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Note alla tecnica pittorica dei maestri di terza generazione del Quattrocento

Date post: 02-Mar-2023
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327 Materiali e tecniche nella pittura murale del Quattrocento - I Introduzione e sintesi dei lavori. Note alla tecnica pittorica dei maestri di terza generazione del Quattrocento Marco Cardinali
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Dei limiti imposti dai criteri del censimento preliminare1, soffrono – analogamentealle precedenti sezioni – anche gli interventi relativi alla terza generazione di artistiquattrocenteschi presentati al convegno. Cionondimeno essi compongono un pano-rama significativo, seppur lacunoso, delle trasformazioni nella tecnica di pitturamurale durante gli ultimi decenni del secolo. Al contempo, la densità dei contributi e il ritmo, a tratti forzatamente accelerato,del loro succedersi in sede di convegno rendono utile un richiamo sintetico ecomparato di alcuni contenuti, anche alla luce di quanto nel frattempo pubblica-to sull’argomento.La centralità del cantiere sistino è paradigmatica per gli obiettivi e lo stessoimpianto metodologico del convegno. Essa si manifesta nella possibilità di acqui-sire una imponente mole di dati analitici omogenei, direttamente disponibili ed inparte finalizzati al confronto tecnico-stilistico, all’interno di un ciclo che per ilvalore intrinseco dei maestri coinvolti e per le specifiche circostanze di commit-tenza ed esecuzione ha assunto un ruolo fondante nella storia dell’arte delRinascimento italiano. La messe critica che ne può scaturire non poteva ovviamente essere raccolta neitempi precoci – rispetto alla conclusione del restauro – e limitati del convegno enon è stata certamente esaurita dalle successive riflessioni. Tuttavia si impongo-no all’attenzione alcuni aspetti, già allora adombrati nella splendida rassegna visi-va offerta, e sviluppati in successivi contributi2.I procedimenti esecutivi dei principali artefici dell’impresa sistina, sebbene presen-tino distinte specificità, sono essenzialmente omogenei e vennero condivisi al paridelle modalità di commissione del ciclo3, al punto di prevedere sia l’esecuzionecongiunta di riquadri – ad esempio del Testamento e morte di Mosè – sia il ricorso“concordato” a modifiche compositive e cromatiche per uniformare le scene e per-fezionarne i reciproci rimandi.Giustamente sottolineati sono stati i pentimenti, con ogni probabilità intervenuti dicomune accordo, nella resa del suolo nella Consegna delle chiavi del Perugino enella Punizione di Core, Dathan e Abiron del Botticelli. Nella parte inferiore delle due scene, poste l’una di fronte all’altra, è stata infattisovrapposta una stesura a secco di bianco sangiovanni, nascondendo in un caso lerocce e la vegetazione già dipinte, nell’altro la cromia rosata della prima redazione.

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1 M. CARDINALI, Criteri metodologici della campagna di rilevamento e prima valutazione dei dati, in questo volume.2 Tra gli altri: M. DE LUCA, La tecnica d’esecuzione e il restauro del ciclo pittorico quattrocentesco nella Cappella Sistina,in La Sistina e Michelangelo, a cura di F. Buranelli, Città del Vaticano 2003; A. NESSELRATH, The Painters of Lorenzo theMagnificent in the Chapel of Pope Sixtus IV in Rome, in The Fifteenth Century Frescoes in the Sistine Chapel. RecentRestorations of the Vatican Museums, a cura di F. Buranelli e A. Duston, Città del Vaticano 2003, pp. 39-75.3 Il contratto di commissione del 27 ottobre 1481 venne firmato congiuntamente, come è noto, da Sandro Botticelli,Domenico Ghirlandaio, Pietro Perugino e Cosimo Rosselli.

