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Cadili, Ricerche sull'innografia ellenistica-parte terza

Date post: 04-Dec-2023
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L’INNO IN ETA’ ELLENISTICA Forme e funzioni innografiche nella nuova realtà storico-culturale 1. L’INNOGRAFIA NELLA CLASSIFICAZIONE DEI GENERI POETICI. 1.1 L’ambivalenza del termine hymnos: prassi letteraria e tentativi di classificazione Come i poeti arcaici, che usano hymnos nel senso omnicomprensivo di canto destinato a varie occasioni, anche Simonide, Pindaro e Bacchilide si servono del vocabolo per indicare indistintamente un canto di lode, che può essere un epinicio, un encomio o un carme di altro genere, di contenuto indifferentemente sacro o profano . 1 Anche dal punto di vista metrico non esiste alcuna specializzazione, in quanto se il termine nei poeti menzionati è utilizzato in relazione a brani lirici, e segnatamente corali, in Omero ed Esiodo configura intere rapsodie epiche . 2 Cfr. B. Gentili, Poesia e pubblico nella Grecia antica. Da Omero al V sec. a.C., Roma 1989, 2, 48, 39. Cfr. ad es. Pind. Ol. I 8; VI 87; Bacch. Ep. IV 10; V 10; VI 10; Dith. XVI 4 e fr. 4, 80 S.-M.; per Simonide cfr. fr. 519, 78, 10 Page; Thren. III 9; Parth. II 11. Per il generico uso di uJmnhvsomen cfr. Pind. Hymn. I 6; vd. anche P.A. Bernardini, L’inno agli dei nella lirica corale greca, in AA.VV., L’inno tra rituale e letteratura nel mondo antico, «AION» 13 (1991) 85 ss.: “Non si può dire che la differenziazione terminologica…risponda ad un consapevole intento e a una consapevole volontà del poeta arcaico. Il quale non componeva certo il suo canto cercando di obbedire a regole rispondenti ad una tipologia prestabilita, né era condizionato dall’esigenza di rispettare le regole di un genere letterario”. Discussa l’etimologia del termine: secondo alcuni il vocabolo starebbe in rapporto con il vedico sumná-, che significa ‘benevolenza’ o anche ‘preghiera’ o ‘omaggio’. Altri lo connettono invece ad uJfaivnein ‘tessere’, citando in proposito l’immagine bacchilidea, Hy. V 9-10, uJfavna" u{mnou", ‘tessendo inni’; cfr. in proposito anche Il. III 212 e Call. fr. 26, 5 Pf. Altri infine avvicinano u{mno" a uJmh;n, ‘membrana’, ‘legamento’, e questa pare l’opinione più attendibile, anche perchè presenta forti analogie con la precedente etimologia. Cfr. in proposito anche Cassola, Inni omerici X; LSj s.v. 1849; Frisk II, s.v. u{mno", 695 e Chaintranne, s. vv.; cfr. anche Wünsch, Hymnos 140 ss.; A. Pagliaro, Saggi di critica semantica, Messina 1953, 34-63 e M. Durante, Vedico sumná- greco u{mno", «RAL» 14 (1959) 388 ss. Per i caratteri specifici degli inni omerici cfr. il par 2.1. Per quanto riguarda il contenuto proprio dell’inno la gamma è estremamente vasta: si va dal canto cultuale (Xenoph. fr. 1, 13-6 DK), al canto conviviale profano (Anacr. fr. 11B 5 Page; Eur. Med. 192-4), alla lamentazione (Ar. Aves 210). Cfr. ad es. Hes. Theog. 11-101; 33; Op. 662; Hdt. V 67 e AP VII 213; 409, dove Omero in relazione alla composizione di Iliade e Odissea è definito koivrano" u[mnwn. Cfr. inoltre per la connotazione lirica dell’inno Alcm. fr. 27 Page; Alc. fr. 308 L.-P.; Saffo fr. 44, 34 L.-P. E cfr. in genere Cassola, Inni omerici XI. Harvey, Classification 166, sulla base di una notizia di Proclo, Chrest. ap. Phot., Bibl. cod. 239, 320A 18 ss. (34 Severyns), secondo il quale il canto nell’esecuzione dell’inno era eseguito da un coro immobile, congettura che l’inno in senso proprio fosse lirico e monostrofico. Cfr. in proposito Bernardini, cit. 88. Per il commento del passo di Proclo cfr. anche B. Gentili, Il coro tragico nella teoria degli antichi, «Dionisio» 55 (1984-5) 31 e E. Cingano, Il valore dell’espressione stavsi" melw`n in Aristofane, Rane 1281, «QUCC» NS 24 (1986) 42. Cfr. in genere anche C. Calame, Les choeurs de jeunes filles en Grèce archaique, I, Rome 1977, 143 ss. Sulla performance corale dei componimenti lirico-innografici cfr. B. Gentili, L’io nella poesia lirica greca, in AA.VV., Lirica greca e latina. Atti del convegno di studi polacco-italiano. Poznán 2-5 maggio 1990, «AION» 12 (1990) 20 ss.; in particolare per Pindaro cfr. C. Carey, The performance of the victory ode, «AJPh» 110 (1989) 545 ss.; A. Burnett, Performing Pindar’s odes, «CPh» 89 (1989) 283 ss.; M. Davies, Monody, Choral Lyric, and the Tyranny of the Hand-Book, «CQ» 38 (1988) 52 ss. e M.R. Lefkowitz, Who sang Pindar’s odes?, «AJPh» 109 (1988) 1 ss. 270
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L’INNO IN ETA’ ELLENISTICA

Forme e funzioni innografiche nella nuova realtà storico-culturale

1. L’INNOGRAFIA NELLA CLASSIFICAZIONE DEI GENERI POETICI.

1.1 L’ambivalenza del termine hymnos: prassi letteraria e tentativi di classificazione

Come i poeti arcaici, che usano hymnos nel senso omnicomprensivo di canto destinato a varie occasioni, anche Simonide, Pindaro e Bacchilide si servono del vocabolo per indicare indistintamente un canto di lode, che può essere un epinicio, un encomio o un carme di altro genere, di contenuto indifferentemente sacro o profano .

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Anche dal punto di vista metrico non esiste alcuna specializzazione, in quanto se il termine nei poeti menzionati è utilizzato in relazione a brani lirici, e segnatamente corali, in Omero ed Esiodo configura intere rapsodie epiche .

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Cfr. B. Gentili, Poesia e pubblico nella Grecia antica. Da Omero al V sec. a.C., Roma 1989, 2, 48, 1

39. Cfr. ad es. Pind. Ol. I 8; VI 87; Bacch. Ep. IV 10; V 10; VI 10; Dith. XVI 4 e fr. 4, 80 S.-M.; per Simonide cfr. fr. 519, 78, 10 Page; Thren. III 9; Parth. II 11. Per il generico uso di uJmnhvsomen cfr. Pind. Hymn. I 6; vd. anche P.A. Bernardini, L’inno agli dei nella lirica corale greca, in AA.VV., L’inno tra rituale e letteratura nel mondo antico, «AION» 13 (1991) 85 ss.: “Non si può dire che la differenziazione terminologica…risponda ad un consapevole intento e a una consapevole volontà del poeta arcaico. Il quale non componeva certo il suo canto cercando di obbedire a regole rispondenti ad una tipologia prestabilita, né era condizionato dall’esigenza di rispettare le regole di un genere letterario”. Discussa l’etimologia del termine: secondo alcuni il vocabolo starebbe in rapporto con il vedico sumná-, che significa ‘benevolenza’ o anche ‘preghiera’ o ‘omaggio’. Altri lo connettono invece ad uJfaivnein ‘tessere’, citando in proposito l’immagine bacchilidea, Hy. V 9-10, uJfavna" u{mnou", ‘tessendo inni’; cfr. in proposito anche Il. III 212 e Call. fr. 26, 5 Pf. Altri infine avvicinano u{mno" a uJmh;n, ‘membrana’, ‘legamento’, e questa pare l’opinione più attendibile, anche perchè presenta forti analogie con la precedente etimologia. Cfr. in proposito anche Cassola, Inni omerici X; LSj s.v. 1849; Frisk II, s.v. u{mno", 695 e Chaintranne, s. vv.; cfr. anche Wünsch, Hymnos 140 ss.; A. Pagliaro, Saggi di critica semantica, Messina 1953, 34-63 e M. Durante, Vedico sumná- greco u{mno", «RAL» 14 (1959) 388 ss. Per i caratteri specifici degli inni omerici cfr. il par 2.1. Per quanto riguarda il contenuto proprio dell’inno la gamma è estremamente vasta: si va dal canto cultuale (Xenoph. fr. 1, 13-6 DK), al canto conviviale profano (Anacr. fr. 11B 5 Page; Eur. Med. 192-4), alla lamentazione (Ar. Aves 210).

Cfr. ad es. Hes. Theog. 11-101; 33; Op. 662; Hdt. V 67 e AP VII 213; 409, dove Omero in relazione 2

alla composizione di Iliade e Odissea è definito koivrano" u[mnwn. Cfr. inoltre per la connotazione lirica dell’inno Alcm. fr. 27 Page; Alc. fr. 308 L.-P.; Saffo fr. 44, 34 L.-P. E cfr. in genere Cassola, Inni omerici XI. Harvey, Classification 166, sulla base di una notizia di Proclo, Chrest. ap. Phot., Bibl. cod. 239, 320A 18 ss. (34 Severyns), secondo il quale il canto nell’esecuzione dell’inno era eseguito da un coro immobile, congettura che l’inno in senso proprio fosse lirico e monostrofico. Cfr. in proposito Bernardini, cit. 88. Per il commento del passo di Proclo cfr. anche B. Gentili, Il coro tragico nella teoria degli antichi, «Dionisio» 55 (1984-5) 31 e E. Cingano, Il valore dell’espressione stavsi" melw``n in Aristofane, Rane 1281, «QUCC» NS 24 (1986) 42. Cfr. in genere anche C. Calame, Les choeurs de jeunes filles en Grèce archaique, I, Rome 1977, 143 ss. Sulla performance corale dei componimenti lirico-innografici cfr. B. Gentili, L’io nella poesia lirica greca, in AA.VV., Lirica greca e latina. Atti del convegno di studi polacco-italiano. Poznán 2-5 maggio 1990, «AION» 12 (1990) 20 ss.; in particolare per Pindaro cfr. C. Carey, The performance of the victory ode, «AJPh» 110 (1989) 545 ss.; A. Burnett, Performing Pindar’s odes, «CPh» 89 (1989) 283 ss.; M. Davies, Monody, Choral Lyric, and the Tyranny of the Hand-Book, «CQ» 38 (1988) 52 ss. e M.R. Lefkowitz, Who sang Pindar’s odes?, «AJPh» 109 (1988) 1 ss.

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È con Platone, come riconoscono concordemente tutti i commentatori, che hymnos comincia ad assumere la sua peculiare connotazione di ‘canto in onore degli dei’ in contrapposizione all’encomio, che è ‘canto in onore degli uomini’, in una distinzione poi divenuta apparentemente canonica in tutta la successiva letteratura . In questo

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contesto Platone rappresenta un interessante momento di passaggio, caratterizzato però da un’ancora persistente incertezza nell’uso del vocabolo: se talvolta infatti hymnos sembra aver acquisito una propria specificità nei confronti di altri generi (ei[dh) di argomento ugualmente religioso, numerose sono ancora le occorrenze del termine nel suo significato omnicomprensivo .

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Con l’edizione alessandrina dei lirici arcaici, la volontà classificatoria nei confronti dei generi poetici si precisa con maggiore intensità : non solo hymnos sembra aver

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stabilmente acquisito il senso di ‘canto in onore degli dei’, ma compare come ei\do" specifico, accanto agli altri particolari generi lirici (ditirambo, peana, dafneforico ecc.)

Cfr. principalmente Plat. Resp. X 607A. Cfr. anche Symp. 177A. Cfr. R. Velardi, Le origini dell’inno 3

in prosa, in AA. VV., L’inno tra rituale e letteratura nel mondo antico, 13 (1991) 216 ss.; id., Enthousiasmòs. Possessione rituale e teoria della comunicazione in Platone, Roma 1989, 43 ss. e G. Cerri, Platone sociologo della comunicazione, Milano 1991, 77 ss. Come osserva Harvey, Classification 165, questa delimitazione platonica del termine non si può considerare universalmente accettata. Cfr. ad es. Schol. Lond. Dion. Thrax, GG I, III 451, 6 Hilgard: u{mno" ejsti; poivhma perievcon qew``n ejgkwvmia kai; hJrwvwn metΔ eujcaristiva". Cfr. anche U. von Wilamowitz-Moellendorff, Textgeschichte der griechischen Lyrik, Berlin 1900, 223 ss. Cfr. anche il n. 50 di questa raccolta.

Cfr. per il ricorrere dei termini u{mno" e uJmnei``n in Platone Velardi, cit. 218 ss. Questa la conclusione 4

di Velardi, cit. 222: “Platone…riflette da un lato quella genericità dell’uso linguistico comune…dall’altro testimonia ancora la sostanziale unità del genere eulogistico, del gevno" eu[fhmon”. Diversamente Harvey, Classification 165-8, sulla base di Plat. Leg. 700 A9-C1, dove l’inno è messo in contrapposizione al threnos, al peana e al ditirambo, sospetta l’esistenza in Platone di una teoria pre-alessandrina dei generi della poesia arcaica: “In these passage…the final words preclude, in my opinion, the possibility that Plato is here talking only about the music, which accompanied poetical compositions and not about the compositions themselves; [.] and it is impossible to make the sense of the passage as a whole unless it is allowed that Plato is referring to well-know formal differences which existed between these various types of poetry”. Questa affermazione è in parte ridimensionata da Velardi, cit. 218, il quale comunque concorda nel fatto che “la distinzione tra generi poetici doveva essere ben attestata nella cultura del tempo”. Cfr. anche Plat. Ion 534 C2-7 e per la discussione del passo delle Leggi cfr. anche Käppel, Paian 295 (T 2) e 5, 28, 36-8, 43, 86, 285. Cfr. anche L.E. Rossi, I generi letterari e le loro,leggi scritte e non scritte nelle letterature classiche, «BICS» 18 (1971) 69 ss.

Cfr. per tutto il problema Wilamowitz, cit. 44. Vedi in generale anche H. Färber, Die Lyrik in der 5

Kunsttheorie der Antike, München 1936, che riprende da vicino i criteri classificatori degli editori alessandrini. Cfr. anche per tutto il problema Harvey, Classification 157; Wilamowitz, Simonides und Sappho 233 e R. Pfeiffer, History of Classical Scholarship, I, Oxford 1968, 225 ss. Le edizioni, come appare da due epigrammi anonimi (AP IX 184 e 571), riguardavano nove poeti, di cui tre monodici e sei corali: Alcmane, Alceo, Saffo, Ibico, Anacreonte, Stesicoro, Simonide, Pindaro e Bacchilide, forse con l’aggiunta successiva dell’opera di Corinna. Autore di questa considerevole operazione fu molto probabilmente Aristofane di Bisanzio grazie anche all’ausilio della sua numerosa cerchia di collaboratori. Per la possibilità che la voce Pivndaro" in Suda rappresenti un’edizione cfr. U. von Wilamowitz-Moellendorff, Euripides. Herakles, I (= Einleitung in die griechische Tragödie), Berlin 1895 2, 143, 166 ss. e Käppel, Paian 38 ss. Cfr. anche G.A. Privitera, Saffo, Anacreonte, Pindaro, «QUCC» NS 13 (1972) 137 ss. In particolare Harvey, Classification 159, ritiene che le edizioni alessandrine non si possano considerare le prime opere di questo genere, in quanto “Yet at some stage the poems had been collected from very various sources (temples, public monuments, private archives etc.), and the search may have continued right upto the final recension: so that the editors were probably confronted with a mass of eterogeneous material which had to be divided up and arranged in books of convenient lenght to be accomodated on a roll of papyrus”. Cfr. anche J. Irigoin, Historie du texte de Pindare, Paris 1952, 41 ss.

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presenti all’interno di un sistema di catalogazione, anche se i criteri di assegnazione possono talvolta apparire discutibili . Si tratta infatti, nella maggior parte dei casi, di

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una tipologia assegnata a posteriori , che sembra divenire più funzionale e condivisibile, allorquando nel testo considerato affiorano notizie sulla specificità del carme, ossia sul contesto rituale o musicale in cui il poema venne materialmente eseguito .

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Ma la genericità del termine hymnos continua a permanere ancora nelle trattazioni di età ellenistica e imperiale, come ci testimoniano Didimo nel Peri; lurikw``n poihtw``n e Menandro il retore nella Diavresi" tw``n ejpideiktikw``n e nel Peri; ejpideiktikw``n, dove il termine u{mno", pur mantenendosi in parte distinto dagli altri generi, può designare

Harvey, Classification 159-60: “Yet however little uniformity may have prevailed, the compilation 6

of the edition must have involved adopting some principle or principles of classification in order to deal with the multifarious poems of any of the lyric author. [.] The arrangment by ei[dh, by the content, propouse or occasion of the poem, in Simonides, Pindar, and Bacchylides is the only one which we can now discern…[.] Consequently, these headings (hymn, prodsodion, paean and so on) represent a piece of schematization: a poem handed down under the title prosodion may not be a prosodion at all”. Cfr. ad es. Schol. Epimetr. (Anonymus de Lyricis Poetis) ad Pind. III 310, 27 Drachmann; Schol. Bacch. C. 23 S.-M. (P.Oxy. 2368B col. 1, 9-20)= SH 293; Pind. fr. 140 Maehler. Cfr. Pfeiffer, cit. 19. Cfr. anche in proposito W. Luppe, Dithyrambos oder Paian? Zu Bakchylides carm. 23 S.-M., «ZPE» 69 (1987) 9-12 e L. Käppel-R. Kannicht, Noch einmal der Frage: “Dithyrambos oder Paian?” im Bakchylides Kommentar P.Oxy. 23. 2368, «ZPE» 73 (1988) 19-24. Per un differente sistema di catalogazione attribuito ad Apollonio l’Eidografo cfr. EM , s.v. u{mno", 295, 52 e Schol. Pind. Pyth. II, 31 Drachmann. Cfr. anche per tutto il problema Bernardini, cit. 86. Cfr. anche H. Lloyd-Jones, Acharnanians 393, «CR» 8 (1958) 14 ss. D’altro canto u{mno" non sembra aver perduto del tutto la sua accezione generica, se è vero quanto riferisce Eustazio, Comm. ad Il. XVI 348-51, 1163, 55, IV p. 258, 15 Van der Valk: livno" de; ei\do" wj/dh``" kata; ΔArivstarcon h] u{mnou, wj" kai; oJ paia;n kai; oJ diquvrambo". Cfr. sull’argomento anche T. Gelzer, Die Alexandriner und die griechischen Lyrik, «AAH» 30 (1982-4) 129-47.

Bernardini e Harvey, citt. Anche per Käppel, Paian 17 ss., la determinazione del contesto ambientale 7

di un carme (Sitz im Leben), rappresenta in considerevole misura il riconoscimento della sua appartenenza ad un genere letterario (die gattungskonstituierende Komponente). Cfr. H.R. Jauss, Theorie der Gattungen und Literatur des Mittelalters, in M. Delbouille (ed.), Grundriss der romanischen Literaturen des Mittelalters, München 1972, 129: “…die Literatur, in der sich das Leben einer Gemeinschaft, also auch der urchristlicher Gemeinde abspielt, entspringt aus ganz bestimmten Lebensäusserung und Bedürfnissen dieser Gemeinschaft…, die einen bestimten Stil, bestimten Formen und Gattungen hervortreiben. [.] Wie der Sitz im Leben nicht ein einzelnes historisches Ereignis, sondern eine typische Situation oder Verhaltenweise im Leben einer Gemeinschaft ist, so ist auch die literarische Gattung, bzw. die Form durch die ein Einzelstück der Gattung zugeordnet wird, ein soziologischer Begriff…”. Cfr. in proposito anche Gentili, Poesia 84; J.Herington, Poetry into Drama. Early tragedy and the Greek poetic Tradition, Berkeley 1985, 49; W. Rösler, Polis und Tragödie. Funktiongeschichtlicher Betrechtungen zu einer antiken Literaturgattung, Konstanz 1980, 89 e cfr. K. Berger, Hellenistische Gattungen im Neuen Testament, in W. Haase (ed.), Aufstieg und Niedergang der römischen Welt. Geschichte und Kultur Roms im Spiegel der neueren Forschungen, II, Berlin-New York 1985, 1031-42; 1831-85; id., Form- und Gattungsgeschichte, in H. Cancik-B. Gladigow, M. Laubscher (edd.), Handbuch religionwissenschaftlicher Grundbegriffe, II, Göttingen 1990, 430-45 e M.J. Buss, The Idea of Sitz im Leben. History and Critique, «ZAW» 90 (1978) 157-70.

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però, in base al destinatario del carme o in quanto accompagnato da una successiva specificazione, unaltro ei[do" (peana, ditirambo, ecc.) .

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La medesima ambivalenza sembra essere presente anche nella Crestomazia di Proclo, il quale, pur parlando dell’inno come ei\do" specifico (oJ kurivw" u{mno"), caratterizzato in particolare da una performance melico-corale , considera poi , in

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aperta contraddizione, il termine hymnos generico in rapporto a quelli che designano gli altri generi letterari (peana, prosodio, encomio, ecc.) .

