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CERVELLO E STORIA PDF

Date post: 08-Jan-2023
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Aurelio Musi Memoria cervello e storia Guida prima pagina
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Aurelio Musi

Memoriacervello e storia

Gui

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pagi

na

1

Prima paginanuova serie

Collana diretta daGiuseppe Galasso

15

2

3

Guida

Aurelio Musi

Memoria, cervello e storia

Introduzione di

Alberto Oliverio

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Collana di elevato valore culturaleMinistero per i Beni Culturali e Ambientali, L. 5 agosto 1981, n. 416 art. 34

2008 © Alfredo Guida EditoreNapoli - Via Portalba, [email protected]

Il sistema di qualità della casa editriceè certificato ISO 9001/2000

ISBN 978-88-6042-579-9

L’Editore potrà concedere a pagamento l’autorizzazione a riprodurre una por-zione non superiore al 15% del presente volume.Le richieste di riproduzione vanno inoltrate all’Associazione Italiana per i Dirittidi Riproduzione delle Opere dell’ingegno (AIDRO).Corso di Porta Romana, 108 - 20122 Milano - [email protected]

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Indice

007 Introduzione

011 i. Segni e storia

021 ii. Cervello, memoria, storiaNatura e memoria, 21; Freud e Jung: il rapporto presente-passato, 23; Cervello e storia, 27; Leggendo Kandel: il fat-tore tempo, 39; La storicità del vivente, 41; Storia, psicolo-gia, psicoanalisi, biologia: un nuovo senso dell’interdiscipli-narità, 48

053 iii. Il caso e la necessitàCausalità e casualità, 66; Libertà, casualità, arbitrarietà, ne-cessità: sull’uso possibile dell’analogia in storia, 59; Tempo,libertà, memorie, 66

069 iv. L’identità storicaMemoria collettiva e uso pubblico della storia, 72; Identità,differenze, eurocentrismo, 87

091 v. I fondamenti teorici della ricerca storicaFondamenti teorici: un ossimoro?, 91; Il paradosso dello sto-ricismo, 97; Storicità ed esperienza totale del vivente, 104

113 Conclusione

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Introduzione

La memoria e l’oblio sono i due aspetti, apparentementeopposti, di un processo che, sia a livello individuale sia collet-tivo, conferisce un senso all’esistenza: sono infatti i ricordi, diun individuo o di un gruppo sociale, ad indicarci le nostreorigini, le trasformazioni che si verificano nel tempo, le diffe-renze rispetto al passato. E sono gli stessi ricordi a dirci chein una certa misura siamo diversi dagli altri individui comeda altre collettività perché possediamo un capitale unico, dicui altri non dispongono. La memoria, in questa accezione, èuna sorta di guardiano che si oppone alla forza disgregatricedel tempo, a quell’oblio che tende a seppellire le tracce diuna storia che va salvaguardata, proprio in quanto essa coin-cide con il concetto di identità. Da un lato, quindi, vi è laforza preservatrice della memoria che dà voce alla storia in-dividuale e collettiva, dall’altro la forza disgregatrice del-l’oblio che progressivamente vela i ricordi della nostra infan-zia, gli avvenimenti del passato, le imprese di una collettività.

Memoria ed oblio rimandano tuttavia a una dimen-sione che non ha soltanto delle connotazioni binarie – lapersistenza o la scomparsa del ricordo – ma anche sfu-mate e ambigue: un’ambiguità che non deriva soltantodal fatto che il ricordo e la dimenticanza sono due pro-cessi estremamente vasti, sfaccettati e compositi, ma an-che da quello che esiste tra loro un sottile intreccio, unasorta di giusto equilibrio tra due forze in apparente con-traddizione. Vi è infine un’ulteriore, equivoca dimensio-ne che non riguarda tanto l’antinomia memoria-oblioquanto gli stessi ricordi: la memoria non è infatti un’en-tità stabile, immutabile nel tempo, impervia a successive

8 Introduzione

contaminazioni e ristrutturazioni, in quanto le memorie,individuali o collettive che esse siano, evolvono nel tem-po e si trasformano a tal punto da occultare il loro nu-cleo originario.

Della mutevolezza dei ricordi nel tempo testimonia-no numerosi dati sperimentali e clinici: questi ultimi, inparticolare, indicano come la persistenza temporale dialcuni ricordi o esperienze, che vengono ritenuti fonda-mentali da una determinata persona in quanto “pietremiliari” della sua vita, sia tutt’altro che stabile. Lo stessoevento, infatti, viene narrato in modo diverso, i partico-lari cambiano, muta il suo stesso significato, come se lamemoria, anziché corrispondere ad una precisa fotogra-fia della realtà, fosse un pezzo di plastilina che gradual-mente cambia forma.

La mutevolezza dei ricordi e il loro svanire nel tem-po non è che una delle numerose affinità che sembranoaccomunare le memorie individuali e quelle collettive: visono memorie lunghe e memorie brevi, memorie vere ememorie false, memorie che evolvono e memorie chesembrano essere immutabili, memorie intatte e memoriemanipolate... Si tratta di pure e semplici analogie, oppu-re i tempi e i modi della memoria psicobiologica, lamemoria che è alla base dei nostri ricordi individuali,contribuiscono anche a dar forma alle memorie colletti-ve? La memoria che è al centro delle attenzioni dellopsicobiologo ha insomma qualcosa in comune con lamemoria storica? Pur esistendo palesi differenze traqueste due realtà, la linea di confine che separa il singo-lo individuo – con le sue caratteristiche psicobiologiche– dalla collettività – con le sue dinamiche sociali – èspesso incerta: il massiccio bombardamento di immagini,messaggi, informazioni che incidono sulla nostra mentenon contribuisce forse a modificare la nostra memoriaindividuale, a diluire o sviare i nostri ricordi, a farci du-bitare che essi appartengano veramente a noi, che nonderivino da contaminazioni che hanno origine dalle vi-

9Introduzione

cende che si svolgono o che vengono rappresentate nelmondo reale o nell’immaginario dei media?

Questi temi sono al centro del bel saggio di AurelioMusi che ha inizio dalle analogie che, verso la fine deglianni Sessanta, sono state proposte tra linguistica e storia.Muovendo dall’approccio delle Annales e dalla discussio-ne sul carattere convenzionale e arbitrario della fonte,Musi si sofferma sulla questione della traccia e sul fattoche il documento come traccia è il segno di uno o piùfatti. “La traccia, cioè, in questo caso è una mediazionetra il fatto e la sua rappresentazione storica che ne limi-ta fortemente il tasso di arbitrarietà”. E in seguito, dopoaver passato in rassegna i punti problematici di numero-si approcci linguistici, prosegue indicando come inveceda un approfondimento del nesso fra memoria e storiapossano derivare non poche correzioni a una totale etotalizzante assimilazione della storia alla scienza lingui-stica.

Memoria e storia hanno in comune il passato o me-glio la relazione presente-passato, un fatto che, malgradoi timori espressi esattamente cinquanta anni fa da C.P.Snow, avvicina le “due culture” in quanto alcune scienzedella natura, accanto alle loro valenze narrative, sonoanche caratterizzate da una forte valenza storica: il cherappresenta un’importante funzione di cerniera tra lescienze naturali e quelle umane. La storicità, infatti, nonriguarda soltanto quelle scienze umane che, per defini-zione, vengono tradizionalmente associate a trasformazio-ni temporali quali, ad esempio, la sociologia o l’econo-mia: in realtà tutte le scienze, da quelle umane a quellenaturali, possono essere inquadrate in un continuum checontempla diversi livelli di certezza e che lascia spazio auna più o meno cospicua dimensione temporale. Que-st’ultima riguarda in particolare l’evoluzione degli organi-smi viventi – e di conseguenza ogni aspetto del vivente– in quanto gli ecosistemi, le specie, gli organismi e lostesso programma genetico di un individuo rappresenta-

10 Introduzione

no il prodotto storico di ere passate. Questa misura sto-rico-temporale che unisce la biologia delle popolazioni aquella molecolare, sottolinea gli aspetti funzionalisti del-l’adattamento, contrastando quel riduzionismo oltranzistacon cui, per lungo tempo, è stata identificata la biologia.Avviene così che, mentre la narrazione entra a far partedella descrizione e ricostruzione dei diversi eventi dellastoria dell’uomo, anche la dimensione storica costituisceun elemento unificante di diverse discipline che trattanodell’uomo: ma la stessa fisica, si pensi ad esempio allafisica celeste o alle scienze della terra, sono tutt’altroche immuni da aspetti “narrativi”.

Il merito del saggio di Musi è di individuare, al di làdelle ovvie analogie, gli snodi che accomunano memoriabiologica e memoria storica, la dimensione evolutiva, losvolgimento e la temporalità che caratterizzano sistemanervoso e processo storico. Musi nota come le scienzeche studiano queste dimensioni non siano altro chescienze del mutamento e prosegue indicando come “lamemoria biologica e la memoria storica conferiscanosenso in stretta dipendenza con il contesto. Esso è for-mato da ricordi ed emozioni: come la conoscenza storicanon può vivere sulla base della pura razionalità ma haanche bisogno del pathos”. Penso che questa osservazio-ne costituisca uno degli aspetti più originali di que-st’opera, sottolinei giustamente sia la fondamentale di-mensione emozionale della memoria biologica, tutt’altroche un freddo codice cognitivo, sia quella che è al cen-tro degli eventi collettivi, quel pathos che ha un ruolocritico nelle vicende umane e che anima quelle descrittedal grande Tolstoj in Guerra e Pace, un romanzo maanche un trattato sulla filosofia della storia e sul signifi-cato della memoria.

Alberto Oliverio

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Segni e StoriaI

Segno è l’unità di significante e significato, materia lin-guistica e sua concettualizzazione. Su questa base FerdinandDe Saussure ha costruito il suo corso di linguistica generale.“Il segno linguistico unisce non una cosa e un nome, ma unconcetto e un’immagine acustica. Quest’ultima non è il suonomateriale, cosa puramente fisica, ma la traccia psichica diquesto suono, la rappresentazione che ci viene data dalla te-stimonianza dei nostri sensi: essa è sensoriale e se ci capita dichiamarla materiale, ciò avviene solo in tal senso e in opposi-zione all’altro termine dell’associazione, il concetto, general-mente, più astratto”1. Per il ginevrino la linguistica è una par-te della più generale scienza generale dei segni.

Roland Barthes, nei suoi Elementi di semiologia2, non soloribalta la prospettiva di De Saussure e considera la semiologiacome una parte della linguistica, ma analizza i messaggi, cioèle unità significanti, entro un comune sistema di codici.

Sia i segni linguistici come teorizzati da De Saussure, siai messaggi entro sistemi di codici, studiati da Barthes, han-no, al di là delle differenze, per lo meno un carattere comu-ne: l’associazione stimolo-risposta non è un meccanismo ele-mentare, riferibile al gioco deterministico dei riflessi condi-zionati, ma un sistema complesso entro cui agiscono molte-plici variabili.

Tra la fine degli anni Sessanta e il decennio successivodel secolo scorso ha avuto una certa fortuna storiografica

1 F. DE SAUSSURE, Corso di linguistica generale, trad. it. a cura di T.De Mauro, Bari 1967, pp. 83-84.

2 R. BARTHES, Elementi di semiologia. Linguistica e scienza delle si-gnificazioni, Torino 1964.

Aurelio Musi12

l’analogia tra linguistica e storia: è stato questo uno dei capi-toli della fortuna internazionale delle Annales.3 Dalle paginedi questa rivista è stato rappresentato uno schema che puòessere indicato nel modo seguente. Siano A, B, C, D, ecc.dei fatti che si dispongono in una catena di successione stori-ca e si organizzano in un intreccio. Le successioni sono scan-dite da ritmi cronologici, biologici, ecc; i fatti si dispongonofra loro nello spazio e nel tempo in relazione puramente ac-cidentale. Siano A1...An, B1...Bn, ecc. serie di scritture oqualsiasi altro tipo di linguaggi che portano a conoscenzadello storico i fatti A, B, ecc. Il rapporto tra la serie di fontiAn e il fatto A viene assunto nel senso del segno saussuriano,come rapporto tra significante e significato. De Saussure ave-va stabilito il principio dell’arbitrarietà del segno: il legameche unisce il significante al significato è arbitrario nel sensoche tra il suono di una parola e il concetto implicito in quellaparola non vi è alcun rapporto interno necessitante. Analoga-mente, per certa storiografia degli ultimi decenni del secoloscorso, fra il campo dell’evidenza storica e il campo dei co-siddetti documenti non si dà alcuna relazione necessitante.La scelta che seleziona An documenti per descrivere il fattoA non ha le sue radici e i suoi motivi in A; il valore di A1non è dato dal suo legame con uno o più elementi di A, ben-sì dalla sua funzione e dalla sua relazione nella serie An. Ifatti storici rappresentati nella fonte costituiscono una sele-zione; i criteri di tale selezione sono sempre arbitrari rispettoai fatti; i documenti sono solo tracce che delimitano in unacatena di successioni alcuni elementi e non altri. Sono chia-rissime le analogie con la teoria linguistica di De Saussure:dal ginevrino sono assunte la nozione di sistema, serie, quelladi valore del segno, di selezione dei tratti pertinenti ecc. Sitratta di un esempio assai eloquente di una tendenza dellapratica storiografica risalente ad alcuni decenni orsono: stru-menti di analisi, elaborati in ambiti teorici di altre scienze eapplicati per lo studio di altri oggetti, sono estrapolati dalloro contesto scientifico e trasferiti abbastanza meccanica-

3 Per le notazioni che seguono cfr. A. MUSI, La storia debole. Criticadella “nuova storia”, Napoli 1994, pp. 17 ss.

Segni e storia 13

mente nella ricerca storica. L’insistenza sul carattere conven-zionale e arbitrario della fonte è conseguenza del primato delcostruttivismo e del soggettivismo nella ricerca storica: il fat-to è una costruzione; la selezione dei tratti pertinenti, delletracce viene tutta affidata allo storico.

Si tratta di una tendenza che estremizza alcune premessestabilite da uno dei padri fondatori delle Annales, Marc Bloch.Riprendendo un’espressione di Simiand, l’autore di Apologiadella storia scrive che “la conoscenza di tutti i fatti umani delpassato e della maggior parte di essi nel presente ha come suaprima caratteristica quella di essere una conoscenza per via ditracce (...) Che cosa intendiamo infatti per documenti se nonuna traccia, ossia un segno, percettibile ai sensi, lasciato da unfenomeno non afferrabile in se stesso?”4. È proprio per talemotivo che Bloch assegna un posto di primo piano alla lingui-stica come scienza ausiliaria della storia: “L’elenco delle disci-pline ausiliari, il cui apprendimento noi proponiamo ai prin-cipianti, è eccessivamente limitato. Trattandosi di uomini che,nella buona metà dei casi, potranno attingere gli oggetti deiloro studi solo attraverso le parole, per quale assurdo paralo-gismo permettiamo, tra le altre lacune, che ignorino le con-quiste fondamentali della linguistica?”5.

È opportuno riflettere meglio sulla questione della trac-cia. Il documento come traccia è il segno di uno o più fatti.La traccia, cioè, in questo caso è una mediazione tra il fattoe la sua rappresentazione storica che ne limita fortemente iltasso di arbitrarietà. Molteplici possono essere i significati deltermine traccia. Essa può essere un’impronta lineare lasciatasul terreno, uno schema, un indizio, un segno che testimoniadi un fatto. La traccia in storia non può essere mai un’im-pronta lineare, perché non lineare, ma segmentato, tortuoso,molteplice è il tempo storico. Deve essere dunque necessa-riamente assunta come un segno, un indizio. Segni e indizidevono essere collegati tra di loro non per costruire intreccio per il puro gusto di tessere una tela: gli intrecci e la tela

4 M. BLOCH, Apologia della storia o mestiere di storico, Torino 1993,p. 63.

5 Ivi, p. 73, ma si veda pure p. 115.

Aurelio Musi14

devono sempre e comunque rappresentare realtà innegabili.Solo così la storia si legittima come forma di conoscenza. Illavoro storico si sviluppa dalle tracce. Si scopre così che, peresempio, alcune fonti sono state trascurate a vantaggio di al-tre. Carlo Ginzburg ha scoperto altre tracce, cioè altri modid’uso delle fonti inquisitoriali: denunce e testimonianze sonoapparse più preziose delle confessioni. Gli inquisitori nonriuscivano a capire i benandanti, protagonisti di riti di fertili-tà, se non inquadrandoli nelle proprie conoscenze sulla stre-goneria: costringendoli, quindi, a confessarsi stregoni6.

Altre interpretazioni della traccia inducono invece la co-noscenza storica nel rischio dell’arbitrarietà. È questo il ri-schio che corre una visione della storia come quella di PaulVeyne. Egli ha proposto alcune proposizioni per un’episte-mologia della storia. Lo storico francese parte dal concetto diserie: “È impossibile decidere che un certo fatto è storico,mentre un altro merita l’oblio, perché ogni fatto appartienead una serie determinata e la sua importanza relativa è valu-tabile soltanto all’interno della sua serie (...) Il campo degliavvenimenti è un incrocio di serie”7. Corollario di questa as-serzione è quella successiva: “La Storia con la iniziale maiu-scola non esiste. Esistono soltanto le storie di...”8. Quindi iltessuto della storia è un intreccio9. Alla teoria linguistica de-gli insiemi e dei tratti pertinenti rinvia poi l’affermazione del-l’impossibilità di descrivere una totalità e della necessità dellaselezione. Logica conseguenza di queste premesse è la posi-zione nominalistica di Veyne: “Poiché tutto è storico, la storiasarà ciò che noi sceglieremo”10. Così “contro l’insegnamentoaccademico della storia” Veyne rivendica “mille strutturazionipossibili”11, la “ridondanza del fatto”, la necessità della storia

6 Cfr. C. GINZBURG, Il filo e le tracce. Vero, falso, finto, Milano 2006.Resta fondamentale la prova, in passato parte integrante della retorica,oggi fondamentale nel modo di lavorare dello storico cfr. C. GINZBURG,Rapporti di forza. Storia, retorica, prova, Milano 2001.

7 P. VEYNE, Come si scrive la storia, Roma-Bari 1973, p. 41.8 Ibidem.9 Ivi, p. 61.10 Ivi, p. 78.11 Ivi, p. 82.

Segni e storia 15

comparata come “critica letteraria”12: solo così la conoscenzastorica sarebbe “disinteressata”, assumerebbe un caratterepuramente “intellettuale”13, sottrarrebbe al tempo il suo ca-rattere essenziale e costituzionale per la storia. Quindi la sto-ria non può mai essere “attività spontanea”, è “ricostruzione,non dato esistenziale”14.

Il gusto tipicamente francese della dicotomia si avvertein tutte le argomentazioni di Veyne. Così la spiegazione stori-ca non è teoria, tipizzazione e concettualizzazione, ma un ge-nere letterario, “riassunto di intrecci”. La storia si opponealla scienza: la prima appartiene all’orizzonte della doxa, fattadi casualità, descrizione artistica, intenzionalità, caratteristi-che del vissuto; la seconda è episteme, fatta di legge, spiega-zione, effetto non intenzionale, caratteristiche dell’astrazione.

La visione di Veyne potrebbe essere rappresentata comeuna dialettica senza sintesi, che procede lungo l’irriducibilecontraddizione tra teoria e storia e approda ad una non supe-rabile arbitrarietà sia del momento della ricostruzione sia diquello dell’interpretazione.

Lo strettissimo legame tra storia e linguistica è alla basedell’interpretazione della conoscenza storica come scrittura egenere letterario, proposta da Hayden White15.

Egli distingue tra gli eventi, cioè gli accadimenti, e i fatti,cioè la loro descrizione linguistica. La storia, consideratacome sistema di segni, costituisce la mediazione tra gli eventidescritti nella narrazione e “il tipo di storia o mito che lo sto-rico ha scelto come icona della struttura degli eventi. La nar-razione non è l’icona: la sua funzione è descrivere eventi con-tenuti nelle fonti in modo tale sia da informare il lettore suquello che deve essere recepito come icona degli eventi siada renderglieli familiari”16. Insomma gli eventi diventanostrutture di intreccio e complessi di relazioni solo entro la

12 Ivi, p. 84.13 Ivi, p. 115.14 Ivi, p. 128.15 H. WHITE, Forme di storia. Dalla realtà alla narrazione, a cura di

E. Tortarolo, Roma 2006.16 Ivi, p. 23.

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narrazione storica17. Storia-scrittura, dunque: la coerenza for-male è il parametro del discorso storico ed essa stessa princi-pio di realtà. Ma White si spinge oltre. Egli scrive che l’og-getto della storia è la conoscenza del reale attraverso la cono-scenza delle differenze o delle somiglianze con l’immaginabi-le: le radici della storia possono persino situarsi nell’immagi-nazione letteraria18.

Non si può in questa sede riprendere l’intero dibattitosuscitato dagli stimolanti scritti di Hayden White. Vorrei solorilevare alcuni elementi utili per il ragionamento complessivoqui proposto.

White ha ragione quando sostiene che i fatti non esauri-scono i significati degli eventi. Ma essi ne costituiscono co-munque la base. Nella prospettiva di White non è difficilegiungere alla loro stessa negazione. La coerenza formale di-venta parametro del discorso storico e principio di realtà19. Èpericoloso anche il circolo, postulato da White, tra ordinenarrativo, ordine storico, ordine morale20. La storia comescrittura e il discorso storico come pura interpretazione salta-no il momento della descrizione e della spiegazione21. Ed èproblematico asserire che la “radicale novità” degli eventi delsecolo XX garantisca sulla loro fattualità22. A tale propositolascia assai perplessi l’interpretazione del revisionismo. Se lanarrazione storica può riferirsi a eventi reali del mondo soloattraverso figure di discorso e figure di pensiero, concepirecioè la struttura di intreccio come raffigurazione, il revisioni-smo storico allora non introduce nuovi elementi fattuali maassume “la forma di una re-figurazione di eventi già espressiin qualche forma canonica”23. Ha ragione Ginzburg24, quandocritica il soggettivismo di Hayden White, il suo scetticismo, ilsalto logico tra l’affermazione della non distinguibilità fra sto-

17 Ivi, pp. 27-29.18 Ivi, pp. 33-35.19 Ivi, p. 56.20 Ivi, pp. 58 ss.21 Ivi, pp. 62-68.22 Ivi, p. 107.23 Ivi, p. 186.24 C. GINZBURG, op. cit.

Segni e storia 17

ria e finzione e la contestazione del negazionismo sull’Olo-causto di Faurisson.

Sia la visione della storia come linguaggio, prima consi-derata, sia l’opera di Veyne, sia la concezione di White hannodunque in comune l’idea della storia come scrittura, sistemadi segni, e il costruttivismo integrale dell’evento storico: lacoerenza formale diventa parametro del discorso storico edessa stessa principio di realtà.

Ben altra e più convincente visione si esprime nell’operadi Marrou25. Anche per l’antichista francese il passato, natu-ralmente, non può essere conosciuto direttamente, ma “soloattraverso le tracce che ha lasciato dietro di sé, e che noi riu-sciamo a capire, e inoltre soltanto nella misura in cui questetracce sono state lasciate, in cui le abbiamo ritrovate e ci sia-mo mostrati capaci di interpretarle”26. Le tracce – documen-ti, segni, testi – richiedono l’atto del comprendere. L’euristicaè un’arte, nel senso che rinvia a regole, ma anche all’ingegnodello storico. “L’elaborazione della conoscenza storica ci mo-stra in atto l’operazione logica fondamentale: la comprensio-ne (...) Da un punto di vista empirico la comprensione stori-ca si manifesta come l’interpretazione di segni o di indizi, lacui realtà immediata ci permette di cogliere qualcosa dell’uo-mo di un tempo”27. Segni, tracce, indizi rinviano ad un am-biente complesso che è il contesto. Anche per Marrou il fattostorico non è un dato iniziale: esso richiede un lavoro di ela-borazione e di costruzione; ma ad esso non si può negare ilvalore di realtà.

Forse è necessario invertire il percorso epistemologico,per così dire: non dalla storia alla linguistica, assunta comescienza formale delle regole del discorso e della scrittura; madalla linguistica alla storia, alla scoperta della stessa storicitàdel fatto linguistico.

La linguistica come disciplina storica: non si tratta qui diriprendere l’opposizione tra formalisti e storicisti. Si trattapiuttosto di rivedere alla radice il rapporto tra la storia e le

25 H. I. MARROU, La conoscenza storica, Bologna 1988.26 Ivi, p. 59.27 Ivi, p. 68.

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altre discipline: superando sia la subalternità della prima alleseconde, sia il carattere “ausiliario” delle seconde rispetto allaprima. Pur in presenza di differenze nella natura degli ogget-ti, nei metodi e nelle tecniche, linguistica e storia hanno incomune la dimensione della storicità. Il linguaggio come sto-ria è al centro delle ricerche di C. Schick, che scrive: “Il co-stante divenire è condizione ed essenza della vitalità del lin-guaggio”28, che nella mutevolezza trova le sue condizioni divita. Non leggi, ma tendenze governano il ritmo incessantedel mutamento e della sua “armonia” interna: l’individuo par-lante è il regolatore e l’arbitro del gioco linguistico. Così l’at-tività linguistica dell’individuo rappresenta una graduale con-quista di libertà espressiva29. E “la massima libertà espressivacoincide con la massima storicità”. L’efficacia stessa del-l’espressione è in rapporto con la sua storicità30.

Anche per Sapir31 le lingue sono strutture storiche estre-mamente complesse e la storia dei linguaggi mostra un co-stante, anche se difficile, equilibrio tra sincronia e diacronia,tra spazio e tempo. La concezione della lingua come prodot-to storico è confermata dalla teoria della deriva, dal passag-gio dalla lingua ai dialetti: la deriva linguistica ha una direzio-ne, “selezione inconscia di variazioni individuali che si con-centrano in un’unica direzione”32. La vita stessa della lingua èconsiderata da Sapir come una deriva.

Forse, stimolati da Sapir, si può ulteriormente rifletteresul termine deriva come una delle metafore più rappresenta-tive della storicità. Nel senso oceanografico, deriva è la de-viazione dalle rotte marine o aeree. In geologia si parla di de-riva dei continenti. In fisica è la variazione, graduale nel tem-po, di una grandezza. E nell’espressione “in balia degli even-ti” si fa precisamente riferimento alla dimensione anche ca-suale del mutamento. Ma è possibile ricordare per lo meno

28 C. SCHICK, Il linguaggio. Natura, struttura, storicità del fatto lin-guistico, Torino 1960, p. 318.

29 Ivi, pp. 84 ss.30 Ivi, pp. 103-105.31 E. SAPIR, Il linguaggio. Introduzione alla linguistica, Torino 1969.32 Ivi, pp. 155 ss.

Segni e storia 19

altri tre significati in cui deriva e storicità formano quasiun’endiadi. Ed è particolarmente interessante il fatto chequell’endiadi costituisca quasi un ponte tra saperi tecnico-scientifici e saperi umanistici. Per l’antropologia la derivaculturale è la variabilità di ricezione nel processo di trasmis-sione ed evoluzione culturali. Per l’etnologia è la variabilitàdi una tradizione in trasformazione graduale e costante dauna generazione ad un’altra. Infine la genetica usa il terminederiva per indicare i mutamenti nel genoma: la fluttuazionedella frequenza dei geni attraverso le differenti generazionidi una popolazione consente sia il mantenimento sia l’even-tuale evoluzione di una specie.

Umberto Eco ha ribadito la storicità della pratica semio-tica. “La semiotica – egli ha scritto – non è solo una teoria,ma una pratica continua. Lo è perché il sistema semanticomuta ed essa non può descriverlo che parzialmente e in ri-sposta ad accadimenti comunicativi concreti. Lo è perchél’analisi semiotica modifica il sistema che mette in luce. Lo èperché la pratica sociale stessa non può che esprimersi informa di semiosi. I segni sono dunque una forza sociale enon semplici strumenti di rispecchiamento di forze sociali”33.

La storicità del linguaggio è riscontrabile nella stessaesperienza filogenetica e ontogenetica, nello sviluppo dalbambino all’uomo adulto. Forse, come è stato rilevato in unaricerca recente, persino qualcosa del balbettio neonatale ri-mane anche nel linguaggio dell’adulto. È la tesi di DanielHeller-Roazen34. Al principio il neonato emette un’infinitacongerie di suoni. Poi essa scompare e all’apice del balbettioemergono sia una lingua sia un essere parlante. La perdita diquell’illimitato armamentario fonetico è il pegno che il bam-bino deve pagare per ottenere i documenti che gli garanti-scano piena cittadinanza nella comunità di una sola lingua. O

33 U. ECO, Segno, Milano 1973, p. 159. Si vedano per prospettive inparte diverse: R. BARTHES, Le discourse de l’histoire, in «Social ScienceInformation», VI (1967), pp. 65-75; J. KRISTEWA, Semiotiké. Recherchespour une semanalyse, Paris 1969; A. GREIMAS, Du sens. Essais semioti-ques, Paris 1970, pp. 103-116 in particolare; G. MOUNIN, Introduction à lasemiologie, Paris 1970.