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Non meno importante è l’ipotesi, in seguito formulata4, di interventi a secco opera-ti da maestri e/o maestranze in scene diverse da quelle di propria pertinenza, comenel caso degli alberi stilisticamente botticelliani sovradipinti sulla Circoncisione delfiglio di Mosè del Perugino.Lo stretto rapporto operativo tra questi due artisti si direbbe confermato dagli studipubblicati in occasione della recente mostra monografica dedicata al Perugino, ilpittore maggiormente attivo nel ciclo sistino, studi che hanno sviluppato, corretto emesso a fuoco alcune delle osservazioni presentate al convegno5. Il confronto analitico della successione stratigrafica delle campiture nei dipinti delPerugino, operato su campioni prelevati in aree interessate dai pentimenti, indiche-rebbe una tecnica di stesura complessa che non ricorre agli interventi a secco uni-camente per pigmenti incompatibili con l’affresco, nè per isolate correzioni. Persinonegli incarnati possono ricorrere ampie finiture se non direttamente stesure a secco,come è stato rilevato nella Consegna delle chiavi. Si è così giunti all’ipotesi di una duplice fase esecutiva: una prevalente impostazio-ne a fresco, utilizzata come base per ampie campiture a secco, talvolta ulteriormen-te rifinite da velature6. A tal proposito, le osservazioni di restauro anticipate in sede di convegno hannoposto in evidenza come analoghe morfologie di crettatura ricorrano nelle rifiniturea secco nel Battesimo di Cristo del Perugino e nelle Tentazioni di Cristo delBotticelli; peraltro le scene dipinte dal maestro fiorentino confermerebbero unampio ricorso ad una tecnica mista di stesura7.Nello specifico caso del ciclo sistino, simili tangenze esecutive vanno considerateall’interno di un piano di lavoro complesso ed intrecciato, che, come già detto, pre-vedeva interventi in corso d’opera o ad opera finita, volti ad uniformare gli schemicompositivi e decorativi nonché gli equilibri cromatici. Questo ruolo sembranosvolgere sia gli elementi della vegetazione, sia i motivi dorati, che malgrado dispie-ghino le diverse tecniche di applicazione dell’oro – ma evitano le articolazioni deirilievi a pastiglia – svolgono un ruolo di «denominatore comune» (De Luca).Proprio per considerare il valore delle scelte tecnico-esecutive alla luce dell’organizzazio-ne del cantiere sistino, esigenza giustamente avanzata da Nesselrath8, vanno da un latoapprofondite le singole fasi operative dei diversi maestri, dall’altro le stesse scelte devo-no essere verificate negli altri cicli murali della loro produzione. Quanto al primo aspetto, centrale appare la relazione tra il progetto grafico e l’ese-cuzione pittorica, che riconduce l’attenzione alle tecniche di trasposizione del dise-

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4 A. NESSELRATH, The Painters of Lorenzo the Magnificent..., cit.5 Si veda in particolare The Painting Technique of Pietro Vannucci, called “Il Perugino”, atti del convegno (Perugia, 14-15aprile 2003) a cura di G. Brunetti, C. Seccaroni, A. Sgamellotti, Firenze 2004. 6 Si tratterebbe di stesure a tempera, disciolte in colla animale. Cfr. M. DE LUCA, Perugino’s Technique in the Sistine Chapel:Analysis of the Pentimenti, in The Painting Technique of Pietro Vannucci..., cit., pp. 91-96; U. SANTAMARIA, F. MORRESI,Perugino’s Technique in the Sistine Chapel: Scientific Investigations, ivi, pp. 97-109.7 Per ulteriori approfondimenti sulla tecnica pittorica di Botticelli nel cantiere sistino attendiamo la pubblicazione degli attidella recente giornata di studi, organizzata a Piacenza a cura della Soprintendenza di Parma e del Museo di Piacenza; cfr. P.NALDI, È di Botticelli anche il Giovannino verdaccio, «Il giornale dell’arte», n. 236, 22, 2004, p. 37.8 «There was an exchange and sometimes an identity between individual motifs in the various frescoes ... When these coin-cidencies concern important parts of the frescoes, it’s quite justified once more to pose a question: how did the workshop ofthe fifteenth century masters in the Sistine Chapel function?». A. NESSELRATH, The Painters of Lorenzo..., cit., p. 55.