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Questa situazione di incertezza, che investe il vocabolo e la sfera delle sue competenze, continua dunque a permanere dopo Platone, che è senza dubbio il primo pensatore ad interessarsi in termini teorici e classificatori dei generi letterari all’interno del più vasto orizzonte della comunicazione . In questo contesto la definizione di

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hymnos come ‘carme dedicato agli dei’, se segna da una parte la volontà di mettere ordine all’interno della normale prassi poetica sembra rispondere in maniera più

Cfr. ad es. Dydim. ap. EM, s.v. u{mno", 777, 9, p. 389 (3) Schmidt: gravfetai ga;r u{mno" 8

prosodivou, u{mno" ejgkwmivou, u{mno" paia``no" kai; ta; o{moia; id. ap. EM, s.v. prosw/divai, 690, 35, p. 390 (4) Schmidt; cfr. anche in proposito Färber, cit. e cfr. ad es. Men. Rh. 333, 31 Russel-Wilson (Rhet. Gr. III 333 Sp.). Per la questione relativa all’attribuzione a Menandro di entrambe le opere cfr. D.A. Russel-N.G. Wilson (edd.), Menander Rhetor, Oxford 1981, XXXIV-VI e 226 e cfr. Suda, s.v. Mevnandro". Che a Didimo fosse presente anche il significato specifico del termine è possibile inferirlo da Didym. ap. Orion. 156, 3 Sturz, dove l’inno, in quanto accompagnato dalla lira, è contrapposto al prosodio, eseguito con l’accompagnamento del flauto. Cfr. in propsoito Zonar., s.v. prosw/vdion1583 Tittmann e cfr. per tutto il problema S. Grandolini, Canto processionale nell’antica Grecia, in AA.VV., L’inno tra rituale e letteratura nel mondo antico, «AION» 13 (1991) 126. La specificità dell’inno è comunque chiara anche a Menandro, che in apertura della Diaivresi", 333, 1-334, 24 Russel-Wilson, distingue otto tipi di componimenti innografici. Cfr. per tutto il problema Velardi, cit. e Harvey, Classification 167.

Procl., Chrest. ap. Phot., Bibl. cod. 239, 320A 20 (par. 34 Severyns). Cfr. per il passo anche le note 9

precedenti e Harvey, Classification 166. Per la collocazione dell’inno in ambito melico-corale cfr. anche Athen. 631D; Schol. Epimetr. Pind. III, 311 Drachmann; EM 690, 41. Cfr. anche Färber, cit. I 20-2 e Smyth, GLP XXIX, 1. Cfr. in relazione a Pindaro anche A. Turyn (ed.), Pindari Carmina cum Fragmentis, Oxonii 1952 2, 341 e Snell, Inno a Zeus 187. La poesia melica è divisa da Proclo (319A 3-20A 6) in generi che hanno come oggetto gli dei (ei[dh ta; eij" qeouv") e generi che celebrano le gesta degli uomini (ei[dh ta; eij" ajnqrwvpou"), con l’inserzione di un gevno" miktovn per i casi dubbi (oscofori, parteni, dafnefori, tripodefori e componimenti euctici); nel primo gruppo sono inclusi inno, prosodio, peana, ditirambo, nomo, adonici, iobacco, iporchemi (trattati a partire da 320A 9-321A2), mentre nel secondo sono oggetto di trattazione principalmente l’encomio, l’epinicio e i genri eulogistico affini (321A 2 ss.). È verosimile per Velardi, cit. 205, 1, che la classificazione effettuata da Proclo nella Crestomazia non sia frutto solo di rinnovato interesse nei confronti dei generi poetici, ma riproponga più o meno fedelmente la teoria retorica dell’e[paino" agli dei, già enunciate da Alessandro di Numenio nel Peri; ÔRhtorikw``n ΔAformw``n (Rhet. Gr. III 4-6 Spengel).

Cfr. ad es. 320A 14 (39 Severyns): dio; kai; to; prosovdion kai; ta; a[lla ta; proeirhmevna (sc. 10

paiavn, diquvrambon ktl.) faivnontai ajntidiastevllonta" tw``/ u{mnw/ wJ" ei[dh pro;" gevno". Cfr. anche per tutta la questione Harvey, Classification 159 e Cassola, Inni omerici XI.

Questo ruolo di Platone di primo teorico intorno ai componimenti innografici sembra confermato 11

anche da Menandro il retore, il quale riflette anche verosimilmente la buona opinione di cui al riguardo godeva Platone in ambiente retorico. Cfr. ad es. Men. Diair. 330, 12-16 Russel-Wilson, e cfr. più in generale anche Velardi, cit. 216 e G.A. Kennedy, Later Greek Philosophy and Rhetoric, «Philosophy and Rhetoric» 13 (1980) 181 ss. Cfr. anche per la teoria platonica del discorso, oltre alle note precedenti, S. Gastaldi, Legge e retorica. I Proemi delle Leggi di Platone, «QS» 20 (1984) 69 ss. e M. Vegetti, Nell’ombra di Teuth. Dinamiche della scrittura in Platone, in M. Detienne (ed.), Sapere e scrittura in Grecia, Roma-Bari 1989, 201-7.

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funzionale al ruolo educativo e normativo che Platone attribuisce all’inno nel quadro delle istituzioni culturali del suo stato ; la distinzione tra genere e genere all’interno

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dei carmi di contenuto religioso è forse secondaria in Platone, ma si fa pressante con i grammatici alessandrini, allorquando più forte è la volonta elencatoria e classificatoria.

Queste due differenti esigenze vengono pertanto a generare nei teorici antichi una condizione di incertezza e spesso di manifesta contraddizione intorno al vocabolo hymnos, similmente a quanto si può comunque osservare per la maggior parte dei singoli generi letterari .

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1.2. Il peana. Canto sacro ad Apollo o genere in evoluzione?

Le medesime difficoltà riscontrate nel reperire elementi univoci e certi per l’inno e distinguerlo dagli altri generi poetici, emergono sottoponendo il peana ad una simile indagine, che può considerarsi rappresentativa anche delle casistiche affini (ditirambo, nomo, prosodio ecc.) .

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Cfr. ad es. Leg. VII, 799A1-B8; E10-12; 800A3-B1; E11-A1; 801A5-6; C8-D4. Cfr. anche Velardi, 12

cit. 220 e cfr. per tutto il problema G. Cerri, La tragedia, in G. Cambiano-L. Canfora-D. Lanza, Lo spazio letterario della Grecia antica, I, Roma 1992, 301-34.

Harvey, Classification 175: “Our knowledge ist just sufficient for us to be able to see the 13

inadequacy of the Alexandrian classification…; the result of this discussion is, I am aware, depressingly negative”. Per una discussione sui più importanti generi letterari, ad esclusione del peana, qui di seguito brevemente trattato cfr.: per il prosodio: Grandolini, cit. 125 ss.; id., Osservazioni sul Prosodio, «Ann. Fac. Lett. Fil. Perugia» 25 (1987-8) 27-5; R. Muth, RE XXIII 1 (1957) s.v. Prosodion 856-63; sul ditirambo: G.A. Privitera, Aspetti musicali del ditirambo arcaico e tardo-arcaico, in AA.VV., L’inno tra rituale e letteratura nel mondo antico, «AION» 13 (1991) 142; id., Origini della tragedia e ruolo del ditirambo, «SIFC» NS 9 (1991) 184 ss.; id., Archiloco e il ditirambo letterario pre-simonideo, «Maia» 9 (1957) 95-110; id., Laso di Ermione nella cultura ateniese e nella tradizione storiografica, Roma 1956; per il nomo: A. Gostoli, L’inno nella citarodia greca arcaica, in AA.VV., L’inno tra rituale e letteratura nel mondo antico, «AION» 13 (1991) 96 ss. e C.O. Pavese, Tradizioni e generi poetici della Grecia arcaica, Roma 1972, 230-5; per i parteni, le dafneforie e gli oscoforia cfr. F. Sbordone, Partenii pindarici e defneforie tebane, «Atheneum» 18 (1940) 415; L. Lehnus, Pindaro: il dafneforico per Agasicle (Fr. 94b Sn.-M.), «BICS» 31 (1984) 80 ss.; E. Kadletz, The Race and Procession of the Athenian Oscophoroi, «GRBS» 21 (1980) 363 ss. e I. Rutherford-J. Irvine, The Race in the Athenian Oschophoria and an Oschophorion by Pindar, «ZPE» 72 (1988) 43 ss.

Interessante è in proposito il caso di Aristotele, che pur non occupandosi direttamente della 14

questione, mostra ancora un uso indifferenziato del termine hymnos. Cfr. ad es. Arist. Po. 1448B 27; EN 1171A 15 e vd. in proposito M. Fuhrmann, Einführung in die antike Dictungstheorie, Darmstadt 1973, 3 ss. Cfr. per la bibliografia relativa a questi generi letterari le note precedenti. Cfr. anche per il problema Harvey, Classification 172 e Käppel, Paian 10 ss. Cfr. anche G.A. Privitera, Il peana sacro ad Apollo, in C. Calame (ed.), Rito e poesia corale in Grecia. Guida storica e critica, Roma-Bari 1977, 22 ss. Sulla possibilità di intendere i generi letterari all’interno di unità complessive cfr. Jauss, cit. 110: “Demzufolge sind die literarischen Gattungen nicht als genera (Klassen) im logischen Sinn, sondern als Gruppen oder historische Familien zu verstehen. Sie können als solche nicht abgeleitet oder definiert, sondern nur historische bestimmt, abgegrenzt und beschreiben werden”. Cfr. anche K. Viëtor, Probleme der literarischen Gattungsgeschichte, «DVjS» 9 (1931) 425 ss.; G. Müller, Bemerkungen zur Gattungspoetik, «PhA» 3 (1928-9) 129 e cfr. Käppel, Paian 11 ss. e relativa bibliografia. La scelta del peana, per esemplificare i processi classificatori nell’ambito dei generi letterari, è stata dettata anche dalla frequenza di questo tipo di carme all’interno della produzione innografica di età ellenistica.

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Il termine paiavn (o paiwvn) infatti, di etimo e provenienza incerta , sin a partire da 15

Omero viene ad assumere valenze e competenze differenziate: se Peana è infatti il nome proprio di una divinità guaritrice, forse pre-ellenica, e poi epiteto di Apollo quale guaritore o salvatore , peana è anche il canto, spesso in forma di semplice preghiera o

16

grido rituale (ijh; paiavn), rivolto al dio Paiavn, identificato in un momento successivo con Apollo .

17

Questa compenetrazione terminologica tra il destinatario divino del carme, e il carme stesso, che si viene poi ad evolvere in strutture letterarie sempre più complesse, aiuta a spiegare come la presenza del refrain nelle sue varianti metriche e la connotazione di

18

Cfr. Frisk II, s.v. paiavn 460 ss.; J. Wackernagel, Griechische Miscellen, «Glotta» 14 (1925) 61 ss.; 15

R.D. Cromey, Attic paianiva and paionivdai, «Glotta» 56 (1978) 63, 4 e A. von Blumenthal, RE XVIII (1942), s.v. paian, 2340 ss. Cfr. anche per tutto il problema Käppel, Paian 32 ss. Cfr. anche Didym. ap. Et. Gud. s.v. paia``ne", 446, 51, p. 390 (5) Schmidt.

In Omero Peana è una divinità autonoma, il cui ruolo è quello di medico degli dei. Cfr. Il. V 401 ss.; 16

899 ss. e Od. IV 231 ss. Il suo ruolo appare distinto da quello di Apollo ancora in Esiodo e in Solone. Cfr. ad es. Hes. fr. 307 Merkelbach-West; Solo fr. 13, 57 West. Questo nome appare anche nella forma Pa-ja-wo-ne (KN V 52) nelle tavolette iscritte in lineare B, e potrebbe indicare un origine molto antica di questa divinità, forse pre-ellenica. Cfr. J. Chadwick-J.T. Killen- J.P. Oliver, The Cnossos Tablets, Cambridge 1971 4, 52 e Käppel, cit. Per i contesti nei quali Apollo è invocato come peana cfr. ad es. Eur. Alc. 91 ss.; 221; Her. 820; IG I 2 310, 229 e 516, 14. Cfr. anche Käppel, Paian 314 ss. (T 59-61) e cfr. ad es. i nn. 66-8 di questa raccolta, anche in relazione all’estendersi di questo ruolo ad Asclepio.

Harvey, Classification 172: “The word paiavn is not only the name of a song but also an invocation 17

of Apollo. Merely to utter the ritual words ijh; paiavn- or some metrical variations of them- was ‘sing a paian to Apollo’,…and many of the occasions when paianivzein was customary - before or after a battle for example- there may have been nothing more than a rhythmical chanting of the ritual formula”. Cfr. anche G. Bona (ed.), Pindaro. I Peani. Testo, traduzione, scoli e commento, Roma 1988, VII: “In età più antica il peana non doveva essere un vero e proprio canto con caratteristiche specifiche, ma doveva piuttosto consistere nell’invocazione rituale ijh; paiavn, grido di implorazione ed esultanza, che veniva rivolto ad un dio, che se non era sin dal principio Apollo, dovette ben presto identificarsi con esso”. Sulla differenti situazioni del paianivzein, sempre comunque contrassegnate dall’intervento della divinità in contesti di pericolo cfr. Käppel, Paian 44 ss. Un’ analoga situazione, in cui il nome del carme , in forma propria o in veste di epiteto, è anche quello del destinatario si ripropone ad esempio con il ditirambo, con l’imeneo o con il lino, l’ei[do" così denominato dall’omonimo poeta-vate; in particolare questi due ultimi generi (imeneo e lino) presentano fortissime affinità con il peana, in quanto in entrambi, al pari di quest’ultimo, è presente un’ejpivfqegma (uJmh;n w\ uJmevnaie; ai[linon, ai[linon). Cfr. per il problema anche C.Fr. H. Schwalbe, Über die Bedeutung des Päan, als Gesang im apollinischen Kultus, «Jahrbuch des Pädagogismus zum Closter Unser Lieben Frauen in Magdeburg» NF 11 (1847) 1 ss.; Fairbanks, Greek Paean 8-13 e Privitera, cit. 41.

Käppel, Paian 68, 115: “Schon seit frühester Zeit scheint das Epiphthegma zum Paian zu gehören”. 18

Questa conclusione potrebbe essere autorizzata dalla presenza del refrain in HHom. III 272; 500 e 517. Cfr. anche in proposito Ar. Eq. 408 (T 71 Käppel). Quanto alla funzione dell’ejpivfqegma viene così riassunta dallo stesso Käppel, Paian 69: “Damit ist für die Frage nach der Funktion des Epiphthegmas folgendes gewonnen: es dient der Anrufung des Adressaten; der Heilsgedanke ist für den Anrufenden unmittelbar mit dem Ruf verknüpft”. Cfr. per tutto il problema anche L. Deubner, Paian, «Neue Jahrbücher für klassiche Altertum, Geschichte und deutsche Literatur» 22 (1919) 387 ss.

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‘canto sacro ad Apollo’ siano per i commentatori antichi, a partire da Callimaco e dalla sua cerchia, le peculiarità distintive di questo genere poetico .

19

Si tratta però, come già osservato per l’inno, di una classificazione nella maggior parte dei casi a posteriori, disattesa spesso nella prassi : se infatti l’ejpivfqegma, che

20

appare in forme estremamente diversificate, viene a mancare del tutto in alcuni peani , 21

talora ad Apollo, in qualità di destinatario, si sostituisce una differente divinità o, come spesso accade all’interno della produzione ellenistica di questo genere poetico, un personaggio umano .

22

Anche da un punto di vista metrico o linguistico risulta difficile individuare elementi che si possano ritenere esclusivi di questo genere letterario, e d’altro canto, tutti i

Cfr. ad es. Eusth. Comm. ad Il. XVIII 570, 1109, 28, IV p. 62, 18-20 Van der Valk: painivzein, 19

h[goun a[/dein Paia``ni Foivbw/ u{mnon paia``na, ou| ejpw/do;" to; ijh; Paia;n o{per h|n paianikovn ti ejpivrrhma. Cfr. Schol. in Dion. Thrac, GG. I, III 451, 12 Hilgard: paia;n ejsti poivhma e[con prosfwvnhsin. Per lo scolio al carme 23 M. di Bacchilide (P. Oxy. 23, 2368), contenente la disputa tra Callimaco e Aristarco circa l’assegnazione del componimento al genere ditirambico o al peana cfr. Käppel, Paian 38, e cfr. le note precedenti con relativa bibliografia. Per tutta la questione, risalente con molta verosimiglianza al callimacheo Ermippo, intorno alla natura poetica dell’inno alla Virtù di Aristotele cfr. il n. 3 di questa raccolta. È molto verosimile, come sospetta Käppel, Paian 42, che i grammatici alessandrini per la loro catalogazione attingessero a manuali o a trattatti a carattere musicale di epoca precedente, quali ad esempio la Sunagwgh; tw``n ejn musikh``/ dialamyavntwn di Eraclide Pontico. Cfr. in proposito Her. Pont. frr. 157-63 Wehrli; cfr. anche [Plut.] De Mus. 10, 1134 E-F e cfr. O. Voss, De Heraclidis Ponticis vita et scriptis, Rostock 1896, 19 e H. Weil-Th. Reinach, Plutarque. De la musique, Paris 1900, VI ss.

Cfr. Käppel, Paian 39: “Die Methoden und Kritiken alexandrinischer Gattungskritik könnten kaum 20

sinnenfälliger vorgeführt werden: sowohl Aristarch als auch Kallimachos betreiben Klassifikation von Gedichten post rem. Für sie ist Gattung ein nachträgliches Ordnungsprinzip zur rein praktischen Gliederung von Gedichtcorpora”. Cfr. anche Pfeiffer, cit. 164 ss. e Käppel-Kannicht, cit. 22 ss. Cfr. anche le precedenti note e relative bibliografia.

Käppel, Paian 68, 113: “Alle Gedichte ohne Epiphthegma sind auch als Paiane bezeugt”. Cfr. ad es. 21

Bacch. XVII e fr. 60 Sn.-M.; cfr. anche il peana di Arifrone all’ÔUgiveia (PMG 813). In questi contesti la funzione di invocazione del carme normalmente svolta dal refrain viene assolta da semplici vocativi. Per il carme bacchilideo cfr. Käppel-Kannicht, cit. 22; F.G. Kenyon (ed.), The poems of Bacckylides, London 1897, XIX ss.; R.C. Jebb, Notes on Bacchylides, «CR» 12 (1898) 123-33, 152-8; id. (ed.), Bacchylides. The Poems and the Fragments, Cambridge 1905, 374-91; Fr. Blass (ed.), Bacchylides. Carmina, Lipsiae 1898, 121-33; A. Taccone (ed.), Bacchilide. Epinici, Ditirambi e Frammenti, Torino 1907, 155-74; A. Körte, Bacchylidea, «Hermes» 53 (1918) 113 e B. Snell-H. Maehler (edd.), Bacchylidis carmina cum fragmentis, Lipsiae 1970, XLVII-XLIX; cfr. per tutta la questione anche Käppel, Paian 156 ss. Per la varietà nelle forme metriche e nella posizione all’interno della struttura complessiva del carme del refrain cfr. Käppel, Paian 65 ss.

Cfr. ad es. Proclo apud Phot. Bibl. 239, 41A (43 Severeyns): oJ de; paia;n ejsti;n ei\do" wj/dh``" eij" 22

pavnta" nu``n grafovmeno" qeou;". Cfr. Bona, cit. XI: “La documentazione di cui disponiamo attesta che già nel quinto secolo divinità diverse da Apollo potevano essere destinatari di peani. Spesso il dio (o la dea) a cui il canto è rivolto viene considerato sotto l’aspetto di colui che protegge dai mali, che li allontana”. Anche il destinatario del carme dunque, come osserva Käppel, Paian 70, costituisce al pari dell’ ejpivfqegma una funzione formale del peana, e al pari di questo può subire delle variazioni relativamente all’identità del personaggio celebrato. Cfr. ad es. il n. 69 di questa raccolta (peana a Dioniso di Filodamo di Scarfea) e il n. 16 (Peana a Lisandro). Si può comunque osservare che anche qualora ad Apollo si sostituisca un differente destinatario, il personaggio celebrato, umano o divino, allorchè non sussistano ragioni di ordine diverso, viene salutato come guaritore o salvatore, qualificandosi, dunque al pari del carme, come Peana. Cfr. Käppel, Paian 33.

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tentativi di ricostruire i contesti musicali o spettacolari del peana non offrono a riguardo un risultato univoco .

23

Le difficoltà interpretative che inevitabilmente vengono ad insorgere a causa della frquente contraddittorietà delle fonti antiche, rivelano dunque tutti i limiti di un’indagine condotta secondo criteri normativi: risulta allora decisivo cercare di contestualizzare il singolo componimento, per ricostruirne, là dove è possibile, gli aspetti religiosi e spettacolari della sua materiale esecuzione, sostituendo ad un teorico sforzo di classificazione un tentativo di storicizzazione del genere letterario, per seguirne l’evolversi, o viceversa il permanere, delle forme e delle funzioni letterarie, coerentemente con il mutare delle condizioni storico-culturali .