34 D. HELLER-ROAZEN, Ecolalie, Milano 2008.

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– ed è la tesi di Heller-Roazen – qualcosa di quel balbettiosotto traccia permane anche nel linguaggio dell’adulto. Secosì fosse, questo frammento, questa permanenza non po-trebbero che presentarsi nella forma dell’eco, l’eco di un’al-tra lingua o qualcosa di altro dal linguaggio: un’ecolalia, ap-punto, custode della memoria di quel balbettio indistinto eimmemoriale che, perdendosi, ha permesso a tutte le linguedi esistere. L’autore suggerisce che all’aleph competa la di-mensione del luogo vuoto, della lettera muta capace di custo-dire l’oblio che inaugura ogni alfabeto. L’eco, in altri termini,della memoria cancellata di quella babele infantile che, nel-l’attimo in cui scompare, rende possibile la presa di parola.

L’esempio del balbettio sotto traccia che permane nellinguaggio dell’adulto, oltre che essere un’ulteriore testimo-nianza della storicità del linguaggio riscontrabile nell’espe-rienza filogenetica e ontogenetica, richiama un altro aspettodella fonte come traccia, assai ben evidenziato, a propositodel diritto, da Paolo Grossi. Egli interpreta la fonte giuridicacome metafora: come le fonti del nostro paesaggio fisico, lasua valenza metaforica “esprime bene l’essenza del fenomenogiuridico quale manifestarsi alla superficie storica provenien-te però da strati profondi”35. Secondo Grossi, “il diritto puòordinare il sociale perché è realtà di radici, e radici profon-de”36. Naturalmente la fonte, così considerata, base di ognitesto giuridico, ha bisogno della comprensione e dell’interpre-tazione: “alla vecchia dominanza del testo, alla vecchia passi-vità dell’interprete si sostituisce la persuasione che il testonon è una realtà autosufficiente ma anzi incompleta e incom-piuta, che attingerà completezza e compiutezza soltanto gra-zie alla sua interpretazione; la quale non si risolve soltanto inuna operazione conoscitiva, ma è comprensione, nel senso diintermediazione tra il messaggio del testo, estraniato dallastoria per la immobilizzazione della scrittura, e l’attualità del-l’interprete con il suo patrimonio di convinzioni proprie allasua contemporaneità”37.

35 P. GROSSI, Prima lezione di diritto, Roma-Bari 2008, p. 78.36 Ibidem.37 Ivi, p. 107.

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Cervello, memoria, storiaII

Natura e memoria

Da un approfondimento del nesso fra memoria e storiapossono derivare non poche correzioni a una totale e totaliz-zante assimilazione della storia alla scienza linguistica. In co-mune memoria e storia hanno, ovviamente, il passato; me-glio, la relazione presente-passato. Uso non a caso il presentecome primo termine del nesso: è sempre il presente che sol-lecita la memoria del passato. La memoria è la capacità del-l’uomo di ricordare, riconoscere, ridestare: il ricordo consen-te il ri-conoscimento, ossia non solo la conoscenza, ma anchel’elaborazione di un avvicinamento al passato, se non di unvero sentimento di appartenenza e di assimilazione al propriovissuto; l’operazione del ridestare consente infine di rivivereil passato.

Nel rapporto fra natura e memoria forse ritroviamo qual-che elemento del rapporto tra linguistica e storia: si tratta,tuttavia, di elementi difficilmente formalizzabili e assolutizza-bili. Virginia Woolf, in una pagina di uno dei suoi più beiromanzi, Orlando, ci illumina sulla complessa relazione franatura e memoria. Così scrive la Woolf: “La Natura dunquesi è compiaciuta di imbrogliare ancora la matassa, fomentan-do la nostra confusione quasi non le bastasse aver fatto di noidei fantocci tra i più bizzarri e disparatamente costruiti e hacongegnato il tutto in modo che l’intero assortimento fosseriunito da un’unica leggera cucitrice. La cucitrice è la Me-moria ed è una cucitrice capricciosa la sua parte. La Memo-ria fa correr l’ago su e giù, a dritta e a manca, di qua e di là.Non sappiamo mai quel che viene, né quel che segue poi.Perciò il gesto più naturale del mondo, quale il mettersi a

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tavolino e attirare a sé il calamaio, può sconvolgere milleframmenti bizzarri e sconnessi, ora variopinti ora scuri, cheballano e svolazzano e si agitano come il bucato di una fami-glia di quattordici teste steso in una giornata di vento. Invecedi riuscire un bel capo d’opra, fatto con coscienza, di cuinessuno al mondo debba vergognarsi, ecco che le nostreazioni più comuni s’involano inquiete alla minima folata, ebrillano e scintillano come luci instabili”38. Naturalmente – èappena il caso di osservarlo – in questo luogo la Woolf si rife-risce soprattutto alla memoria letteraria. Ma l’invito a fare iconti con la problematicità della memoria può essere tran-quillamente accolto anche dallo storico. In particolare colpi-scono alcune immagini di straordinaria efficacia: la memoriacome cucitrice capricciosa e leggera del congegno naturale;la necessità, a volte piacevole a volte drammatica, della selet-tività, che fa perdere e riconquistare frammenti, ma che nonconsente di attingere alla completezza del passato; il tempodella memoria assai lontano da quello della successione line-are; l’instabilità e l’inquietudine perturbante della memoriasvolazzante.

Per analogia noi possiamo ritrovare tutte le questioni,mirabilmente trasfigurate nell’universo letterario di VirginiaWoolf, nelle molteplici specificazioni della memoria: la me-moria genetica, la memoria immunitaria, la memoria asso-ciativa, la memoria locale, la memoria con tutte le connota-zioni studiate soprattutto da Freud – l’eredità arcaica, la pre-disposizione, le tracce mnestiche, i contenuti ideativi presentinell’uomo fin dalla nascita, ecc. –, la memoria uditiva, la me-moria visiva, la memoria olfattiva, ecc. Tutti questi aspettidella memoria hanno in comune il rapporto presente-passa-to: ossia un particolare tipo di condizionamento causale, che,tuttavia, non si esprime in circostanze fisse, ma in condizio-ni variabili. Necessità e accidentalità esercitano cioè un ruo-lo altrettanto importante in tutte le molteplici specificazionidella memoria.

38 V. WOOLF, Orlando, Milano 1978, pp. 52-53.

Cervello, memoria, storia 23

Freud e Jung: il rapporto presente-passato

Il rapporto presente-passato è forse uno dei temi piùcomplessi, controversi e suscettibili di approssimazioni e va-riazioni successive affrontati da Freud nelle sue opere. Loconferma un’analisi, sia pure sommaria, delle tracce da luilasciate dal 1895 fino al 1938, lungo cioè l’intero svolgimentotemporale delle sue pubblicazioni.

Nel primo scritto qui analizzato, Progetto per una psico-logia (1895), la memoria è considerata una delle principalicaratteristiche del tessuto nervoso, cioè “la facoltà di sentireun’alterazione permanente in seguito a un evento”39. MaFreud identifica immediatamente la difficoltà-contraddizionecon cui si scontra qualsiasi spiegazione della memoria: da unlato il presupposto del mutamento permanente dei neuronirispetto alle condizioni iniziali dopo l’eccitamento; dall’altro ilfatto che i nuovi eccitamenti incontrano le stesse condizionidi ricettività dei precedenti. A questo stadio il padre dellapsicanalisi risolve il problema con la teoria delle “barriere dicontatto”40: vi sono neuroni permeabili, che non offrono resi-stenza e non trattengono nulla (svolgono la funzione dellapercezione) e neuroni impermeabili, veicoli della memoria epresumibilmente dei processi psichici in genere.

Ne L’interpretazione dei sogni, pubblicata quattro annidopo, Freud perviene al dualismo tra coscienza e inconscio:con evidenti contraccolpi sul problema della memoria. Il si-stema che raccoglie le percezioni “non ha facoltà di conser-vare mutamenti, non ha dunque memoria: da ciò deriva tuttala varietà delle qualità sensoriali della nostra coscienza. Vice-versa i nostri ricordi, non esclusi quelli più profondamenteimpressi in noi, sono di per sé inconsci”41. La formazione delcarattere viene sviluppandosi sulle “tracce mnestiche dellenostre impressioni inconsce. Se i ricordi diventano coscienti,

39 S. FREUD, Opere, vol. II, 1892-1899, dir. da C. L. Musatti, Torino1968, p. 204.

40 Ivi, pp. 205 ss.41 S. FREUD, Opere, vol. III, 1899, dir. da C. L. Musatti, Torino 1980,

p. 493.

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non mostrano alcuna qualità sensoriale, oppure assai esigua,rispetto alle percezioni”42.

Importantissimo, ai fini del ragionamento qui proposto, èlo scritto Al di là del principio di piacere, del 1920. Qui laquestione del passato nella teoria psicanalitica si innesta sulladiscussione del principio di piacere come principio di realtà,sulla teoria della rimozione, sulla tripartizione dei diversi at-teggiamenti di fronte al pericolo (spavento, paura, angoscia),sull’interpretazione del gioco del bambino: “il bambino ripetenel giuoco un’esperienza sgradevole solo perché a questaesperienza è legato l’ottenimento di un piacere di tipo diver-so”43. La coazione a ripetere, il comportamento nella trasla-zione sono “l’eterno ritorno dell’uguale”44, una condizioneche Freud riprende dal Nietzsche di Così parlò Zarathustra,esplicitamente citato. È in quest’opera che viene elaborata lateoria delle tracce mnestiche: tutti i processi di eccitamento,che hanno luogo in sistemi diversi da quello della coscienza,“lasciano in essi tracce permanenti che costituiscono la basedella memoria: residui mnestici dunque, che nulla hanno ache fare con il processo del diventare cosciente”45. La co-scienza sorge proprio al posto di una traccia mnestica. I pro-cessi psichici inconsci sono atemporali, nel senso che nonpuò essere ad essi applicata la rappresentazione del tempolineare. La tendenza a rispristinare uno stato precedente è ilcarattere universale delle pulsioni.

Il problema del tempo si ripresenta in Nota sul “notesmagico” del 1924. Freud qui sostiene che l’apparato percetti-vo della psiche è costituito da due strati: come nella celluloi-de del “notes magico” uno strato esterno protegge dagli sti-moli, diminuisce la quantità di eccitamenti; una superficiesottostante (il sistema P-C) riceve invece gli stimoli. “Lo stra-to deputato alla ricezione degli stimoli, ossia il sistema P-C,non dà luogo a tracce mnestiche permanenti; i fondamentidei nostri ricordi si formano in un altro sistema a quello adia-

42 Ibidem.43 S. FREUD, Opere, vol. IX, dir. da C. L. Musatti, Torino 1980, p. 202.44 Ivi, p. 208.45 Ivi, pp. 210-211.

Cervello, memoria, storia 25

cente”46. La discontinuità del sistema P-C dà origine alla rap-presentazione del tempo.

Fra il 1934 e il 1938, in particolare nello scritto L’uomoMosè e la religione monoteistica, Freud riprende con maggio-re sistematicità una questione già presente in opere prece-denti, soprattutto in Totem e tabù (1913) e Un bambino vienepicchiato (1919): il problema dell’ereditarietà nella vita psi-chica. Il maestro viennese riflette in special modo sull’ereditàarcaica nella vita psichica, sulla presenza di cinque elementidi provenienza filogenetica. Essi sono:a) la generalità del simbolismo linguistico, assunto a caso di

ereditarietà di una disposizione mentale;b) le reazioni del bambino piccolo ai traumi: “l’eredità arcai-

ca non abbraccia solo disposizioni, ma anche contenuti,tracce mnestiche di ciò che fu vissuto da generazioni pre-cedenti”47;

c) il percorso dalla psicologia individuale alla psicologia col-lettiva;

d) la riduzione della frattura tra uomo e animale;e) i fenomeni religiosi che hanno sperimentato il destino del-

la rimozione48.Riepilogando. Freud, al di là della natura problematica di

alcuni elementi della sua teoria psicanalitica che non è miocompito discutere, lascia in eredità agli sviluppi futuri delleneuroscienze in tema di memoria alcune fondamentali sco-perte:– la memoria è una delle principali caratteristiche del tessu-

to nervoso e un regolatore del rapporto tra mutamenti epermanenze nella nostra vita psichica;

– i processi di eccitamento si svolgono in sistemi diversi daquello della coscienza; tali eventi lasciano residui mnesticiche costituiscono la base della memoria, ma sono distintie distanti dalla coscienza;

46 S. FREUD, Opere, vol. X, 1924-1929, dir. da C. L. Musatti, Torino1981, pp. 66-67.

47 S. FREUD, Opere, vol. XI, 1930-1938, dir. da C. L. Musatti, Torino1980, p. 420.

48 Ivi, pp. 418 ss.

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– la temporalità della memoria non è dunque lineare e con-tinua, ma frammentaria e discontinua;

– il concetto di traccia mnestica non è riferibile solo al-l’esperienza individuale, ontogenetica, dell’uomo, ma puòaffondare le sue radici nell’eredità arcaica, nell’esperienzavissuta da generazioni precedenti;

– Freud adduce argomenti contro la localizzazione dellefunzioni, l’assunto cioè che i ricordi esistano nel nostrocervello sotto forma di tracce permanenti, accuratamentearchiviate e catalogate. Scrive Rosenfield: Freud suggerìche “i ricordi abbiano un carattere frammentario e cheperciò il riconoscimento non possa consistere semplice-mente in un confronto tra immagini percepite e immaginimemorizzate. Osservò che frammenti sparsi di una perso-na si manifestano spesso in sogni e sintomi nevrotici e chevengono riconosciuti come ricordi solo quando sono asso-ciati a emozioni. Nella concezione di Freud ha un’impor-tanza centrale l’idea che ricordi e percezioni siano struttu-rati dalle emozioni”49. In effetti Freud, sia pure in terminiancora impliciti e a lui poco chiari, si avvicinava al sistemalimbico, delle strutture, come vedremo, interconnesse al-l’interno dell’encefalo. “La teoria freudiana – continuaRosenfield – avrebbe potuto fornire una comprensionedel sistema limbico e del suo ruolo nelle funzioni cerebra-li in generale più completa di quella fornita dagli studineuroanatomici frammentari che vengono pubblicatioggi”50.

Diversa è la posizione di Jung51. Memoria e ricordo, perlui, sono alla base sia della coscienza che dell’inconscio. Lacoscienza ha un carattere intensivo, concentrato, è rivolta al-l’immediato presente e all’immediato avvenire. L’inconscio èestensivo, ha una memoria assai più ampia52. La continuità

49 I. ROSENFIELD, L’invenzione della memoria. Il cervello e i processicognitivi, Milano 1989, p. 13.

50 Ivi, p. 14.51 Cfr. C. G. JUNG, Opere, vol. VIII: La dinamica dell’inconscio, dir. da

L. Aurigemma, Milano 1983.52 Ivi, pp. 375-376.

Cervello, memoria, storia 27

della memoria appartiene ad uno stadio evoluto dello svilup-po del bambino e si sviluppa come continuità dei ricordi del-l’io53. Tuttavia, “la nostra memoria fa i salti più matti, ci stu-pisce senza che ci sia dato di intervenire, e ci vengono inmente fantasie che non abbiamo cercato né atteso”54. Perce-zione, pensiero e sentimento derivano dal “riconoscere”come “confronto” e “distinzione” con l’aiuto del ricordo55.L’inconscio come patrimonio enorme della sedimentazionedella specie ha a che fare anche con l’“uomo collettivo”56. Ilsogno, caratterizzato da una temporalità discontinua, è lacombinazione di tutte le percezioni, i pensieri, i sentimentiche, data la loro debole accentuazione, sono sfuggiti alla co-scienza57. Ma memoria e ricordo costituiscono comunque iltrait d’union tra la coscienza e l’inconscio.

Cervello e storia

La ricerca biologica del Novecento, studiando il processodi immagazzinamento dei ricordi, ha proposto alcune distin-zioni e definizioni di memoria58. La prima distinzione è quel-la tra memoria a breve termine e memoria a lungo termine.La memoria a breve, detta anche operativa o di lavoro, con-sente di conservare un certo numero di nozioni per un tem-po assai breve, è insomma uno spazio mentale che gestisceinformazioni per qualche istante: il riporto di un’operazionematematica, un numero telefonico che stiamo componendo,ecc. La memoria a lungo termine si distingue in procedurale– il saper fare per azioni concatenate (per esempio, un caffè)

53 Ivi, p. 420.54 Ivi, p. 373.55 Ivi, p 160.56 Ivi, p. 332-333.57 Ivi, p. 274.58 Per quanto segue mi sono avvalso dei seguenti testi di riferimento:

E. BONCINELLI, Il cervello, la mente e l’anima. Le straordinarie scopertesull’intelligenza umana, Milano 2004; G. EDELMAN, Sulla materia dellamente, Milano 1993; A. OLIVERIO, L’arte di ricordare, Milano 1998; IDEM,Prima lezione di neuroscienze, Milano 2004.

Aurelio Musi28

– e dichiarativa, fondata cioè sull’apprendimento e la rievo-cazione di informazioni. Quest’ultima viene chiamata: seman-tica, quando trascende le condizioni in cui si forma e conser-va i ricordi di nozioni e significati; episodica, quando è legataa specifici eventi recenti o remoti. La memoria semanticasvolge una funzione simbolica importantissima: essa implicauna capacità di scelta tra alternative che, tuttavia, non sareb-be possibile senza il legame strettissimo con la memoria ope-rativa a breve. È questa dunque che fonda la capacità di tro-vare connessioni tra cose diverse: “l’efficienza e la potenzadella memoria operativa possono essere elementi fondamen-tali dell’intelligenza”59. Per il passaggio dei ricordi dalla me-moria a breve alla memoria a lungo termine è necessaria l’in-tegrità dell’ippocampo.

La neurobiologia non è andata molto al di là di questesemplici acquisizioni, né è in grado di dire dove siano localiz-zate le registrazioni fisiche dei ricordi a lungo termine, en-grammi o tracce mnestiche.

Se la sperimentazione biologica non ha compiuto grandipassi in avanti lungo la via della localizzazione, è in gradocomunque di dimostrare che l’apprendimento non è fondatosu meccanismi associativi semplici e che le emozioni contri-buiscono a trasferire ricordi ed esperienze dal comportamen-to a breve al comportamento a lungo termine. Insomma sen-za emozioni non c’è apprendimento.

È stato scritto da Boncinelli che la mente, come un “tela-io incantato, tesse e ritesse i suoi tessuti dai mille motivi cherisultano sempre nuovi e sempre diversi”60. Così la metaforadi un biologo non è molto distante da quella proposta da unnarratore: la mente “telaio incantato” di Boncinelli è guidatadalla memoria “cucitrice” di Virginia Woolf. E la biologia,come la letteratura e la creazione artistica, sono costrette aricorrere alla metafora, quando non possono descrivere erappresentare fino in fondo un fenomeno.

Ma qui non interessano tanto i risultati scientificamentecerti della biologia in materia di memoria. Interessa piuttosto

59 E. BONCINELLI, op. cit., pp. 201 ss.60 Ivi, p. 224.

Cervello, memoria, storia 29

il sorprendente parallelismo, che la biologia mette in eviden-za, tra il percorso della mente e il percorso della storia. Inentrambi i percorsi il tempo è una variabile fondamentale.Più precisamente il tempo non come successione lineare, macome relazione tra dimensioni quantitativamente e qualitati-vamente diverse: tra il breve e il lungo termine. Nel percorsodella mente come nel percorso della storia la lunga durata, aldi là della sua autonomia apparente, ha in realtà il suo lega-me necessitante con la breve durata. Inoltre come nellamente così nella storia il nesso tra memoria e libertà è deci-sivo. Tra stimolo e risposta esistono più possibilità di scelta.La libertà della storia è retrospettiva e prospettica: retrospet-tiva, in quanto il passato non può essere schiacciato sul pre-sente e rivendica, anche se la sua ricostruzione è stimolatadal presente, una radicale eterogeneità, cioè libertà, rispettoad esso; prospettica, perché la storia non può essere fondatasu previsioni e, nel suo movimento, dimostra una capacitàquasi infinita di svolgimenti, riserva sorprese, rivela una cre-atività sorprendente. Infine il connubio, a volte intricato, dif-ficile, tormentato, tra razionalità ed emotività è comune sia almovimento della mente sia al movimento storico. “Telaio in-cantato” e “memoria cucitrice” possono ben rappresentaremetaforicamente mente e storia.

Ciò che caratterizza la temporalità del vivente è il posses-so di un materiale genetico: e le modalità neurobiologichecostruiscono l’esperienza in termini di prima e dopo. “La di-mensione temporale della vita dipende innanzitutto da quellecaratteristiche del vivente connesse con la sua natura di enti-tà storica, ovvero dal possesso di una memoria genetica edalle modalità attraverso cui questa memoria genetica si co-stituisce e stabilisce i vincoli all’interno dei quali i processibiochimici intracellulari e le interazioni intercellulari possonoa loro volta creare una storicità a livello individuale, con lacomparsa dell’esperienza fenomenica del tempo in quantorisultato del modo di funzionare di una particolare strutturabiologica, il cervello”61. A livello di particolari strutture anato-

61 G. CORBELLINI, Il senso interno del regno animale, in “Il Sole 24ore”, 2 gennaio 2000.

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miche, quali sono i cervelli degli animali superiori, “il tempoassume quindi la forma della continuità dell’esperienza co-sciente”62.

Studiando il cervello dei mammiferi superiori, è statopossibile distinguerne tre parti, identificarne la loro compar-sa filogenetica, costruire un modello gerarchico-strutturaledelle diverse tipologie di riconoscimento e categorizzazionecollegate alle tre parti63. Alla prima struttura, detta cervellorettiliano, che consiste del troncoencefalo, dell’ipotalamo, deltalamo, dei nuclei della base e che caratterizza il più anticocervello, quello dei rettili, è associata la categorizzazione per-cettuale fondata sulla memoria procedurale. I valori rettilianisono l’alimentazione, la sessualità, la territorialità, l’esplora-zione, la predazione: la semplice memoria procedurale con-sente di attivare schemi di azione per soddisfare quei valoriprimari. Circa cento milioni di anni fa è comparsa una secon-da struttura, il cervello paleomammifero, composto del rinoe-ncefalo e del lobo limbico. Caratterizza il cervello dei mam-miferi primitivi (uccelli, ecc.). In essi la memoria episodicaconsente di soddisfare valori come l’attaccamento, l’accudi-mento, la competizione per il rango, il cui riconoscimento ri-chiede una categorizzazione concettuale, l’emergere di unavera e propria coscienza primaria che Edelman ha chiamatoil presente ricordato. Qui i ricordi sono ricchi di aspetti con-creti, carichi di elementi percettivi e di collocazione spazialerelativa agli episodi interattivi tra l’organismo e l’ambiente.Compaiono anche le emozioni, schemi di comportamentoche si situano ad un livello intermedio sia sul piano filogene-tico che di complessità strutturale – tra i riflessi da un lato, ele condotte cognitive dall’altro. Circa 20 milioni di anni fa ècomparsa la terza struttura, detta neopallio o cervello mam-

62 Ibidem.63 Per quanto segue si veda: M. DONALD, L’evoluzione della mente.

Per una teoria darwiniana della coscienza, Milano 1996; G. M. EDELMAN,Darwinismo neurale. La teoria della selezione dei gruppi neuronali, Mi-lano 1991; K. LORENZ, L’altra faccia dello specchio, Milano 1974; P. D.MACLEAN, Evoluzione del cervello e comportamento umano, Torino 1984;I. ROSENFIELD, L’invenzione della memoria, cit.; M. CECCARELLI, Biologia erelazioni, www. spaziopiu. it/sirts/opinioni/Ceccarelli1. html

Cervello, memoria, storia 31

mifero o neocorteccia, composta dalle circonvoluzioni piùesterne della corteccia cerebrale: caratterizza il cervello deimammiferi superiori ed ha il suo massimo sviluppo nell’uo-mo. A questo livello si sviluppano i valori neocorticali,l’espressione dei sistemi simbolici, il riconoscimento dellerelazioni sociali, il linguaggio, ecc. “Grazie al linguaggio, leinterazioni interpersonali, inevitabilmente episodiche, vengo-no immesse in una continuità narrativa che fornisce la corni-ce semantica a quelle interazioni. In tal modo la coscienzadel soggetto si struttura e si organizza, grazie al linguaggio,all’interno di una narrazione, in cui il dispiegamento tempo-rale (passato, presente, futuro) e contestuale dell’esperienzadel soggetto permette allo stesso soggetto di dare ordine ecoesione a tutte le informazioni connesse all’operare dell’in-tero assetto motivazionale, fondando la tendenza a dare uni-tarietà e coerenza alla rappresentazione di sé, degli altri e delmondo (...) In questa prospettiva la coscienza emerge pri-mieramente come frutto del processo di categorizzazionesimbolica – radicata in quella concettuale e percettuale –della relazione tra Sé e Altro in una comunità linguistica: è inquesta emersione e in questo radicamento, entrambi espres-sione della dinamica ricorsiva che sostiene l’organizzazione ela strutturazione del sistema nervoso, che può essere com-preso il senso intrinsecamente e irriducibilmente biopsicoso-ciale del comportamento umano: la coscienza soggettiva siradica nel bios da cui emerge e si struttura nei sistemi socio-culturali che essa stessa fonda”64.

Dunque la memoria genetica di lunghissima durata,quella legata ai tempi dell’evoluzione biologica, stabilisce vin-coli e condizionamenti per lo sviluppo della storicità indivi-duale. Si tratta di un sistema complesso in cui l’ontogenesiricapitola, per così dire, la filogenesi.

Ancora una volta tra quella che è stata chiamata “la dina-mica ricorsiva del sistema nervoso” e il processo storico èidentificabile più di un’analogia.

La prima è costituita dalla dimensione dello svolgimento.L’emersione della coscienza come risultato della categorizza-

64 M. CECCARELLI, art. cit.

Aurelio Musi32

zione simbolica è possibile solo perché essa si radica nella ca-tegorizzazione percettuale e concettuale: senza la memoriaprocedurale e la memoria episodica, che attivano le procedu-re di riconoscimento del primo e del secondo stadio del cer-vello, non potrebbe prodursi la memoria semantica.

La dinamica ricorsiva indica una successione di funzioni,in cui ogni elemento si può ricavare dal precedente. Ma sia ilprocesso biologico sia il processo storico non possono essereinterpretati alla luce di una teoria formale della ricorsività,che cerca di definire a priori la classe delle funzioni calcola-bili, stabilendo quali siano i criteri formali necessari e suffi-cienti a garantire l’esistenza di un procedimento effettivo. Ilsenso biopsicosociale del comportamento umano impediscedi formularne l’algoritmo. Così anche il processo storico, purfondato come la coscienza sull’idea di continuità, non con-sente di ricavare il fatto successivo dal precedente.

Tuttavia è significativo che il termine ricorso sia usato dalfondatore della Scienza Nuova della storia, GiambattistaVico. La prospettiva storica “ricorsiva” di Vico è in praticaformulata nella Degnità LIII della Scienza Nuova: “Gli uomi-ni prima sentono senz’avvertire, dappoi avvertiscono con ani-mo perturbato e commosso, finalmente riflettono con mentepura”65. È impressionante il parallelismo con i tre stadi delcervello, le tre forme di categorizzazione e di memoria, iden-tificate dalla ricerca biologica. Per Vico senso, fantasia e ra-gione corrispondono alle tre età dell’uomo – infanzia, giovi-nezza, maturità – e alle tre età della storia – età degli dei,degli eroi e degli uomini. La concezione “ricorsiva” di Vicofonda la sua legittimità su un’ideale normatività: la spiegazio-ne della storia è nel carattere “ideale delle leggi eterne, soprale quali corron i fatti di tutte le nazioni, ne’ loro sorgimenti,progressi, stati, decadenze e fini”66. “La natura comune dellenazioni”67 rende possibile la ricorsività. Ma il ritorno del cor-so della storia alle sue origini non è necessario: è soltanto

65 G. VICO, La Scienza Nuova Seconda, a cura di F. Nicolini, Bari1953, vol. I, p. 92.

66 G. VICO, op. cit., vol. II, p. 153.67 Ibidem.

Cervello, memoria, storia 33

una possibilità. La successione delle tre età non ha un carat-tere definitivo, ma segue l’intrinseca struttura mentale del-l’umanità. Dunque non un meccanico senso cronologico delricorso, quanto un significato psico-gnoselogico: e su questebasi la storia è un andare avanti che ha in sé i segni del pas-sato e i germi dell’avvenire. Le esemplificazioni dei ricorsiproposte da Vico fanno riferimento alla possibilità di fondareil principio di continuità storica sulla base di alcune tipizza-zioni ideali. Così il confronto tra “tempi barbari primi” e“tempi barbari ritornati”68 consente a Vico di formulare, at-traverso l’identificazione di cinque grandi tipi ideali, un’ideadi svolgimento dalla caduta dell’impero romano fino alle so-glie della modernità. Le cinque esemplificazioni sono le se-guenti:– “le guerre dei tempi barbari ultimi furono, come quelle

de’ primi, tutte di religione”69;– le fondazioni monastiche furono un potente strumento per

la formazione delle città e la continuità degli insediamentiumani70;

– il “ricorso” del diritto romano antico si ebbe col dirittofeudale71;

– “dentro la natura eterna de’ feudi ritrouasi l’origine deinuovi reami d’Europa72;

– l’aristocrazia è “la forma ultima degli Stati civili”73.La seconda analogia tra dinamica “ricorsiva” del sistema

nervoso e processo storico è la comune dimensione narrativa.Nella retorica classica la narratio era quella parte dell’orazio-ne, successiva all’esordio, che conteneva l’esposizione dei fat-ti. Ogni narrazione, di qualsiasi tipo essa sia, contiene alcunielementi strutturali ricorrenti: la successione di eventi conca-tenati nel tempo da un inizio a una fine; l’intreccio, il raccon-to, il testo nella strutturazione stilistica datagli dal narratore;

68 Ivi, p. 131.69 Ivi, p. 134.70 Ivi, p. 135.71 Ivi, p. 136.72 Ivi, p. 149.73 Ivi, p. 152.

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la voce del narratore74. Il sistema nervoso come narrazione èrappresentabile nel terzo e più avanzato livello dello sviluppocerebrale. Il linguaggio organizza la coscienza del vivente inuna continuità narrativa. L’unità e la coerenza della rappre-sentazione di sé e della relazione con gli altri e col mondo sirealizzano in rapporto direttamente proporzionale con la co-scienza del tempo e del contesto. Anche la storiografia è nar-razione: esposizione dei fatti nel senso della retorica classica;successione di eventi nel tempo e nel contesto; testo o rac-conto o intreccio; voce del narratore-storico.