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gno9. Essa risulta determinante per interpretare la tecnica pittorica e l’organizzazio-ne delle fasi esecutive sia di Perugino e Botticelli, sia di Ghirlandaio.Le tracce del trasporto del cartone in Perugino appaiono coerenti con un piano didiversificazione nelle tecniche di stesura: lo spolvero delinea le parti principali dellacomposizione, dipinte a fresco, corrispondendo precisamente al limite delle giorna-te. Laddove invece l’esecuzione pittorica non necessitava di un ricorso rigoroso alcartone o comunque veniva previsto un completamento a secco, la stesura dellegiornate non sembra rispettare la disposizione delle unità morfologiche. Non si rile-vano, ad esempio, tracce del trasporto del disegno negli elementi del paesaggio enelle figure di secondo piano, direttamente eseguite sull’intonaco bagnato.In Botticelli la relazione tra tecnica di stesura e andamento delle giornate non èaltrettanto rigorosa. Le sovrapposizioni delle giornate, generalmente discoste daiprofili delle figure, causavano facilmente discontinuità cromatiche nelle campiture,che dovevano essere corrette da finiture a secco, ampiamente riscontrate. Indizicome questo, unitamente alla presenza sottogiacente – individuata nelle Prove diMosè e nelle Tentazioni di Cristo – di un disegno rosso con varianti, hanno indottoad ipotizzare una tecnica “attardata”, con l’esecuzione di una sinopia, ripresa daldisegno sull’intonaco ed il trasporto di «detailed partial cartoons, which he was ableto transfer to the wall with the help of small markers and crosses» (Nesselrath)10. Notoriamente un ruolo cruciale nella produzione peruginesca viene invece svoltodal cartone, il cui uso e riuso è stato recentemente ribadito da Rudolf Hiller vonGaertringen, che suggerisce come un’intera serie di opere, da lui denominata “grup-po del polittico di San Pietro”, possa derivare dalla perduta Assunzione dellaVergine, affrescata nella cappella Sistina11. Un puntuale riscontro dei rimandi tra lefigure del Perugino viene presentato, in questo volume, da Maurizio De Luca.Altrettanto preciso e rigoroso è l’impiego del trasporto del cartone mediante spol-vero nella scena dipinta – sostanzialmente a fresco – da Ghirlandaio, mentre meri-ta attenzione e approfondimenti il rilievo di un impiego estensivo dell’incisioneindiretta esclusivamente nel Passaggio del Mar Rosso di Biagio d’Antonio, spessocorretto dalle stesure pittoriche. Proprio il caso di altri due protagonisti del ciclo sistino, quali DomenicoGhirlandaio e Luca Signorelli, i cui dipinti murali sono stati oggetto di diversi con-tributi al convegno, ci permette di gettare luce sull’altro aspetto di interesse di que-ste note, che prende spunto dai rilievi tecnici sui dipinti vaticani. Ci riferiamo allaverifica e all’evoluzione di un linguaggio tecnico-pittorico che trova nel cantieresistino il momento di confronto e sintesi, preliminare alla sua diffusione quale tec-nica codificata e ufficiale, anche in virtù dell’importanza della commissione papalee dei pittori coinvolti. A tal fine Ghirlandaio e Signorelli appaiono giocare un importante ruolo di sintesie superamento delle principali esperienze precedenti, di cui vengono circoscritti gli

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9 Per una ricognizione generale, in questa sede, delle tecniche disegnative e di trasposizione del disegno, con riferimento alle fonti especificamente all’opera dei maestri quattrocenteschi di prima generazione, si veda in questo volume il saggio di Anna LuceSicurezza, che qui ringrazio dell’ausilio alle ricerche bibliografiche preliminari alla redazione di queste note.10 A. NESSELRATH, The Painters of Lorenzo..., cit., p. 52.11 R. HILLER VON GAERTRINGEN, Uso e riuso del cartone nell’opera del Perugino. L’arte tra vita contemplativa e produttività, inPietro Vannucci: il Perugino, a cura di L. Teza, Perugia 2004, pp. 335-350.

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accenti sperimentali, relativamente all’impiego di tecniche miste e di materiali scar-samente compatibili con l’intonaco bagnato.Emblematico il caso di Ghirlandaio. Le osservazioni e le analisi operate sugli into-naci della Cappella Tornabuoni in Santa Maria Novella, di poco successiva allaSistina, restituiscono una sorta di manifesto del buon fresco e in questo conferma-no le disposizioni documentarie. Vengono sviluppati i procedimenti di trasporto deldisegno, che vedono integrare lo spolvero – principalmente per i volti – e l’incisio-ne indiretta, laddove in precedenza, ad esempio nel Cenacolo di San Marco, l’as-senza di tracce del cartone lascia presupporre la persistenza di una tecnica compo-sitiva mediante sinopia e disegno su intonaco12.La stessa ipotesi dell’impiego in Santa Maria Novella di “cartoni ausiliari” – car-toni con indicazioni chiaroscurali e cromatiche – appare coerente con una orga-nizzazione di cantiere, che predispose l’esecuzione ad opera degli aiuti di partidell’affresco. La limitata estensione delle campiture a secco garantiva infattiomogeneità nella resa pittorica e vanno in tal senso segnalate alcune differenzerispetto all’opera sistina, la Vocazione degli apostoli, dove sono state riscontratestesure a secco anche di pigmenti compatibili con l’affresco, quali il nero carbo-ne. A questo proposito, in sede di convegno, Jean Cadogan ha richiamato la scel-ta operata dal Ghirlandaio nella cappella Tornabuoni a favore di un largo impie-go dello smaltino, a discapito del prezioso oltremare, peraltro citato nel contrattodi commissione13.Analogamente significativa è la pianificazione delle fasi esecutive da parte di LucaSignorelli. Nel ciclo orvietano appare particolarmente evidente, proprio per la vici-nanza con i differenti procedimenti dell’Angelico, la funzione unificante svoltadagli ampi cartoni in scala 1:1, trasferiti sull’intonaco mediante incisione indiretta,al fine di omologare l’esecuzione pittorica di maestro e allievi. La pittura, quasiesclusivamente a fresco, si accompagna alla procedura di correzione medianterimozione e nuova stesura dell’intonaco14. Pur con la dovuta cautela per le inevitabili schematizzazioni dei resoconti sintetici,va rilevato come l’evoluzione nella redazione a fresco della pittura murale diSignorelli passi attraverso una tecnica composita, come quella del ciclo di MonteOliveto. Diffusi e circoscritti interventi a secco, a base di biacca – ampiamente alte-rata e non impiegata dal pittore nei precedenti contributi alla decorazione sistina –si accompagnano a frequenti correzioni eseguite con impasti ricchi di bianco dicalce, impiegato con funzione insieme legante e adesiva15.L’evoluzione tecnica di questo brillante aiuto del Perugino nell’impresa sistinaappare fortemente divergente da quella di altri maestri – quali il Pinturicchio – pro-

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12 F. BANDINI, Gli affreschi di Domenico Ghirlandaio nella cappella Tornabuoni in Santa Maria Novella a Firenze, in que-sto volume. G. BONSANTI, Il restauro dell’ ”Ultima Cena” di San Marco, in Domenico Ghirlandaio (1449-1494), atti del con-vegno (Firenze, 16-18 ottobre 1994) a cura di W. Prinz e M. Seidel, Firenze 1996, pp. 109-111.13 J. CADOGAN, Osservazioni sulla tecnica del Ghirlandaio, in questo volume. Per una più ampia trattazione, anche dei pro-blemi relativi alla tecnica pittorica in Ghirlandaio, EADEM, Domenico Ghirlandaio: Artist and Artisan, New Haven 2000.14 C. BERTORELLO, Struttura e funzionamento di un cantiere pittorico. Beato Angelico e Luca Signorelli nel Duomo diOrvieto, in questo volume. Nella scena con la Resurrezione della carne alcune parti sono state invece cancellate con pennel-late corpose di bianco di calce. EADEM, La tecnica della pittura di Beato Angelico e Luca Signorelli, in La Cappella Nova odi San Brizio nel Duomo di Orvieto, a cura di G. Testa, Milano 1996, pp. 327-348.15 C. ALESSI, D. ROSSI, Il cantiere di Luca Signorelli a Monte Oliveto Maggiore, in questo volume.

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venienti dal medesimo entourage e attivi in Vaticano allo scorcio del secolo16.Alla luce dei recenti restauri, lo stesso Perugino lascia trasparire un’evoluzione per-sonale della propria tecnica di pittura murale. Nelle pareti della Sala delle Udienze– la volta è interamente dipinta a tempera probabilmente per non gettare a terra unaffresco sottostante – si riscontrano procedimenti collaudati di ampie finiture asecco su base a fresco. La scena dell’Eterno con i Profeti e le Sibille mostra peròuna diversa stesura, a corpo e ricca di calce, direttamente in relazione con la traspo-sizione del cartone mediante incisione indiretta, generalmente poco frequente inPerugino e altrove assente nel ciclo del Cambio17. La funzionalità dell’incisione indiretta, rispetto ad un modo di dipingere che avreb-be reso scarsamente visibili le tracce dello spolvero, indicherebbe lo studio divarianti della stesura a fresco, che in tarda età avrebbe condotto Perugino a dipinge-re con stesure dense alternate a molteplici e liquide velature, modulando effetti ditrasparenza e granulosità della superficie. Questo è emerso dalle osservazioni edindagini sui dipinti – appartenenti alla sua produzione estrema – nella Collegiata diSpello18, in contraddizione con le fonti che li ritenevano «a tempera sulle mura-glie»19. In questo affresco, la scelta consapevole di un limitato ricorso alle stesure asecco è desumibile non tanto dal consueto impiego del trasporto del disegno trami-te spolvero, ma dalla selezione e cura nella preparazione dei pigmenti. Per le varietonalità di rosso è stata infatti impiegata la sola ematite – compatibile con l’affresco– il cui diverso grado di macinazione produce differenze cromatiche nel pigmento;mentre la stessa malachite è stata stesa su intonaco bagnato.Il cantiere sistino appare dunque centrale per la messa a punto di un linguaggio tec-nico unificato, che trova il suo fulcro nella relazione tra organizzazione del cantie-re, tecnica di trasposizione del disegno e tecnica di stesura, caratteri e relazioni cheintroducono alla grande stagione cinquecentesca dell’affresco. Proprio nella cappel-la Sistina se ne avrà la consacrazione attraverso il ciclo michelangiolesco, emble-matica conferma della tecnica approntata dal Ghirlandaio.In effetti, dal confronto con il modus operandi della precedente generazione di arti-sti quattrocenteschi, limitatamente ai casi presentati al convegno, si evince come lesperimentazioni e la connessa molteplicità delle soluzioni tecniche vengano in pro-sieguo di tempo relegate in specifici contesti territoriali, in specifiche tipologie didecorazione o nell’attività eterodossa di alcuni pittori20. Al primo di questi ambiti vanno ricondotti gli esempi settentrionali del Bergognonee di Clemer, che si direbbero “resistere” alla spinta di omologazione impressa dalcantiere sistino rispetto alle variegate tecniche di pittura murale delle singole realtàterritoriali. Il cantiere del transetto della Certosa di Pavia restituisce nello studio di

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16 Al Pinturicchio è stata dedicata una specifica sezione del convegno, curata da Barbara Fabjan, cui si rimanda.17 S. FUSETTI, V. GARIBALDI, P. VIRILLI, Pietro Vannucci, detto il Perugino. Ciclo pittorico della Sala delle Udienze, in Materiali etecniche nella pittura murale del Quattrocento. Storia dell’arte, indagini diagnostiche e restauro verso una nuova prospettiva diricerca, a cura di M. Cardinali, B. Fabjan, A. Robino Rizzet, C. Seccaroni, vol. 2, Inchiesta sui dipinti murali del XV secolo in Italiasotto il profilo delle indagini conoscitive in occasione di restauri (1975-2000). Schede analitiche, parte II, Roma 2001, pp. 291-299.18 P. PASSALACQUA, Due opere tarde lette alla luce del restauro, «Kermes», a. X, n. 29, 1997.19 B. ORSINI, Vita, elogio e memoria dell’egregio pittore Pietro Perugino e degli scolari di esso, Stamperia badueliana,Perugia 1804, p. 214.20 Per un’ampia disamina, confrontata con le fonti storiche, dell’impiego di leganti organici nella pittura murale del Quattrocento,si rimanda in questo volume al saggio di P. BENSI, Materiali e tecniche dei dipinti murali nelle fonti quattrocentesche.

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Pietro Marani un quadro critico stimolante sia per le ipotesi attributive, sia per ilrilievo dell’analisi della tecnica pittorica21. Nell’ampio ricorso ad una pittura asecco o a mezzo fresco si inquadra la “forzatura” di una stesura a fresco dell’azzur-rite per gli sfondi, rifiniti da un’ulteriore campitura con lo stesso pigmento disciol-to in un legante non proteico, che si è rivelato inadeguato a garantirne una buonaadesione. La scarsa compatibilità con l’intonaco bagnato del pigmento blu a base dirame e la sua vocazione per un medium a colla animale vengono entrambe contrad-dette, rimandando ad una sperimentazione di tecnica murale in linea con le espe-rienze di metà Quattrocento. Peculiare è inoltre la stesura a mezzo fresco delle figu-re degli angeli su questa base azzurra secondo un procedimento di stratificazione edimpiego delle campiture a base di azzurrite, che, a conoscenza di chi scrive, nontrova paralleli in altre pitture murali.Dall’ambito lombardo a quello intriso di cultura provenzale che dispiega la pitturadi Hans Clemer, la presentazione delle analisi sulle pitture della parrocchiale di Elvaapre a una gamma ulteriormente diversificata di tecnica murale22. La conoscenzaprofonda del comportamento dei materiali pittorici e la persistenza dei procedimen-ti tardo-gotici confluiscono in una tecnica che piega all’affresco pigmenti scarsa-mente compatibili, quali il cinabro, ma che al contempo ricorre sistematicamente adampie stesure in gomma vegetale, per raggiungere effetti di preziosità e trasparen-za altrimenti impossibili. Alla specializzazione di particolari tecniche di stesura, in funzione degli ambienti edella tipologia di decorazione, credo siano invece riconducibili le scelte tecnico-pit-toriche di Jacopo da Montagnana nel Vescovado di Padova. Il piccolo sacello desti-nato alla devozione privata del vescovo Pietro Barozzi venne decorato con una tec-nica che Giuliana Ericani definisce a guazzo, per sottolinearne la matrice mantegne-sca23. Effettivamente all’accurata trasposizione del disegno tramite spolvero segueuna stesura differenziata: nel registro superiore le figure sono dipinte a tempera sudi una base a fresco; nei monocromi del registro inferiore la pittura è direttamentea calce mescolata con colla.Appare interessante riscontrare l’impiego di leganti proteici in casi analoghi, costi-tuiti da cicli decorativi in ambienti circoscritti, ripartiti in piccoli scomparti ed in cuispesso si alternano scene policrome a monocromi. La coincidenza di simili caratte-ristiche è stata ad esempio verificata durante il recente restauro di una preziosa einedita cappella-oratorio, nel convento di San Giuliano presso L’Aquila, spartita edecorata con monocromi, che rimandano nuovamente alla grisaille rinascimentalee raffigurano la Natività, l’Annunciazione e le Storie della Passione24.La stesura calligrafica e minuziosa articola una limitata scelta di pigmenti – biacca,

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21 P. MARANI, Gli affreschi del Bergognone nei due transetti della Certosa di Pavia. Tecniche esecutive e organizzazione dellavoro di una bottega in un cantiere sforzesco della fine del Quattrocento, in questo volume.22 P. DALLA NAVE, G. GALANTE GARRONE, P. MOIOLI, C. SECCARONI, F. TALARICO, M.G. VIGLIANO, I dipinti del presbiteriodella parrocchiale d’Elva, in questo volume.23 G. ERICANI, Il ciclo della Cappella degli Angeli in Vescovado a Padova. Jacopo da Montagnana frescante. La tecnica ese-cutiva, in questo volume.24 I restauri (1997-1998), condotti da Lorenza D’Alessandro e diretti da Donatella Colasacco – che qui si ringrazia – hannopermesso di restituire leggibilità ai dipinti, particolarmente anneriti, e di avanzare l’ipotesi di una partecipazione di SaturninoGatti. L. D’ALESSANDRO, I dipinti della cappella/oratorio del Conventino di San Giuliano (AQ), tesi di laurea, relatore prof.O. Rossi Pinelli, Università di Roma “La Sapienza”, a.a. 2004-2005.

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Conventino di San Giuliano(AQ), cappella oratorio, Storiedella Passione, particolare dellavolta durante la pulitura

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litargirio, nero d’ossa – disciolti in un legante proteico e compone un prezioso rac-conto illustrato (l’andamento bustrofedico della sequenza conferma il riferimentoalle pagine di un codice). La datazione già pienamente cinquecentesca della decorazione, entro la prima metàdegli anni venti del Cinquecento, è giustificata dall’ambito provinciale e dagli stes-si riferimenti stilistici, di impostazione peruginesca, che lascerebbero propendereper un esempio attardato di una tecnica tipicamente tardo-quattrocentesca. E della fine del Quattrocento è un altro esempio, che i recenti restauri e le analisi per-mettono di aggiungere a questa limitata rassegna. A secco, stavolta a olio, Raffaellino del Garbo dipinse la piccola volta del sacello sepol-crale del cardinale Oliviero Carafa in Santa Maria sopra Minerva a Roma25. L’effettodi preziosità miniata non sfuggì al Vasari – «[...] intorno alla sepoltura del CardinalCaraffa, v’è quel cielo della volta tanto fine, che par fatto da miniatori» – e proprio ilriferimento alla miniatura, già richiamato dalla Ericani a proposito della cappellaBarozzi, rappresenta un’ulteriore chiave di lettura per la rinuncia all’affresco. La stesu-ra a fresco interessa quasi esclusivamente il disegno a terre rosse, estremamente preci-so e completo di indicazioni chiaroscurali, mentre sia gli incarnati, sia i panneggi sonocampiti a secco, spesso secondo un’articolata sovrapposizione di campiture. La pecu-liarità della decorazione di Raffaellino del Garbo si lega naturalmente all’inconsuetatecnica pittorica del suo maestro, Filippino Lippi, a proposito del quale vennero antici-pati in sede di convegno i risultati del restauro della cappella Strozzi26.

25 Ai restauri del 1989-1993 dell’intera cappella Carafa, condotti da Rossano Pizzinelli e diretti da Anna Coliva, ha fatto seguito nel2002 un ulteriore intervento specificamente mirato sul sacello sepolcrale, a cura di Paola Sannucci (Laboratorio di Restauro dellaSoprintendenza ai Beni Artistici e Storici di Roma e Lazio, analisi scientifiche Emmebi-Roma) e con la direzione di Alia Englen, chequi si ringrazia.26 L. MEDRI, C. CONTI, A. FELICI, Filippino Lippi, ‘Storie dei santi Filippo e Giovanni Evangelista’, Cappella Strozzi, Chiesa di SantaMaria Novella, Firenze, in Materiali e tecniche…, cit., vol.2, parte II, pp. 267-272; A. FELICI, La tecnica esecutiva, in La CappellaStrozzi in Santa Maria Novella, a cura di L. Corti, A. Felici, «Kermes», a. XVI, n. 51, 2003, pp. 39-56.

Conventino di San Giuliano(AQ), cappella oratorio, Storiedella Passione, sezione stratigra-fica lucidaDal basso: 1- scialbo di calce; 2- strato pittorico in legante pro-teico contenente numerose parti-celle di pigmento nero (nerod’ossa) e minuti inclusi gialli(massicot); 3-strato incoerente di naturaamorfa (probabilmente residui difissativo)

Volume II, Figure 1-2,pagina 303

Volume II, Figure 3-4-5-6,pagine 304-305-306-307

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Gli intonaci dipinti per la tomba di Filippo Strozzi hanno riservato numerose sor-prese durante le analisi dei materiali pittorici e dei procedimenti esecutivi.Malgrado permangano diverse incertezze, alcune informazioni fornite in questaoccasione appaiono particolarmente significative, dal momento che l’osservazionediretta non tradiva nulla che facesse sospettare una tecnica così poco ortodossa.Filippino preparò accuratamente il supporto, stendendo un intonachino di granulo-metria molto fine. Le giornate seguono accuratamente il profilo degli elementi figu-rativi, secondo i dettami dell’affresco, sebbene in molte di esse sia stata riscontratala sovrapposizione di una preparazione bianca in olio di lino, su cui il pittore ha M

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Raffaellino del Garbo, Storie diLavinia, Roma, Santa Mariasopra Minerva, sacello sepolcra-le del cardinale Oliviero Carafa,particolare della volta, dettagliodi Lavinia. Macrofotografia

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dipinto secondo i procedimenti della pittura su tavola27. Giornate stese a fresco edipinte totalmente a secco si affiancano così a giornate eseguite a fresco, secondouna personale soluzione di tecnica mista, straordinariamente funzionale ad una pit-tura che permettesse variazioni nei tempi e modi esecutivi e non sottostasse ad alcu-na rigida organizzazione del cantiere. L’impossibilità di una distinzione ad occhio nudo tra le diverse tecniche di stesu-ra deve consigliare cautela nell’accogliere osservazioni prive di conferme analiti-che, relativamente ad altre opere del pittore fiorentino. Le note pubblicate circal’apparente scarsità di finiture a secco nella cappella Carafa evidenziano la con-traddizione con il rilevamento di legante oleoso nei campioni prelevati da campi-ture gialle e rosse28. Cosicché, circa la supposta esecuzione a fresco, non assumeil valore di conferma indiretta la limitata estensione delle giornate, peraltro veri-ficata anche nella cappella Strozzi, mentre al contrario l’assenza di diffuse traccedel trasporto del disegno potrebbe rivelare l’uso di una tecnica mista. In entram-be le decorazioni non si ravvisano le incisioni indirette, mentre lo spolvero –minoritario nella cappella fiorentina – sembrerebbe soprattutto presente nellavolta della cappella Carafa.Può essere utile sottolineare come queste brevi note introduttive, che hanno presospunto dal ciclo sistino, si chiudano su alcuni tratti tecnico-pittorici rilevati nell’at-tività del maggiore allievo di Botticelli, il cui timbro abbiamo visto restare ben rico-noscibile nella controllata molteplicità di voci che i procedimenti pittorici dellaSistina seppero articolare. Una molteplicità che per tutto il corso del Quattrocentoera stata talmente evidente da non permettere di riconoscere una tecnica privilegia-ta ed egemone, quale sarebbe invece emersa successivamente, facendo dell’affrescoil perno e la prospettiva dell’analisi storica vasariana.

27 Un trattamento dell’intonaco finalizzato a renderlo adatto ai procedimenti della pittura su tavola richiama naturalmente ilquasi contemporaneo Cenacolo di Santa Maria delle Grazie, illustre assente tra i casi dibattuti al convegno anche per le stes-se modalità esecutive scelte da Leonardo, che lo collocano ai confini delle tecniche di pittura murale. Le numerose indaginiche hanno preceduto e accompagnato il recente intervento conservativo – eseguito da Pinin Brambilla Barcilon – concorda-no nella descrizione di stesure a tempera (uovo) e tempera grassa (probabilmente un’emulsione di uovo e olio di noce) su diun’imprimitura a biacca. Di maggiore interesse per le caratteristiche dell’esecuzione e dei materiali adoperati appare lo stu-dio della preparazione sottogiacente l’imprimitura, che non ha condotto a interpretazioni unanimi presso i vari gruppi di ricer-ca. Descritto da Antonietta Gallone (Politecnico di Milano) come una miscela di carbonato di calcio e carbonato di magnesioin legante a uovo, tale strato viene diversamente caratterizzato dalle analisi effettuate presso l’Opificio delle Pietre Dure, dovesulla base delle sostanze individuate venne anche riprodotto l’impasto per verificarne sperimentalmente le analogie con ilcomposto originale. Effettivamente la presenza nella preparazione di compositi di saponificazione degli olii, insieme a pro-teine insolubili, suggerisce che Leonardo possa aver prodotto a caldo un processo di saponificazione tra calce e olio, forseprendendo spunto da certe antiche ricette di encausto, per unire le proprietà minerali della calce a quelle idrorepellenti del-l’olio. L’esperimento si sarebbe rilevato un tragico errore per la conservazione del dipinto. M. MATTEINI, A MOLES, A preli-minary investigation of the unusual technique of Leonardo’s mural “The Last Supper”, «Studies in Conservation», vol. 24,1979, pp. 125-133; H. KÜHN, Naturwissenschaftliche Untersuchung von Leonardos “Abendmahl” in Santa Maria delleGrazie in Mailand, «Maltechnik - Restauro», vol. 91, n. 4, 1985, pp. 24-51; M. MATTEINI, A. MOLES, Il Cenacolo di Leonardo:considerazioni sulla tecnica pittorica, «OPD restauro», 1, 1986, pp. 34-41; P. BRAMBILLA BARCILON, P. MARANI, Leonardo:L’ultima Cena, Milano 1999; A. GALLONE, La nature et la distribution des liants dans la couche picturale: la Dernière Cènede Léonard de Vinci et la Pala Montefeltro de Piero della Francesca, in La peinture dans les Pays-Bas au 16e siècle, Le des-sin sous-jacent et la technologie dans la peinture, atti del XII convegno (Leuven, 11-13 settembre 1997) a cura di H.Verougstraete e R. Van Schoute, Leuven 1999, pp. 215-220.28 P. ZAMBRANO, J. KATZ NELSON, Filippino Lippi, Milano 2004, p. 580.


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