24

2. STRUTTURE INNOGRAFICHE E CONTESTO SPETTACOLARE

Se una classificazione dei generi poetici non appare dunque sempre possibile per la mancanza di convincenti criteri di riferimento, la ricostruzione del contesto spettacolare legato alla materiale esecuzione dei componimenti autorizza una più generica

Un ampia rassegna della configurazione metrica dei peani a partire dal V sec. a.C. mostra, pur in 23

ambito lirico, un’incredibile varietà. Cfr. in proposito Käppel, Paian 79 ss.: “Die Aufstellung lehrt über die Metrik der Paiane dreierlei: 1) es kommt die überwiegende Mehrheit der in der griechischen Melik gebräuchlichen Metren vor. 2) Jedes der vorkommenden Metren ist in jeder Epoche auch in anderen Gattungen belegt. 3) Es gibt keine Epoche in der Geschichte des Paians, die bestimmte Metren bevorzugt. Es scheint, als ob zu allen Zeiten grundsätzlich alle Metren verwendbar ware”. Da rigettare è dunque la congettura secondo cui è il peone, e cioè il cretico, l’unità metrica fondamentale del peana. Cfr. in proposito Wilamowitz, GV 330: “Mit den Päonen ist der Päan nur im delphischen Apollonkult verbunden: da hiessen sie kretisch, weil die delphischen Priester sich eine kretische Herkunft erfunden haben”. Cfr. anche Käppel, Paian 76: “Bei einer Sichtung der Metren stellt sich bereits auf den ersten Blick heraus, das der Päon (= Kretiker) in historischer Zeit als Metrum von Paianen fast keine Rolle spielt”. Cfr. anche Deubner, cit. 394-7; Fairbanks, Greek Paean 47 e West, Greek Metre 495. Per la sostanziale unità linguistica delle composizioni liriche, e l’assenza di caratteri distintivi tra genere e genere cfr. Käppel, Paian 74; Adami, De poetis scaenicis 221; C. Ausfeld, De Graecorum precationibus questiones, «JCPh» Suppl. bd. 28 (1903) 510; J. Stenzel, De ratione, quae inter carminum epicorum proemia et hymnicam Graecorum poesin intercedere videatur, Diss. Vratislaviae 1908, 76; Norden, Agnostos Theos 82; Keyssner, Gottesvorstellung 321 e Meyer, Stielelemente 23. Per le ricerche musicali e spettacolari inerenti al peana, che può indifferentemente essere eseguito durante una processione o un simposio, cfr. Fairbanks, Greek Paean 51; A.J. Neubecker, Altgriechische Musik. Eine Einführung, Darmstadt 1977, 139; E. Pöhlmann, Denkmäler altgriechischer Musik, Frankfurt am Main 1970, 76; L. Deubner, Ololyge und Verwandtes, «APAW» 1 (1941) 20 e L.B. Lawler, The Dance in Ancient Greek, London 1964, 100 ss. Cfr. in proposito anche A. Severeyns, Recherches sur la Chrestomathie de Proclos 1: le codex 239 de Photius, Liége-Paris 1938, 130.

La Gattungspoetik, come osserva Käppel, Paian 8, è dunque Gattungsgeschichte, analizzata, come 24

ogni processso storico, sincronicamente e diacronicamente. In questo contesto risulta allora decisivo interrogarsi “nach dem Verhältniss der literarischen Gattung zur ausserliterarischen Welt, bzw. nach der Funktion der Gattung in dieser Welt - die ihrerseits natürlich auch als eine geschichtliche zu fassen ist -”. Cfr. in proposito anche le note precedenti. Per l’importanza del ‘Sitz im Leben’ per la determinazione del genere letterario e per la ricostruzione delle sue caratteristiche cfr. Käppel, Paian 17 e le note precedenti con relativa bibliografia. Cfr. anche in generale W. Raible, Was sind Gattungen, «Poetica» 12 (1980) 320 ss. e R.L. Fowler, The Nature of Early Greek Lyric: Three Preliminary Studies, Toronto 1987, 91 ss.

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distinzione tra proemio e inno melico-cultuale, la quale non esaurisce comunque la varietà della produzione innografica esistente .

25

2.1. Proemio e agoni rapsodici

Proemio è ciò che precede l’oi[mh, quel canto cioè seguito da una rapsodia o più genericamente da un racconto epico .

26

Wolf, il primo tra i moderni ad applicare questo termine alla silloge degli inni omerici, che senza dubbio rappresenta l’esempio meglio conservato di proemi ,

27

individua appunto la peculiarità principale di questi carmi nella loro funzione introduttiva, quale si viene a configurare all’interno di veri e propri concorsi poetici a

Sulla scorta di Cassola, Inni omerici XII, bisogna infatti rigettare la definizione dell’inno come 25

‘poesia cultuale e cantata‘, datata da Th. Bergk, Griechische Literaturgeschichte, I, Berlin 1872, 56 e G. Pasquali, in Enciclopedia italiana, s.v. Omero, in quanto viene ad escludere intere sillogi di inni, quali quelli omerici, che non possono considerarsi in senso stretto cultuali, e la cui esecuzione avveniva tramite recitazione. Cfr. anche B.A. van Groningen, La composition littéraire archaique grecque, Amsterdam 1958, 388. Sui rapporti tra inno e poesia cultuale cfr. anche F. Lassere (ed.), Plutarque. De la musique, Alten 1954, I ss. La distinzione tra proemio e inno cultuale non si può ritenere totalmente funzionale, in quanto vi sono casi in cui l’inno è totalmente svincolato da contesti spettacolari in genere o rituali, per ridursi a semplici liturgie o a componimenti dagli intenti letterari. Cfr. ad es. per gli inni orfici, o per alcuni di essi, C. Petersen, Über den Usprung der unter Orpheus Namen vorhandenen Hymnen, «Philologus» 27 (1868) 385 e O. Gruppe, Griechische Mythologie Religionsgeschichte, I, München 1906, 555. Cfr. anche i nn. 2 e 15 di questa raccolta.

Cfr. Cassola, Inni omerici XII; Pagliaro, cit. 61. Il rapporto tra prooivmion e oi[mh è già investigato 26

dagli antichi, che definiscono il proemio, coerentemente alla sua etimologia, ‘la prima parte dell’oi[mh’. Cfr. ad es. Quint. IV 1, 1-2: …propterea quod oi[mh est et citharoedi pauca illa, quae antequam legitimum certamen incohent, emerendi favoris gratia canunt, proemium cognominaverunt; cfr. anche Hsch. e EM, s.v. u{mno". Per oi[mh nel senso di ‘racconto epico’ cfr. Od. VIII 74, 481; XXII 347. Cfr. anche HHom. IV 451. Come hymnos, anche il termine proemio fu inteso in veri significati, sino ad indicare genericamente la parte introduttiva di qualunque opera letteraria, indifferentemente in poesia o in prosa. Cfr. ad es. Pl. Leg. IV 722D-23A; Arist. Rhet. III 14. Cfr. anche Stesicoro, fr. 64 Page e Call. fr. 544 Pf. Cfr. in generale T.W. Allen-W.R. Halliday-E.E. Sikes (edd.), The Homeric Hymns, Oxford 1936, XCIII-XCV. Differentemente dall’inno, con Cassola, Inni Omerici XIII, “è opportuno ricordare che…il senso di proemio è invece chiaro e delimitato, e doveva essere ben presente anche a chi…se ne allontanava sino a capovolgerlo”. Cfr. per tutto il problema anche Wünsch, Hymnos 162; C.H. Ratschow, in AA.VV., Theologische Realenzyclopedie, XII, s.v. Gebet I, , Berlin 1984, 31 ss. e R. Albertz, ibid., 40 ss. Per il configurarsi del proemio come inno, cfr. Cassola, cit. e C.O. Pavese, Tradizioni e generi poetici della Grecia arcaica, Roma 1972, 79 ss. Cfr. anche F. Böhme, Das Prooimion, Bühl 1937.

Un altro termine di confronto di grande interesse è offerto dalla Teogonia esiodea, che secondo 27

Cassola, Inni omerici XXI, rappresenta un esempio ben documentato, e forse l’unico sopravvissuto, del rapporto tra oi[mh e proivmion. L’iniziale inno alle Muse, che apre l’intero poema (vv. 1-104), precede infatti la rapsodia vera e propria, che appare in realtà come un conglomerato di racconti epici di minori dimensioni, suturati in maniera differente. In questo complesso, l’inno è dunque non solo l’esordio dell’intera opera, ma il proemio di un’intera serie di rapsodie. Cfr. in proposito Fr.A. Wolf, Theogonia Hesiodea, Halae Saxoniae 60; P. Friedländer, Studien zur antiken Literatur und Kunst, Berlin 1969, 68-80; U. von Wilamowitz-Moellendorff, Ilias und Homer, Berlin 1916, 463-79; M.L. West (ed.), Hesiod. Theogony, Oxford 1966, 44 ss.; K. von Fritz, Das Pröomium der hesiodischen Theogonie, in AA.VV., Festschrift B. Snell, München 1956, 29 ss. e K. Latte, Kleine Schriften, München 1968, 60 ss.

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sfondo agonale . Queste manifestazioni, a cadenza periodica o del tutto occasionali, 28

ben documentate sin da tempi molto antichi, mettenvano a confronto più poeti, offrendo la possibilità di ampie recitazioni a carattere epico nell’ambito di cerimonie di differente durata .

29

Il proemio si situa appunto in questo contesto non come esordio di una singola rapsodia, e dunque come una sorta di introduzione priva di ogni autonomia compositiva, ma piuttosto come la prima di una serie di rapsodie, caratterizzata dal tema e dalla speciale funzione rispetto ai componimenti successivi: se infatti il proemio espone le lodi di una divinità, le rapsodie, cui esso funge da premessa, sono di norma delegate a sviluppare in forma narrativa un mito eroico riguardante spesso la divinità stessa .

30

Fr.A. Wolf, Prolegomena ad Homerum, Halae Saxoniae 1795, 106, 8. Wolf, pur ritenendo più 28

idoneo il termine di proemio, non abbandona del tutto la dizione di inno, in quanto termine ormai consacrato dalla tradizione e ampiamente testimoniato all’interno della raccolta. Il punto di partenza per la riflessione di Wolf è costituito da un passo delle Nemee di Pindaro (II 1-3), in cui si riferisce dell’abitudine propria dei rapsodi di prendere avvio per le loro performance dal proemio in onore di Zeus; a ciò si aggiunge quanto riferisce Tuc. III 104, che definisce il terzo inno della silloge (ad Apollo), ‘proemio in onore di Apollo’. Queste notizie, unitamente all’osservazione che tutti gli inni sono dedicati a divinità, e che in buona parte si concludono con una promessa di canto, inducono Wolf a concludere che la silloge degli inni omerici, altro non sia che un repertorio di proemi destinati alle recitazioni rapsodiche. Tuttavia molti studiosi, come Allen, Halliday e Sikes, cit., accettano l’ipotesi solo per gli inni più brevi, in quanto i maggiori sono ritenuti troppo lunghi per fungere da introduzione. Così Cassola, Inni Omerici XV, a riguardo: “L’argomento viene a cadere se si ricorda che…gli inni omerici erano destinati a precedere non una rapsodia, bensì un agone rapsodico, cioè una cerimonia che doveva durare parecchie ore (e forse parecchi giorni), e a cui partecipavano vari poeti”. Cfr. in proposito G. Murray, The Rise of Greek Epic, Oxford 1934 4, 187; cfr. in genere anche A.B. Lord, The Singer of Tale, Cambridge (Mass.) 1860; C.M. Bowra, Greek Epic Poetry, London 1969 e M. Durante, Sulla preistoria della tradizione poetica greca, I, Roma 1971.

La fonte più antica sui concorsi agonali è rappresentata da un frammento di Eumelo di Corinto (fr. 29

13 Kinkel), risalente al VII sec. a.C., anche se è possibile reperire accenni o allusioni di età precedente. Cfr. ad es. HHom. III 146-50; 169-70 (in merito alle feste delie); Hes. fr. 357 Merkelbach-West; Tuc. III 104; Certamen 315-21 Allen. Su Sicione e Argo cfr. Hdt. V 67; cfr. anche Paus. IV 33, 2; X 7, 2-4 e IX 31, 3; Hsch. s.v. Braurwnivoi". Cfr. in generale C.M. Bowra, On Greek Margins, Oxford 1970, 46-58; P. Mazon, Introduction à l’Iliade, Paris 1948 e H.T. Wade-Gery, The poet of the Iliad, Cambridge 1952, 232-4. Cfr. anche Cassola, Inni omerici XVI: “Vi sono poi allusioni genriche a concorsi rapsodici che potrebbero appartenere all’una o all’altra delle due categorie”. Cfr. anche in merito P. Walcot, Hesiod and the Near East, Cardiff 1966, 119-20. Per i rapporti tra agone ed epopea cfr. Pagliaro, cit. Per la durata dei singoli agoni, che molto probabilmente prevedevano anche gare a sfondo atletico, non c’è consenso tra i differenti studiosi, ma è verosimile che una cerimonia con queste caratteristiche potesse durare da parecchie ore a diversi giorni. Cfr. in proposito J. Notopulos, Studies in early Greek Oral Poetry, «HSCPh» 68 (1964) 1-14. Quanto alla lunghezza media di una rapsodia Allen, Halliday e Sikes, cit. chiamano in causa la partizione alessandrina dell’Iliade e dell’Odissea, che divide il primo poema in libri mediamente di 650 versi, e di 500 versi circa il secondo. È noto in realtà che in epoche più antiche i due poemi non erano suddivisi così minutamente: per Erodoto, II 116, ad esempio, il titolo “Le gesta di Diomede” dato al solo libro V dell’Iliade dagli alessandrini, comprendeva anche il VI libro, o per lo meno una parte di questo. Cfr. anche Arist., Po. 1455A 2.

Cassola, Inni omerici XXII, ritiene possibile, sulla scorta di alcune osservazioni di A. Gemoll (ed.), 30

Die homerischen Hymnen, Leipzig 1886, 12 che negli agoni rapsodici, oltre al proemio, fosse di rigore un inno alla divinità anche come conclusione. In realtà di ciò non vi è alcuna esplicita testimonianza, anche se si può osservare come in alcuni inni della silloge (HHom. I, XI, XIV, XVII, XX-XXIII) il congedo è costituito da una preghiera, o da una formula di saluto, senza il preannuncio di un altro canto. Così Cassola, cit. “L’ipotesi di inni conclusivi è dunque degna di essere considerata. Tuttavia non occorre postulare l’esistenza di componimenti diversi dai proemi, e soggetti a regole particolari:…qualunque proemio poteva essere adattato al compito di chiudere l’agone”.

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La transizione tra prooivmion e oi[mh prende materialmente forma nel congedo del proemio, dove la promessa di canto da parte del poeta, postula chiaramente l’esistenza di uno o più componimenti successivi . Questo tipo di connessione, naturalmente,

31

risulta significativo nel contesto spettacolare in cui i proemi venivano eseguiti, ma è difficilmente apprezzabile al di fuori della realtà agonale stessa .

32

Si tratta, in conclusione, di componimenti strettamente legati al mondo dell’epopea per lingua, metro, stile e tecnica compositiva, che presentano conseguentemente lo stesso ordine di problematiche ; è verosimile d’altro canto indicare nella medesima

33

persona gli autori di proemi e di racconti epici, in quella figura cioè di poeta

Cfr. Cassola, Inni omerici XVII. Cfr. ad es. HHom. IX, X, XVI-XXI. Per i casi particolari degli inni 31

VII (a Dioniso) e XIX (a Pan), che mostrano una struttura narrativa autonoma cfr. G. Patroni, L’inno omerico VI a Dioniso, «Athenaeum» 26 (1948) 65 ss.; H. Hommel, Pan. Zwei Gedichte zu Ehren des Gottes, «Gymnasium» 57 (1950) 249 e H. Schwabl, Der homerische Hymnus auf Pan, «Wiener Studien» 3 (1969) 5 ss.

Cfr. Cassola, Inni omerici LVIII ss. Questa difficoltà era presente già ai critici antichi: ad esempio 32

l’esordio (proemio) delle Opere esiodee era espunto da Prassifane (fr. 22 Wehrli), Aristarco e Cratete di Mallo, in quanto notavano che i primi dieci versi di quest’opera, non avendo particolari legami col testo successivo, potevano essere messi al principio di qualunque altro poema. Per Prassifane e Aristarco cfr. A. Pertusi, Scholia vetera in Hesiodi Opera et Dies, Milano 1955, 2, per Cratete cfr. A. Colonna (ed.), Vita di Dioniso Periegete (Vita Chisiana), «Bollettino Comitato edizione nazionale classici» 5 (1957), 11, ll. 51-2. Questa è molto verosimilmente l’incomprensione interpretativa che si veniva a creare nei confronti della successione oi[mh-prooivmion al di fuori del contesto agonale. Naturalmente questo fatto ha influito ad esempio sulla tradizione degli inni omerici, che pur essendo proemi, sono stati trasmessi separatamente rispetto alle rapsodie inserite in origine nel medesimo contesto agonale. Cfr. in proposito G. Murray, A Book to keep, «JHS» 74 (1954) 49-55; B. Gentili, L’interpretazione dei lirici greci arcaici nel nostro tempo. Sincronia e diacronia nello studio di una cultura orale, «QUCC» 8 (1969) 7-21; D. del Corno, I papiri dell’Iliade anteriori al 150 a.Cr., «RIL» 94 (1960) 73 ss.; e S. West, The Ptolemaic Papyri of Homer, Köln 1957. In particolare per la tradizione manoscritta degli inni cfr. Cassola, Inni omerici 596; G. Quandt (ed.), Orphei hymni, Dublin-Zürich 1962 3, XX; Pfeiffer, Callmiachus II, LII; E. Vogt (ed.), Procli Hymni, Wiesbaden 1957, XIV.

Cfr. Cassola, Inni omerici XXV. Per un confronto tra poemi e inni omerici, alla luce anche delle 33

ricerche sulla poesia orale e sulla formularità cfr. W.O.E. Windisch, De hymnis homericis maioribus, Lipsiae 1867; A. Parry, The Making of Homeric Verse, Oxford 1971; A. Severyns, Homère, Bruxelles 1944-48 2, 49-61; A. Hoekstra, Homeric Modifications of Formularic Prototypes, Amsterdam 1965; J.B. Hainsworth, The Flexibility of Homeric Formula, Oxford 1968; O. Zumbach, Neuerungen in der Sprache der homerischen Hymnen, Winterthur 1955; E. Heitsh, Aphroditeshymnus, Ilias und Homer, Göttingen 1965; G.S. Kirk, Studies in some technical Aspìects of Homeric Style, «YCS» 20 (1966) 153-74 e A. Hoekstra, The Sub-epic Stage of the formularic Tradition, Amsterdam 1969.

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professionista che è il rapsodo , e individuare nella recitazione la forma espositiva di 34

entrambi i tipi di carmi .35

Senza dubbio è lecito supporre che il grande inno epico, quale è appunto documentato dalla silloge omerica, sia il punto di arrivo di una lunga evoluzione, anche se è d’altro canto verosimile pensare che anche in un periodo avanzato le rapsodie

Cfr. Cassola, Inni omerici XXVI: “Oggi dunque molti critici usano prevalentemente il termine aedi 34

quando si riferiscono ai creatori dell’antica epopea, e il termine rapsodi quando parlano dei tardi ripetitori: [.] i due termini si differenziano piuttosto in quanto il primo è generico (aedo è qualunque poeta o cantore), il secondo designa specificatamente il poeta epico”. Questa chiarificazione consentirebbe anche di congetturare che il rapsodo, nonostante il termine appaia solo in Erodoto, V 67, e sia dunque di tarda attestazione, non operasse come un semplice ripetitore, ma come poeta vero e proprio, capace di una propria attività creativa. Cfr. in proposito anche Soph. OT 391; Pind. Nem. II 1-3; [Hes.] fr. 357 Merkelbach-West. In particolare il concetto di rapsodo come ‘colui che cuce insieme materiale poetico preesistente’ appare già nelle fonti erudite antiche: cfr. Filocoro, FGrH 328 F 212 e Dionisio di Argo, FGrH 308 F 2. Cfr. anche per tutto il problema Pagliaro, cit.; W. Aly, RE IA1 (1914), s.v. ÔRayw/dov", 244 ss.; E. Meyer, Die Rapsoden und die homerischen Epen, «Hermes» 52 (1918) 330 ss.; H. Fränkel, «Glotta» 14 (1925) 3-6; H. Patzer, RAYWIDOS, «Hermes» 80 (1952) 314 ss.; M. Durante, “Epea pteroventa. Le parole come cammino in immagini greche e vediche, «RAL» 13 (1958), 94-111; id, Ricerche sulla preistoria della lingua poetrica greca. La terminologia relativa alla creazione poetica, «RAL» 15 (1960), 231-49 e C. Del Grande, Filologia minore, Milano 1967, 53-8. Per le scuole rapsodiche e il gevno" rapsodico degli omeridi cfr. Acusilao, FGrH 2 F 2; Ellanico, FGrH 4 F 30; Cratete, FGrH 362 F 5; Strabone XIV 645; Schol. Pind. Nem. II 1 e Certamen 13-5 Allen. Cfr. in generale A. Rzach, RE VIII 2 (1913), s.v. Homeridai, 1014 ss.; Th. Birt, Über o{mhro" und den Namen Homer, «Philologus» 87 (1932) 376 ss.; S. Accame, L’invocazione alla Musa e la verità in Omero ed Esiodo, «RFIC» 91 (1963), 257-81 e 385-415 e W. Burkert, Die Leistung eines Kreophylos, «MH» 29 (1972) 74 ss. In particolare su Nicandro omeride cfr. G. Pasquali, I due Nicandri, «SIFC» 20 (1913) 88 ss. e cfr. in genere anche il n. 51 di questa raccolta.

