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Rivista.OSDI.Giugno.2009

Date post: 21-Mar-2016
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In...form azione - A utorizzazio ne Tribu nale di Lecce N ° 1014 m arzo 2009 - Poste Italiane S.p .a. - Spedizione in A bbonamento Postale - 70% - DCB Lecce ANNO II GIUGNO 2009 N. 2 IN QUESTO NUMERO La parola all’esperto Scuola di formazione permanente OSDI Vita associativa Lettera dal direttore
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IN QUESTO NUMERO

La parola all’esperto

Scuola di formazionepermanente OSDI

Vita associativa

Letteradal direttore

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Le proposte di pubblicazione saranno accettate a giudizio del comitato di redazione.Ogni articolo esprime il lavoro e/o le convinzioni degli autori i quali assumonola responsabilità di quanto dichiarato. Quando l’articolo esprime o può coinvolgere la responsabilitào l’immagine dell’istituzione di appartenenza o quando gli autori parlano a nome della medesima,occorrerà una liberatoria scritta dei relativi responsabili.La pubblicazione dei lavori è gratuita; il materiale anche originale pervenuto,anche se non pubblicato, non sarà restituito.Gli autori sono tenuti a specificare se la proposta di pubblicazione è stata inoltrata presso altreriviste.Il comitato editoriale si riserva di eseguire, nell’eventualità che appaia opportuno, un lavoro direvisione formale del testo, ferma restando la conservazione dei contenuti espressi dall’Autore, perrenderli conformi allo stile della Rivista

La rivista In...formazione OSDI pubblica lavori di interesse didattico, scientifico e assistenzialiriguardanti il diabete e gli argomenti correlati.Indicare, oltre al proprio indirizzo, il numero di fax e l’indirizzo e-mail per l’eventuale corrispondenza.La struttura del lavoro dovrà conformarsi alle seguenti indicazioni:- Titolo: il titolo deve essere il più possibile conciso, ma chiaramente esplicativo della natura dellavoro.- Nome dell’Autore (o degli Autori): nomi e cognomi per esteso in lettere maiuscole; accanto aciascun nome uno o più asterischi con riferimento alla successiva indicazione.- Indicazione, preceduta dal relativo numero di asterischi, per ciascun autore della qualifica o strutturadi appartenenza; va indicato l’indirizzo e-mail dell’Autore cui fare riferimento.- Riassunto: il riassunto dovrà essere non superiore alle 300 parole e illustrare succintamente scopodel lavoro e risultati.- I riferimenti bibliografici dovranno essere riportati in calce al lavoro numerati progressivamentein cifre arabe poste tra parentesi quadre:indicando il cognome e le iniziali del nome dell’Autore, il titolo dell’articolo per esteso, il titolo dellarivista, il volume (in corsivo), i numeri della prima e dell’ultima pagina e l’anno.

Le bozze di stampa inviate agli autori devono essere corrette e restituite entro 4 giorni.

Il materiale dovrà essere inviato all’indirizzo e-mail: [email protected] o su supporto digitale a: ChiandettiRoberta SOC 1 Medicina Generale Azienda Ospedaliero-Universitaria 33100 Udine

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IN...FORMAZIONEPeriodico trimestraledell’Associazione OSDIOperatori Sanitaridi Diabetologia ItalianiVia Guelfa, 9 - 40138 Bolognawww.osdi.itAutorizzazione del tribunaledi Lecce n. 1014 - marzo 2009

DIRETTORE RESPONSABILERoberta Chiandetti

VICE-DIRETTOREMaria Teresa Branca

COMITATO SCIENTIFICORoberta ChiandettiMaria Teresa BrancaRosanna ToniatoLia Cucco

COMITATO DI REDAZIONECarla AlibertiAnnunziata BondioliDaniela CristofanelliLia CuccoAdia FabbriziLaurenzia FerrianiLuigia MilanoRosetta NoccioliniAnnamaria TeseiRosanna ToniatoLorena Urbani

PROGETTAZIONE GRAFICA,IMPAGINAZIONE E STAMPACarra Editrice73042 Casarano (Le)Tel. 0833.502319

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editorialeFirenze...ospiteràil IX Congresso Nazionale OSDIdi Rosetta Nocciolini

vita associativaa cura di Roberta Chiandetti

la parola all’espertodi Marina Cassoni

lo sapevate chea cura del Comitato Scientifico 33

45scuola di formazionepermanente OSDIa cura del Direttore della Scuoladi Formazione OSDI

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IN QUESTO NUMERO

La parola all’esperto

Scuola di formazionepermanente OSDI

Vita associativa

Letteradal direttore

6lettera dal direttoreDiario di un infermiere

di Roberta Chiandetti

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Caro Andrea,ci hai lasciato in un giorno che doveva essere di festa, il 12 aprile del 2009.

Te ne sei andato in silenzio così come sei sempre vissuto, senza che avessimoneppure l’amaro momento di un addio.

Incredulità e tanta amarezza nel cuore, con le lacrime che a tanti di noi hannosolcato il viso.

Eppure è vero, non vedremo più il tuo eterno, luminoso e sereno sorriso.Adesso non ci sono più le tue parole di conforto dei momenti tristi, le tue riflessioni

filosofiche di tante notti trascorse a scrivere, le tue poesie, i tuoi fiori che sapevisapientemente allegare ai tuoi scritti per rinforzare un concetto, per inviare auguri,e sempre, coglievi nel segno, possedevi il magico dono di comprendere i desideri, ibisogni dell’altro.

Non mancavi mai agli appuntamenti importanti, ma sapevi farlo in modo discreto,spesso scusandoti per aver osato “rubare del tempo”.

Ricordo ancora quel tuo ultimo messaggio: “ti chiamerò solo per farti gli auguri”,ma non ne hai avuto il tempo, ed io sento il profondo rimorso di non essere riuscitaa precederti.

Troppo presto ci hai lasciati, avevi ancora tanto da insegnarci, o forse, ci staiinsegnando ancora tanto così, con il tuo “eterno silenzio”.

Sei riuscito a farci guardare dentro molto più di quando ti avevamo vicino, nonsarà facile adesso far finta di niente perché il tuo ricordo sarà più forte della tuapresenza fisica.

Quante volte ti abbiamo deluso, quante volte ti abbiamo ferito, magari senzacattiveria, ma tu avevi un animo grande, tu sapevi perdonare le nostre “debolezzedi uomini”, tu sapevi volare più alto di noi.

Sapevi ascoltare ed aspettare, stimolare e consolare, tu sapevi donarti senzachiedere, tu sapevi raggiungere l’anima “in punta di piedi”.

La tua forza era l’amore, ed amore hai sempre donato, con generosità, conentusiasmo, con gioia, senza clamore, sommessamente, accompagnando ogni tuogesto, ogni tua parola con un lucente sorriso.

Ci mancherai Andrea, molto più di quanto tu abbia potuto percepire, ci mancheràla tua saggezza, la tua semplicità, il tuo saper dare valore al tempo, il tuo saper darefiducia al prossimo anche quando forse non lo meritavamo, perdonaci se non siamostati sempre capaci di renderti i tuoi stessi sentimenti.

Vivrai con noi Andrea, nei momenti belli e nei momenti tristi, nel cuore di chi tiha conosciuto ed amato e porteremo il tuo ricordo a chi vorrà sapere “la PersonaSpeciale che eri”.

A Francesca tua moglie e a Jonathan tuo figlio, va tutto il nostro sostegno ed ilnostro affetto, nel tuo ricordo, certi che se tu li hai amati saranno senz’altro personespeciali come te.

Un grosso abbraccio da tutti noi, da coloro che ti hanno voluto bene.Ciao

Rosetta Nocciolini

RICORDANDOANDREA CAVALLARO

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Maggio è il mese ed esattamente neigiorni 20 – 22 dell’anno 2010 si terrà ilnostro prossimo congresso.

Il tema trattato sarà: “Il Diabete Mellitotipo 2 e le complicanze croniche”.

Come sempre ci saranno momenti dicondivisione in plenaria con gli ultimi ag-giornamenti sul tema ma anche confrontinelle tavole rotonde e numerosi saranno

i simposi ove sviscerare gli argomenti.Altro non voglio ancora svelare per

lasciare spazio alla vostra immaginazione,ma il Comitato Scientifico sta già lavorandocon cura al programma.

… Ma un Congresso non è soltantoaggiornamento, non è solo condivisionedi saperi, è anche un momento di grande

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Firenze…la città e la sua storia, l’arte e le sue opere, stupende testimonianze di un tempoche fu.

“Palazzo Vecchio”, progettato da Arnolfo di Cambio, decorato sontuosamente dal Vasari,con la Loggia Dei Lanzi che domina Piazza Della Signoria ove è possibile ammirare le sueimportanti statue tra cui “Il Perseo” del Cellini e “Il ratto delle Sabine” del Giambologna.

“Palazzo Pitti”, residenza di famiglia di Cosimo I De’ Medici dal 1549, famoso anche per igiardini che lo circondano: “I giardini di Boboli”.

Il “Duomo” in stile gotico, completamente coperto da marmo colorato, al cui interno èpossibile ammirare “La Pietà di Michelangelo” o le porte di bronzo dell’altare, o gli intarsi delBrunelleschi e di Antonio Del Pollaiolo, ed ancora le splendide vetrate di artisti quali: Donatello,Andrea del Castagno, Paolo Uccello.

“La Cupola” che Filippo Brunelleschi iniziò a costruire nel 1420, il “Campanile di Giotto”,la “Basilica di San Lorenzo”, le “Cappelle Medicee”, Il “Ponte Vecchio e il Corridoio Vasariano”,questo e molto altro ancora, sono Firenze.

Firenze ed i suoi Artisti: Dante Alighieri, Giovanni Boccaccio, Filippo Brunelleschi, PietroCimabue, Leonardo Da Vinci, Michelangelo Buonarroti, Macchiavelli….

Firenze... ospiterà ilIX Congresso Nazionale OSDI

aggregazione, è un riconoscersi, è unfocalizzare le nostre menti sui conte-nuti del nostro “Codice Deonto-logico”. Il Codice è un insieme conve-nuto di regole e aspettative per orien-tare la pratica della professione, conla funzione di promuovere e mante-nere gli standard etici di condottaprofessionale e da sempre rappresentaun modello nel campo dei doveri pro-fessionali ma oggi evidenzia anche leresponsabilità.

I suoi Articoli ci riportano ripetu-tamente alla centralità dell’assistito,a i rapport i con la persona,all’informazione, al pluralismo etico,al consenso agli atti sanitari,all’autonomia ed all’autodeter-minazione dei cittadini, ai dolori edai sintomi, ai limiti delle cure, al ruolodei familiari, al lavoro di equipe.

Un Codice Deontologico è un cor-po di regole che i professionisti si autoimpongono rispetto ai doveri profes-sionali, ma un Codice non sostituiscela legge (che regola i comportamentidel cittadino), o l’etica (che regola icomportamenti dell’uomo), rappre-senta una guida ma non è un man-sionario né un ricettario.

Sono principi guida sottesi al Co-dice Deontologico: “L’autonomia”(rispetto per l’autodeterminazionedell’assistito e il coinvolgimento nelledecisioni che lo riguardano); “Labeneficialità” (orientamento al benedell’assistito secondo i suoi valori e ilsuo interesse); “La non maleficialità”

(evitare ciò che nuoce o danneggial’assistito ); “La giustizia/equità” (op-porsi a discriminazioni e ingiustizie epromuovere un’equa distribuzionedelle risorse).

E’ altresì ribadito l’impegnodell’infermiere ad essere preparato.L’agire “se” e “quando” è preparato;il diritto/dovere ad essere formato eal richiedere l’intervento di colleghiesperti o altri professionisti come con-sulenti o erogatori di prestazioni qua-lora non sia pronto ad eseguirle.

Morale, etica, deontologia, stile,norma, assumono quindi perl’infermiere un significato pregnanteed ogni morale detta norme etichealla ricerca del bene comune e dellaconvivenza.

L’infermiere è un agente morale,cioè una persona che compie sceltedi natura etica poiché il suo agire ècondizionato, ma non interamentedeterminato, dal contesto, dal cliente,dalle prescrizioni, dall’organizzazionedel lavoro.

Egli agisce continuamente unasintesi tra valore, norme morali e giu-ridiche, deontologia professionale,cultura e situazioni contingenti.

L’infermiere tutela il decoro proprioe della professione ed esercita l’attivitàcon lealtà nei confronti dei colleghi edegli altri operatori.

Buone vacanze a tutti.

Rosetta Nocciolini

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Ti abbiamo conosciutodiversi anni fa ed ognu-no di noi ti ha apprezza-to per la tua bontà, latua genuinità e la tuasemplicità, per la tuagrande voglia di fare edi crescere.Il vuoto che hai lasciatoè immenso, non basteràun oceano per riempirlo.Ti siamo grate per ciòche ci hai lasciato, i tuoiarticoli, le tue stupendepoesie, ma soprattuttoil tuo sorriso, il tuo otti-mismo e la tua gioia divivere.Non rivedremo più il tuovolto, ma sarai sempretra di noi e con te conti-nuerà il cammino diquell’OSDI in cui tantocredevi.

Consiglio DirettivoNazionale

ANDREA

di Roberta Chiadetti

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Ben trovati a tutti,

magari un po’ stanchi e aspettando con ansia le sospirate ferie…Sono stati tre

mesi intensi; sono state molte le occasioni che nelle diverse Regioni hanno portato

a ritrovarsi. Ci siamo visti, abbiamo parlato, ci siamo confrontati …non sempre su

cose piacevoli, purtroppo.

Il giornale si apre con i saluti ad un Amico, un Collega gentile e generoso che, come

si capisce dalle testimonianze, lascerà un vuoto profondo.

Ma anche le consuete poche parole di presentazione del numero di giugno, abbiamo

voluto sostituirle da una testimonianza, tanto anonima quanto coraggiosa nel fare,

nel pensare, nello scegliere…è il “Diario di un Infermiere” nei giorni del Terremoto in

Abruzzo. Molto poco di questa testimonianza è stato omesso, esclusivamente per

scelta di imparzialità politica del giornale, ma quel che resta è più che sufficiente

per farci pensare…Il documento che leggerete è ricavato da una serie di testimo-

nianze raccolte da Maria Antonietta Melchiorre, che ringraziamo e alla quale siamo

tutti vicini con un ideale abbraccio che racchiude tutti gli altri colleghi abruzzesi .

Buona estate

Roberta Chiandetti

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Iqui è il caos. il terremoto è arrivato dinotte distruggendo.morti. feriti. senza casa.brutte storie. anche belle storie.l’umanità è il tratto che più mi emoziona.sono al lavoro da diverse ore. lavoreròancora.ora. la mia rivoluzione è contribuire adarginare il dolore degli altri.fate il possibile per darci una mano.

IIè stato il caos.a partire dalla notte della scossa. hocreduto che la casa mi venisse addosso.ma non ho avuto paura. il sonno cosìimprovvisamente interrotto non garan-tiva lucidità.venti secondi. forse trenta. sembravanon finire.poi ho chiamato Fabio immediatamente.mi ha risposto Francesca piangendo edurlando: “aiuto, aiuto... siamo salvi maè crollato tutto!” ed è caduta la linea.sono andato al 118. alcuni di noi sonopartiti in ambulanza. io sono rimasto infarmacia a raccogliere materiali da man-dare. sono poi andato in aeroporto dovearrivavano aerei ed elicotteri con i feriti.nel pomeriggio turno d’emergenza al118. perché non si è fermato nulla nelfrattempo. e l’ospedale era al collasso.e la gente si aggirava in pronto soccorsosenza capire.non credo che le parole rendano i fatti.c’è una realtà che non è descrivibile.solo vedendola è possibile leggerla nellasua completezza.ieri pomeriggio una delle tante macchinecon una famiglia rimasta senza casa èarrivata qui in postazione:“vorremmo un posto dove dormire. nonabbiamo più nulla. abbiamo due bambinipiccoli in macchina ed una personaanziana. aiutateci”e si è messo a piangere. ha cercato diabbracciarmi. mi sono scostato. non misono sentito così degno di condividereil suo dolore. com-patire è soprattuttoun onore.è una questione di dignità. io non cel’ho, non me la sono sentita. vivo unterritorio a rischio sismico. non ho fattonulla per evitare queste morti. ho la miaparte di colpa. e l’ho sentita tutta lacolpa. l’ho accarezzato in viso e nonl’ho abbracciato quell’uomo che pian-geva. non ne ero degno. mi resta il sensoliquido di quel pianto sulle mani. e moltavergogna per tutto quello che è successo.ieri mattina ho collaborato con dei soldatidell’esercito. portavano feriti in un eli-

cottero da guerra molto grande. eranoragazzi dolcissimi. accarezzavano i feritie sorridevano loro. in divisa da guerra.una specie di ossimoro. una stranezza,non trovi?mi sono sentito come loro. sono statoanche io un soldato da guerra. io. tirendi conto?mi ha colpito l’umanità della gente. ildolore ci rende umani. un soldato diven-ta un infermiere. un infermiere diventaun soldato. un elicottero da guerra si famacchina di salvezza. il dolore ribaltatutto nel senso dell’umanità. forse do-vremmo essere perennemente addoloratiper essere migliori di quello che siamo.accanto alla colpa ho sentito l’occasionedi crescita. sono distrutto. ma anchediverso. potere aiutare la gente è davveroun privilegio. mi sento bene questamattina. male e bene nello stesso tempo.ho la morte e la vita dentro. il pianto eil riso.è così.

