.
E’ possibile però che la scarsa dispo-
nibilità della capo sala sia anche il frutto
di problemi organizzativi, che, è ben noto
a tutti, rendono molto frustrante il lavoro
per gli operatori sanitari: mancanza di
personale, elevato turn-over, carichi di
lavori eccessivi; da qui rigidità, tensioni,
demotivazioni. Sarebbe necessario inter-
rompere questa dinamica negativa, che
accrescendo i livelli di tensione, rende
anche meno efficace il proprio lavoro e
aumenta la demotivazione. La modalità
aggressiva della capo sala forse è anche
determinata dal non sapere fronteggiare
la richiesta della madre, quando sente di
non avere sufficiente spazio di cambia-
mento, per venire incontro alle sue richie-
ste. L’ansia fa chiudere rapidamente e
bruscamente la comunicazione.
Le competenze comunicative siadella puericultrice, che della capo sala,in questo caso, non sono brillanti. Nonc’è accoglienza, la modalità è imme-diatamente respingente: “non è possi-
bile, abbiamo troppi bambini da accudire
e dobbiamo rispettare i ritmi … Guardi è
proprio impossibile”. Parole che trasmet-
tono chiusura, non ascolto, non aprono
alla negoziazione di nuove possibilità.
L’episodio mostra uno scarso orientamento
alla soluzione di problemi, manca flessibi-
lità, e così la capacità di essere empatici,
o di controllare le proprie emozioni, come
l’attacco aggressivo finale.
Per quanto riguarda la puericultrice
qui emerge una comunicazione di chiusura
e respingente. Avrebbe anche potuto
colludere con la paziente, ad esempio,
rispondendo che effettivamente nel repar-
to le regole sono eccessive con danno
delle pazienti: “”Eh che vuole, qui le cose
vanno così, io lo dico sempre, ma non c’è
niente da fare””, esprimendo il suo per-
sonale malcontento, ma non avrebbe
aiutato la madre, svalutando il reparto.
Una modalità più adulta sarebbe stata
quella di ascoltare la paziente, rassicurarla,
fare presenti le difficoltà e le necessità
organizzative ed eventualmente offrirsi
per una possibile ricerca di una soluzione.
Il problema del caso non è il rifiuto, ma
la modalità aggressiva di come viene
espresso. Dire di no a qualcuno è molto
più impegnativo che dir di sì; richiede più
attenzione, più cura.
L’episodio può favorire molte altre
riflessioni, che qui non è possibile appro-
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fondire. Per una lettura più completa
divengono fondamentali i vissuti, le asso-
ciazioni, i ricordi, le amplificazioni che in
un lavoro di gruppo può suscitare il con-
frontarsi con un racconto come questo:
quando ci siamo sentiti come quella ma-
dre? Quante volte invece quella capo sala
così rigida si è risvegliata dentro di noi?
Cosa potremmo dirle? Non si tratta di
giudicare i protagonisti dell’ episodio, ma
di ritrovarli in noi. Parti che è importante
riconoscere e ascoltare, per poterle con-
tenere e moderare.
Giovanni ha 12 anni, da due settimane ha avuto diagnosi di diabete tipo 1 in seguito a cheto acidosi diabeticaed è stato ricoverato nel reparto di diabetologia pediatrica. Frequenta la prima media con buon rendimentoscolastico, ed è iscritto ad un centro sportivo con particolare impegno nel nuoto. I genitori sono persone dimedia cultura che sono ancora “sconquassati” dalla diagnosi formulata al figlio. Temono anche per la sorellinadi 7 anni.L’obiettivo della visita è quello di effettuare un controllo dell’andamento glicemico dopo le dimissioni.I genitori in sala d’aspetto sollecitano il rispetto dell’orario di visita, perché sono in ansia.La relazione non ha un buon avvio:
Madre: “Avevamo appuntamento più di mezz’ora fa, il bambino è stanco… si può sapere a che orapotremo entrare”Infermiera: “Signora appena sarà il suo turno la chiameremo, il medico è in ritardo con le visite”Madre: “I vostri orari sono sempre approssimativi…”Infermiera: sospira infastidita, ma non dice nullaFinalmente Giovanni e la madre entrano in ambulatorio, dove il medico li accoglie cortesemente.Medico: “Giovanni come stai?”Giovanni: “Mi sento abbastanza bene, sto imparando a misurare la glicemia, ma non voglio che i mieicompagni di scuola sappiano nulla…mi vergognerei troppo … chissà cosa penserebbero”Medico: “Ti capisco, ma con il tempo capirebbero…”Madre interrompendo: “Non è vero che Giovanni, sta bene, io lo vedo sempre stanco e pallido, io nonmi fido che a scuola sappiano intervenire”Giovanni: “Mamma io sto bene…non è vero che mi sento stanco…”Medico: “Signora non può lei sapere se suo figlio si senta stanco o meno…dia fiducia alle sue sensazioni…”Madre: “E’ un ragazzino..io non vivo più sono terrorizzata dalle ipoglicemie soprattutto notturne”Medico: “Vediamo di mettere ordine lei è troppo in ansia e rischia di trasmetterla a suo figlio…dal diariovedo troppe misurazioni delle glicemie…”Madre: “Come troppe misurazioni… Giovanni mangia di nascosto non l’ho mandato ad una serata congli amici in pizzeria perché so che mangerebbe cose che non vanno bene”Medico: “Deve fidarsi di più così confonde suo figlio, comunque le misurazioni non vanno male…ma nonsia così apprensiva non aiuta suo figlio ad accettare questa malattia…”Madre: “Lei continua a dirmi che sono apprensiva, non capisce…”Medico: “Vedo che non la convinco…comunque riduca i controlli, lasci che si muova e vada a nuoto ecomunque si tranquillizzi..il diabete è una malattia come un’altra e noi siamo sempre disponibili…”Madre: ….Medico: “Si metta d’accordo con l’infermiera per un appuntamento….ciao Giovanni”
In questo breve episodio colpiscono
in particolare due aspetti:
l’apprensione della madre
il fatto che il medico non si impegni
in una comunicazione –magari anche
direttiva, ma volta a fornire alcune chiare
e concrete indicazioni.
Sembra che il medico non “investa
energie” da un lato per comprendere
come sta Giovanni e che “rapporto” sta
cominciando a costruire con la malattia,
dall’altro per dare indicazioni che possano
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produrre nella madre la sensazione di
farcela ad affrontare la malattia del figlio.
E’ una madre difficile perché ansiosa
e in parte aggressiva, ma non sentiamo
negli interventi del medico comunicazioni
utili.
Si coglie il giudizio ”lei è troppo
ansiosa…” il medico coglie certamente
una verità, ma non dice nulla che possa
avere una valenza trasformativa.
La sensazione è quella di un colloquio
in cui gli interlocutori non “si prendono”
e il medico non appare sufficientemente
motivato.
Concludo questo articolo sul ruolo
dell’intelligenza emotiva nella relazione
di cura, sottolineando l’importanza e il
valore della riflessione intorno alla nostre
emozioni e proponendo alcuni brevi eser-
cizi di contatto riflessivo:
Quali capacità sto allenando oggi
con i pazienti?
Quali sono le emozioni più faticose
che sto provando oggi?
In quali capacità sto investendo tutto
me stesso?
Quali caratteristiche emotive hanno
le persone per me importanti?
Quale capacità emotiva che mi è più
difficile esercitare?
In quale parte del vostro corpo avver-
tite le sensazioni prodotte dalle emo-
zioni?
Le sensazioni prodotte dalle emozioni
nel mio corpo sono “…groppo in
gola…” “fumo negli occhi...”
Bibliografia
R. E. Boyatzis, D. Goleman, Essere leader, BUR 2002
Damasio A., L’errore di Cartesio. Emozione, ragione e cervello umano, Adelphi,
1995
Goleman D. Intelligenza Emotiva – Che cos’è, perché può renderci felici, Rizzoli,
1996
Goleman D. Lavorare con Intelligenza Emotiva, Rizzoli, 1998
TIPO 1 VERSO IL RADDOPPIO NEI BAM-BINI PICCOLI
L’incidenza del diabete di tipo 1 nei
bambini molto piccoli raddoppierà in poco
più di un decennio dal 2005 se le attuali
tendenze rimarranno invariate. Tali ten-
denze sono state riscontrate in Europa,
ma il fenomeno interesserà probabilmente
anche il resto del mondo occidentale.
Probabilmente la responsabilità del feno-
meno stesso è da attribuirsi ad esposizioni
ambientali ad elementi a tutt’ora scono-
sciuti. Il diabete di tipo 1 è molto meno
diffuso di quello di tipo 2, tranne in bam-
bini ed adolescenti. La più comune età
alla diagnosi della malattia si situa negli
anni dell’adolescenza, ma probabilmente
presto essa si sposterà verso l’età infantile.