I critici antichi e moderni sono concordi nell’affermare che l’epopea greca era alle origini cantata ed 35

accompagnata dalla cetra; è probabile però che proprio l’interesse per il racconto e in genere per la forma narrativa abbia prodotto il sorgere di una nuova tecnica, in cui l’accompagnamento musicale finì per essere considerato secondario. Questo passaggio, dopo una fase di transizione rappresentata da un dualismo cantare-raccontare, testimoniato da passi dei poemi omerici (cfr. ad es. Od. VIII 496; XI 368), si sarebbe concretizzato nel VII secolo a.C, allorquando il poeta epico sostituì alla cetra, come insegna professionale, la rhabdos, cioè il lungo bastone da pellegrino, segno di vita errabonda. Questa ricostruzione sembrerebbe avallata anche dalla tradizione su Terpandro, che nelle fonti antiche è colui che restituisce la musica ai carmi narrativi dopo lungo tempo: se il passaggio dell’epopea alla narrazione non fosse avvenuto prima di lui queste notizie sarebbero verosimilmente prive di significato. D’altro canto lo pseudo-plutarcheo De Musica, 4, 1132D (= A. Gostoli (ed.), Terpander. Veterum testimonia et Fragmenta, Romae 1990, T 32), ci attesta che Terpandro oltre a nomoi citarodici, dunque carmi lirici cantati, compose anche proemi citarodici in metro epico, cioè in esametri e molto verosimilmente recitati, in tutto simili agli inni omerici. Cfr. in proposito Gostoli, cit. 102 ss. Cfr. in proposito Cassola, Inni omerici XXII e Wilamowitz, Ilias und Homer 200 ss. Per quell’interpretazione etimologica che fa discendere rapsodo da rhabdos cfr. Scol. Pind. Nem. II 1; Isth. IV 63; Plat. Ion 530A; Eraclito, fr. 42 DK. Pindaro, Isth. IV 38, e Callimaco, fr. 26, 5 Pf. alludono alla rhabdos come strumento professionale del rapsodo, ma ciò non prova che si tratti di un tentativo di interpretazione etimologica. Per le testimonianze figurative sulla rhabdos cfr. J.K. Anderson, Handbook to the Greek Vases in the Otago Museum, Dunedin 1955, 35 ss.; J.D. Beazley, Attic Black-Figure Vase Painters, Oxford 1956, 386 e G.S. Kirk, The Songs of Homer, Cambridge 1962, 312-3.

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isolate fossero precedute da proemi di modeste dimensioni . Questa situazione appare 36

del resto testimoniata dalla medesima raccolta: accanto a carmi, in cui la sezione narrativa, inerente le gesta o la genealogia del dio, è sviluppata e ben articolata, si affiancano composizioni di dimensioni contenute, ridotte talora al solo esordio, con l’apostrofe al dio e la proposizione poetica, o al congedo con il saluto e la promessa di un successivo canto . In entrambi i casi comunque la duplice funzione del proemio si

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viene ad espletare: anticamera alla successiva performance rapsodica, premessa ‘religiosa’ al canto, cioè come richiesta di aiuto e sostegno alla divinità in vista del cimento agonale.

La pratica dei concorsi poetici ha senza alcun dubbio determinato la costituzione di un repertorio tradizionale, che pur nel carattere fortemente conservativo, ha reso possibile una situazione di fluidità stilistica e linguistica, nella quale il proemio continua

È probabile, secondo Cassola, Inni omerici LXI, che la silloge degli inni omerici non debba essere 36

molto antica, ma si sia costituita quando già la fase creativa dell’epopea tradizionale era in declino, anche se è del tutto impossibile individuare a quale epoca appartengano i manoscritti rapsodici, da cui essa dipende. L’eclettismo del compilatore (o dei compilatori), visibile soprattutto nell’incoerenza stilistica e linguistica dei vari componimenti, fa infatti supporre che egli sia vissuto in un periodo in cui i rapsodi si volgevano alla recitazione, e in molti casi ad una tenue rielaborazione, di tutto ciò che era consacrato dalla tradizione. Cfr. in proposito W. Kranz, Sphragis. Ichform und Namensiegel als Eingangs-und Schluss-motiv antiker Dichtung, «RhM» NF 104 (1961) 3-46 e 97-124. Per la datazione dell’inno VIII (Ares), molto verosimilmente da attribuirsi a Proclo, cfr. M.L. West, The Eight Homeric Hymn and Proclus, «CQ» 20 (1970) 300-4. Cfr. anche A. Matthiae, Animadversiones in hymnos homericos, Lipsiae 1800, 90; E. Abel, Orphica, Lipsiae 1885, 102; E. Maass, Orpheus, München 1895, 195. Per la possibilità che il compilatore della grande silloge includente gli Inni omerici, quelli di Callimaco e orfici, insieme alle Argonautiche orfiche, sia Proclo cfr. F. Marx, Der blinder Sänger von Chios und die delischen Mädchen, «RhM» NF 63 (1907) 619-20 e F. Jacoby, Kleine philologische Schriften, I, Berlin 1961, 139 ss. Weil e Reinach, cit. 19, 45, congetturano poi che gli inni omerici siano opera di Terpandro, da identificare dunque con i suoi proemi citarodici, o quanto meno siano un prodotto della sua scuola. Cfr. in proposito Gostoli, cit. 103.

Cfr. ad es. HHom. II e VII. In particolare per la struttura dell’inno a Demetra, che pur nelle 37

incoerenze logiche, rivela un alto grado di articolazione cfr. in genere J. Bücheler, Hymnus Cereris homericus, Lipsiae 1869; V. Puntoni, L’inno omerico a Demetra, Livorno 1896 e N.J. Richardson, The Homeric Hymn to Demeter, Oxford 1974. Cfr. in proposito anche il n. 17 di questo numero e relativa bibliografia. In merito ai proemi brevi si può comunque congetturare con Cassola, Inni omerici XVII, che si tratti non di componimenti compiuti, ma piuttosto di estratti di differenti dimensioni di opere più estese; d’altro canto, poichè la peculiare funzione di questo genere di composizione appare più chiaramente nell’esordio o nel congedo del componimento stesso, risulta chiaro perchè siano queste le parti più frequentemente conservate.

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a conservare, nella sua autonomia compositiva, un carattere introduttivo alla recitazione epica .

38

Del resto è probabile che, fino a quando si ebbero concorsi di questo genere, ampiamente documentati almeno fino al termine del I sec. a.C. , questa funzione del

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proemio non sia mai venuta meno, e che dunque ininterrottamente anche durante l’intero corso dell’età ellenistica componimenti di questo genere venissero non solo eseguiti, attingendo al patrimonio già esistente, ma composti talvolta con caratteri innovativi pur sulla base del tradizionale materiale .

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Rilevante in proposito è la comparsa nelle manifestazioni di questo periodo, accanto a rapsodie di argomento storico-mitologico, di una nuovo genere laudativo, l’ejgkwvmion ejpikovn, che nelle forme dell’innografia epica celebrava molto verosimilmente la

Cfr. in merito all’eclettismo linguistico e formale degli inni omerici Cassola, Inni omerici LI ss. Per 38

lo studio dei singoli fenomeni linguistici, alla luce delle differenze con i poemi omerici ed esiodei cfr. anche Allen-Halliday-Sikes, cit. XCVI-CVII. Cfr. anche in generale Bowra, cit. e G.L. Huxley, Greek Epic Poetry, London 1969. Cfr. anche A. Aloni, Proemio e funzione proemiale nella poesia greca arcaica, in AA. VV., L’inno tra rituale e letteratura nel mondo antico, «AION» 13 (1990) 99-130. Cfr. in particolare per il permanere delle strutture innografiche Meyer, Hymnische Stielelemente 234. In particolare Keyssner, Gottesvorstellung 3, osserva come tre siano le parti in cui normalmente si suddivide un componimento innografico tradizionale: “die Anrufung, die pars epica (die Aretalogie), und das eigentliche Gebet”. Differentemente Adami, De poetis scaenicis 259-61, sulla base delle strutture innografiche presenti all’interno del dramma greco, indica le seguenti sezioni compositive: 1) Invocazione e epiteti del destinatario; 2) genealogia; 3) indicazione delle sedi; 4) epifania del dio; 5) preghiera conclusiva e ripetizioni degli epiteti. Per tutto il problema cfr. anche Rainer, Philodamus’Paean 215 ss.

Cfr. Cassola, Inni omerici LXII. Per il V sec. a.C. l’attestazione più interessante ci è data da Plut. 39

Lys. XVIII 8 (= T 2 Wyss), che documenta la vittoria del poeta epico Nicerato nelle Lisandree di Samo. Cfr. in merito il n. 16 di questa raccolta e le singole sezioni. Cfr. anche per questo periodo Plat. Ion 530A ss. per gli Asclepeia di Epidauro e le Panatenee ateniesi e cfr. SGDI 5768 per i Naia di Dodona. Cfr. anche per i secoli successivi IG XII 9, 189 (Artemisia di Eretria, IV sec. a.C.); Diod. XIV 109 (rapsodie ad Olimpia, IV sec. a.C.); e cfr. anche per questo ultimo periodo per le Museia di Tespi P. Jamot, Fouilles de Thespies, «BCH» 19 (1895) 311 ss., 15-17. Per il III sec. a.C. in merito ai concorsi delle Soterie delfiche cfr. G. Daux, Inscriptions de Delphes, «BCH» 46 (1922) 439 ss., 445; Ch. Michel, Recueil d’Inscriptions Grecques, Bruxelles 1900, 305 ss. e G. Nachtergael, Les Galates en Grèce et les Sotéira de Delphes, Bruxelles 1977, 3, 4, 5, 7-10, 59, 62-6, 68. Per il periodo compreso tra il III e il I sec. a.C. cfr. ad es. Jamot, cit., 6, 7, 8, 12-3 (Museia a Tespi); IG VII, 2727, 4147, 4151 (Ptoia a Acrefia); IG VII 540-3 (Serapeia di Tanagra); FdD III 2, 48-50 (Pitiche delfiche; cfr. in proposito il n. 78 di questa raccolta); IG VII 415-20 e IG VII 3195-7 (agoni di Oropo ed Orcomeno). Cfr. in proposito anche Pallone, Epica agonale 157 ss. e più in generale E. Reisch, De musicis Graecorum certaminibus, Vindobonae 1885; J. Frei, De certaminibus thymelicis, Basileae 1900 e H.J. Mette, Urkunden dramatischer Aufführungen in Griechenland, Berlin-New York 1977, II C4c e II C 3.

I proemi di età ellenistica, come anche molti proemi di età precedente, non si sono conservati o 40

sono comunque difficilmente riconoscibili, in quanto, come si è detto, il rapporto prooivmion-oi[mh viene facilmente a sfaldarsi al di fuori della realtà agonale, rendendo precaria la diffusione di questo tipo di scritti. Cfr. in proposito Cassola, Inni omerici LIX. Per la congettura relativa alla datazione in età ellenistica del inno omerico V (ad Afrodite) cfr. G. Freed-R. Bentman, The Homeric Hymn to Aphrodite, «CJ» 50 (1955) 153 ss.; E. Heitsch, Epische Kunstsprache und homerische Chronologie, Heidelberg 1968 e H.N. Porter, Repetition in the Homeric Hymn to Aphrodite, «AJPh» 70 (1949) 249 ss. In particolare nelle iscrizioni che documentano i concorsi agonali in età ellenistica si viene a creare una netta distinzione tra il rapsodo, che è solo il materiale esecutore di carmi e il poihth;" ejpw``n, che è invece autore di componimenti epici, sdoppiando così quelle che erano genericamente competenze del solo rapsodo in età precedente. Cfr. in proposito le note precedenti e Pallone, Epica agonale 161. Cfr. anche H. Weil, Études sur l’antiquité grecque, Paris 1900, 237-44.

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divinità o il personaggio umano, cui il contesto agonale si collegava : nonostante 41

l’assoluta mancanza di notizie circa il contenuto di queste opere e il loro eventuale rapporto all’interno del concorso poetico con le rapsodie vere e proprie, si può comunque osservare nell’orizzonte epico-agonale il permanere di una funzione eulogistica e propiziatoria, coerentemente con le mutate condizioni storico-politiche .

42

2.2. L’inno melico-cultuale

Al proemio, che è dunque una composizione recitata a carattere epico-agonale, nell’ambito della produzione innografica si contrappone, per sostanziali divergenze nella tecnica esecutiva e nella destinazione, l’inno melico-cultuale.

In primo luogo lo statuto lirico di questi carmi chiarisce immediatamente la loro natura di poesie cantate, accompagnate cioè dalla lira o da un altro strumento musicale all’interno di un contesto spettacolare assai ampio ; la distinzione in questo ambito tra

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lirica monodica e corale, che è di origine platonica, se consente di isolare con una certa facilità il nomo dagli altri generi innografici, ripropone ancora una volta le difficoltà già

Dalle poche notizie disponibili intorno ai poeti epici ellenistici si può assistere ad una forma 41

dell’epos tradizionale in forme differenti: dall’epica mitologica, all’epica di corte all’epica storica. Per i frammenti cfr. principalmente H. Duntzer (ed.), Die Fragmente der epischen Poesie der Griechen, Köln 1842 e G. Kinkel (ed.), Epicorum Graecorum Fragmenta, Lipsiae 1877. Cfr. anche Susemihl, GGLA I 375 ss. e cfr. Pallone, Epica agonale 164 ss. Per l’ejgkwvmion ejpikovn, che attingeva molto verosimilmente alla diffusa pratica dell’encomio in prosa (per cui vd. l’appendice al n. 3 di questa raccolta), cfr. IG VII 418-9. Cfr. anche O. Crusius, RE V 2 (1905), s.v. encomion, 2581 ss. e I. Viljama, Studies in Greek Encomiastic Poetry, Helsinki 1968, 7 ss. Per l’epopea in età ellenistica cfr. anche Hainsworth 1991 e vedi ingenerale S. Koster, Antike Epostheorien, Wiesbaden 1970.

Cfr. Pallone, Epica agonale 163 ss. Un esempio di encomio epico, piegato alle nuove esigenze 42

culturali dell’ellenismo può essere rappresentato dall’idillio XVII di Teocrito, il componimento encomiastico scritto per Tolemeo Filadelfo in esametri. Cfr. in proposito Fraser, Ptol. Alex. I 666; W. Meincke, Untersuchungen zu den enkomiastiken Gedichten Theokrits. Ein Beitrag zum Verständnis hellenistischer Dichtung und des antiken Herrscherenkomions, Kiel 1966, 85-215; Gow, Theocritus II 326; M.A. Rossi (ed.), Theochritus’Idyll XVII. A stylistic commentary, Amsterdam 1989, XX ss. e M.A. Levi, L’Idillio XVII di Teocrito e il governo dei primi Tolemei, «RIL» 109 (1975) 202 ss. Cfr. anche i nn. 31, 40 e 44 di questa raccolta.

Il termine lurikov" in questa accezione venne utilizzato per la prima volta dai grammatici 43

alessandrini, che lo preferivano al più generico melopoiov", impiegato invece da Aristofane, Ran. 1250. Per il canone dei nove lirici, per cui cfr. le note precdenti. Cfr. anche in proposito L. Radermacher, Aristophanes’Frösche, Wien 1954, 7 ss.; E. Staiger, Grundbegriffe der Poetik, Zürich 1946; Färber, cit.; sull’uso degli strumenti in relazione ai differenti generi cfr. anche C. Sachs, Die Musik der Antike, Postdam 1928; id., Handbuch der Musikinstrumentenkunde, Leipzig 1932 2; H. Huchenmeyer, Aulos und Kithara, Münster 1931; J.W. Schottländer, Die Kithara, Berlin 1933 e H. Pöhlmann, Denkmäler altgriechischer Musik, Frankfurt am Main 1970 e relativa bibliografia.

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incontrate in un tentativo più ampio di classificazione . Il termine inno verrà dunque 44

qui utilizzato prevalentemente nella sua accezione omnicomprensiva, pur risultando chiaro che nell’ambito lirico sussistono delle differenze di esecuzione considerevoli non solo tra genere e genere, ma spesso tra componimenti dello stesso tipo.

Se infatti per molti carmi lirici, definibili inni a diverso titolo (ditirambi, peani, iporchemi, ecc.) è possibile ricavare dall’evidenza interna dei carmi stessi notizie sulla loro performance corale, non si può escludere tuttavia un’esecuzione affidata a due semicori oppure risultante dall’alternanza di canto di un personaggio e del coro stesso; è del resto possibile che talora il carme, pur apparentemente destinato ad un coro, venisse materialmente affidato ad un solista . Per questo motivo dunque l’esecuzione corale,

45

data anche la varietà dei generi innografici in termini anche metrico-musicali, non può essere indicata come una caratteristica univocamente certa dell’inno melico, e anche là dove rilievi di ordine interno o esterno al carme stesso sembrano indicarla, può nella materiale prassi presentarsi in forme diversificate .

46

Un dato abbastanza certo, tuttavia, è che questi inni erano composti dal poeta per una celebrazione pubblica e cittadina degli dei, inserendosi dunque all’interno di una precisa realtà cultuale : è dunque questo rapporto immanente con la realtà, cioè con le

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esigenze concretamente poste dalla cerimonia, che lo vincolava ad un determinato

Cfr. Plat., Leg. VI 764D-E. Cfr. anche Privitera, Storia del ditirambo 141 ss. Per il carattere 44

monodico del nomo cfr. in generale Gostoli, Citarodia greca 95 ss. È comunque chiaro che il nomo innodico rappresenta solo un filone all’interno della poesia citarodica, che si era ampiamente sviluppata anche in altre direzioni, da argomenti di contenuto epico a carmi a carattere erotico. Cfr. in merito Pavese, Tradizioni e generi poetici 230-5 e Gentili, Poesia e pubblico 19; 138; 164 ss. Per le difficoltà di distinguere i differenti generi letterari sulla base della loro esecuzione corale, si può considerare l’importante funzione della processione, che è elemento che si riscontra in componimenti dalle caratteristiche distinte: prosodi, itifalli, peani e ditirambi. Cfr. per tutto il problema Grandolini, Canto processionale 126 e G.A. Privitera, Il ditirambo da canto cultuale a spettacolo musicale, in C. Calame, Rito e poesia corale in Grecia. Guida storica e critica, Roma-Bari 1977, 28 ss. Per il ditirambo processionale cfr. Pindaro fr. 75 Sn.-M. e in proposito G.A. Privitera, Saffo, Anacreonte, Pindaro, «QUCC» NS 13 (1972) 137 ss.; cfr. anche il n. 14 di questa raccolta. Per i peani prosodiaci cfr. HHom. III 516-9; Pindaro frr. 52B e D Sn.-M. e Calame, cit. 77 ss. e 147 ss.; cfr. anche ad es. il n. 46 di questa raccolta. Per gli itifalli prosodiaci cfr. i nn. 7 e 10 di questa raccolta.

Bernardini, cit. 92. Per i peani di Pindaro cfr. Paean. II 97-101; VI 8-9; IX 34-7; per i ditirambi 45

Dith. III 7-8; 16-17 e IV 1; per gli iporchemi frr. 107A, 3 e 112 Sn.-M.; cfr. in proposito Lehnus, Inno a Pan 76 ss. Cfr. anche in merito ai ditirambi bacchilidei Dith. XVII; Calame, cit. 147 e Käppel, Paian 156 ss. In proposito il ditirambo XVIII di Bacchilide si presenta come dialogo tra il coro e Egeo. Un’esecuzione solistica avevano molto verosimilmente alcuni dei threnoi pindarici. Cfr. in proposito M. Cannatà Fera (ed.), Pindarus. Threnorum Fragmenta, Romae 1990, 36-9 e 124; cfr. anche Pind. Iporch. frr. 3A, 2-4 e 3B, 6-8 Sn.-M. Per la diatriba intorno all’esecuzione dell’epinicio, se cioè si tratti di un componimento a carattere monodico o viceversa corale, cfr. Gentili, Lirica greca 20 ss.; Carey, Burnett, Davies e Lefkowitz, citt. e cfr. le note precedenti.

Cfr. in proposito G.A. Privitera (ed.), Pindaro. Le Istmiche, Milano 1982, 142-3 e 146; Smyth, GLP 46

XXX. In favore di un’esecuzione corale nella maggior parte dei casi e Carey, cit. 562, 44, sulla base di Imerio, Or. 39, 1, p. 159 Colonna. Sulla varietà del ditirambo cfr. invece E. Suárez De La Torre, Expérience orgiastique et composition poétique: le Dithyrambe II de Pindare (fr. 70 Sn.-M.), «Kernos» 5 (1992) 191. Per le differenti sistuazioni ritmico-musicali del peana cfr. il par. 1.2.

Cfr. Bernardini, cit. 86 ss. Cfr. Grandolini, Canto processionale: “È a tutti noto che la lirica corale 47

costituisca una parte integrante del culto, essendo il mezzo con cui la comunità si mette in contatto con la divinità o per invocarne la protezione o per ringraziarla della benevolenza ad essa accordata”. Cfr. anche Snell, Inno a Zeus 180 ss.

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programma compositivo, e dunque alla scelta di una particolare forma innografica, e di una specifica prassi esecutiva. La ricostruzione del rapporto tra l’occasione e il ‘carme in onore degli dei’, alla luce anche del mutare delle condizioni storico-culturali, è dunque l’operazione che consente di seguirne l’evoluzione delle forme e delle strutture anche in età ellenistica .

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3. INNO E RITUALE IN ETA’ELLENISTICA: OCCASIONE E FINZIONE LETTARARIA

3.1. L’inno melico-cultuale: elementi tradizionali ed elementi innovativi

L’inno melico-cultuale appare ben documentato nella varietà delle sue forme (inno, peana, prosodio, ecc.) e secondo le modalità sopra descritte anche in età ellenistica ; da

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un punto di vista formale (lingua, metro, struttura) si può osservare accanto al permanere del patrimonio poetico tradizionale , una tendenza a sincretizzare forme

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epiche e liriche, dettata spesso dalle concrete esigenze del carme, dalla sua performance cioè, o dalle sue valenze ideologiche . Questa situazione non consente perciò di

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Cfr. in merito i parr. 1.1 e 1.2.48

Cfr. ad es. l’intera sezione dei carmi epigrafici (n. 62 ss.). In particolare per l’inno cfr. i nn. 62-5; 49

per il peana i nn. 66-9; per il prosodio e l’iporchema il n. 78; cfr. anche il n. 81 (Inni epidaurici) e le precedenti note.