IIIil PMA (Punto Medico Avanzato) in piaz-za d’armi a l’aquila ha una trentina diposti letto per i ricoveri urgenti. ha unasala di pronto soccorso ed una farmaciaaccanto. c’è luce al neon a differenzadelle tende nel campo ma nessun riscal-damento. il gelo della notte sarà la formadi questo ricordo. ricorderò questo ter-remoto con un brivido di freddo. sempre.ho appena concluso il turno di nottecon alcuni miei colleghi del 118 di Pe-scara e tre infermieri teramani.ora il PMA, passata la prima fase diemergenza, accoglie pazienti affetti dapatologie che in genere non costituisco-no un imminente pericolo di vita.nei giorni immediatamente successivialla scossa del 6 aprile, nel PMA sonotransitate persone affette soprattuttoda traumatismi vari. sono state ricoveratequi dove hanno ricevuto le prime cure,i più gravi sono stati trasferiti in ospedalidella regione.questa notte si sono rivolti a noi soprat-tutto pazienti in preda al panico. la paurain questo campo è l’elemento comunea tutti: c’è chi trema di paura, chi piange

di paura, chi ride di paura, chi si mostraindifferente per paura. è sempre la pauraad agire i comportamenti. ed anche ipensieri.le scosse non smettono mai: costituisco-no lo sciame sismico che in genere segueuna grossa scossa. questa notte alle 3in punto c’è stata una scossa 5.1. lapaura, la solita paura, ha assunto laforma del panico; ho sentito urla, lamen-ti, anche tirate comiche tese a sdram-matizzare. ma non saprei definire unamanifestazione su tutte le altre. la pauraha anche questa caratteristica: la mono-tonia delle forme. tutte le persone im-paurite ti guardano negli occhi comeper chiedere aiuto. anche gli sbruffoniimpauriti ti chiedono aiuto. strafottentima in preda al panico, vorrebbero farticredere d’essere eroi ed invece non sonoaltro che “cagasotto”.la paura ci fa tutti “cagasotto”.credo che molto si dovrà fare nel pros-simo futuro per arginare la paura dirom-pente. le benzodiazepine non potrannocostituire la soluzione al problema. pos-sono essere un tampone, un conteni-mento momentaneo ma dovremo inven-tarci altro visto che non basteràricostruire le case.ieri sera ho conosciuto dei medici clownche lavorano con la paura. ci scherzanosu, la accarezzano e la smontano. ciprovano. i bambini sembrano divertirsi.anche gli adulti e gli anziani. il teatro,la clownerie, possono essere in futurodelle possibili alternative alle benzodia-zepine.ma c’è altro.

ci sono tossicodipendenti in trattamentoche chiedono metadone.ci sono anziani affetti da altzheimer chenon sanno cosa stia succedendo intornoa loro.ci sono bambini senza scuola. bambinial freddo. bambini senza giochi.ci sono alcolisti cronici che non hannoun posto dove comprare il vino che liriscaldi e li addormenti di notte.ci sono “barboni” che non hanno piùi portici per dormire e non credono diriuscirci in una tenda buia e fredda.ci sono schizofrenici che non sentonopiù voci e non hanno sigarette.ci sono clandestini che cercano clande-stini che non si trovano.ci sono sciacalli. veri sciacalli, falsi sciacalli.c’è il battaglione san marco che presidiai cumuli di macerie.ma soprattutto c’è il freddo di notte.che viene col buio. forse è la paura cheraggela l’aria, che chiama la notte e nonil contrario. quando si fa buio la genteentra nelle tende e arriva il silenzio.nel PMA cala l’affluenza. solo paure:

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gente che si sveglia di notte gridando econ il cuore al galoppo. e poi una vec-chietta che vomita ed ha la pressionealta, una donna rumena con il mal dipancia, una bambina che aspetta unainiezione di antibiotico.è notte.

IVLa lontananza dall’epicentro è soprat-tutto motivo di riflessione. Essere lì ècome non pensare ed invece fare, fare,fare...Fare dimenticando tutto.Nei tre giorni di distanza da L’Aquila,qui a Pescara dove il terremoto arrivaormai senza magnitudo, ho avuto mododi ragionare la mia prossima partenza.Molto schematicamente.Quello che non ho apprezzato del miointervento nel PMA aquilano è l’eccessivavisibilità.Intervenire invisibilmente è ciò che defi-nirei “aiuto senza distrazione”.La visibilità confina con la vanità. La suaricerca, nonostante la buona fede, èesercizio che supera il nursing.Molto schematicamente.Visibilità, distrazione, vanità, narcisismo:extranursing.

Rendersi disponibili, com-prendere glialtri ed i loro bisogni costituisce l’ambitodel nursing. Dire di sé, autocelebrarsianche se con misura, esporsi fino aguadagnare la scena televisiva, tutto ciòrappresenta l’elemento debordantel’intenzione d’aiuto.C’è insomma un’estetica dell’aiuto chenon è solo compostezza ma è anchebellezza: dovrò tenere in considerazionel’elemento estetico attraverso pratichedi autodisciplina ovvero di sottrazionedalla vanità.Un cooperante è più vicino ad un samu-rai che ad un attore di reality. In quellemovenze esatte e nette, in quella rinun-cia delle forme spettacolari, in queiprolungati silenzi, nella scelta di traspa-rire, in queste forme del corpo che sonol’essenza dell’arte dei samurai, è il para-digma dell’assistenza, la sua essenza.

Il mio prossimo intervento nelle zonedel terremoto sarà votato alla ricercadell’invisibilità attraverso l’autodisciplinanella speranza che sottrarsi alle news,sia l’equivalente della concentrazionesui bisogni altrui.Molto schematicamente.Defilarsi, smettere di essere una notizia,praticare il silenzio stampa; insomma,trasparire è come farsi mero motoreassistenziale. Nulla di più.

L’ emergenza in senso stretto sembraconcludersi ed il passaggio di fase puòessere rappresentato dalla sostituzione

di interventi di natura assistenziale adinterventi su traumatismi: le vittime sonofinalmente sopra le macerie. Qui sopra,e non sotto, si interverrà a partire dadomani.L’ organizzazione dei campi secondoaccettabili standard igienico-sanitari, ilr i s c a l d a m e n t o d e l l e t e n d e ,l’illuminazione, l’allestimento di doccecon acqua calda, il lavoro sul tempolibero soprattutto con i bambini e glianziani sono le nuove direzioni dell’aiutoe non c’è alcuna necessità di adoperareforme spettacolari o comunque incen-trate sull’ego.Com-prendere l’altro d’altronde, contie-ne già in partenza un elemento inalie-nabile: chi aiuta un proprio simile, aiutaanche un po’ se stesso poiché riceve daquest’esercizio importanti quote di be-nessere e felicità; l’aiuto attiva sempremeccanismi gioiosi e di autoappagamen-to risultando così inutile esagerare nellapromozione di sé.Molto schematicamente.Sarò a L’Aquila nei prossimi giorni riget-tando ogni ipotesi di espansione egoicae costringendo il il mio intervento allarelazione d’aiuto.Di me non resterà traccia.

VSono al campo San Biagio di Tempera,un paesino vicino L’Aquila. Ci sono 127residenti per la maggior parte anziani.Nel campo lavorano insieme la Protezio-ne Civile, la Misericordia di Montefalcio-ne e la Brigata di Solidarietà Attiva diRifondazione Comunista. Ci sono unacucina da campo, un magazzino scorte,una segreteria, un ambulatorio medicoed infermieristico, un team di psicologhe,un sacerdote. Solo ieri sono arrivatialcuni bagni chimici. E’ consentito illavaggio delle mani in un lavandinocomune; l’acqua è fredda e non potabile.L’acqua.Dobbiamo evitare che diventi un even-tuale mezzo di contaminazione. Chiamoal telefono un farmacista del Ordine deiFarmacisti di Cuneo che è qui vicino conuna farmacia mobile. Amuchina nellacisterna da 10.000 litri d’acqua, erogatoridi ipoclorito di sodio nei bagni ed edu-cazione dei residenti. Questa mattinacomincio il lavoro di igienizzazionedell’acqua.

Terminata l’emergenza, l’infermieristicadi comunità mi sembra sia il modo giustoper essere qui.Ieri pomeriggio ho fatto un giro per letende distribuendo salviette umide edAmuchina:“Buongiorno. Sono Lorenzo, l’infermieredel campo. Vorrei parlarvi delle mani. Edi quanto sia importante per noi tuttilavarle. Oggi e qui più di ieri ed a casa:lavarle bene e spesso”. I bambini mifanno le smorfie e ridono.C’è interesse verso comunicazioni diquesto tipo, c’è spirito di collaborazioneda parte dei residenti ed anchel’intenzione ad autorganizzarsi, a nonstare fermi, a prendere in mano la situa-zione: “Ho recuperato un aspirapolveree pulirò la tenda come facevo con casamia. Tutti i giorni”, mi dice una mammacon un bambino in braccio.

Questo campo è una comune. O qual-cosa di simile. Non c’è gerarchia ma cisono ruoli, funzioni e nessuno ha lapretesa di comandare. Gli riderebberoin faccia se solo lo facesse. Tutti fannoqualcosa e questa opera è un lavorolibero dal salario ed assolutamente or-ganizzatoL’autonomia è la regola del campo. Man-cando il comando ma anche la rappre-sentanza e la delega, la gente sembrarealizzare quanto importante sia assu-mersi la responsabilità dell’ opera dasvolgere.Tutti assumono comportamenti volti allaresponsabilità e nell’aria si respira tuttaquesta necessità di fare da sé.…………..(omissis). Questo clima delcampo così lontano dal dibattito pubbli-co sul terremoto è il motore dell’organiz-zazione.Dell’autorganizzazione!

Tadeus è in Italia da 11 anni. Colpitodalla recente crisi perde il lavoro e sitrasferisce a Tempera da Roma ed acqui-sta una casa vecchia che il terremotobutta giù inesorabilmente a restauroappena concluso: “Se non l’avessi re-staurata ci sarei morto dentro”, mi diceraccontandomi dei lavori svolti tenendopresente la possibilità del sisma.Tadeus è un elettricista ed arriva in am-bulatorio per chiedere una Tachipirina.Ci sono fili elettrici a terra, non c’èancora l’illuminazione ed il frigoriferocon i farmaci non ha corrente elettrica:“Posso sistemare tutto subito, sono unelettricista”, dice Tadeus. Nel giro di dueore l’ambulatorio s’illumina e si riscaldacon una riscaldatore elettrico.Tadeus, il polacco, finisce per diventareun punto di riferimento nel campo, è ingiro con i suoi attrezzi e non smette dilavorare.Forse ho dimenticato di somministrarglila Tachipirina.Tadeus è l’esempio di come funziona

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l’ingaggio nel campo: hai desiderio difare una cosa, ti offri, illustri il tuo pro-getto, lavori. Punto e basta.

La notte è fredda, gelida nonostante lastufa elettrica di Tadeus. Sono rimastosolo in ambulatorio e non spengo laluce perché credo sia importante comu-nicare che questo posto di cura nonchiude.Collego il mio PC alla rete ed attraversovelocemente Facebook, leggo la postapoi passo a qualche poesia di Luzi, quindia Chomsky : Anarchismo, contro i mo-delli culturali imposti.Mi annoia un po’, il gelo mi impediscela concentrazione ed allora ripiego suCornelio, il fumetto di Lucarelli.Gli ultimi pensieri della notte:-Meglio Julia che Cornelio. Meglio Cor-nelio che Chomsky. Quando fa freddo,naturally...-Ricostruire è possibile se esistono per-sone come Tadeus.-Le poesie di Luzi sono l’unico caldo inquesto gelo. Più della stufa di Tadeus.-Gliel’ ho poi data la Tachipirina a Ta-deus?-Sto bene in questo campo. La gentemi piace.-Cazzo, ci sto mettendo il cuore: nonvoglio andarmene!-Bisognerà rendere visibile l’ambulatoriocon una bandiera-Dove troviamo gli erogatori di ipocloritoper i bagni? Telefoniamo a Rifondazionedomattina. Boh!-Oddio che freddo... devo fare la pipìma non ci vado. La tengo fino a domat-tina.

VIQuanti terremoti conosci?Uno? Dieci? Cento?Non uno ma molti terremoti.

C’è il terremoto che si vede, che tuttivedono in TV, quello delle barzellettesul camping e sul dentista che il premierdispensa agli sfollati nella tendopoliaquilana.C’è il terremoto di Bertolaso, dei sismo-grafi, dei geologi, dei magistrati cheindagano, di Vespa e dei suoi ospiti, deiprogrammi d’intrattenimento che com-muovono, delle storie a lieto fine, delletragedie indimenticabili, delle opinionidella Parietti.C’è il terremoto di Santoro e di Vauro,voci fuori dal coro, voci forse volgari edinaccettabili. Magari censurabili. E per-ché? C’è il terremoto delle notizie vere,delle notizie false, delle notizie senzafondamento, delle notizie allarmistiche,delle notizie oscurate, delle notizie esa-gerate.

Molti terremoti, forse cento. Forse più.C’è il terremoto degli aquilani fieri, forti

e gentili, degli aquilani che piangono imorti riversi sulle bare, degli aquilaniche fuggono al mare, di quelli che nonintendono lasciare il paese per nessunmotivo.C’è il terremoto dei campi, delle tendesenza luce e senza riscaldamento pertroppo tempo, dei bagni chimici luridi,delle cucine da campo, delle brandine,dei PMA per i feriti, dei medici clown,dei volontari della Croce Rossa.C’è il terremoto dei vecchi che siedonomuti ad aspettare e dei bambini chedisegnano macerie, dei cani che hannoperso il padrone, dei cani che il padronenon l’hanno mai avuto e che continuanoa vivere randagi, dei veterinari che de-vono arrivare. Ma non dovevano arrivareoggi?C’è il terremoto dei 300 morti e dei vivie dei feriti che si salveranno e che mo-riranno.

Ci sono molti terremoti ed ognuno dinoi racconta il suo; tutti sembrano veried un po’ lo sono realmente. Per il re-sto...

Il terremoto dei bambini è sui fogli dadisegno: macerie e palazzi sventrati,colori scuri, polvere, caos.Nel campo di Tempera alcune ragazzechiedono ai bambini di disegnare il ter-remoto.C’è Arianna da Roma che è psicologa.Le hanno appena comunicato che haperso il lavoro.Sara invece viene da Pavia, è terapistadella riabilitazione con la specializzazionein arte-terapia.I bambini di Sara ed Arianna hannoindividuato vie tra le tende e le hannonominate: c’è Vico Stretto ed ancheVico Strettissimo, vicino alla cucina dacampo dove è proprio difficile passare.E poi c’è Piazza Grande che potrebbetenerci tutti dentro.Sara dice: “Sai, Lorenzo... c’è poco dafare arte qui: la gente è distrutta, i bam-bini sono impauriti, non mi resta cheaccudire ed ascoltare le storie. Magaripiù in là, chissà. Forse. Non lo so”Vedo molti clown in giro.Hanno il camice da dottore, il truccosugli occhi ed il naso finto e rosso sulnaso vero. Si direbbe un’invasione diclown nei campi. E’ anche il terremotodei clown.Ma cosa c’è da ridere ora? E’ davvero

giusto far ridere questa gente che invecevuole soffrire? Non sarebbe meglio farlapiangere? Questo è il tempo del pianto,della tristezza, delle storie da raccontare,della gente che ascolta. E non ride. Nonride. Non c’è proprio niente da ridereora. Tornate a case signori clown, civedremo tra qualche tempo! Lasciatecipiangere in pace ora.

Cosa è vero, cosa è falso in questosisma?La protezione civile è stata all’altezza diquanto è accaduto a L’Aquila ed in tuttii paesi della provincia.Vero o falso?Non era possibile approntare un pianodei soccorsi prima della grande scossa.Vero o falso?Tutti noi potevamo fare qualcosa perevitare tutte queste morti, per evitaretutta questa disorganizzazione.Vero o falso?

Ore 24,30. Luis è a Pescara, 100 chilo-metri dal sisma. Luis ha 11 anni.La madre chiama il 118 perché il figlionon respira. Arriviamo in codice rosso etroviamo Luis in strada con la mamma,il papà e la sorellina che mi fa le smorfiee ride. Invito il ragazzo a salire in ambu-lanza. Sale anche sua madre.Luis respira male, lunghissime inspirazionidopo brevi espirazioni. Un rumore respi-ratorio. Laringospasmo?La sua saturazione d’ossigeno è normale,la madre descrive il sintomo di Luis cheviene di notte da qualche tempo e digiorno scompare. Luis è già stato inospedale dove non hanno riscontratonulla.A guardarlo bene, il bambino non ha ilviso di chi soffre di dispnea:“Da quando ti succede, Luis?”“Dalla notte del terremoto!”“Hai paura, Luis?”“Ho paura che tutto crolli con una scos-sa!”“Luis! A Pescara il terremoto non arriva,c’è la sabbia sottoterra non la roccia.Luis!”

La paura del terremoto si propaga finoa raggiungere Luis che smette di respirarea 110 chilometri di distanza. MentreSara ed Arianna tracciano la mappa delcampo dei bambini: Vico stretto, VicoStrettissimo.La paura non risparmia neanche noi chesiamo al mare.Per questo non c’è tempo di tremare.Si torna a L’Aquila domani. Senza il nasorosso sul naso vero.Con il rispetto per le storie della terapistaSara. Con la distanza dalle barzellettedel premier sul campeggio. Con la con-vinzione che c’è del vero e c’è del falsoin questo terremoto.Perché ce ne sono tanti di terremoti.

a cura di Roberta Chiandetti

vitaassociativa

ell’ambito del congresso FIRST ITALIAN

DIABETES AND PHISICAL ACTIVITY GLO-

BAL FORUM che si è svolto a Villasimius

(Cagliari) dal 1 al 3 maggio 2009 si è

tenuta una tavola rotonda alla quale hanno

partecipato diverse figure professionali a

rappresentanza delle loro associazio-

ni/istituzioni: il Ministero della Salute, le

società scientifiche (AMD,SID, SIO, OSDI,

FIMG), il laureato in scienze motorie, il

volontariato (ANIAD, FAND, FDG, AID,

Diabete Forum, JDF, AGD), i mezzi di

informazione.

L’obiettivo della tavola rotonda era

quello di definire, ognuno per il proprio

ruolo, il contributo che la propria so-

cietà/istituzione/associazione poteva met-

tere in atto o aveva già attivato per la

causa in oggetto alla tavola rotonda, e

quali potevano essere le potenzialità future

da mettere in campo per delineare un

quadro complessivo delle iniziative e delle

attività realizzate in Italia per la promo-

zione della salute attraverso lo sportnella popolazione a rischio. Lo scopo

finale era quello di definire quali potreb-

bero essere le “call to action” per svilup-

pare un processo coordinato che potesse

coinvolgere tutti gli attori della diabetologia

italiana.

Gli effetti positivi dell’esercizio fisico

sono oramai noti a tutti, ma siamo ancora

lontani dalla diffusione di tale pratica. Si

stima che l’inattività fisica causi 1.9 milioni

di morti annualmente nel mondo. Appros-

simativamente il 10-16% dei casi di cancro

Task Force per la promozione dell’attività fisicanella popolazione a rischio

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FIRST ITALIAN DIABETESAND PHISICAL ACTIVITYGLOBAL FORUM

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del colon e di diabete, e circa il 22% dei

casi di malattia ischemica coronarica sono

attribuibili alla mancanza di attività fisica in

entrambi i sessi (World Health Report 2002).

Trials controllati e randomizzati e studi

longitudinali hanno mostrato sorprenden-

temente la stessa percentuale di riduzione

(60%) di mortalità per malattia cardiova-

scolare in diabetici allenati rispetto a quelli

non allenati e di conversione da IGT a

Diabete.

L’incremento di 1 Met della capacità

fisica riduce il rischio di mortalità da tutte

le cause del 12%.

La terapia comportamentale compren-

dente 30 minuti di attività fisica moderata

(5-7 volte alla settimana) è in grado di

prevenire il diabete tipo 2 nel 50-60%

dei casi di IGT.

La sua eff icacia è superiore

all’intervento farmacologico.

L’esercizio fisico aerobico strutturato

per almeno 8 settimane riduce la emoglo-

bina glicosilata. Migliori risultati si raggiun-

gono con esercizi aerobici ad alta intensità

(livello di evidenza A).

Anche gli esercizi di resistenza (anae-

robici) supervisionati e a carichi progressivi

migliorano il compenso glicemico (livello

di evidenza A).

L’esercizio fisico aerobico riduce il

rischio cardiovascolare primario nei casi

di diabete mellito di tipo 2 (livello di evi-

denza B).

La riduzione del rischio cardiovascolare

deriva dalla sommatoria di molteplici fat-

tori, fra cui riduzione della pressione arte-

riosa, modifiche antiaterogene dei lipidi,

riduzione del grasso addominale.

L’esercizio fisico aerobico prolungato

(7 h/sett.) contribuisce ad impedire il riac-

quisto del peso perduto in obesi con e

senza diabete mellito di tipo 2 (livello di

evidenza B).

Almeno il 60% della popolazione

mondiale non raggiunge la raccomanda-

zione di praticare 30 minuti di attività

fisica moderata-intensa al giorno (WHO

Statement 2004).

Il problema di questa discrasia fra dati

reali e le evidenze della letteratura può

essere risolto solo se affrontato a livello

globale, con il coinvolgimento delle istitu-

zioni, dei governi e della comunità in

generale.

Lo studio Quadri aveva messo in evi-

denza le carenze assistenziali, anche ri-

spetto alla pratica di attività fisica: l’80%

degli intervistati coinvolti nello studio

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sull’importanza dell’attività fisica, ma il

31% (quasi 1 su 3) dei pazienti intervistati

risultava sedentario e pochissimi pazienti

praticavano attività fisica almeno 3-4 volte

alla settimana. Questo si può definire il

paradosso dell’attività fisica: tutti sanno

che è una opzione sicura ed efficace ma

pochi la utilizzano.

Per contrastare tale tendenza è neces-

sario migliorare l’ informazione e

l’educazione dei pazienti. Per indurre

opportuni cambiamenti nei comportamen-

ti, è necessario rimodulare le forme della

comunicazione rispetto ai corretti stili di

vita perché, nonostante l’informazione sia

diffusa (più del 90% è informato su fumo,

controllo del peso, corretta attività fisica

ed alimentazione ponderata), i comporta-

menti reali dimostrano che gli attuali

interventi educativi sono inefficaci.

Occorrono iniziative intersettoriali da

parte di tutti gli operatori interessati che

operino in sinergia per una diffusione

sempre più capillare della pratica

dell’attività fisica nella popolazione in

generale e soprattutto nella popolazione

a rischio.

Sulla base di tali assunti la nostra

associazione ha ritenuto di poter interve-

nire seguendo diverse linee di indirizzo:

• Formazione e aggiornamento degliinfermieri sull’importanza dell’attività

fisica, intesa come parte integrante

della cura del paziente diabetico. E’

opinione condivisa che per sviluppare

nel paziente la motivazione necessaria

ad intraprendere programmi strutturati

di attività fisica, è necessario in primo

luogo che essi siano guidati da operatori

aggiornati e motivati. Un’ infermiere

aggiornato risulta in tal caso determi-

nante, poiché agisce da propulsore

verso il paziente, motivandolo ad assu-

mere, e a mantenere nel tempo, uno

stile di vita più sano e più attivo.

• Programmazione di interventi di

educazione terapeutica strutturata

su l l ’a t t i v i tà f i s i ca , f ina l i zzat i

all’educazione dei pazienti.

• Approfondimenti sull’argomentoattraverso la nostra rivista (scaricabile

anche sul sito www.osdi.it) per sensibi-

lizzare gli operatori anche relativamente

alle patologie collegate all’obesità in

sempre maggior aumento.

• Consulenza infermieristica nei repar-ti di degenza, come previsto dal nostro

codice deontologico: “l’infermiere pre-

sta consulenza ponendo le proprie co-

noscenze ed abilità a disposizione della

comunità professionale”. Stante il sem-

pre maggior numero di diabetici tipo II

che vengono ospedalizzati sia per gli

esordi complicati sia per le complicanze

vere e proprie, si rende necessario met-

tere a disposizione interventi di consu-

lenza diretta sia ai pazienti che al per-

sonale di reparto, per un corretto

rinforzo nel tempo del messaggio edu-

cativo sullo stile di vita che, ovviamente,

non può non comprendere l’attività

fisica.

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• Istituzione di una indagine sugliinterventi strutturati volti alla preven-

zione: corsi di educazione all’esercizio

fisico, educazione terapeutica di gruppo,

educazione alimentare. Tale indagine

ha lo scopo di incentivare i colleghi a

rendere noti i progetti regionali e dif-

fondere la cultura professionale

sull’argomento attraverso il confronto

e la partecipazione attiva.

• Collaborazione con altre associazionie istituzioni su progetti di sensibilizza-

zione, formazione ed educazione (vedi

“Panorama Diabete”, “EASD”ecc).

• Disponibilità a lavorare in coopera-zione con le altre figure professionali

per l’implementazione e il rinforzo dei

messaggi educativi relativi all’esercizio

fisico: proposte agli infermieri di comu-

nità per interventi di educazione sullo

stile di vita alla cittadinanza e nelle

scuole primarie, in collaborazione con

le altre figure professionali (dietisti,

educatori, medici ecc).

Maria Teresa Branca

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Attività fisica: qualunque movimento del corpo prodotto dalla contrazione

dei muscoli scheletrici che richiede spesa energetica in eccesso rispetto al

dispendio energico a riposo.

Esercizio: è un’attività fisica pianificata, strutturata e ripetitiva atta a

migliorare o mantenere uno o più componenti della fitness fisica.

Esercizio aerobico: consiste nella ripetizione ritmica e continua di movimenti

interessanti la maggior parte dei gruppi muscolari per un tempo di almeno 10

minuti come ad esempio camminare, marciare, andare in bicicletta, nuotare.

Esercizi di resistenza: attività che usano contrazioni muscolari strenue

per muovere pesi o lavorare in maniera isocinetica contro una resistenza,

esempi: lifting muscolare o esercizi che utilizzano macchine, pesistica.

MET (equivalente metabolico): un Met è un’unità di intensità uguale

all’energia spesa a riposo. Un’attività fisica corrispondente a 3 Met significa

che per essere espletata utilizza un’energia 3 volte superiore alla condizione

di riposo. Met/ora è un’unità di esercizio/volume in cui l’intensità in Met è

moltiplicata per la durata dell’attività in ore.

PREMIO

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L’associazione OSDI istituisce e promuo-ve il Premio Andrea Cavallaro. Il Premioè finalizzato alla promozione alla salutee nello specifico attraverso lo sport nellapopolazione a rischio. Vuole incentivareinoltre ricerche e progetti di fattibilitàvolti alla programmazione di interventidi educazione terapeutica strutturatasull’attività fisica finalizzati all’educazionedei pazienti diabetici.Il Premio prevede la pubblicazione diinterventi o programmi di educazioneterapeutica strutturata sull’attività fisica.Si propone, inoltre, di incentivare laricerca e/o progetti di fattibilità finalizzatiall’educazione dei pazienti diabetici intema di attività fisica. Il Premio inoltre si propone di ricordare il collega AndreaCavallaro , ricordando la sua umanissimaattenzione al tema del diabete.

INDIVIDUAZIONE DEI PARTECIPANTI

Possono partecipare al concorso:

• tutti GLI ISCRITTI OSDI

• gli studenti iscritti al Corso di Laurea

Magistrale in Scienze Infermieristiche

e Ostetriche, purché risultino coautori

insieme con già laureati magistrali,

in quanto lo studente non può essere

considerato Autore referente.

• INFERMIERI OPERANTI IN STRUTTURE

DIABETOLOGICHE OSPEDALIERE O

TERRITORIALI SIA PUBBLICHE CHE

PRIVATE (nel caso che il progetto sia

presentato da più operatori, dovrà

essere individuato un project leader)

Non possono partecipare al concorso i

membri della Commissione esaminatrice.

CARATTERISTICHE DEI PROGETTIDI RICERCA

I progetti di ricerca proposti devono

essere originali e inediti, e non devono

essere già stati oggetto di tributi.

I progetti di ricerca proposti devono

essere elaborati fino ad un massimo di

10 pagine complessive, utilizzando il

carattere Times New Roman corpo 12

su Word per Windows, secondo il seguen-

te schema:

sei parole chiave (usare i termini

dell’Index Medicus), introduzione, con-

tenuto e metodologia, risultati attesi,

bibliografia di riferimento.

Tutte le domande di partecipazione ver-

ranno valutate da una Commissione

composta da 5 membri selezionati dal

Direttivo dell’Associazione

.

SCADENZA DEL BANDO

Le domande di partecipazione dovranno

pervenire presso la Segreteria Associa-

zione OSDI [email protected] in sup-

porto digitale, entro e non oltre il 15

gennaio 2010

ANDREA CAVALLAROBando di concorso per l’assegnazione di un premio volto adincentivare lo studio e la ricerca nel campo della promozionedella salute attraverso lo sport nella popolazione a rischioe/o la Programmazione di interventi di educazione terapeuticastrutturata sull’attività fisica finalizzati all’educazionedei pazienti diabetici.

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L’infermiere di diabetologia in Sicilia: unpercorso lungo 10 anni verso la qualità.

Il 18 aprile a Leonforte (EN) si è svolto il VCongresso regionale Osdi, che ci ha visti prota-gonisti di una giornata intensa, non solo perchèil congresso si è svolto in una sola giornata ma,perché tra relazioni e votazioni consiglio direttivo,le emozioni hanno avuto il sopravvento. La primarelazione del congresso ha riguardatol’autonomia infermieristica, Giovanni Lo Grasso,coordinatore dell’endocrinologia del P.O. Gari-baldi di Catania, ci ha illustrato come la figuradell’infermiere alla luce dei nuovi ordinamentiè cambiata, ma anche come il miglioramentodella qualità si può ottenere attraversol’umanizzazione e la personalizzazionedell’assistenza. La seconda relazione di GiuseppeBruno, infermiere della Diabetologia dell’ASL3di Acireale, ci ha riportati indietro nel tempoper poi ritornare ai giorni nostri in un viaggioattraverso i dieci nni di vita dell’OSDI, dalla suanascita, fra alti e bassi di quella che è stata edè la nostra associazione in Sicilia oggi. La sotto-scritta invece, fra suoni e musica di sottofondo,dopo una premessa teorica su quella che è lanarrazione autobiografica, attraverso alcunestorie di pazienti diabetici, rivive la loro rotturaautobiografica avvenuta all’accadere della ma-lattia, col solo scopo di emozionare e suscitareempatia, per poi riflettere sulla relazione infer-miere-diabetico.

La tavola rotonda è stata anch’essa interes-sante, tema: professioni sanitarie a confrontoin ambito diabetologico, composta dalla pastpresident nazionale OSDI, Rosangela Ghidelli,dal presidente AMD Sicilia, Antonino Lo Presti,

da una componente della SID Sicilia, GiuseppinaRusso, dal presidente IPASVI di Enna, GiovanniDi Venti e dalla nostra presidente OSDI Sicilia,Lucia Melita.Tornando alle emozioni di cui viparlavo all’inizio, ci sarebbe tanto da dire, ilcuore di tutti quel giorno era gonfio di tristezza,l’affetto per Andrea Cavallaro, nostro caro collegamancato la vigilia di Pasqua ci ha indotti aricordarlo e a indotto Rosetta Nocciolini, la nostraPresidente nazionale OSDI a prendere un aereo,nonostante i suoi gravi problemi in famiglia, percelebrare Andrea che avrebbe dovuto per noirelazionare sul domani della nostra associazionie quali prospettive e strategie avremmo dovutomettere in atto per continuare il nostro percorso.Con voce rotta dall’emozione e il viso rigato dilacrime, Rosetta ha ricordato il buon amico ecaro collega Andrea, leggendo i suoi pensieri ele sue considerazioni sulla vita e sulla nostraprofessione che negli anni aveva inviato a chivoleva ascoltarlo.

Un Carattere mite e un’anima profonda egentile quale era Andrea meritava essere alcentro di quella giornata, anche se in vita Andreanon aveva mai preteso di esserlo. Non dimenti-cheremo mai Andrea esempio per tutti noi.

Le votazioni del consiglio direttivo si sonoconcluse con la nomina di cinque nuovi consi-glieri che si vanno ad aggiungere a Tripo MariaGiuseppa, Filippo Vitale, Ornella Salemi e LuciaMelita, la presidente. Essi sono: Di Mauro Gio-vanni, Corridore Maria Concetta, Puzzo Elena,Biundo Maria e Strano Salvatore.

Tripo Maria Giuseppa

V Congresso regionale OSDISICILIA

Il 17 e 18 Aprile 2009 si è tenuto a

Bari il VII Congresso Regionale OSDI Puglia

che ha visto la presenza di valenti relatori

e numerosi partecipanti anche tra i neo-

iscritti. Il congresso di quest’anno è stato

anche l’occasione per festeggiare il decimo

anniversario della nascita della nostra

sezione regionale.

L’obiettivo generale del convegno era

quello di sviluppare la formazione infer-

mieristica relativa alla cura e all’assistenza

del paziente diabetico Tipo II attraverso

l’acquisizione delle nuove strategie tera-

peutiche e delle metodologie assistenziali

e organizzative più idonee e più efficaci

secondo l’EBM (evidence based medicine).

Il filo conduttore del congresso era quello

di trasferire ai partecipanti una formazione

che tenesse conto dell’assistenza in tutte

le sue dimensioni, includendo l’analisi dei

contesti organizzativi e i possibili ambiti

di miglioramento per la gestione della

malattia diabetica. In essi il ruolo

dell’infermiere, responsabile dei processi

assistenziali, educativi ed organizzativi

risulta fondamentale per migliorare la

qualità di vita della persona diabetica e

ridurre i costi legati alla malattia. Questo,

partendo dal presupposto che, per poter

realizzare una assistenza efficace e di

qualità, non basta avere dei professio-nisti preparati e formati ma occorre

che essi siano inseriti in un contesto strut-

turale e organizzativo altrettanto valido.

Un sentito ringraziamento va a tutti

i relatori che hanno saputo trasmettere

con estrema chiarezza i contenuti delle

loro relazioni creando un clima di forte

attenzione e numerosi spunti di approfon-

dimento. Grazie, dunque, al Prof. LuigiLa Viola, al Dott. Stefano Albano, alla

Sig.ra Clara Di Gregorio, alla Sig.ra AnnaMaria Idrontino, al Dott. FrancescoMario Gentile, al Dott. Francesco LoSurdo.

Credo valga la pena sottolineare

l’importanza degli argomenti trattati dai

relatori intervenuti e l’attenta partecipa-

zione dei presenti giunti da ogni parte

della Puglia, nonché il clima di interazione

creatosi tra i partecipanti. Si spera che tra

noi colleghi si conservi sempre la capacità

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Diabete Tipo II: la terapia, l’assistenza,l’organizzazione

VII CONGRESSO REGIONALEOSDI PUGLIA 2009BARI HOTEL RONDÒ 17-18 APRILE 2009

Momenticongressuali

di stringere e mantenere rapporti che

permettano scambi culturali e professionali

utili per un lavoro efficace all’interno

dell’OSDI.

Un nutrito ringraziamento al Dott.Antonio Muscogiuri, Anna Maschio e

Josè Chimienti che con le loro relazioni

ci hanno fatto ripercorrere i nostri dieci

anni di vita associativa, proiettando lo

sguardo sia al passato, ricordando tutti

coloro che hanno contribuito alla crescita

dell’associazione, sia al futuro, verso oriz-

zonti sempre nuovi e sempre più signifi-

cativi.

Un’ associazione costruita sulle idee

di tutti, che intende diventare sempre più

un punto di riferimento per gli infermieri

preposti all’assistenza del paziente diabe-

tico, infermieri che non si accontentano

ma vogliono capire e conoscere la realtà

senza filtri.

In questi dieci anni, l’OSDI in Puglia,

ha rafforzato il proprio lavoro. L’impegno

con l’OSDI è intenso, non c’è solo colla-

borazione bensì unità di intenti. Il risultato

è un palinsesto sempre più ricco e artico-

lato in ogni provincia.

Scopo principale del l ’OSDI è

l’aggiornamento professionale nel campo

diabetologico ponendo il paziente come

attore principale, un aggiornamento

continuo e produttivo di idee, che rilancia

l’entusiasmo e la capacità di lavoro in

equipe e funge da volano a tutto il movi-

mento.

Nella stessa circostanza, si sono svol-

te le votazioni per il rinnovo del consiglio

direttivo regionale e la proclamazione

dei nuovi consiglieri da parte della nuova

Presidente Regionale, Sig.ra Josè Chi-

mienti, capo sala dell’unità operativa di

Endocrinologia nell’Ospedale SS Annun-

ziata di Taranto. Si coglie l’occasione

per augurare ai neo consiglieri una se-

rena e proficua collaborazione e un

buon lavoro.

Anna CorvinoVicepresidente Osdi- Regione Puglia-

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A. MaschioPresidente Regionaleuscente

A. CorvinoVicepresidente

Regionale Osdi

Festeggiamentiper il decimoanniversariodella nascitadell’Osdiin Puglia

Analisi dei bisogni formativi

Il congresso regionale è anche il mo-

mento per valutare quali sono i bisogni

formativi dei nostri iscritti. E’ ormai con-

suetudine sondare, attraverso un questio-

nario conoscitivo, le necessità di aggior-

namento professionale dei soci OSDI della

nostra regione. Il questionario ha l’obiettivo

di indagare diverse aree di intervento per

stabilire quali sono le necessità reali su cui

basare le proposte di aggiornamento fu-

ture.

Gli aspetti indagati:

• Aspetti educativi: autocontrollo, alimen-

tazione, calcolo dei CHO, attività fisica

• Aspetti organizzativi: D. Management,

Case management, Day service, gestio-

ne integrata.

• Aspetti comunicativi: empowerment,

strategie della comunicazione, dinami-

che relazionali .

• Informatica: base e avanzata

Per ogni aspetto indagato viene richie-

sto, sostanzialmente, di esprimere un

giudizio sull’argomento e quindi se è

sufficientemente conosciuto o se si vuole

approfondirne i contenuti.

Dall’analisi (vedi fig. 1) emerge che i

soci della nostra regione preferirebbero

approfondire gli argomenti che riguardano

gli aspetti organizzativi della gestione del

paziente diabetico, così come apprezze-

rebbero percorsi formativi per aumentare

le conoscenze in campo comunicativo e

relazionale. Anche l’informatica avanzata

risulta essere un argomento richiesto,

probabilmente in relazione al fatto che

gli interventi coordinati dell’assistenza,

implicano l’utilizzo di strumenti informatici.

I risultati emersi ci aiutano a formulare

l’offerta formativa per indirizzare i nostri

sforzi verso obiettivi che sono oggetto di

interesse comune e reale da parte dei

nostri associati. Lo scopo è quello di favo-

rire la crescita professionale attraverso

una rete di percorsi che possano trovare

una giusta integrazione e un giusto equi-

librio fra le necessità locali e gli indirizzidelle politiche nazionali.

Il Direttivo RegionaleOsdi Puglia

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Figura 1

Saluto del Presidente regionaleOsdi Puglia

Cari Colleghi, si è appena concluso

il VII Congresso Regionale OSDI Puglia.

Come presidente neoeletta, ritengo di

dover innanzitutto ringraziare i colleghi

che hanno creduto nelle mie potenziali

capacità di guidare, per il prossimo bien-

nio, il gruppo di associati che hanno

l’ardire di voler implementare sempre

più le conoscenze e le proprie capacità

formative per poter fornire ai propri

pazienti un’assistenza ai massimi livelli

qualitativi.

Tutti noi siamo consapevoli che la

strada migliore da percorrere è la condivi-

sione e la uniformità dei percorsi assisten-

ziali, pertanto una associazione come la

nostra ha come mandato quello di creare

occasioni di incontro per crescere, con-

frontarsi e garantire a tutti noi un aggior-

namento scientificamente corretto a van-

taggio del paziente diabetico e del suo

hinterland socio-familiare. Gli obiettivi che

il Direttivo Regionale OSDI Puglia si è

prefissato per il prossimo biennio, sono

scaturiti anche dall’indagine conoscitiva

fatta durante il congresso regionale. Te-

nendo conto dei bisogni formativi degli

associati, abbiamo provato a sviluppare

un programma di massima sul quale arti-

colare i progetti futuri:

Realizzare corsi di perfezionamento

ed incontri scientifico-culturali che rispon-

dano alle reali necessità formative dei

soci e che siano un valido supporto per

fronteggiare i forti cambiamenti organiz-

zativi del nostro settore, superando le

difficoltà pratiche che la realtà quotidiana

ci propone.

Incentivare una partecipazione sempre

più attiva dei soci, nella definizione di

tutte le attività del biennio, di modo che

si possa vivere l’associazione da protago-

nisti, condividendo con il consiglio direttivo

progetti di formazione tratti dalla perso-

nale e quotidiana esperienza infermieri-

stica

Supportare ed incentivare la produzio-

ne di lavori originali da parte dei soci da

presentare in occasione del prossimo con-

gresso nazionale OSDI 2010 .

Favorire progetti per l’applicazione

del desease management e della gestio-

ne integrata, per garantire il migliora-

mento delle cure e l’utilizzo di tecniche

assistenziali in grado di prevenire le com-

plicanze.

Favorire l’attuazione di percorsi dia-

gnostico terapeutici condivisi da tutti i

soggetti interessati nei diversi livelli di

assistenza.

Il mio auspicio e quello di tutto il

direttivo regionale è quello di concre-

tizzare quanto ci siamo prefissati e di

rendere la nostra associazione un punto

di riferimento per gli iscritti Osdi. E’

importante, inoltre, creare una rete di

collegamento tra tutte le figure profes-

sionali che si occupano della cura del

paziente diabetico. Per ottenere risultati

in termini di qualità dell’assistenza,

occorre lavorare in collaborazione, in

sinergia ma soprattutto avere obiettivi

condivisi e unitarietà.

Josè ChimientiPresidente Regionale Osdi Puglia

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Josè Chimienti:Presidente Regionale

Osdi Puglia

intento di questo articolo è duplice:

da un lato sottolineare il valore

dell’intelligenza emotiva per il lavoro di

cura; dall’altro offrire casi di situazioni

relazionali in cui ne cogliamo la mancanza

e i conseguenti effetti.

Perché l’intelligenza emotiva è unacompetenza fondamentale nella rela-zione di cura?

Tento di rispondere a questa domanda

con uno schema “razionale”, ma anche

riflettendo su due dialoghi tra paziente e

operatori sanitari.

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parolala

espertoall’di Marina Cassoni

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Oggi sappiamo moltissimo sulla biologia neuronale delle emozioni e deisentimenti, ma esiste un problema di divulgazione, per stimolare il megliodella natura umana e reprimere il peggio.

A. Damasio

Capacità di comunicare in maniera chiara ed efficacetenendo conto delle caratteristiche del paziente.

Capacità di mantenere efficacia terapeutica malgradola cronicità della patologia, il probabile deteriora-mento della qualità di vita del paziente e la suadiscontinuità di compliance.

Capacità di mantenere efficacia terapeutica in unarelazione di cura che può protrarsi a lungo ed ancheattivare identificazioni e coinvolgimenti.

Capacità di investire sul paziente e sulle sue possi-bilità, piuttosto che sui suoi limiti.

Empatia.

Capacità di reggere la frustrazione.Capacità di auto motivarsi.

Capacità di elaborare le proprie esperienze emotivecercando il giusto equilibrio di vicinanza/distanza.

Capacità di costruire relazioni improntate alla fiducia.

Che cosa chiede una buona relazione di cura? Che cosa offre l’intelligenza emotiva?

Con il contributo non condizionante di

E l’elenco potrebbe continuare indi-

cando le molteplici risorse che ci proven-

gono dal nostro cervello emotivo.

Il termine intelligenza emotiva si fonda

su un duplice riconoscimento:

1. l’intelligenza basata sull’esercizio della

pura razionalità costituisce un aspetto

delle più generali capacità che permet-

tono all’uomo di misurarsi con le diverse

situazioni incontrate nella vita di tutti

i giorni e di risolvere adeguatamente i

problemi;

2. le emozioni (tra breve ne daremo alcu-ne definizioni) non sono aspetti turbativi

del nostro rapporto con il mondo, bensì

strumenti per conoscere e orientarci,

stabilendo con gli altri quella che si

chiama intersoggettività secondaria.

L’intelligenza emotiva è la capacità di

comprendere le emozioni che si attivano

in noi e di empatizzare con quelle che

possono attivarsi negli altri a fronte di

situazioni, parole, avvenimenti ecc..

Gli studi sull’intelligenza emotiva han-

no fatto grandi progressi sulla scorta delle

acquisizioni delle neuroscienze, che hanno

chiarito gran parte delle referenze neuro-

nali di questa forma di intelligenza indi-

spensabile per il nostro adattamento.

Il concetto di intelligenza emotiva

include quattro tratti fondamentali (tratto

da D. Goleman):

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Ci soffermiamo in particolare sulla

consapevolezza di sé come chiave di volta

dell’intelligenza emotiva.

L’AUTOCONSAPEVOLEZZA è la ca-pacità di riconoscere un sentimento(emozione consapevole) nel momentoin cui esso si presenta.

Le persone orientate a riflettere sui

propri sentimenti allenano la capacità di

stare in contatto con se stesse e con i

segnali del proprio corpo.

La capacità di monitorare i sentimenti

è fondamentale per la comprensione di

sé stessi, dei propri punti di forza e debo-

lezza, della propria resistenza allo stress.

L’autoconsapevolezza r ichiede

l’attivazione della neocorteccia e delle

aree del linguaggio, che consentono di

dare un nome alle emozioni che si sono

attivate.

Possiamo definire l’autoconsa-

pevolezza come una forma di attenzione

non reattiva e non critica verso i propri

stati interiori o, in altre parole, come una

modalità neutrale della mente che

Consapevolezza di sé:

consapevolezza del proprio stato emotivoaccura autovalutazionefiducia in se stessi

Consapevolezza sociale:

empatiaconsapevolezza dell’organizzazioneorientamento al paziente/cliente/collaboratore ecc.

Gestione di sé:

gestione delle proprie emozionitrasparenzaadattabilitàorientamento ala risultatoiniziativa

Gestione delle relazioni interpersonali:

leadership ispiratriceinfluenzasviluppo delle potenzialità altrui

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sostiene la riflessione anche in mezzo

a emozioni turbolente.

E’ la differenza che passa dall’essere

travolti dalla rabbia verso qualcuno e il

pensare:“Quello che sto provando adesso

è collera”, anche nel momento stesso in

cui ne siamo pervasi.

In termini di meccanismi neurali questo

spostamento dell’attività mentale segnala

che i circuiti neocorticali stanno monito-

rando attivamente l’emozione, compiendo

così un primo passo nell’acquisizione di

un controllo su di essa.

La nuova prospettiva teorica apre

possibilità di allenamento e di crescita

delle proprie competenze emotive e

di equilibrio.

Il nostro obiettivo deve essere quel-

lo di fare in modo che le emozioni

siano appropriate, cioè proporzionate

alle circostanze.

Tante sono le situazioni in cui ci accade

di valutare la nostra emozione e il conse-

guente comportamento come sproporzio-

nato. Goleman racconta in questo senso

molti casi. Ne riprendo uno che ho trovato

semplice e significativo:LA P

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Jessica, una bambina di sei anni, si accingeva per la prima volta apassare la notte fuori casa, da una compagna di giochi e non eraben chiaro se la cosa rendesse più agitata lei o sua madre…..latensione della madre raggiunse l’apice verso la mezzanotte. Si stavapreparando per andare a letto e sentì squillare il telefono. …la donnasi precipitò al telefono con il cuore in gola mentre nella mente lebalenavano le immagini della figlia Jessica in preda ad una terribileangoscia. Afferrò il ricevitore e gridò nell’apparecchio: Jessica!!, masi sentì rispondere da una voce femminile: “Mi scusi devo aversbagliato numero…” A quel punto la madre di Jessica recuperò ilproprio sangue freddo e chiese in tono educato e misurato: “Chenumero desiderava?” 1

Che differenza c’è tra emozioni e sen-timenti?

Lo stimolo che genera emozione può

essere un evento, una scena,

un’espressione del volto o un particolare

tono di voce, viene elaborato in prima

istanza dai centr i sottocort ical i

dell’encefalo e in particolare dall’amigdala

che riceve l’informazione direttamente

dai nuclei posteriori del talamo e provoca

una prima reazione neuroendocrina con

la funzione di mettere in allerta

l’organismo. La funzione dell’amigdala è

proprio quella di scatenare –senza molto

discernimento, ma con eccezionale rapi-

dità una reazione impulsiva al pericolo.

In questa fase l’emozione determina

quindi diverse modificazioni somatiche,

come ad esempio la variazione delle pul-

sazioni cardiache, l’aumento o la diminu-

zione della sudorazione, l’accelerazione

del ritmo respiratorio, l’aumento o il rilas-

samento della tensione muscolare.

Lo stimolo viene contemporaneamen-

te inviato dal talamo alle cortecce associa-

tive, dove viene elaborato in maniera più

lenta, ma più raffinata. Nella neocorteccia

una serie di circuiti registra e analizza

l’informazione, la comprende e attraverso

i lobi prefrontali organizza una reazione

coordinata. A questo punto, secondo la

1 D. Goleman, Intelli-genza Emotiva, Rizzoli,1996, pag. 44

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valutazione, viene emesso il tipo di risposta

considerata più adeguata alla situazione,

soprattutto in riferimento alle “regole di

esibizione” proprie dell’ambiente culturale

o della propria educazione (pensiamo alle

differenze per esempio di esibizione del

dolore che ci sono anche fra Nord e Sud

Italia).

Le emozioni, quindi, inizialmente sono

inconsapevoli; solo in un secondo momen-

to noi “proviamo” l’emozione, abbiamo

cioè un sentimento.

Normalmente l’individuo che prova

una emozione diventa cosciente delle

proprie modificazioni somatiche (si rende

conto di avere le mani sudate, il battito

cardiaco accelerato etc.) ed applica un

nome a queste variazioni psicofisiologiche

(“paura”, “gioia”, “disgusto”...). Da un

punto di vista fisiologico un’emozione

sorge prima che l’individuo ne sia conscio.

Nel momento in cui un’emozione si fa

strada nella consapevolezza, vuol dire che

è stata registrata come tale nella corteccia

prefrontale.

LE SEDI DELLE EMOZIONI

Essere consapevoli delle proprie emo-

zioni significa poterle usare come

“informazioni” su quanto sta accadendo.

SONOAGGREDITO

VERBALMENTEVALUTO ALTRE

STRATEGIE

AGGREDISCO

RABBIA

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Usare le emozioni come “alleate” nella

regolazione dei comportamenti, significa

che –grazie all’emozione- (che riconosco!)

so quanto mi sta accadendo.

La rabbia dunque non è necessaria-

mente un impulso ad attaccare, ma un

avvertimento che tale impulso è in atto.

Questo avvertimento apre lo spazio alla

libertà di scelta.

Interagire con le emozioni presuppone

in primo luogo un contatto reale e senso-

riale usando tutti i canali percettivi: visivo,

uditivo, cinestesico, gustativo, olfattivo.

E’ molto importante questo contatto per

sentire come si manifestano le emozioni

e in quale parte del nostro corpo risuona-

no.

Solo sperimentando un vero contatto

con le nostre emozioni disturbanti, pos-

siamo poi in parte comprenderle, digerirle,

trasformarle oppure evitare quelle situa-

zioni che ci procurano sofferenze che

possiamo risparmiarci.

Adesso mi sento meglio ….o peggio:dalle emozioni alla qualità della rela-zione

Veniamo all’incontro con l’altro e al

ruolo potente delle emozioni nella rela-

zione.

L’incontro del paziente con una figura

di cura può produrre un senso di maggiore

benessere indipendentemente da qualche

“concreta” azione terapeutica compiuta,

o da un miglioramento oggettivamente

rilevabile delle condizioni di salute.

Come è possibile? Ci è d’ aiuto il

concetto di sistema limbico.

“Gli scienziati descrivono il circuito

aperto come una regolazione limbica in-

terpersonale, con la quale un individuo,

trasmette segnali in grado di modificare

i livelli ormonali, le funzioni cardiovascolari,

i ritmi sonno-veglia e persino la funzione

immunitaria di un’altra persone. Ricerche

condotte nelle unità di terapia intensiva

hanno dimostrato che il conforto costituito

dalla presenza di un’altra persona non

solo abbassa la pressione sanguigna dei

pazienti, ma rallenta anche la produzione

deg l i ac id i g rass i responsab i l i

dell’occlusione delle arterie”. 2

Il sistema limbico è un sistema a cir-

cuito aperto, mentre quello circolatorio è

un sistema chiuso. Ciò significa che quanto

accade nel sistema circolatorio di un’altra

persona non influenza il nostro. Diverso

è per le emozioni: gioia, allegria, aggres-

sività si diffondono in maniera più o meno

“contagiosa”.

Quando entriamo in relazione con un

altro ne siamo emotivamente influenzati,

ovviamente in rapporto all’importanza, al

tempo e all’intensità dell’interazione.

Ciò vale non solo dal professionista

sanitario, al paziente diabetico, ma anche

viceversa.

Lavorare con i pazienti cronici –ormai

è noto e affermato- mette a contatto con

emozioni di vario tipo: frustrazione, rabbia

perché il paziente non “aderisce”, stan-

chezza nella ripetizione delle prescrizioni,

sfiducia nelle capacità di autocontrollo

ecc… Rispetto a tutte queste possibilità

di “contagio emotivo negativo” gli ope-

ratori hanno necessità di “disintossicarsi”

di prendere distanza dalle emozioni di-

strurbanti, attraverso il confronto con i

colleghi, la riflessione, il riposo psico-fisico

che costituiscono strategie di ricambio.Dobbiamo tuttavia tenere presente che

sono più influenti le emozioni veicolate

dagli operatori, che sono vissuti tenden-

zialmente come “guida” come leader della

relazione terapeutica. La loro mancanza di

empatia o di sintonia con le preoccupazioni

del paziente può ridurre la fiducia, far

temere al paziente di non farcela.

2 R. Boyatzis, A. McKee,Essere Leader,BUR, 2002, pg. 29

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Vi propongo due casi: il primo si svolge

in una maternità milanese, il secondo in

un centro di diabetologia lombardo.

L’obiettivo di queste presentazioni è

quello di proporre materiale di riflessione

e di valorizzazione del proprio lavoro.

Sandro e Luigi sono due gemelli eterozigoti nati alla 38 settimana. Andrea con un peso di circa 3 Kg. e Simonedi 2,4 Kg.La mamma desidererebbe allattarli ed ha bisogno di indicazioni concrete ed anche di qualche parola di sostegno.Il reparto di pediatria dove è ricoverata, ha una nursery così organizzata: i bambini vengono portati 6 voltenelle 24 ore per 1 ora.La mamma riesce ad allattare i gemelli contemporaneamente con un pò di aiuto.Andrea mangia a sufficienza e non deve avere aggiunte di latte artificiale, mentre Simone spesso si addormentae richiede poi integrazioni.Ogni giorno i pediatri informano le mamme circa la quantità di latte assunto. La mamma è in ansia per Simoneche non sembra ancora succhiare. Il messaggio è sempre quello di non farlo diminuire oltre il normale calofisiologico. Un giorno accade che Simone si attacca con particolare vigore proprio quando mancano 5 minutiallo scadere dell’orario.Quando il personale torna a riprendere i bambini, la mamma spiega la situazione e chiede che le lascino ancoraqualche minuto Simone.

Puericultrice: Non è possibile, abbiamo troppi bambini da accudire e dobbiamo rispettare i ritmi… .Mamma: Per la prima volta sta mangiando senza addormentarsi … me lo lasci ancora qualche minuto….P: Guardi è proprio impossibile!M: Lo porto io alla nursery non appena ho finito di allattarlo.P: Per queste eccezioni deve sentire la capo sala.

La mamma demoralizzata si rassegna a questa rigidità, ma decide di cercare la caposala

Dialogo con la Caposala

Capo Sala: Signora non possiamo fare eccezioni … il reparto è organizzato così.M: Quella dei gemelli non è una situazione del tutto ordinaria … Io capisco le regole e l’organizzazione…Le chiedo solo di lasciarmi Simone nel caso in cui cominci a mangiare 10 minuti prima della scadenza ….CS: Non è possibile, noi lasciamo un’ora di tem po … ed è sempre sufficiente!M: … .CS: In ogni caso non riuscirà ad allattarne due!M: …

Nel riflettere su questo episodio, è

necessario tenere presente che questa è

la vicenda come è stata vissuta dalla ma-

dre. Si deve essere ben consapevoli di

quanto differenti possano essere i vis-suti dei soggetti coinvolti, e di quanto

questi siano influenzati dalle caratteristiche

di personalità, dalla situazione.

Qui la madre si trova in una condizione

non certo ordinaria: ansie, stress, stan-

chezza, timori di essere inadeguata sono

lì a complicare il contesto in cui avviene

la relazione. Per altro non ci interessa

sapere se l’episodio sia avvenuto proprio

in questi termini, oppure sia il frutto del

racconto di una madre, che, per un nu-

mero indeterminato di ragioni, può aver

interpretato come aggressive le regole di

un reparto o i rifiuti di una puericultrice.

La componente soggettiva è parte costi-

tutiva della rappresentazione. Il livello di

distorsione della rappresentazione è varia-

bile dipendente dalle condizioni psichiche

della madre.

Quello che interessa qui è se questo

racconto possa dirci qualcosa sulle com-petenze relazionali, sull’intelligenzaemotiva, sulla relazione di aiuto.

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Il momento finale della comunicazione

con la capo sala risulta particolarmente

problematico. La frase - Non è possibile,

noi lasciamo un’ora di tempo … ed è

sempre sufficiente! - toglie legittimazione

alla realtà vissuta dalla madre. Potrà anche

essere vero che per tutte le altre madri,

fino a quel momento, quel tempo sia

stato sufficiente, ma non lo è per la madre

di Sandro e Luigi. Parlando con le madri,

durante i focus group, un dato che è

emerso con frequenza è quanto fosse

importante sentirsi comprese e credute

dal loro medico. Qui la realtà della madre

viene squalificata; e nel momento in cui

si fa un confronto con le altre, non si può

non accrescere un sentimento di inferiorità,

di inadeguatezza. Parole non empatiche,

che non aiutano. La frase preannuncia la

durezza della conclusione: In ogni caso

non riuscirà ad allattarne due! Frase inutile,

che esprime l’aggressività vissuta dalla

capo sala. Siamo di fronte ad una relazione

conflittuale, non di aiuto.

Quale è il compito della capo sala?

Certo far sì che il reparto funzioni con

ordine, secondo delle regole, tuttavia qui

lo sguardo sembra troppo orientato verso

l’istituzione, il reparto, l’organizzazione e

per nulla verso la paziente, la madre. Una

organizzazione orientata al servizio, quale

è il reparto di un ospedale, deve avere al

centro il paziente: non è il paziente che

deve adattarsi alla organizzazione, ma

viceversa.

E’ possibile però che la scarsa dispo-

nibilità della capo sala sia anche il frutto

di problemi organizzativi, che, è ben noto

a tutti, rendono molto frustrante il lavoro

per gli operatori sanitari: mancanza di

personale, elevato turn-over, carichi di

lavori eccessivi; da qui rigidità, tensioni,

demotivazioni. Sarebbe necessario inter-

rompere questa dinamica negativa, che

accrescendo i livelli di tensione, rende

anche meno efficace il proprio lavoro e

aumenta la demotivazione. La modalità

aggressiva della capo sala forse è anche

determinata dal non sapere fronteggiare

la richiesta della madre, quando sente di

non avere sufficiente spazio di cambia-

mento, per venire incontro alle sue richie-

ste. L’ansia fa chiudere rapidamente e

bruscamente la comunicazione.

Le competenze comunicative siadella puericultrice, che della capo sala,in questo caso, non sono brillanti. Nonc’è accoglienza, la modalità è imme-diatamente respingente: “non è possi-

bile, abbiamo troppi bambini da accudire

e dobbiamo rispettare i ritmi … Guardi è

proprio impossibile”. Parole che trasmet-

tono chiusura, non ascolto, non aprono

alla negoziazione di nuove possibilità.

L’episodio mostra uno scarso orientamento

alla soluzione di problemi, manca flessibi-

lità, e così la capacità di essere empatici,

o di controllare le proprie emozioni, come

l’attacco aggressivo finale.

Per quanto riguarda la puericultrice

qui emerge una comunicazione di chiusura

e respingente. Avrebbe anche potuto

colludere con la paziente, ad esempio,

rispondendo che effettivamente nel repar-

to le regole sono eccessive con danno

delle pazienti: “”Eh che vuole, qui le cose

vanno così, io lo dico sempre, ma non c’è

niente da fare””, esprimendo il suo per-

sonale malcontento, ma non avrebbe

aiutato la madre, svalutando il reparto.

Una modalità più adulta sarebbe stata

quella di ascoltare la paziente, rassicurarla,

fare presenti le difficoltà e le necessità

organizzative ed eventualmente offrirsi

per una possibile ricerca di una soluzione.

Il problema del caso non è il rifiuto, ma

la modalità aggressiva di come viene

espresso. Dire di no a qualcuno è molto

più impegnativo che dir di sì; richiede più

attenzione, più cura.

L’episodio può favorire molte altre

riflessioni, che qui non è possibile appro-

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fondire. Per una lettura più completa

divengono fondamentali i vissuti, le asso-

ciazioni, i ricordi, le amplificazioni che in

un lavoro di gruppo può suscitare il con-

frontarsi con un racconto come questo:

quando ci siamo sentiti come quella ma-

dre? Quante volte invece quella capo sala

così rigida si è risvegliata dentro di noi?

Cosa potremmo dirle? Non si tratta di

giudicare i protagonisti dell’ episodio, ma

di ritrovarli in noi. Parti che è importante

riconoscere e ascoltare, per poterle con-

tenere e moderare.

Giovanni ha 12 anni, da due settimane ha avuto diagnosi di diabete tipo 1 in seguito a cheto acidosi diabeticaed è stato ricoverato nel reparto di diabetologia pediatrica. Frequenta la prima media con buon rendimentoscolastico, ed è iscritto ad un centro sportivo con particolare impegno nel nuoto. I genitori sono persone dimedia cultura che sono ancora “sconquassati” dalla diagnosi formulata al figlio. Temono anche per la sorellinadi 7 anni.L’obiettivo della visita è quello di effettuare un controllo dell’andamento glicemico dopo le dimissioni.I genitori in sala d’aspetto sollecitano il rispetto dell’orario di visita, perché sono in ansia.La relazione non ha un buon avvio:

Madre: “Avevamo appuntamento più di mezz’ora fa, il bambino è stanco… si può sapere a che orapotremo entrare”Infermiera: “Signora appena sarà il suo turno la chiameremo, il medico è in ritardo con le visite”Madre: “I vostri orari sono sempre approssimativi…”Infermiera: sospira infastidita, ma non dice nullaFinalmente Giovanni e la madre entrano in ambulatorio, dove il medico li accoglie cortesemente.Medico: “Giovanni come stai?”Giovanni: “Mi sento abbastanza bene, sto imparando a misurare la glicemia, ma non voglio che i mieicompagni di scuola sappiano nulla…mi vergognerei troppo … chissà cosa penserebbero”Medico: “Ti capisco, ma con il tempo capirebbero…”Madre interrompendo: “Non è vero che Giovanni, sta bene, io lo vedo sempre stanco e pallido, io nonmi fido che a scuola sappiano intervenire”Giovanni: “Mamma io sto bene…non è vero che mi sento stanco…”Medico: “Signora non può lei sapere se suo figlio si senta stanco o meno…dia fiducia alle sue sensazioni…”Madre: “E’ un ragazzino..io non vivo più sono terrorizzata dalle ipoglicemie soprattutto notturne”Medico: “Vediamo di mettere ordine lei è troppo in ansia e rischia di trasmetterla a suo figlio…dal diariovedo troppe misurazioni delle glicemie…”Madre: “Come troppe misurazioni… Giovanni mangia di nascosto non l’ho mandato ad una serata congli amici in pizzeria perché so che mangerebbe cose che non vanno bene”Medico: “Deve fidarsi di più così confonde suo figlio, comunque le misurazioni non vanno male…ma nonsia così apprensiva non aiuta suo figlio ad accettare questa malattia…”Madre: “Lei continua a dirmi che sono apprensiva, non capisce…”Medico: “Vedo che non la convinco…comunque riduca i controlli, lasci che si muova e vada a nuoto ecomunque si tranquillizzi..il diabete è una malattia come un’altra e noi siamo sempre disponibili…”Madre: ….Medico: “Si metta d’accordo con l’infermiera per un appuntamento….ciao Giovanni”

In questo breve episodio colpiscono

in particolare due aspetti:

l’apprensione della madre

il fatto che il medico non si impegni

in una comunicazione –magari anche

direttiva, ma volta a fornire alcune chiare

e concrete indicazioni.

Sembra che il medico non “investa

energie” da un lato per comprendere

come sta Giovanni e che “rapporto” sta

cominciando a costruire con la malattia,

dall’altro per dare indicazioni che possano

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produrre nella madre la sensazione di

farcela ad affrontare la malattia del figlio.

E’ una madre difficile perché ansiosa

e in parte aggressiva, ma non sentiamo

negli interventi del medico comunicazioni

utili.

Si coglie il giudizio ”lei è troppo

ansiosa…” il medico coglie certamente

una verità, ma non dice nulla che possa

avere una valenza trasformativa.

La sensazione è quella di un colloquio

in cui gli interlocutori non “si prendono”

e il medico non appare sufficientemente

motivato.

Concludo questo articolo sul ruolo

dell’intelligenza emotiva nella relazione

di cura, sottolineando l’importanza e il

valore della riflessione intorno alla nostre

emozioni e proponendo alcuni brevi eser-

cizi di contatto riflessivo:

Quali capacità sto allenando oggi

con i pazienti?

Quali sono le emozioni più faticose

che sto provando oggi?

In quali capacità sto investendo tutto

me stesso?

Quali caratteristiche emotive hanno

le persone per me importanti?

Quale capacità emotiva che mi è più

difficile esercitare?

In quale parte del vostro corpo avver-

tite le sensazioni prodotte dalle emo-

zioni?

Le sensazioni prodotte dalle emozioni

nel mio corpo sono “…groppo in

gola…” “fumo negli occhi...”

Bibliografia

R. E. Boyatzis, D. Goleman, Essere leader, BUR 2002

Damasio A., L’errore di Cartesio. Emozione, ragione e cervello umano, Adelphi,

1995

Goleman D. Intelligenza Emotiva – Che cos’è, perché può renderci felici, Rizzoli,

1996

Goleman D. Lavorare con Intelligenza Emotiva, Rizzoli, 1998

TIPO 1 VERSO IL RADDOPPIO NEI BAM-BINI PICCOLI

L’incidenza del diabete di tipo 1 nei

bambini molto piccoli raddoppierà in poco

più di un decennio dal 2005 se le attuali

tendenze rimarranno invariate. Tali ten-

denze sono state riscontrate in Europa,

ma il fenomeno interesserà probabilmente

anche il resto del mondo occidentale.

Probabilmente la responsabilità del feno-

meno stesso è da attribuirsi ad esposizioni

ambientali ad elementi a tutt’ora scono-

sciuti. Il diabete di tipo 1 è molto meno

diffuso di quello di tipo 2, tranne in bam-

bini ed adolescenti. La più comune età

alla diagnosi della malattia si situa negli

anni dell’adolescenza, ma probabilmente

presto essa si sposterà verso l’età infantile.

E’ imperativo che gli sforzi profusi

nella sorveglianza del diabete nei giovani

continuino e si espandano, non solo per

comprendere la sua complessa eziologia,

ma anche per via dell’aumento della sua

importanza per la salute pubblica.

(Lancet online 2009, pubblicato il 28/5)

DIABETE: FENOFIBRATO RIDUCERISCHIO AMPUTAZIONI

L’uso di fenofibrato per la riduzione

dei grassi nel sangue nei soggetti con

diabete di tipo 2 potrebbe ridurre il rischio

di una prima amputazione correlata alla

malattia. Le amputazioni in questi soggetti

danneggiano in modo sostanziale la loro

qualità della vita ed impongono costi

elevati al sistema sanitario. I classici mar-

catori di rischio macrovascolare e micro-

vascolare sono associati alle amputazioni

degli arti inferiori nei soggetti con diabete

di tipo 2: il trattamento con fenofibrato

è associato ad una riduzione di questo

rischio, soprattutto per quanto riguarda

le amputazioni minori senza malattie dei

grandi vasi note, probabilmente tramite

meccanismi che non hanno a che fare

con i lipidi. Ciò potrebbe portare ad un

cambiamento del trattamento standard

per la prevenzione delle amputazioni nei

diabetici: l’uso dei fibrati indipendente-

mente dalla presenza di dislipidemie po-

trebbe ridurre in modo sostanziale morbi-

dità, mortalità e carico economico in questi

pazienti. Parte dei benefici del fenofibrato

potrebbero essere dovuti ad un migliora-

mento della guarigione delle lesioni: è

stato dimostrato infatti che i fibrati indu-

cono la differenziazione dei cheratinociti

e migliorano la barriera epidermica in vivo,

e questo effetto in particolare potrebbe

separare i fibrati dai molti agenti che finora

si sono dimostrati inefficaci in questo

ambito.

(Lancet. 2009; 373: 1740-1 e 1780-8)

sapevatelo

che A cura del Comitato Scientificocon il contributo di Angelo De Luca,infermiere AFD - U.O.C. di MalattieEndocrine del Ricambio e della NutrizioneS.O. di Lanciano ASL Lancianovasto -e.mail: [email protected]

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DIABETE, ISCHEMIA DELL’ARTOE RISCHIO AMPUTAZIONE

Nei pazienti diabetici con ischemia

critica degli arti, il rischio di mortalità o

amputazioni maggiori è considerevole.

Tuttavia, la riduzione del tasso di amputa-

zioni nei pazienti diabetici con piede dia-

betico ischemico è possibile con l’uso

estensivo della rivascolarizzazione tramite

bypass ed angioplastica periferica. Con

l’uso di entrambe le tecniche si giunge ad

una rivascolarizzazione del 95 percento

dei pazienti, mentre all’inizio degli anni

‘90 si poteva giungere solo al 25 percento.

Il tasso di amputazione peraltro è netta-

mente inferiore nei pazienti sottoposti a

rivascolarizzazione. Nel complesso, la chia-

ve per il trattamento efficace di questi

pazienti è l’approccio multidisciplinare: la

rivascolarizzazione ed una corretta cura

del piede possono migliorare la prognosi

del paziente e ridurre la necessità di ulte-

riori interventi. Le coronaropatie comun-

que rimangono la principale causa di

morte in questi casi, e pertanto è impor-

tante prestare attenzione al cuore e ricer-

care eventuali casi di ischemia silente per

migliorarne la sopravvivenza.

(Diabetes Care 2009; 32: 822-7)

DIABETE E ANOMALIE CARDIACHENELLE RAGAZZE

Le adolescenti con diabete di tipo 2

scarsamente controllato hanno maggiori

probabilità di presentare anomalie cardia-

che strutturali e funzionali rispetto alle

loro controparti sane o anche a quelle

con diabete di tipo 1. Ciò sottolinea il

rischio cardiovascolare potenzialmente

elevato del diabete di tipo 2 in età adole-

scenziale, un rischio che non si riscontra

nemmeno negli adolescenti in sovrappeso.

Le anomalie di più frequente riscontro

comprendono dilatazione o elevata massa

del ventricolo sinistro e dilatazione

dell’atrio sinistro. Se lasciate incontrollate,

è probabile che molte di queste anomalie

possano portare allo sviluppo di malattie

cardiovascolari conclamate.

(Diabetes Care 2009; 32: 883-8)

DIABETE TIPO 2, PANCREATITEE MALATTIE BILIARI

I pazienti con diabete di tipo 2 presen-

tano un rischio almeno triplicato di pan-

creatite e doppio di malattie biliari rispetto

alle loro controparti non diabetiche. Questi

elementi, se combinati all’incremento della

prevalenza del diabete e dei fattori di

rischio ad esso associati, potrebbero con-

tribuire ad un significativo aumento

nell’incidenza della pancreatite acuta. Per

quanto riguarda le patologie biliari, i pa-

zienti diabetici sono esposti particolarmen-

te al rischio di colelitiasi, colecistite acuta

e colecistectomia. Sia nel caso di queste

ultime che in quello della pancreatite,

comunque, i rischi maggiori riguardano i

pazienti più giovani.

(Diabetes Care 2009; 32: 834-8)

ARTERIOPATIE PERIFERICHE SPESSOSOTTODIAGNOSTICATE

Le arteriopatie periferiche sono spesso

sottodiagnosticate, anche nei pazienti con

cardiopatia ischemica nota già sotto cura

specialistica. Il fenomeno era già noto in

medicina di base, ma non era finora nota

la sua estensione nei pazienti con cardio-

patia ischemica. Esso è particolarmente

importante in questa popolazione con

l’età avanzata, il sesso femminile e la

presenza di altri fattori di rischio cardiova-

scolare tradizionali, ed inoltre la sua pre-

senza identifica un sottogruppo di pazienti

con forme di cardiopatia ischemica più

gravi. Di solito, le arteriopatie periferiche

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interessano un paziente su sei di questa

popolazione: andrebbero dunque imple-

mentati programmi di screening sistema-

tico in merito in tutti i pazienti con cardio-

patia ischemica.

(Catheter Cardiovasc Interv. 2009; 73:719-24)

DIABETE, GLICEMIA A DIGIUNOED HBA1C

La valutazione combinata di glicemia

a digiuno ed HbA1c è un mezzo efficace

per la previsione della comparsa di diabete

di tipo 2. Si tratta probabilmente anche

di una combinazione di marcatori mag-

giormente utile rispetto al test della tolle-

ranza al glucosio per via orale nella pratica

clinica, in quanto presenta vantaggi eco-

nomici ed è disponibile in modo quasi

ubiquitario. Sia la glicemia a digiuno che

l’HbA1c sono indipendentemente associa-

te al rischio di diabete, ma la loro combi-

nazione porta ad una maggiore precisione

predittiva, anche stratificando i pazienti

in base ai livelli glicemici a digiuno di base.

(Diabetes Care 2009; 32: 644-6)

DIABETE E TERMOREGOLAZIONENOTTURNA DEL PIEDE

La regolazione della temperatura del

piede nei pazienti diabetici con o senza

polineuropatia diabetica risulta significa-

tivamente danneggiata durante il sonno.

I pazienti con polineuropatia diabetica

hanno spesso problemi di sonno, ed è

stato dimostrato ora che presentano anche

anomalie della temperatura del piede.

Dato che è stato dimostrato anche che la

qualità del sonno dipende dalla normalità

della temperatura del piede, interventi

volti a normalizzarla, come ad esempio il

riscaldamento esterno, potrebbero miglio-

rare la qualità del sonno nei pazienti dia-

betici. I normali meccanismi omeostatici

del mantenimento della temperatura del

piede sono disturbati in questi pazienti, e

ciò potrebbe far sì che il piede rimanga

costantemente più freddo, il che potrebbe

predisporlo a danni ed al peggioramento

della neuropatia diabetica. Questi dati

suggeriscono nuovi meccanismi potenzial-

mente trattabili alla base dei dolori notturni

e dei disturbi del sonno associati al diabete.

(Diabetes Care 2009; 32: 671-6)

OBESITÀ, DIABETE ED ANOMALIEFETALI

La possibilità di identificare importanti

anomalie fetali tramite l’ecografia risulta

ridotta nelle donne gravide obese o dia-

betiche. Le donne diabetiche infatti sono

molto più colpite da questi problemi ri-

spetto alle altre, con una maggiore preva-

lenza di anomalie fetali ed un minor tasso

di rilevamento delle stesse: è possibile che

in questo fenomeno svolga un ruolo

l’obesità localizzata prevalentemente a

livello del tronco che caratterizza il diabete.

Alla luce di questi dati, potrebbe rendersi

necessario modificare le indicazioni da

fornire alle pazienti obese riguardo l’uso

dell’ecografia in gravidanza.

(Obstet Gynecol 2009; 113: 1001-7)

DIABETE: ASPIRINA RIDUCE RISCHIO

Sussiste un’associazione fra l’uso di

aspirina e la diminuzione del rischio di

sviluppare diabete di tipo 2. Gli studi

analitici sull’uso di aspirina ed altri FANS

ed il rischio di diabete nelle popolazioni

umane libere sono stati finora limitati, ma

è stato ora dimostrato che i soggetti che

fanno uso di un qualche tipo di aspirina

hanno un OR pari a 0,86 per lo sviluppo

del diabete rispetto agli altri. Da questa

correlazione comunque esulano tutti gli

altri FANS. La diminuzione del rischio di

diabete di tipo 2 può essere aggiunta alla

lista dei benefici clinici dell’aspirina, anche

se sono necessari ulteriori studi per inve-

stigare più a fondo questa associazione.

(Am J Med 2009; 122: 374-9)

DIABETE TIPO 1: COMUNELA DEPRESSIONE

La prevalenza della depressione e l’uso

di farmaci antidepressivi sono quasi rad-

doppiati nei pazienti con diabete di tipo

1 rispetto a quelli non diabetici. La depres-

sione è un fattore di rischio modificabile

il cui trattamento può migliorare il controllo

glicemico e gli esiti per la salute di questi

pazienti. In questo senso, lo screening

della depressione nei pazienti con diabete

di tipo 1 è di importanza vitale, soprattutto

in presenza di complicazioni. Il trattamento

della depressione dovrebbe essere accom-

pagnato da una valutazione prospettica

della sua efficacia nel miglioramento dei

sintomi relativi alla salute mentale tanto

quanto degli esiti per la salute relativi al

diabete stesso.

(Diabetes Care 2009; 32: 575-9)

DIABETE TIPO 2: SCALA RISCHIOGENETICO PREDICE RISCHIO

L’indice di rischio genetico (GRS), com-

binato con i fattori di rischio convenzionali

come il BMI e l’anamnesi familiare di

diabete, può aiutare ad identificare sotto-

gruppi di popolazione con un rischio molto

elevato di sviluppare diabete di tipo 2.

Allo sviluppo di questa malattia contribu-

iscono fattori sia genetici che ambientali:

diversi polimorfismi di singoli nucleotidi a

livello di diversi geni sono stati associati

al rischio di diabete, ed il GRS si basa su

10 di essi. Al momento attuale, comun-

que, il GRS non ha molto valore per lo

screening del diabete, in quanto le infor-

mazioni che aggiunge ai fattori di rischio

tradizionali sono molto limitate: ai fini del

miglioramento della sua utilità clinica

sarebbe necessaria una precisa mappatura

genica per l’individuazione della variante

causale. Aggiungere altri geni alla lista di

quelli considerati, comunque, avrebbe un

effetto molto lieve, in quanto nel GRS

sono già stati inclusi quelli più significativi.

Una via più proficua potrebbe essere quella

dello studio dell’interazione fra geni diversi

o fra geni e fattori ambientali: per esempio,

valori di GSR più elevati sono legati infatti

ad un rischio maggiore nei soggetti obesi.

Si potrebbero anche ricercare varianti

genetiche più rare: nonostante la loro

rarità, infatti, il loro effetto combinato

potrebbe essere sufficiente a giustificare

i fattori di rischio presenti nella storia

familiare attualmente non spiegati dalle

varianti più comuni.

(Ann Intern Med. 2009; 150: 541-50)

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TIPO 2: STRETTO CONTROLLO GLICE-MICO NON INDICATO?

Lo stretto controllo glicemico potrebbe

non essere l’optimum nei pazienti con

diabete di tipo 2. Alcune linee guida in

merito fissano dei livelli glicemici target

molto bassi per questi pazienti onde evitare

o ritardare la comparsa di complicazioni,

ma ciò carica il paziente di complessi

programmi terapeutici, ipoglicemia, au-

mento di peso e costi a fronte di benefici

al meglio incerti. Il medico dovrebbe invece

dare la priorità al supporto di benessere

e stile di vita sano, assistenza preventiva

e riduzione dei fattori di rischio cardiova-

scolare in questi pazienti.

Dato che il paziente diabetico è spesso

portatore di comorbidità, il medico do-

vrebbe evitare strategie di controllo glice-

mico che superino la capacità del paziente

di gestire la situazione a livello clinico,

psicologico ed economico: obiettivi ambi-

ziosi incentrati sulla malattia che richiedo-

no programmi terapeutici altamente com-

plessi e gravosi possono promuovere

frustrazione, mancata aderenza e stress

economico in alcuni pazienti.

Dato che non è possibile distinguere

in modo affidabile l’efficacia di diversi

medicinali per il diabete nella riduzione

delle complicazioni, la selezione del me-

dicinale andrebbe effettuata sulla base

del carico di somministrazione e degli

effetti collaterali.

(Ann Intern Med online 2009,pubblicato il 20/4)

DIABETE INFANTILE HA CONSEGUEN-ZE SUL SNC

Diversi possibili processi neuropatolo-

gici, fra cui gliosi, demielinizzazione ed

alterazioni dell’osmolarità, possono svilup-

parsi nei giovani pazienti con diabete di

tipo 1 12 anni dopo la diagnosi. Vi sono

solide basi in letteratura che legano cam-

biamenti fisiopatologici a carico del SNC

e deficit neurocognitivi al diabete di tipo

1 nell’adulto, e talvolta, ma non sempre,

a variabili specifiche della malattia quali

la sua durata o un’anamnesi di grave

ipoglicemia o iperglicemia cronica. Sono

state riportate difficoltà cognitive anche

nei bambini, ed in particolare in quelli in

cui la malattia insorge prima dei cinque

anni, ma ma gli studi neuroradiografici

sui giovani sono stati finora limitati, e la

comprensione dell’impatto del diabete di

tipo 1 sul neurosviluppo si basa ancora in

larga parte sulle inferenze effettuate dagli

studi neurocognitivi e dai dati neuroradio-

grafici relativi agli adulti.

E’ possibile che specifiche variabili

relative al diabete esercitino effetti diversi

sul SNC, ma l’incostanza delle associazioni

può anche riflettere difficoltà nell’ottenere

anamnesi affidabili e complete sotto il

profilo del controllo metabolico, comprese

le documentazioni sulle complicazioni del

diabete. Sono necessari ulteriori studi

multicentrici che prevedano la raccolta di

questi ed altri dati per comprendere pie-

namente la patogenesi dei cambiamenti

a carico del SNC nel diabete ad insorgenza

infantile.

(Diabetes Care 2009; 32: 445-50)

INFARTO: ININFLUENTE IPOGLICEMIASOTTO INSULINA

L’ipoglicemia di per sé non è una causa

di morte diretta nei pazienti infartuati

sotto insulina, ma piuttosto indica una

popolazione di pazienti il cui stato di salute

è peggiore. Anche se l’ipoglicemia è in

effetti associata ad un aumento della

mortalità, infatti, questo rischio è limitato

ai pazienti che la sviluppano spontanea-

mente, e non riguarda quelli trattati con

insulina. Il controllo glicemico sullo sfondo

dell’infarto è sempre stato oggetto di

preoccupazioni, in quanto a prescindere

dal protocollo applicato si giungerà co-

munque a produrre più casi di ipoglicemia,

e studi precedenti hanno suggerito che i

pazienti ipoglicemici presentino un mag-

gior rischio di mortalità. Tale rischio però

non riguarda i casi di ipoglicemia iatroge-

na. Ciò non suggerisce necessariamente

l’opportunità di implementare protocolli

di controllo aggressivo della glicemia nei

pazienti infartuati: è stato anzi recente-

mente suggerito che questo approccio

potrebbe anche essere dannoso.

(JAMA 2009; 301: 1556-64)

CIRCONFERENZA VITA E INSUFFICIEN-ZA CARDIACA

Una maggior circonferenza della vita

è associata all’insufficienza cardiaca nelle

donne di ogni livello di BMI, e sia la cir-

conferenza della vita che il BMI predicono

l’insufficienza cardiaca nell’uomo. L’obesità

è associata all’incidenza dell’insufficienza

cardiaca, ma la forza dell’associazione fra

quest’ultima ed il BMI diminuisce con

l’età. Nei pazienti di mezza età ed anziani,

di età compresa fra 43 ed 85 anni, sia

l’adiposità addominale che quella com-

plessiva risultano associate ai ricoveri ospe-

dalieri ed alla mortalità da insufficienza

cardiaca. Va comunque ricordato che nei

soggetti obesi sussiste il rischio della so-

vradiagnosi dell’insufficienza cardiaca a

causa della presenza di dispnea ed edemi

dovuti alla stessa obesità.

(Circ Heart Fail online 2009,pubblicato il 7/4)

OBESITÀ TRA GRAVIDANZE AUMENTARISCHIO CESAREO

Nelle donne con un’anamnesi di dia-

bete gestazionale, un eccessivo aumento

di peso fra una gravidanza e l’altra incre-

menta il rischio di un parto cesareo nella

gravidanza susseguente. E’ dunque estre-

mamente importante raccomandare a

queste pazienti variazioni dello stile di vita

atte a prevenire un eccessivo aumento di

peso, specie in considerazione del rischio

di esiti negativi sia per la madre che per

il bambino. Alcuni studi effettuati su donne

che non hanno mai sofferto di diabete

gestazionale hanno inoltre dimostrato che

anche in queste pazienti l’aumento di

peso al di fuori della gravidanza è collegato

al rischio di esiti negativi, quindi lo stesso

tipo di raccomandazione si adatta anche

a questa categoria di pazienti.

(Obstet Gynecol 2009; 113: 817-23)

CURE TERRITORIALI PER IL DIABETE

“La prevenzione del diabete, special-

mente per quanto riguarda le complicanze

della malattia, deve essere spostata sempre

di più dall’ospedale al territorio”. E’ la

ricetta formulata dal sottosegretario al

Welfare, Ferruccio Fazio, per combattere

questa patologia sempre più diffusa in

Italia e nel mondo. Il sottosegretario ha

indicato l’indirizzo da seguire durante il

‘Changing diabetes barometer forum’, in

programma ieri e oggi a Roma. Secondo

Fazio non bisogna abbassare la guardia

nei confronti del diabete ed è doveroso

proseguire lungo una strada di prevenzio-

ne ‘triplice’. “Quella primaria rappresentata

dalla correzione degli stili di vita sbagliati,

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quella secondaria condotta sui soggetti a

forte rischio e quella terziaria per le com-

plicanze della malattia”. Quest’ultimo

punto sta molto a cuore al sottosegretario.

“Abbiamo una grande esperienza profes-

sionale negli ospedali - spiega - dobbiamo

utilizzarla sempre di più sul territorio, con

interventi di assistenza capillari. L’ospedale

deve diventare un luogo dove il paziente

si reca sempre meno, solo per gli esami

davvero necessari. Per questo motivo dob-

biamo potenziare sempre di più la

territorialità”.

In questo momento nel nostro Paese

ci sono 650 centri di diabetologia, sia

ospedali che territoriali, eppure i pazienti

faticano a seguire le linee guida degli

esperti. “Ci sono molti fumatori - aggiunge

Fazio - tanti altri sono obesi. Dobbiamo

quindi applicare al diabetico quelle tecni-

che assistenziali in grado di prevenirne le

complicanze, migliorando l’adesione dei

soggetti al percorso diagnostico-

terapeutico. In questo senso - conclude -

è importante l’esempio del progetto

Igea”, condotto dal Centro nazionale di

epidemiologia, sorveglianza e promozione

della salute (Cnesps) dell’Istituto superiore

di sanità (Iss) su mandato del Centro na-

zionale per la prevenzione e il controllo

delle malattie (Ccm).

DoctorNews, 3 aprile 2009Anno 7, Numero 61

ALZHEIMER: COLESTEROLO E DIABETEACCELERANO DECLINO

Nei pazienti con morbo di Alzheimer

incidente, la concentrazione di colesterolo

totale ed LDL prima della diagnosi ed

un’anamnesi di diabete sono associate ad

un più rapido declino cognitivo. Per i pa-

zienti con questa patologia sono disponibili

poche opzioni terapeutiche in grado di

migliorare la prognosi: il controllo delle

patologie vascolari potrebbe essere un

modo di ritardare il decorso della malattia.

Benché già in precedenza i fattori di rischio

vascolari siano stati studiati in qualità di

fattori predittivi di morbo di Alzheimer,

pochi studi hanno valutato la loro influenza

sulla progressione della malattia. E’ stato

invece ora dimostrato che la prevenzione

o il trattamento dell’ipercolesterolemia e

del diabete potrebbero potenzialmente

rallentare il decorso del morbo di Alzheimer.

(Arch Neurol 2009; 66: 343-8)

DIABETE: NECESSARIOCOMPRENDERE L’AUTOGESTIONE

La comprensione delle barriere che

ostacolano l’autogestione del diabete

potrebbe aiutare gli operatori sanitari a

rafforzare il paziente. Il diabete rappresenta

una minaccia per la salute globale a causa

della sua prevalenza in rapida crescita:

nonostante la creazione di programmi di

gestione completi, i pazienti spesso non

sono in grado di ottenere gli esiti deside-

rati. I principali ostacoli all’autogestione

comprendono fattori psicosociali, fisici ed

ambientali che influenzano la variazione

del comportamento. Il medico potrebbe

implementare il processo favorendo il

supporto familiare per il raggiungimento

di obiettivi verosimili. Al contempo, migliori

sistemi assistenziali e riforme che favori-

scano l’efficienza e l’accessibilità econo-

mica e non delle cure sarebbero essenziali

per aiutare medico e paziente a giungere

a standard più desiderabili nella terapia

del diabete. La comprensione delle barriere

attualmente presenti rappresenta per il

medico il primo passo per aiutare il pa-

ziente a superarle: è necessario sviluppare

strategie per chiarire ed individualizzare

le linee guida terapeutiche, implementare

l’educazione continua, migliorare le capa-

cità comunicative e motivare il paziente

per ottenere i cambiamenti comportamen-

tali desiderati. In questo senso, il personale

infermieristico svolge un ruolo fondamen-

tale nell’ottenimento di un’assistenza

ottimale per il paziente.

(J Nurs Healthcare Chronic Illness.2009; 1: 4-19)

MONITORAGGIO GLICEMICO POSSIBI-LE PER 10 GIORNI

L’uso per 10 giorni di un sistema di

monitoraggio settimanale per la glicemia

appare affidabile, sicuro e pratico. Rispetto

ai sistemi di automonitoraggio domiciliare

con stick, gli apparecchi di monitoraggio

continuo mostrano una migliore perfor-

mance alla decima giornata di uso. Rispet-

to ai valori riscontrati con l’automonitorag-

gio, la performance dei sensori risulta

stabile lungo tutto il periodo di 10 giorni

di utilizzo, e non è stato riscontrato finora

alcun caso di infezione del sito di inserzio-

ne dell’apparecchio. Rimane a questo

punto da valutare l’impatto dell’uso per

10 giorni del sistema di monitoraggio

settimanale sull’HbA1c e sull’ipoglicemia.

(Diabetes Care 2009; 32: 436-8)

ARTRITE REUMATOIDE E DIABETETIPO 1

I soggetti con diabete di tipo 1 presen-

tano un aumento del rischio di una forma

specifica di artrite reumatoide, quella anti-

CCP positiva. Entrambe le malattie inoltre

risultano associate all’allele 620W del gene

PTPN22, il che suggerisce che questa va-

riante genica possa rappresentare una base

comune per la loro patogenesi. Si tratta

della prima volta che diabete di tipo 1 ed

artrite reumatoide vengono associati a

livello della popolazione generale:

l’identificazione di importanti mediatori

patologici condivisi è un obiettivo impor-

tante sia per la prevenzione delle malattie

che per lo sviluppo delle terapie.

(Arthritis Rheum 2009; 60: 653-60)

TIPO 2: RUOLO PREDITTIVO ANTAGO-NISTA RECETTORE IL-1

Elevati livelli dell’antagonista del recet-

tore dell’IL-1 (IL-1Ra), un inibitore naturale

dell’IL-1 beta, precedono l’insorgenza del

diabete di tipo 2. E’ stato dimostrato che

questo antagonista recettoriale migliora

la funzionalità delle cellule beta ed il

controllo glicemico nei pazienti con diabete

di tipo 2, ma la correlazione fra i suoi livelli

base e l’insorgenza del diabete non era

stata ancora esplorata. Quanto rilevato

lascia pensare che il fisico tenti di contra-

stare i disturbi proinfiammatori prima della

comparsa della malattia stimolando i mar-

catori antiinfiammatori, ma in alcuni casi

fallisca. Rimane da accertare se un’ulteriore

stimolazione di questa risposta antiinfiam-

matoria possa aiutare a prevenire o ritar-

dare la comparsa del diabete di tipo 2.

(Diabetes Care 2009; 32: 421-3)

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BMI ECCESSIVO AUMENTAMORTALITÀ

Un BMI al di sopra del range ideale

potrebbe causare un ampio incremento

nei tassi di mortalità. Le principali associa-

zioni fra BMI e mortalità complessiva e

specifica possono essere valutate al meglio

dall’osservazione prospettica a lungo ter-

mine di campioni molto abbondanti. Ben-

chè altri parametri antropometrici come

la circonferenza della vita ed il rapporto

vita-anca potrebbero aggiungere informa-

zioni significative al BMI, già il BMI in sé

stesso è un forte fattore predittivo di

mortalità sia al di sopra che al di sotto dei

22,5-25 Kg/m2. L’aumento progressivo

di mortalità al di sopra di questo intervallo

è dovuto principalmente a malattie vasco-

lari. Con 30-35 kg/m2 la sopravvivenza

media si riduce di due-quattro anni, e con

40-45 kg/m2 si riduce di otto-dieci anni,

il che è paragonabile all’effetto del fumo.

Al di sotto dei 22,5 kg/m2 l’aumento di

mortalità si deve eminentemente a malat-

tie collegate al fumo, e non è stato pie-

namente spiegato. In età adulta potrebbe

risultare più semplice evitare sostanziali

aumenti di peso che perderne una volta

che è stato accumulato. Evitando un ulte-

riore aumento da 28 a 32 kg/m2, un tipico

soggetto di mezza età guadagnerebbe

circa due anni di speranza di vita, che

diverrebbero tre in un soggetto giovane

che evita di passare da 24 a 32 kg/m2.

(Lancet online 2009,pubblicato il 18/3)

INFARTO: DIMINUIRE GLICEMIAAUMENTA SOPRAVVIVENZA

I pazienti con infarto acuto ed ipergli-

cemia al momento del ricovero ospedaliero

il cui livelli glicemici scendono fino alla

normalità durante la degenza hanno mag-

giori probabilità di sopravvivenza: tale

probabilità non differisce fra coloro che

hanno fatto uso di insulina e coloro in cui

il processo è avvenuto spontaneamente.

L’iperglicemia è comune nei pazienti con

infarto miocardico acuto, ed è nota la sua

associazione con esiti negativi quali mor-

talità o complicazioni intraospedaliere,

ma non era invece noto se la prognosi

dei pazienti che riescono a normalizzare

la glicemia in ospedale andasse incontro

a miglioramenti. I risultati ottenuti comun-

que non escludono la possibilità di un

ruolo dell’insulina nella prognosi del pa-

ziente: essi semplicemente dimostrano

che la prognosi è probabilmente determi-

nata dalla glicemia.

(Arch Intern Med 2009; 169: 438-46)

DIABETE TIPO 2: RESISTINA AUMENTARISCHIO

L’ormone noto come resistina, secreto

dal tessuto adiposo, risulta debolmente

associato ad un aumento del rischio di

diabete di tipo 2. L’associazione osservata,

più solida nelle donne che negli uomini,

può essere in gran parte spiegata dai livelli

di marcatori infiammatori o di adiposità.

Probabilmente il dosaggio della resistina

non può aggiungere molto valore predittivo

per l’identificazione dei soggetti ad alto

rischio di diabete di tipo 2, in quanto

l’associazione è troppo debole. Stando alla

ricerca di base, la resistina svolge un ruolo

fondamentale nella cascata molecolare che

conduce dall’adiposità all’insulinoresistenza,

e pertanto potrebbe trattarsi di un marca-

tore potenzialmente utile per rilevare lo

sviluppo del diabete di tipo 2, ma finora

nell’uomo la cosa non era ancora stata

accertata per via di dati limitati e risultati

incostanti. Benché il valore predittivo della

resistina sia scarso, è stato confermato il

suo ruolo di tramite fra l’obesità e la pato-

genesi del diabete di tipo 2: il suo ruolo è

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mediato dalla cascata dell’infiammazione,

ma i fattori di regolazione e gli effettori

specifici coinvolti rimangono da chiarire.

(Diabetes Care 2009; 32: 329-34)

DIABETE E INFARTO: INSULINAPRANDIALE E BASALE ALLA PARI

Trattare i sopravvissuti diabetici ad un

infarto miocardico con una strategia insu-

linica prandiale o basale porta agli stessi

livelli di HbA1c, senza alcuna differenza

nel rischio di eventi cardiovascolari. Fra i

soggetti con diabete di tipo 2, quelli con

un’anamnesi di infarto presentano un ri-

schio particolarmente elevato di ulteriori

eventi cardiovascolari: la maggior prevalen-

za dei classici fattori di rischio cardiovasco-

lare in questi soggetti spiega solamente in

parte l’incremento del rischio cardiovasco-

lare associato al diabete. L’iperglicemia

cronica incrementa questo rischio, e quella

postprandiale è stata associata alle malattie

cardiovascolari indipendentemente

dall’HbA1c o dalla glicemia a digiuno.

Nessuno dei due regimi insulinici proposti

tuttavia risulta pienamente soddisfacente

nel raggiungere i livelli glicemici prefissati.

Sarebbe interessante verificare se i risultati

sarebbero gli stessi aggiungendo altri far-

maci ipoglicemizzanti al regime, oppure

con nuovi farmaci che riducono più effica-

cemente la glicemia postprandiale, come

gli agonisti del GLP-1 o i DPP-4-inibitori.

Benché non sia ancora certo se

l’iperglicemia postprandiale sia davvero un

fattore di rischio di malattie cardiovascolari,

probabilmente implementare nella pratica

clinica strategie volte a diminuirla sarebbe

una buona scelta terapeutica, in quanto

sembra il miglior approccio per raggiungere

i valori raccomandati di HbA1c, il che è

sempre positivo per il paziente.

(Diabetes Care. 2009; 32:381-6 e 521-2)

STEATOSI, INSULINORESISTENZA EDIFFERENZE ETNICHE

Sono state riscontrate differenze etni-

che in campo di steatosi epatica non alco-

lica ed insulinoresistenza. La steatosi epatica

non alcolica è costituita da uno spettro di

patologie definite dall’accumulo anomalo

di trigliceridi nel fegato, ed era già stato

precedentemente dimostrato che i soggetti

ispanici ne sono meno a rischio rispetto

agli afroamericani, nonostante il fatto che

in questi due gruppi etnici la prevalenza

dei fattori di rischio sia simile. Il grasso

intraperitoneale è connesso al contenuto

epatico in trigliceridi, a prescindere

dall’etnia: la diversa prevalenza della stea-

tosi epatica fra i vari gruppi è associata a

differenze simili nell’adiposità viscerale. La

risposta metabolica all’obesità ed

all’insulinoresistenza negli afroamericani

differisce da quella negli ispanici e nei

caucasici: gli afroamericani risultano più

resistenti sia all’accumulo di trigliceridi nel

compartimento viscerale addominale che

a l l ’ i pe r t r i g l i ce r idemia a s soc i a ta

all’insulinoresistenza. Molti degli sconvol-

gimenti nel metabolismo lipidico tipicamen-

te associati all’insulinoresistenza non sono

presenti negli afroamericani: una possibile

spiegazione potrebbe consistere nel fatto

che il fenotipo insulinoresistente sia una

funzione dell’organo che contribuisce pri-

mariamente alla riduzione della sensibilità

all’insulina, oppure una funzione dell’abilità

di espandere il tessuto adiposo sottocuta-

neo in risposta alla sovranutrizione. Sono

necessari comunque ulteriori studi per

stabilire quali siano le basi del paradosso

dell’insulinoresistenza.(Hepatology. 2009; 49: 791-801)

OBESITÀ PERICOLOSA QUANTO IL FU-MO NELL’ADOLESCENZA

L’obesità negli adolescenti conferisce

lo stesso rischio di morte prematura in età

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adulta di fumare più di 10 sigarette al

giorno, ed anche l’eccesso di peso ha un

profilo di rischio paragonabile a quello di

un’abitudine al fumo meno intensiva.

Benché il fumo sia già un problema im-

portante nelle regioni in via di sviluppo,

l’obesità sta divenendo tale in tutte le

zone del mondo tranne le più povere:

nonostante ciò, gli effetti combinati sulla

mortalità associata a questi due fattori di

rischio e la loro interazione nelle fasi tardive

dell’adolescenza non sono noti. In base

a quanto ri levato, a prescindere

dall’abitudine al fumo, eccesso di peso

ed obesità in queste fasi incrementano il

rischio di mortalità in età adulta. Non sono

state comunque osservate interazioni fra

BMI ed abitudine al fumo. L’epidemia

globale di obesità ed il fumo in età ado-

lescenziale rimangono target importanti

per iniziative mirate a livello di sanità

pubblica.

(BMJ online 2009, pubblicato il 25/2)

DIABETE NEONATALE: IPERGLICEMIAPEGGIORA IL QUADRO

In base a quanto osservato in un mo-

dello animale, l’iperglicemia contribuisce

alla progressiva diminuzione della secre-

zione di insulina nel diabete neonatale.

Questa forma di diabete interviene quando

una mutazione nei canali K-ATP li rende

insensibili all’ATP: è stata dunque dimo-

strata una forma secondaria precedente-

mente sconosciuta di progressione della

malattia, la cui comparsa è probabile in

assenza di uno stretto controllo. Ciò ha

implicazioni dirette per la terapia di queste

forme di diabete: si rende dunque neces-

sario un controllo glicemico aggressivo,

in quanto il diabete sistemico conduce

alla perdita di cellule beta.

(Cell Metabolism 2009; 9: 140-51)

GRASSO ADDOMINALE INGRAVIDANZA

Le donne con un’anamnesi di pre-

eclampsia o di parto di bambini piccoli

per l’età gestazionale presentano un an-

damento di accumulo del grasso che è

associato ad un aumento del rischio di

malattie cardiovascolari. Questo rischio

potrebbe essere parzialmente dovuto

all’accumulo di grasso nella regione ad-

dominale al di sopra dell’anca, anche nelle

donne con un BMI nei limiti normali. In

presenza delle complicazioni di cui sopra,

queste pazienti dovrebbero essere avvertite

del proprio rischio di malattie cardiovasco-

lari e diabete, ed essere sottoposte a

controlli ad intervalli regolari (ad esempio

di cinque anni) che includano valutazioni

di pressione e glicemia. Attualmente si

stanno studiando le eventuali alterazioni

endocrine associate all’obesità addominale

in queste donne, alterazioni che potreb-

bero essere alla base dell’associazione.

(BJOG 2009; 116: 442-51)

ICTUS: FATTORI COMPORTAMENTALIPREDICONO INCIDENZA

La combinazione di quattro fattori

comportamentali correlati alla salute è in

grado di predire una differenza più che

doppia nell’incidenza dell’ictus in ambo

i sessi. Fattori relativi allo stile di vita come

fumo, attività fisica e dieta influenzano il

rischio di malattie cardiovascolari, com-

preso l’ictus: è stato confermato che la

combinazione di fumo, attività fisica, as-

sunzione di alcool e di frutta e verdura

esercita un’influenza significativa sul rischio

di ictus. Anche piccole differenze nello

stile di vita possono dunque avere un

impatto potenzialmente sostanziale su

questo rischio. L’associazione fra il rischio

di ictus e questi elementi risulta costante

fra popolazioni diverse, e permane sia

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negli studi osservazionali che in quelli

randomizzati: preoccupa però la scarsità

di soggetti che adottino uno stile di vita

che protegga dall’ictus. Benché gli inter-

venti sullo stile di vita possano essere di

grande beneficio, è necessario un cambia-

mento radicale nel comportamento di

molti pazienti per ottenere dei risultati.

(BMJ online 2009, pubblicato il 20/2)

CALORIE IN AUMENTO NELLE RICETTECLASSICHE

In diversi piatti classici, il contenuto

calorico è aumentato progressivamente

nel corso del tempo, e forse sarebbe op-

portuno porre degli argini a questo feno-

meno. E’ infatti necessario limitare le

dimensioni delle portate ed il contenuto

calorico di questi piatti onde contrastare

l’epidemia di obesità in costante diffusione.

Benché le ricette di queste pietanze siano

rimaste invariate nel tempo, gli ingredienti

utilizzati nella loro preparazione sono

invece cambiati, ed il cambiamento è stato

sempre a favore di ingredienti più calorici.

Il problema delle dimensioni delle porzioni

comunque è comune a tutti i cibi: è stato

dimostrato che l’uomo tende ad ingerire

ciò che gli viene presentato di fronte, a

prescindere dalle proporzioni ed in parte

anche dall’appetito, e benchè si tratti di

un meccanismo utile da sfruttare per

incrementare l’apporto di nutrienti parti-

colarmente utili, come frutta e verdura,

esso è invece del tutto deleterio in altri

casi, come ad esempio per quanto riguarda

i dolci.

(Ann Intern Med 2009; 150: 291)

RETINOPATIA DIABETICAE CALLICREINA PLASMATICA

La callicreina plasmatica media la per-

meabilità vascolare retinica stimolata dai

recettori dell’angiotensina AT1. La som-

ministrazione sistemica di un innovativo

inibitore micromolecolare della callicreina

plasmatica potrebbe migliorare la perme-

abilità vascolare nella retina dei soggetti

ipertesi. L’inibizione del sistema renina-

angiotensina potrebbe essere di beneficio

anche per la retina dei diabetici normotesi.

Sono comunque necessari altri dati per

caratterizzare gli effetti dell’inibizione della

callicreina plasmatica su altre cascate che

contribuiscono all’incremento della per-

meabilità vascolare retinica, come anche

per accertare il ruolo della callicreina in

altre funzioni della retina: potrebbe sussi-

stere anche un rapporto fra il sistema

callicreina-chinina ed il fattore di crescita

endoteliale vascolare nei diabetici.

(Hypertension 2009; 53: 175-81)

DIABETE: SINDROME METABOLICAPIÙ COMUNE NEL TIPO 2

La prevalenza della sindrome metabolica

è significativamente più elevata nei pazienti

con diabete di tipo 2 che in quelli con la

forma autoimmune della malattia.

Quest’ultima comprende sia il diabete di

tipo 1 che quello ad insorgenza in età

adulta non richiedente insulina, indicato

anche come diabete autoimmune latente

ad insorgenza adulta (LADA). Il LADA è

associato a geni HLA, autoanticorpi specifici

e riduzione della secrezione di insulina.

Utilizzando o meno la glicemia come varia-

bile, le componenti individuali della sindro-

me metabolica sono presenti con frequenza

simile nei pazienti con diabete di tipo 1 ed

in quelli con LADA, ma in entrambi i casi

sono più rare rispetto a quanto osservato

nei soggetti con diabete di tipo 2. Non vi

sono comunque prove del fatto che la

prevalenza della sindrome metabolica sia

diversa nei soggetti con diabete autoimmu-

ne rispetto a quelli normali.

(Diabetes Care 2009; 32: 160-4)

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a cura del Direttore della Scuola di Formazione OSDI

scuoladiformazionepermanenteOSDI

DirettoreRosanna Toniato

tel 3472584730

e-mail: [email protected]

Vice direttoreElisa Bellini

Consiglieri

Maria Teresa Branca

Laurenzia Ferriani

Giovanna Guareschi

Ida Innocenti

Rosetta Nocciolini

SCUOLA DI FORMAZIONEPERMANENTE OSDI

OP

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da quest’anno la scuola formatori OSDI ha una nuova direzione.

Come da regolamento interno i membri del direttivo della Scuola sono stati nominati

dallo staff formatori della Scuola OSDI tra i progettisti formatori esperti.

Il nuovo direttivo Scuola è così composto:

E ora?Dobbiamo prima di tutto:

• Garantire la manutenzione e l’imple-

mentazione del SGQ

• Revisione del manuale e delle procedu-

re: luglio 2009

• Riesame della direzione luglio 2009

• Prossima visita ispettiva 10 ottobre 2009

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Negli articoli precedenti della rivista

sono già state illustrate le varie tappe che

hanno portato alla realizzazione del pro-

getto Scuola e alcuni contenuti didattici

e scientifici che fanno parte del percorso.

A proseguimento degli articoli pubbli-

cati nei numeri precedenti, continueremo

la pubblicazione di articoli contenenti

argomenti utili sia ai formatori e ai pro-

gettisti della Scuola sia a tutti i soci. L’idea

è che con il passare dei vari numeri creare

un vademecum utile a tutti.

In questo numero verrà trattato

“Come si prepara una lezione”, argomen-

to utile a tutti, in particolare per chi è

chiamato a fare una relazione a un corso

o ad un congresso. Nel prossimo numero,

a continuazione di questo “Come si pre-

para una presentazione in power-point”.

Al momento sono stati programmati diversi corsi con numerose edizioni,

alcune già svolte, nelle diverse regioni italiane. Da sottolineare che le edizioni

già svolte, hanno tutte raggiunto gli obiettivi formativi previsti, sono state molto

apprezzate dai vari partecipanti ed in particolare ha avuto un riscontro molto

positivo la metodologia didattica usata, sono stati molto apprezzati i lavori di

gruppo, il confronto e l’interattività.

Nel sito dell’OSDI (www.osdi.it) si possono vedere i grafici di gradimento

dei vari corsi.

CORSI PREVISTI NEL 2009

Eventi Scuola

Corso base “formazione formatori” che si terrà a San Gimignano dal 7 all’11 novembre 2009.

Possono fare regolare domanda tutti i soci OSDI iscritti da almeno 3 anni utilizzando l’apposito

modulo che potrete trovare nel sito dell’OSDI: www.osdi.it.

Solitamentemi ci voglionotre settimane

per preparare un validodiscorso improvvisato

Mark Twain

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COME SI PREPARAUNA LEZIONE

Il relatore sale sul palco, estrae dalla

tasca un po’ di fogli e: “gentili signore,

egregi signori - esordisce dopo un colpet-

to di tosse – vi ringrazio per essere inter-

venuti a questo incontro, nel quale

cercherò di portare un contributo parlan-

dovi di ….”

Sobrio, lineare non c’è che dire. Però

ci si poteva aspettare un po’ di più. Possi-

bile che non si riesca ad iniziare un discorso

in maniera un po’ più brillante, più sim-

patica, più coinvolgente?

Di sicuro non è facile! Che fare allora?

Con questo articolo vorrei fornire ai

lettori della rivista una guida per imparare

a preparare una relazione a un corso o

a un convegno e come riuscire ad espri-

mere concetti in manera socrrevole e

comprensibile dal maggior numero delle

persone.

Un convegno è, in realtà, unarappresentazione, uno spettacolo

e spesso ha dei pessimi attoriche recitano pessimi testi

1. regola: Essere preparatiAnche gli oratori più esperti, nel mo-

mento in cui devono affrontare una platea,

l’emotività si manifesta in modo evidente:

per ovviare, o per cercare di diminuire la

tensione, bisogna prepararsi.

2. regola: Prima di iniziare la pre-parazione del discorso chiedersi:

• Conosco a sufficienza l’argomento?

• Ho sufficiente tempo per prepararmi?

• Credo nelle cose che intendo dire?

3. regola: Prima di iniziare la pre-parazione porsi queste domande:

• Qual è l’argomento?

• Quali sono gli obiettivi di questa

presentazione?

• A chi ci si rivolge?

• Quanto tempo dura l’esposizione?

• Quali sono i mezzi di cui dispongo?

4. regola: evitare di leggere untesto.

Per molte persone l’esperienza di par-

lare in pubblico si risolve nella lettura di

un testo. Anche se tale prassi può essere

un modo per trarsi d’impaccio di fronte

a un fatto sofferto, non è comparabile

a quanto si intende per parlare in pub-

blico.

Parlare in pubblico significa comuni-

care. Lo scopo di ogni comunicazione è

quello di ottenre una risposta, ossia una

reazione.

Nessuno dovrebbe leggere il testo del

proprio intervento. Il risultato di un testo

letto è fiacco, il pubblico si innervosisce.

Ognuno degli intervenuti avrebbe potuto

leggerselo da solo.

Il testo scritto deve essere come

l’ancora di salvezza da usare in caso in cui

si sia colti da una crisi di panico. Capita

a tutti: la gola secca, le mani sudano, la

mente si rifiuta di seguire un filo logico,

manca la parola.

Avere perciò in tasca una traccia scritta

è sempre una sicurezza, leggere è meglio

che rimanere a bocca chiusa.

Non leggere dunque, ma neanche

imparare a memoria perché c’è sempre il

pericolo di un vuoto di memoria.

5. regola: conoscere il contesto

Il bravo oratore non pronuncia mai

un discorso al di fuori del contesto che lo

accoglie. Il contesto è il pubblico cui ci si

rivolge, dall’occasione in cui si parla e dal

luogo nel quale il pubblico e relatore si

incontrano.

Parlare in pubblico vuol dire prima di

tutto parlare per un pubblico. Per essere

adeguati al contesto quindi è necessario

preparare il discorso sapendo a chi è rivol-

to, conoscendo le attese nei confronti del

relatore e del suo intervento e soprattutto

conoscendo i bisogni che dovrebbero

essere soddisfatti.

Ovviamente, non serve conoscere per-

sonalmente ogni partecipante, bensì serve

conoscere il gruppo al quale ci si rivolgerà.

Un conto è preparare un discorso per un

gruppo di operatori sanitari, un conto è

prepararlo per i pazienti.

Per conoscere il pubblico basterà farsi

alcuni semplici domande:

- è un gruppo omogeneo?

- le persone partecipano in modo

spontaneo o sono costrette?

- qual è il livello di preparazione?

- quale aspetto si deve puntare?

- quale potrà essere l’utilizzo che il

pubblico farà di quando gli si dirà?

Partendo dalle risposte ricevute, nel

costruire il proprio discorso, ci si concen-

trerà di più su uno deglia spetti del tema

da affrontare, piuttosto che tentare

l’impossibile.

L’occasione in cui si parla

E’ importante conoscere il luogo: un

conto è parlare in una sala che contiene

mille persone, un conto è invece parlare

in una che ne contiene trenta. Il compor-

tamento sarà completamente diverso: la

mimica facciale, la gestualità e il livello di

voce.

COME PREPARARE UNA LEZIONE OUN DISCORSO

Da quanto detto finora, per praparare

un discorso non si intende scrivere un

testo che verrà poi letto davanti a un

pubblico. Quello che va preparato è un

progetto di esposizione: preparare cioè

“una traccia”, un proprio canovaccio.

Invece di scrivere un testo e memoriz-

zarlo, organizzare le idee secondo schemi

precisi ai quali poi fare riferimento.

Uno dei sistemi più efficaci è quello

di crearsi una mappa mentale: uno schema

che, partendo da un concetto fondamen-

tale si sviluppa a grappolo in concetti

primari, concetti secondari e concetti

marginali.

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Il contesto • pubblico • occasione • luogo

UN DISCORSO È COMEUN VIAGGIO IN AEREO:

ha un decollo,una fase di voloe un atterraggio.

Quattro sono gli obiettivi darealizzare nei primi minuti:

• Costruire la vostracredibilità

• Catturarel’interesse dellaplatea

• Sintonizzarvi conl’uditorio

• Creare un am-biente favorevole

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Da un punto di vista tecnico si possono

distinguere quattro fasi:

1a fase: creare una scaletta.

S i può cominc ia re con un

“brainstorming” in cui liberare la mente

e far emergere tutte le idee, le si annotano

e si selezionano dando un ordine logico.

2a fase: scegliere da dove comin-ciare.

E molto importante saper iniziare bene

il proprio intervento. In realtà è molto

importante non solo inziare bene il discor-

so, ma anche cominciare bene la relazione

con il proprio pubblico.

Se l’inizio è convincente, accogliente,

allora la relazione sarà tutta in discesa.

Altrimenti si tradurrà in un percorso in

salita.

Alcuni oratori hanno l’abitudine di

rompere il ghiaccio con una battuta di

spirito, questo metodo può destare qual-

che perplessità e c’è il pericolo che la

battuta possa essere scontata e non de-

stare simpatia e può addirittura essere

fuori luogo.

Una tecnica che funziona potrebbe

essere quella di raccontare una curiosità

o un aneddoto sulla propria infanzia, che

possa suscitare partecipazione e identifi-

cazione con l’uditorio. Fondamentale co-

munque è capire e interpretare chi ci sta

di fronte.

Subito dopo, dopo un breve ringrazia-

mento nei confronti dei “padroni di casa”,

sia del pubblico, un buon modo per co-

minciare è quello di dichiarare lo scopoche si intende raggiungere con il pro-prio discorso.

Tale brevissima premessa ha il me-

rito di fare il punto della situazione e

dà la sensazione in chi ascolta di un

dialogo, di una relazione già comincia-

ta prima.

3° fase: mettere a punto la partecentrale del discorso.

E’ la fase più importante perché è

qui il nucleo del discorso e ciò che vo-

gliamo esprimere. Naturalmente è fon-

damenta le conosce re a fondo

l’argomento, senza mai avventurarsi in

terreni poco familiari.

Una volta inziato il discorso, bisogna

tener conto delle soglie di attenzione:

nei primi dieci minuti, chi ascolta è al

massimo dell’attenzione. Inevitabilmente

però questa scema con il passare dei

minuti.

Superati i 45 minuti, la maggior parte

di coloro che hanno ascoltato fino al

quel momento, starà pensando ai fatti

suoi.

4° fase: la chiusura del discorso

Deve essere br i l l ante come

l’apertura, le persone tendono a ricor-

dare gli inizi e le conclusioni per gli

effetti suscitati.

La conclusione deve includere:

• Un riassunto del contenuto principale

del discorso.

• Alcune proposte o soluzioni

• Il chiarimento dei dubbi.

• Sottolineatura degli argomenti trattati

• Caloroso ringraziamento alla platea

NELLA FASE DI VOLOesponi la tua tesi,sostenendolacon esempi,citazioni, dati.

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Come esporre

Nel preparare l’esposizione bisogna

sempre tenere presente che le parole

colpiscono meno degli altri linguaggi e

che quindi non bisogna affidarsi solo ed

esclusivamente ad esse.

Tenedo presente che l’efficacia comu-

nicativa delle parole è pari soltanto al 7%

del totale e che invece il lunguaggio para-

verbale, ossia i toni di voce, corrisponde

al 38% e il non verbale al 55%, bisogna

prevedere l’uso di più linguaggi contem-

poraneamente se si vuole che il messaggio

venga afferrato dal pubblico.

Spesso infatti, il destinatario più da

ciò che si dice è colpito di più da comelo si dice. Se si pensa anche alla vita

quotidiana risulta evidente questa verità:

la reazione avuta ascoltando una frase

non è causata da ciò che le parole asseri-

vano ma da come esse venivano dette.

Questo accade anche in una conferenza:

chi ascolta reagisce più che al contenuto

informativo, a come tale contenuto viene

esposto.

Allo stesso modo sarebbe opportuno

far focalizzare l’attenzione del pubblico

su alcune parole e/o frasi piuttosto che

su altre meno importanti. Per far ciò si

possono usare delle sottolineature per

indirizzare l’ascolto verso gli aspetti di

maggiore importanza. Saranno i linguaggi

para-verbale e non verbale a rendere le

sottolineature al momento dell’espo-

sizione.

Le sottolineature potranno essere rese

grazie a:

• un cambiamento del tono di voce

• una piccola pausa prima della parola

che si vuole … sottolineare

• un gesto della mano

• un movimento del corpo

• proiezione di una diapositiva

Più si è in grado di focalizzare

l’attenzione su alcuni concetti chiave più

si amenterà la comprensione complessiva

dell’intervento e più la partecipazione da

parte dei partecipanti.

A quali parole affidarsi?

E’ auspicabile evitare parole astratte e

difficili, usare invece il più possibile un

linguaggio di uso quotidiano con frasi

brevi. Può aiutare moltissimo l’uso di esempi

vicini al vissuto dei partecipanti e far uso

a parole che possono evocare immagini e

che creino analogie e/o metafore.

Per tenere sveglia l’attenzione si può

ricorrere a vari espedienti, come quello

delle domande retoriche: chi ascolta si

sentirà chiamato in causa in prima persona

e darà la risposta.

I materiali di supporto

Come detto prima, parlare in pubblico

significa comunicare con il pubblico e

che l’efficacia comunicativa data dalle

parole passi solo per il 7% del totale. E’

importantissimo quindi preparare bene e

con cura i materiali di supporto che devono

comunque essere di supporto e non so-

stituirsi all’oratore.

ATTERRAGGIORiassumere inmodo sintetico levarie fasi del discorso, ribadire i concettichiave e suggellare l’intervento con unafrase ad effetto che si ricolleghi e sod-disfi gli interrogatvi posti dal titolodell’incontro

L’efficacia comunicativa: • 7% linguaggio verbale • 38% linguaggio paraverbale • 55% linguaggio non verable

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Bisognerebbe infatti evitare:

• riciclare di volta in volta quello preparato

per un altro corso e/o convegno

• caricarli di informazioni

• non renderli facilmente visibili

• farli tanto affascinanti che finiscono per

deviare l’attenzione del pubblico dal

relatore ai materiali stessi.

Il giusto equilibrio da trovare sta nel

preparare dei materiali che siano di sup-

porto sia a chi parla sia per chi ascolta.

Non devono contenere la relazione ma

alcuni punti su cui l’oratore vuole porre

l’accento.

Utili in alcuni casi possono essere delle

immagini che traducono con una metafora

ciò che l’oratore sta dicendo. Sia che la

diapositiva contenga un’immagine sia che

contenga una parola chiave, aiuterà il

relatore a portare avanti il discorso, sia il

pubblico a fissare l’attenzione su alcuni

concetti (evidenziati proprio dalle parole

chiave e/o dalle immagini). Se invece la

diapositiva trascrive il testo della relazione,

l’attenzione del pubblico si concentrerà

sulla diapositiva che dovrà essere letta e

capita a discapito di quanto il relatore

starà dicendo.

In altre parole, il relatore non deve

fare in modo che l’attenzione del pubblico

sia sul materiale di supporto ma deve fare

in modo di tenere sempre l’attenzione

rivolta su quanto sta dicendo. Necessario

inoltre che il contatto visivo con i parteci-

panti non venga mai meno, il relatore

non deve concentrare lo sguardo sulle

diapositive ma tenere sempre la sua at-

tenzione rivolta ai partecipanti, proprio

per poter cogliere i feedback che da essi

provengono.

Quindi evitare di dare le spalle al pub-

blico per guardare i propri materiali di

supporto.

In definitiva, un materiale di supporto

mal preparato è più dannoso che essere

d’aiuto.

Come parlare?

Come abbiamo detto prima la comu-

nicazione passa anche con il linguaggio

del corpo; nel parlare in pubblico è parti-

colarmente importante saperlo utilizzare

in modo da potenziare l’efficacia del pro-

prio discorso.

La tensione infatti può provocare dei

cattivi comportamenti, dei quali non ci

rendiamo conto, che possono distrarre

l’uditorio e pregiudicare il livello della

comunicazione.

Ci sono oratori che inconsapevolmen-

te si muovono avanti e indietro o se ne

stanno immobili come statue, si passano

le mani tra i capelli, controllano il nodo

della cravatta con regolarità esasperante;

scuotono chiavi o spiccioli dentro le

tasche. Ecco alcuni suggerimenti per

migliorare dall’inizio l’impatto con il

pubblico:

– ricordarsi di svuotare le tasche prima

di cominciare a parlare;

– parlare di preferenza stando in piedi

ben illuminato e al centro del palcosce-

nico poiché questa posizione consente

di essere visti e sentiti meglio;

Evitare di:

– stare immobili o posture troppo formali

– con le braccia conserte o con le mani

in tasca

– sedersi sul tavolo, può generare inter-

pretazioni sbagliate

– usare un tono unico e costante

– fissare il pubblico negli occhi, è impor-

tante stabilire un contatto visivo guar-

dando negli occhi gli ascoltatori, ma

non deve essere insistente. Tutti devono

avere la sensazione di essere guardati

ma mai fissati.

Questi comportamenti da parte

dell’oratore danno immediatamente una

cattiva impressione riguardo alla sua ca-

pacità di tenere una comunicazione aperta

e diretta.

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Le domande

La paura delle domande dalla platea

può generare panico che invece dovreb-

bero essere sollecitate e non temute

perché devono essere parte integrante

del discorso: dialogo tra l’oratore e il

pubblico.

L’importante è tener presente che

se l’oratore non sa rispondere alla do-

manda, non dove arrampicarsi sugli

specchi per dare una risposta, ma deve

dichiarare di non saper rispondere e

che farà in modo di cercare la risposta

e comunicarla all’interessato durante

un incontro successivo. La credibilità

non verrà meno, diversamente invece,

quando un relatore inventa una risposta

e la dà errata: tutto quello che ha detto

in precedenza sembrerà sbagliato anche

se non lo è stato.

Bibliogafia

M. Castagna: La lezione nella formazione degli adulti. Franco Angeli edizioni

J. Campbell: Come tenere un discorso. Franco Angeli Edizioni

Il segreto?

... Tanta pratica!!!Essere ... PREPARATIRestare se stessiCredere in quello che si sostiene

CALENDARIO EVENTI OSDIQui di seguito trovate tutti gli appuntamenti organizzati dall’OSDI per qualsiasiinformazione aggiuntiva contattare il proprio presidente regionale

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CORSI GLUCOLAB BAYER

12 settembre Monsumanno (PT) Hotel Grotta Giusti12 settembre Cagliari Hotel Holiday INN

3 ottobre Taormina Hotel Monte Tauro3 ottobre Gubbio Park Hotel ai Cappuccini

• Simposio OSDI in “Panorama Diabete”: Diabete e gravidanza:aspetti organizzativi ed educativi. Formazione dell’infermiereper l’implementazione dell’esercizio fisico nel pazientediabetico – Riccione (RN), 11 e 12 ottobre 2009.

• Corso Base Scuola Formatori OSDI – San Gimignano (SI), 7-11novembre 2009.

• Corso “Modalità Operative per una gestione ottimizzata deldiabete mellito tipo 1: alimentazione e insulina” - Lucera (FG)19 e 20 settembre 2009;

• Trento il 26 settembre 2009 dal titolo “Diabete: non solocronicità”.

CORSI NAZIONALI

CORSI REGIONALI

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DIRETTIVO OSDI

CONSIGLIO DIRETTIVO NAZIONALE

Bondioli Annunziata [email protected]

Cioffi Anna [email protected]

Cristofanelli Daniela [email protected]

[email protected]

Crovetto Roberto [email protected]

[email protected]

Ferriani Laurenzia [email protected]

[email protected]

Ghidelli Rosangela [email protected]

[email protected]

Melita Lucia [email protected]

Milano Luigia [email protected]

Tesei Anna Maria [email protected]

Urbani Lorena [email protected]

PRESIDENTI REGIONALI OSDI

Abruzzo-Molise Livia Cavuto [email protected]

Calabria Luigia Milano [email protected]

Campania Brigida Trocchia [email protected]

E. Romagna Giovanna Guareschi [email protected]

Friuli V.G. Daniela Bortolotto [email protected]

Lazio Silvia Tiozzo [email protected]

Liguria Margherita Zecchini [email protected]

Lombardia Silvana Pastori ariess25@yahooit

Marche Roberta Ausili [email protected]

Piemonte Monica Albertone [email protected]

Puglia Giuseppina Chimienti [email protected]

Sardegna Marcella Lai [email protected]

Sicilia Lucia Melita [email protected]

Toscana Alessia Civitelli [email protected]

Trentino A.A. Ilaria Nicolao [email protected]

Umbria Lorena Urbani [email protected]

Veneto Fausto Cavaliere [email protected]

Regione Nominativo E.mail

Presidente Nocciolini Rosetta [email protected]

[email protected]

Vice presidente Branca Maria Teresa [email protected]

Segreteria Aliberti Carolina [email protected]

Revisore dei conti Galantino Michele [email protected]

Consiglieri:


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