E’ imperativo che gli sforzi profusi
nella sorveglianza del diabete nei giovani
continuino e si espandano, non solo per
comprendere la sua complessa eziologia,
ma anche per via dell’aumento della sua
importanza per la salute pubblica.
(Lancet online 2009, pubblicato il 28/5)
DIABETE: FENOFIBRATO RIDUCERISCHIO AMPUTAZIONI
L’uso di fenofibrato per la riduzione
dei grassi nel sangue nei soggetti con
diabete di tipo 2 potrebbe ridurre il rischio
di una prima amputazione correlata alla
malattia. Le amputazioni in questi soggetti
danneggiano in modo sostanziale la loro
qualità della vita ed impongono costi
elevati al sistema sanitario. I classici mar-
catori di rischio macrovascolare e micro-
vascolare sono associati alle amputazioni
degli arti inferiori nei soggetti con diabete
di tipo 2: il trattamento con fenofibrato
è associato ad una riduzione di questo
rischio, soprattutto per quanto riguarda
le amputazioni minori senza malattie dei
grandi vasi note, probabilmente tramite
meccanismi che non hanno a che fare
con i lipidi. Ciò potrebbe portare ad un
cambiamento del trattamento standard
per la prevenzione delle amputazioni nei
diabetici: l’uso dei fibrati indipendente-
mente dalla presenza di dislipidemie po-
trebbe ridurre in modo sostanziale morbi-
dità, mortalità e carico economico in questi
pazienti. Parte dei benefici del fenofibrato
potrebbero essere dovuti ad un migliora-
mento della guarigione delle lesioni: è
stato dimostrato infatti che i fibrati indu-
cono la differenziazione dei cheratinociti
e migliorano la barriera epidermica in vivo,
e questo effetto in particolare potrebbe
separare i fibrati dai molti agenti che finora
si sono dimostrati inefficaci in questo
ambito.
(Lancet. 2009; 373: 1740-1 e 1780-8)
sapevatelo
che A cura del Comitato Scientificocon il contributo di Angelo De Luca,infermiere AFD - U.O.C. di MalattieEndocrine del Ricambio e della NutrizioneS.O. di Lanciano ASL Lancianovasto -e.mail: [email protected]
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DIABETE, ISCHEMIA DELL’ARTOE RISCHIO AMPUTAZIONE
Nei pazienti diabetici con ischemia
critica degli arti, il rischio di mortalità o
amputazioni maggiori è considerevole.
Tuttavia, la riduzione del tasso di amputa-
zioni nei pazienti diabetici con piede dia-
betico ischemico è possibile con l’uso
estensivo della rivascolarizzazione tramite
bypass ed angioplastica periferica. Con
l’uso di entrambe le tecniche si giunge ad
una rivascolarizzazione del 95 percento
dei pazienti, mentre all’inizio degli anni
‘90 si poteva giungere solo al 25 percento.
Il tasso di amputazione peraltro è netta-
mente inferiore nei pazienti sottoposti a
rivascolarizzazione. Nel complesso, la chia-
ve per il trattamento efficace di questi
pazienti è l’approccio multidisciplinare: la
rivascolarizzazione ed una corretta cura
del piede possono migliorare la prognosi
del paziente e ridurre la necessità di ulte-
riori interventi. Le coronaropatie comun-
que rimangono la principale causa di
morte in questi casi, e pertanto è impor-
tante prestare attenzione al cuore e ricer-
care eventuali casi di ischemia silente per
migliorarne la sopravvivenza.
(Diabetes Care 2009; 32: 822-7)
DIABETE E ANOMALIE CARDIACHENELLE RAGAZZE
Le adolescenti con diabete di tipo 2
scarsamente controllato hanno maggiori
probabilità di presentare anomalie cardia-
che strutturali e funzionali rispetto alle
loro controparti sane o anche a quelle
con diabete di tipo 1. Ciò sottolinea il
rischio cardiovascolare potenzialmente
elevato del diabete di tipo 2 in età adole-
scenziale, un rischio che non si riscontra
nemmeno negli adolescenti in sovrappeso.
Le anomalie di più frequente riscontro
comprendono dilatazione o elevata massa
del ventricolo sinistro e dilatazione
dell’atrio sinistro. Se lasciate incontrollate,
è probabile che molte di queste anomalie
possano portare allo sviluppo di malattie
cardiovascolari conclamate.
(Diabetes Care 2009; 32: 883-8)
DIABETE TIPO 2, PANCREATITEE MALATTIE BILIARI
I pazienti con diabete di tipo 2 presen-
tano un rischio almeno triplicato di pan-
creatite e doppio di malattie biliari rispetto
alle loro controparti non diabetiche. Questi
elementi, se combinati all’incremento della
prevalenza del diabete e dei fattori di
rischio ad esso associati, potrebbero con-
tribuire ad un significativo aumento
nell’incidenza della pancreatite acuta. Per
quanto riguarda le patologie biliari, i pa-
zienti diabetici sono esposti particolarmen-
te al rischio di colelitiasi, colecistite acuta
e colecistectomia. Sia nel caso di queste
ultime che in quello della pancreatite,
comunque, i rischi maggiori riguardano i
pazienti più giovani.
(Diabetes Care 2009; 32: 834-8)
ARTERIOPATIE PERIFERICHE SPESSOSOTTODIAGNOSTICATE
Le arteriopatie periferiche sono spesso
sottodiagnosticate, anche nei pazienti con
cardiopatia ischemica nota già sotto cura
specialistica. Il fenomeno era già noto in
medicina di base, ma non era finora nota
la sua estensione nei pazienti con cardio-
patia ischemica. Esso è particolarmente
importante in questa popolazione con
l’età avanzata, il sesso femminile e la
presenza di altri fattori di rischio cardiova-
scolare tradizionali, ed inoltre la sua pre-
senza identifica un sottogruppo di pazienti
con forme di cardiopatia ischemica più
gravi. Di solito, le arteriopatie periferiche
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interessano un paziente su sei di questa
popolazione: andrebbero dunque imple-
mentati programmi di screening sistema-
tico in merito in tutti i pazienti con cardio-
patia ischemica.
(Catheter Cardiovasc Interv. 2009; 73:719-24)
DIABETE, GLICEMIA A DIGIUNOED HBA1C
La valutazione combinata di glicemia
a digiuno ed HbA1c è un mezzo efficace
per la previsione della comparsa di diabete
di tipo 2. Si tratta probabilmente anche
di una combinazione di marcatori mag-
giormente utile rispetto al test della tolle-
ranza al glucosio per via orale nella pratica
clinica, in quanto presenta vantaggi eco-
nomici ed è disponibile in modo quasi
ubiquitario. Sia la glicemia a digiuno che
l’HbA1c sono indipendentemente associa-
te al rischio di diabete, ma la loro combi-
nazione porta ad una maggiore precisione
predittiva, anche stratificando i pazienti
in base ai livelli glicemici a digiuno di base.
(Diabetes Care 2009; 32: 644-6)
DIABETE E TERMOREGOLAZIONENOTTURNA DEL PIEDE
La regolazione della temperatura del
piede nei pazienti diabetici con o senza
polineuropatia diabetica risulta significa-
tivamente danneggiata durante il sonno.
I pazienti con polineuropatia diabetica
hanno spesso problemi di sonno, ed è
stato dimostrato ora che presentano anche
anomalie della temperatura del piede.
Dato che è stato dimostrato anche che la
qualità del sonno dipende dalla normalità
della temperatura del piede, interventi
volti a normalizzarla, come ad esempio il
riscaldamento esterno, potrebbero miglio-
rare la qualità del sonno nei pazienti dia-
betici. I normali meccanismi omeostatici
del mantenimento della temperatura del
piede sono disturbati in questi pazienti, e
ciò potrebbe far sì che il piede rimanga
costantemente più freddo, il che potrebbe
predisporlo a danni ed al peggioramento
della neuropatia diabetica. Questi dati
suggeriscono nuovi meccanismi potenzial-
mente trattabili alla base dei dolori notturni
e dei disturbi del sonno associati al diabete.
(Diabetes Care 2009; 32: 671-6)
OBESITÀ, DIABETE ED ANOMALIEFETALI
La possibilità di identificare importanti
anomalie fetali tramite l’ecografia risulta
ridotta nelle donne gravide obese o dia-
betiche. Le donne diabetiche infatti sono
molto più colpite da questi problemi ri-
spetto alle altre, con una maggiore preva-
lenza di anomalie fetali ed un minor tasso
di rilevamento delle stesse: è possibile che
in questo fenomeno svolga un ruolo
l’obesità localizzata prevalentemente a
livello del tronco che caratterizza il diabete.
Alla luce di questi dati, potrebbe rendersi
necessario modificare le indicazioni da
fornire alle pazienti obese riguardo l’uso
dell’ecografia in gravidanza.