Gli studi sulle neuroscienze consentono di spingerci an-cora oltre75. Cervello e storia funzionano in base ad un cir-cuito della memoria che rivela meccanismi e procedure sor-prendentemente simili. La corteccia cerebrale potrebbe esse-re definita l’archivio della memoria. La regione temporalemedia, il sistema limbico formato da amigdala e ippocampo,è l’archivista che classifica, paragona, generalizza i ricordicome in una mappa. Il talamo o diencefalo è la sede dellememorie più stabili. Detto in altri termini, alla luce di ricer-che recenti:a) sulla corteccia cerebrale potrebbero essere trascritte le

tracce dei ricordi fattuali; è questa la parte del cervelloche pensa, pianifica, comunica durante il sonno profondocon ippocampo e amigdala;

b) nell’ippocampo e nell’amigdala, il sistema limbico situatonella profondità del cervello, si fissano, stimolati anche dafattori emotivi, percezioni visive, olfattive76, uditive, ecc., iricordi a lungo termine;

c) nel cervelletto risiedono i ricordi legati alla posizione delcorpo (cinestetica, propriocezione).Uno dei più importanti neuroscienziati italiani, Alberto

Oliverio, ha scritto che “con una metafora si potrebbe attri-buire alla corteccia la funzione di archivio dei ricordi mentre

74 Cfr. A. MARCHESE, Dizionario di retorica e di stilistica. Arte e arti-ficio nell’uso delle parole, Milano 1979, pp. 179 ss.

75 Per quanto segue: A. OLIVERIO, Prima lezione di neuroscienze, cit.76 Per una trasfigurazione letteraria di questo aspetto, P. SUSKIND, Il

profumo, Milano 1992.

Cervello, memoria, storia 35

la regione temporale media è l’archivista, che iscrive le espe-rienze, trasformandole da fragili memorie di lavoro in memo-rie durature e le rimugina per ore, mesi o persino anni, svol-gendo un minuzioso lavoro di classifica, paragone, generaliz-zazione (...) La regione temporale è connessa con il sistemalimbico (amigdala e ippocampo) e quest’ultimo col diencefa-lo (talamo) tramite il fornice: regione temporale, sistema lim-bico e talamo formano una specie di circuito della memoria,di cui ovviamente fa parte la corteccia cerebrale che è con-nessa con quella temporale. Tutte queste strutture nervosesvolgono il loro ruolo nella cosiddetta memoria esplicita cheimplica un riconoscimento cosciente delle esperienze vissute.Sensazioni o esperienze, per essere trasformate in memorieesplicite, devono passare attraverso una sorta di imbuto, laregione temporale: da questa, passando attraverso l’ippocam-po e l’amigdala, devono raggiungere il diencefalo dove leesperienze vengono assemblate e registrate sotto forma dimemorie stabili nei circuiti del cervello. È il circuito dellamemoria corteccia temporale-ippocampo-diencefalo che con-sente di connettere tra di loro le diverse esperienze della vitaquotidiana (sensazioni, immagini mentali, emozioni, valuta-zioni della realtà) per trasformarle in memoria episodica, ineventi della nostra storia individuale”77.

Tra il circuito della memoria e il laboratorio dello storicoè possibile scorgere più di un’analogia. Il cervello non è unmeccanismo di pura acquisizione dati. Se si può considerarela corteccia come l’“archivio della memoria”, secondo l’effica-ce espressione di Oliverio, il sistema limbico assegna al cervel-lo un ruolo di intensa attività e svolge nel processo di appren-dimento la funzione di arricchire di ricordi il serbatoio dellanostra memoria, tanto che il sistema, con cui percepiamo,agiamo, pensiamo e pianifichiamo, viene modificato grazie adun’azione diretta sui circuiti neurali implicati. Dunque “l’ap-prendimento va osservato non come un meccanismo di elabo-razione dati, ma semmai come un sistema complesso che tra-sporta nel meccanismo di elaborazione dei dati già selezionati(a livello inconsapevole), che verranno allocati successivamen-

77 A. OLIVERIO, op. cit., pp. 104 ss.

Aurelio Musi36

te in memoria”. Il cervello si dimostra dunque non un “com-puter biologico in grado di registrare tutte le informazioni iningresso, con uguale importanza. Grazie alle più avanzatemetodiche, oggi si è capito che il regolatore principe del siste-ma nervoso è in grado di filtrare i messaggi e trattenere soloquelli più importanti e significativi, in base a parametri siapersonali che oggettivi”78. Come ha sostenuto Edelman “l’ana-logia tra mente e calcolatore cade in difetto per molte ragioni.Il cervello si forma secondo princìpi che ne garantiscono lavarietà e anche la degenerazione; a differenza di un calcolato-re, non ha una memoria replicativa; ha una storia ed è guidatoda valori; forma categorie in base a criteri interni e a vincoliche agiscono su molte scale diverse, non mediante un pro-gramma costruito secondo una sintassi”79.

Come già si è visto, la regolazione e il filtro selettivo deimessaggi passa per due stadi: al primo stadio è fondamentaleil ruolo della memoria procedurale; ma solo al secondo stadiola memoria dichiarativa rende possibile il ricordo consapevo-le di eventi e consente il passaggio delle informazioni dallacorteccia all’ippocampo, circondato dalla corteccia paraippo-campale e dalla corteccia rinale. “Dalla metà degli anni no-vanta del secolo scorso, grazie alla risonanza magnetica fun-zionale (fRM), fu possibile osservare che quanto maggioreera l’attività nella corteccia paraippocampale, tanto più pro-babile era la possibilità di mantenere il ricordo dei dati ac-quisiti soprattutto per quanto riguarda la memoria dichiarati-va”80. Le cellule nervose, attivate dalle sinapsi, consentono ilpassaggio delle informazioni dalla corteccia all’ippocampo. Alivello del secondo stadio, “l’ingresso di nuovi dati risulta uti-le per la formulazione di strategie atte alla risoluzione deiproblemi posti dalle modificazioni ambientali che richiedonocontinui adeguamenti”81.

78 G. MARCHESE, L’apprendimento, www.lastradaweb.it; si vedanopure: E. R. KANDEL, Principi di neuroscienze, Milano 1994; M. F. BEAR - B.W. CONNORS - M. A. PARADISO, Neuroscienze, Milano 2003.

79 G. M. EDELMAN, La materia della mente. Le origini della coscienzadi ordine superiore, www.ilpalo.com/libri/libri/edelman.htm, p. 8.

80 G. MARCHESE, art. cit., p. 6.81 Ivi, p. 7.

Cervello, memoria, storia 37

Tutta la sperimentazione recente presenta il cervellocome un’esperienza sempre più complessa. Ancora un’altrasimilitudine è stata proposta per indicare il rapporto tra ap-prendimento, idea e cervello: l’apprendimento come martel-lo, l’idea come chiodo, la memoria come parete. “Se le mar-tellate (apprendimento) sono poche e non incisive, il chiodo(idea) non potrà reggere a lungo e prima o poi si staccheràdalla parete (memoria)”82.

Che senso ha paragonare l’operazione storica all’attivitàdel cervello, in particolare alle procedure della memoria? Ilsenso è legato alla possibilità concreta di annullare la distan-za tra scienze della vita e scienze storiche, di mettere in di-scussione un topos che ha svolto un ruolo decisivo nel perio-do fondativo, nello stato nascente della conoscenza e dellediscipline storiche: la distanza tra scienze della natura escienze storico-sociali. Il fine è quello di riscoprire il traitd’union della storicità tra saperi diversi e ricondurli tutti nel-l’alveo del bios.

Fin dal suo primo stadio, quello dell’identificazione edell’organizzazione delle fonti, l’operazione storica mostraprocedure assai simili all’attività della memoria e al suo ruolonella più ampia attività cerebrale. Il rapporto tra fonti, comerappresentazioni dei fatti, ed eventi, partendo da meccanismiche possono anche essere puramente associativi, va oltrequesta dimensione. Ma l’andare oltre non può mai significareil superamento, lo scavalcamento di un vincolo e di un limitedati dalla realtà, rappresentata nella fonte, che costituiscesempre e comunque il primo stadio della conoscenza storica.Come già scritto nel primo capitolo, solo l’ancoraggio allefonti come principio di realtà e non come sistema narrativoradicalmente inventato, pur con tutta la sua problematicità,consente di evitare il pericolo della scissione tra fonti e fattie il rischio dell’arbitrarietà soggettiva. Come per le scienzedella vita la memoria dichiarativa non può fare a meno dellamemoria procedurale, ed entrambe esercitano un ruolo inte-grato – la seconda ad uno stadio più evoluto rispetto alla pri-ma – nella selezione dei messaggi, così nella conoscenza sto-

82 Ivi, p. 8.

Aurelio Musi38

rica l’attività selettiva di secondo grado, per così dire, chepuò essere identificata col processo di organizzazione, rico-struzione, elaborazione e interpretazione, non è dissociata,ma associata profondamente alla relazione con le fonti.Come i meccanismi associativi della memoria sono comples-si, non semplici, così sono complessi i meccanismi associativitra fonti e fatti.

Non sarebbe difficile ritrovare nella costruzione del rap-porto tra fonte e fatto meccanismi che svolgono funzioni si-mili, ad esempio, a quelli della memoria olfattiva. Così un’es-senza può influire sul cervello durante il sonno e il profumodi rosa aiuta la memoria.

Certo l’operazione storica è soggetta a tantissime variabili:ed è possibile che nel circuito dello scambio tra fonti e fattil’attività selettiva possa trasformare profondamente le une egli altri. Anche nel circuito della memoria cerebrale avviene lostesso. Si pensi alle proteine salva-memoria83. Svolgono unafunzione importantissima: come le fonti per la storia, esse im-pediscono ai ricordi e al significato che rivestono nella vita divenire inghiottiti dal caos della frenetica attività cerebrale.“Queste proteine di ancoraggio sono presenti nelle sinapsi estrappano all’oblio le informazioni che apprendiamo, nono-stante il moto perpetuo delle molecole. Le sinapsi sono zonedi traffico intenso, sono il punto di incontro fra i neuroni esubiscono cambiamenti continui, si dice che le sinapsi vengo-no rimodellate (...) Questi processi, definiti nella loro com-plessità con il termine di plasticità sinaptica, creano nuovinetwork nervosi che costruiscono la nostra memoria permet-tendoci di apprendere e conservare i ricordi nel tempo”84.

Il regista della storia, come l’ippocampo per il circuitodella memoria, è lo storico: egli classifica e colloca nel tem-po, contestualizza, generalizza, ricostruisce, interpreta un si-stema complesso. È il garante dell’integrità del sistema a par-tire dallo stadio della critica delle fonti. E la critica delle fon-

83 Cfr. M. FERRARIO, A memoria d’uomo. I ricordi gettano l’ancora,www. lswn. it/neuriscienze/articoli/a_memoria-d-uomo-i-ricordi-gettano-l-ancora, 03/05/2007.

84 Ivi, p. 1.

Cervello, memoria, storia 39

ti in storia, cioè quell’operazione che consente di raggiungerecorrettamente lo stadio dell’elaborazione e interpretazione,in una parola del giudizio storico, non può essere paragonataalla metilazione del DNA, cioè a quella funzione epigeneticache coinvolge una modificazione chimica della citosina, unadelle quattro basi che costituiscono il DNA? Senza una cor-retta metilazione del DNA, gli organismi superiori, dallepiante agli essere umani, hanno problemi di sviluppo: nani-smo, insorgenza di tumori, la morte nei topi, ecc85.

Lo storico è l’artefice dell’attività selettiva della memoriae il responsabile dell’integrità della storia. Anche lui devefare i conti con le “cellule smemorate” che possono facilitarelo sviluppo di un tumore, con quegli enzimi che interferisco-no con la loro memoria genetica durante il meccanismo direplicazione cellulare. Ogni volta che la cellula si replica,deve ricordarsi quali geni tenere accesi e quali spenti. Se ciònon avviene, si determina uno sviluppo anormale che puòessere all’origine del cancro. Come il danneggiamento del-l’ippocampo compromette memoria e immaginazione, l’irre-sponsabilità dello storico compromette l’integrità della storia.

Leggendo Kandel: il fattore tempo

La memoria come gestione di flussi di informazioni è iltrait d’union tra neurobiologia, psicanalisi e storia. I flussi diinformazioni sono governati dal fattore tempo e dalla sua co-scienza. Recenti ricerche, caratterizzate dal rapporto tra neu-robiologia e psicanalisi (Kandel e Ledoux in particolare),hanno corretto la visione meccanica del determinismo psichi-co e introdotto nel modello del condizionamento classico perassociazioni il cosiddetto “condizionamento di tracce”86. In

85 Metilazione del DNA, it. wikipedia. org/wiki/Metilazionedel_DNA.86 E. R. KANDEL, A new intellectual framework for psychiatry, in

“American Journal of Psychiatry”, 155 (1998), pp. 457-469; IDEM, Biologyand the future of psychoanalysis: a new intellectual framework forpsychiatry revisited, in “American Journal of Psychiatry”, 156 (1999), pp.505-524; A. MURA, Biologia e psicoanalisi: leggendo Kandel, www. psicoa-nalisi. it/psicoanalisi/neuroscienze/articoli/neuro5. htm.

Aurelio Musi40

pratica si tratta di una conversione del condizionamento im-plicito in memoria esplicita che si attua nei soggetti normali,consapevoli dell’intervallo temporale tra lo stimolo condizio-nato e lo stimolo incondizionato: ancora una volta la memo-ria procedurale e la memoria dichiarativa svolgono una fun-zione di integrazione per codificare stimoli e aspetti differen-ti, provenienti dal mondo esterno al soggetto. Necessaria perla codifica è la consapevolezza della variazione nella sequen-za temporale.

Sia Pavlov sia Freud giunsero, indipendentemente l’unodall’altro, a scoprire l’importanza adattiva del riconoscimentodei segnali di pericolo: l’individuo si prepara all’attacco o allafuga dopo la segnalazione di un pericolo. “A questo propositoKandel prende in considerazione le ricerche di Ledoux sul-l’amigdala. Questa importante struttura è ritenuta responsa-bile del coordinamento del flusso di informazioni tra diffe-renti aree cerebrali coinvolte nell’espressione della paura.Secondo Ledoux, la stimolazione dell’amigdala comporta ne-gli essere umani la comparsa di sensazioni di paura e di peri-colo imminente e senza l’amigdala non c’è percezione dellapaura. Lo stress può bloccare l’attività dell’ippocampo provo-cando una mancanza di consapevolezza”87.

Il rapporto tra tempo breve della memoria procedurale etempo lungo della memoria dichiarativa ha ricevuto da Kandelconferme attraverso differenti esemplificazioni. La prima puòessere quella del rapporto tra stress e danni. È la memoriaprocedurale che immagazzina la risposta allo stress prodottanel bambino da una separazione precoce dalla madre nelleprime fasi di vita. Ma i danni permanenti si verificheranno acarico dell’ippocampo, determineranno cioè modifiche persi-stenti nel sistema di memoria dichiarativa. Di notevole inte-resse sono anche le ricerche tese ad individuare organi e mec-canismi cerebrali responsabili dell’integrazione e della combi-nazione tra le informazioni presenti e quelle del passato, leforme di mediazione entro il sistema preconscio-conscio.

Neurobiologia e psicanalisi sono scienze del mutamento:hanno a che fare con la storicità molto più di quanto si cre-

87 A. MURA, art. cit., p. 2.

Cervello, memoria, storia 41

da. “Le caratteristiche e le abilità di un individuo probabil-mente vengono modificate per tutta la vita, perciò Kandel sichiede se anche la psicoterapia è in grado di produrre talimodificazioni: – È affascinante pensare – egli scrive – al suc-cesso della psicanalisi nel produrre modificazioni persistentidelle attitudini, abitudini e comportamenti consci e inconsci,producendo alterazioni nell’espressione genica che portano amodificazioni strutturali nel cervello –. L’autore collega ilmeccanismo di alterazione dei processi di memoria a lungotermine con il concetto di cambiamento in quanto prodottodel lavoro psicoterapeutico, un concetto centrale nel pensie-ro psicanalitico”88.

La storicità del vivente

Cerchiamo di sintetizzare quanto è emerso dal ragiona-mento precedente. Il rapporto presente-passato caratterizzail vivente, in possesso di materiale genetico, come temporali-tà. La psicologia, nella sua versione psicanalitica freudiana ejunghiana, ha approfondito la dimensione della temporalitànei processi psichici, analizzando la memoria ontogenetica efilogenetica come caratteristica del tessuto nervoso. Le neu-roscienze poi hanno concentrato la loro attenzione sulle mo-dalità neurobiologiche e la costruzione dell’esperienza in ter-mini di prima e dopo. Tra cervello e storia sono state identi-ficate numerose analogie nelle procedure di funzionamentodelle rispettive attività. Sia la mappa del cervello sia l’opera-zione storica hanno in comune una doppia funzione: la sele-zione delle informazioni e delle fonti, la formulazione di stra-tegie per la soluzione di problemi. Svolgiamo ulteriormentequesto punto.

La principale funzione del cervello è la categorizzazione.“Il cervello categorizza gli stimoli in accordo con l’esperienzapassata e con bisogni e desideri presenti; questa categorizza-zione costituisce la base della percezione e del riconoscimen-to. Ciò che noi vediamo non dipende da calcoli, bensì da ciò

88 Ivi, p. 4.

Aurelio Musi42

che abbiamo visto e sperimentato in passato, oltre che nelpresente immediato”89. Dunque la categorizzazione è un pro-cesso storico individualizzante, che adotta procedure non ri-conducibili ad “immagini fisse memorizzate in passato”90, main continuo mutamento: il passato è ricreato, ristrutturato inrelazione ai termini del presente e soggetto quindi a numero-se variabili. Dunque memoria e riconoscimento dipendonodal contesto. Per esempio, “se le procedure usate nel pro-nunciare una data sillaba variano da una frase all’altra, ancheil nostro riconoscimento delle parole dipende dalla frase en-tro cui esse sono pronunciate”91. Il contesto è importante nelconferimento di senso. Come nel caso di sordità verbale rife-rito da Rosenfield, le difficoltà a comprendere il linguaggioparlato non derivano dalla perdita delle immagini uditive diparole, ma dall’incapacità di stabilire un contesto in cui leparole e le frasi udite abbiano un senso. Il rapporto strettotra contesto e conferimento di senso è visibile nella connes-sione delle lettere in una parola, delle cifre in un numero,nelle relazioni complesse di ritmo, tonalità, ecc. esistenti tragruppi di note musicali. “Perciò le incapacità di leggere lette-re dell’alfabeto, musica e numeri di molte cifre hanno in co-mune non una menomazione delle funzioni linguistiche (unaperdita delle immagini mnestiche di simboli linguistici), maun’incapacità di organizzare e riorganizzare stimoli che si ser-vono di segni simili per significare tipi di informazione moltodiversi. Se il riconoscimento dipende dalla capacità di orga-nizzare stimoli simili in una varietà di modi diversi, anche lamemoria deve fondarsi in qualche senso su questa capacitàdi organizzazione. Quando riconosciamo una faccia, organiz-ziamo degli stimoli in modo che sono simili (ma non necessa-riamente identici, dato che la persona potrebbe essere invec-chiata) al modo in cui noi abbiamo organizzato gli stimoli adessa connessi in passato. È la somiglianza dell’organizzazionea connettere passato e presente. Senza dubbio alcune imma-gini sembrano fisse – come i numeri formati da una sola cifra

89 I. ROSENFIELD, L’invenzione della memoria, cit., p. 16.90 Ibidem.91 Ivi, p. 29.

Cervello, memoria, storia 43

– ma la loro natura fissa è illusoria, dal momento che le cifremutano di significato a seconda della loro posizione in unnumero, esattamente come le lettere variano di significato dauna parola all’altra”92.

Dunque il cervello classifica e organizza gli stimoli indi-pendentemente da tracce mnestiche specifiche, ma in strettadipendenza dalle variabili di contesto. Al tempo stesso sono iricordi che consentono di organizzare le percezioni attraversoprocedure che generalizzano esperienze precedenti, “modi diorganizzare stimoli sensoriali che permettono di metterli inrelazione all’esperienza passata”93. I ricordi non si perdono,ma si può perdere la capacità di stabilire correlazioni. E nelsistema di correlazioni gli stati affettivi svolgono un ruoloimportante: “le emozioni sono essenziali per la creazione diun ricordo perché lo organizzano, stabilendone l’importanzarelativa in una sequenza di eventi, un po’ come il senso deltempo e dell’ordine è essenziale perché un ricordo vengaconsiderato un ricordo e non un pensiero o una visione in unqualche particolare istante, senza alcuna relazione con eventipassati”94.

L’associazione emozioni-ricordi non è dissimile dal biso-gno di pathos nella conoscenza storica, dall’“ansia”, da queltravaglio prodotto dalla “coscienza d’infelicità” che caratteriz-za l’indagine, la ricerca di soluzioni di un problema storico:come ben aveva visto Benedetto Croce. Anche il ruolo delricordo nel contesto del presente richiama il concetto crocia-no di storia contemporanea. Scrive Rosenfield: “Quando noiricordiamo coscientemente, il contesto ambientale, le circo-stanze in cui ci troviamo esercitano una forte costrizione sucome e cosa possiamo ricordare, un po’ com’è l’interpretazio-ne a dare significato ai sogni. E benché in uno stato coscien-te i frammenti abbiano un referente, la loro ambiguità dà l’il-lusione che siano condensazioni di molte immagini, un’ambi-guità che la creazione di un contesto attraverso l’interpreta-zione del sogno sembra risolvere (...) Nel nostro cervello non

92 Ivi, p. 60.93 Ivi, p. 72.94 Ivi, p. 83.

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ci sono ricordi specifici; ci sono solo i mezzi per riorganizzareimpressioni passate, per dare al mondo della memoria, unmondo incoerente, frammentario come i sogni, una realtàconcreta. I ricordi non sono fissi ma sviluppano costantemen-te generalizzazioni – ricreazioni – del passato, le quali ci dan-no un senso di continuità, un senso di essere, con un passato,un presente, un futuro. Non ci sono unità discrete che sianoconnesse fra loro nel tempo, bensì un sistema in evoluzionedinamica”95.

Come i ricordi sviluppano “ricreazioni” del passato e co-stituiscono un sistema in evoluzione dinamica, così la storia,costruita, interpretata e giudicata sulla base dei documenti, è“storia reale, storia che realmente si pensa, nell’atto che sipensa”96: è il concetto crociano di “storia contemporanea”,comune allo spirito di un tempo, quello di Weber e dello sto-ricismo critico, in cui si è ritenuto che “solo un interessedella vita presente ci può muovere a indagare un fatto delpassato”97. Come il contesto ambientale e le circostanze eser-citano un potere selettivo su come e cosa possiamo ricordare,così il contesto del presente, con tutte le sue ambiguità, con-traddizioni, fornisce tuttavia allo storico gli strumenti per ca-tegorizzare e generalizzare la ricostruzione del passato.

Ritroviamo a quest’altezza del ragionamento un delicatis-simo intreccio tra coscienza, tempo, libertà, memoria. Leneuroscienze, in particolare con gli studi di Edelman e diOliverio, hanno attentamente indagato questo intreccio.

Come funziona il sistema selettivo immunitario? Non se-condo regole fisse valide per tutti gli individui. Il riconosci-mento è variabile: non esistono due individui con gli stessiidentici anticorpi. La memoria cellulare, di cui il sistema im-munitario è dotato, ha comportamenti differenziati: “dopol’incontro tra un antigene e un insieme di linfociti in gradodi legarsi ad esso, alcuni di questi si divideranno solo alcunevolte, mentre gli altri continueranno in modo irreversibile a

95 Ivi, p. 87.96 B. CROCE, Teoria e storia della storiografia, a cura di G. Galasso,

Milano 1989, p. 15.97 Ivi, p. 14.

Cervello, memoria, storia 45

produrre l’anticorpo specifico per quell’antigene e infinemoriranno”98. Evoluzione ed immunologia sono due “scien-ze del riconoscimento”99. La differenza tra i sistemi non bio-logici e quelli biologici sta nel fatto che i secondi “mostranodi avere repertori di varianti pronte a interagire grazie allaselezione per dare una risposta di popolazione secondo unprincipio ereditario”100. Sempre secondo Edelman, il cervel-lo possiede numerose mappe che sono in grado di collegareeventi del mondo esterno senza bisogno di un supervisoredi ordine superiore; il tempo consente poi la formazione dinuove proprietà selettive “attraverso rientri successivi e ri-corsivi nelle mappe”101. Nell’opera Il presente ricordato,Edelman102 ha elaborato il modello dell’integrazione cortica-le rientrante (ICR): esso riesce a correlare l’attività di moltemappe diverse mediante il rientro e reagisce a stimoli visivicomplessi in maniera coordinata. Anche la formazione dellacoscienza può essere fondata su un’analisi biologica di tipoevolutivo. Per Edelman i qualia sono “collezioni di esperien-ze personali e soggettive, di sentimenti e di sensazioni cheaccompagnano la consapevolezza”103. Sono la base della ca-tegorizzazione: essa può essere percettiva, se tratta segnaliprovenienti dal mondo esterno, e concettuale, operante al-l’interno del cervello attraverso l’attività delle mappe. “Il col-legamento tra i due tipi di categorizzazione, attraverso unpercorso rientrante aggiuntivo (cioè in aggiunta a quello checonsente l’apprendimento concettuale) per ogni modalitàsensoriale, fa nascere nella coscienza primaria una scenacorrelata o immagine. Negli animali dotati di coscienza pri-maria, la memoria può rigenerare in parte tale immagine, maquest’ultima non può essere rigenerata per ciò che si riferi-sce a una memoria simbolica, cioè una memoria per i sim-

98 G. M. EDELMAN, La materia della mente. Le origini della coscienzadi ordine superiore, cit., p. 1.

99 Ivi, p. 2.100 Ibidem.101 Ivi, p. 3.102 G. M. EDELMAN, Il presente ricordato: una teoria biologica della

coscienza, Milano 1991.103 G. M. EDELMAN, La materia della mente, cit., p. 4.

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boli e per i significati ad essa associati. E così un animaledotato soltanto di coscienza primaria è legato in modo mol-to stretto alla successione concreta degli eventi”104. La co-scienza di ordine superiore è venuta formandosi attraversol’evoluzione di nuove forme di memoria simbolica e di nuo-vi sistemi per la trasmissione e la comunicazione socialecome il linguaggio: è stato così possibile elaborare un sé fon-dato socialmente, modellare il mondo in termini di passatoe futuro, essere direttamente consapevole, tutte qualità le-gate alla memoria simbolica. E la coscienza superiore è ilrisultato della relazione tra percezioni, formazione dei con-cetti, memoria, categorizzazione. Il rapporto tra coscienza etempo è fondamentale. “La coscienza di ordine superiorenon si basa – come la coscienza primaria – sull’esperienza inatto, bensì sulla capacità di modellare il passato e il futuro.Quale che sia la scala temporale, il senso del tempo è in-nanzitutto e soprattutto un evento conscio”105.

Edelman, a partire da queste premesse, giunge anche ariaffermare sulla scala biologica l’individualità, l’irreversibili-tà della storia, la distinzione tra il senso della durata e iltempo-orologio. “Il flusso della categorizzazione, sia nellacoscienza primaria sia in quella di ordine superiore, è indi-viduale e irreversibile. È una storia. La memoria cresce inuna direzione grazie alle capacità verbali, il senso della du-rata costituisce un’altra forma ancora di categorizzazione.Questa concezione del tempo si differenzia dalla nozionerelativistica di tempo-orologio, di cui si avvalgono i fisici, chein senso microscopico è reversibile. Oltre alla variabilità e al-l’irreversibilità degli eventi fisici macroscopici, che i fisiciriconoscono, una ragione profonda dell’irreversibilità del-l’esperienza soggettiva del tempo risiede nella natura dei si-stemi selettivi: in tali sistemi le configurazioni emergono aposteriori”106. Il flusso delle categorizzazioni nel sistema se-lettivo della memoria e della coscienza modifica il rapportoordinario causa-effetto dei fisici.