Così Rainer, Philodamus’Paean 237, relativamente all’atteggiamento degli innografi melici del IV 50

sec. a.C.: “However, within each of these hymns there are certain elements and nuances of expression that impart to the hymn its own literary charatcter, distinct in various respects from that of another hymn. Although these elements may include a reworking of essentialy hymnic features, it is evident a common literary practise. There is apparently intentional effort on the part of these poets to make use of various literary antecedents in the compositions of their hymns”. Cfr. anche Fairbanks, Greek Paean 48.

Cfr. Adami, De poetis scaenicis 259-61 e Keyssner, cit. Cfr. anche Wilamowitz, GV 402. Vd. in 51

proposito alla situazione dell’inno cultuale nel IV sec. a.C., come esemplare della produzione di questo genere in età ellenistica anche Rainer, Philodamus’Paean 234: “…it is difficult to make distinctions between lyrical and hymnic practices, and, sometimes, hazardous to do more than note similarities…[.]. A second consideration…is that there is a tendency to attribute both the content and style of a given hymn to that common and unknow source from which both hymnic and lyric writers may have drawn”. Per la varietà da un punto di vista metrico e linguistico del peana anche in età ellenistica cfr. il par. 1.2. e relativa bibliografia. Per la compresenza di elementi linguistici e poetici differenti all’interno del medesiumo carme cfr. ad es. il n. 64 di questa raccolta. L’opinione del resto, riconducibile a Norden, Agnostos Theos 168 ss. e Wünsch, Hymnos 140 ss., secondo cui i componimenti innografici di questo periodo presenterebbero sempre la quadruplice partizione proposta da Adami, cit., se risulta vera in alcuni casi (cfr. ad es. il n. 69) è difficilmente visibile in altri (cfr. il n. 62), e d’altro canto appare troppo generica per abbracciare l’intera casistica osservata. Cfr. in merito le note precedenti. W.H. Race, Aspects of Rhethoric and Form in Greek Hymns, «GRBS» 23 (1982) 5 ss., osserva come le categorie individuate da Adami e poi riprese da Keyssner, citt. si possano considerare proprie di tutto il corpus degli inni greci (in senso omnicomprensivo), sia in versi che in prosa e siano riassumibilisostanzialmente in tre momenti: 1) l’ajrch;, cioè l’invocazione dela divinità, che può essere eseguita sia in seconda persona (Du-Stil), sia in terza (Er-Stil); 2) la cavri", cioè il tentativo di conquistare la benevolenza del dio; 3) e infine la preghiera finale, che si configura come richiesta. Ora tutte queste funzioni appaioni in forma e a titolo diverso in tutte le composizioni innografiche di età ellenistica, che se analizzate alla luce di questi elementi non presentano differenze rilevanti né dai proemi omerici né dagli inni cultuali di età arcaica.

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individuare, in termini normativi, una o più caratteristiche distintive dell’inno ellenistico, uniformemente validE per l’intera casistica analizzata: si può piuttosto osservare, nei casi in cui emergono analogie contestuali, riguardanti cioè le pratiche cultuali o i santuari, cui il carme viene a collegarsi, la presenza di fenomeni tendenzialmente simili.

Rilievi di questo genere sono infatti possibili per gli inni delfici del IV sec. a.C., che presentano delle forti convergenze nella distribuzione e nell’articolazione della materia, o per i peani ad Asclepio e ad Apollo ad essi coevi, nei quali la ricorrenza dei principi costitutivi è tale da supporre la volontà di creare dei componimenti rituali ‘d’uso’ impiegabili cioè in più circostanze ed in più luoghi . È sempre comunque l’occasione a

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determinare ad ogni livello le caratteristiche formali del carme, e là dove essa sembra rispondere ad un programma, o ad un insieme organico di intenti, più forti risultano le analogie anche tra componimenti formalmente appartenenti a generi differenti .

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Ma anche quando una simile situazione si viene a determinare, i singoli carmi mantengono la propria autonomia compositiva: prendendo ad esempio in considerazione i tre peani ad Apollo e Asclepio del IV sec. a.C. (Anonimo da Eritre, Isillo e Macedonico), che pure, come si è detto, sembrano rispondere ad analoghi intenti, si possono osservare divergenze spesso sensibili nel linguaggio, nel metro, nel contenuto (la genealogia di Asclepio) ed anche a livello strutturale (il refrain) . D’altra

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parte l’itifallo di Teocle per Tolemeo Filadelfo, e quello di un anonimo poeta in onore di Demetrio Poliorcete, pur rientrando, secondo la dizione delle fonti, nello stesso genere innografico (l’itifallo) e pur documentando la stessa casistica (il culto del sovrano vivente), presentano verosimilmente condizioni spettacolari differenti, che determinano ovviamente delle diversità anche nel linguaggio e nelle altre componenti poetiche .

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Per gli inni delfici cfr. i nn. 64-5 e 69; cfr. anche il n. 78. Per i peani ad Apollo e Asclepio cfr. i nn. 52

66 (sez. C), 67, 68. Cfr. anche per tutto il problema Käppel, Paian 200. Per le condizioni di trasmissione dei carmi epigrafici cfr. in particolare il n. 62 di questa raccolta e relativa bibliografia.

Vedi il caso dell’inno o peana ad Apollo di Aristonoo di Corinto, o degli inni o peani delfici, per cui 53

cfr. inn. 64 e 78 di questa raccolta.

Cfr. i nn. 66 (sez. C), 67, 68 (traduzione e note e commento). Cfr. anche Käppel, Paian 200 ss. per 54

un confronto sinottico delle caratteristiche formali e strutturali dei tre carmi.

Cfr. Athen. XI 497C e Duris FGrH 76 F 13. Cfr. i nn. 7 e 10 di questa raccolta. In particolare per 55

questo genere cfr. T.B.L. Webster, Hellenistic Poetry and Art, London 1964, 56.

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In questo ambito dunque considerevole è la contiguità tra i singoli generi, che nella concreta prassi, come accadeva nel passato, non soffrono perciò di alcun irrigidimento, piegandosi solo alle necessità dell’occasione .

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Dunque, se anche è possibile, come vedremo, isolare alcuni aspetti peculiari dell’innografia ellenistica, nel caso dell’inno melico-cultuale è ancora una volta la ricostruzione del contesto spettacolare congiuntamente ai rilievi interni al carme stesso, a fornire i principali strumenti di analisi.

3.2. L’inno mimetico: testo poetico e occasione

Accanto al permenere dell’inno melico-cultuale nelle sue tradizionali funzioni, la produzione innografica di età ellenistica vede l’affermarsi di una categoria poetica del tutto nuova ed inedita: l’inno mimetico o drammatico, il cui esempio più noto e meglio documentato è fornito da alcuni inni callimachei .

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Cfr. Gentili, La metrica dei Greci, Messina-Firenze 1952, 225 ss. Questa situazione era nota anche 56

ai commentatori antichi, che la spiegavano come incrocio fra i diversi generi. Cfr. ad es. Plat., Leg. III 700A-E e Athen. XV 696A-7B, per cui cfr. il n. 3 di questa raccolta. In realtà si tratta, come si è visto, di semplice liberta compositiva all’interno della normale prassi, secondo una consuetudine che si conserva anche durante l’ellenismo. Cfr. in proposito M. Bowra, Problems in Greek Poetry, Oxford 146; Rainer, Philodamus’Paean 235 e G.O. Hutchinson, Hellenistic Poetry, Oxford 1988, 190 ss. e vd. anche il paragrafo successivo. Cfr. Rainer, Philodamus’Paean: “I suggest thet this syncretistic tendency can be percived more clearly by ignoring genre and by surveying the major elements found in the hymns”. Cfr. anche Harvey, Classification 154 ss. Del resto questa medesima libertà compositiva è rivendicata dallo stesso Callimaco: cfr. ad es. HE 1301 ss. e Aitia, fr. 1, 27 Pf. Cfr. in proposito M.A. Harder, Untrodden paths. Where do they lead?, «HSPh» 93 (1990) 297 ss. e vedi anche in generale F. Cairns, Generic Composition in Greek and Roman Poetry, Edinburgh 1972; B. Effe (ed.), Die griechische Literatur in Text und Darstellung, IV, Stuttgart 1985; E.-R. Schwinge, Künstlichkeit von Kunst. Zur Geschichtlichkeit der alexandrinischen Poesie, München 1986; R.R. Nauta, Gattungsgeschichte als Rezeptionsgeschichte am Beispiel der Entstehung der Bukolik, «A&A» 36 (1990) 116-137.

Sul concetto di poesia mimetica cfr. W. Albert, Das mimetische Gedicht in der Antike. Geschichte 57

und Typologie von der Anfängen bis in die augusteische Zeit, Frankfurt am Main 1988, 1-26; Gentili, Poesia e pubblico 14 ss.; H.R. Jauss, Untersuchungen zur mittelalterlichen Tierdichtung, Tübingen 1959, 142-64; P. Zumthor, La lettre e la voix. De la litérature medievale, Paris 1987, 179 ss. Per Callimaco cfr. M.R. Falivene, La mimesi in Callimaco: Inni II, IV, V e VI, «QUCC» NS 65 (1990) 103 ss.; R. Pretagostini, Rito e letteratura negli ini drammatici di Callimaco, in AA.VV., L’inno tra rituale e letteratura nel mondo antico, «AION» 13 (1991) 254 ss.; F. Bornmann, Inni mimetici di Callimaco, in AA.VV., La poesia. Origine e sviluppo delle forme poetiche nella letteratura occidentale, I, Pisa 1991, 37-53 e M. Fantuzzi, Preistoria di un genere letterario: a proposito degli Inni V e Vi di Callimaco, in AA.VV., Tradizione e innovazione nella cultura greca da Omero all’età ellenistica. Scritti in onore di Bruno Gentili, Roma 1993, 927 ss. Per i singoli inni cfr. anche le introduzioni F. Williams (ed.), Callimachus. Hymn to Apollo, Oxford 1978; N. Hopkinson (ed.), Callimachus. Hymn to Demeter, Cambridge 1984; A.W. Bulloch (ed.), Callimachus. The Fifth Hymn, Cambridge 1985. Questa nozione di poesia mimetica sembra applicabile anche ad altre opere dell’ellenismo: cfr. ad es. per gli Idilli teocritei Gow, Teocritus II (comm. agli Idilli II, IV, X, XIV e XV); K.J. Dover (ed.), Theoctritus. Selected Poems, London 1971, 65 ss.; Hutchinson, cit. 170 ss.; per i Mimiambi di Eroda di Ceo cfr. in generale G. Mastromarco, Il pubblico di Eronda, Padova 1979; F.-J. Simon, Ta; kuvllΔ ajeivdein. Interpretazionen zu den Mimiamben des Herodas, Frankfurt am Main-New York-Paris 1991, 14; S. Luria, Herondas’Kampf für die veristliche Kunst, in AA.VV., Miscellanea di studi alessandrini in memoria di A. Rostagni, Torino 1963, 493 ss. e T. Gelzer, Mimus und Kunsttheorie bei Herondas. Mimiambus 4, in C. Schäublin (ed.), Catalepton, Basel 1985, 96 ss.; per l’Epitafio di Adone di Bione di Smirne cfr. M. Fantuzzi (ed.), Bionis Smyrnei Adonidis epitalamium, Liverpool 1985, 155 ss. e Albert, cit. 89-92. Per alcuni esempi di inni mimetici in questa raccolta cfr. in particolare i nn. 16 e 26.

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Si tratta cioè di carmi che mostrano un’originale inversione rispetto alla normale prassi compositiva osservata per gli inni melico-cultuali: il poema non è infatti concepito per un’esecuzione all’interno di un reale contesto rituale, ma viceversa è l’occasione ad essere inglobata, attraverso una finzione letteraria, all’interno del testo stesso . Ciò che dunque il poeta immagina è una circostanza del tutto fittizia, cioè

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mimata o meglio rappresentata in atto con vari accorgimenti nell’ambito delle strutture poetiche.

Questo impiego del procedimento mimetico, che consiste cioè nel riproporre in scrittura una performance di tipo orale, se appare da un lato tipicamente ellenistico, evidenzia dall’altro la complessità delle pratiche di composizione scritta e della comunicazione differita in questo periodo .

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Un simile procedimento appare d’altro canto più chiaramente comprensibile all’interno di un regime culturale di oralità mista, dove cioè i modelli di comunicazione orale e i meccanismi della scrittura coesistono, senza che quest’ultima abbia il completo sopravvento; tale sembra essere dunque anche la situazione ellenistica, apparendo la scrittura strumento di diffusione limitato alle classi di élite, accanto ad un’ancora persistente attività orale, testimoniata anche dalla produzione innografica, da parte di poeti itineranti e conferenzieri .

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Questa osservazione è stata resa possibile per gli inni callimachei da Ph.E. Lengrand, Problèmes 58

alexandrins I: Porquoi furent composés les Hymnes de Callimaque, «REA» 3 (1901) 281-312, il quale per primo dimostra la non coincidenza nella maggior parte degli inni callimachei tra i tempi scanditi dalla descrizione e i tempi di svolgimento reale. Cfr. anche R. Pretagostini, La poesia ellenistica, in AA.VV., Da omero agli alessandrini, Roma 1988, 296-8. Cfr. anche Albert, cit. 76 e Falivene, cit. 108.

Albert, cit. 24, definisce mimetico un comportamento nel corso del quale si verifichino uno o più 59

mutamenti di scena, che l’io narrante registra in quanto si verificano entro la sua sfera percettiva, provocando delle reazioni differenti. Questo principio (Wahrnehmungsbereich) determina all’interno delle strutture poetiche un’accelerazione di tempo (Zeittraffung) della narrazione, con una concentrazione degli eventi maggiore di quella prevista da una rappresentazione reale del testo. A ciò si aggiunge la qualità dei fatti narrati, che non devono essere descritti come già trascorsi (etwas rein zuständliches), ma come in corso. Si tratta cioè di un procedimento che presume una certa confidenza con i meccanismi della scrittura, e perciò in questa forma estraneo alla produzione poetica pre-ellenistica. Ciò però non esclude, come osserva Falivene, cit. 107, che la poesia lirica arcaica, dove la drammatizzaione dell’evento narrato è presente a vari livelli, non sia mimetica. Si tratta però di una mimeticità differente in quanto anche qualora un testo di questo genere imiti un’azione, prefiguri cioè in vista di una performance differita l’occasione del canto, “la sua finalità privelegiata è comunque quella di essere messo in atto, eseguito nell’occasione cui si fa riferimento al suo interno. [.] Il poeta greco arcaico, anche quando non sia fisicamente presente, è comunque interno al sistema culturale entro cui l’atto di parola di cui è autore ha senso: poeta, maestro del coro, laudandus, uditorio, hanno un universo di valori in comune”. Cfr. anche in proposito B. Gentili, Anacreonte, Roma 1958, XV ss. e 215 ss.; id., Die pragmatische Aspekte der archaischen griechischen Dichtung, «A&A» 36 (1990) 4 ss. D’altro canto neppure la comunicazione differita, è in termini generali estranea a situazioni di oralità; cfr. in proposito W. Mullen, Choreia. Pindar and Dance, Princeton 1982, 9-10 e Zumthor, cit.

In genere sulle società a oralità mista cfr. Zumthor, cit. 243, ed in genere per le condizioni della 60

comunicazione in età ellenistica cfr. G. Cavallo, Alfabetismo e circolazione del libro, in M. Vegetti (ed.), Oralità, scrittura, spettacolo, Torino 1983, 166 ss. Cfr. anche Falivene, cit. 105. Cfr. anche B. Gentili, Poesia e comunicazione nell’età ellenistica, in AA.VV., Studi in onore di Aristide Colonna, Perugia 1982, 123-130; G. Serrao, La cultura ellenistica. Letteratura, in AA.VV., Storia e civiltà dei Greci, V, Milano 1977, 169 ss. Per le figure dei poeti erranti cfr. H. Hardie, Statius and the Silvae. Poets, Patrons and Epideixis in the Graeco-Roman World, Liverpool 1983, 15 ss. e Guarducci, Poeti vaganti 291. Cfr. ad es. anche il n. 64 di questa raccolta e il cap. 5.

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È d’altro canto naturale che il fruitore di un componimento di questo tipo non è più l’intera comunità legata alle pratiche cultuali di una polis o di un santuario, ma un numero limitato di lettori, o un selezionato uditorio gravitante intorno alla corte, che si inscrive nello stesso orizzonte culturale del poeta e ne condivide coscientemente le raffinate pratiche letterarie . È possibile però che un testo dalle valenze così complesse

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potesse agire in modi differenti su un pubblico più diversificato negli interessi, cioè sollecitato ora dai contenuti ideologici e spettacolari del carme ora invece da quelli più prettamente letterari ed eruditi. . Una situazione di questo genere sembra del resto

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giustificare da una parte la possibilità di una forma di esecuzione (recitatata o sceneggiata) del testo per renderlo più comprensibile ad un pubblico di acoltatori, dall’altra il suo coinvolgimento in un meccanismo di diffusione scritta : l’incrocio tra

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oralità e scrittura viene dunque ad interessare sia gli elementi compositivi del testo sia la sua divulgazione nell’ambito della comunicazione letteraria .

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Cfr. Pretagostini, Inni drammatici di Callimaco 253. Cfr.Zumthor, cit. 8 e Falivene, cit. 105 i. Per 61

gli aspetti culturali e letterari della corte in età ellenistica cfr. G. Weber, Dichtung und höfische Gesellschaft. Die rezeption von Zeitgeschichte am Hof der ersten drei Ptolemäer, Stuttgart 1993, 122 ss. e 165 ss.; L. Könen, Die Adaptation ägyptischer Königsideologie am Ptolemäerhof, in E. Van’t Dack (ed.), Egypt und the Hellenistic World, Löwen 1983, 79-86; J.J. Clauss, Lies and Allusions. The Adressee and date of Callimachus’Hymn to Zeus, «ClAnt» 5 (1986) 155-70. Molto espliciti i commentatori sulla composizione del pubblico di corte: cfr. ad es. R. Muth, Poeta ludens. Zu einem Prinzip der alexandrinisch-hellenistischen und der römischen-neoterischen Dichtung, in AA.VV., Serta philologica Aenipontana, II, Innsbruck 1972, 81: “…nur den gebildeten literarischen Geniessern zugänglich”; G. Lohse, Der Aitienprolog des Kallimachos als Reproduktion der Wirklichkeit, «A&A» 19 (1973) 20: “…elitäre Isoliertheit der Mitglieder des Museions”; G. Zanker, Realism in Alexandrian Poetry. A literature and its audience, London-Sidney-Wolfeboro (New Hamp.) 1987, 191: “…the savants of the Alexandrian court for whom these poems were meant…”; cfr. anche C.A. Trypanis, The Alexandrian age. Alexiandrian literature with special reference to Alexandrian poetry, in B. Barr-Sharar-E.N. Borza (edd.), Macedonia and Greece in late Classical and early Hellenistic times, Whashington 1982, 54 e S. Goodhill, The poets’voice. Essays on poetics and Greek literature, Cambridge 1991, 223.

Cfr. Weber, cit. 128. Cfr. in particolare C. Meillier, Les poètes hellenistiques et la société, «IL» 22 62

(1970) 177, per cui la poesia di corte in età ellenistica si configura ad un duplice livello: “au niveau de la simple produxction littéraire, quel que soit le public auquel elles sont aressés, au niveau de la réflexion critique, qui intéresse les seul connaiseurs”. Cfr. anche H. Herter, RE S XIII (1973), s.v. Kallimachos 245: “Dass Kallimachos nicht nur für den Leser, sondern zunächst für den Hörer gedichtet hat, zeigt sich in dem Wohlklang seiner Verse”; e cfr. anche G. Serrao, La genesi del poeta doctus e le aspirazioni realistiche nella poetica del primo ellenismo, in AA.VV., Studi in onore di Athos Ardizzoni, Roma 1978, 914; Hutchinson, cit. 6 ss.; Rösler, cit. 118. Del resto questa duplicità di aspetti sembra emergere anche dall’inno a Demetra di Filico di Corcira, dove la ricostruzione delle diverse fasi del culto della dea ad Eleusi, Alimunte e forse Alessandria, è preceduta dell’apostrofe del tutto erudita ai grammatikoiv. Cfr. in proposito K. Latte, Der Demeterhymnos des Philikos, «MH» 11 (1954) 11 e il n. 17 di questa raccolta. Per la lettura dell’Inno a Pan di Arato, che poteva molto verosimilmente rispondere a queste caratteristiche, al cospetto di Antigono Gonata cfr. il n. 59 di questa raccolta.

Cfr. Weber, cit. 129: “Der Vorgang des Sehens bringt weitere Verstehenshilfen mit sich, die heute 63

nur noch vermutet werden können: Mimik, Gestik, Effekte, verschiedene Personen waren ideale Mittel zur Unterstützung von Aussagen des Textes und konstituirten ein komplexes Gefüge von Wort und Bild”. Cfr. anche Hopkinsons, cit. 147 ss. e S. Goodhill, Reading, Performance, Criticism, «G&R» 36 (1989) 172 ss. Cfr. anche Rösler, cit. 118 e per l’efficacia anche di stratagemmi scenici modesti cfr. Mastromarco, cit. 10 ss.

Cfr. Falivene, cit. 104. Cfr. anche Zanker, cit. 145 ss. e J.R. Stern, On literary Realism, London-64

Boston 1973, 50 ss. e 143 ss.; vd. anche A. Assmann, Die Legitimität der Fiktion. Ein Beitrag zur Geschichte der literarischen Kommunikation, München 1980, 14 ss. Cfr. anche Meillier, cit. 1969.

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In questa situazione il poeta può tentare esperimenti di varia natura, operando secondo i vari livelli della lingua e della struttura poetica: dall’imitazione di una performance rapsodica, con le convenzioni tipiche della tradizione epico-proemiale, alla riproduzione di un contesto corale e di forme proprie della lirica, facendo ricorso a vere e proprie innovazioni, ad esempio nell’uso di un particolare metro o dialetto .