(Obstet Gynecol 2009; 113: 1001-7)
DIABETE: ASPIRINA RIDUCE RISCHIO
Sussiste un’associazione fra l’uso di
aspirina e la diminuzione del rischio di
sviluppare diabete di tipo 2. Gli studi
analitici sull’uso di aspirina ed altri FANS
ed il rischio di diabete nelle popolazioni
umane libere sono stati finora limitati, ma
è stato ora dimostrato che i soggetti che
fanno uso di un qualche tipo di aspirina
hanno un OR pari a 0,86 per lo sviluppo
del diabete rispetto agli altri. Da questa
correlazione comunque esulano tutti gli
altri FANS. La diminuzione del rischio di
diabete di tipo 2 può essere aggiunta alla
lista dei benefici clinici dell’aspirina, anche
se sono necessari ulteriori studi per inve-
stigare più a fondo questa associazione.
(Am J Med 2009; 122: 374-9)
DIABETE TIPO 1: COMUNELA DEPRESSIONE
La prevalenza della depressione e l’uso
di farmaci antidepressivi sono quasi rad-
doppiati nei pazienti con diabete di tipo
1 rispetto a quelli non diabetici. La depres-
sione è un fattore di rischio modificabile
il cui trattamento può migliorare il controllo
glicemico e gli esiti per la salute di questi
pazienti. In questo senso, lo screening
della depressione nei pazienti con diabete
di tipo 1 è di importanza vitale, soprattutto
in presenza di complicazioni. Il trattamento
della depressione dovrebbe essere accom-
pagnato da una valutazione prospettica
della sua efficacia nel miglioramento dei
sintomi relativi alla salute mentale tanto
quanto degli esiti per la salute relativi al
diabete stesso.
(Diabetes Care 2009; 32: 575-9)
DIABETE TIPO 2: SCALA RISCHIOGENETICO PREDICE RISCHIO
L’indice di rischio genetico (GRS), com-
binato con i fattori di rischio convenzionali
come il BMI e l’anamnesi familiare di
diabete, può aiutare ad identificare sotto-
gruppi di popolazione con un rischio molto
elevato di sviluppare diabete di tipo 2.
Allo sviluppo di questa malattia contribu-
iscono fattori sia genetici che ambientali:
diversi polimorfismi di singoli nucleotidi a
livello di diversi geni sono stati associati
al rischio di diabete, ed il GRS si basa su
10 di essi. Al momento attuale, comun-
que, il GRS non ha molto valore per lo
screening del diabete, in quanto le infor-
mazioni che aggiunge ai fattori di rischio
tradizionali sono molto limitate: ai fini del
miglioramento della sua utilità clinica
sarebbe necessaria una precisa mappatura
genica per l’individuazione della variante
causale. Aggiungere altri geni alla lista di
quelli considerati, comunque, avrebbe un
effetto molto lieve, in quanto nel GRS
sono già stati inclusi quelli più significativi.
Una via più proficua potrebbe essere quella
dello studio dell’interazione fra geni diversi
o fra geni e fattori ambientali: per esempio,
valori di GSR più elevati sono legati infatti
ad un rischio maggiore nei soggetti obesi.
Si potrebbero anche ricercare varianti
genetiche più rare: nonostante la loro
rarità, infatti, il loro effetto combinato
potrebbe essere sufficiente a giustificare
i fattori di rischio presenti nella storia
familiare attualmente non spiegati dalle
varianti più comuni.
(Ann Intern Med. 2009; 150: 541-50)
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TIPO 2: STRETTO CONTROLLO GLICE-MICO NON INDICATO?
Lo stretto controllo glicemico potrebbe
non essere l’optimum nei pazienti con
diabete di tipo 2. Alcune linee guida in
merito fissano dei livelli glicemici target
molto bassi per questi pazienti onde evitare
o ritardare la comparsa di complicazioni,
ma ciò carica il paziente di complessi
programmi terapeutici, ipoglicemia, au-
mento di peso e costi a fronte di benefici
al meglio incerti. Il medico dovrebbe invece
dare la priorità al supporto di benessere
e stile di vita sano, assistenza preventiva
e riduzione dei fattori di rischio cardiova-
scolare in questi pazienti.
Dato che il paziente diabetico è spesso
portatore di comorbidità, il medico do-
vrebbe evitare strategie di controllo glice-
mico che superino la capacità del paziente
di gestire la situazione a livello clinico,
psicologico ed economico: obiettivi ambi-
ziosi incentrati sulla malattia che richiedo-
no programmi terapeutici altamente com-
plessi e gravosi possono promuovere
frustrazione, mancata aderenza e stress
economico in alcuni pazienti.
Dato che non è possibile distinguere
in modo affidabile l’efficacia di diversi
medicinali per il diabete nella riduzione
delle complicazioni, la selezione del me-
dicinale andrebbe effettuata sulla base
del carico di somministrazione e degli
effetti collaterali.
(Ann Intern Med online 2009,pubblicato il 20/4)
DIABETE INFANTILE HA CONSEGUEN-ZE SUL SNC
Diversi possibili processi neuropatolo-
gici, fra cui gliosi, demielinizzazione ed
alterazioni dell’osmolarità, possono svilup-
parsi nei giovani pazienti con diabete di
tipo 1 12 anni dopo la diagnosi. Vi sono
solide basi in letteratura che legano cam-
biamenti fisiopatologici a carico del SNC
e deficit neurocognitivi al diabete di tipo
1 nell’adulto, e talvolta, ma non sempre,
a variabili specifiche della malattia quali
la sua durata o un’anamnesi di grave
ipoglicemia o iperglicemia cronica. Sono
state riportate difficoltà cognitive anche
nei bambini, ed in particolare in quelli in
cui la malattia insorge prima dei cinque
anni, ma ma gli studi neuroradiografici
sui giovani sono stati finora limitati, e la
comprensione dell’impatto del diabete di
tipo 1 sul neurosviluppo si basa ancora in
larga parte sulle inferenze effettuate dagli
studi neurocognitivi e dai dati neuroradio-
grafici relativi agli adulti.
E’ possibile che specifiche variabili
relative al diabete esercitino effetti diversi
sul SNC, ma l’incostanza delle associazioni
può anche riflettere difficoltà nell’ottenere
anamnesi affidabili e complete sotto il
profilo del controllo metabolico, comprese
le documentazioni sulle complicazioni del
diabete. Sono necessari ulteriori studi
multicentrici che prevedano la raccolta di
questi ed altri dati per comprendere pie-
namente la patogenesi dei cambiamenti
a carico del SNC nel diabete ad insorgenza
infantile.
(Diabetes Care 2009; 32: 445-50)
INFARTO: ININFLUENTE IPOGLICEMIASOTTO INSULINA
L’ipoglicemia di per sé non è una causa
di morte diretta nei pazienti infartuati
sotto insulina, ma piuttosto indica una
popolazione di pazienti il cui stato di salute
è peggiore. Anche se l’ipoglicemia è in
effetti associata ad un aumento della
mortalità, infatti, questo rischio è limitato
ai pazienti che la sviluppano spontanea-
mente, e non riguarda quelli trattati con
insulina. Il controllo glicemico sullo sfondo
dell’infarto è sempre stato oggetto di
preoccupazioni, in quanto a prescindere
dal protocollo applicato si giungerà co-
munque a produrre più casi di ipoglicemia,
e studi precedenti hanno suggerito che i
pazienti ipoglicemici presentino un mag-
gior rischio di mortalità. Tale rischio però
non riguarda i casi di ipoglicemia iatroge-
na. Ciò non suggerisce necessariamente
l’opportunità di implementare protocolli
di controllo aggressivo della glicemia nei
pazienti infartuati: è stato anzi recente-
mente suggerito che questo approccio
potrebbe anche essere dannoso.
(JAMA 2009; 301: 1556-64)
CIRCONFERENZA VITA E INSUFFICIEN-ZA CARDIACA
Una maggior circonferenza della vita
è associata all’insufficienza cardiaca nelle
donne di ogni livello di BMI, e sia la cir-
conferenza della vita che il BMI predicono
l’insufficienza cardiaca nell’uomo. L’obesità
è associata all’incidenza dell’insufficienza
cardiaca, ma la forza dell’associazione fra
quest’ultima ed il BMI diminuisce con
l’età. Nei pazienti di mezza età ed anziani,
di età compresa fra 43 ed 85 anni, sia
l’adiposità addominale che quella com-
plessiva risultano associate ai ricoveri ospe-
dalieri ed alla mortalità da insufficienza
cardiaca. Va comunque ricordato che nei
soggetti obesi sussiste il rischio della so-
vradiagnosi dell’insufficienza cardiaca a
causa della presenza di dispnea ed edemi
dovuti alla stessa obesità.