104 Ivi, pp. 5-6.105 Ivi, p. 11.106 Ibidem.

Cervello, memoria, storia 47

Ma non solo il flusso della categorizzazione è storia, cioèsenso della durata. Anche la stessa fenomenologia dei proces-si nervosi, descritta dalle neuroscienze, segue la logica delladurata. Le diverse funzioni del cervello dipendono da un gio-co di mediatori e modulatori a livello delle sinapsi: i primisono trasmettitori neuro-ormonali che mettono velocementein comunicazione la catena dei neuroni e, agendo sulle pro-teine della membrana cellulare, inducono la liberazione el’azione di altre proteine, producendo effetti eccitatori o ini-bitori; i secondi, come le endorfine, attivano o inibisconoenzimi che servono a fabbricare un altro messaggero nervo-so. Questo secondo processo di modulazione nervosa “com-porta una cascata di eventi che durano nel tempo e amplifi-cano l’azione del mediatore: in altre parole mentre il media-tore nervoso si limita a produrre un effetto di breve durata,come se esso accendesse o spegnesse un interruttore, graziealla modulazione gli effetti possono essere duraturi e far sìche l’azione del mediatore sia più o meno efficace. Modularesignifica quindi trasformare un meccanismo binario in unopiù articolato, modulato nel tempo”107.

Osservando l’embrione e lo sviluppo del bambino, il rap-porto tra programmazione genetica e condizioni ambientaliinterne ed esterne, Oliverio ha potuto sostenere che:a) lo sviluppo nervoso dipende da un programma aperto, pri-

ma in relazione alle variabili dell’ambiente interno (rappor-ti tra geni, molecole, fattori di crescita), quindi in relazionealle variabili esterne (sollecitazioni, stimoli, cultura, ecc.);

b) i tempi della crescita cerebrale non sono caratterizzati dalsegno della continuità, ma da quello della discontinuità,procedono a scatti, “attraverso un passaggio da fasi di rela-tiva quiete a fasi di crescita intensa”108;

c) tra i nove e i dieci mesi matura la corteccia frontale e siforma un sistema di cablaggio e scambio di informazionitra linguaggio, comunicazione, memoria, apprendimento;

d) tra i 12 e i 24 mesi le cellule nervose fabbricano un’enor-me quantità di sinapsi che aiuta a classificare gli eventi;

107 A. OLIVERIO, Prima lezione di neuroscieze, cit. p. 29.108 Ivi, p. 43.

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e) alla fine del secondo anno inizia il lungo processo di “po-tatura sinaptica attraverso cui, gradualmente, i ridondanticircuiti cerebrali di un bambino piccolo assumono la for-ma che essi avranno nell’adulto”109: si sviluppa una vera epropria competizione di tipo darwiniano in cui sopravvivo-no le sinapsi più forti;

f) le sinapsi hanno un comportamento plastico e non prede-terminato; movimenti e nessi temporali caratterizzano lalogica della mente.

Alla fine dell’Ottocento William James individuò alcuneparole-chiave, alcuni concetti-base della psicologia. Oggi pos-sono e devono essere considerate parole-chiave capaci di uni-re non solo le cosiddette scienze umane o storico-sociali, maanche le scienze della vita. “Il pensiero si svolge”, scrisse Ja-mes110. Ma come si svolge? James fornì cinque risposte.“1) Ogni pensiero tende a far parte di una coscienza persona-

le.2) Entro ogni coscienza personale il pensiero è sempre in

mutamento.3) Entro ogni coscienza personale il pensiero è sempre con-

tinuo.4) Esso pare aver sempre a che fare con oggetti indipendenti

da lui.5) Esso è interessato per una parte di questi oggetti ad

esclusione di altri e continuamente ne accoglie o respinge– in altre parole sceglie fra essi”111.

Storia, psicologia, psicanalisi, biologia: un nuovo senso del-l’interdisciplinarità

Il lungo itinerario alla ricerca dei meccanismi della me-moria è partito da Freud e Jung e dal loro modo di intendereil rapporto presente-passato. Le neuroscienze ci hanno poi

109 Ivi, p. 49.110 W. JAMES, Principi di psicologia, Introduzione, versione e note di

G. Preti, Milano 1965, p. 3.111 Ibidem.

Cervello, memoria, storia 49

112 L. FEBVRE, Problemi di metodo storico, Torino 1992, p. 113.113 Ivi, p. 115.114 Ivi, p. 119.115 Ivi, p. 120.

indicato come le tracce costituiscano il vero termine medio frabiologia, psicologia e psicanalisi, storia: è attraverso di esseche abbiamo incontrato il complesso sistema di relazioni traconscio e inconscio, ontogenesi (individuale) e filogenesi (col-lettivo), continuità e discontinuità temporale, i ricordi e lepercezioni strutturate dalle emozioni. Seguendo le tracce del-la memoria, abbiamo scoperto che non è possibile una localiz-zazione precisa delle diverse funzioni: esse vivono in un fittis-simo sistema di interconnessioni. Il confronto tra il sistema diinterconnessioni che regola i meccanismi associativi dellamemoria e i meccanismi che associano le fonti ai fatti ha ri-velato come esista più di un parallelismo tra cervello e storia.

Quando James richiama la centralità della nozione disvolgimento, sottolinea cioè che movimenti e nessi tempora-li caratterizzano la logica della mente, apre prospettive, as-solutamente inedite e non sufficientemente pensate in tuttele loro conseguenze, verso un nuovo modo di intendere ilsistema di relazioni tra neurobiologia, psicologia-psicanalisie storia.

Quattro sono state le visioni tradizionali dell’interdiscipli-narità tra i saperi suindicati.

La prima è quella di Lucien Febvre e della fase costi-tuente del rinnovamento storiografico operato dai fondatoridella rivista Annales. A Febvre non sfuggono i rischi dellapsicologia storica come “psicologia restrospettiva”112: in parti-colare quello dell’anacronismo113. Se il fine ultimo dello stori-co è la “trasformazione senza posa”114, egli può solo procura-re agli psicologi materiali per elaborare una “valida psicologiastorica”. Ma il fine deve essere saldamente controllato dallostorico: e il fine è precisamente quello di “integrare una psi-cologia storica affatto individuale – da crearsi – nella potentecorrente di una storia in cammino, come ogni altra cosa, ver-so lo sconosciuto destino dell’umanità”115. Dunque il percor-so parte dalla storia, che fornisce materiali alla psicologia e

Aurelio Musi50

alla sua storicizzazione, ma deve tornare necessariamente allastoria, secondo una visione ricorrente nello stato nascentedelle Annales, che non ha mai negato il primato della ragionestorica.

La seconda visione è quella meglio elaborata da Ariès. Lostorico della mentalità deve ricostruire il “non-cosciente col-lettivo”116. Per Ariès esso equivale: al non percepito o scarsa-mente percepito dai contemporanei; al livello della spontanei-tà, facente parte cioè dei dati immutabili della natura. Lestrutture mentali, le visioni del mondo costituiscono dunque,per lo storico francese, quasi componenti rigorose, fisse di unatotalità psichica. Compito dello storico è “portare alla superfi-cie della coscienza i sentimenti di un tempo nascosti in unamemoria collettiva profonda. Ricerca sotterranea delle sag-gezze anonime: non saggezza o verità atemporale, bensì sag-gezze empiriche che regolano i rapporti familiari delle collet-tività umane con ogni individuo, con la natura, con Dio, con lamorte e l’aldilà”117. Al fondo dunque gioca la dicotomia natu-ra-storia: la natura sarebbe costituita da dati immutabili chesolo la storia, scienza del mutamento per eccellenza, è in gra-do di riportare alla loro dimensione empirica temporale.

La terza visione è quella espressa da Pomian sui rapportitra storia e biologia. Si tratta di rapporti affatto estrinseci: lastoria delle strutture integra al suo interno gli oggetti dellabiologia. Così “alimentazione, sessualità, atteggiamenti versoil corpo, la morte, le malattie: interessandosi a tali fenomenisi studiano in effetti le reazioni degli uomini alle costrizioninaturali”118. È possibile introdurre “nella storia il corpo uma-no a pieno titolo, come la geografia vi ha introdotto, a suotempo, l’ambiente naturale”119.

Si tratta di una visione complementare alla quarta: l’uso,ad esempio, della psicanalisi come insieme di metodi e tecni-

116 P. ARIÈS, Storia della mentalità, in J. Le Goff (a cura di), La nuovaStoria, Milano 1980, p. 166.

117 Ivi, p. 166.118 K. POMIAN, Storia delle strutture, in J. Le Goff (a cura di), op. cit.,

p. 105.119 Ivi, p. 106.

Cervello, memoria, storia 51

120 Cfr. E. PLATAGEAN, Storia dell’immaginario, in J. Le Goff (a curadi), La nuova Storia, cit., pp. 289-317; P. SORCINELLI, Il quotidiano e isentimenti. Introduzione alla storia sociale, Milano 1996 (con bibliogra-fia). In questo autore è visibile tuttavia lo sforzo di interpretare la psico-storia come confronto tra mutamento storico e mutamento psicologico:in una visione dinamica di entrambi i saperi.

121 P. GAY, Storia e psicoanalisi, Bologna 1989; cfr. pure il classico diA. BESANÇON, Storia e psicanalisi, Napoli 1975.

che applicate alla storia120; o, altrimenti detto, la psicologiacome “scienza ausiliaria” dello storico e parte del suo baga-glio culturale121.

James si era spinto molto oltre queste visioni minimalistee, a volte, strumentali dell’interdisciplinarità.

La nozione di svolgimento deve essere il trait d’union ditutte le scienze della vita. La formazione della coscienza per-sonale è un processo storico individualizzante. Memoria e ri-conoscimento operano in un contesto temporale, fatto di con-tinuità, discontinuità, mutamento, in cui fasi di relativa quie-te si alternano a fasi di crescita intensa. L’alterità e l’indipen-denza dalla coscienza degli oggetti sono insieme realtà edapparenza: il pensiero è, quindi, necessariamente selezione,scelta.

La storia ha a che fare con tutto questo: è una scienzadella vita.

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53

Il caso e la necessitàIII

La storia, come tutte le scienze della vita, si situa al cro-cevia tra il caso e la necessità. Bisogna tuttavia sottolinearealcune sue specificità. Esse riguardano: a) la complessità del-la nozione di causa in storia; b) la doppia libertà della storia;c) l’identità della storia come scienza nel tempo e scienza deltempo.

a) Non un rapporto meccanico causa-effetto, non unasola causa non un solo effetto, ma un sistema di relazioni edi connessioni causali, che dà vita ad una molteplicità di ef-fetti non prevedibili: questa è la storia. La storiografia puòutilizzare modelli e generalizzazioni. Ma a differenza dellescienze naturali, essa non può procedere né secondo il meto-do empirico-induttivo, né secondo quello ipotetico-deduttivo.La costruzione del modello in storia non può cioè fondarsiné su fatti come evidenze empiriche primitive, da cui è pos-sibile, per via induttiva, far derivare altri fatti, né su ipotesilogiche verificabili o falsificabili. Il modello in storia è unageneralizzazione del contesto che vuol descrivere e rappre-sentare, come meglio si dirà più avanti.

Sia dal punto di vista teorico sia dal punto di vista appli-cativo, un esempio convincente dell’uso della nozione di cau-salità in storia è quello proposto da Max Weber in L’eticaprotestante e lo spirito del capitalismo.

In quest’opera Weber analizza le “affinità elettive” trafede religiosa ed etica professionale che condizionano la“condotta di vita”. Si tratta di rapporti di reciprocità, lonta-nissimi da qualsiasi meccanicismo. Qui la causalità è l’insie-me delle condizioni di possibilità storiche. Così calcolo e vitaeconomica regolata non sono un prodotto meccanico del pu-

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ritanesimo, ma si iscrivono entro un quadro di trasforma-zioni storiche dal cristianesimo alla città medievale al capi-talismo commerciale, che distinguono nettamente la civiltàoccidentale dalle civiltà orientali: la prima, caratterizzatadalle affiliazioni “cittadine”, confessionali e individuali, leseconde, caratterizzate da affiliazioni “parentali-tribali”. An-che L’etica protestante e lo spirito del capitalismo rinvia allaconcezione weberiana della differenza tra scienze storico-so-ciali e scienze naturali, le prime fondate sulla ripetitività ci-clica, le seconde sulla dimensione non ripetitiva e individua-lizzante della storicità. L’idealtipo è l’organizzazione coerentedi un insieme contestualizzato e ben individualizzato.

b) La libertà della storia è doppia perché è sia retrospet-tiva sia prospettica. Il rapporto presente-passato è fondato altempo stesso sulla figura dell’analogia e su quella della diffe-renza. L’analogia è sempre relativa, accidentale, casuale, mol-to spesso risultato dei condizionamenti complessi e multifor-mi del presente. La vera sostanza del passato è la differenzacol presente: senza di essa non ci sarebbe svolgimento ossiastoricità. La libertà retrospettiva, praticata dallo storico,consiste nella sua capacità di situarsi nel corridoio strettissi-mo tra analogia e differenza. La ricorrente tentazione dellafine della storia è la negazione della sua libertà prospettica:la storia va sempre oltre le capacità di previsione dell’uomo,è dotata di creatività e capacità d’invenzione che molto spes-so sfuggono agli esseri umani.

c) La storia è scienza del tempo e scienza nel tempo:scienza nel senso di conoscenza, con la sua grammatica, lesue regole, la sua sintassi, le sue idee regolative; scienza chevive nel tempo e opera col tempo. “Figlia del suo tempo: –ha scritto Giuseppe Galasso – questa semplice e ovvia affer-mazione, relativa a ogni verità, cela in sé la trama essenzialedel tessuto storico o, per meglio dire, il filo conduttore diquesta trama. Il condizionamento storico potrebbe essere,infatti, definito – se così si potesse dire – la dimensione tra-scendentale, e quindi imprescindibile, della presenza e del-l’azione umana nella storia (...). Nulla nasce dal nulla; ognistoria ha sempre una preistoria, nasce da una storia e prelu-

Il caso e la necessità 55

de a un’altra storia”122. Il tempo storico non è quello dell’oro-logio, non ha regolarità di intervalli e successioni, non ènemmeno un tempo unico, è una quantità e una qualità inconcreto indistinguibili.

Nel rapporto problematico tra il caso e la necessità gioca-no dunque un ruolo rilevante la casualità, la libertà, il tempo.A questo riguardo sono possibili approfondimenti, che identi-ficano analogie e differenze tra storia, biologia, neuroscienzee scienze cognitive.

Causalità e casualità

Una delle più suggestive riflessioni sul rapporto tra cau-salità e casualità in storia è stata proposta da Marc Bloch.Nell’introduzione ad Apologia della storia Bloch assimila lastoria, così come si è trasformata nel Novecento, a quell’at-mosfera mentale che, grazie alla teoria cinetica dei gas, lameccanica einsteiniana, la teoria dei quanta, ha profonda-mente modificato l’idea di scienza. “In molti punti – egli scri-ve – hanno sostituito al certo l’infinitamente probabile; al ri-gorosamente misurabile, il concetto dell’eterna relatività del-la misura”123. E ormai si è più disposti ad ammettere che“una conoscenza possa meritare il crisma di scienza anche sesi dichiari incapace di dimostrazioni euclidee o di immutabilileggi di ripetizione”124. E il divenire delle scienze dell’uomo,pur continuando ad “obbedire alle leggi fondamentali dellaragione”, dimostrerà tratti di originalità legati proprio alle“incertezze” di discipline come la conoscenza storica: di que-sta condizione non bisogna vergognarsi, anzi essa dà “fre-schezza ai nostri studi”125. Nel paragrafo dal titolo Saggio diuna logica del metodo critico, lo storico francese cerca pro-prio di riconsiderare la storia alla luce dell’epistemologia del

122 G. GALASSO, Nient’altro che storia. Saggi di teoria e metodologiadella storia, Bologna 2000, p. 40.

123 M. BLOCH, Apologia della storia o mestiere di storico, Torino 1969,p. 33.

124 Ibidem.125 Ivi, p. 34.

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primo Novecento. Così la comparazione e la somiglianza tratestimonianze del passato comportano una ricerca fondata su“una lunga scala discendente dall’infinitamente probabile alsemplicemente verosimile”126. La critica della testimonianzanon può avvalersi di leggi ferree, ma ha a che fare con “unaistintiva metafisica del simile e del dissimile, dell’uno e delmolteplice”127. Anche la teoria della probabilità, che valuta ilgrado di verosimiglianza di una combinazione, deve fare iconti con un livello elevatissimo di incertezza: “nel gioco del-le coincidenze, la volontà dell’individuo, al pari della pressio-ne delle forze collettive, bara con il caso”128. E se “la maggio-ranza dei problemi della critica storica sono anche problemidi probabilità”, essi sono tali però “da costringere il più sotti-le calcolo a confessarsi incapace di risolverli”129.

E allora: l’universo della necessità è estraneo alla storia?Bisogna distinguere, dice Bloch. Il passato non è modificabi-le, ma la conoscenza del passato è in fieri e si perfeziona in-cessantemente. Ciò significa che la filiazione, cioè l’identifi-cazione delle origini di un fenomeno storico, ne costituiscesolo l’inizio, non è sufficiente a spiegare. L’ “ossessione em-briogenetica” disconosce un elemento importantissimo dellaconoscenza storica: “un fenomeno storico non è mai compiu-tamente spiegato se si prescinde dallo studio del momento incui avviene”130, cioè dal ruolo del contesto, come più volteabbiamo detto nel capitolo precedente. È interessante il fattoche Bloch, per comunicare meglio il concetto, citi tre esem-pi. Il primo è tratto dalla microbiologia: “un contagio presup-pone due fattori: generazioni di microbi e, nel momento incui la malattia attacca, un terreno propizio”131. Il secondo èl’analogia tra la storia e le fasi dell’evoluzione umana. Il terzoè tratto dalla saggezza popolare rappresentata nei proverbi.In questo caso si tratta di un proverbio arabo: “Gli uomini

126 Ivi, p. 105.127 Ivi, p. 107.128 Ivi, p. 117.129 Ibidem.130 Ivi, p. 46.131 Ivi, pp. 47-48.

Il caso e la necessità 57

somigliano al loro tempo più che ai loro padri”. E così chiosalo storico: “Lo studio del passato è caduto talvolta in discre-dito, per aver dimenticata questa massima orientale”132.

Anche la riflessione successiva a Bloch su significato, stu-dio e comprensione del passato ha centrato l’attenzione sullaprobabilità come livello intermedio tra causalità e casualità.Così Moses Finley ha scritto che per spiegare storicamente eper comprendere si deve ricorrere alla generalizzazione. Ma“verificare le generalizzazioni storiche è estremamente diffi-cile e apparentemente il massimo che si può sperare è, nellamigliore delle ipotesi, di stabilire un grado di probabilità”133.

Paul Veyne mutua dalla teoria delle probabilità, “teoriadella conoscenza lacunosa”134, la parola scelta per definire lasintesi storica: retrodizione. “I problemi di retrodizione sonoproblemi di probabilità di cause o, per dir meglio, di proba-bilità di ipotesi: essendo un dato avvenimento già accaduto,quale ne è la spiegazione giusta?”135 Un margine di incertez-za e di aleatorietà è sempre presente nella causalità storica,che è irregolare (“gli avvenimenti hanno delle cause ma nonsempre le cause hanno delle conseguenze”136), confusa, ilnumero delle cause è indefinito. La retrodizione richiede laconoscenza della mentalità dell’epoca, si apparenta al ragio-namento per analogia. La storia di una qualsiasi epoca, se-condo Veyne, si ricostruisce “mediante messe in serie, me-diante movimenti continui, in un senso e nell’altro, tra i do-cumenti e la retrodizione”137.

È possibile il confronto tra storia e biologia sul terrenodel rapporto tra causalità e casualità, tra necessità e caso?Riprendiamo la riflessione di Bloch, più convincente di altre.

Distinguiamo tra passato e conoscenza del passato. Ilpassato è l’universo della necessità, dello svolgimento nonmodificabile. La conoscenza del passato appartiene al mondo

132 Ibidem.133 M. I. FINLEY, Uso e abuso della storia, Torino 1981, p. 105.134 P. VEYNE, Come si scrive la storia, Bari 1973, p. 252.135 Ibidem.136 Ivi, p. 257.137 Ivi, p. 267.

Aurelio Musi58

dello svolgimento probabile: ha a che fare quindi con il con-testo, la possibilità di modificazioni e trasformazioni, perfe-zionamento, selezione.

In biologia invece è la realtà stessa dell’evoluzione che haa che fare col caso. Come scrive Monod a proposito dell’ori-gine del codice, “dobbiamo tenerci sempre in guardia daquesto senso così forte del destino. Il destino viene scrittonel momento stesso in cui si compie, e non prima. Il nostronon lo era prima della comparsa della specie umana (...)L’universo non stava per partorire la vita, né la biosfera l’uo-mo. Il nostro numero è uscito alla roulette: perché dunquenon dovremmo avvertire l’eccezionalità della nostra condizio-ne, proprio allo stesso modo di colui che ha appena vinto unmiliardo?”138. L’ambito della selezione e della mutazione ge-netica ha a che fare col caso: produce, perciò, novità e crea-tività. L’ambito della replica, della traduzione, della conserva-zione appartiene invece al mondo della necessità rigorosa. Laselezione agisce sui prodotti del caso e non può alimentarsialtrimenti; essa opera però in un campo di necessità rigoroseda cui il caso è bandito. Il fattore decisivo della selezionenon è costituito dalla lotta per la vita, ma dal tasso differen-ziale di riproduzione in seno a una specie.

Ma al di là di queste differenze, storia e biologia sonodotate della stessa unità fondamentale: la realizzazione delprogetto del vivente. “L’evoluzione stessa sembra realizzareun progetto, quello di prolungare e dare un maggior respiroa un sogno ancestrale. Grazie alla perfezione conservatricedell’apparato replicativo, ogni mutazione, individualmente,costituisce un avvenimento molto raro (...) L’antica alleanza èinfranta; l’uomo finalmente sa di essere solo nell’immensitàindifferente dell’Universo da cui è emerso per caso. Il suodovere, come il suo destino, non è scritto in nessun luogo. Alui la scelta tra il Regno e le tenebre”139.

L’individualità storica insieme con l’individualità biologicacontribuisce a realizzare il progetto del vivente.

138 J. MONOD, Il caso e la necessità. Saggio sulla filosofia naturale del-la biologia contemporanea, Milano 1996, p. 141.

139 Ivi, p. 172.

Il caso e la necessità 59

Libertà, casualità, arbitrarietà, necessità: sull’uso possibiledell’analogia in storia

Le possibilità di progettazione del vivente non sono illi-mitate. L’uomo è il prodotto di una storia naturale che haoccupato milioni di anni e che ha comportato e comportavincoli in larga misura al di fuori del suo controllo. “L’uomodiventa quindi un caso storico all’interno di tante potenzialitàsimulabili, di cui solo una, la nostra, si è realizzata in corpiche sono il risultato della storia naturale dell’evoluzione (...)Sopravvalutare la cultura, il mondo come interpretato e noncome dato o imposto, esprime forse l’ultima speranza dell’uo-mo di essere al centro dell’universo, da cui è stato via viasempre più allontanato dal progressivo sviluppo della scienza,culminato nella ferita al nostro orgoglio inferta da Darwin (acui infatti abbiamo resistito strenuamente per più di un seco-lo, cedendo le armi solo quando la genetica moderna ha por-tato a compimento le sue intuizioni)”140.

Se anche la storia, oltre che la biologia, viene assuntacome una scienza del vivente e non come una forma di cono-scenza culturale in opposizione a quelle naturali, diventa piùchiaro il rapporto tra necessità e libertà. Esso non è solo al-l’origine delle forme di realizzazione evolutiva, ma costituisceanche un obiettivo strategico per la conservazione e l’equili-brio dell’ecosistema in cui viviamo. L’uomo è un caso storico;tutti gli organismi viventi costituiscono un unicum, frutto didiverse combinazioni di contingenze storiche; tutti concorro-no e devono concorrere a non alterare i vincoli naturali del-l’evoluzione biologica che i progressi dell’ingegneria geneticastanno sempre più integrando nelle possibilità del controlloumano. In altri termini oggi il modello della storia naturaledell’uomo, di lunghissima durata, che ha trovato e realizzatoin se stessa l’equilibrio tra il caso e la necessità, può e devecostituire un efficace limite ai rischi e alle degenerazioni del-la libertà storica dell’uomo attuale, fondata sullo sviluppo ac-celerato della tecnica, delle possibilità della manipolazionegenetica, ecc.

140 P. LEGRENZI, Prima lezione di scienze cognitive, Roma-Bari 2005,pp. 15-17.

Aurelio Musi60

Come si pongono organismi biologici e organismi storicidi fronte al rapporto tra necessità, gratuità e libertà?

Il rapporto stimolo-risposta negli organismi biologici piùsemplici può anche essere meccanico: gli organismi inferioripossono essere legati a risposte-tipo, più o meno stereotipatee istintuali. Negli organismi più complessi le risposte com-portamentali appaiono meno controllate dalla natura deglistimoli, rivelano un alto grado di gratuità, di libertà indivi-duale: la complessità dei loro circuiti regolativi, in particolarenervosi, sottende le loro scelte comportamentali. Così la li-bertà è il prodotto dell’indeterminazione biologica, dell’altogrado di articolazione del patrimonio genetico, ma, al tempostesso, è resa possibile proprio dal genoma: esso “si è riserva-to il controllo di alcune risposte fondamentali, necessarie perla sopravvivenza, e ha organizzato le cose in modo tale chegli spazi lasciati liberi dal controllo biologico codificato nelgenoma potessero essere occupati dagli effetti dell’interazio-ne fra biologia e ambiente, ambiente nel quale l’organizza-zione sociale a cui l’organismo appartiene diviene una partesempre più predominante”. In biologia le unità complesse epiù articolate sono comunque formate da unità più elementa-ri. Le macromolecole, e in particolare gli acidi nucleici e leproteine, sono articolate rispettivamente in quattro tipi dinucleotidi e venti tipi di aminoacidi. E “il riconoscimento ditale caratteristica ha segnato la nascita della moderna biolo-gia molecolare”141.

Gli organismi storici sono sempre complessi e caratteriz-zati da una rete assai ampia di connessioni, formata da moltevariabili. Nell’articolazione storica, come già si è detto, il si-stema di relazioni può dar vita ad una molteplicità di effettinon prevedibili. Non esiste nessun grado di predeterminazio-ne relativa come in biologia, né un protagonista assolutoequivalente al genoma, né la possibilità di identificare le par-ticelle elementari di un’unità complessa come quella storica.Tuttavia sia la biologia che la storia, anche nel livello del rap-porto tra necessità, gratuità, libertà, possono fare riferimentoad un comune orizzonte: quello del contesto. Provo a spie-

141 E. BONCINELLI, op. cit., p. 65.

Il caso e la necessità 61

garmi con un esempio: quello del rapporto tra impero al sin-golare e imperi al plurale. Esso si può configurare comeun’endiadi: un concetto mediante due termini coordinati. Ilcoordinamento necessario singolare-plurale di impero e im-peri vuole indicare sia l’impossibilità di subordinare l’uno aglialtri e viceversa, sia la possibilità di pervenire ad una pienacomprensione storica della problematica solo attraverso l’in-tegrazione tra la singolarità e la pluralità. Così impero decli-nato al singolare, generalmente con aggettivo, è l’oggetto sto-rico della differenza; il plurale imperi è l’oggetto del confron-to e dell’analogia: ma il primo non può sussistere, nella con-siderazione storiografica, senza i secondi.

Qui la visione analogica della storia è lontana certo dallasua posizione classica che le attribuiva fondamento e legitti-mità attraverso il ricorso alla ciclicità, all’omologia tra natura,biologia e storia, alla concezione della “historia magistra vi-tae”. Si vuole piuttosto esprimere altro. La “conditio sine quanon” dell’uso dell’analogia in storia è la realizzazione del de-licatissimo equilibrio tra comparazione e contestualizzazione.La possibilità di analizzare gli imperi in prospettiva analogicasignifica allora:

a) identificare ricorrenze e somiglianze nella struttura e neifunzionamenti di grandi sistemi imperiali su base giuridicae/o su base politica;

b) rilevare la centralità dell’intera riflessione sugli imperi, laloro nascita, il loro sviluppo, la loro crisi e caduta, nellastoria della cultura europea per lo meno dal Rinascimentofino ad oggi.Sul punto a) quasi tutte le definizioni di imperi con-

templano i seguenti elementi.

– Lo spartiacque che dà inizio ad una nuova storia degliimperi è la formazione dell’impero romano. Esso costituisceil superamento degli antichi vincoli di appartenenza delle cit-tà-Stato del mondo antico, produce un ampliamento univer-sale della cittadinanza. La sistemazione classica di OttavianoAugusto segna un punto di svolta rispetto alle formazioni im-periali della storia precedente e, al tempo stesso, rappresenta

Aurelio Musi62

un modello, un insieme di costanti destinate ad influire note-volmente anche sulle formazioni dei secoli successivi fin den-tro il passato recente. Tutta la costruzione romana è fondatasulla fusione nella persona dell’imperatore di tre funzioni di-stinte: la funzione dell’imperator, cioè della forza militare; lafunzione del princeps, cioè della forza della giustizia; la fun-zione del pontifex maximus, cioè della forza della religione.Le tre funzioni costitutive dell’imperatore sono passate dagliimperi di diritto a molti imperi di fatto che sono andati svi-luppandosi nel tempo storico, articolandosi, ovviamente, informe e contenuti diversi in relazione ai contesti.– Gli imperi sono forme politiche che associano un coman-

do universale al mantenimento di una varietà di realtà po-litiche subordinate.

– Universalismo / particolarismo, unità / differenza sonodunque coppie costitutive degli imperi.