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La complessità di questa situazione, dove i modi dell’imitazione si intrecciano con la ripresa e la rielaborazione della tradizione poetica, in un sistema di comunicazione e ricezione estremamente articolato, aiuta a fare luce sulla natura di questi componimenti, che non sono dunque da considerarsi espressione di una poesia letteraria, tipicamente ellenistica, contrapposta ad una poesia cultuale, che pure è presente nelle sue forme consuete nella produzione innografica di questo periodo. Se infatti il carattere cultuale di un componimento dipende dal suo legame con un’occasione di rito, indipendentemente dalla sua sfera di pertinenza ad una dimensione reale o fittizia, allora anche un componimento di questo genere, pur anche solo sul piano narrativo e della verosimiglianza interna, è da ritenersi cultuale ; e il fatto che carmi di questo tipo

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traducano in letteratura un intenso lavoro critico-filologico, che costituisce senza dubbio un versante importante della cultura ellenistica, non esclude, come vedremo, un loro consapevole rapporto con la attualità storica e con le sue esplicite esigenze .

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4. INNO E PROPAGANDA: FUNZIONI LETTERARIE E FUNZIONI IDEOLOGICHE

La produzione innografica mostra dunque in età ellenistica una realtà poetica articolata, dove accanto al permanere di forme e di contesti tradizionali, si segnalano espressioni del tutto nuove, coerentemente alla mutate condizioni della comunicazione e della ricezione letteraria. Constatata dunque l’impossibilità di un intervento normativo su un materiale così articolato e l’inapplicabilità di una netta distinzione tra poesia letteraria e cultuale, è la contestualizzazione all’interno delle risultanze culturali e

Cfr. Falivene, cit. 127. Per l’imitazione epico-proemiale cfr. ad es. Call. Hy. IV (a Delo), per cui cfr. 65

W.H. Mineur (ed.), Callimachus. Hymn to Delos, Leiden 1984, 5: “From a formal point of view , the hymn…appears to be quite in accordance with the tradition of the Homeric prooimion”. In particolare sull’emulazione di Omero da parte di Callimaco cfr. in particolare M. Fantuzzi, Ricerche su Apollonio Rodio. Diacronie della dizione epica, Roma 1988, 19 ss. Per la riproduzione di una situazione corale e più genericamente di un contesto rituale cfr. Call. Hy. II (ad Apollo), V (per i lavacri di Pallade) e VI (a Demetra), dove è visibile, con l’uso del distico elegiaco, un tentativo di recupero del folclore argolico (Fantuzzi). Cfr. in proposito anche i nn. 16 e 26 di questa raccolta. Il discorso potrebbe valere anche per la riproduzione delle forme e della lingua dell’aretalogia nei modi della poesia colta, per cui cfr. il n. 24 di questa raccolta. Questa avrebbero potuto essere le caratteristiche formali dei perduti carmi innografici di Arato di Soli, per cui cfr. i nn. 54-9 di questa raccolta.

Cfr. C.G. Brown, Honouring the Goddess: Philicus’Hymn to Demeter, «Aegyptus» 70 (1990) 175 66

ss.: “The distinction between cult-poetry and literary-poetry is itself problematic, for the relationship between them is often very close. [.]; Sappho’s poetry seems to be cultic in the sense that it was composed for performance in a thiasos, but it is literary as well in that it displays a hig degree of literary artistry. We consider a poem concerned with the details of ritual as cultic…”. Cfr. anche ad es. W. Horn, Gebet und Gebetsparosie in den Komödien des Aristophanes, Innsbruck 1970; Gentili, Poesia e pubblico 285-95; Calame, cit. 367 ss.; 427 ss.

Falivene, cit. 128; Zanker, cit. 66-94.67

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religiose dell’ellenismo che consente la possibilità di illuminare alcuni aspetti peculiari di questo genere; alla luce infatti dell’attualità storica le funzioni letterarie e ideologiche dell’inno si chiarificano e si compenetrano a vicenda .

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4.1. I santuari: fervore religioso e propaganda.

In età ellenistica all’interno dei santuari è documentata una consistente produzione innografica-cultuale con una significativa rilevanza per i maggiori centri religiosi: Delo, Epidauro e Delfi .

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Da un’analisi congiunta di questi carmi, là dove la presenza di forti analogie contestuali lo consente, emergono due fattori di decisivo interesse, brevemente accennati in precedenza: da una parte il permanere delle funzioni letterarie e spettacolari peculiari del tradizionale inno-melico, dall’altro la comparsa di fenomeni significativi e ricorrenti, che sembrerebbero indicare una convergenza intorno a temi propagandistici legati all’attualità storico-politica .

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Ciò riguarda particolarmente il santuario di Delfi, che può dunque considerarsi un caso esemplare: alla ricchezza della documentazione disponibile, si aggiunge infatti la sua peculiare importanza religiosa, legata all’intensa attività oracolare che sin dalla sua fondazione accompagna le principali vicende politiche dell’intero mondo greco .

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In generale per i caratteri della religione ellenistica cfr. W. Schubart, Die religiöse Haltung des 68

frühen Hellenismus, Leipzig 1937; Nilsson, GGR II 3 61 ss.; C. Meiller, Callimaque et son temps. Recherches sur et le condition d’un écrivain à l’époque des premiers lagides, Lilles 1979, 243 ss., H.-J. Gehrke, Geschichte des Hellenismus, München 1990, 75-82 e 185-92 e cfr. L.H. Martin, Hellenistic Religions, New York-Oxford 1987. Vd. anche Fraser, Ptol. Alex. I 189-97; 784 ss. e H. Staehlin, Die Religion des Kallimachos, Zürich 1934..

Cfr. per Delo i nn. 76-7 di questa raccolta e per il ruolo del santuario di Apollo vd. H. Gallet de 69

Santerre, Délos primitive et archaïque, Paris 1958; W. Sale, The Hyporborean Maidens on Delos, «HThR» 54 (1961) 75 ss.; R. Kassel, Dialoge mit Statuen, «ZPE» 51 (1983) 1-12= Kleine Schriften, Berlin-New York 1991, 140 ss. Cfr. anche per il culto di Serapide il n. 70 di questa raccolta. Per Epidauro cfr. invece i nn. 67 e 81 di questa racolta con relativa bibliografia; cfr. anche A. Buford, The Greek Temple Builders at Epidauros, Liverpool 1969 e U. Hausmann, Kunst und Heiltum. Untersuchungen zu den griechischen Asklepiosrelifs, Postdam 1948. Cfr. per Eritre il n. 66 di questa raccolta e Guarducci, Poeti vaganti 629 ss. Ampie le testimonianze per Delfi, per cui cfr. i nn. 64-5, 69, 78 di questa raccolta. Per l’attività oracolare e il centro di culto cfr. il n. 64 con relativa bibliografia e cfr. P. Amandry, La mantique apollinienne à Delphes, Paris 1950; M. Delcourt, L’oracle de Delphes, Paris 1955; G. Roux, Delphi, Orakel und Kultstätten, München 1971; H.W. Parke-E.W. Wormell, The Delphic Oracle, Oxford 1956 e M.P. Nilsson, Das delphische Orakel in der neuesten Literatur, «Historia» 7 (1958) 237 ss.

Cfr. il par. 2.2 e Rainer, Philodamus’Paean 267.70

Cfr. Defradas, Propagande Delphique 284: “L’influence de Delphes, que nous avons pu déceler 71

dans tant de domains si divers, ne peut être que le résultat d’une propagande systématique, l’effet d’une volonté déterminée. Dans la mythologie et l’historie, dans la législation politique et religieuse, dans le sistème juridiques et moraux, les anciens attribuaint au dieu de Delphes innombrables initiatives”; dunque (286), il “prestige incomparaible du sanctuaire oraculaire” è ”d’être apolliniene”. Cfr. anche Rainer, Philodamus’Paean 178 ss. Per l’oracolo di Delfi cfr. anche J. Pollard, Delphica, «ABSA» 55 (1960) 195-9; G. Busolt-E. Swoboda, Griechische Staatskunde, München 1920-6, 1292-1320. Per il ruolo dell’oracolo nella colonbizzazione cfr. ad es. W.G. Forrest, Colonisation and the Rise of Delphi, «Historia» 6 (1957) 160 ss.; L. Piccirilli, Aspetti storico-giuridici dell’anfizionia delfica e i suoi rapporti con la colonizzazione, «ASNP» 2 (1972) 35-61 e M. Lombardo, La concezione degli antichi sul ruolo degli oracoli nella colonizzazione greca, ibid. 63 ss. Per i rapporti politici con l’Anfizionia cfr. G. Roux, Les prytanes de Delphes, «BCH» 94 (1970) 117 ss.

�292

Analizzando alla luce di questo criterio i peani e gli inni delfici del IV sec. a.C., si possono rilevare elementi strutturali comuni nell’elaborazione formale (stile, qualità epico-lirica della lingua) e nella distribuzione e nell’organizzazione del materiale .

72

All’interno di una precisa configurazione mitico-letteraria del carme viene ad innestarsi il messaggio della propaganda: attraverso una significativa associazione tra le altre divinità del santuario, tradizionali o di recente acquisizione, e il dio oracolare in una fedele ricostruzione della topografia del sacrario , i componimenti fanno convergere

73

l’attenzione su un esigenza di fondamentale importanza: la necessità di completare il tempio di Apollo, impresa alla quale tutti gli Anfizioni e i frequentatori dell’oracolo sono materialmente chiamati a contribuire . L’esecuzione degli inni all’interno di una

74

precisa ricorrenza cultuale contribuisce a dare voce, poi, attraverso un forte impatto spettacolare a questa richiesta, che, pur nella sua apparente pragmaticità, intende riaffermare il ruolo panellenico di Delfi e del suo santuario.

Questa medesima situazione permane anche nei secoli successivi, nei quali l’innografia delfica si piega al rinnovato quadro storico-politico, celebrando l’ormai consolidato potere romano senza per altro rinunciare alla propria centralità religiosa, come testimoniano i peani di Limenio e dell’anonimo poeta ateniese del II sec. a.C. .

75

È naturale che questa connotazione in senso ideologico del carme, che pure non pregiudica le sue tradizionali valenze religiose , incida anche sulla veste strutturale del

76

carme, e sulle sue funzioni prettamente letterarie. In concomitanza con le finalità pratiche si assiste cioè in termini generali ad una formalizzazione degli elementi

Cfr. il par. 2.2. e cfr. i nn. 64-5, 67 di questa raccolta con relativo commento. Per un’ampia 72

discussione cfr. anche Rainer, Philodamus’Paean 233, il quale comprende nella discussione anche il peana di Isillo di Epidauro (67) e quello di Macedonico di Anfipoli (68).

Cfr. ad es. il n. 64 di questa raccolta e G. Daux, Le poète Aristonoos de Chorinthe, «RPh» 71-3 73

(1945-7) 5-10. Cfr. anche il n. 69 di questa raccolta e Rainer, Philodamus’Paean 178 ss.

Cfr. Rainer, Philodamus’Paean 176 e G. Roux, Les comptes du IV e siècle et la riconstruction du 74

temple d’Apollon à Delphes, «RA» NS 2 (1966) 245-96. Cfr. anche Käppel, Paian 256; F. Courby, FdD II 1: La terrasse du temple, Paris 1915, 1-91; 112-7; E. Bourguet, FdD III 5. Les comptes du IV e siècle, Paris 1932; J. Bousquet, Les comptes du quatrième et du trosième siècle, Paris 1989; J. Bousquet, Ètudes Delphiques, «BCH» S 4 (1977) 91 ss.; Roux, Delphi 103 ss.; A. Stewart, Dionysos at Delphi. The Pediments of the Sixth Temple of Apollo and Religious Reform in the Age of Alexander, in Bar-Sharrar-Borza, cit. 205 ss. e E. Bourguet, L’Administration financière du Sanctuaire Pythique au IV e siècle avant J.-C., Paris 1905.

Cfr. in proposito il n. 78 di questa raccolta. Interessante è anche la presenza a diverso titolo nel 75

santuario dei techniti dionisiaci, per i quali cfr. anche i nn. 79-80 di questa raccolta. Cfr. anche più in generale G. Daux, Delphes au II eet au I ersiècles, Paris 1936.

Cfr. in generale su questo problema A.B. Cook, Zeus. A Study in Ancient Religion, II, Cambridge 76

1925, 231 ss.; J. Harrison, Prolegomena to the Study of Greek Religion, London 1921 3, 560; E. Rhode, Psyche 288; Farnell, Cultes V 206; Nilsson, GGR I 626. Così Käppel, Paian 211, ad esempio relativamente al peana di Filodamo di Scarfea a Dioniso: “die verbale Wendung an den Gott (Gedicht) wird durch ein Opfer begleitet”. Cfr. anche il n. 69 di questa raccolta. Per tutta la questione relativa al culto di Asclepio cfr. anche i nn. 66-8 e 81 di questa raccolta e relativa bibliografia.

�293

costitutivi del componimento ; l’inno cioè, pur conservando le sue valenze di ‘carme 77

agli dei’, diventa uno degli strumenti poetici per la propaganda politico-religiosa di età ellenistica, che di esso si serve appunto per diffondere e legittimare i propri messaggi .

78

4.2. L’inno e il culto dinastico: da carme agli dei a carme al sovrano divinizzato

Uno degli aspetti storico-sociali peculiari dell’età dei diadochi ed in genere dei regni ellenistici è rappresentato dal culto del sovrano e dalle manifestazioni propagandistiche ad esso collegate .

79

Käppel, Paian 284: “Literatur und Kunst scheinen demselben Programm zu dienen…Sie werden 77

somit pragmatische Mittel im Dienste konkreter Religionspolitik”. Cioè più in particolare la funzionalizzazione degli elementi formali dell’inno consente di accogliere delle finalità di carattere pratico (pragmatische Leistung); in questo modo l’inno si appropria della sua forma per favorire della finalità non letterarie, agendo da tramite poetico (ästhetisches Mittel).

Questo può essere considerato senza alcun dubbio un elemento innovativo, come riconosce Rainer, 78

Philodamus’Paean 143, in relazione al peana di Filodamo di Scarfea a Dioniso (69): “…the paean’s having been commissioned for the Delphic cult, and having been actually presented at the major cult-site of Pythian Apollo is unusual”. Cfr. anche Käppel, Paian 278 ss.

Ampia la bibliografia sull’argomento. Cfr. ad es. W. Schubart, Das Königsbild des Hellenismus, 79

«Antike» 13 (1937) 272 ss.; P. Veyne, Le pain et le cirque. Sociologie historique d’un pluralism politique, Paris 1976, 581 ss.; S.R.F. Price, Gods and Emperors. Greek language of the Roman Imperial Cult, «JHS» 104 (1984) 79 ss.; Habicht, Gottmeschentum 121, 47. Cfr. anche più in generale Ch. Habicht, Die herrschende Gesellschaft in den Hellenistischen Monarchie, «VSWG» 45 (1958) 1 ss.; E.S. Gruen, The Coronation of the Diadochoi, in J.W. Eadie-J. Ober (edd.), The Craft of the Ancient Historian. Essays in honour of C.G. Starr, New York 1985, 253 ss.; L. Mooren, The nature of Hellenistic Monarchy, in Van’t Dack, cit. 205 ss.; E. Olhausen, Prosographie der hellenistischen Königsgestanden, I, Löwen 1974; A. Heuss, Stadt und Herrscher des Hellenismus in ihren staats-und völkerrechtlichen Beziehungen, Leipzig 1937 e Weber, cit. 201 ss. con consistente rassegna bibliografica. Vd. anche J.R. Fears, Reallexikon für Antike und Christentum, s.v. Herrscherkult, XIV, Stuttgart 1988, 1047-93. Per propaganda si può intendere secondo il suggerimento di A.B. Lloyd, Nationalist Propaganda in Ptolemaic Egypt, «Historia» 31 (1982) 33: “a conscious attempt by a social group to impose or encourage an attitude by exploiting communications media. [.] This is not, of course, to suggest that the ancient texts were produced by a carefully directed and elaborately organised propaganda-machine comparable to those with which we are familiar, or thet their authors aimed at a such wide audience, or that they were concerned with such a sophisticated devices at the saturation principle of total propaganda…”. Cfr. anche Veyne, cit. 567 e Weber, cit. 62 ss.

�294

All’interno di questo fenomeno, ben documentabile per tutte le dinastie dei successori di Alessandro , la produzione poetico-letteraria, e segnatamente l’innografia

80

per le sue caratteristiche connotazioni, svolge un’importante funzione di mediazione e di legittimazione, che investe di nuovi significati le sue tradizionali valenze.

In età ellenistica le pratiche di divinizzazione del sovrano vivente, le cui origini culturali e religiose appaiono motivo di ampia e divergente discussione , prendono

81

avvio verosimilmente con Alessandro Magno, anche se il fenomeno è percepibile con chiarezza già in età precedente . È infatti nel decennio conclusivo del V sec. a.C. che si

82

propone con Lisandro, salutato come vincitore nelle ricorrenze battezzate dai Samî con il suo nome, un precedente di notevole interesse: in suo onore vennero istituite accanto

Cfr. per il regno seleucida S.K. Eddy, The King is dead. Studies in the Near Eastern Resistance to 80

Hellenism (334-31 B.C.), Lincoln 1961; A. Kuhrt-S. Sherwin-White (edd.), Hellenism in the East. The Interaction of Greek and non-Greek Civilisations from Syria to Central Asia after Alexandria, London 1987; Habicht, Gottmeschentum 109 e 281 ss.; E.R. Bevan, The House of Seleucos, London 1902, 400 ss.; A. Bouché-Leclerq, Histoire des Séleucides, Paris 1913-4, 114. Cfr. anche i nn. 40 (?) e 66 (sez. D) di questa raccolta. Per la casa di Macedonia cfr. in generale K. Scott, The deification of Demetrius Poliorcetes, «AJA» 49 (1928) 137 e 217 ss.; E. Cappellano, Il fattore politico negli onori tributati a Demetrio Poliorcete, Torino 1954; E. Manni, Demetrio Poliorcete, Roma 1951 e vd. anche in generale W.W. Tarn, Antigonos Gonatas, Oxford 1913. Cfr. inoltre E. Manni, Antigono Gonata e Demetrio II, «Athenaeum» 34 (1954) 249 ss. e G. Wehrli, Antigone et Démétrios, Genève 1968 Cfr. anche per Demetrio Poliorcete ed Antigono Monoftalmo i nn. 8-11 e 44 di questa raccolta; per Antigono Dosone il n. 45 e per Antigono Gonata i nn. 40 (?) e 59 di questa raccolta. Per gli Attalidi cfr. in generale E.V. Hansen, The Attalids of Pergamum, Ithaca 1971 2; cfr. anche i nn. 40 (?), 51, 60-1 (?). Molto ampia la documentazione per i Tolemei per cui vd. Weber, cit. 431 con considerevole e aggiornata bibliografia. Cfr. anche i nn. 7, 30-1 di questa raccolta. Infine per Demetrio Falereo cfr. A. Colombini, Su alcuni tratti dell’opera politica e culturale di Demetrio Falereo, in AA.VV., Miscellanea greca e romana, Roma 1965, 177-90 e E. Bayer, Demetrius Phalereus der Athener, Stuttgart-Berlin 1942; cfr. in proposito i nn. 13-4 di questa raccolta.

Da molto tempo si ritiene infatti che questo fenomeno sia un retaggio acquisito da Alessandro 81

Magno dalla tradizione religiosa egizia pre-ellenica e pre-tolemaica, e poi trasmesso ai suoi successori. È preferibile parlare con H. Hauben, Aspects du culte des souverains à l’epoque des Lagides, in L. Criscuolo-G. Geraci (edd.), Egitto e storia antica dall’Ellenismo all’età araba. Bilancio di un confronto, Bologna 1989, 451, di “parallélismes…entre les conceptions religieuses grecques et égyptiennes”; come puntualizza infatti Weber, cit. 243, 5 ss., nella concezione greca : “Einendes Elemente waren nicht Kult oder Theologie, sondern allenfalls der Bezug auf die Person des Königs”. Cfr. per tutto il problema W. Schubart, Die religiöse Haltung des frühen Hellenismus, Leipzig 1937, 15 ss.; L. Cerfaux-J. Tondriau, Un concurrent du Christianisme. Le Culte des souveraines dans la civilisation gréco-romain, Tournai 1957, 189-227; F. Taeger, Charisma. Studien zur Geschichte des antiken Herrscherkult, I, Stuttgart 1957, 169 ss.; Fraser, Ptol. Alex. I 200 ss.; Will, Histoire politique 213 ss. e F.W. Walbank, Könige als Götter. Überlegungen zum Herrscherkult von Alexander bis Augustus, «Chiron» 17 (1987) 365 ss.

Cfr. Weber, cit. 247: “Alexander der Grosse gab den unmittelbaren Ausgangpunkt…”; cfr. anche 82

Gehrke, cit. “Damit fällt aber auch die Theorie vom ‘Gottkönigtum’ als neuer Herrschaftsform bzw.-grundlage”. Cfr. anche E. Badian, The Deification of Alexander the Great, in AA.VV., Ancient Macedonian Studies in honour of C.F. Edson, Thessaloniki 1981, 27 ss. Questa opinione non è però universalmente condivisa. Vd. ad es. G. Grimm, Die Vergöttlichung Alexanders der Grossen in Ägypten und ihre Bedeutung für den ptolemäischer Königskult, in H. Maehler-V.M. Strocka (edd.), Das ptolemäische Ägypten, Mainz 1978, 111 ss.: “Es gibt kein einziges authentisches archäoligisches Zeugnis für seine (d.h. Alexanders) Verherung als Gott zu seinem Lebenzeit, es ist wahrscheinlich dass die Gottesverherung erst von den Diadochen propagierte wurde…”. Cfr. anche E.A. Fredricksmeyer, Three Notes on Alexanders’Deification, «AJAH» 4 (1979) 1 ss. e J. Seibart, Alexander der Grosse, Darmstadt 1972.

�295

ad un’agone poetico, una serie di cerimonie religiose, contrassegnate anche dall’esecuzione di un peana .

83

È però con l’età dei diadochi che questo fenomeno si precisa in tutta la sua complessità, configurandosi all’interno di una vera e proprio programma politico-religioso, in cui l’identificazione del dinasta con le tradizionali divinità olimpiche o con le nuove entità divine (Iside, Serapide) costituisce il momento più significativo dell’intero processo . Occasione privilegiata per il dispiegarsi di queste esigenze

84

politico-religiose è rappresentato dalle numerose feste, appositamente istituite o ripristinate per volontà del sovrano, alle quali la vita di corte si associava in vario modo

Per una completa analisi dell’intero episodio cfr. le differenti sezioni del n. 16 di questa raccolta. Il 83

culto riservato da una città ad un personaggio (Staatskult), rientra a pieno titolo, come osserva Weber, cit. 247, nell’ambito degli onori dinastici, la cui caratteristica peculiare è però rappresentata dall’assunzione o meglio dall’accumulazione di epiteti divini da parte del personaggio celebrato. Cfr. in proposito Grimm, cit. 103 ss.; 106 ss.; L. Koenen, Eine agonistische Inschrift aus Ägypten und frühptolemäische Königsfeste, Masenheim am Glan 1977, 29 ss. e H. Kyrieleis, Bildnisse der Ptolemäer, Berlin 1975, 148. Dunque il caso di Lisandro rientrerebbe nella distinzione proposta da Walbank, cit. 377, tra Herrscherkult (cioè culto del ‘signore’, inteso individualmente) e Dynastiekult (o culto del sovrano all’interno dell’intera politica religiosa dinastica): le due casistiche si differenzierebbero in quanto “die dynastischen Kulte von den Herrschenden selbst eingeführt wurden und mit der Zentralverwaltung des Reiches verbunden waren”, cosa che non avviene ad esempio nel culto samio di Lisandro, anche se è abbastanza difficile precisare in alcuni casi se l’onore tributato ad un personaggio sia frutto di un autonoma decisione o piuttosto della pressione esercitata dal personaggio stesso, o comunque direttamente o indirettamente dai sistemi di potere da lui instaurati. Cfr. ad es. i nn 30 e 48 di questa raccolta. Vd. anche Habicht, cit. 201 ss.; C. Préaux, Le monde hellénistique. La Grèce et l’Orient de la morte d’Alexandre à la conquete romaine de la Grèce, II, Paris 1978, 239 ss. e Hauben, cit. 452. Comunque sia, come rileva Fraser, Ptol. Alex. I 231, l’episodio di Lisandro a Samo costituisce una premessa di notevole importanza per l’irrompere del ‘dynastic cult’ in età ellenistica. Questo particolare d’altro canto indurrebbe a congetturare la presenza di elementi autonomi e tipicamente greci nello sviluppo e nell’affermazione della pratica del culto dinastico. Cfr. in merito le note precedenti.

Cfr. ad esempio la grande processione dionisiaca di Tolemeo Filadelfo, per cui cfr. Fraser, Ptol. 84

Alex. I 228; II 377, 307; E.E. Rice, The Grand Procession of Ptolemy Philadelphus, Oxford 1983; V. Foertmeyer, The Dating of the Pompe of Ptolemy II Philadelphus, «Historia» 37 (1988) 90 ss. e il n. 7 di questa raccolta. Per l’identificazione dei primi tre Tolemei con le rispettive divinità cfr. Weber, cit. 248 ss.; Preaux, cit. 240; R.A. Lusingh-Scheuerleer, Ptolemies?, in Maehler-Strocka, cit. 1-7; vedi anche H.P. Laubscher, Hellenistische Herrscher und Pan, «AM» 100 (1985) 333 ss. Cfr. in relazione a quest’ultimo anche il n. 59 di questa raccolta. Per i personaggi femminili cfr. invece Weber, cit. 251 e Hauben, cit. 198; J. Tondrieau, Princesses ptolémaique comparées ou identifiées à des déesses, «BSAA» 37 (1948) 12 ss.; id., Les souverains Lagides en déesses, au III e siècle avant J.-C., «EtPap» 7 (1948) 172 ss.; id., Notes ptolémaiques III. Les cultes maritimes royaux, «Aegyptus» 28 (1948) 178 ss.; G.H. Macurdy, Hellenistic Queens. A study of woman-power in Macedonia, Seleucid Syria and Ptolemaic Egypt, Baltimore-London-Oxford 1932; E.D. Carney, The reappareance of royal sibbling marriage in Ptolemaic Egypt, «PP» 42 (1987) 420 ss. e J. Quaegebeur, Cleopatra VII and the Cults of Ptolemaic Queens, in R.S. Bianchi (ed.), Cleopatra’s Egypt. Age of the Ptolomies, New York 1988, 41-54; cfr. anche in particolare il n. 31 di questa raccolta. Per Serapide cfr. in generale Fraser, Ptol. Alex. I 246-76; id., Two studies on the Cult of Sarapis in the Hellenistic World, «OAth» 3 (1960) 1-55 e id., Current problems concerning the early history of the Cult of Sarapis, «Oath» 7 (1967) 23-45; per il particolare significato di questo culto per la dinastia tolemaica cfr. Weber, cit. 277; Grimm, cit. 72. Cfr. anche i nn. 13 e 70 di questa raccolta. Per Iside cfr. in particolare F. Dunand, Le Culte d’Isis dans le bassin oriental de la Méditerranée, III, Leiden 1973 e il n. 75 di questa raccolta con relativa bibliografia.

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: oggetto di celebrazione, accanto alla divinità prescelta, è il dinasta regnante, 85

depositario della gloriosa memoria degli antenati, di cui si legittima l’ascendenza divina .

86

Risulta dunque evidente in un simile contesto il ruolo decisivo giocato dalla produzione innografica, che abbiamo visto fungere da tramite propagandistico all’interno della politica religiosa dei santuari già a partire dal IV sec. a.C. . Il

87

riconoscimento di una simile funzione, che può apparire elemento di comune lettura ed analisi, deve comunque misurarsi con la complessa situazione della comunicazione letteraria in età ellenistica, e con le diverse forme e i diversi contesti nei quali i singoli componimenti si presentano al destinatario del messaggio ideologico (il popolo, la corte) e lo mettono materialmente in atto. Se infatti si possono riconoscere delle

88

valenze analoghe sotto questo profilo ad esempio tra l’inno a Zeus di Callimaco e l’itifallo eseguito dagli Ateniesi in onore di Demetrio Poliorcete, è evidente che si tratta

Imponente il numero delle manifestazioni di questo tipo ad esempio nell’Egitto tolemaico; accanto 85

alla già citata processione sotto Tolemeo Filadelfo, si possono ricordare tra le ricorrenze più note, le Adonia, le Demetria-Eleusinia, le Dionisiache, le Dioscuree, le Ermee, le Isieie, le Musee, le Arsinoeie, le Tolomee, le Basilee, le Genetlie, le Soterie e le feste in onore degli Qeoi; “Adelfoi. Cfr. in proposito anche Fraser, Ptol. Alex. I 356 ss.; II 1004 ss. e J.G. Griffiths, Royal renewal rites in ancient Egypt, in P. Gignoux (ed.), La commémoration. Colloque du centenaire de la section des sciences religieuses de l’école des hautes études, Paris 1988, 35 ss. Queste occasioni si legavano alla corte secondo modalità distinte così isolate da Weber, cit. 169, nel caso dei Tolemei: “A: Feste, die vom Hof in einem panhellenischen Rahmen in der Polis Alexandreia ausgerichtet werden; B: Feste, die vom Hof aus in der Polis Alaxendreia mit dem Volk begangen werden; C: Feste, die unter Beteiltigung des Volkes innerhalb des Hofes stattfinden; D: Feste, die die gesamte Hofgesellschaft betreffen; E: Feste, die der könig mit seiner Familie und der engster Umgebung begeht”. Cfr. anche in proposito C.J. Bleeker, Egyptian Festivals. Enactments of religious renewal, Leiden 1967, 24 e vd. in generale H. von Hesberg, Temporäre Bilder oder die Grenzen der Kunst. Zur Legitimation frühhellenistischer Königsherrschaft im Fest, «JDAI» 104 (1989) 61-82.

Cfr. ad es. il n. 51 di questa raccolta e relativa bibliografia. Queste infatti le due funzioni che Weber, 86

cit. 414, riconosce tipiche dell’intero processo celebrativo: “1) Die Ausarbeitung von Vorgänger der Deifikation einzelner Dynastiemitglieder durch das Eingreifen ihren besonderen persönlichen Schutzgottheit; 2) Die Konstruktion entsprechender Genealogien der Herrscherdynastie mit dem Ziel, sie an diese Götter anzubinden, somit ihr alltägliche Herrschaft und ihnen besonderen Glanz zu verleihen”. È da sottolineare in proposito come nell’ambito degli onori divini tributati al sovrano ellenistico, e al riconoscimento della divinità delle sue origini, contribuisca in maniera determinante il culto di Eracle, eroe e semi-dio per eccellenza. Cfr. in proposito R. Vollkommer, Herakles in the Art of Classical Greece, Oxford 1988, 79 ss.; W. Derichs, Herakles. Vorbild des Herrschers in der Antike, Köln 1950 e G.K. Galinsky, The Herakles Theme. The Adaptation of the Hero in Literature from Homer to the Twentieth Century, Oxford 1972, 108-22.

Cfr. il paragrafo precedente. Per un’analisi in particolare della produzione poetica in età ellenistica 87

alla luce del culto del sovrano vivente cfr. Weber, cit. 101 ss. Cfr. anche Cairns, cit. e Nauta, cit. 116 ss. Cfr. in particolare per la poesia epica a sfondo dinastico Hainsworth 46 ss.; K. Kost, s.v. Epos, in H.H. Schmitt-E. Vogt, Kleines Wörterbuch des Hellenismus, II, München 1967-9, 188 ss.

Talvolta il carme appare celebrato per una specifica occorrenza, come differenziati, abbiamo visto 88

in precedenza, sono i rapporti tra la corte, il sovrano e le ricorrenza festiva. Cfr. ad es. i nn. 54 e 56 di questa raccolta e le note precedenti.

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di due componimenti di natura estremamente differente, dotati di rilevanze letterarie (stile, lingua, metro e struttura) e cultuali ed in genere esecutive assai diverse .

89

Si possono comunque osservare, pur, come si è detto, nella diversificata realtà della produzione innografica, dei motivi ricorrenti, quale consapevole contributo del poeta al programma politico-religioso del dinasta: accanto al ricorso ad una precisa simbologia legata al sovrano, concernente i vari aspetti della sua persona (aspetto fisico, carattere, propensioni), si affianca un sapiente uso del patrimonio mitologico, che viene piegato alle finalità celebrative del componimento .

90

Tuttavia mentre questa funzione assunta dal genere innografico appare coerente col mutato panorama storico-culturale dell’ellenismo, corrispondente alle esigenze di legittimazione politica religiosa dei dinasti , il processo letterario ed ideologico che

91

portò l’inno ad assumere queste nuove valenze fu motivo di resistenze e di forti perplessità tra gli antichi, come testimonia la polemica intorno alla natura dell’inno alla Virtù di Aristotele risalente al callimacheo Ermippo . Se infatti è elemento ampiamente

92

tradizionale levare un canto in memoria di un defunto, anche per celebrarne le gesta eroiche , il canto di divinizzazione del sovrano vivente è un fenomeno prettamente

93

ellenistico, che imprime caratteristiche e connotazioni del tutto inedite alla produzione innografica.

Per l’inno a Zeus cfr. G.R. McLennann, Callimachus. Hymn to Zeus. Introduction and 89

Commentary, Rom 1977 e N. Hopkinson, Callimachus Hymn to Zeus, «CQ» 34 (1984) 139 ss. Per Demetrio Poliorcete cfr. Ehrenberg, cit. e il n. 10 di questa raccolta.

Cfr. Weber, cit. 320 ss., si esprime così riguardo alle propensioni della produzione letteraria 90

all’interno degli onori al dinasta ellenistico: “Schliesslich geht es um die Behandlung repräsentativer königlicher Symbole und um den Reichtum des Herrschers in der Dichtung”. Riguardo all’impiego della mitologia all’interno dei carmi così lo stesso Weber, cit. 357: “Der Überblick über die wichtigsten Nennungen der einzelnen Gottheiten (336 ss.) gibt Indikatoren für bestimmte Tendenzen bei den Dichtern und für Diskussionen über Veränderungen angesichts verändert Bedingungen. Entscheidend sind aber die inaltlichen Wandlungen die damit verbundenen Implikationen der Mythen, mit denen der Dichter samt seiner Aussage in gesellschaftlichen Umfeld steht”. Cfr. in proposito i nn. 7 e 51 di questa raccolta. Cfr. anche Meiller, cit. 243 ss. e cfr. H. Erbse, Zum Apollonhymnos des Kallimachos, «Hermes» 83 (1955) 411 ss.; secondo Fantuzzi, Prem. a K. Ziegler, L’epos ellenistico. Un capitolo dimenticato, a cura di F. de Martino, Bari 1988, XLIV ss., a seguito di questo fenomeno “è più che naturale…che i colleghi…intervenissero sul campo di battaglia a favore di questo o quel divinizzato dinasta”. Cfr. anche C.E. Visser, Götter und Kulte im ptolemäischen Alexandrien, Amsterdam 1938, 58.

All’interno del programma di divinizzazione del sovrano ellenistico alla produzione poetica in 91

genere, e all’innografia, va dunque riconosciuta una funzione di mediatore. Questa conclusione, induce Weber, cit. 414, a distinguere i diversi ambiti di azione e di intervento dei componimenti poetici, dividendo tra: “Gedichte, die sich direkt und ausschlisslich…auf den Herrscher und seine Familie beziehen; Gedichte…, indem der könig als ein Element unter mehreren zu verstehen ist; ausserdem liegen Gedichte vor, die verhüllt eine Übertragung ermöglichen. [.] Die Schwierigkeit des Verständniss wird durch eine bewusste Variation in Thematik, Motivik und Bezugspunkt gesteigert, die ständig mit neuen Überraschungen aufzuwarten hat”. Questa ricostruzione appare applicabile anche al singolo caso dell’innografia. Cfr. anche Lloyd, cit 34 e vd. Meiller, cit. 246. Il ruolo di mediatore letterario nell’ambito della divinizzazione è in particolare riconosciuto al peana, che secondo Käppel, Paian 289, consentirebbe “eine Erhöhung eines Menschen zum Gott durch ein Gedicht”.

Per tutta la questione cfr. il n. 3 di questa raccolta con relativa bibliografia.92

Uno degli esmpi più antichi è rappresentato da Il. XXII 391, dove il peana levato dagli Achei, su 93

invito di Achille, all’indirizzo del cadavere di Ettore è certo un canto di vittoria, ma anche commemorazione del defunto. Cfr. in proposito Bona, cit. XII. Per il culto dei defunti cfr. anche Pfister, Reliquienkult 401 ss.; Farnell, Greek Hero 15 ss. e Bona IX.

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5.IL POETA IN ETA’ELLENISTICA: COMMITTENZA E COSCIENZA LETTERARIA

In età ellenistica i componimenti innografici appaiono dunque inseriti all’interno di veri e propri programmi politico-religiosi, organizzati secondo differenti finalità dai santuari o dai dinasti . In questo contesto, in cui il prodotto letterario assume una

94

funzione ben precisa e corrisponde a chiare esigenze propagandistiche, anche la figura del poeta viene ad evolvere coerentemente a questa situazione .

95

Si possono in proposito individuare con sufficiente chiarezza due differenti categorie di personaggi: il poeta itinerante e il poeta di corte . Il primo compare al servizio dei

96

differenti santuari, là dove l’esigenza del momento lo richiede , il secondo insediato 97

Va del resto ricordato che delle funzioni encomiastiche sono state individuate anche all’interno della 94

sfera agonale e rapsodica, per la quale cfr. il par. 2.1. e la relativa discussione.

Non è possibile documentare l’esistenza di poeti specializzati nell’ambito dell’innografia. In 95

particolare le epigrafi ci attestano personaggi impegnati in più generi poetici. Cfr. ad es. il n. 71 di questa raccolta e Guarducci, Poeti vaganti 629. Per la varietà di produzione relativamente ai poeti più eruditi cfr. ad esempio il caso di Simia di Rodi e quello di Filico di Corcira, per cui cfr. i nn. 16-24 di questa raccolta. Per l’uJmnovgrafo" come autore di aretalogie cfr. il n. 70 di questa raccolta, mentre per la tradizionale definizione del termine (‘colui che compone carmi agli dei’) cfr. il n. 50 di questa raccolta.

Questa distinzione è del resto, come osserva Cassola, Inni Omerici XXVIII, già propria del rapsodo 96

professionista, che in quanto poeta di corte, vive presso un monarca e ha come pubblico gli abitanti e gli ospiti del palazzo, e come professionista itinerante, partecipa agli agoni e alle manifastazioni bandite dalle differenti autorità. Cfr. ad es. Od. I, XXII (Femio); Od. VIII-IX (Demodoco). Un esempio di poeta vagante può essere rappresentato da Esiodo, che era considerato un vagabondo da Platone, Resp. X 600D. È comunque evidente che la differenza più rilevante in età ellenistica è rappresentata dal differente tipo di prestazione, in relazione alle mutate condizioni storiche e letterarie.

Cfr. Guarducci, Poeti vaganti 629: “Esisteva una folla di personaggi singoli, i quali per amore di 97

gloria e spesso di lucro, vagavano di città in città, percorrendo in tutti i sensi le terre della Grecia, le isole dell’Egeo e le coste dell’Asia Minore. Alcuni erano uomini insigni, altri mediocri, altri affatto oscuri…[.] Il costume di portarsi in giro le proprie abilità intellettuali, iniziatosi fin dai primi tempi del movimento sofistico, assunse nell’età ellenistica delle proporzioni grandiose; e forse questo è spiegabile quando si pensi al carattere dell’epoca”; questi poeti dunque giungevano nei diversi santuari e “poi dopo aver ottenuto successi più o meno clamorosi e guadagni più o meno cospicui, questi vati se ne andavano per recarsi in altri luoghi dove la loro voce potesse risuonare più opportuna: in qualche ginnasio o in qualche altro celebre santuario”. Cfr. ad es. la sezione dei carmi epigrafici (nn. 62 ss.).

�299

stabilmente al cospetto di un dinasta contribuisce in maniera più o meno cospicua ai suoi intenti culturali e politici .

98

Se in quest’ultimo caso l’attività del poeta appare più strettamente vincolata alla volontà del sovrano, che è anche promotore diretto o indiretto delle iniziative letterarie nelle circostanze di maggior importanza , più occasionale e meno organizzata potrebbe

99

risultare la presenza degli innografi vaganti nei differenti centri di culto; in realtà, là dove i documenti epigrafici lo consentono, è possibile rimarcare il contributo di medesimi poeti nel medesimo santuario, che del resto dà prova della sua riconoscenza con generosi decreti onorari .

100

Sembra dunque abbastanza appropriato congetturare un analogo meccanismo di committenza per i santuari e i regni ellenistici: bisogna però ancora una volta precisare che i rapporti tra poeta e committente si configurano secondo modalità differenti, e anche se indubbiamente agiscono sulle propensioni letterarie dei carmi, non ne

Cfr. il paragrafo precedente. Per la poesia di corte in età pre-ellenistica, intesa anche come 98

”Präfiguration einer herrscherlichen Grundmaxime” cfr. Weber, cit. 33 ss. Cfr. anche F. Gschnitzler, Basileuv". Ein terminologischer Beitrag zur Frügeschichte des Königstum bei den Griechen, in H.M. Ölberg (edd.), FS L.C. Franz, Innsbruck 1965, 99-112; E. Stein-Hölkeskamp, Adelskultur und Polisgesellschaft. Studien zum griechischen Adel in archaischer und klassischer Zeit, Stuttgart 1989, 95 ss.; P. Carlier, La Royauté en Grèce avant Alexandre, Strassbourg 1984, 487 ss. e P. Barcelo, Basileia, Monarchia, Tyrranis. Untersuchungen zu Entwicklung und Beurteilung von Alleinherrschaft im vorhellenistischen Griechenland, Stuttgart 1993. In particolare per Pindaro e Bacchilide alla corte dei tiranni siciliani B. Snell, Dichtung und Gesellschaft. Studien zum Einfluss der Dichter auf das soziale Denken und Verhalten im alten Griechenland, Hamburg 1965, 131 ss.; L. Woodbury, Pindar und the Mercenary Muse. Isth. II 1-13, «TAPhA» 99 (1968) 527 ss.; E. Krummen, Pyrsos Hymnon. Festliche Gegenwart und mytisch-rituelle Tradition als Voraussetzung einer Pindarinterpretation, Berlin-New York 1990, 6 ss.; E. Cingano, La data e l’occasione dell’encomio bacchilideo di Ierone, «QUCC» NS 38 (1991) 31 ss.; R. Stoneman, The ideal courtier. Pindar and Hieron in Pythian 2, «CQ» 34 (1984) 43 ss. e M. Lefkowitz, The Victory Ode. An introduction, New York 1976, 8 ss. e 164 ss.; vd. anche Weber, cit. 38 ss. e relativa bibliografia.

Cfr. il capitolo precedente e cfr. Weber, cit. 55 ss.99

Cfr. ad es. il caso di Aristonoo di Corinto, attivo a Delfi, ed autore di due componimenti dalle 100

caratteristiche estremamente affini, per i quali cfr. i nn. 64-5 di questa raccolta. Per una eventuale presenza di questo medesimo autore al concorso agonale delle Lisandree cfr. anche il n. 16 di questa raccolta. Cfr. anche Guarducci, Poeti vaganti 629 ss.: “Perchè appunto le città greche di allora, prodighe di scrittura e smaniose di emanare decreti, si facevano un dovere di dedicare una lastra di marmo ad ognuno di questi colti uomini che le avesse scelte per un suo sia breve soggiorno, e le avesse in qualche modo onorate. [.] Ma qualcosa di essi restava…; chè subito si affrettavano a stendere un decreto di proxenia e lo facevano incidere su di un edificio del santuario o su di un apposito cippo”. Cfr. in genere tutta la sezione dei carmi epigrafici (n. 62 ss.).

�300

condizionano nella maggior parte dei casi l’autonomia compositiva . Tutto ciò è 101

riscontrabile nell’estrema libertà d’uso degli strumenti poetici e del materiale mitico nella prassi compositiva, cui corrisponde anche un’accresciuta coscienza letteraria, dettata anche dalla divulgazione e dall’affermarsi dello strumento della scrittura .

102

Ma se la figura del poeta vagante rappresenta ancora in età ellenistica il diretto erede del rapsodo itinerante, i nuovi aspetti dell’attività culturale ellenistica, in cui l’attivià letteraria è accompagnata da un cospicuo lavoro critico-filologico ed etnografico, configurano il poeta di corte di questa età, spesso impegnato in più versanti, in maniera nettamente differente dai suoi predecessori . Questa connotazione in senso erudito,

103

che qualifica certo in maniera differente la tradizionale figura del poeta professionista,

Diverso è infatti ad esempio il rapporto che può essere intercorso tra Filodamo di Scarfea e il 101

santuario di Delfi, in occasione dell’istituzione del culto di Dioniso nel santuario di Apollo, dal tipo di favore di cui godeva Filico di Corcira, membro della Pleiade e sacerdote durante la grande processione di Tolemeo Filadelfo. Cfr. in proposito i nn. 17 e 69 di questa raccolta e le note precedenti con relativa bibliografia sull’episodio. Riguardo all’autonomia compositiva così osserva Weber, cit. 183: “Weil aber die Dichter innerhalb des königlichen Prestigesystem eingebunden waren, konnte sich die Respektierung der dichterischen Autonomie für den Herrscher durchaus empfehlen”; e più ampiamente cit. 406: “Die Interpretation der verschiedenen literarischen Opera gibt einen insgesamt Befund: wenn denn Propagierung herrschlicher Anliegen und Programme eines der wichtigsten Ziele dieser Dichtung war, müsste sie versagt haben. Damit wird das Grundergebniss auch von dieser Seite her bestätigt: die Dichtung…genügt ihren eigenen Gesetzen; der König respektierte sie darin.…Insofern- und nur insofern- hatte die Literatur eine politische Funktion”. Cfr. anche E.A. Havelock, The literate revolution in Greece and its cultural consequences, Princeton 1982, 15; J. Rostropowicz, Le reflet dela réalité politique, sociale et économique dans la poésie alexandrine, Warschau-Breslau 1983, 114 e H.J. Gehrke, Der siegreiche König. Überlegungen zur Hellenistischen Monarchie, «AKG» 64 (1982) 247 ss.

Cfr. S. Goldhill, An unnoticed allusion in Theochritus and Callimachus, «YCS» 12 (1991) 1: 102

“There is an extremely important degree of cross reference or significant interaction between different texts and poet of the (hellenistic) period”. Cfr. anche in generale id., The poet’s voice. Essays on poetics and Greek literature, Cambridge 1991. Cfr. anche per le dispute letterarie, diretta conseguenza di questo stato di cose, E. Eichgrün, Kallimachos und Apollonius Rhodius, Berlin 1961: Meiller, cit. 56 ss.; M.R. Lefkowitz, The Life of the Greek Poets, Baltimore 1981, 132; A. Cameron, Two mistress of Ptolemy Philadelphos, «GRBS» 31, 287 ss. Cfr. più in particolare per la disputa tra Apollonio Rodio e Callimaco Erbse, cit.; E.L. Bundy, The Quarrel between Kallimachos and Apollonios, Part I: The epilogue of Kallimachos’Hymn to Apollo, «CSCA» 5 (1972) 39-94; Meiller, cit. 91 ss.; Williams 86 ss. e A. Köhnken, Apollo’s Retort to Envy’s Criticism (Two Questions of Relevance in Callimachus, Hymn 2, 105 ff.), «AJPh» 102 (1981) 411 ss. È chiaro che anche ai poeti vaganti, quali Aristonoo o Filodamo, che contribuirono in maniera così determinante alla letteratura religiosa delfica del IV sec. a.C., bisogna riconoscere un alto grado di consapevolezza, e non solo una passiva partecipazione agli intenti del santuario. Cfr. in proposito Guarducci, Poeti vaganti 631 e Rainer, Philodamos’Paean 176 ss.

Cfr. Falivene, cit. 128, che ritiene questa attività culturale “intensa e suscitata dall’urgenza di 103

salvare la memoria di una cultura separata dai luoghi in cui i suoi riti ed usi avevano radici e senso”. Cfr. Zanker, cit. 231. Per tutto il problema cfr. anche Préaux, cit. 214; Will, Histoire politique 441 ss.; E. Bikermann, Institutions des Séleucides, Paris 1938, 39 ss.; Tarn, Antigonos 223-56; R.A. Billows, Antigonos the One-Eyes and the Creation of the Hellenistic State, Berkeley 1990, 311 e Hansen, Attalids 390-433. Così si esprime Weber, cit. 77, circa la qualità della poesia ad Alessandria in relazione alla fondazione del Museo e della Bibliteca: “So hat die grösste Wahrscheinlichkeit für sich, dass eine explizit aristotelische Linie und Vertreter einer Dichter-Philologie durch ein gemainsames Interesse verbunden waren…”. Cfr. in proposito Pfeiffer, Classical Scholarschip 124; Meiller, cit. 207; Fraser, Ptol. Alex. I 315; K.O. Brink, Callimachus and Aristotle. An inquiry into Callimachus Pro;" Praxifavnhn, «CQ» 40 (1946) 11 ss. e L. Canfora, La biblioteca scomparsa, Palermo 1988, 36 e 106 ss. Vd. anche E.A. Parsons, The Alexandrian Library. Glory of the Hellenic World, Amsterdam-London-New York 1952.

�301

con immediate conseguenze anche sulle scelte e le propensioni letterarie , non 104

determina, come si è visto, un distacco dall’attualità storico-culturale, in favore di una poesia colta senza legame con il contesto in cui è maturata; d’altro canto l’individuazione di particolari funzioni culturali dei singoli poeti, anche qualora emergano significative convergenze, talora avallate dalla stessa cronologia o dalle fonti antiche, va riferita alla specificità dell’autore, e non autorizza a delineare rigide categorie, valide per qualsiasi forma ed espressione della poesia ellenistica .

105

Infine un fenomeno di particolare interesse è rappresentato dal collegio degli artisti dionisiaci, la cui attività è attestata sia nei maggiori santuari greci, sia presso le corti ellenistiche, con particolare rilievo presso i Tolemei . Anche in questo caso l’attività

106

di questa consorteria, che viene a strutturarsi in maniera conforme ai differenti contesti , rientra ampiamente nella casistica già presa in considerazione, riproponendo i

107

rapporti tra poeta e committenza fino a qui configurati.In conclusione anche l’indagine sulla figura e sulle competenze professionali del

poeta ellenistico pone di fronte un quadro estremamente articolato, dove accanto alla comparsa di caratteristiche inedite, dettate dalla nuova situazione culturale, si registra il permanere di forme e di atteggiamenti tradizionali, i quali non risultano però avulsi dall’attualità storica e dalle sue esigenze.

Si pensi ad esempio al caso di Callimaco o a quello di altri due poeti di corte, Antagora di Rodi e 104

Arato di Soli, che, prima di dedicarsi all’attività compositiva, secondo le fonti, fruirono di un lungo apprendistato filosofico, le cui tracce sono ben visibili nelle opere di entrambi. Cfr. in proposito i nn. 12 e 54-9 di questa raccolta. Cfr. in particolare per Callimaco Meiller, cit. 220 ss.; Pfeiffeir, Classical Scholarschip 156 ss.; Fraser, Ptol. Alex. I 575-94; Hutchinson, cit. 26-84 e in generale G. Capovilla, Callimaco, II, Roma 1967 e Herter, cit. Per Antagora ed Arato alla corte di Antigono e per le caratteristiche ‘filosofiche’ dei loro carmi cfr. in generale Webster, cit. 21-38 e E. Livrea, Teeteto, Antagora e Callimaco, «SIFC» NS 7 (1989) 24 ss.

Differente è in fatti il caso di Antagora da quello di Arato, come da quello di Callimaco, e d’altro 105

canto differenti propensioni letterarie manifestano ad esempio l’inno ad Eros e l’inno a Pan, per i quali cfr. i nn. 14 e 59 di questa raccolta.

Cfr. in particolare i nn. 7, 78-80 di questa raccolta. La congettura di Rice, cit. 54, secondo cui la 106

nascita della gilda dei techniti sarebbe da collocare in corrispondenza del regno di Tolemeo Filadelfo, non appare comunque in contraddizione con la presenza di questo gruppo di artisti nei santuari di Delfi o Eleusi nei secoli successivi. Si potrebbe infatti ritenere che questa corporazione, nata in ambito tolemaico per rispondere a determinate iniziative politico-religiose, quali appunto la grande processione organizzata dal Filadelfo, abbia poi assunto una capacità di intervento del tutto autonoma nelle vicende culturali della Grecia ellenistica, sviluppandosi anche in tempi e luoghi differenti. Un esempio di questo genere è ben documentato dalla corporazione dei techniti Ateniesi attivi a Delfi in più circostanze tra la fine del III e l’inizio del II sec. a.C. Cfr. in proposito il n. 78 di questa raccolta e più in generale F. Poland, RE V A, 2 (1934), s.v. technitai, 2473 ss., secondo il quale l’affermazione di questo collegio sarebbe una concreta prova dell’importanza della figura di Dioniso nella cultura ellenistica. Cfr. in proposito Arist. Rhet. 1405A 23; cfr. in generale Weber, cit. 343 ss.; Visser, cit. 35 ss.; Fraser, Ptol. Alex. I 201-4; Meiller, cit. 37 ss.; A.D. Nock, Notes on Ruler Cult, in Z. Stewart (ed.), Essays on Religion and the Ancient World, Cambridge (Mass.) 1972, 134-59 e J. Tondriau, La dynastie ptolémaique et la religion dionysiaque, «CE» 25 (1950) 238 ss. Cfr. anche il n. 10 di questa raccolta e la relativa discussione. In particolare per l’età di Tolemeo Filadelfo è possibile ricostruire in parte la composizione del gruppo dei techniti, che risulta estremamente articolato: ad esso infatti appartenevano i commediografi Museo e Stratago, i tragici Diogeneto e Fenippo e i poeti epici Demarco e Teogene. Cfr. in proposito Weber, cit. 96 e I. Frei, De certaminibus thymelicis, Basileae 1900, 57 ss. Come si vede si tratta di un’organizzazione ben differente da quella presentata dal collegio dionisiaco in occasione delle performance liriche nel santuario delfico. Cfr. il n. 78 di questa raccolta.

Cfr. la nota precedente.107

�302

CONCLUSIONI

Questa ricognizione sulla produzione innografica mostra dunque una situazione estremamente articolata, cui contribuiscono tutti i tipi di fonti, dalle testimonianze letterarie a quelle epigrafiche e papiracee, che offrono documenti e materiali spesso così eterogenei da risultare difficilmente riducibili ad uno andamento sistematico .

108

E sia i sistemi classificatori antichi sia i più moderni criteri normativi risultano insufficienti di fronte ad una estrema libertà di prassi, che ignora le distinzioni tra generi e le rispettive peculiarità formali e linguistiche. Inoltre la stessa situazione della comunicazione letteraria, contrassegnata ancora da una fluidità di rapporto tra oralità e scrittura, rende ancora più variegato il panorama della produzione poetica in generale

.109

Tutto ciò non impedisce però, come si è visto, di individuare alcuni elementi caratteristici della produzione innografica ellenistica, che appaiono strettamente vincolati alle esigenze e alle caratteristiche culturali di questo periodo: se infatti da una parte si nota un processo di formalizzazione delle strutture dell’inno in particolare nella tradizionale dimensione melico-cultuale, dall’altra si osserva nelle propensioni letterarie l’irrompere delle pratiche di divinizzazione del sovrano vivente; a quell’inedito prodotto dell’arte ellenistica che è l’inno mimetico si affianca poi una nuova figura di poeta di corte, accanto al quale opera ancora l’erede del rapsodo itinerante.

Un corretto metodo di analisi, dunque, oltre alle specificità letterarie, non potrà non rilevare anche la temperie storica e culturale, in cui l’inno è maturato. Alla luce di questo criterio risulta inadeguata la definizione della poesia ellenistica, e dunque dell’innografia, come produzione dotta e svincolata dall’attualità e dal divenire storico;

Forse in questo senso si potrebbe interpretare la scoraggionte affermazione di P. Maas, Rec. 108

Powell, CA, «Gnomon» 3 (1927) 690: “ich sehe keine Möglichkeit, hellenistische Poesie systematisch zu ordnen”.. Cfr. per tutto il problema L. Lehnus, J.U. Powell, Wilamowitz e i Collectanea Alexandrina, «Aevum Antiquum» 5 (1992) 34, anche in merito ai criteri di inclusione del materiale su base cronologica appunto. In particolare Lehnus, cit. 43, pone “una data convenzionale ma non interamente per la chiusura di una raccolta delle testimonianze e dei frammenti di quella poesia (sc. ellenistica) tra il 70 e il 100 d.C.”, e cioè in corrispondenza della seconda sofistica. D’altro canto, ritenendo necessaria per una più completa analisi della produzione innografica anche del materiale non direttamente ellenistico, si può osservare come la griglia di inclusione cronologica si ampli notevolmente. Cfr. per i termini della discusione U. von Wilamowitz-Moellendorff, Euripides Herakles, I. Einleitung in die griechische Tragödie, Darmstaadt 1959 4, 175 ss.; P. Green, Alexander to Actium. The Historical Evolution of the Hellenistic Age, Berkeley-Los Angeles 1990; Lehnus, cit. 39 ss.; R. Bichler, «Hellenismus». Geschichte und Problematik eines Epochenbegriffs, Darmstaadt 1983; H. Lloyd-Jones, THe Academics Papers, II, Oxford 1990, 158 ss.; L. Canfora, Ellenismo, Roma-Bari 1987, 50 ss. e R. Kassel, Die Abgrenzung des Hellenismus in der griechischen Literaturgeschichte, Berlin-New York 1987, 11 ss. Questa situazione, che appare estremamente complessa per la compresenza di più fattori, ha indotto ad attuare una ripartizione del materiale analizzato secondo le fonti di provenienza, applicando il criterio cronologico ai soli carmi epigrafici, e utilizzando invece un ordine alfabetico per il restante materiale, con la possibilità di effettuare accorpamenti di materiale eterogeneo là dove risultava più opportuno.

Cfr. in particolare il par. 3.1. Questa situazione è del resto documentabile già in età pre-ellenistica, 109

a partire secondo Dover, cit. 125, con la morte di Sofocle e di Euripide: “The Hellenistic poet’s awarness that he was living in a secondary stage was predetermined by the fact that during the fourth century Athens was the literary centre of the Greek world…”; cfr. anche R. Laqueur, Hellenismus, Giessen 1925, 11 ss.; Lloyd-Jones, cit., II, 234 e 240 ss. e M. Brioso-Sánchez, Algunas considraciones sobre la «poética» delk Helenismo, in AA.VV., Cinco lecciones sobre la cultura griega, Sevilla 1990, 31 ss.

�303

essa è piuttosto specchio della complessità di un’epoca, che alle esigenze della religione di stato vede legarsi l’affermazione di un nuovo sentimento popolare , cui corrispose

110

uno sforzo letterario, fedele alla memoria della tradizione e aperto ai nuovi esperimenti della comunicazione e della ricerca poetica.

RICERCHESULL’INNOGRAFIA ELLENISTICA

BIBLIOGRAFIA GENERALE

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Cfr. ad es. per il culto di Tyche e per le sue rilevanze in questo ambito i nn. 38 e 53 di questa 110

raccolta e le note precedenti per la in merito alla relativa bibliografia.

�304

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ZankerG. Zanker, Realism in Alexandrian Poetry: a Literature and its Audience, London-Sydney-Wolfeboro 1987

�322

CURRICULUM VITAE

Luca Cadili est né à Varese (Italie) le 16 janvier 1970. Après être parvenu à la

‘laurea’ (diplôme) ès lettres à l’Université ‘Statale’ de Milan (10-7-1995), il a obtenu le

titre de ‘dottore di ricerca’ (post-doctorat italien) auprès de l’Université ‘Ca’ Foscari’ de

Venise (11 mars 1999).

Il a été employé comme chercheur à la même université (2000-2002) et ensuite auprès

de la ‘Venice International University’ (2002-2004), Institut universitaire de recherche

partenaire des Universités de Barcelone, Munich, Tel Aviv, Tokyo et de la ‘Duke

University’. Il a fait des séjours d’étude à Genève, Berne et Munich.

Jusqu’à la fin de février 2007 il a été accueilli à Aix-en-Provence à la Maison

Méditerranéenne des Sciences de l’Homme (MMSH) dans le cadre d’un séjour de

recherche post-doctorale sous la direction de M. J.-L. Charlet. ATER au Département de

�323

Sciences de l’Antiquité de l’Université de Provence pendant les années 2007-2008,

2008-2009 et 2009-2010.

PUBLICATIONS

« L’inno in età ellenistica », Rendiconti dell’Istituto Lombardo (Classe di scienze

morali) 129, 1995, 483-505

Viamque adfectat Olympo. Memoria ellenistica nelle Georgiche di Virgilio, LED, Milan

2001, pp. 236

(Comptes rendus: C. Aceti, Maia 55, 2003, pp. 207-209; P.V. Cova, Athenaeum 91,

2003, pp. 297-299; L. Descamps, Revue des Études latines 81, 2003, pp. 382-383; Y.

Kahn, Classical Review 53, 2003, pp. 359-360; J. Dingel, Gnomon 77, 2005, pp.

358-359; M.R. Gale, Journal of Roman Studies 95, 2005, p. 207)

« Gli scholia Bernensia alle Georgiche di Virgilio », Lexis 21, 2003, pp. 381-392

« Teone e un’antica lezione pindarica », Zeitschrift für Papyrologie und Epigraphik 145,

2003, pp. 13-18

Scholia Bernensia in Vergilii Bucolica et Georgica, II 1: In Georgica commentarii

(Prooemium- liber I 1-42), Amsterdam, Hakkert, 2003, pp. I-XXIII; pp. 160

(Comptes rendus: U. Schindel, Gnomon 78, 2006, pp. 316-320; M.D. Reeve, Classical

Review 56, 2006, pp. 345-346; R.F. Thomas, Classical World 100, 2007, pp. 318-319)

�324

« Il mondo animale tra realtà e mito nelle Georgiche di Virgilio », dans Animali tra

zoologia, mito e letteratura nella cultura classica e orientale, Padoue, S.A.R.G.O.N.

Editrice e Libreria, 2005, pp. 299-308

« La reggia del cielo: Virgilio Georg. 1.503-504 e Callimaco Inno a Zeus 60 », dans La

cultura ellenistica: l’opera letteraria e l’esegesi antica, Rome, Edizioni Quasar, 2005,

pp. 77-80

« Servio e un’‘invenzione’ ovidiana (Serv. ad Verg. georg. 1.20; Ov. met. 10.106-142) »,

Auctores Nostri 4, 2006, pp. 23-38

« Un nuovo frammento del De lingua Latina di Varrone (SBB ad Verg. georg. 1.4, II 1,

p. 33a.1-4 Cadili [4d]), Paideia 52, 2007, pp. 145-170

« Scholia and Authorial Identity : the Scholia Bernensia on Vergil’s Georgics and

Servius Auctus », dans S. Casali-F. Stok (édd.), Servio : stratificazioni esegetici e

modelli culturali — Servius : exegetical stratifications and cultural models, Bruxelles

2008, pp. 195-207

(cfr. Bryn Mawr Classical Review 2010.01.16, http://bmcr.brynmawr.edu/

2010/2010-01-16.html)

« Nimbus : Vergil, Lucretius, Sophocles and a New History of the Latin Language

(georg. 1.328-29, Lucr. 6.253-55 and Soph. fr. 538 R.) », dans E. Cingano-L. Milano

(édd.), Papers on Ancient Literature: Greece, Rome and the Near East. Proceedings of

�325

the “Advanced Seminar in the Humanities” , Venice International University

2004-2005, éditées par Ettore Cingano and Lucio Milano, S.A.R.G.O.N. Editrice e

Libreria, Padova 2008, pp. 135-178

« L’Inno alla patella è di Alceo? Strutture innografiche e simposio tra esegesi antica e

moderna (Alc. fr. 359 Lieberman [Voigt] = Aristoph. Byz. fr. 367 Slater) », Paideia 64

(2009), pp. 49-72

À paraître :

« La bibliothèque de Francesco Sassetti et Lyon : le Laurent. Plut. 45.14 », dans

L’Humanisme italien de la Renaissance et l’Europe, Colloque international

interdisciplinaire, 13 et 14 mars 2008, Université de Provence

�326


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