(Circ Heart Fail online 2009,pubblicato il 7/4)
OBESITÀ TRA GRAVIDANZE AUMENTARISCHIO CESAREO
Nelle donne con un’anamnesi di dia-
bete gestazionale, un eccessivo aumento
di peso fra una gravidanza e l’altra incre-
menta il rischio di un parto cesareo nella
gravidanza susseguente. E’ dunque estre-
mamente importante raccomandare a
queste pazienti variazioni dello stile di vita
atte a prevenire un eccessivo aumento di
peso, specie in considerazione del rischio
di esiti negativi sia per la madre che per
il bambino. Alcuni studi effettuati su donne
che non hanno mai sofferto di diabete
gestazionale hanno inoltre dimostrato che
anche in queste pazienti l’aumento di
peso al di fuori della gravidanza è collegato
al rischio di esiti negativi, quindi lo stesso
tipo di raccomandazione si adatta anche
a questa categoria di pazienti.
(Obstet Gynecol 2009; 113: 817-23)
CURE TERRITORIALI PER IL DIABETE
“La prevenzione del diabete, special-
mente per quanto riguarda le complicanze
della malattia, deve essere spostata sempre
di più dall’ospedale al territorio”. E’ la
ricetta formulata dal sottosegretario al
Welfare, Ferruccio Fazio, per combattere
questa patologia sempre più diffusa in
Italia e nel mondo. Il sottosegretario ha
indicato l’indirizzo da seguire durante il
‘Changing diabetes barometer forum’, in
programma ieri e oggi a Roma. Secondo
Fazio non bisogna abbassare la guardia
nei confronti del diabete ed è doveroso
proseguire lungo una strada di prevenzio-
ne ‘triplice’. “Quella primaria rappresentata
dalla correzione degli stili di vita sbagliati,
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quella secondaria condotta sui soggetti a
forte rischio e quella terziaria per le com-
plicanze della malattia”. Quest’ultimo
punto sta molto a cuore al sottosegretario.
“Abbiamo una grande esperienza profes-
sionale negli ospedali - spiega - dobbiamo
utilizzarla sempre di più sul territorio, con
interventi di assistenza capillari. L’ospedale
deve diventare un luogo dove il paziente
si reca sempre meno, solo per gli esami
davvero necessari. Per questo motivo dob-
biamo potenziare sempre di più la
territorialità”.
In questo momento nel nostro Paese
ci sono 650 centri di diabetologia, sia
ospedali che territoriali, eppure i pazienti
faticano a seguire le linee guida degli
esperti. “Ci sono molti fumatori - aggiunge
Fazio - tanti altri sono obesi. Dobbiamo
quindi applicare al diabetico quelle tecni-
che assistenziali in grado di prevenirne le
complicanze, migliorando l’adesione dei
soggetti al percorso diagnostico-
terapeutico. In questo senso - conclude -
è importante l’esempio del progetto
Igea”, condotto dal Centro nazionale di
epidemiologia, sorveglianza e promozione
della salute (Cnesps) dell’Istituto superiore
di sanità (Iss) su mandato del Centro na-
zionale per la prevenzione e il controllo
delle malattie (Ccm).
DoctorNews, 3 aprile 2009Anno 7, Numero 61
ALZHEIMER: COLESTEROLO E DIABETEACCELERANO DECLINO
Nei pazienti con morbo di Alzheimer
incidente, la concentrazione di colesterolo
totale ed LDL prima della diagnosi ed
un’anamnesi di diabete sono associate ad
un più rapido declino cognitivo. Per i pa-
zienti con questa patologia sono disponibili
poche opzioni terapeutiche in grado di
migliorare la prognosi: il controllo delle
patologie vascolari potrebbe essere un
modo di ritardare il decorso della malattia.
Benché già in precedenza i fattori di rischio
vascolari siano stati studiati in qualità di
fattori predittivi di morbo di Alzheimer,
pochi studi hanno valutato la loro influenza
sulla progressione della malattia. E’ stato
invece ora dimostrato che la prevenzione
o il trattamento dell’ipercolesterolemia e
del diabete potrebbero potenzialmente
rallentare il decorso del morbo di Alzheimer.
(Arch Neurol 2009; 66: 343-8)
DIABETE: NECESSARIOCOMPRENDERE L’AUTOGESTIONE
La comprensione delle barriere che
ostacolano l’autogestione del diabete
potrebbe aiutare gli operatori sanitari a
rafforzare il paziente. Il diabete rappresenta
una minaccia per la salute globale a causa
della sua prevalenza in rapida crescita:
nonostante la creazione di programmi di
gestione completi, i pazienti spesso non
sono in grado di ottenere gli esiti deside-
rati. I principali ostacoli all’autogestione
comprendono fattori psicosociali, fisici ed
ambientali che influenzano la variazione
del comportamento. Il medico potrebbe
implementare il processo favorendo il
supporto familiare per il raggiungimento
di obiettivi verosimili. Al contempo, migliori
sistemi assistenziali e riforme che favori-
scano l’efficienza e l’accessibilità econo-
mica e non delle cure sarebbero essenziali
per aiutare medico e paziente a giungere
a standard più desiderabili nella terapia
del diabete. La comprensione delle barriere
attualmente presenti rappresenta per il
medico il primo passo per aiutare il pa-
ziente a superarle: è necessario sviluppare
strategie per chiarire ed individualizzare
le linee guida terapeutiche, implementare
l’educazione continua, migliorare le capa-
cità comunicative e motivare il paziente
per ottenere i cambiamenti comportamen-
tali desiderati. In questo senso, il personale
infermieristico svolge un ruolo fondamen-
tale nell’ottenimento di un’assistenza
ottimale per il paziente.
(J Nurs Healthcare Chronic Illness.2009; 1: 4-19)
MONITORAGGIO GLICEMICO POSSIBI-LE PER 10 GIORNI
L’uso per 10 giorni di un sistema di
monitoraggio settimanale per la glicemia
appare affidabile, sicuro e pratico. Rispetto
ai sistemi di automonitoraggio domiciliare
con stick, gli apparecchi di monitoraggio
continuo mostrano una migliore perfor-
mance alla decima giornata di uso. Rispet-
to ai valori riscontrati con l’automonitorag-
gio, la performance dei sensori risulta
stabile lungo tutto il periodo di 10 giorni
di utilizzo, e non è stato riscontrato finora
alcun caso di infezione del sito di inserzio-
ne dell’apparecchio. Rimane a questo
punto da valutare l’impatto dell’uso per
10 giorni del sistema di monitoraggio
settimanale sull’HbA1c e sull’ipoglicemia.
(Diabetes Care 2009; 32: 436-8)
ARTRITE REUMATOIDE E DIABETETIPO 1
I soggetti con diabete di tipo 1 presen-
tano un aumento del rischio di una forma
specifica di artrite reumatoide, quella anti-
CCP positiva. Entrambe le malattie inoltre
risultano associate all’allele 620W del gene
PTPN22, il che suggerisce che questa va-
riante genica possa rappresentare una base
comune per la loro patogenesi. Si tratta
della prima volta che diabete di tipo 1 ed
artrite reumatoide vengono associati a
livello della popolazione generale:
l’identificazione di importanti mediatori
patologici condivisi è un obiettivo impor-
tante sia per la prevenzione delle malattie
che per lo sviluppo delle terapie.
(Arthritis Rheum 2009; 60: 653-60)
TIPO 2: RUOLO PREDITTIVO ANTAGO-NISTA RECETTORE IL-1
Elevati livelli dell’antagonista del recet-
tore dell’IL-1 (IL-1Ra), un inibitore naturale
dell’IL-1 beta, precedono l’insorgenza del
diabete di tipo 2. E’ stato dimostrato che
questo antagonista recettoriale migliora
la funzionalità delle cellule beta ed il
controllo glicemico nei pazienti con diabete
di tipo 2, ma la correlazione fra i suoi livelli
base e l’insorgenza del diabete non era
stata ancora esplorata. Quanto rilevato
lascia pensare che il fisico tenti di contra-
stare i disturbi proinfiammatori prima della
comparsa della malattia stimolando i mar-
catori antiinfiammatori, ma in alcuni casi
fallisca. Rimane da accertare se un’ulteriore
stimolazione di questa risposta antiinfiam-
matoria possa aiutare a prevenire o ritar-
dare la comparsa del diabete di tipo 2.
(Diabetes Care 2009; 32: 421-3)
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BMI ECCESSIVO AUMENTAMORTALITÀ
Un BMI al di sopra del range ideale
potrebbe causare un ampio incremento
nei tassi di mortalità. Le principali associa-
zioni fra BMI e mortalità complessiva e
specifica possono essere valutate al meglio
dall’osservazione prospettica a lungo ter-
mine di campioni molto abbondanti. Ben-
chè altri parametri antropometrici come
la circonferenza della vita ed il rapporto
vita-anca potrebbero aggiungere informa-
zioni significative al BMI, già il BMI in sé
stesso è un forte fattore predittivo di
mortalità sia al di sopra che al di sotto dei
22,5-25 Kg/m2. L’aumento progressivo
di mortalità al di sopra di questo intervallo
è dovuto principalmente a malattie vasco-
lari. Con 30-35 kg/m2 la sopravvivenza
media si riduce di due-quattro anni, e con
40-45 kg/m2 si riduce di otto-dieci anni,
il che è paragonabile all’effetto del fumo.