– Gli imperi si distinguono dagli Stati per la vocazione uni-versale, la tendenziale infinità temporale, la legittimazionefondata non solo sul principio legale/razionale, ma suquello: più auctoritas meno potestas, su una spazialità in-ternamente complessa.

Naturalmente, se si restringe l’arco cronologico di riferi-mento, risultano meglio visibili le analogie. Anthony Pa-gden142 ha potuto comparare le ideologie dell’impero in Spa-gna, Gran Bretagna e Francia, analizzandone le dinamiche diuniversalizzazione imperiale. Nel caso della Spagna essa rice-ve impulso dal processo di cristianizzazione che, tra XVI eXVII secolo, fornisce legittimità all’impero spagnolo, braccioarmato della Chiesa, per la sua espansione coloniale dalleAmeriche all’Asia. Gli imperi inglese e francese del Settecen-to “giustificano il loro allargamento planetario con la necessi-tà di estendere i vantaggi della civiltà occidentale al resto delmondo”143. In tutti e tre i casi il nesso impero-civiltà è fonda-mentale. Qualsiasi impero tende cioè a presentarsi come un

142 A. PAGDEN, Signori del mondo. Ideologie dell’impero in Spagna,Gran Bretagna, Francia, 1500-1800, Bologna 2005.

143 E. DI RIENZO, L’idea dell’impero da Roma a Washington, in “IlGiornale”, 27 novembre 2005.

Il caso e la necessità 63

insieme, un sistema di valori fondamentalmente unitari e traloro organicamente connessi, di modelli e stili di vita supe-riori a quelli di altre formazioni politiche: perciò è giusto econviene difenderli, esportarli all’esterno e fondare su di essila competizione internazionale.

Sul punto b) le esemplificazioni che si riferiscono a tem-pi più vicini a noi sono tantissime: basti pensare alla riflessio-ne sulla crisi degli imperi centrali dopo la prima guerra mon-diale, che ha coinvolto aspetti diversissimi della cultura edell’arte. Vorrei tuttavia ricordare altri due momenti impor-tanti della storia europea in cui, a differenti livelli, si è riflet-tuto sulla tematica imperiale. Si tratta di due congiuntureassai diverse tra di loro.

Nel secondo decennio del Cinquecento l’egemonia delMediterraneo è contesa tra due imperi, quello carolino equello ottomano. La grande potenza di Carlo V, straordinariatrasfigurazione dell’impero romano e carolingio, avviata or-mai verso l’egemonia mondiale, può essere fermata dall’altragrande potenza del Mediterraneo, l’impero ottomano. Questapaura trova espressione nella visione apocalittica della storiaformulata da Martin Lutero. Con i colleghi Jonas e Melanto-ne Lutero acquisisce nuove conoscenze sull’impero ottomanoattraverso l’esegesi del libro apocalittico di Daniele. Comeacutamente ha scritto Thomas Kaufmann, “le quattro bestiecitate nel settimo capitolo del libro di Daniele furono identi-ficate da Lutero, sulla scia di alcuni interpreti patristici,come gli imperi assiro, persiano-babilonese, alessandrino eromano. Il presente rientrava, per Lutero come per la mag-gioranza dei suoi contemporanei, nel quarto e ultimo di essi,l’imperium romanum, rinnovato da Carlo Magno e trasfor-mato in occidentale. La quarta bestia aveva dieci corna, cheLutero identificava con i regni facenti parte dell’impero ro-mano. Sotto il decimo corno, secondo il settimo capitolo dellibro di Daniele, se ne sarebbe formato un undicesimo, dacui sarebbero scaturiti altri tre corni: si trattava per lui del-l’impero di Maometto, che aveva incorporato l’Egitto, l’Asiae la Grecia (...) Il fatto che Lutero avesse trovato nella Bib-bia tracce dell’avversario più recente e pericoloso del cristia-nesimo – “il turco” – era per lui un’ulteriore conferma del

Aurelio Musi64

fatto che il traguardo della storia, il Giudizio universale, fosseormai vicino (...). Che la storia fosse destinata a finire di lì aqualche decennio era per lui certo”144.

Ma la “fine della storia”, profetizzata dall’escatologia diLutero, non si realizza. Il secolo successivo alla morte delgrande riformatore tedesco sarà il secolo di un’altra egemo-nia imperiale: quella spagnola. Al crepuscolo di quel sistemaimperiale, tra gli ultimi anni del Seicento e i primi del Set-tecento, in un’importante accademia napoletana, quella fon-data dal viceré Medinacoeli, si dibatte ampiamente il temadella nascita, ascesa e caduta degli imperi. Anzi l’accademia,al suo stato nascente, imposta un vero e proprio “program-ma” su questa tematica145. Il programma previsto e attuatoparte da una lezione, svolta dal Caloprese, sull’origine degliimperi; si sviluppa quindi attraverso due lezioni del Cicatellisul primo e sul secondo impero dell’Assiria, una lezione diValletta sull’impero dei Persiani, una di Russo sull’impero deiGreci, ben otto lezioni del Sersale sull’impero romano. Lapreoccupazione costante degli accademici, che si occupanodelle formazioni storiche imperiali, è la paura della “discor-dia”, del disordine civile e politico: di qui il riferimento ri-corrente a modelli di concentrazione e unità del potere. Cosìil Russo, riflettendo sulla debolezza dei Greci e sulla distru-zione di Atene “per cagione della democrazia”, scrive che la“repubblica deve avere un solo che la governi e, come unanave, un sol nocchiero, imperochè, se vi sia discordia per chil’habbia a governare, ad ogni picciolo impeto di vento, re-starà ella sommersa”146.

Ma è soprattutto Nicola Sersale che perfeziona l’uso ela reinvenzione dell’antico per la politica contempora-

144 T. KAUFMANN, Lutero, Bologna 2007, pp. 105-106.145 Cfr. per un approfondimento del tema qui esposto A. MUSI, Politi-

ca e cultura a Napoli tra il crepuscolo del sistema imperiale spagnolo el’avvento degli Asburgo d’Austria (1698-1707), in A. ÁLVAREZ OSSORIO -B. J. GARCÍA GARCÍA - V. LEON, La pérdida de Europa. La guerra de Suce-sión por la Monarquía de España, Madrid 2007, pp. 785-797.

146 C. RUSSO, Intorno all’imperio de’ Greci, in M. Rak (dir.), Lezionidell’Accademia di Palazzo del duca Medinacoeli, Napoli 2003, vol. I, p.265.

Il caso e la necessità 65

nea147. Nella storia di Roma egli identifica tre stadi, corri-spondenti alle età dell’uomo: l’infanzia sotto i re, la “robu-sta gioventù” e l’“ingrandimento” sotto la repubblica, la “vec-chiaia e la decrepitezza” sotto gli imperatori148. “Non duròpiù la giovinezza del dominio romano che sino all’età deifamosi Scipioni, che l’Africa e la Spagna sotto il giogo pose-ro, sino a Cesare e Pompeo, che di gran lunga l’ingrandiro-no. Da’ quali poi tiranneggiata et posta alla perfine da essoCesare sotto il dominio di un solo, pure, nel principio dellasua vecchiezza, ancorché la forma del governo mutata fus-se, sarebbe sotto Cesare Augusto forse ringiovanita e ritor-nata nella sua robustezza, se i seguenti imperatori avesserotutti le costui operazioni imitate e proseguite, avvegnachéoltre all’haver egli nelle parti dell’Oriente, tra’ popoli del-l’India e d’altre esterne regioni l’imperio di gran lunga ac-cresciuto, lo costituì in trono di così suprema autoritade edominio, ottimamente migliorando e stabilendo gli ordinicivili e militari, che poco o nulla lasciò che desiderare”149.La conclusione di Sersale è dunque chiara: il “dominio” deveessere direttamente proporzionale alla “cura” e al-l’“attenzione” per il governo del territorio150.

Mi sembra di poter leggere in queste lezioni accademi-che sugli imperi la difficile transizione vissuta dalla parte piùviva della cultura napoletana sullo scorcio del Seicento. Lamemoria delle rivoluzioni, delle “mutazioni di stato”, del ci-clo destabilizzante degli anni Quaranta del Seicento, la co-scienza della fragilità della “democrazia”151, ma, al tempostesso, le incognite della congiuntura internazionale, impon-gono la necessità della conservazione di un’alleanza politicafra ceto togato e corona spagnola, del modello di quella“concordia ordinum”, rivendicata da Vico, Giannone, Doria eda tanti altri intellettuali del ceto civile, come una delle rea-

147 N. SERSALE, Dell’Imperio romano, in M. Rak (dir.), op. cit., pp.294 ss.

148 Ivi, p. 339.149 Ibidem.150 Ivi, p. 355.151 L’espressione è usata in Russo, op. cit. (nota 16), p. 265.

Aurelio Musi66

lizzazioni della monarchia spagnola nel Regno di Napoli. Suquesto sfondo, tuttavia, inizia a profilarsi, sia pure non espli-citata, l’analogia tra la parabola degli imperi storici e quelladel sistema imperiale spagnolo152, giunto al suo crepuscoloforse anche per la difficoltà di coniugare le due parole chia-ve, “dominio” e “governo”, e di realizzare il rapporto propor-zionale fra esse come requisito fondamentale per la conser-vazione degli imperi.

Quelli in precedenza ricordati sono solo due esempi di-stinti e distanti tra loro. Essi mettono in luce, tuttavia, unaspetto importante: all’analogia, all’endiadi impero e imperisi è fatto largamente ricorso in congiunture particolari incui più vivo, avvertito ed urgente è stato il bisogno di sto-ria contemporanea nel preciso senso attribuito a questoconcetto da Croce e da altri esponenti dello storicismocritico otto-novecentesco. Se è “l’interesse della vita presen-te”, come scrive Croce153, che muove ad indagare un fattopassato, la tematica degli imperi è un grumo in cui sonoinevitabilmente e inestricabilmente intrecciati il rapportopassato-presente e nella materia stessa è implicita la ten-denza a quell’uso pubblico della storia che non può essereassunto sempre come una distorsione patologica, come piùavanti si dirà meglio.

Tempo, libertà, memorie

Sia la materia della mente sia la materia storica trascen-dono la causalità newtoniana. Un cervello superiore, dotatodi coscienza, quando opera con le memorie, mette in atto un

152 Una parte assai rappresentativa della storiografia spagnola e italia-na sta usando da oltre un decennio questa categoria per indicare la par-ticolare formazione politica che detiene l’egemonia mondiale per unbuon secolo, dalla metà del Cinquecento alla metà del Seicento. Quellacategoria ha acquistato dignità nel discorso storiografico al pari di altrecategorie come “composite Monarchy” (Elliott), “Monarquía católica”(Fernandez Albaladejo), ecc. Cfr. A. MUSI, L’Europa moderna tra Imperie Stati, Milano 2006.

153 B. CROCE, Teoria e storia della storiografia, cit., p. 14.

Il caso e la necessità 67

processo dotato di molti gradi di libertà. Essa dipende: dal-l’ambiente categorizzato che si presenta assai ricco di novità;dalla selezione che si effettua “a posteriori”; dalla ricchezza evariabilità dei repertori storici; dalla possibilità dello “slitta-mento del tempo” che, insieme con l’attività di pianificazio-ne, può modificare il modo di attuazione degli eventi. Dun-que, “l’attività delle memorie di ordine superiore trascendela descrizione di successioni temporali della fisica”. E “lostrutturarsi del sé nell’ambito sociale è, in certa misura, unevento storico fortuito”154.

Anche la materia storica rivela gradi analoghi di ricchezzae variabilità. Il suo strutturarsi in eventi possiede una notevo-le misura di casualità. La memoria storica effettua la selezio-ne “a posteriori”. Come il sistema biologico anche il sistemastorico può andare incontro allo “slittamento del tempo”:esso, tuttavia, non implica mai la possibilità della reversibili-tà. Sia l’esperienza soggettiva del tempo biologico sia quelladel tempo storico sono configurazioni a posteriori come tuttii sistemi selettivi. Così Edelman ha descritto lo “slittamentodel tempo” nella memoria biologica: “L’esistenza di una per-sona come di una cosa si può raffigurare con una linea diuniverso nello spazio-tempo quadridimensionale. Gli esseriumani, però, essendo dotati di intenzionalità, di memoria edi coscienza, possono prendere elementi che stanno su unpunto qualunque della linea e, sulla base della propria storiaindividuale, farli dipendere da progetti che stanno su altripunti della stessa linea. Possono quindi mettere in atto taliprogetti, modificando i rapporti di causalità tra gli oggetti inun modo determinato, in conformità con le strutture dellaloro memoria: come se un pezzo dello spazio-tempo potesseslittare e proiettarsi su un altro pezzo. La differenza è, natu-ralmente, che l’intero processo non richiede qualche princi-pio fisico particolare, ma soltanto la capacità di categorizzare,memorizzare e progettare secondo un modello concettuale.Nessuna combinazione di oggetti inanimati e non intenziona-li potrebbe dar luogo in modo così ricco a una modifica sto-

154 EDELMAN, La materia della mente, cit.

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155 EDELMAN, La materia della mente. Le origini della coscienza diordine superiore, www. ilpalo.com/libri/libri/edelman.htm.

156 F. BRAUDEL, Civiltà e imperi del Mediterraneo nell’età di Filip-po II, Torino 1976, vol. II, pp. 1175 ss.

157 sito cit.

rica di catene causali, poiché ad essi manca la memoria ditipo adatto”155.

Lo “slittamento del tempo” in storia consiste invece nellarappresentazione degli eventi su diverse scale temporali, chesi configurano come modalità differenti di attuazione. Essenon mettono comunque in discussione la realtà della loro at-tuazione e del loro svolgimento nel tempo. Così, quandoBraudel analizza la battaglia di Lepanto nella triplice dimen-sione temporale, lunga, media e breve, evidenziandone tuttele possibili implicazioni storiche nella “dialettica della dura-ta”, approfondisce le modalità di attuazione dell’evento, isuoi contraccolpi in contesti temporali differenti, i suoi effettisu livelli diversi da quello immediato di tipo tecnico-militare,ecc.; non nega certo lo svolgimento della battaglia di Lepantoin un punto determinato del tempo storico156.

Succede anche nell’evoluzione biologica. Un evento puòverificarsi una sola volta nella storia del sistema, ma può ge-nerare effetti importanti su scale differenti. Scrive Edelman:“Si immagini che la sequenza del codice genetico di un ani-male vissuto in tempi remoti si sia modificata per effetto deisuoi spostamenti (guidati, per esempio, da variazioni climati-che) attraverso regioni acquitrinose: se il diverso ordine deinucleotidi avesse contribuito a migliorare l’adattamento, essopotrebbe influenzare gli eventi di selezione e la funzionalitàdell’animale di oggi, lontano discendente di quello. Eppurele leggi fisiche che governano le effettive interazioni chimi-che fra i componenti genetici che formano il codice (i nu-cleotidi) sono deterministiche. Tuttavia, non c’è legge deter-ministica a livello chimico che possa rendere conto da soladel fatto che la mutazione del codice si è protratta nel tem-po, una mutazione che fu avviata e in seguito si stabilizzò nelcorso di lunghi periodi di tempo”157.

69

L’identità storicaIV

Come già scritto al principio del secondo capitolo, la me-moria è la capacità dell’uomo di ricordare, riconoscere, ride-stare: il ricordo consente il ri-conoscimento, ossia non solo laconoscenza, ma anche l’elaborazione di un avvicinamento alpassato, se non di un vero sentimento di appartenenza e di as-similazione al proprio vissuto; l’operazione del ridestare con-sente inoltre di rivivere il passato. È dunque indubitabile ilnesso tra ricordo, sentimento di appartenenza, identità: nellagerarchia dei ricordi, alcuni di essi, più intensi di altri per di-verse variabili, costituiscono la base su cui si costruiscono sen-timenti di appartenenza e contribuiscono a formare l’identità.

La storia è memoria e interpretazione della biografia indi-viduale e collettiva dell’uomo. Essa è la condizione stessa dipossibilità dell’identità individuale e collettiva: è proprio que-sto il senso dell’espressione identità storica. “Non è la storia adessere maestra della vita, ma, al contrario, la vita maestra dellastoria. La storia maestra della vita significherebbe determini-smo e ripetitività. Significherebbe che, come si è fatto in pas-sato, si potrà fare nel presente e nel futuro, e questo perchésempre si fanno le stesse cose, perché sempre le situazioni sto-riche sono eguali o si equivalgono. E, invece, questo non è.Sempre le situazioni storiche si determinano attraverso la rot-tura dialettica con ciò che è; sempre esse sono non solo nuove,ma diverse rispetto a quelle precedenti; sempre si inscrivononella logica del mutamento e del successo; sempre sono irridu-cibili le une alle altre, come irriducibili sempre sono i figli aigenitori e i fratelli ai fratelli, pur nella discendenza geneticadei figli dai genitori e nel parallelismo genetico tra i fratelli”158.

158 G. GALASSO, Nient’altro che storia, cit., pp. 100-101.

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La storiografia va oltre la memoria: essa è “costruzione ericostruzione della memoria”. La memoria è il deposito diricordi e l’attività che li memorizza. La storiografia storicizzala memoria, “la trascende nel momento in cui si adegua adessa per il proprio bisogno di un riferimento oggettivante e lacomprende in sé come dato della sua conoscenza e del suogiudizio. Dalla memorizzazione alla storicizzazione: il proce-dimento storiografico è estremamente complesso, ma ruotasempre intorno a questo asse”159.

Nella costruzione dell’identità agisce la memoria cultura-le attraverso tre tipologie di memoria: la memoria individua-le, la memoria generazionale, la memoria collettiva160.

La memoria individuale, come è stato rilevato da Po-mian161, svolge la funzione del riconoscimento, base del-l’identità; opera attraverso procedure di selezione e qualità;è fondamentalmente egocentrica; non gestisce le prove, maè essa stessa la prova. Tra memoria e storia, a questo livel-lo, si danno analogie e differenze, mai contrapposizione. Leanalogie sono identificabili nei tre caratteri comuni della se-lettività, della valutazione, della soggettività. Le differenzesono nel metodo, nel ruolo decisivo della mediazione nelprocesso di valutazione storica, nel fatto che la storia parlasempre in terza persona. Sono le differenze comprese nelpassaggio dalla memorizzazione alla storicizzazione, indivi-duato, come già detto, da Galasso. Ancora Pomian osservache la differenza tra memoria e storia è massima nel passa-to lontanissimo, minima nel passato più vicino. “Le diffe-renze tra storia e memoria risultano quindi massime là doveè in causa un passato lontanissimo, cioè un passato dellanatura, e ridotte invece al minimo là dove il passato è a tuttigli effetti vicino allo storico; sono massime quindi dove sistudino le traiettorie assieme alle singolarità che le contrad-distinguono, per attenuarsi nello studio delle forme spaziali

159 Ivi, p. 105.160 Riprendo questa distinzione da A. ASSMANN, Ricordare. Forme e

mutamenti della memoria culturale, Bologna 2002. Per ulteriori appro-fondimenti e bibliografia cfr. www.culturalstudies.it.

161 K. POMIAN, op. cit., pp. 229 ss.

L’identità storica 71

e delle relazioni (soprattutto quando siano integrate nellaloro relazione vissuta) e infine ridursi al minimo quando siha a che fare con gli individui. Ma anche nello studio deltempo presente il rispetto dell’esigenza di accostarvisi attra-verso la mediazione delle fonti e dei procedimenti codifica-ti e riproducibili, fa del tempo presente un passato, distan-ziandolo dallo storico, cosa che permette poi a quest’ultimodi poter fare lo sforzo di superare l’inveterata propensioneall’egocentrismo limitando l’influsso dei propri sentimenti edelle proprie convinzioni sulle ricerche che intraprende. Ilresto dipende dalle condizioni, soprattutto di ordine politi-co e istituzionale, nelle quali lavorano gli storici, e dal lorocarattere e dalla loro fedeltà alle regole della deontologiaprofessionale”162.

L’identificazione delle analogie e delle distinzioni tra sto-ria e memoria individuale, proposte da Galasso e Pomian,appaiono più convincenti rispetto alla tesi di una netta con-trapposizione che, sulla scia di Paul Ricoeur163, propone Giu-seppe Ricuperati: la memoria richiederebbe fedeltà; la storiasarebbe soprattutto critica. “La storia come storiografia non èmemoria, non è retorica dello stupore, ma critica, dolorosa eresponsabile anamnesi, ricerca della verità, etica”164. In realtàla memoria individuale oscilla tra fedeltà e infedeltà. L’archi-vio della memoria ha per lo meno quattro caratteristiche: lasua vastità; l’enorme disponibilità; l’emergenza improvvisa diun saper fare, cioè della memoria procedurale in assenza dimemoria semantica; procedure che oscillano di continuo traconsolidamento-stabilità e ristrutturazioni-riconsolidamenti.Pertanto è difficile rispondere alle domande: quanto veritieresono le memorie? quanto nostri sono i ricordi? Il processo dicontaminazione, manipolazione e falsificazione delle memo-rie appare con piena evidenza nel tasso di “infedeltà” del vi-sivo e del virtuale.

162 K. POMIAN, op. cit., p. 232.163 P. RICOEUR, La memoria la storia l’oblio, Milano 2002.164 G. RICUPERATI, Mnemosyne e Anamnesis: discipline della memoria

e conoscenza storica tra passato e futuro, www.csipiemonte.it/convegni_scientifici/2004/abstract/ricci_ricuperati.htm.

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Fenomeni di trasformazione coinvolgono i ricordi indivi-duali lungo l’asse della storia. Un orizzonte temporale vienedefinito attraverso il ricambio delle generazioni. Se il ricam-bio generazionale ha mediamente luogo ogni quarant’anni,particolari periodi storici che implicano un avvenimento trau-matico – come è stato quello della seconda guerra mondiale– vedono una compressione dell’esperienza di tre generazio-ni nel torno di anni in cui di solito se ne esaurisce solo una.Questa considerazione induce a valutare diversamente il la-voro dello storico – cui è richiesto un criterio di massimaoggettività – da quello dello scrittore, che spesso rivendica lalibertà di poter intervenire sul processo di recupero del pas-sato con l’aiuto della finzione narrativa165.

Memoria collettiva e uso pubblico della storia

L’uomo e le società umane devono curare la memoria dise stessi. E la storia può recare un potente contributo allamemoria come capacità dell’uomo di ricordare, riconoscere,operare nel presente. Certo i rischi, a questo livello, sonoinevitabili. Il cosiddetto “uso pubblico della storia” ne è unesempio. Bisogna tuttavia intendersi su questo punto. Qualsi-asi forma di scienza e di conoscenza comporta tanti usi pos-sibili: il suo valore è in stretta relazione con il suo uso pub-blico. Fu questo il fondamento della rivoluzione illuminista:il trinomio ragione-esperienza-pubblica felicità trasformòcompletamente il senso e la direzione della conoscenza, im-primendo un nuovo impulso al rapporto tra teoria e prassi.Allora l’espressione “uso pubblico della storia” o allude aduna funzione propria ed ineliminabile della conoscenza stori-ca, e in tal caso non può certo essere adottata in senso nega-tivo se non addirittura spregiativo, o è carente di specifica-zione. Propenderei per questa seconda alternativa. Quando siparla di “uso pubblico della storia” si vuol far riferimento ad

165 Cfr. E. AGAZZI, Letteratura e memoria. Raccontare la Storia in let-teratura, in A. Locatelli (a cura di), La conoscenza della letteratura, vol.II, Bergamo 2003, p. 63.

L’identità storica 73

un suo uso “distorto”. La distorsione deriva, quasi sempre, daun corto circuito che si crea nello svolgimento dell’operazio-ne storica: non quindi per un allontanamento dalla presunta“verità storica” che non può esistere come valore assoluto,quanto piuttosto per il mancato rispetto delle procedure del-la teoria e metodologia storiografica ad uno o più livelli del-l’operazione storica che dalla critica delle fonti perviene –secondo un percorso logico e non cronologico, ben s’intende– al momento dell’interpretazione e del giudizio.

Specchio dell’uso pubblico della storia sono i testi in usonelle scuole dei diversi paesi europei ed extraeuropei.

Fin dal titolo, il libro di Giuliano Procacci166, a questotema dedicato, presenta una precisa chiave di indagine el’ipotesi ispiratrice dell’intera ricerca. L’ipotesi, peraltro espli-citata dallo stesso autore, è la seguente: i manuali di storiasono la spia del sistema educativo dei diversi paesi che lihanno prodotti e dello stesso orientamento della loro opinio-ne pubblica.

La prima articolazione dell’ipotesi è sicuramente condivi-sibile, anche se bisogna tenere in considerazione che altrevariabili entrano in gioco soprattutto in quei paesi in cui i li-bri di testo per la scuola non sono stabiliti e controllati dalloStato e vige il principio del pluralismo nella produzione dimanuali. Inoltre i sistemi educativi non sono sempre cosìcoerenti e organici come viene presupposto e immaginato daProcacci. Come insegna anche l’esperienza italiana, l’ultimociclo di riforme scolastiche, ispirato prima dal ministro LuigiBerlinguer, poi da Letizia Moratti, poi dal ministro Gelmini,è caratterizzato da una miscela singolare di coerenza e inco-erenza, razionalità e irrazionalità: una miscela che difficil-mente comunica l’idea di un organico sistema educativo,base di riferimento per un manuale di storia.

La seconda articolazione dell’ipotesi Procacci – i manualidi storia come spia e al tempo stesso agenti primari del-l’orientamento dell’opinione pubblica – va attentamente sto-ricizzata e contestualizzata. Di sicuro oggi l’opinione pubblica

166 G. PROCACCI, Carte d’identità. Revisionismi, nazionalismi e fonda-mentalismi nei manuali di storia, Roma, 2005.

Aurelio Musi74

è formata e orientata da altro: nel sistema di comunicazioneil testo scritto – un manuale di storia appunto –, sia pure stu-diato per l’intero ciclo scolastico, si rivela probabilmentecome lo strumento meno efficace nel processo di formazionee orientamento dell’opinione pubblica. Il senso comune e lavisione della storia sono piuttosto prodotti dalla televisione,da Internet e da altri sistemi interattivi e multimediali chetrasmettono molto spesso un’idea distorta di tempo, quasisempre schiacciata sull’istante, priva di qualsiasi riferimentologico e cronologico o, meglio, tutta risolta in un meccanismomonocausale immediato. Un posto rilevantissimo nella for-mazione dell’opinione pubblica è occupato dalla stampa quo-tidiana e periodica: come dimostra ancora il caso italiano, laventata di revisionismo, che ha investito e investe quotidiana-mente questioni non solo di storia contemporanea, ma anchedi storia moderna, ha trovato proprio nei media la sua cassadi risonanza più forte ed efficace. Una ricerca sui manuali distoria come indice sensibile dell’opinione pubblica di un pa-ese non può dunque prescindere da un’analisi comparativatesa a confrontare valori, idee, contenuti dei libri di testo conquelli trasmessi dai media, dai sistemi di comunicazione visi-va, dagli strumenti multimediali.

Quanto scritto non sottrae valore e importanza alla ricer-ca di Procacci, che risulta fondamentale per vari ordini dimotivi. In primo luogo essa ci parla dell’esperienza di Statieuropei ed extraeuropei, in larga misura sconosciuta sia aglistudiosi sia al grande pubblico. In secondo luogo gran partedelle fonti utilizzate da Procacci è costituita o da materialidifficilmente consultabili o da informazioni ricavate da siti online. In terzo luogo, soprattutto per alcuni casi, il quadro, ri-costruito dall’autore, è aggiornatissimo e corrispondente a le-gislazioni, progetti di riforma, orientamenti di politica scola-stica degli ultimissimi anni.

Nella prima parte del volume, l’autore analizza l’identitàdei “lastcomers”: ossia “l’invenzione della tradizione” nei ma-nuali di storia delle repubbliche ex sovietiche, degli Stati bal-canici e degli Stati africani.

“È evidente – scrive l’autore – che il problema della co-struzione, se non dell’invenzione, di un’identità nazionale, si

L’identità storica 75

pone in termini di particolare acutezza ed urgenza quantopiù labile ne sia il contenuto e quanto più recente è l’acqui-sizione dell’indipendenza o anche la rivendicazione dellamedesima. In certi casi tale processo segue anzi e non prece-de l’acquisizione dell’indipendenza e della dimensione sta-tuale”167. È qui, appena di sfuggita e solo attraverso un inci-so, sfiorato il tema che avrebbe dovuto costituire invece ilbackground, l’inevitabile e approfondita premessa di tutte lequestioni più immediatamente e direttamente collegate allafisionomia dei manuali di storia dei “lastcomers”: le modalitàstoriche di costruzione dello Stato e della nazione nei paesigiunti solo di recente – o attraverso la scomposizione di qua-dri più o meno artificiosi di integrazione politica o attraversole forme e i tempi della decolonizzazione – all’acquisizionedell’indipendenza e di un’autonoma dimensione politica.