Al di sotto dei 22,5 kg/m2 l’aumento di
mortalità si deve eminentemente a malat-
tie collegate al fumo, e non è stato pie-
namente spiegato. In età adulta potrebbe
risultare più semplice evitare sostanziali
aumenti di peso che perderne una volta
che è stato accumulato. Evitando un ulte-
riore aumento da 28 a 32 kg/m2, un tipico
soggetto di mezza età guadagnerebbe
circa due anni di speranza di vita, che
diverrebbero tre in un soggetto giovane
che evita di passare da 24 a 32 kg/m2.
(Lancet online 2009,pubblicato il 18/3)
INFARTO: DIMINUIRE GLICEMIAAUMENTA SOPRAVVIVENZA
I pazienti con infarto acuto ed ipergli-
cemia al momento del ricovero ospedaliero
il cui livelli glicemici scendono fino alla
normalità durante la degenza hanno mag-
giori probabilità di sopravvivenza: tale
probabilità non differisce fra coloro che
hanno fatto uso di insulina e coloro in cui
il processo è avvenuto spontaneamente.
L’iperglicemia è comune nei pazienti con
infarto miocardico acuto, ed è nota la sua
associazione con esiti negativi quali mor-
talità o complicazioni intraospedaliere,
ma non era invece noto se la prognosi
dei pazienti che riescono a normalizzare
la glicemia in ospedale andasse incontro
a miglioramenti. I risultati ottenuti comun-
que non escludono la possibilità di un
ruolo dell’insulina nella prognosi del pa-
ziente: essi semplicemente dimostrano
che la prognosi è probabilmente determi-
nata dalla glicemia.
(Arch Intern Med 2009; 169: 438-46)
DIABETE TIPO 2: RESISTINA AUMENTARISCHIO
L’ormone noto come resistina, secreto
dal tessuto adiposo, risulta debolmente
associato ad un aumento del rischio di
diabete di tipo 2. L’associazione osservata,
più solida nelle donne che negli uomini,
può essere in gran parte spiegata dai livelli
di marcatori infiammatori o di adiposità.
Probabilmente il dosaggio della resistina
non può aggiungere molto valore predittivo
per l’identificazione dei soggetti ad alto
rischio di diabete di tipo 2, in quanto
l’associazione è troppo debole. Stando alla
ricerca di base, la resistina svolge un ruolo
fondamentale nella cascata molecolare che
conduce dall’adiposità all’insulinoresistenza,
e pertanto potrebbe trattarsi di un marca-
tore potenzialmente utile per rilevare lo
sviluppo del diabete di tipo 2, ma finora
nell’uomo la cosa non era ancora stata
accertata per via di dati limitati e risultati
incostanti. Benché il valore predittivo della
resistina sia scarso, è stato confermato il
suo ruolo di tramite fra l’obesità e la pato-
genesi del diabete di tipo 2: il suo ruolo è
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mediato dalla cascata dell’infiammazione,
ma i fattori di regolazione e gli effettori
specifici coinvolti rimangono da chiarire.
(Diabetes Care 2009; 32: 329-34)
DIABETE E INFARTO: INSULINAPRANDIALE E BASALE ALLA PARI
Trattare i sopravvissuti diabetici ad un
infarto miocardico con una strategia insu-
linica prandiale o basale porta agli stessi
livelli di HbA1c, senza alcuna differenza
nel rischio di eventi cardiovascolari. Fra i
soggetti con diabete di tipo 2, quelli con
un’anamnesi di infarto presentano un ri-
schio particolarmente elevato di ulteriori
eventi cardiovascolari: la maggior prevalen-
za dei classici fattori di rischio cardiovasco-
lare in questi soggetti spiega solamente in
parte l’incremento del rischio cardiovasco-
lare associato al diabete. L’iperglicemia
cronica incrementa questo rischio, e quella
postprandiale è stata associata alle malattie
cardiovascolari indipendentemente
dall’HbA1c o dalla glicemia a digiuno.
Nessuno dei due regimi insulinici proposti
tuttavia risulta pienamente soddisfacente
nel raggiungere i livelli glicemici prefissati.
Sarebbe interessante verificare se i risultati
sarebbero gli stessi aggiungendo altri far-
maci ipoglicemizzanti al regime, oppure
con nuovi farmaci che riducono più effica-
cemente la glicemia postprandiale, come
gli agonisti del GLP-1 o i DPP-4-inibitori.
Benché non sia ancora certo se
l’iperglicemia postprandiale sia davvero un
fattore di rischio di malattie cardiovascolari,
probabilmente implementare nella pratica
clinica strategie volte a diminuirla sarebbe
una buona scelta terapeutica, in quanto
sembra il miglior approccio per raggiungere
i valori raccomandati di HbA1c, il che è
sempre positivo per il paziente.
(Diabetes Care. 2009; 32:381-6 e 521-2)
STEATOSI, INSULINORESISTENZA EDIFFERENZE ETNICHE
Sono state riscontrate differenze etni-
che in campo di steatosi epatica non alco-
lica ed insulinoresistenza. La steatosi epatica
non alcolica è costituita da uno spettro di
patologie definite dall’accumulo anomalo
di trigliceridi nel fegato, ed era già stato
precedentemente dimostrato che i soggetti
ispanici ne sono meno a rischio rispetto
agli afroamericani, nonostante il fatto che
in questi due gruppi etnici la prevalenza
dei fattori di rischio sia simile. Il grasso
intraperitoneale è connesso al contenuto
epatico in trigliceridi, a prescindere
dall’etnia: la diversa prevalenza della stea-
tosi epatica fra i vari gruppi è associata a
differenze simili nell’adiposità viscerale. La
risposta metabolica all’obesità ed
all’insulinoresistenza negli afroamericani
differisce da quella negli ispanici e nei
caucasici: gli afroamericani risultano più
resistenti sia all’accumulo di trigliceridi nel
compartimento viscerale addominale che
a l l ’ i pe r t r i g l i ce r idemia a s soc i a ta
all’insulinoresistenza. Molti degli sconvol-
gimenti nel metabolismo lipidico tipicamen-
te associati all’insulinoresistenza non sono
presenti negli afroamericani: una possibile
spiegazione potrebbe consistere nel fatto
che il fenotipo insulinoresistente sia una
funzione dell’organo che contribuisce pri-
mariamente alla riduzione della sensibilità
all’insulina, oppure una funzione dell’abilità
di espandere il tessuto adiposo sottocuta-
neo in risposta alla sovranutrizione. Sono
necessari comunque ulteriori studi per
stabilire quali siano le basi del paradosso
dell’insulinoresistenza.(Hepatology. 2009; 49: 791-801)
OBESITÀ PERICOLOSA QUANTO IL FU-MO NELL’ADOLESCENZA
L’obesità negli adolescenti conferisce
lo stesso rischio di morte prematura in età
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adulta di fumare più di 10 sigarette al
giorno, ed anche l’eccesso di peso ha un
profilo di rischio paragonabile a quello di
un’abitudine al fumo meno intensiva.
Benché il fumo sia già un problema im-
portante nelle regioni in via di sviluppo,
l’obesità sta divenendo tale in tutte le
zone del mondo tranne le più povere:
nonostante ciò, gli effetti combinati sulla
mortalità associata a questi due fattori di
rischio e la loro interazione nelle fasi tardive
dell’adolescenza non sono noti. In base
a quanto ri levato, a prescindere
dall’abitudine al fumo, eccesso di peso
ed obesità in queste fasi incrementano il
rischio di mortalità in età adulta. Non sono
state comunque osservate interazioni fra
BMI ed abitudine al fumo. L’epidemia
globale di obesità ed il fumo in età ado-
lescenziale rimangono target importanti
per iniziative mirate a livello di sanità
pubblica.
(BMJ online 2009, pubblicato il 25/2)
DIABETE NEONATALE: IPERGLICEMIAPEGGIORA IL QUADRO
In base a quanto osservato in un mo-
dello animale, l’iperglicemia contribuisce
alla progressiva diminuzione della secre-
zione di insulina nel diabete neonatale.
Questa forma di diabete interviene quando
una mutazione nei canali K-ATP li rende
insensibili all’ATP: è stata dunque dimo-
strata una forma secondaria precedente-
mente sconosciuta di progressione della
malattia, la cui comparsa è probabile in
assenza di uno stretto controllo. Ciò ha
implicazioni dirette per la terapia di queste
forme di diabete: si rende dunque neces-
sario un controllo glicemico aggressivo,
in quanto il diabete sistemico conduce
alla perdita di cellule beta.
(Cell Metabolism 2009; 9: 140-51)
GRASSO ADDOMINALE INGRAVIDANZA
Le donne con un’anamnesi di pre-
eclampsia o di parto di bambini piccoli
per l’età gestazionale presentano un an-
damento di accumulo del grasso che è
associato ad un aumento del rischio di
malattie cardiovascolari. Questo rischio
potrebbe essere parzialmente dovuto
all’accumulo di grasso nella regione ad-
dominale al di sopra dell’anca, anche nelle
donne con un BMI nei limiti normali. In
presenza delle complicazioni di cui sopra,
queste pazienti dovrebbero essere avvertite
del proprio rischio di malattie cardiovasco-
lari e diabete, ed essere sottoposte a
controlli ad intervalli regolari (ad esempio
di cinque anni) che includano valutazioni
di pressione e glicemia. Attualmente si
stanno studiando le eventuali alterazioni
endocrine associate all’obesità addominale
in queste donne, alterazioni che potreb-
bero essere alla base dell’associazione.
(BJOG 2009; 116: 442-51)
ICTUS: FATTORI COMPORTAMENTALIPREDICONO INCIDENZA
La combinazione di quattro fattori
comportamentali correlati alla salute è in
grado di predire una differenza più che
doppia nell’incidenza dell’ictus in ambo
i sessi. Fattori relativi allo stile di vita come
fumo, attività fisica e dieta influenzano il
rischio di malattie cardiovascolari, com-
preso l’ictus: è stato confermato che la
combinazione di fumo, attività fisica, as-
sunzione di alcool e di frutta e verdura
esercita un’influenza significativa sul rischio
di ictus. Anche piccole differenze nello
stile di vita possono dunque avere un
impatto potenzialmente sostanziale su
questo rischio. L’associazione fra il rischio
di ictus e questi elementi risulta costante
fra popolazioni diverse, e permane sia
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negli studi osservazionali che in quelli
randomizzati: preoccupa però la scarsità
di soggetti che adottino uno stile di vita
che protegga dall’ictus. Benché gli inter-
venti sullo stile di vita possano essere di
grande beneficio, è necessario un cambia-
mento radicale nel comportamento di
molti pazienti per ottenere dei risultati.
(BMJ online 2009, pubblicato il 20/2)
CALORIE IN AUMENTO NELLE RICETTECLASSICHE
In diversi piatti classici, il contenuto
calorico è aumentato progressivamente
nel corso del tempo, e forse sarebbe op-
portuno porre degli argini a questo feno-
meno. E’ infatti necessario limitare le
dimensioni delle portate ed il contenuto
calorico di questi piatti onde contrastare
l’epidemia di obesità in costante diffusione.
Benché le ricette di queste pietanze siano
rimaste invariate nel tempo, gli ingredienti
utilizzati nella loro preparazione sono
invece cambiati, ed il cambiamento è stato
sempre a favore di ingredienti più calorici.
Il problema delle dimensioni delle porzioni
comunque è comune a tutti i cibi: è stato
dimostrato che l’uomo tende ad ingerire
ciò che gli viene presentato di fronte, a
prescindere dalle proporzioni ed in parte
anche dall’appetito, e benchè si tratti di
un meccanismo utile da sfruttare per
incrementare l’apporto di nutrienti parti-
colarmente utili, come frutta e verdura,
esso è invece del tutto deleterio in altri
casi, come ad esempio per quanto riguarda
i dolci.
(Ann Intern Med 2009; 150: 291)
RETINOPATIA DIABETICAE CALLICREINA PLASMATICA
La callicreina plasmatica media la per-
meabilità vascolare retinica stimolata dai
recettori dell’angiotensina AT1. La som-
ministrazione sistemica di un innovativo
inibitore micromolecolare della callicreina
plasmatica potrebbe migliorare la perme-
abilità vascolare nella retina dei soggetti
ipertesi. L’inibizione del sistema renina-
angiotensina potrebbe essere di beneficio
anche per la retina dei diabetici normotesi.
Sono comunque necessari altri dati per
caratterizzare gli effetti dell’inibizione della
callicreina plasmatica su altre cascate che
contribuiscono all’incremento della per-
meabilità vascolare retinica, come anche
per accertare il ruolo della callicreina in
altre funzioni della retina: potrebbe sussi-
stere anche un rapporto fra il sistema
callicreina-chinina ed il fattore di crescita
endoteliale vascolare nei diabetici.
(Hypertension 2009; 53: 175-81)
DIABETE: SINDROME METABOLICAPIÙ COMUNE NEL TIPO 2
La prevalenza della sindrome metabolica
è significativamente più elevata nei pazienti
con diabete di tipo 2 che in quelli con la
forma autoimmune della malattia.
Quest’ultima comprende sia il diabete di
tipo 1 che quello ad insorgenza in età
adulta non richiedente insulina, indicato
anche come diabete autoimmune latente
ad insorgenza adulta (LADA). Il LADA è
associato a geni HLA, autoanticorpi specifici
e riduzione della secrezione di insulina.
Utilizzando o meno la glicemia come varia-
bile, le componenti individuali della sindro-
me metabolica sono presenti con frequenza
simile nei pazienti con diabete di tipo 1 ed
in quelli con LADA, ma in entrambi i casi
sono più rare rispetto a quanto osservato
nei soggetti con diabete di tipo 2. Non vi
sono comunque prove del fatto che la
prevalenza della sindrome metabolica sia
diversa nei soggetti con diabete autoimmu-
ne rispetto a quelli normali.
(Diabetes Care 2009; 32: 160-4)
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a cura del Direttore della Scuola di Formazione OSDI
scuoladiformazionepermanenteOSDI
DirettoreRosanna Toniato
tel 3472584730
e-mail: [email protected]
Vice direttoreElisa Bellini
Consiglieri
Maria Teresa Branca
Laurenzia Ferriani
Giovanna Guareschi
Ida Innocenti
Rosetta Nocciolini
SCUOLA DI FORMAZIONEPERMANENTE OSDI
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da quest’anno la scuola formatori OSDI ha una nuova direzione.
Come da regolamento interno i membri del direttivo della Scuola sono stati nominati
dallo staff formatori della Scuola OSDI tra i progettisti formatori esperti.
Il nuovo direttivo Scuola è così composto:
E ora?Dobbiamo prima di tutto:
• Garantire la manutenzione e l’imple-
mentazione del SGQ
• Revisione del manuale e delle procedu-
re: luglio 2009
• Riesame della direzione luglio 2009
• Prossima visita ispettiva 10 ottobre 2009
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Negli articoli precedenti della rivista
sono già state illustrate le varie tappe che
hanno portato alla realizzazione del pro-
getto Scuola e alcuni contenuti didattici
e scientifici che fanno parte del percorso.
A proseguimento degli articoli pubbli-
cati nei numeri precedenti, continueremo
la pubblicazione di articoli contenenti
argomenti utili sia ai formatori e ai pro-
gettisti della Scuola sia a tutti i soci. L’idea
è che con il passare dei vari numeri creare
un vademecum utile a tutti.
In questo numero verrà trattato
“Come si prepara una lezione”, argomen-
to utile a tutti, in particolare per chi è
chiamato a fare una relazione a un corso
o ad un congresso. Nel prossimo numero,
a continuazione di questo “Come si pre-
para una presentazione in power-point”.
Al momento sono stati programmati diversi corsi con numerose edizioni,
alcune già svolte, nelle diverse regioni italiane. Da sottolineare che le edizioni
già svolte, hanno tutte raggiunto gli obiettivi formativi previsti, sono state molto
apprezzate dai vari partecipanti ed in particolare ha avuto un riscontro molto
positivo la metodologia didattica usata, sono stati molto apprezzati i lavori di
gruppo, il confronto e l’interattività.
Nel sito dell’OSDI (www.osdi.it) si possono vedere i grafici di gradimento
dei vari corsi.
CORSI PREVISTI NEL 2009
Eventi Scuola
Corso base “formazione formatori” che si terrà a San Gimignano dal 7 all’11 novembre 2009.
Possono fare regolare domanda tutti i soci OSDI iscritti da almeno 3 anni utilizzando l’apposito
modulo che potrete trovare nel sito dell’OSDI: www.osdi.it.
Solitamentemi ci voglionotre settimane
per preparare un validodiscorso improvvisato
Mark Twain
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COME SI PREPARAUNA LEZIONE
Il relatore sale sul palco, estrae dalla
tasca un po’ di fogli e: “gentili signore,
egregi signori - esordisce dopo un colpet-
to di tosse – vi ringrazio per essere inter-
venuti a questo incontro, nel quale
cercherò di portare un contributo parlan-
dovi di ….”
Sobrio, lineare non c’è che dire. Però
ci si poteva aspettare un po’ di più. Possi-
bile che non si riesca ad iniziare un discorso
in maniera un po’ più brillante, più sim-
patica, più coinvolgente?
Di sicuro non è facile! Che fare allora?
Con questo articolo vorrei fornire ai
lettori della rivista una guida per imparare
a preparare una relazione a un corso o
a un convegno e come riuscire ad espri-
mere concetti in manera socrrevole e
comprensibile dal maggior numero delle
persone.