Sullo scorcio del XX secolo, un valore, la nazione, “appa-riva in crisi là dove era nato e si manteneva più consolidato evigoreggiava, invece, altrove come grande o, comunque,pressoché inevitabile prospettiva e dimensione politico-civiledi vecchi e nuovi paesi, di Stati di recente o meno recenteindipendenza”168. Giuseppe Galasso, che ha riflettuto su que-sta vicenda incrociata di crisi, persistenza e fortuna del mo-dulo nazionale, ne propone una spiegazione che egli stessogiudica semplicistica: “non sono (o non sarebbero) tanto lenazioni a dar luogo allo Stato nazionale quanto gli Stati a for-giare, se non a inventare, le nazioni”169. Ciò spiegherebbe siala nuova ondata autonomista, federalista o secessionista, pro-vocata o consentita dalla crisi dello Stato nazionale in Europa(in Italia per la Padania, in Inghilterra per Scozia e Galles, inFrancia per la Corsica, in Spagna per Catalogna e Paesi Ba-schi, in Belgio per valloni e fiamminghi, in Iugoslavia per lascomposizione in tante piccole nazioni, eccetera), sia la for-

167 Ivi, p. 16.168 G. GALASSO, Nazione, in Enciclopedia del Novecento Treccani, vol.

XI, supplemento II, Roma 1988, p. 309; IDEM, L’Italia s’è desta. Tradizio-ne storica e identità nazionale dal Risorgimento alla Repubblica, Firenze2002.

169 G. GALASSO, Nazione, cit., p. 310.

Aurelio Musi76

mazione di cosiddette “nazioni immaginarie”, senza consi-stente base storica, politica e culturale, nei nuovi Stati natidal processo di decolonizzazione.

La filiazione Stato-nazione non può essere tuttavia com-provata storicamente. Dovunque in Europa, sostiene ancoraGalasso, anche laddove appare come un esito tardivo, con-traddittorio e fragile, la nazione è il risultato di un processostorico di lunga durata: in nessun caso è stata un’invenzionepuramente politica. E, nel caso delle nazioni emergenti, lacornice istituzionale non è stata sufficiente a creare la nuovaformazione, che è nata soprattutto grazie a spinte di naturadiversa, condizionanti sia il profilo statuale sia il profilo na-zionale170.

Si tratta com’è noto, di temi complessi che meriterebbe-ro ben altri approfondimenti: qui sono appena indicati pro-prio per sottolinearne l’assenza sorprendente in un’opera dinotevole impegno come quella di Procacci.

Per quanto riguarda i manuali delle repubbliche ex sovie-tiche, Procacci prende in considerazione i seguenti casi: laMoldova, l’Ukraina, la Bielorussia, l’Estonia, i nuovi Stati dellaregione caucasica come l’Azerbaijan e la Georgia, le repubbli-che ex sovietiche dell’Asia centrale, dunque un panorama ric-chissimo e in larga misura sconosciuto al largo pubblico.

Comune a tutti i casi è il peso di lunga durata del model-lo sovietico, fondato sulla distinzione tra il manuale di storiagenerale e quello di storia nazionale. Altro elemento ricor-rente: la ricerca delle lontane radici etniche, su cui vienefondata l’identità nazionale. Nel caso della Moldova, la “sto-ria dei Romeni è narrata come quella di un’etnia originarianata dalla fusione tra Daci e Romani che, lungo tutto il corsodella storia moderna, si è battuta per liberarsi dalle varie do-minazioni e occupazioni straniere – turche o asburgiche orusse che fossero – per superare le divisioni interne tra i varivoivodati e per culminare infine nel glorioso epilogo del1918, Marea Unire”171. Nel caso dell’Estonia, le origini diuna coscienza e di un’identità estone vengono fatte risalire a

170 Ibidem.171 G. PROCACCI, op. cit., pp. 16-17.

L’identità storica 77

tempi assai anteriori a quelli storicamente reali, “attribuendoalle rivolte contadine del Medioevo una valenza patriottica enazionale che esse non avevano e non potevano avere”172.Nel caso della Ukraina, il riferimento è ad un’ukrainità intesacome dato naturale e astorico.

Altro elemento: l’ottica interna dei manuali presi in esa-me condiziona la sommaria trattazione della storia generale,“i cui sviluppi vengono analizzati prevalentemente in funzio-ne della loro incidenza sulla storia dei Romeni, quando nonlo siano in base a considerazioni di opportunità politica daparte di un governo quale è quello attualmente in carica, amaggioranza comunista”173.

Nei manuali delle repubbliche ex sovietiche dell’Asia cen-trale, la dominazione russa è sempre il “negativo” da condan-nare. Nelle scuole uzbeke alla dominazione russa sono con-trapposte le glorie di Tamerlano, uomo di pace oltre che diguerra. Nella regione autonoma della Tataria si chiede che neilibri di testo sia data una valutazione positiva di Gengis Khan.

Nel complesso emerge un quadro in cui le motivazionipolitico-ideologiche prevalenti nei manuali di storia sono lalegittimazione ex post di un’identità nazionale fondata su basietniche, il ripiegamento della ricostruzione storica sulle esi-genze contingenti delle élites al potere, la pressoché assolutamarginalità della storia generale.

Un dato di straordinario interesse è quello ricordato daProcacci alla fine della trattazione relativa alle repubbliche exsovietiche dell’Asia centrale. In nessuna di esse è rivendicatauna revisione dei confini stabiliti nell’era sovietica che noncorrispondono certo a criteri etnici: per Procacci è questo unevidente segno di contraddizione tra le ragioni del revisioni-smo storico e le ragioni della politica pratica; a me pare inve-ce che esso vada letto come una dimostrazione che i criterietnici, persino in paesi che li hanno posti a fondamento dellaloro idea di nazione, sono assolutamente insufficienti e, per-sino, poco efficaci a configurare la complessità del sentimen-to di appartenenza nazionale e la sua traduzione politica.

172 Ivi, p. 23.173 Ibidem.

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Veri e propri “manuali etnici”, fondati sull’identificazionedel vicino come nemico, sono quelli analizzati da Procaccinell’indagine sui sistemi scolastici degli Stati balcanici. Quellaserba e quella croata risultano due storie parallele che non siincontrano mai e non si sono mai incontrate nel lungo perio-do. Alla guerra sono conferite “qualità quasi mitiche”: laguerra è il motore della storia; economia, società, vita quoti-diana appaiono faccende “banali e ordinarie”. L’unico fattoredi convergenza tra i manuali delle diverse etnie più impor-tanti è la condanna del regime di Tito. Sorprende comunqueil fatto che non emergano nell’analisi di Procacci presenze oassenze, registrate nei manuali in questione, dell’ideologiaiugoslava che, almeno dalla fine dell’Ottocento al periodo ti-tino, ha avuto una notevole influenza storica.

Anche nella scrittura della storia dei paesi africani di re-cente indipendenza prevale la distinzione tra il manuale di“storia nazionale” e il manuale di “storia generale”. Nellatrattazione di questa parte Procacci non affronta il problemadelle dinamiche della decolonizzazione e dei differenti con-testi di formazione e sviluppo di Stati e nazioni nel continen-te africano, che avrebbero forse meglio potuto spiegare an-che gli indirizzi manualistici.

Il Medio Oriente, quale si presenta attraverso i manualidi storia, è solo in parte lo specchio di “identità in conflitto”,per riprendere il titolo del capitolo dedicato dall’autore al-l’area in questione. Intanto, in questo caso, le “identità inconflitto” sono assai più ricche e complesse rispetto al con-flitto principale arabo-israeliano, letto come contrasto fra dueblocchi identitari omogenei. Sarebbe, da tale punto di vista,interessante una ricerca tesa a stabilire da un lato quanto latensione interna al mondo israeliano tra il fondamentalismodei coloni e i valori di tolleranza, riconosciuti e praticati dallamassima parte della popolazione, si esprima anche nella co-struzione e ricostruzione dell’identità storica; dall’altro, quan-to la “questione palestinese” abbia frammentato il mondoarabo e le costruzioni degli Stati-nazione nel Medio Orienteabbiano sensibilmente incrinato quel blocco che, nella primafase del processo di decolonizzazione, era potuto apparireassai più compatto di come si sia rivelato successivamente.

L’identità storica 79

Ma l’espressione “identità in conflitto”, pur essendo fonda-mentalmente corretta, nasconde la differenza di peso e valo-re che storia e storiografia hanno avuto e hanno nel mondoisraeliano e nel mondo arabo. Dalla stessa ricostruzione diProcacci emerge, del resto, la differenza: si tratta, precisa-mente, da un lato del ruolo decisivo che le vicende del con-flitto hanno svolto nell’orientare la cultura storica e storiogra-fica di Israele verso un ripensamento della tradizione sioni-sta, soprattutto dopo la Guerra dei Sei Giorni; d’altro lato,nei paesi arabi, non solo è mancata un’analoga apertura ri-spetto alla propria tradizione, ma l’antisraelismo è sconfinatospesso nell’antiebraismo, l’insegnamento della storia nell’edu-cazione civica come educazione islamica. Procacci si soffer-ma, in particolare, su alcune innovazioni che, a partire dal1999, si sono prodotte nei manuali di storia israeliani. “Laprincipale innovazione che essi hanno in comune consistenell’integrazione della storia ebraica nel più vasto contestodella storia generale, a partire dall’antichità. Viene così pro-sciugata la parte tradizionalmente dedicata alla storia di Isra-ele, delle sue tribù e dei suoi re ed ampliata quella relativaalla classicità greco-romana. Lo stesso criterio viene applicatoanche alla storia contemporanea. La tragedia della Shoah,che in precedenza costituiva oggetto di studio intensivo eseparato, nei nuovi manuali viene inquadrata nella vicendadella seconda guerra mondiale e il conflitto arabo-israelianoviene inserito nel contesto delle relazioni internazionali e piùin particolare, per quanto riguarda i suoi sviluppi postbellici,in quello della guerra fredda”174.

L’esperienza di manuali palestinesi approvati dall’AltaAutorità è assai recente. In essi il richiamo alla democrazia èdi pura facciata. Anche in questo caso Procacci sfiora untema di straordinario interesse: l’innesto cioè dei valori libe-raldemocratici occidentali su tradizioni indigene, caratterizza-te dal primato del modello familiare come principio organiz-zatore della società organicisticamente intesa. La società pa-lestinese è “una grande famiglia in cui il padre è capo indi-scusso, mentre le donne occupano una posizione subordinata

174 Ivi, p. 45.

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e i diritti dei minori si limitano all’apprendimento di un’edu-cazione islamica”175. L’identità che viene definita nei manualirisulta assai elementare e per contrapposizione a quella deglioppressori di ieri, gli inglesi, di oggi, lo Stato di Israele.

Procacci vede segnali incoraggianti nell’iniziativa del PeaceResearch Institute in the Middle East: la redazione di un ma-nuale frutto della collaborazione di un’équipe di studiosi israe-liani e palestinesi. Solo un segnale, ben s’intende: perché lastrada prescelta delle “storie parallele” potrà dare i suoi frutti epotrà costituire un contributo alla pacificazione solo attraversola realizzazione di “due popoli in due Stati-nazione”.

La terza parte del volume è dedicata a quegli Stati dotatidi una più “collaudata e stagionata identità”176. Sorprende,tuttavia, che agli Stati dell’Europa continentale con identitàstoricamente più e meglio caratterizzate Procacci dedichi,tutto sommato, un’attenzione marginale. Proprio perché sidispone oggi di maggiore informazione177, sarebbe stato au-spicabile una sua messa a punto e una discussione critica piùapprofondite. Procacci rileva, a proposito dei manuali di sto-ria dell’Europa occidentale, tre differenze rispetto ai manualidei “last comers”: una trattazione più ricca della storia, nonlimitata solo alla storia politica, ma “attenta alla storia sociale,della cultura, alla quotidianità”; un maggiore equilibrio, fattaeccezione della Francia, tra storia generale e storia nazionale;l’ampiezza della trattazione riservata alla storia contempora-nea. Ancora una volta – come si è detto ripetutamente, èquesta una caratteristica ricorrente del volume – è appenaallusa una questione che, soprattutto in Germania e in Italia,ha interessato il dibattito accademico, mediatico e politico: ilrevisionismo della storia del Novecento.

Ma prima di entrare nel merito di questa questione, mipare opportuno sottolineare che il significato del termine“revisionismo storico” non è univoco: esso assume sensi assai

175 Ivi, p. 48.176 Ivi, p. 53.177 Cfr. gli atti del recente convegno promosso dalla Fondazione

Agnelli, citato anche da Procacci, F. PINGEL (a cura di), Insegnare l’Euro-pa. Concetti e rappresentazioni nei libri di testo europei, Torino 2003.

L’identità storica 81

differenti in relazione ai contesti storico-politici in cui vieneusato; l’identità rivendicata o l’accusa infamante di “revisioni-sta” sono assai spesso attribuzioni improprie, buone solo aconfondere le idee al pubblico ignaro, già confuso e disorien-tato nel difficile mondo in cui viviamo. Se è vero che Procac-ci adotta il termine al plurale, – “revisionismi” – non semprene chiarisce i contesti d’uso e i significati specifici. Persinonel caso di due paesi che hanno vissuto entrambi l’esperienzatotalitaria, come la Germania e l’Italia, il revisionismo, che hainvestito e investe la storia nazionale del Novecento e chemette in discussione soprattutto le interpretazioni di nazio-nalsocialismo e fascismo, si è presentato e si presenta concaratteri assai differenti. Se nel primo caso, a partire dall’Hi-storikerstreit, il revisionismo ha costituito l’occasione per unasorta di “esame di coscienza” sul passato recente della Ger-mania, nel caso dell’Italia la ricerca dell’identità storica è sta-ta ed è assai spesso piegata a fini politico-pratici immediati.

Ma, ben s’intende, non era questo l’obiettivo di Procacci:era piuttosto quello di verificare in che misura e attraversoquali percorsi comunicativi i due revisionismi, quello tedescoe quello italiano, avessero investito i manuali di storia deidue paesi. La risposta di Procacci, a tale riguardo, tende anegare qualsiasi influenza del “nuovo corso revisionista” suimanuali di storia “più diffusi e qualificati”. Non sono dati allettore riscontri per comprovare il giudizio apodittico. Peral-tro, l’espressione “più diffusi e qualificati” non risulta imme-diatamente comprensibile: la diffusione di un manuale di sto-ria è sicuramente certificata dalle adozioni scolastiche; ma laqualificazione da chi è certificata? dal mercato, cioè dal nu-mero delle adozioni, o da che altro parametro?

Più in generale vorrei a questo punto osservare due cose:proprio il riferimento al mercato, ai livelli di diffusione deimanuali di storia è totalmente assente dall’orizzonte di analisidi Procacci; inoltre non è chiarito in quali ordini di scuole(primaria, secondaria inferiore, secondaria superiore) sianoadottati i testi di storia oggetto di attenzione.

Convincente appare invece la trattazione del caso russo,ben noto all’autore. Dopo il crollo del sistema sovietico iniziain Russia una fase di “processo al passato” che non dura a

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lungo. A partire dalla metà degli anni Novanta, è avvertibile,secondo Procacci, un certo pluralismo nella manualistica sto-rica. Tutti i nuovi testi di storia per la scuola “recano nelfrontespizio l’avvertenza che essi sono raccomandati o am-messi dal ministero dell’educazione. Essi forniscono tuttaviaricostruzioni e giudizi che sono lungi dal coincidere. Segnoche il principio del pluralismo comincia ad essere realtà, an-che se per ottenere l’approvazione ministeriale e per essereinclusi successivamente nella lista dei libri distribuiti gratui-tamente alle scuole, i singoli testi debbono sottoporsi ad unaserie di controlli”178. Esempi di pluralismo nel giudizio stori-co riguardano innanzitutto la Storia Moderna: la rivalutazionedella triade zar-chiesa ortodossa-nobiltà, alleati nella battagliaper il prestigio dello Stato russo, e il conseguente giudizionegativo sulle rivolte; al contrario, l’opposizione della società,anche attraverso le rivolte, al dispotismo orientale degli zar.In comune i giudizi differenti hanno il retroterra della “gran-de madre Russia”, panslavismo e populismo come due faccedella stessa medaglia. Per la Storia Contemporanea ha trova-to un’ulteriore legittimazione la distinzione tra storia nazio-nale e storia mondiale: si configura una “storia ripiegata sem-pre più all’interno nella ricerca talvolta ossessiva di un’identi-tà sino alla teorizzazione di un eccezionalismo in positivo o innegativo”179.

Tra i paesi dell’Asia orientale spazio notevole è dedicatoalla Cina. Di particolare interesse è il panorama dell’ultimoquindicennio diviso in tre fasi. Agli inizi degli anni Novanta,nei manuali di storia cinesi, l’amore per il partito passa insecondo piano rispetto al forte sentimento patriottico. Nellaseconda fase, alla fine degli anni Novanta, è avvertibile unadiversa sensibilità e apertura mentale nei confronti del mon-do contemporaneo e dei suoi mutamenti. La terza fase, quel-la attuale, come emerge dagli standards per l’insegnamentodella storia nel secondo ciclo delle scuole superiori, pubblica-ti nell’aprile 2003, appare caratterizzata da un maggioreequilibrio fra storia nazionale e storia generale, che assume

178 G. PROCACCI, op. cit., p. 58.179 Ivi, p. 61.

L’identità storica 83

una forte connotazione eurocentrica. I testi e le direttive re-centi “si muovono in controtendenza rispetto agli orienta-menti prevalenti in altri paesi del continente asiatico e rap-presentano una sorpresa e una novità non prive di implica-zioni politiche”180. È appena il caso di osservare che tale“controtendenza” e il sorprendente interesse per la storiadella civiltà europea, riscontrati nei testi scolastici cinesi,sono speculari al modello di sviluppo economico e sociale diun paese che, pur conservando la struttura politica del comu-nismo, sta vivendo una straordinaria fase di accelerazionecapitalistica.

Due fondamentalismi, all’offensiva e in forte conflitto fradi loro, sono quello hindu e quello islamico: la tensione traIndia e Pakistan si riflette nei manuali di storia dei due paesie assai illuminanti sono gli esempi ricordati da Procacci. Nonviene, tuttavia, presa in considerazione la tensione internaallo stesso mondo indiano tra Hindu e musulmani.

Il capitolo dedicato agli Historical Standards americani èsicuramente quello più convincente sia perché in esso l’auto-re ricostruisce alcune fasi e tendenze della storiografia degliStati Uniti, sia perché, disponendo di una molteplicità di stu-di sui libri di testo scolastici americani, sono formulati gene-ralizzazioni e giudizi su una base documentaria più ampia, siainfine perché l’analisi di Procacci incrocia temi e problemi digrande rilevanza nel dibattito culturale americano.

È a partire dalla fine degli anni Sessanta che la storiogra-fia americana viene investita da due onde lunghe, per cosìdire, destinate ad influenzare anche la redazione dei libri distoria per la scuola: il multiculturalismo e la collocazione del-la storia in posizione ancillare all’interno delle scienze sociali.Si chiede una storia in cui vi sia posto per le donne, per ineri, per gli indiani, per tutte le minoranze: alla formula delmelting pot si sostituisce quella del salad bowl. La prospetti-va della storia multiculturalista produce “non solo eccessi dizelo, ma anche vere e proprie deformazioni e falsificazioni”.Il caso più clamoroso è quello di alcuni storici afrocentristi,contestatori radicali della prospettiva eurocentrica: sostengo-

180 Ivi, p. 96.

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no che la civiltà egiziana era una civiltà africana, che i faraonie Cleopatra erano neri, che i Greci si appropriarono dellesue conquiste, che gli africani avevano scoperto l’Americaprima di Colombo, che Beethoven era un “afroeuropeo”.

Queste deformazioni non passano nei manuali scolastici.Tra la fine degli anni Sessanta e la metà degli anni Ottanta illoro tratto dominante è invece costituito da “un’immagine ec-cezionalista e sostanzialmente apologetica della storia naziona-le”181. Qui la negatività del giudizio di Procacci, che riprende,peraltro, valutazioni di Eugen Kotte, autore di un ampio stu-dio sui libri di testo americani, appare francamente eccessiva,per non dire sbagliata. È normale che i manuali scolastici distoria rafforzino, fino a stereotiparle, alcune immagini identi-tarie della nazione americana, come l’American Creed, la for-mula della frontiera, l’american way of life, il melting pot. Inrealtà ogni nazione, che è andata costruendo storicamente lasua identità, tende ad esaltare alcuni tratti di questa storiacome componenti “eccezionali”, ad assumerli come valori, acostruire, anche a partire dai libri di testo scolastici, una “re-torica del consenso”. Nel caso degli Stati Uniti d’America,come, del resto, di altri Stati-nazione dotati anche di un piùlungo processo storico di formazione, la tradizione non è in-ventata: la tradizione fa parte integrante della civiltà storica eintorno ad essa si crea un sistema condiviso di valori.

Proprio su questo terreno, tra i multiculturalisti che met-tono radicalmente in discussione il sistema condiviso di valorie chi crede in ideali culturali comunemente identificati comeamericani, si svolge, a partire dalla fine degli anni Ottanta,una dialettica vivace destinata a far sentire i suoi contraccolpianche sulla definizione dei curricula scolastici. Ed è significa-tivo, da questo punto di vista, che nel 1987 lo Stato di NewYork metta a punto un nuovo curriculum per l’insegnamentoispirato a criteri multiculturalistici, in cui la storia è inserita,in posizione ancillare, nelle scienze sociali. Nel curriculum lospazio dedicato alla storia europea viene drasticamente ridi-mensionato e quello dedicato alla storia americana ridotto auna sezione sulla Costituzione seguito da una carrellata fino

181 Ivi, p. 134.

L’identità storica 85

alla guerra civile e alla ricostruzione. Nonostante le stronca-ture di questa impostazione, nelle scuole dello Stato di NewYork prevalgono dalla fine degli anni Ottanta indirizzi e pro-grammi multiculturalisti.

Agli inizi degli anni Novanta la manualistica storica ame-ricana appare assai confusa. Lo studio della storia si svolgenel segno della diversità tra Stato e Stato; lobbies confessio-nali conservatrici esercitano una notevole influenza sui testiscolastici di alcuni Stati; i valori condivisi, sintetizzati nelmotto “e pluribus unum”, non appaiono più tali. Nel 1991Arthur Schlesinger jr. segnala che il 78% degli studenti deicolleges e delle università americane non hanno mai seguitoun corso di storia della civiltà occidentale. “Tutto ciò – scriveProcacci – rappresentava un grave handicap in un mondoglobalizzato e sia gli uomini politici che i manager ne eranoconsapevoli e allarmati. La consapevolezza e l’allarme creb-bero quando dopo la caduta del muro di Berlino e la disinte-grazione dell’Unione Sovietica gli Stati Uniti si trovarono in-vestiti di maggiori responsabilità internazionali”182.

È in tale contesto che matura la decisione del presidenteBush nel 1989 di stabilire dei “national goals” per tutto il si-stema educativo americano. L’elaborazione degli standards sirivela quanto mai complicata per lo studio della storia. Pro-cacci ricostruisce puntualmente le fasi delle diverse redazionidegli standards, i criteri a cui si ispirano, i dibattiti a cui dan-no luogo anche sui media americani. In particolare le que-stioni più spinose appaiono le seguenti: il rapporto tra lamolteplicità delle identità e la costruzione di valori condivisi;la periodizzazione storica; il rapporto tra mondo europeo,mondo americano, mondo africano; il metodo da seguire nel-l’insegnamento (nozioni versus skill, apprendimento critico eper problemi).

L’autore così conclude: “Il tentativo di elaborare dei Na-tional Standards adeguati alla rinnovata e cangiante composi-zione etnica del paese, si è concluso con un insuccesso (...).Ciò significa che, a seconda dello Stato in cui vivono, dellascuola che frequentano, dei docenti che hanno, della loro

182 Ivi, p. 140.

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appartenenza etnica e della loro condizione sociale, gli scolarie gli studenti americani studiano e imparano storie diverse eche ciò contribuisce a far loro acquisire diversi e inegualipatrimoni culturali”183.

Insomma, il panorama presentato da Procacci non è esal-tante. Nazionalismi e fondamentalismi, l’identità storica rico-struita su basi etniche, revisionismi e pesantissime strumen-talizzazioni politiche ad opera di élites del momento al pote-re sono alcuni tratti distintivi dei manuali di storia di moltipaesi extraeuropei. Ma, d’altro lato, la civiltà occidentale, nel-la molteplicità e ricchezza delle sue espressioni in Europa efuori d’Europa, da qualche decennio è andata smarrendo dalsuo orizzonte il senso storico, la possibilità di riconoscersi inquadri ricostruttivi e interpretativi forti su cui fondare anchevalori condivisi. Le scienze sociali, antropologia, sociologia,ecc., lungi dall’arricchire di strumenti teorici e metodologicila scienza storica, le hanno sottratto valore sintetico e centra-lità nel processo della conoscenza.

Nei programmi di storia di molti paesi dell’Occidente“l’abbinamento della storia con scienze quali l’antropologia ela sociologia rischiava di trasformarsi in un apparentamentonel quale la storia veniva perdendo il proprio statuto di disci-plina autonoma per assumere un ruolo sostanzialmente ancil-lare, di fornitrice di exempla e di dimostrazioni alle disciplineconsorelle”184. Così la funzione generalizzante nel processo diconoscenza viene affidata alle scienze sociali; la storia diventauna sorta di serbatoio di “case studies” a cui attingere.

E “case studies” sono anche le “storie regionali”, chehanno sostituito le storie nazionali soprattutto laddove, comein Belgio, è stata fortemente contestata la concezione identi-taria che Pirenne ha elaborato in un’efficace visione unitaria,ma che era viva e operante fin dal Medioevo. Secondo talevisione l’unificazione del Belgio nel 1830 fu il momento con-clusivo del lungo processo storico risultante dalla fusione fracomunità di lingua e cultura germanica e comunità di linguae cultura romanza.

183 Ivi, p. 157.184 Ivi, p. 161.

L’identità storica 87

Dunque l’oscillazione fra la perdita della diacronia nel-l’apparentamento fra storia e scienze sociali e la frammenta-zione della storia regionale appare a Procacci la caratterizza-zione prevalente dei manuali di molti paesi dell’Europa occi-dentale.

Qual è la terza via fra multiculturalismo ed esclusivismoidentitario? Nella pagina conclusiva l’autore invoca il “valorenormativo” dei principi dell’illuminismo e dell’internazionali-smo. La terza via consisterebbe dunque “nel rifiuto di ogniconcezione dell’identità in termini etnici, esclusivi e conflit-tuali e nel rispetto degli altri e dei diversi, chiunque essi sia-no”185. Una petizione sicuramente giusta: ma non si correcosì il rischio di ricadere in quel multiculturalismo peraltronon condiviso dall’autore? E sorge peraltro anche la tentazio-ne di chiedersi se tutti i problemi, ripercorsi da Procacci,non potrebbero ricevere un chiarimento maggiore dal riferi-mento ad un altro criterio metodologico e critico, quello sto-ricistico che, dopotutto, non dovrebbe essere estraneo allacultura e alla biografia intellettuale dello stesso Procacci.

Identità, differenze, eurocentrismo

Di recente, Jack Goody ha accusato l’Occidente di averrubato la storia186. Un errore prospettico ci porta a considera-re la nostra civiltà come superiore, immune dal declino, inca-pace di pensare la possibilità che il baricentro dell’egemoniaculturale ed economica possa passare altrove. Goody sottopo-ne a dura critica le tesi di Joseph Needham, Norbert Elias,Fernand Braudel. Al primo riconosce di aver fatto capire ilprimato tecnico-scientifico della Cina sull’Europa, ma rim-provera il pregiudizio euromarxista, la tesi dell’assenza di unaborghesia in Cina e del capitalismo come fenomeno specifi-camente europeo. A Elias Goody contesta l’associazione traStato moderno occidentale e “civiltà delle buone maniere”.Per Goody Elias ha compiuto un vero e proprio furto della

185 Ivi, p. 182.186 J. GOODY, Il furto della storia, Milano 2008.

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storia ai danni delle società asiatiche e africane: le primeavrebbero partecipato attivamente, secondo Goody, alla “ci-viltà delle buone maniere”; le seconde avrebbero avuto gradidi sviluppo simili a quelli occidentali che hanno contribuitoad alimentare evoluzioni psicologiche comuni. Portatore diun pregiudizio eurocentrico è anche Braudel che ha utilizza-to fonti soprattutto europee e ha collocato l’Europa al centrodi tutte le innovazioni: per esempio l’attribuzione del capita-lismo finanziario alla sola Europa, trascurando alcuni periodidella storia asiatica.

Sicuramente i mutamenti importanti che si sono prodottidurante gli ultimi anni nel nostro presente testimoniano diuna congiuntura mondiale radicalmente nuova rispetto alpassato e inducono a ripensare, con categorie più aggiornate,anche i termini di problematiche storiche che consideravamoforse dati acquisiti una volta per tutte. E in storia non esisto-no dati immutabili. La formazione di nuove gerarchie econo-miche e culturali mondiali, la formazione di un soggetto ine-dito come quello che è stato chiamato Cindia, il ridimensio-namento della potenza imperiale degli Stati Uniti d’America,l’allargamento dell’Unione Europea, l’intreccio tra terrorismoe fondamentalismo, i flussi migratori est-ovest e sud-nord,che stanno producendo cambiamenti nella composizione de-mografica, sociale e culturale dell’Occidente, stanno ridise-gnando gli assetti mondiali. Goody ha quindi ragione nel ri-chiamare l’attenzione sull’esigenza di rivedere la stessa inter-pretazione della storia dell’Occidente entro una prospettivacomparativa su scala mondiale.

Tuttavia, riconosciuto quel che va riconosciuto a Goody,si deve pure osservare che la modernità dell’Europa e i mo-tivi del suo primato storico dal Quattrocento alla secondaguerra mondiale escono confermati da qualsiasi prospettivacomparativa li si guardi. Gli Stati-nazione sono un’invenzioneeuropea, per meglio dire italiana, che è stata ereditata e ri-presa, pur tra contraddizioni e limiti, dopo i processi di deco-lonizzazione dai paesi emergenti. Dalla divisione religiosa delCinquecento sono venuti progressivamente emergendo il ri-conoscimento della separazione tra Chiesa e Stato, soggettiautonomi nelle loro rispettive sfere, e il valore della tolleran-

L’identità storica 89

187 Per questo ed altri aspetti prima considerati si veda G. GALASSO,Storia d’Europa, vol. III, cit., passim.

za. L’attuale valorizzazione e proliferazione di diritti, riguar-danti molteplici sfere dell’attività e dei comportamenti umanie soggetti sempre più ampi, è stata resa possibile grazie alvalore epocale della rivoluzione francese che ha abolito fori egiurisdizioni separate e privilegiate e ha unificato la civiltàdel diritto uguale per tutti i cittadini. Nel sistema delle rela-zioni internazionali l’Europa ha sviluppato una dialettica co-stante tra equilibrio ed egemonia, che, tranne in alcunedrammatiche congiunture, ha salvaguardato l’integrità com-plessiva del continente. Le radici storiche dell’Europa sonoandate caratterizzandosi attraverso un insieme di rapporti econflitti: è la civiltà delle differenze, non la civiltà dell’identi-tà la base culturale del nostro continente.

Naturalmente la storia europea, nei suoi caratteri di fon-do, è fatta anche di molte ombre: il colonialismo e lo scam-bio ineguale che ha provocato; le diverse velocità delle eco-nomie e delle società europee e i molteplici dislivelli cheancora oggi scontiamo; la ricorrente tentazione, che ha coin-volto alcune potenze europee, all’assalto del potere mondia-le; genocidi e soluzioni finali. Ma gli anticorpi, per così dire,hanno quasi sempre, e sia pur tardivamente, funzionato.

E nella seconda metà del secolo scorso, quando è co-minciata la crisi dell’Europa, molti aspetti della sua storiahanno costituito un modello per altri paesi extraeuropei187.

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I fondamenti teorici della ricerca storicaV

Fondamenti teorici: un ossimoro?

L’espressione “fondamenti teorici”, che dà il titolo a que-sto capitolo, può apparire un ossimoro se applicata alla cono-scenza e al lavoro storico. Tra la fine dell’Ottocento e la pri-ma metà del secolo scorso, infatti, i concetti di fondamento edi teoria della storia188 sono andati sempre più distaccandositra loro, sono entrati in contraddizione e, forse, hanno pro-dotto un cortocircuito non più riparabile.

Bisogna naturalmente intendersi sui concetti di fonda-mento e di teoria per capire che cosa sia entrato definitiva-mente in crisi. Si è concluso il ciclo che ha visto associare ilfondamento al principio e al fine della storia al di fuori dellastoria stessa, costruire su di esso legittimazione, oggettività evalore della storia: insomma si è concluso il ciclo delle filosofiedella storia. Benedetto Croce in Teoria e storia della storio-grafia ne ha identificato le diverse forme: il naturalismo che“si corona sempre di filosofia della storia, quale che sia laforma delle sue sistemazioni”, gli atomi che producono il cor-so storico, la Materia come “Dio ascoso”, l’Intelligenza “che sivale, per mettere in atto i suoi consigli, della catena dellecause”, il Regno dei fini o sottoregno delle cause, ecc. Lostesso Croce, tuttavia, ha messo in evidenza altresì la funzionestorica positiva svolta dalle filosofie della storia che “col lorocontinuo risorgere hanno continuamente additato le lacunedel nostro sapere così storico come filosofico, e con le lorosoluzioni immaginose hanno precorso le soluzioni dialettichee storiche dei nuovi problemi che si sono andati ponendo”189.

188 B. CROCE, Teoria e storia della storiografia, cit., p. 75.189 Ivi, p. 86.

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Ma, più sottilmente, le critiche hanno riguardato soprat-tutto l’inevitabile antitesi tra storia e filosofia della storia: laseconda ridurrebbe la prima ad un semplice “processo di ve-rifica”190. I drammi e le catastrofi della prima metà del Nove-cento hanno poi contribuito non poco ad allungare la distan-za tra storia e filosofia della storia: con la conseguenza di fal-sificare, non verificare, legittimità e valore della storia sullabase del fondamento.

Detto questo, tuttavia, resta il problema di ridefinire unateoria della storia non più equivalente alla filosofia della sto-ria: una teoria, cioè, costruita su nuovi principi di legittima-zione e sulle possibilità di accertare la verità della conoscen-za storica. Questo è possibile solo se si assume dentro il pro-cesso della conoscenza storica quella tensione tra fatti e valo-ri che la vicenda del Novecento ha acuito e che fu già alcentro della riflessione dello storicismo critico.

In Lo storicismo e i suoi problemi, Ernst Troeltsch191 ten-tava di rispondere ad un interrogativo che, per molti versi, èassai simile a quello che ripropone il nostro tempo contem-poraneo: come era possibile, cioè, “una nuova unità cultura-le, rinnovare il presente muovendo dalla valutazione del pas-sato, e tuttavia acquisire quella valutazione muovendo daibisogni e dalle valutazioni del presente”192, nella consapevo-lezza della tensione tra reale e razionale, tra fatto e norma,ma anche nella precisa coscienza che “la norma è una tensio-ne che nasce dalla storia, non contro e fuori della storia”193?Secondo Troeltsch, la proposta di Windelband e Rickert didistinguere le scienze nomotetiche come scienze dell’univer-sale e scienze idiografiche come scienze individuali storico-sociali, non aveva sciolto la contraddizione tra “l’individualitàdi ogni formazione storica” e “l’universale validità razionaledei criteri di valutazione”194. Il sistema hegeliano aveva iden-

190 I. MARROU, op. cit., p. 195.191 E. TROELTSCH, Lo storicismo e i suoi problemi I: Logica e filosofia

materiale della storia, a cura di G. Cantillo e F. Tessitore, Napoli 1983.192 Ivi, p. 155.193 F. TESSITORE, Troeltsch, lo “Historismus” e la “Universalgeschi-

chte”, introduzione a E. Troeltsch, op. cit., p. 11.194 E. TROELTSCH, op. cit., p. 160.

I fondamenti teorici della ricerca storica 93

tificato il ritmo del movimento storico nella dialettica logicadel pensiero: non era sfuggito così alla dicotomia tra sopraf-fazione storica e individualizzazione dei concetti e aveva fon-dato il senso della storia nella sua fine. “Solo nel crepuscolodella storia conclusa l’uccello di Minerva, che comprendeconcettualmente, può cominciare il suo volo”195.

Troeltsch individuava in Nietzsche la reazione più acutaalla scuola hegeliana e alla scuola storica. Egli scriveva: “Lacritica della cultura e l’esigenza di una nuova sintesi si ri-collegano oggi soprattutto a Nietzsche. Con ciò, però, il pro-blema della costruzione del sistema di valori a partire dallastoria si presenta scisso in due aspetti, opposti, difficilmenteconciliabili. L’ideale è libero da ogni fondazione razionale estorica, è una trasvalutazione dei valori. Ma in quanto è adun tempo un ideale individual-concreto, resta costretto adalimentarsi dalla storia. La storia quindi porta insieme utilitàe danno, dev’essere nello stesso tempo utilizzata e combattu-ta, esige una concezione articolata e stilizzata, e tuttavia,come ogni scienza, appare egualmente come il risentimentodell’uomo non creativo verso la libera produttività del ge-nio”196. Nietzsche aveva compreso, tuttavia, “il problema diuna fondazione dei valori a partire dalla storia”197. La criticaradicale dell’idealismo e del concetto di totalità mettevacapo, in Nietzsche, al recupero di una nuova unità che dove-va organizzare il caos e il frammentario: era la vita che pone-va il valore; non “cogito ergo sum”, ma “vivo, ergo cogito”.Scriveva Nietzsche: “La vita deve dominare sulla conoscenza,sulla scienza, oppure la conoscenza deve dominare la vita?Quale delle due forze è la più alta e la decisiva? Nessunopuò dubitarne: la vita è il potere più alto, dominante, poichéuna conoscenza che distruggesse la vita distruggerebbe nelcontempo se stessa. La conoscenza presuppone la vita, hacioè rispetto alla conservazione della vita lo stesso interesseche ogni essere ha rispetto alla continuazione della propriaesistenza. Quindi la scienza ha bisogno di una superiore vigi-

195 Ivi, pp. 167-168.196 Ivi, p. 174.197 Ibidem.

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lanza e sorveglianza; un’igiene della vita si pone proprio ac-canto alla scienza”198. La vita pone così il valore alimentando-si all’individuale-concreto storico; il nuovo modello di culturacome “unità tra vivere, pensare, apparire, volere”199 si realiz-za servendosi del passato nel triplice senso monumentale,antiquario e critico. Ovviamente questa condizione è con-traddittoria, lacerante: la polarizzazione tra “storia-scienza” evita è la conseguenza del venire meno “del vincolo unitivo trail passato e la produzione del presente nell’invisibile e neldivino”200. Ma proprio questa contraddizione, affermava Tro-eltsch, è straordinariamente istruttiva: da Nietzsche derivavaquindi, in gran parte, “la crisi e l’esame di sè dello storicismomoderno”201.

La nozione di vita ha costituito forse l’elemento-chiavenella riflessione culturale fra ’800 e ’900: una vera e propriarappresentazione dello spirito del tempo202. Non solo essa èstata al centro del pensiero filosofico; e basti pensare aNietzsche, ai più originali rappresentanti dello storicismo te-desco come Troeltsch, a Bergson, in Italia a Croce. Quellanozione ha costituito altresì un ponte tra filosofia e scienze,un nucleo problematico forte con cui hanno dovuto fare iconti forme diverse della conoscenza come la conoscenza so-ciologica e la conoscenza storica, tanto per fare due esempi.Sul terreno della prassi storiografica il problema si è presen-tato – si pensi soprattutto alle esperienze francesi della Re-vue de Synthèse Historique e delle Annales – in termini assaicomplessi: la dialettica, la tensione fra vita, norme o valori estoria è stata assunta all’interno stesso della pratica storica; almedesimo tempo, questa ha sentito il bisogno di ripensare e

198 F. NIETZSCHE, Sull’utilità e il danno della storia per la vita. Consi-derazioni inattuali II, in F. NIETZSCHE, La nascita della tragedia. Conside-razioni inattuali I-III, a cura di G. Colli e M. Montinari, Milano 1982,pp. 351-352.

199 Ivi, p. 355.200 E. TROELTSCH, op. cit., p. 174.201 Ibidem.202 Per quanto segue cfr. A. MUSI, I luoghi della vita. Castelli, mona-

steri, villaggi, città in Europa, Napoli 2007, a cui si rinvia anche per iriscontri bibliografici.

I fondamenti teorici della ricerca storica 95

riformulare l’autonomia del suo statuto scientifico, i suoimetodi e i suoi contenuti. Di qui la doppia fisionomia chehanno assunto le esperienze storiografiche più originali deiprimi decenni del ’900: da un lato il riferimento continuo aldibattito filosofico come indice più sensibile della condizioneculturale contemporanea in un’epoca fortemente segnata dalnesso filosofia-storiografia; dall’altro lato la ricerca sui meto-di, le tecniche, le procedure distintive o comuni della storiarispetto alle altre scienze umane. La doppia fisionomia trova-va poi il suo momento di fusione in un’unica idea regolativa,per così dire, del lavoro storico: l’aspirazione alla sintesi traunità vivente, specializzazione scientifica e ruolo dello stori-co. Marc Bloch e Lucien Febvre, i padri fondatori delle An-nales, la rivista francese fondata nel 1929, che ha in larga mi-sura rivoluzionato metodi e tecniche della scienza storica, so-stenevano che la storia, per essere scientifica, doveva esserepiù umana sia nell’oggetto del suo studio che nell’elementodella comprensione. E Febvre ribadiva che la vera storiascientifica era quella in contatto diretto con la vita. Berr insi-steva sull’unità tra mondo umano e mondo della natura,Febvre allargava la dimensione umana nella storia attraversol’interesse per i ritmi biologici, la sensibilità, la vita affettiva,le componenti psicologiche. Un paio di decenni prima Bene-detto Croce, in Teoria e storia della storiografia, aveva collo-cato al centro della sua elaborazione proprio il nesso, nonsempre tranquillo, anzi spesso drammatico e lacerante, travita e storia, presentandone tutte le possibili implicazioni: “Ilrapporto della storia con la vita come rapporto di unità, noncertamente nel senso di un’astratta identità, ma in quello diunità sintetica, che importa la distinzione e l’unità insiemedei termini”; l’interesse per la “vita presente” come molla perindagare un fatto passato; la “certezza e l’utilità della storia”fondate proprio “sull’indissolubile nesso di vita e pensiero”,“vere fonti della storia”; l’impossibilità di smarrirsi nella sto-ria perché “a volta a volta il problema di essa è preparatodalla vita, e a volta a volta il pensiero lo risolve passandodalla torbidezza della vita alla distinzione della coscienza”203.

203 B. CROCE, Teoria e storia della storiografia, cit., pp. 16-17.

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Una così forte proiezione della vita e del pensiero dellavita sulla storia ha contribuito a costruire i caratteri dellagrande stagione della cultura europea dal positivismo alla cri-si delle scienze europee tra le due guerre mondiali.

Soprattutto la via tedesca, per così dire, nella doppia li-nea delle filosofie della vita e delle filosofie dei valori, hafornito risposte che si dispongono su una molteplicità diterreni: l’impatto tra pensiero storico e funzione normativadi verità e valori; il rapporto tra unità vivente, specializza-zione scientifica e ruolo dello storico. Dopo Nietzsche ilproblema centrale dello storicismo moderno non è caduto:la crisi del fondamento, la “morte di Dio”, la fine delle vi-sioni escatologiche della storia hanno anzi riproposto in ter-mini, se possibile, più radicale il problema del rapporto trafatto e valore, a partire proprio dalla consapevolezza dellaloro tensione storica.

Questa problematica è stata ricondotta sul terreno speci-fico della prassi storiografica da Max Weber204. Egli ha benidentificato e risolto il problema del rapporto tra oggetto esoggetto della storia. A fondare la struttura logica delle disci-pline storico-sociali non è l’oggetto, ma l’orientamento di ri-cerca, il metodo di elaborazione concettuale. Tuttavia il sog-getto che delimita il punto di vista, l’orientamento e la deci-sione delle relazioni con i valori non sono oltre la storia, madentro la storia. Il procedimento della prassi storiograficacomprende la messa in valore di un individuo culturale (l’og-getto storico primario), quindi la spiegazione causale dellasua configurazione (fatti storici secondari). Ma questi duemomenti non possono essere concepiti separatamente: l’unoserve all’altro, è guida dell’altro.

Il punto culminante della riflessione storicista, sia nel suoesame filosofico interno da parte di Troeltsch, sia nelle consi-derazioni metodologiche di Weber, è dunque il seguente: de-finire le condizioni di possibilità dell’oggettivazione storica apartire dalla lacerazione nicciana tra storia-scienza e vita, fraideale individuale-concreto e ideale libero da valori, a partire

204 Per cui cfr. soprattutto M. WEBER, Il metodo delle scienze storico-sociali, Milano 1980.

I fondamenti teorici della ricerca storica 97

dalla fine della visione escatologica o organicistico-positivisti-ca della storia. Per Weber la relazione ai valori è la condizio-ne di possibilità della storia, non la sua garanzia assoluta, uni-versale e necessaria: essa è il frutto di una responsabile deci-sione personale. Una volta delimitato il punto di vista, messoa fuoco l’individuo culturale, il compito della spiegazione sto-rica consiste nel determinare, mediante giudizi di possibilitàoggettiva, la dipendenza dei fatti da un particolare gruppo dicondizioni. Le indicazioni di Weber non risolvono dunque lalacerazione nicciana tra storia-scienza e vita, come, del restonon la risolve la via suggerita da Troeltsch.

La consapevolezza della distanza tra scienza e vita, dellatensione tra norma e fatto, tra necessità e possibilità, ma in-sieme l’esigenza di un “tutto sempre vivente e attivo”205, sen-tito, quasi presagito in un movimento non astratto ma con-cretamente configurato, costituito attraverso l’accertamento eil controllo della singolarità, dell’individualità storica, sono trai lasciti più importanti e duraturi dello storicismo critico.

Il paradosso dello storicismo

La fondazione dell’idea di storia come svolgimento hameno di due secoli: è dunque recentissima rispetto ai nucleifondativi di altri saperi e forme di conoscenza. Prima, e permolti secoli, l’idea di storia, secondo l’acuta periodizzazioneproposta da Croce, ha attraversato varie fasi: la concezionedell’omologia tra natura e storia rappresentata nell’immagi-ne classica del ciclo; la prima emergenza dell’umanità comeprotagonista, ma governata dalla Provvidenza, secondo la ri-voluzione cristiana; una più accentuata presenza dell’uomonella sua individualità, come microcosmo che ricapitola ilmacrocosmo, durante l’Umanesimo e il Rinascimento; iltrionfo della ragione nella storia illuministica. Persino inquesta fase più avanzata, tuttavia, la “storia fa salti”, comescrive Croce206: non si dispone cioè su una linea di succes-

205 E. TROELTSCH, op. cit., p. 312.206 B. CROCE, Teoria e storia della storiografia, cit., p. 287, dove scri-

ve: “lo spirito non si svolgeva, ma saltava”.

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sione e sviluppo, ma, come ben esemplificato ne Il secolo diLuigi XIV di Voltaire, mostra un andamento a spirale, carat-terizzato dalla sequenza di epoche felici, fatte di splendori,come l’età di Luigi XIV ad esempio, ed epoche di decaden-za. La categoria di svolgimento e l’identità tra sviluppo eprogresso, vere invenzioni dell’Ottocento romantico, hannoreso possibile la costituzione della storia come sapere, formaautonoma di conoscenza e disciplina. A partire da Ranke eda Droysen, soprattutto, sono stati elaborati i problemi dellastoria considerata “iuxta propria principia”207: il ruolo priori-tario dello Stato nella vita storica e il fermo ancoraggio allefonti come rappresentazioni dei fatti, secondo Ranke; la fon-dazione dell’Historica di Droysen, forse il primo manuale dimetodologia della storia, in Euristica, Metodica e Interpre-tazione; la distinzione, operata da Windelband, tra scienzestoriche e scienze naturali; il problema del rapporto tra fat-to e valore.

Il progresso della storia fu dunque reso possibile sia dallostraordinario sviluppo della ricerca empirica e la scoperta,soprattutto durante l’epoca positivistica, di nuove fonti docu-mentarie, sia da una prima sistematica elaborazione dei pro-blemi teorici, metodologici e tecnici delle discipline storiche.La storia entrò così, nella seconda metà dell’Ottocento, inuna fase non solo di forte professionalizzazione accademica,ma anche di prestigiosa interlocutrice nel rapporto tra cultu-ra e politica. Come ha scritto Marrou, “in quegli anni lo sto-rico era tutto; tutta la cultura era ai suoi piedi. Era lui a de-cidere come si dovesse leggere l’Iliade, lui a stabilire le carat-teristiche essenziali di un’unità nazionale (frontiere storiche,nemico ereditario, missione tradizionale), lui a sapere seGesù Cristo avesse o meno natura divina... Causa la dupliceinfluenza dell’idealismo e del positivismo, l’ideologia del pro-gresso si impose come categoria basilare (...): improvvisa-mente lo storico si sostituiva al filosofo nella sua missione diguida e di consigliere. Padrone del passato e dei suoi arcani

207 Cfr. G. IGGERS, The “Methodenstreit” in International Perspective.The Reorientation of Historical Studies at the Turn from the Nineteenth tothe Twentieth Century, in “Storia della Storiografia”, 6 (1984), pp. 21-32.

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era lui – lo storico – che, alla stregua di un genealogista, of-friva all’uomo le prove della sua nobiltà, indicava all’umanitàil cammino trionfale del suo Divenire (...). Soltanto lo storicoera in grado di giustificare l’utopia, di darle un fondamentorazionale mostrandola radicata e – in un certo senso – giàaffermata nella realtà del passato”208.

Nel volger di pochi decenni, tuttavia, e in particolare nelperiodo tra le due guerre mondiali, caratterizzato insiemedalla crisi delle scienze e dal declino della coscienza europea,emerse quello che può definirsi il paradosso dello storicismo.Mentre esso celebrava l’autonomia della storia come sapere,disciplina e professione intellettuale di grande prestigio, do-veva al tempo stesso fare i conti, grazie soprattutto alle solle-citazioni di filosofi come Nietzsche e degli stessi storicisticritici, con l’incipiente crisi di identità della storia derivantedalla crisi stessa dei suoi fondamenti: quelli, appunto, comescritto in precedenza, della filosofia della storia.

Nella seconda metà del secolo scorso e in anni più recenti,a livelli e in contesti differenti, si sono, tuttavia, ripresentatetutte le grandi questioni della storia come conoscenza, propo-ste per la prima volta dallo storicismo. Ed è tornata di straor-dinaria attualità l’esigenza, espressa da Raymond Aron e ri-proposta da Irenée Marrou, di identificare una “filosofia cri-tica della storia”, dedicata ai problemi di natura logica e gno-seologica, parte di una più generale “filosofia delle scienze”209.

La storia come una scienza del tempo, ma che è, al tem-po stesso, nel tempo e, perciò, sempre in delicato equili-brio tra passato e presente; conoscenza del passato umanoscientificamente elaborata, che deve prestare attenzione almetodo ma, al tempo stesso, trova il suo vincolo invalicabi-le nei fatti; un itinerario particolare di approdo alla cono-scenza che, pur utilizzando procedure e strumenti di natu-ra scientifica, si distacca dalle altre scienze: queste ed altredefinizioni della storia ripropongono oggi in termini assaiproblematici la questione della sua oggettività e del suoprincipio di legittimazione.

208 I. MARROU, op. cit., p. 6.209 Ivi, p. 5.

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La natura della spiegazione storica è stata al centro deldibattito epistemologico nella seconda metà del secolo scorso.Assai schematicamente possono essere distinti due orienta-menti. Il primo, legato all’ideale scientifico unitario del positi-vismo e del neopositivismo, afferma che non esiste disconti-nuità metodologica tra scienze naturali e scienze storico-socia-li. Il principale ispiratore di questo orientamento, Hempel210,sostiene che la struttura della spiegazione è logicamente ana-lizzabile sulla base di un unico modello, valido tanto per lescienze naturali quanto per le scienze storico-sociali. Siccomeperò nella storia non esistono leggi paragonabili alle leggi ge-nerali delle scienze naturali, si possono produrre solo abbozzidi spiegazione. Col metodo ipotetico-deduttivo questi abbozzipossono pervenire ad una maggiore, più articolata e completaspiegazione. In contrapposizione a tale orientamento, sonostate sottolineate l’autonomia delle scienze storico-sociali, laspecificità delle loro categorie concettuali legate alla specifici-tà di ogni particolare azione umana, l’impossibilità di ridurrele scienze storico-sociali al determinismo causale hempeliano.Secondo Dray211 la storia mira soprattutto a comprendere larazionalità di un determinato comportamento, mostrando chei fatti si verificano in rapporto a ragioni date piuttosto che inconformità a certe leggi. Se questo è l’obiettivo fondamentaledella spiegazione storica, essa implica un elemento valutativo.Altra reazione a questa posizione. Nel comune intento di ri-vendicare alla spiegazione storica un’oggettività fondata su cri-teri di tipo logico e empirico, e a sganciarla quindi dalla valu-tazione dello storico, c’è chi ha sottolineato il nesso fra razio-nalità e probabilità, il complesso intreccio tra razionalità, cau-salità e intenzionalità: problemi, come si ricorderà, che sonocomuni sia alle scienze storico-sociali sia a scienze naturalicome la biologia e altre scienze della vita212.

210 C. G. HEMPEL, La spiegazione nella scienza e nella storia, in AA.VV., Filosofia analitica e spiegazione storica, Milano 1979.

211 W. H. DRAY, Leggi e spiegazioni in storia, Milano 1974.212 Cfr., per una messa a punto del problema, G. H. VON WRIGHT, Spie-

gazione e comprensione, Bologna 1977; R. SIMILI (a cura di), La spiegazio-ne storica, Parma 1984; W. C. SALMON, Quarant’anni di spiegazione scien-tifica. Scienza e filosofia 1948-1987, Milano 1992.

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A tutte queste problematiche si connette la questionedelle procedure di concettualizzazione, generalizzazione emodellizzazione in storia. La storia non può essere né unascienza empirico-induttiva, che utilizza il metodo sperimenta-le e quindi modelli-leggi fondati sul meccanismo causa-effet-to, né una scienza ipotetico-deduttiva che costruisce modellidi simulazione e, attraverso procedure sperimentali, verificao falsifica i modelli. Tuttavia anche la storia procede elabo-rando concetti, costruendo categorie: in una parola, genera-lizza, perché solo la generalizzazione è condizione di possibi-lità della conoscenza storica come di altre forme di cono-scenza. E allora, di che tipo sono i concetti storici? Marroune ha indicato quattro tipologie213:

a) concetti universali, applicabili all’uomo in qualsiasi epocae ambiente, come quelli di natura biologica o legati allapersonalità umana;

b) concetti tecnico-istituzionali: prodotti materiali e spiritualidi una cultura e civiltà, lo Stato, ecc.;

c) concetti analogici o metaforici, a volte applicati anche incontesti diversi da quelli in cui e per cui sono stati creati(tirannia, barocco, rinascimento, ecc.);

d) concetti che si possono designare col termine weberianodi idealtypus: “il tipo ideale è uno schema organico con leparti interdipendenti, costituito da un’organizzazione fon-data su relazioni strutturali enucleate dall’analisi dei casisingoli; ma i caratteri organizzati nel tipo ideale non sononecessariamente quelli forniti dai casi più numerosi, bensìquelli tratti dai casi che si mostrano più significativi inquanto suggeriscono allo storico la nozione più coerente,più ricca e meglio intelligibile”214.

In pratica con quest’ultima tipologia concettuale siamo almassimo livello possibile dell’astrazione e della modellizza-zione per arrivare alla spiegazione storica. Nell’idealtipo we-beriano coesistono l’ancoraggio ai fatti storici, alle loro con-

213 I. MARROU, op. cit., pp. 131 ss.214 C. VIOLANTE, Introduzione a I. Marrou, op. cit., p. XXI.

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nessioni e interdipendenze, e il ruolo dello storico che orga-nizza con coerenza, ricchezza, intelligibilità i fatti e pervieneal livello dell’interpretazione.

Se così inteso, l’idealtipo weberiano si presenta comeconcetto storico assai più convincente e assai meno proble-matico di quello di struttura che, tra gli anni Sessanta e Set-tanta del secolo scorso, è stato al centro del dibattito episte-mologico nelle scienze umane215.

In realtà il contenuto della nozione struttura è assai bana-le. È necessario allora capire quale ruolo eserciti nei contestiche la contengono. Boudon216 ha distinto due contesti princi-pali in cui compare la nozione di struttura: intenzionale edeffettivo. È intenzionale un contesto in cui il termine struttu-ra equivale a sinonimi del tipo totalità, sistema di relazioni,ecc. Solo per via induttiva è possibile specificare, in tale con-testo, i caratteri intrinseci del termine. Nei contesti effettivi ladefinizione di struttura è costruita attraverso un procedimentoipotetico-deduttivo ed è parte integrante di un sistema scien-tifico. Per esempio, il sistema teorico di Lévi-Strauss legittimaeffettivamente la nozione di struttura. Essa risponde piena-mente alla comprensione dell’oggetto specifico della ricercaantropologica, descrive e spiega i meccanismi logici dei siste-mi di parentela, è un modello ipotetico-deduttivo.

La scienza storica è lontana per metodi ed oggetti dal-l’antropologia strutturale. In gran parte delle ricerche stori-che, che hanno in qualche modo vissuto l’influenza struttura-lista, la nozione di struttura ha finito per assumere un valoremetaforico, sinonimico, sostitutivo di più antichi e collaudaticoncetti come gruppi sociali, strutture economiche, istituzio-ni, ecc. Quando la nozione di struttura è stata utilizzata inalcuni contesti effettivi, per tornare alla terminologia di Bou-don, assai particolari – le ricerche sul mito, ad esempio, –sono stati riproposti dubbi, difficoltà, problemi che nasconosul terreno della non adeguazione e della non corrispondenza

215 Cfr., per quanto segue, A. MUSI, La storia debole. Critica della“nuova Storia”, Napoli 1991.

216 R. BOUDON, Strutturalismo e scienze umane, Torino 1970, p. 19.217 F. BRAUDEL, Storia e scienze sociali. La lunga durata, in F. Brau-

del (a cura di), La storia e le altre scienze sociali, Bari 1974.

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tra metodo e oggetto, forma e contenuti della scienza storica.L’unità tra campo teorico e oggetto di ricerca, realizzata daLévi-Strauss, si è incrinata allorché la sua nozione di struttu-ra è stata utilizzata in contesti scientifici differenti.

L’applicazione più convincente del concetto di strutturain storia è opera di Fernand Braudel217. Egli, tuttavia, ha in-teso la struttura sempre in senso sinonimico, intenzionale:come insieme di relazioni materiali (geografiche, biologiche,produttive, spirituali, di mentalità), connessioni e architetturedi lunga durata che il tempo stenta a logorare, sostegni eostacoli, limiti, costrizioni, elementi che diventano col tempostabili per più generazioni. Si è trattato di un tentativo bril-lante di conciliare ecletticamente la sociologia di Gurvitch218,riferimenti alla teoria matematica, una particolare concezionedel tempo storico. E sono stati proprio l’eclettismo metodo-logico di Braudel, la sua capacità di non lasciarsi imprigiona-re nei concetti, la percezione delle differenze tra conoscenzastorica ed altre scienze, ad impedire ad uno dei maggioriesponenti delle Annales di imboccare decisamente le vie del-lo strutturalismo.

Si può tornare ora al problema dell’oggettività e del prin-cipio di legittimazione della storia. I ricorrenti tentativi di ri-condurre la storia sotto l’egida di leggi e di modelli universal-mente validi tendono, evidentemente, ad ancorarla a fonda-menti oggettivi. Abbiamo visto che questi tentativi non rie-scono comunque a superare del tutto la dicotomia storicisticatra scienze idiografiche, del particolare, e scienze nomoteti-che, dell’universale fondate su leggi: i modelli in storia nonpotranno mai avere la stessa natura, funzione e legittimitàdei modelli induttivi o ipotetico-deduttivi del sapere scientifi-co. Ma l’incertezza sulla stessa possibilità di una storia-scien-za si è avvertita allorché anche in altri settori del sapere si

218 G. GURVITCH, Le “strutture” in sociologia, in R. Bastide (a cura di),Usi e significati del termine struttura, Milano 1966, pp. 115-131. Sull’in-fluenza di Gurvitch nelle Annales cfr. M. CEDRONIO, Profilo delle “Anna-les” attraverso le pagine delle “Annales”, in “Atti dell’Accademia diScienze Morali e Politiche della Società Napoletana di Scienze, Lettereed Arti in Napoli”, 1972, p. 241 in particolare.

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sono determinati forti spostamenti di punti di vista e una ra-dicale messa in discussione di fondamenti, regole, procedure.

E allora? Crollato il fondamento extrastorico delle filoso-fie della storia, venuta meno qualsiasi possibilità di unifica-zione delle scienze secondo la visione positivistica, come sipone il problema della verità storica?

Marrou, distinguendo tra verità e validità, ha risposto:“La storia è vera nella misura in cui allo storico si presentanovalide ragioni di credere a quanto ha capito dei documen-ti”219. Lo storico deve quindi obbedire ad una serie di servi-tù220: nei confronti dei documenti, della coerenza logica deiragionamenti, di una filosofia, cioè l’orientamento esistenzia-le dell’essere storico, della sua intelligenza. Bisogna tuttaviaconsiderare che l’integrità morale del ricercatore può favori-re la verità della storia: ma il suo criterio non potrà mai esse-re l’obiettività.

Altri ha cercato di sostituire il concetto di verità conquello di verificazione: impossibilitata a raggiungere l’oggetti-vità assoluta, la storia può raggiungere il livello dell’oggettivi-tà relativa solo se teoria e metodo corretti sono in grado dicontrollare tutte le fasi dell’operazione storica, dalla ricercadocumentaria all’interpretazione.

Altri ancora ha cercato addirittura di dissolvere l’oggetti-vità. La vertiginosa crescita quantitativa di tecniche di analisiche ne è seguita e la proliferazione di mezzi di produzione,finalizzata solo verso la loro autoriproduzione, stanno ponen-do le premesse per un progressivo esaurimento della storiacome una delle forme più importanti di conoscenza dei feno-meni umani.

Storicità ed esperienza totale del vivente

Si devono allora ripensare le stesse nozioni di oggettivitàe storicità. Tutto ciò che è stato scritto nei capitoli precedentitende a dimostrare che la ricchezza della storia è nell’espe-

219 I. MARROU, op. cit., p. 208.220 L’espressione è ancora di Marrou.

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rienza totale del vivente. Per rilegittimare la storia è necessa-rio superare qualsiasi forma di contrapposizione con le scien-ze del vivente come, ad esempio, la biologia, e conciliare laspecificità del mondo storico con la metodologia scientifica.

Nell’uso stesso dell’espressione evoluzione dell’umanitàper indicare l’oggetto della storia sono implicite non solol’analogia con l’accezione biologica del termine evoluzione,fondata sulla consapevolezza che “la condizione presente diun essere vivente si spiega con l’eredità del suo passato”221,ma anche una visione non puramente meccanicistica dellabiologia. Insomma fare entrare la vita nella storia significastoricizzare anche le scienze della vita, in cui giocano un ruo-lo altrettanto importante necessità e caso. Essi vivono nellaricchezza delle specie, nell’architettura complessa delle con-nessioni sinaptiche, nell’azione del patrimonio genetico sul-l’esperienza individuale, sociale, valoriale. Marrou ha soste-nuto che “il passato realmente vissuto, l’evoluzione dell’uma-nità non sono la storia” e che “il passato dell’uomo, rivivendonella coscienza dello storico, diviene tutt’altra cosa, partecipadi un altro modo dell’essere”. Lo storico conoscerebbe il suooggetto in quanto passato, sentirebbe in modo egualmentevivo realtà e lontananza del passato: “la sua conoscenza miraall’intelligibilità (...) Fine dello storico è proprio quello diguardare il passato con uno sguardo razionale, capace di im-padronirsene, di comprenderlo e, in certo senso, di spiegarlo(...). Più che accertare i fatti, a lui importa soprattutto com-prenderli”222.

Ma oggi i percorsi della biologia, la riflessione sulle suemodalità di invenzione della cultura, la temporalità della co-scienza e la coscienza del tempo possono dire molto ai per-corsi della storia223. La teoria plurale della coscienza, la visio-ne cioè di un insieme di elementi generati da precisi e diffe-

221 I. MARROU, op. cit., p. 33.222 Ivi, pp. 51 ss.223 Per quanto segue mi sono avvalso di M. MALDONATO, La coscienza

prismatica, un mosaico di forme incostanti, in AA. VV., La coscienza: comela biologia inventa la cultura, a cura di M. Maldonato, Napoli 2007, pp.11-60.

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renti meccanismi cerebrali, ha dimostrato che singole sferepossono essere alterate o poste ai margini senza influenzarele altre. Così, per esempio, è possibile perdere la capacità dicogliere visivamente il moto, conservando indenni gli altriaspetti dell’esperienza visiva; si possono perdere le sensazionidei colori, ma conservare l’esperienza visiva e di movimento.Alcune ricerche recenti hanno mostrato che eventi diversi diuna scena visiva presentati simultaneamente non sono perce-piti con la stessa durata. In altri termini la coscienza non èuna facoltà unitaria, ma l’esito dell’attività di tante micro-co-scienze. È la temporalità che integra i contenuti elaborati inambiti separati e li rende simultaneamente accessibili allacoscienza. L’unità istantanea è dunque cosa diversa dall’unitàorganizzata attraverso il tempo e la durata che è essenzialealla consapevolezza. Torniamo a James, alla sua temporalitàvissuta: la coscienza del tempo è coscienza di un tempo e diun ritmo estremamente mutevoli, è un flusso di coscienza.La temporalità non è solo nella mente: è incarnata, “gli statiaffettivo-temporali emergono da una reciproca co-determina-zione e co-implicazione tra mente e corpo”224. Il rapporto tral’esperienza di sé e la presenza dell’altro si svolge al confinetra passato e presente: la consapevolezza della comune ap-partenenza ad un unico mondo trasforma in empatia la ten-sione originaria tra Io e non-Io225.

Anche a questo livello è possibile riscontrare non pocheanalogie tra biologia e storia. L’ empatia che la coscienza co-struisce tra l’Io e il non-Io, tra il sé e l’altro da sé nell’oriz-zonte della temporalità e del rapporto passato-presente, nonè molto diversa dalla doppia procedura compiuta dallo stori-co: l’assimilazione del passato nel problema suscitato dal pre-sente attraverso un vero e proprio processo di immedesima-zione simpatetica; al tempo stesso la coscienza dell’alterità,della radicale irriducibilità del passato che non può esseremai schiacciato sul presente.

Altra analogia riguarda l’apparenza dell’immediatezza. Lerecenti ricerche sul cervello stanno dimostrando che “la no-

224 Ivi, p. 37.225 Ivi, p. 41.

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stra coscienza non sarebbe determinata dall’attivazione diuna zona specifica del cervello, ma dall’attivazione concomi-tante di una serie di neuroni distribuiti nel cervello, di modoche le scariche neuronali corrispondenti ad uno stesso ogget-to diano luogo alla sincronia”226. In realtà occorre del tempoperché le informazioni possano accedere alla coscienza, cherivela così ritmi assai più lenti rispetto all’apparenza dell’im-mediatezza.

È qui contenuta una lezione di non poco conto per glistorici. L’attenzione alla temporalità significa non solo co-scienza dei ritmi differenti della storia, la capacità di inter-pretarne tutte le mediazioni, le connessioni e i passaggi tralunga, media e breve durata per sfuggire ai rischi di corti cir-cuiti, la sensibilità a cogliere la dialettica tra continuità e di-scontinuità, tra particolare e generale; significa anche rico-struire i processi storici non solo nella loro dinamica e nelloro svolgimento, ma anche nei loro risultati.

Alcuni decenni fa, in concomitanza con la fortuna euro-pea delle Annales, fu inventata una nuova figura di storico:l’immediatista.227 Cosa doveva significare “storia immediata”?Non certo fare storia istantanea nell’osservazione, simultaneaalla produzione, priva di qualsiasi intermediazione. Fare sto-ria immediata significava “essere Georges Jacques Dantoncondotto al patibolo, che parla al popolo del proprio rapportocon la rivoluzione e gli spiega il significato della propria mor-te. Immediato è il corso della storia che ascolta il bimbo se-duto sulle ginocchia della mamma che fa la calza”228. E anco-ra: “Il giornalista-cicala sgranocchia avidamente le sue noc-cioline. Lo storico-formica le accumula. L’immediatista accu-mula sgranocchiando. Ciò che qualifica questo lavoro dipen-de meno dal tempo che dallo spazio, vale a dire meno dalritmo – istantaneità o distanza – che dall’apertura del com-passo critico”229. Giocando coi neologismi e le metafore, La-

226 Ivi, p. 33.227 J. LACOUTURE, La storia immediata, in J. Le Goff (a cura di), La

nuova storia. Orientamenti della storiografia francese contemporanea,Milano 1980, pp. 207 ss.

228 Ivi, p. 209.229 Ivi, p. 226.

Aurelio Musi108

couture analizzava i rapporti tra storia e giornalismo. Tra lostorico-formica e il giornalista–cicala c’era dunque l’immedia-tista, che analizzava e misurava il mutamento considerando ilcorso della storia indipendentemente dal suo risultato. La-couture tesseva l’elogio dell’ingenuità: “Non sarebbe più pro-fondo, significativo – scriveva – uno storico che, studiando gliinizi della Riforma in Francia, non sapesse ancora nientedella notte di San Bartolomeo? Quanta forza vi è nell’inge-nuità”230. Così lo sgretolamento dell’avvenimento non potevaessere spinto più oltre. Come particelle elementari impazziteesse operavano una distorsione sia della pratica giornalisticasia della pratica storica. Il sapere storico dell’immediatistaveniva ridotto ad una vitalistica “aderenza al flusso e al riflus-so delle cose”231: che è cosa assai diversa, ben s’intende, dalflusso di coscienza di James, anzi l’esatto opposto.

Anche se permane la distinzione storicista fra scienzedella natura e scienze dello spirito, una riflessione organicasu elementi comuni, analogie, rapporti tra i due ambiti scien-tifici consente di accorciarne le distanze. I livelli di conside-razione, a questo riguardo, sono in particolare tre: la logicadei processi mentali; l’interpretazione; il ricorso a metafore esimilitudini.

“La logica non conosce fratture irrimediabili tra i processimentali del fisico o del naturalista e quelli dello storico”232: lascelta e la delimitazione dei fenomeni, il rapporto tra selezio-ne e totalità, le procedure di analisi e di controllo, la ricerca diun ordine per schematizzare i dati dell’esperienza, sono ele-menti comuni a scienze della natura e a scienze storico-sociali.Tra scienziato e storico esistono analogie nel comportamentopsicologico e gnoseologico: anche se filtrato dalla mediazionecritica, il “peso dell’autorità”233 – testimoni, documenti, storio-grafia, ecc. per lo storico; l’accettazione di risultati, dati, espe-rimenti effettuati da altri, nel caso dello scienziato – è allabase delle pratiche sia dello scienziato che dello storico.

230 Ivi, p. 219.231 Ibidem.232 I. MARROU, op. cit., p. 200.233 Ivi, p. 202.

I fondamenti teorici della ricerca storica 109

La stessa pratica dell’interpretazione unisce scienze umanee scienze naturali. “Gli scienziati organizzano esperimenti dacui ricavano dati che bisogna interpretare; i critici letterari in-terpretano i testi; i giudici interpretano le leggi; i traduttori in-terpretano i segni linguistici trasferendoli da una lingua all’al-tra; i teologi interpretano la Bibbia e il Corano; i sociologi inter-pretano i comportamenti umani; gli antropologi interpretano isistemi di parentela di comunità tribali; gli psicanalisti interpre-tano i sogni; i neurologi interpretano le emissioni tomografichedei positroni, e così via”234. Lo scienziato non può capire piena-mente i risultati di un dato senza conoscere i campi storici, so-ciali e culturali che circondano quel dato. La cultura e la storiasono ripensate nella consapevolezza del loro intreccio con labiologia: nasce un nuovo ambito chiamato bioculture.

Gran parte delle similitudini e delle metafore utilizzateper spiegare il passato e la mente dello storico sono ricavatedalle scienze matematiche, fisiche, naturali, dalla strumenta-zione tecnica, persino dalla musica. Si può partire dall’anato-mia. Marrou paragona la realtà storica “a un muscolo di cuistudiamo la struttura valendoci di una sua sezione in un pun-to determinato: orbene, come il muscolo ci appare diviso infasci a loro volta ripartiti in fibre e fibrille, così il passato sto-rico rivela una struttura complessa, nel cui ambito i fatti diciviltà vengono a disporsi in un ordine gerarchico più o menoperfetto”235. In questo senso – è sempre Marrou che lo so-stiene – il flauto a due canne non appare lo strumento piùadatto “per modulare nella sua infinita varietà la sottile esconcertante melodia appresa a contatto col passato”236. Qual-siasi teoria della storia mostra limiti insormontabili: essa èparagonata “a un riflettore il cui sottile fascio di luce penetrala realtà ed illumina violentemente gli oggetti che gli si offro-no in una prospettiva favorevole, lasciando invece tutto il re-sto nella più completa oscurità”237. Una similitudine negativa,

234 R. CESERANI, Incontro tra le scienze al crocevia dell’interpretazio-ne, in “Il manifesto”, 27-4-2008.

235 I. MARROU, op. cit., p. 163-164.236 Ivi, p. 166.237 Ivi, p. 173.

Aurelio Musi110

238 Ivi, p. 178.239 Ivi, p. 179.240 G. ELTON, The Practice of History, London 1967.

per così dire, è quella che paragona la storia ad un apparec-chio di registrazione, “buono solo a riscontrare che le cosesono andate nel modo prestabilito”238: e la storia, ben s’inten-de, non può essere questo.

La storia conserva la sua specificità come esperienza im-mediata, al di là della possibilità di stabilire leggi generalidell’evoluzione umana: ma anche questa asserzione è in sin-tonia con la condizione di altre scienze naturali, come, adesempio, la botanica. “Anche se fosse o divenisse possibileelaborare una vera scienza dell’evoluzione dell’umanità, sta-bilire in modo convincente – razionalmente o sperimental-mente – l’esistenza di leggi e di principi generali capaci dispiegare realmente il comportamento dell’uomo nel tempo,la validità di questa esperienza immediata del passato, diquesta conoscenza singolare rappresentata dalla storia con-serverebbe il suo proprio valore, il suo specifico grado di in-telligibilità; così, press’a poco, come l’esistenza delle leggigenerali della botanica (anatomia e fisiologia vegetale, prin-cipi dell’evoluzione, ecc.) non nega la validità di un altropiano su cui si pone il contadino, l’appassionato di flo-ricoltura e di giardinaggio, e – soprattutto – il botanico si-stematico (descrizione e analisi delle caratteristiche propriealle singole specie)”239.

Anche l’idea del progresso, così come si presenta nel la-voro storico, rivela una sua specificità che può essere para-gonata ad una precisa figura geometrica: non la linea, né ilpendolo, ma la “spirale conica che si allarga a ogni giro manmano che avanza in profondità”. E la “linea parabolica” rap-presenta lo svolgersi del lavoro storico: a metà del processoc’è l’ancoraggio ai fatti, all’apice di una curva, in cui la sen-sibilità dello storico deve avvicinarsi gradualmente al reale.

Elton confronta lo storico col cartografo: come il secon-do utilizza un’immagine grafica così il primo utilizza un’im-magine scritta240. Entrambi hanno a che fare con la sceltadelle informazioni, la diversità delle mappe, le diverse carat-

I fondamenti teorici della ricerca storica 111

teristiche dei luoghi. All’idea della mappa si richiamano an-che Carr241 e Jenkings242: la mappa come orientamento nelmondo fisico; la storia come orientamento nel mondo tem-porale.

241 E. CARR, What is History, London 1987.242 K. JENKINGS, Re- thinking History, London 2003.

Aurelio Musi112

113

Conclusione

In principio erano le tracce. Il ragionamento, svolto nellepagine precedenti, ha preso le mosse dal regno proprio deisegni come tracce, quello del linguaggio, perché il rapportotra i fatti storici e la loro rappresentazione è stato da qualcu-no interpretato come un sistema di segni, come un insiemedi relazioni tra significante e significato. L’esito di tale per-corso, lo si è visto, è stata l’oscillazione continua tra il polodella coerenza formale della scrittura storica come sua stessalegittimazione e il polo del soggettivismo assoluto, arbitrariodello storico: al fondo, la concezione dell’evento storico comecostruzione integrale. Già a questo primo stadio del ragiona-mento, quello del linguaggio, si è configurata una prospettivadiversa, efficacemente rappresentata dal balbettio sotto trac-cia del neonato che permane nel linguaggio dell’adulto: laprospettiva della storicità del vivente.

La stessa prospettiva si è rivelata in tutta la sua pienezzaattraverso l’analisi del parallelismo tra alcuni percorsi dellamente, in particolare quello della memoria ontogenetica e fi-logenetica studiata dalle neuroscienze, e i percorsi della sto-ria. Si è considerato come il rapporto passato-presente carat-terizzi il vivente, in possesso di materiale genetico, cometemporalità. Tutti i processi della memoria hanno a che farecon questa dimensione: e con il rapporto tra breve, media elunga durata. Il flusso della categorizzazione è senso delladurata. La dinamica dello svolgimento è comune al sistemanervoso e al processo storico: le rispettive scienze che li stu-diano sono scienze del mutamento. La memoria biologica e lamemoria storica conferiscono senso in stretta dipendenzacon il contesto. Esso è formato da ricordi ed emozioni: come

Conclusione114

la conoscenza storica non può vivere sulla base della purarazionalità ma ha anche bisogno del pathos.

L’osservazione di analogie e parallelismi tra biologia estoria, anche sul fronte della relazione tra caso e necessità,postula un nuovo sistema di relazioni tra tutte le scienze delvivente oltre ogni visione minimalista, strumentale, puramen-te tecnica dell’interdisciplinarità. La nozione di svolgimentodeve costituire il trait d’union di tutte le scienze della vita.

Il terzo livello del ragionamento proposto ha a che farecol rapporto tra memoria e identità storica. Qualsiasi storiciz-zazione della memoria storica passa per tre fasi logiche: laconoscenza, il giudizio, l’oggettivazione, cioè la fissazione diun punto di riferimento. Nella seconda e nella terza fasedella storicizzazione della memoria viene elaborato un avvici-namento al passato che lo fa assimilare al proprio vissuto: ilsentimento di appartenenza costruisce così l’identità. Sia lamemoria individuale sia la memoria collettiva possono esserecaratterizzati da una complessa miscela tra fedeltà e infedel-tà. I biologi non sanno rispondere alle domande: quanto veri-tiere sono le memorie? quanto nostri sono i ricordi? Conta-minazioni, manipolazioni e falsificazioni complicano la possi-bilità di distinguere tra fedeltà e infedeltà. Così la costruzio-ne dell’identità collettiva, come si è cercato di spiegare attra-verso l’analisi dei libri di testo scolastici in uso in alcuni paesieuropei ed extraeuropei, passa, molto spesso, per un usostrumentale e distorto della storia.

Questa riflessione molto agile, rivolta non solo ad unpubblico di studenti universitari ma anche a tutti i lettoricuriosi, ha teso a collocare la dimensione della storicità a fon-damento di forme di conoscenza apparentemente lontanedalle cosiddette scienze storico-sociali, come biologia, psico-logia, psicoanalisi, neuroscienze, scienze cognitive. A partireda una discussione degli studi sulla memoria cerebrale, si ècercato di dimostrare come la stessa operazione storica mo-stri procedure assai simili all’attività della memoria e al suoruolo nella più ampia attività cerebrale. Il confronto ha con-sentito di ripensare i fondamenti stessi della ricerca storica apartire dal ruolo delle fonti, il rapporto tra il caso e la neces-sità, l’identità, la possibilità di una rilegittimazione del sapere

Conclusione 115

storico dopo la fine delle filosofie della storia, in un continuodialogo tra saperi e discipline che finora hanno assai pocodialogato: al fine non certo di negare la specificità dei diversisaperi quanto piuttosto di accorciare la distanza tra scienzedella vita e scienze storiche, di mettere in discussione un to-pos che ha svolto un ruolo decisivo allo stato nascente dellediscipline storiche nel corso dell’Ottocento, ma che oggi deveessere radicalmente ripensato.

Fare entrare la vita nella storia e storicizzare le scienzedella vita: sarebbe un bel programma per il futuro di questisaperi.

116

117Indice dei nomi

Indice dei nomi

Agazzi E., 72Álvarez Ossorio A., 64Ariès P., 50Aron R., 99Assmann A., 70Aurigemma L., 26

Barthes R., 11, 19Bastide R., 103Bear M.F., 36Beethoven L.v., 84Bergson H., 94Berlinguer L., 73Besançon A., 51Bloch M., 13, 55, 56, 57, 95Boncinelli E., 27, 28, 60Boudon R., 102Braudel F., 68, 88, 102, 103

Caloprese G., 64Cantillo G., 92Carlo V, 63Carlo Magno, 63Carr E., 111Ceccarelli M., 30Cedronio M., 103Cesare Caio Giulio, 65Ceserani R., 109Cicatelli E., 64Cleopatra, 84Colli G., 94Colombo C., 84Connors W., 36Corbellini G., 29Croce B., 43, 44, 66, 91, 94, 95, 97

Danton G.J., 107Di Rienzo E., 62Donald M., 30, 31Dray W.H., 100Droysen J.G., 98

Eco U., 19Edelman G., 27, 30, 36, 44, 45,

46, 67, 68Elias N., 87Elliott J.H., 66Elton G., 110

Faurisson R., 17Febvre L., 49, 95Fernandez Albaladejo P., 66Ferrario M., 38Finley M., 57Freud S., 22-26, 40, 48

Galasso G., 54, 55, 69, 70, 71, 75,89

Garcia Garcia B.J., 64Gay P., 51Gelmini M.S., 73Ginzburg C., 14, 16Goody J., 87, 88Greimas A., 19Grossi P., 20Gurvitch G., 103

Heller-Roazen D., 19, 20Hempel C.G., 100

Iggers G., 98

118 Indice dei nomi

James W., 48-51, 106, 108Jenkings K., 111Jung C.G., 26, 48

Kaufmann T., 63, 64Kandel E.R., 36, 39Kotte E., 84Kristewa J., 19

Lacouture J., 107Ledoux J., 39Le Goff J., 50, 106Legrenzi P., 59Leon V., 64Lévi-Strauss C., 102, 103Locatelli A., 72Lorenz K., 30Luigi XIV, 98Lutero M., 63, 64

Maclean P. D., 30Maldonato M., 105Maometto, 63Marchese A., 34Marchese G., 36Marrou I., 17, 98, 99, 101, 108,

109Melantone F., 63Monod J., 58Montinari M., 94Moratti L., 73Mounin G., 19Mura A., 39, 40Musatti C.L., 23, 24, 25Musi A., 9, 10, 12, 64, 94, 102,

104

Needham J., 87Nicolini F., 32Nietzsche F., 24, 93, 94, 96, 99

Oliverio A., 10, 27, 34, 35, 44, 47Ottaviano Augusto, 61, 65

Pagden A., 62

Paradiso M.A., 36Pavlov J.P., 40Pingel F., 80Pirenne H., 86Platagean E., 51Pomian K., 50, 70, 71Pompeo, 65Preti G., 48Procacci G., 73, 76, 78-82, 86,

87

Rak M., 64Ranke L. v., 98Rickert H., 92Ricoeur P., 71Ricuperati G., 71Rosenfield I., 26, 30, 42, 43Russo C., 64, 65Salmon W.C., 100Sapir E., 18Saussure F. de, 11, 12Schick C., 18Schlesinger A., 85Sersale N., 64, 65Simiand F., 13Simili R., 100Sorcinelli P., 51S skind P., 34

Tessitore F., 92Tolstoj L., 10Tortarolo E., 15Troeltsch E., 92-94, 97

Valletta G., 64Veyne P., 14, 15, 17, 57Vico G., 32, 33Violante C., 101Voltaire (Arouet F.M.), 98

Weber M., 44, 53, 96, 97White H., 15-17Windelband W., 92, 98Woolf V., 21, 22, 28Wright G.H. v., 100

119Indice dei nomi

«Grafica Bodoni» - Napoli

gennaio 2008

Prima pagina

Collana diretta da Giuseppe Galasso

01. GENNARO MARIA BARBUTO, Machiavelli e i totalitarismi

02. PIETRO CIARLO, Mezzogiorno e qualità delle istituzioni

03. AURELIO MUSI, La stagione dei sindaci

04. MARIA ANTONIETTA VISCEGLIA (a cura di), Storia moderna e so-cietà con-temporanea

05. ALBERTO CONSIGLIO, La camorra a Napoli (a cura di Luigi Mu-sella)

06. LUIGI MUSELLA, Meridionalismo. Percorsi e realtà di un’idea(1885-1944)

07. M. CACCIARI - B. DE GIOVANNI - G. GALASSO - R. RACINARO - M.SALVATI - P. SCOPPOLA, Sul partito democratico. Opinioni a con-fronto

08. LUIGI BONANATE, Le relazioni degli Stati tra diritto e politica

09. MARCO DEMARCO, L’altra metà della storia. Spunti e riflessioni suNapoli

10. GENNARO MARIA BARBUTO, Nichilismo e Stato totalitario

11. ELISA NOVI CHAVARRIA, Sulle tracce degli zingari

12. CARLO DE FREDE, La citazione e le note nel lavoro storico

13. ARNOLD ZWEIG, Omicidio rituale in Ungheria

14. EMILIO RENZI, Comunità concreta. Le opere e il pensiero diAdriano Olivetti

Questa riflessione molto agile, rivolta non solo ad un pubblico distudenti universitari ma anche a tutti i lettori curiosi, tende a collocare la dimensione della storicità a fondamento di forme diconoscenza apparentemente lontane dalle cosiddette scienze storico-sociali, come biologia, psicologia, psicoanalisi, neuroscienze,scienze cognitive. A partire da una discussione degli studi sullamemoria cerebrale si cerca di dimostrare come la stessa operazionestorica mostri procedure assai simili all’attività della memoria e alsuo ruolo nella più ampia attività cerebrale. Il confronto ha consentito di ripensare i fondamenti stessi della ricerca storica apartire dal ruolo delle fonti, il rapporto tra il caso e la necessità, l’identità, la possibilità di una rilegittimazione del sapere storicodopo la fine delle filosofie della storia, in un continuo dialogo trasaperi e discipline che finora hanno assai poco dialogato: al fine noncerto di negare la specificità dei diversi saperi quanto piuttosto diaccorciare la distanza tra scienze della vita e scienze storiche, dimettere in discussione un principio che ha svolto un ruolo decisivoallo stato nascente delle discipline storiche nel corso dell’Ottocento,ma che oggi deve essere radicalmente ripensato. Fare entrare la vitanella storia e storicizzare le scienze della vita: sarebbe un bel programma per il futuro di questi saperi.

AAuurreelliioo MMuussii è professore ordinario di Storia Moderna presso la facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Salerno, dove è stato preside dal 1995 al 2001. Coordinatore del dottorato di ricerca in “Storia dell’Europa Mediterranea dall’Antichità all’EtàContemporanea”, giornalista pubblicista, editorialista delle paginenapoletane de “La Repubblica”, ha pubblicato numerosi volumi. Tra i più importanti: Le vie della modernità (Firenze, VI ed. 2008), Larivolta di Masaniello nella scena politica barocca (Napoli II ed.2002), Napoli, una Capitale e il suo Regno (Milano 2003), La stagione dei sindaci (Napoli 2004, premio internazionale di saggistica “S. Valitutti”), L’Europa moderna tra Imperi e Stati(Milano 2006), Il feudalesimo nell’Europa moderna (Bologna 2007,premio di saggistica “Sele d’oro Mezzogiorno”), I luoghi della vita.Castelli, monasteri, villaggi, città in Europa (Napoli 2007).

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