Un convegno è, in realtà, unarappresentazione, uno spettacolo
e spesso ha dei pessimi attoriche recitano pessimi testi
1. regola: Essere preparatiAnche gli oratori più esperti, nel mo-
mento in cui devono affrontare una platea,
l’emotività si manifesta in modo evidente:
per ovviare, o per cercare di diminuire la
tensione, bisogna prepararsi.
2. regola: Prima di iniziare la pre-parazione del discorso chiedersi:
• Conosco a sufficienza l’argomento?
• Ho sufficiente tempo per prepararmi?
• Credo nelle cose che intendo dire?
3. regola: Prima di iniziare la pre-parazione porsi queste domande:
• Qual è l’argomento?
• Quali sono gli obiettivi di questa
presentazione?
• A chi ci si rivolge?
• Quanto tempo dura l’esposizione?
• Quali sono i mezzi di cui dispongo?
4. regola: evitare di leggere untesto.
Per molte persone l’esperienza di par-
lare in pubblico si risolve nella lettura di
un testo. Anche se tale prassi può essere
un modo per trarsi d’impaccio di fronte
a un fatto sofferto, non è comparabile
a quanto si intende per parlare in pub-
blico.
Parlare in pubblico significa comuni-
care. Lo scopo di ogni comunicazione è
quello di ottenre una risposta, ossia una
reazione.
Nessuno dovrebbe leggere il testo del
proprio intervento. Il risultato di un testo
letto è fiacco, il pubblico si innervosisce.
Ognuno degli intervenuti avrebbe potuto
leggerselo da solo.
Il testo scritto deve essere come
l’ancora di salvezza da usare in caso in cui
si sia colti da una crisi di panico. Capita
a tutti: la gola secca, le mani sudano, la
mente si rifiuta di seguire un filo logico,
manca la parola.
Avere perciò in tasca una traccia scritta
è sempre una sicurezza, leggere è meglio
che rimanere a bocca chiusa.
Non leggere dunque, ma neanche
imparare a memoria perché c’è sempre il
pericolo di un vuoto di memoria.
5. regola: conoscere il contesto
Il bravo oratore non pronuncia mai
un discorso al di fuori del contesto che lo
accoglie. Il contesto è il pubblico cui ci si
rivolge, dall’occasione in cui si parla e dal
luogo nel quale il pubblico e relatore si
incontrano.
Parlare in pubblico vuol dire prima di
tutto parlare per un pubblico. Per essere
adeguati al contesto quindi è necessario
preparare il discorso sapendo a chi è rivol-
to, conoscendo le attese nei confronti del
relatore e del suo intervento e soprattutto
conoscendo i bisogni che dovrebbero
essere soddisfatti.
Ovviamente, non serve conoscere per-
sonalmente ogni partecipante, bensì serve
conoscere il gruppo al quale ci si rivolgerà.
Un conto è preparare un discorso per un
gruppo di operatori sanitari, un conto è
prepararlo per i pazienti.
Per conoscere il pubblico basterà farsi
alcuni semplici domande:
- è un gruppo omogeneo?
- le persone partecipano in modo
spontaneo o sono costrette?
- qual è il livello di preparazione?
- quale aspetto si deve puntare?
- quale potrà essere l’utilizzo che il
pubblico farà di quando gli si dirà?
Partendo dalle risposte ricevute, nel
costruire il proprio discorso, ci si concen-
trerà di più su uno deglia spetti del tema
da affrontare, piuttosto che tentare
l’impossibile.
L’occasione in cui si parla
E’ importante conoscere il luogo: un
conto è parlare in una sala che contiene
mille persone, un conto è invece parlare
in una che ne contiene trenta. Il compor-
tamento sarà completamente diverso: la
mimica facciale, la gestualità e il livello di
voce.
COME PREPARARE UNA LEZIONE OUN DISCORSO
Da quanto detto finora, per praparare
un discorso non si intende scrivere un
testo che verrà poi letto davanti a un
pubblico. Quello che va preparato è un
progetto di esposizione: preparare cioè
“una traccia”, un proprio canovaccio.
Invece di scrivere un testo e memoriz-
zarlo, organizzare le idee secondo schemi
precisi ai quali poi fare riferimento.
Uno dei sistemi più efficaci è quello
di crearsi una mappa mentale: uno schema
che, partendo da un concetto fondamen-
tale si sviluppa a grappolo in concetti
primari, concetti secondari e concetti
marginali.
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Il contesto • pubblico • occasione • luogo
UN DISCORSO È COMEUN VIAGGIO IN AEREO:
ha un decollo,una fase di voloe un atterraggio.
Quattro sono gli obiettivi darealizzare nei primi minuti:
• Costruire la vostracredibilità
• Catturarel’interesse dellaplatea
• Sintonizzarvi conl’uditorio
• Creare un am-biente favorevole
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Da un punto di vista tecnico si possono
distinguere quattro fasi:
1a fase: creare una scaletta.
S i può cominc ia re con un
“brainstorming” in cui liberare la mente
e far emergere tutte le idee, le si annotano
e si selezionano dando un ordine logico.
2a fase: scegliere da dove comin-ciare.
E molto importante saper iniziare bene
il proprio intervento. In realtà è molto
importante non solo inziare bene il discor-
so, ma anche cominciare bene la relazione
con il proprio pubblico.
Se l’inizio è convincente, accogliente,
allora la relazione sarà tutta in discesa.
Altrimenti si tradurrà in un percorso in
salita.
Alcuni oratori hanno l’abitudine di
rompere il ghiaccio con una battuta di
spirito, questo metodo può destare qual-
che perplessità e c’è il pericolo che la
battuta possa essere scontata e non de-
stare simpatia e può addirittura essere
fuori luogo.
Una tecnica che funziona potrebbe
essere quella di raccontare una curiosità
o un aneddoto sulla propria infanzia, che
possa suscitare partecipazione e identifi-
cazione con l’uditorio. Fondamentale co-
munque è capire e interpretare chi ci sta
di fronte.
Subito dopo, dopo un breve ringrazia-
mento nei confronti dei “padroni di casa”,
sia del pubblico, un buon modo per co-
minciare è quello di dichiarare lo scopoche si intende raggiungere con il pro-prio discorso.
Tale brevissima premessa ha il me-
rito di fare il punto della situazione e
dà la sensazione in chi ascolta di un
dialogo, di una relazione già comincia-
ta prima.
3° fase: mettere a punto la partecentrale del discorso.
E’ la fase più importante perché è
qui il nucleo del discorso e ciò che vo-
gliamo esprimere. Naturalmente è fon-
damenta le conosce re a fondo
l’argomento, senza mai avventurarsi in
terreni poco familiari.
Una volta inziato il discorso, bisogna
tener conto delle soglie di attenzione:
nei primi dieci minuti, chi ascolta è al
massimo dell’attenzione. Inevitabilmente
però questa scema con il passare dei
minuti.
Superati i 45 minuti, la maggior parte
di coloro che hanno ascoltato fino al
quel momento, starà pensando ai fatti
suoi.
4° fase: la chiusura del discorso
Deve essere br i l l ante come
l’apertura, le persone tendono a ricor-
dare gli inizi e le conclusioni per gli
effetti suscitati.
La conclusione deve includere:
• Un riassunto del contenuto principale
del discorso.
• Alcune proposte o soluzioni
• Il chiarimento dei dubbi.
• Sottolineatura degli argomenti trattati
• Caloroso ringraziamento alla platea
NELLA FASE DI VOLOesponi la tua tesi,sostenendolacon esempi,citazioni, dati.
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Come esporre
Nel preparare l’esposizione bisogna
sempre tenere presente che le parole
colpiscono meno degli altri linguaggi e
che quindi non bisogna affidarsi solo ed
esclusivamente ad esse.
Tenedo presente che l’efficacia comu-
nicativa delle parole è pari soltanto al 7%
del totale e che invece il lunguaggio para-
verbale, ossia i toni di voce, corrisponde
al 38% e il non verbale al 55%, bisogna
prevedere l’uso di più linguaggi contem-
poraneamente se si vuole che il messaggio
venga afferrato dal pubblico.
Spesso infatti, il destinatario più da
ciò che si dice è colpito di più da comelo si dice. Se si pensa anche alla vita
quotidiana risulta evidente questa verità:
la reazione avuta ascoltando una frase
non è causata da ciò che le parole asseri-
vano ma da come esse venivano dette.
Questo accade anche in una conferenza:
chi ascolta reagisce più che al contenuto
informativo, a come tale contenuto viene
esposto.
Allo stesso modo sarebbe opportuno
far focalizzare l’attenzione del pubblico
su alcune parole e/o frasi piuttosto che
su altre meno importanti. Per far ciò si
possono usare delle sottolineature per
indirizzare l’ascolto verso gli aspetti di
maggiore importanza. Saranno i linguaggi
para-verbale e non verbale a rendere le
sottolineature al momento dell’espo-
sizione.
Le sottolineature potranno essere rese
grazie a:
• un cambiamento del tono di voce
• una piccola pausa prima della parola
che si vuole … sottolineare
• un gesto della mano
• un movimento del corpo
• proiezione di una diapositiva
Più si è in grado di focalizzare
l’attenzione su alcuni concetti chiave più
si amenterà la comprensione complessiva
dell’intervento e più la partecipazione da
parte dei partecipanti.
A quali parole affidarsi?
E’ auspicabile evitare parole astratte e
difficili, usare invece il più possibile un
linguaggio di uso quotidiano con frasi
brevi. Può aiutare moltissimo l’uso di esempi
vicini al vissuto dei partecipanti e far uso
a parole che possono evocare immagini e
che creino analogie e/o metafore.
Per tenere sveglia l’attenzione si può
ricorrere a vari espedienti, come quello
delle domande retoriche: chi ascolta si
sentirà chiamato in causa in prima persona
e darà la risposta.
I materiali di supporto
Come detto prima, parlare in pubblico
significa comunicare con il pubblico e
che l’efficacia comunicativa data dalle
parole passi solo per il 7% del totale. E’
importantissimo quindi preparare bene e
con cura i materiali di supporto che devono
comunque essere di supporto e non so-
stituirsi all’oratore.
ATTERRAGGIORiassumere inmodo sintetico levarie fasi del discorso, ribadire i concettichiave e suggellare l’intervento con unafrase ad effetto che si ricolleghi e sod-disfi gli interrogatvi posti dal titolodell’incontro
L’efficacia comunicativa: • 7% linguaggio verbale • 38% linguaggio paraverbale • 55% linguaggio non verable
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Bisognerebbe infatti evitare:
• riciclare di volta in volta quello preparato
per un altro corso e/o convegno
• caricarli di informazioni
• non renderli facilmente visibili
• farli tanto affascinanti che finiscono per
deviare l’attenzione del pubblico dal
relatore ai materiali stessi.
Il giusto equilibrio da trovare sta nel
preparare dei materiali che siano di sup-
porto sia a chi parla sia per chi ascolta.
Non devono contenere la relazione ma
alcuni punti su cui l’oratore vuole porre
l’accento.
Utili in alcuni casi possono essere delle
immagini che traducono con una metafora
ciò che l’oratore sta dicendo. Sia che la
diapositiva contenga un’immagine sia che
contenga una parola chiave, aiuterà il
relatore a portare avanti il discorso, sia il
pubblico a fissare l’attenzione su alcuni
concetti (evidenziati proprio dalle parole
chiave e/o dalle immagini). Se invece la
diapositiva trascrive il testo della relazione,
l’attenzione del pubblico si concentrerà
sulla diapositiva che dovrà essere letta e
capita a discapito di quanto il relatore
starà dicendo.
In altre parole, il relatore non deve
fare in modo che l’attenzione del pubblico
sia sul materiale di supporto ma deve fare
in modo di tenere sempre l’attenzione
rivolta su quanto sta dicendo. Necessario
inoltre che il contatto visivo con i parteci-
panti non venga mai meno, il relatore
non deve concentrare lo sguardo sulle
diapositive ma tenere sempre la sua at-
tenzione rivolta ai partecipanti, proprio
per poter cogliere i feedback che da essi
provengono.
Quindi evitare di dare le spalle al pub-
blico per guardare i propri materiali di
supporto.
In definitiva, un materiale di supporto
mal preparato è più dannoso che essere
d’aiuto.
Come parlare?
Come abbiamo detto prima la comu-
nicazione passa anche con il linguaggio
del corpo; nel parlare in pubblico è parti-
colarmente importante saperlo utilizzare
in modo da potenziare l’efficacia del pro-
prio discorso.
La tensione infatti può provocare dei
cattivi comportamenti, dei quali non ci
rendiamo conto, che possono distrarre
l’uditorio e pregiudicare il livello della
comunicazione.
Ci sono oratori che inconsapevolmen-
te si muovono avanti e indietro o se ne
stanno immobili come statue, si passano
le mani tra i capelli, controllano il nodo
della cravatta con regolarità esasperante;
scuotono chiavi o spiccioli dentro le
tasche. Ecco alcuni suggerimenti per
migliorare dall’inizio l’impatto con il
pubblico:
– ricordarsi di svuotare le tasche prima
di cominciare a parlare;
– parlare di preferenza stando in piedi
ben illuminato e al centro del palcosce-
nico poiché questa posizione consente
di essere visti e sentiti meglio;
Evitare di:
– stare immobili o posture troppo formali
– con le braccia conserte o con le mani
in tasca
– sedersi sul tavolo, può generare inter-
pretazioni sbagliate
– usare un tono unico e costante
– fissare il pubblico negli occhi, è impor-
tante stabilire un contatto visivo guar-
dando negli occhi gli ascoltatori, ma
non deve essere insistente. Tutti devono
avere la sensazione di essere guardati
ma mai fissati.
Questi comportamenti da parte
dell’oratore danno immediatamente una
cattiva impressione riguardo alla sua ca-
pacità di tenere una comunicazione aperta
e diretta.
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Le domande
La paura delle domande dalla platea
può generare panico che invece dovreb-
bero essere sollecitate e non temute
perché devono essere parte integrante
del discorso: dialogo tra l’oratore e il
pubblico.
L’importante è tener presente che
se l’oratore non sa rispondere alla do-
manda, non dove arrampicarsi sugli
specchi per dare una risposta, ma deve
dichiarare di non saper rispondere e
che farà in modo di cercare la risposta
e comunicarla all’interessato durante
un incontro successivo. La credibilità
non verrà meno, diversamente invece,
quando un relatore inventa una risposta
e la dà errata: tutto quello che ha detto
in precedenza sembrerà sbagliato anche
se non lo è stato.
Bibliogafia
M. Castagna: La lezione nella formazione degli adulti. Franco Angeli edizioni
J. Campbell: Come tenere un discorso. Franco Angeli Edizioni
Il segreto?
... Tanta pratica!!!Essere ... PREPARATIRestare se stessiCredere in quello che si sostiene
CALENDARIO EVENTI OSDIQui di seguito trovate tutti gli appuntamenti organizzati dall’OSDI per qualsiasiinformazione aggiuntiva contattare il proprio presidente regionale
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CORSI GLUCOLAB BAYER
12 settembre Monsumanno (PT) Hotel Grotta Giusti12 settembre Cagliari Hotel Holiday INN
3 ottobre Taormina Hotel Monte Tauro3 ottobre Gubbio Park Hotel ai Cappuccini
• Simposio OSDI in “Panorama Diabete”: Diabete e gravidanza:aspetti organizzativi ed educativi. Formazione dell’infermiereper l’implementazione dell’esercizio fisico nel pazientediabetico – Riccione (RN), 11 e 12 ottobre 2009.
• Corso Base Scuola Formatori OSDI – San Gimignano (SI), 7-11novembre 2009.
• Corso “Modalità Operative per una gestione ottimizzata deldiabete mellito tipo 1: alimentazione e insulina” - Lucera (FG)19 e 20 settembre 2009;
• Trento il 26 settembre 2009 dal titolo “Diabete: non solocronicità”.
CORSI NAZIONALI
CORSI REGIONALI
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DIRETTIVO OSDI
CONSIGLIO DIRETTIVO NAZIONALE
Bondioli Annunziata [email protected]
Cioffi Anna [email protected]
Cristofanelli Daniela [email protected]
Crovetto Roberto [email protected]
Ferriani Laurenzia [email protected]
Ghidelli Rosangela [email protected]
Melita Lucia [email protected]
Milano Luigia [email protected]
Tesei Anna Maria [email protected]
Urbani Lorena [email protected]
PRESIDENTI REGIONALI OSDI
Abruzzo-Molise Livia Cavuto [email protected]
Calabria Luigia Milano [email protected]
Campania Brigida Trocchia [email protected]
E. Romagna Giovanna Guareschi [email protected]
Friuli V.G. Daniela Bortolotto [email protected]
Lazio Silvia Tiozzo [email protected]
Liguria Margherita Zecchini [email protected]
Lombardia Silvana Pastori ariess25@yahooit
Marche Roberta Ausili [email protected]
Piemonte Monica Albertone [email protected]
Puglia Giuseppina Chimienti [email protected]
Sardegna Marcella Lai [email protected]
Sicilia Lucia Melita [email protected]
Toscana Alessia Civitelli [email protected]
Trentino A.A. Ilaria Nicolao [email protected]
Umbria Lorena Urbani [email protected]
Veneto Fausto Cavaliere [email protected]
Regione Nominativo E.mail
Presidente Nocciolini Rosetta [email protected]
Vice presidente Branca Maria Teresa [email protected]
Segreteria Aliberti Carolina [email protected]
Revisore dei conti Galantino Michele [email protected]
Consiglieri: