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Deductio-deletio. Strategie territoriali di Roma repubblicana: il caso Fregellae

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STUDI E MATERIALI DI STORIA DELLE RELIGIONI 75/1 (2009) Città pagana ~ città cristiana Tradizioni di fondazione Dipartimento di Studi Storico-Religiosi SMSR 22,00 ISBN 978-88-372-2347-2
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STUDI E MATERIALI DI STORIA DELLE RELIGIONI

75/1 (2009)

Città pagana ~ città cristianaTradizioni di fondazione

Dipartimento di Studi Storico-Religiosi

SMSR€ 22,00 ISBN 978-88-372-2347-2

SOMMARIO 3

Sommario

ALBERTO CAMPLANI - ALESSANDRO SAGGIORO, Editorial . . . . . . . . 7

SEZIONE MONOGRAFICA / THEME SECTION:«Città pagana ~ città cristiana. Tradizioni di fondazione - «Pagan City ~

Christian City. Foundation traditions»

ANNA MARIA G. CAPOMACCHIA, Dove muore un eroe. La morte eroica e la definizione dello spazio urbano greco . . . . . . . . . . . . . 13

RICHARD WESTALL, Archaic Greek Religion and the Colonisation of Mas-salia. The Cult of Artemis of Ephesos . . . . . . . . . . . . . . . . . . 27

MARCO DI BRANCO, «Sotto una cattiva stella». Alessandro Magno e lafondazione di Alessandria nella storiografia araba medievale. . . . . 55

GIANLUCA DE SANCTIS, Il salto proibito. La morte di Remo e il primo co-mandamento della città . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 65

ARDUINO MAIURI, Deductio-deletio. Strategie territoriali di Roma repub-blicana: il caso Fregellae . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 89

CATERINA MORO, Mosè fondatore di Gerusalemme . . . . . . . . . . . 117

GIOVANNI IBBA, “Nuova Gerusalemme” a Qumran . . . . . . . . . . . 133

MARCELLO DEL VERME, La città di Gerusalemme come polo soteriolo-gico. Religioni di salvezza a Bēthzathá/Bēthesdá (Gv 5,1-9) . . . . . . . 145

LUCA ARCARI, La Gerusalemme nuova di Apocalisse 21,1-22,5. Auto-rap-presentazione comunitaria e mito di ri-fondazione nell’Apocalisse di Gio-vanni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 199

ELENA ZOCCA, Pietro e Paolo “Nova sidera”. Costruzione della memoriae fondazione apostolica a Roma fra I e IV secolo . . . . . . . . . . . . 227

ALBERTO CAMPLANI, Traditions of Christian Foundation in Edessa. Be-tween Myth and History. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 251

ANNICK MARTIN, Antioche aux IVe et Ve siècles. Un exemple de réécritureorthodoxe de l’histoire chrétienne . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 279

PHILIPPE BLAUDEAU, Constantinople (IVe-VIe s). Vers l’affirmation d’unecité chrétienne totale? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 295

ALBA MARIA ORSELLI, I processi di cristianizzazione della città tardoan-tica. Discussioni in corso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 315

NOTE E RASSEGNE

NATALE SPINETO, Momolina Marconi (1912-2006). Profilo biografico . 335

NOTIZIARIO

EMANUELA PRINZIVALLI, Attività scientifica del Dipartimento di Studi Sto-rico-Religiosi (a.a. 2007/2008) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 343

CONFERENCE ANNOUNCEMENT . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 353

4 SOMMARIO

I COLLABORATORI

LUCA ARCARI (Dipartimento di discipline storiche «Ettore Lepore», Università di Napoli«Federico II») [email protected]

PHILIPPE BLAUDEAU (Université d’Angers) [email protected]

ALBERTO CAMPLANI (Dipartimento di Studi Storico-Religiosi, Sapienza Università diRoma) [email protected]

ANNA MARIA G. CAPOMACCHIA (Dipartimento di Studi Storico-Religiosi, SapienzaUniversità di Roma) [email protected]

MARCELLO DEL VERME (Dipartimento di discipline storiche «Ettore Lepore», Universitàdi Napoli «Federico II») [email protected]

GIANLUCA DE SANCTIS (Centro interdipartimentale di studi antropologici sulla culturaantica, Università di Siena) [email protected]

MARCO DI BRANCO (Università di Milano) [email protected]

GIOVANNI IBBA (Università di Siena) [email protected]

ARDUINO MAIURI (Sapienza Università di Roma) [email protected]

ANNICK MARTIN (Université de Rennes 2 – CNRS) [email protected]

CATERINA MORO (Sapienza Università di Roma) [email protected]

ALBA MARIA ORSELLI (Università di Bologna, sede di Ravenna) [email protected]

EMANUELA PRINZIVALLI (Dipartimento di Studi Storico-Religiosi, Sapienza Università diRoma) [email protected]

NATALE SPINETO (Facoltà di Storia, Università di Torino) [email protected]

RICHARD WESTALL (Indipendent Scholar) [email protected]

ELENA ZOCCA (Dipartimento di Studi Storico-Religiosi, Sapienza Università di Roma)[email protected]

SOMMARIO 5

6 SOMMARIO

ARDUINO MAIURI

Deductio-DeletioStrategie territoriali di Roma repubblicana: il caso Fregellae

L’interesse per le forme e i modi dell’aggregazione urbana nel mondoantico è tutto moderno, un portato spontaneo della rivoluzione industria-le1: fu Fustel de Coulanges che avviò in modo originale ed innovativo lostudio della città nel mondo greco e romano, diventando un punto di rife-rimento per tutti coloro che si sarebbero occupati della materia2. Inoltrefu il primo a tenere nel debito conto l’importanza del fattore religiosonelle comunità antiche, che egli identificava, sostanzialmente, in comu-nità di credenti. Se dire città equivale a dire un insieme di case, a Romala realtà domestica era tutta incentrata sul focolare, non solo fisicamente:le splendide pagine dedicate dall’autore al valore sacrale dell’elementoigneo attestano la piena coscienza della sua fondamentale intuizione.

La nozione di città, d’altra parte, reca in sé implicita l’idea di fonda-zione. Mantenendo il discorso su Roma e le sue origini3, era ampiamen-te prevedibile che questo punto si prestasse ad una estrema manovrabili-tà politica, non foss’altro per le sue clamorose implicazioni ideologiche:e così, quando alla fine del I sec. a.C. l’espansione territoriale dei Romaniebbe raggiunto un livello praticamente impensabile fino a poco tempoprima, fu Augusto a capire che tale immenso potere avrebbe tratto un de-cisivo beneficio da una solenne “legittimazione” divina. Il passaggio lo-gico dal rango di “città grande” per dimensioni a “grande città” per tra-dizioni, garantendo un esclusivo primato storico, consentiva di giustifica-re le mire egemoniche su una base più salda ed inoppugnabile. Il ricorsoal mito di fondazione, elettivo, intensamente suggestivo ed evocativo sul-

1 Le città antiche, del resto, erano completamente diverse rispetto a quelle moderne, ancheper dimensioni: non c’erano, infatti, agglomerati equiparabili alle odierne megalopoli, compo-ste anche di vari milioni di abitanti, se si includono le aree del suburbio, e si calcola che tutt’alpiù le sole Roma o Alessandria possono aver superato il milione di residenti, anche se in perio-di circoscritti della loro storia.

2 N.D. Fustel de Coulanges, La cité antique. Étude sur le culte, le droit, les institutions dela Grèce et de Rome, Hachette, Paris 18641.

3 Sul quale desidero richiamare subito in apertura due contributi essenziali come la rac-colta di A. Brelich, Tre variazioni romane sul tema delle origini, Edizioni dell’Ateneo, Roma19551 (19762), nonché il volume di E. Montanari, Roma. Momenti di una presa di coscienzaculturale, Bulzoni, Roma 1976, diversi per struttura e scelta esemplificativa, ma parimenti utiliper un approfondito inquadramento delle tradizioni più antiche della civiltà romana in fatto dimiti delle origini e di una “realtà condenda”.

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l’asse della gerarchia sacrale, si rivelò un meccanismo propagandistico4

vincente per il conseguimento di un obiettivo così sensibile e delicato.Una genealogia autorevole, facente capo ad un ecista divino o quanto me-no semidivino, era una tutela decisiva per l’intero complesso della cittadi-nanza, oltre che per l’attuale detentore del potere, ricollegando i fasti pre-senti ad un passato ormai lontano e tuttavia sempre disponibile, agli occhidi tutti, quale riferimento solido e perenne. Su queste basi va intesa la stre-nua volontà augustea di ridare vita a un’epica romana delle origini, con-nettendola alla ricca tradizione mitologica greca: in tal modo, infatti, ilprinceps poteva fornire un’eccezionale giustificazione sul piano transeun-te del suo imperium proconsulare maius et infinitum, come, cioè, se la suapresunta discendenza da Venus fosse l’espressione di una solenne investi-tura celeste5. L’ideale connubio tra sfera umana e divina procedeva in ar-monia con la contestuale assunzione delle più importanti cariche politichee religiose (la tribunicia potestas vitalizia e il titolo di pontifex maximus,forieri di sacrosanctitas), in modo che il popolo non nutrisse dubbi sullabontà delle innovazioni istituzionali che il princeps andava assegnandoalla res publica per adeguarne l’assetto ai mutata tempora. Pertanto, du-rante il trapasso istituzionale dalla repubblica al principato, in cui solo lasuperiore abilità diplomatica di Augusto seppe operare il connubio tra ilmantenimento formale dei cardini dell’ordinamento repubblicano e il so-stanziale accentramento del potere, un modello dotato di una così profon-da autocoscienza poteva suggerire l’immagine di una realtà metropolitanacapace di disancorarsi dalle pastoie della temporaneità per assurgere aduna completa supremazia spazio-temporale, come dimostra l’epiteto di“città eterna” ancora oggi tributato a Roma o il fatto che essa già allora sifregiasse del titolo di “Città” (Urbs) per antonomasia.

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4 La propaganda augustea è un tema sempre attuale e sentito da parte degli studiosi, chene hanno analizzato le modalità attuative e le implicazioni trasversali a trecentosessanta gradi:qui basti accennare al ruolo fondamentale rivestito dalla scelta dei collaboratori (in primisAgrippa e Mecenate) o al beneficio considerevole garantito dalla ridefinizione del diritto pub-blico e privato attraverso le due leges Iuliae iudiciorum publicorum e privatorum del 17 a.C.(Suet. Aug. 34). Inoltre la manovra trasse linfa vitale anche dall’attività personale e diretta delprinceps: il documento in cui appare più evidente la manipolazione dei dati a scopo propa-gandistico sono le Res gestae, in cui «Augustus manipuliert den Leser [...] durch die zweifel-lose Suggestivkraft seines Tatenberichtes» (H.J. Diesner, Augustus und sein Tatenbericht. DieRes gestae Divi Augusti in der Vorstellungswelt ihrer und unserer Zeit, in «Klio» 67[1985], p.41). Un’eccellente messa a punto della questione si deve a E.S. Ramage, The Nature and Pur-pose of Augustus’ Res Gestae, Franz Steiner Verlag, Stuttgart 1987.

5 Si veda M.A. Levi, La città antica: morfologia e biografia dell’aggregazione urbananell’antichità, “L’Erma” di Bretschneider, Roma 1989, p. 15: «il teorema della successione:famiglia – gruppo gentilizio = alleanza di tali gruppi – fondazione della città come confedera-zione di entità politiche preesistenti, porta alla concezione di una parallela (e intrinseca)sequenza religiosa, per cui il culto dell’eroe-ecista (non Romolo-Quirino, ma Enea) corrispon-de a quello del capostipite».

Eppure tutte queste considerazioni rendono particolarmente allettan-te il tentativo di far luce su una dimensione radicalmente opposta: in con-trasto con la “Città”, infatti, intesa come entità magnifica e suprema, sipuò ricostruire, sempre ex post, il prototipo di una “Anticittà” del tuttopriva dei suddetti attributi. E se da una parte è passato alla Storia solo ilmodello vincente, che in virtù della sua supremazia si è potuto dotare neltempo anche di un ricco patrimonio mitografico, dall’altra lo studioso delpassato è investito del compito di recuperare la giusta dimensione dellapars debilis, votata per definizione alla provvisorietà e destinata, quindi,non solo a rinunciare ad un decoroso apparato memoriale per il futuro,ma anche a rischiare la completa eliminazione nel presente, ogni qualvolta i centri principali la valutassero come un pericolo, reale o anchesolo potenziale.

Analoga fu, ad esempio, la vicenda di Fregellae, cittadina del Latiumadiectum, il cui territorio si trovava a cavallo degli attuali comuni diCeprano, Arce e San Giovanni Incarico, in provincia di Frosinone: al cul-mine della sua potenza, infatti, fu distrutta da Roma a scopo esemplare,solo per fornire la misura di come si sarebbe potuta concretamente attua-re la repressione contro alleati ribelli o eccessivamente arroganti6, in unafase del processo di espansione territoriale nella penisola che non lascia-va adito ad esitazioni.

Il caso di Fregellae, prestigiosa colonia latina, si ammanta di un par-ticolare significato perché offre la possibilità di fissare con certezza i rife-rimenti cronologici: la città, dedotta durante il conflitto con i Sanniti,ebbe un’esistenza approssimativamente bisecolare, breve ma intensa, dal338 al 125 a.C. Inoltre sia la sua fondazione che la sua distruzione furo-no dettate da importanti ragioni politiche, particolare non secondario: laprima, espressione di un’attenta opera di pianificazione territoriale, inter-venne in aperta violazione del foedus vigente, al punto da essere reputa-ta come una delle cause occasionali dello scoppio della seconda guerrasannitica; la seconda, invece, rientrò probabilmente nella perentoria san-zione di una rivolta rimasta pressoché isolata, ma valutabile tra i prodro-mi più significativi del successivo bellum sociale7.

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6 Come risultava, per esempio, già da Ascon. 17C: «notum est Opimium in praeturaFregellas cepisse, quo facto visus est ceteros quoque nominis Latini socios male animatosrepressisse» («è noto che Opimio durante il periodo della sua pretura prese Fregelle, con il chesembrò aver messo a tacere anche gli altri alleati di diritto latino scontenti»).

7 Questa la posizione espressa, per esempio, da P. Conole, Allied Disaffection and theRevolt of Fregellae, in «Antichton» 15(1981), pp. 129-140 (max. pp. 135 ss.). Aveva ridimen-sionato, invece, la portata dell’insurrezione fregellana tra gli altri E. Gabba, Esercito e societànella tarda repubblica romana, La Nuova Italia, Firenze 1973, pp. 198 s., n. 1 (= in «Athe-naeum» n.s., 32[1954], pp. 44 s., n. 3). La questione sarà ripresa più avanti con l’ausilio diopportuni riferimenti contestuali.

Oltre a ciò, un’importante ragione archeologica avvalora l’importan-za antiquaria di Fregellae: il suo sito, infatti, reca inesorabilmente im-pressa l’impronta devastante della radicale deletio operatavi dall’esercitoromano, che, congiunta con la mancata riedificazione, ha come “iberna-to” il tracciato murario della cittadina e delle stesse domus, consentendo,d’altra parte, agli studiosi moderni una attendibile datazione dei reperti edelle strutture superstiti8. Per la verità, fin dal Seicento erano stati con-dotti numerosi tentativi di identificazione topografica in base alle testi-monianze antiche, ma con fortuna decisamente scarsa, per cui, a partequalche episodico ed occasionale rinvenimento dei primi del XX secolo,fino al 1974 non si era in possesso di acquisizioni sicure9. L’evento deci-sivo di quell’anno fu il fortuito smottamento di un’area collinare in cor-rispondenza del pianoro di Opri, nel territorio della frazione di Isoletta,che ha rivelato un primo, ricco scarico di materiale votivo ed architetto-nico10. Dopo il fortunoso recupero di quel prezioso deposito, la direzio-ne degli scavi è stata sistematicamente assunta, a partire dal 1978, dalProfessor Filippo Coarelli, validamente assistito dai suoi allievi e colla-boratori dell’Università di Perugia, nonché da rilevanti joint venturesinternazionali: si pensi, a mero titolo esemplificativo, alla solerte parteci-pazione dell’Università di Cambridge alle prime campagne di scavo11.Non si può, inoltre, evitare di menzionare l’entusiastica collaborazioneprestata dai vari enti locali, come i Municipi dei comuni interessati, inprimis quello di Ceprano, che dall’agosto del 1989 ospita il museo diFregellae12, ma anche quelli di Arce e San Giovanni Incarico, oltre alla

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8 In ciò la vicenda rappresenta un perfetto pendant di quella pompeiana, in cui, com’ènoto, l’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. ha consentito la perfetta conservazione dello stato ter-minale della città nella sua attuale configurazione.

9 Così la questione è stata affrontata con il solo sussidio di ipotesi, anche se non infonda-te, dalla più importante rassegna diacronica finora condotta sulla città di Ceprano, cioè lamonografia di R. Iacovacci, Da Fregellae a Ceprano: la storia del mio paese, Tip. dell’Ab-bazia, Casamari 1972 (cfr. ad es. pp. 45-54). Tuttavia l’opera principale dedicata a Fregellaeprima dell’accessione dei nuovi dati archeologici è merito di G. Colasanti, Fregellae. Storia etopografia, Loescher, Roma 1906, ricca di spunti e felici intuizioni. Molte supposizioni del-l’insigne studioso ciociaro, appartenuto alla scuola di Giulio Beloch, sono state confermate,infatti, dalle ricerche sul campo, né meno pregevole risulta l’analisi dei testi letterari.

10 In particolare i resti più cospicui riguardavano ex voto e strutture architettoniche di untempio dedicato ad Esculapius, che in quanto dio della medicina sembra che nella zona godes-se di un trattamento cultuale particolarmente riguardoso. Cfr. F. Coarelli (ed.), Fregellae 2. IlSantuario di Esculapio, Quasar, Roma 1986. Il primo consuntivo sistematico di questi mate-riali votivi era stato già operato da A. Pinna, Il deposito votivo di Fregellae, in ArcheologiaLaziale II, CNR, Roma 1979, pp. 205-206.

11 Di cui sono prova gli aggiornamenti prodotti da M.H. Crawford sui volumi diArcheologia laziale, praticamente con cadenza annuale tra il 1983 ed il 1987.

12 Su cui cfr. E. De Albentiis-M. Furiani (eds.), L’antica Fregellae e il museo di Ceprano.Archeologia e tradizioni, Palombi, Roma 1997. Il museo si trova nello stesso edificio cheaccoglie anche il Municipio e la biblioteca civica, ossia l’ex villa dei marchesi Carducci, edi-

Comunità Montana della Valle del Liri. Grazie ai sofisticati strumenti tec-nici di cui oggi si serve la ricerca archeologica, le campagne di scavohanno seguito un piano di intervento mirato, fondato sulla mappaturasistematica della zona, realizzata anche con fotografie appositamentescattate da speciali sonde aeree. Al Professor Coarelli, peraltro, non sideve soltanto la puntuale relazione dei risultati degli scavi, ma anche unasignificativa messe di studi che hanno valorizzato i numerosi elementidocumentali emersi, in un’ampia ricostruzione storiografica del ruolocentrale svolto da questo avamposto all’interno dei disegni espansionisti-ci della Roma di metà repubblica nella penisola italica13. Dalla puraacquisizione del dato monumentale al suo successivo, fecondo, utilizzoin ambito storiografico il passo era breve, ma ciò è avvenuto, ovviamen-te, secondo un criterio organico e valorizzando l’apporto delle altre fonticoeve, sia letterarie che figurative: cito in proposito l’intera annata del1988 della rivista Dialoghi di Archeologia, dedicata allo studio dellacolonizzazione romana nel periodo che va dalla guerra latina alla secon-da guerra punica. In quel volume studiosi come lo stesso Coarelli, maanche Cassola, Gabba, Torelli o Bandelli, hanno saputo utilizzare conprofitto le nuove acquisizioni, ponendo di volta in volta in risalto le loroimplicazioni politiche, giuridiche, economiche o sociali.

Nella mia breve relazione, coerentemente con lo spirito informatoredel Convegno, ho scelto i due momenti chiave della storia di questa colo-nia latina, indagando prima le concrete ragioni della sua deductio, per poisaltare all’altro terminus della sua breve ma intensa parabola, ossia ladeletio; per la verità la paronomasia potrebbe essere anche triplice,affiancando ai due termini quello di devotio, connesso con la distruzionedella città, o addirittura quadruplice, se si assume anche il vocabolo dedi-tio, ossia la resa della città alle milizie romane, di cui le fonti antiche con-servano chiara memoria14.

La fondazione di Fregellae va calata nel contesto specifico della poli-tica romana della prima metà del IV secolo: con lo scioglimento della legalatina, nel 338, e la contemporanea annessione di Capua, Roma, cheaveva ormai raggiunto un enorme potenziale demografico e militare,

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ficata nei primi del Novecento ma recentemente restaurata. Inoltre dal luglio del 1995 è statoallestito un parco archeologico, che comprende una cospicua sezione dell’area degli scavi edappare visibile lungo la strada che porta da Ceprano a Isoletta, frazione di Arce. Per ora sonovisitabili delle domus aristocratiche e l’imponente edificio delle Terme pubbliche, che hannoil pregio di essere, in tutta la civiltà romana, fra le più antiche espressioni del genere riporta-te alla luce.

13 Riveste carattere di summa e di introduzione generale alla pubblicazione degli scavi ilcapitale volume di F. Coarelli-P.G. Monti (eds.), Fregellae 1. Le fonti, la storia, il territorio,Quasar, Roma 1998. All’estremo nitore e puntualità dei suoi riferimenti, che ho consultatodurante la stesura del mio lavoro, sono particolarmente debitore.

14 Cfr. la testimonianza congiunta di Liv. Per. 60, Amm. Marc. 25, 9, 10 e Val. Max. 2, 8, 4.

diede impulso ad una politica coloniale sistematica e senza precedenti,realizzando un perfetto connubio tra il processo politico-sociale della“romanizzazione”15 delle popolazioni annesse e quello fisico dell’urba-nizzazione dei luoghi che andava progressivamente attraendo nella suasfera d’influenza.

Il piano, messo in atto con lucida puntualità, può essere sintetizzatosecondo due concrete modalità esecutive: da un lato la creazione artifi-ciale di nuove entità urbane nei punti sensibili del territorio, dall’altrol’assimilazione degli elementi municipali locali all’interno dell’apparatoorganizzativo centrale16. Il problema, infatti, non consisteva tanto nell’ef-ficacia immediata dell’azione militare e della conquista, quanto nellasuccessiva riorganizzazione amministrativa, che poteva presentarsi stabi-le solo riservando la giusta considerazione al substrato autoctono. Pro-prio in ciò risiedeva, in un certo senso, la forza della politica espansioni-stica romana, ovvero nella sua straordinaria capacità di integrare le con-quiste man mano effettuate, assimilando e romanizzando le popolazionilocali, in modo da imbrigliarne le energie vitali, legarle a sé ed asservir-le ai propri consilia egemonici.

Valutando la questione sotto il profilo strettamente giuridico, puòessere utile ricordare brevemente che durante la repubblica le deduzionicoloniali erano di due tipi, ed in base a ciò ricevevano una diversa deno-minazione: da una parte c’erano le colonie romane (definite per estesocoloniae civium Romanorum), dall’altra, tenute ben distinte, le colonielatine, di cui faceva parte anche Fregellae17. Fin dalla costituzione questodivario recava in sé i prodromi delle successive rivendicazioni di diritticivili: le colonie romane, infatti, erano considerate come veri e propriframmenti di suolo urbano extra pomoerium, al di fuori della cinta mura-

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15 Sullo sviluppo del processo di romanizzazione in questo periodo si vedano per esem-pio J. Mertens-R. Lambrechts (eds.), Comunità indigene e problemi della romanizzazionenell’Italia centro-meridionale (4o-3o sec. a. C.), Academia Belgica, Bruxelles-Rome 1991, o ilparagrafo Hellenization and Romanization in E. Curti-E. Dench-J.R. Patterson, The Archaeo-logy of Central and Southern Roman Italy: recent trends and approaches, in «Journal ofRoman Studies» 86(1996), pp. 181 ss. Sull’imperialismo romano in epoca repubblicana insi-ste, invece, W.V. Harris, War and Imperialism in Republican Rome, 327-70 B.C., ClarendonPress, Oxford 1991; lo stesso Harris si è occupato dell’edizione degli atti della tavola rotondatenutasi a Roma nel 1982 presso l’Accademia Americana (The Imperialism of Mid-RepublicanRome, American Academy, Rome 1984), in cui spiccano, tra gli altri, gli interventi di EricGruen, Emilio Gabba e Filippo Coarelli.

16 Cfr. F. Coarelli, Colonizzazione e municipalizzazione, in «Dialoghi di Archeologia» n.s., 10(1992), pp. 21-30.

17 Le forme e i modi della colonizzazione romana sono l’oggetto dell’esteso studio di E.T. Salmon, Roman colonization under the Republic, Thames & Hudson, London 1969; sulperiodo in questione si sofferma A. Petrucci, Colonie romane e latine nel V e IV sec. a.C. I pro-blemi, in F. Serrao (ed.), Legge e società nella repubblica romana II, Jovene, Napoli 1989, pp.1-17, e in particolare Dialettica tra plebe e senato nella deduzione di colonie della secondametà del IV sec. a. C.: riflessi economico-sociali e giuridici, ibi, pp. 19-93.

ria di Roma. Sorte per lo più come avamposti difensivi in zone già di persé ben munite dalla natura (come le orae maritimae), ospitavano pochicoloni, in origine circa trecento, prevalentemente con funzioni di sorve-glianza militare. I loro abitanti erano cives optimo iure a tutti gli effetti,dotati in quanto tali di suffragium, la legittimazione elettorale attiva, dirit-to distintivo che sostanziava il completo godimento della cittadinanzaromana. Che poi nella pratica ne risultasse piuttosto complicato l’eserci-zio, soprattutto a causa della lontananza e della scomodità dei mezzi dicomunicazione disponibili, è un altro discorso: in ogni caso, infatti, que-sti cittadini quiriti in territorio extraurbano erano pienamente appagati dalloro status giuridico perfetto e senza limitazioni.

Completamente diversa appariva, invece, la situazione delle colonielatine, cui veniva riconosciuta semplicemente la titolarità dello ius Latii,ossia dell’insieme dei diritti accessori che durante la Lega Latina gli abi-tanti di qualsiasi città consociata potevano liberamente esercitare a Ro-ma. Tra questi diritti spiccavano la facoltà di contrarre matrimonio lega-le con un civis (ius conubii), ovvero di commerciare con i Romani ingaranzia di poter ricorrere al magistrato per la tutela dei propri atti nego-ziali (ius commercii), nonché (ma solo all’inizio) di trasferirsi a Roma incondizioni di parità coi cittadini romani (ius migrandi). Alle città i cuiabitanti godevano dello ius Latii era riconosciuta una completa autono-mia in politica interna, per cui eleggevano i loro magistrati e potevanoautogovernarsi, anche se sempre secondo il modello istituzionale cen-trale; tuttavia erano vincolate alla politica estera romana e tenute a for-nire un contingente di soldati, che combatteva a fianco delle legioni, main reparti diversi. In proposito le fonti menzionano una turma Fregel-lana, un corpo scelto, fiore all’occhiello della cavalleria romana18. Conil passare del tempo, e con l’espansione del dominio romano oltre i con-fini del Lazio, il diritto latino venne riconosciuto e applicato anche acittà non laziali, quindi prive di abitanti di origine latina: passò così aindicare una specifica condizione giuridica e perse qualunque connota-zione etnico-geografica. A loro volta, coloro che ne erano titolari nonpotevano più votare a Roma: così, i coloni dedotti in una colonia latina,e fino a quel momento regolarmente in possesso della cittadinanza ro-mana, la perdevano per acquistare in via definitiva quella della nuovaentità municipale. Una colonia latina normalmente rappresentava uninsediamento molto più significativo rispetto a una colonia romana: par-tiva infatti da un minimo di 2.500 abitanti e spesso veniva impiantata sudi un’area non precedentemente urbanizzata, ovvero, se questa già lo

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18 Come si evince dalla ripetuta menzione che ne fa Livio, sempre in termini assoluta-mente lusinghieri, sia in 27, 26-27 (nella seconda guerra punica), che in 38, 34 (durante la cam-pagna in Asia del 190). Cfr. anche Plut. Marc. 29.

era, interveniva a sostituire il primitivo stanziamento ricostituendone ilnucleo nelle immediate vicinanze e venendo, così, ad assumere una va-lenza sostitutiva e non integrativa.

È questo il caso anche della colonia di Fregellae, costituita nel 328nei pressi della precedente ed omonima roccaforte volsca, che era statadistrutta dai Sanniti solo due anni prima e oggi si è portati ad identifica-re nell’acropoli di Rocca d’Arce19. Per la deductio della colonia, fu scel-to, dunque, un luogo più propizio alla comunicazione viaria, ossia la valledel Liri, la quale, essendo situata in una conca pianeggiante distesa tra imonti circostanti, rappresentava un punto di passaggio ideale per gli spo-stamenti, inclusi quelli di massa, come si può verificare, del resto, anco-ra oggi. A Ceprano, infatti, esiste sia una stazione ferroviaria che il casel-lo dell’Autostrada del Sole, la quale per lo più è andata ad innestarsi sul-l’asse tracciato dai Romani con la via Latina. Non si dimentichi, inoltre,che questa favorevole ubicazione fin da epoche remote rese l’area un cro-cevia essenziale per i percorsi della transumanza, offrendo ai pastori uncomodo accesso dall’Appennino alla media valle del Liri e quindi allepianure pontine.

La fondazione di Fregellae avvenne, inoltre, sulla riva sinistra delLiri, un altro importante limes naturale dalla marcata incidenza antropi-ca: si pensi che ancora in età moderna questo fiume segnava il confine trale proprietà pontificie e i domini borbonici, tanto che ancora oggi resi-duano numerosi ispanismi negli idiomi locali dei paesi già soggetti alRegno, fenomeno ovviamente assente in quelli che facevano parte delloStato della Chiesa.

La fondazione di una colonia latina dalla funzione eminentementestrategica e militare sulla riva sinistra del Liri, cioè all’interno dell’areasottoposta al controllo sannita, costituiva, come detto, una palese tra-sgressione dei termini della reciproca intesa stabilita nel 354 e di nuovoratificata appena nel 341. Si tratta, a ben vedere, di un atteggiamentoapertamente provocatorio piuttosto comune in epoca antica: non diversa-mente, per esempio, nel 219 Annibale, in aperta violazione del trattatoche aveva suggellato la prima guerra punica, avrebbe deciso di valicare ilconfine naturale delle zone di influenza romana e cartaginese, ancora unavolta individuato in un fiume, l’Ebro, per attaccare a bella posta Sagunto.Sconfinare equivaleva a provocare e la fondazione di una colonia in suolonemico era chiaramente destinata a porsi come un inevitabile casus belli,rinverdendo le ostilità con i Sanniti in quella che sarebbe stata la secon-da, sanguinosissima guerra sannitica, che si trascinò per oltre vent’anni e

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19 Per la discussione del problema si veda, per esempio, F. Coarelli, Fregellae. La storiae gli scavi, Quasar, Roma 1981, p. 20, che riporta le antiche teorie di Säflund e Nissen. ContraG. Colasanti, che «aveva collocato a Opri ambedue i centri».

già nel 326 a Caudiae avrebbe causato ai Romani uno dei più umiliantirovesci di tutta la loro storia.

La principale fonte sulla fondazione di Fregellae è Livio20. L’ostilitàdei Sanniti si ricava già da un eloquente passo dell’ottavo libro degliAnnales.

«Ceterum non posse (scil. Samnites) dissimulare aegre pati civitatem Samnitiumquod Fregellas, ex Volscis captas dirutasque a se, restituerit Romanus populuscoloniamque in Samnitium agro imposuerint, quam coloni eorum Fregellasappellent; eam se contumeliam iniuriamque, ni sibi ab iis qui fecerint dematur,ipsos omni vi depulsuros esse»21.

Da queste parole emerge come la prima menzione della fondazionedel centro rechi già in nuce il riferimento alla sua futura distruzione, inun singolare accostamento antitetico da cui traspare un sinistro presagioper il destino della colonia. Resta, comunque, notevole come nello spa-zio di poche righe l’arte liviana sia riuscita a comprendere la deductio euna duplice deletio, considerando che la prima (Fregellas ex Volscis cap-tas dirutasque), come detto, allude alla presa e all’abbattimento da partesannitica della preesistente roccaforte volsca; la seconda (ipsos omni videpulsuros esse), per il momento solo paventata dallo storico latino,verosimilmente si riferisce ad un evento traumatico occorso poco dopo lafondazione, forse a ridosso dell’episodio delle Forche Caudine22. Taleevento, riconducibile quindi al conflitto tra Romani e Sanniti, non vaovviamente confuso con la definitiva distruzione della colonia, di ben duesecoli posteriore.

Lo stesso Livio, peraltro, nel libro successivo torna sull’argomentocon dovizia di particolari, dando vita ad un concitato resoconto, che con-verrà riportare per esteso, vista la sua notevole intensità drammatica.

«Inter haec Satricani ad Samnites defecerunt, et Fregellae colonia necopinatoadventu Samnitium – fuisse et Satricanos cum iis satis constat – nocte occupataest. Timor inde mutuus utrosque usque ad lucem quietos tenuit; lux pugnae ini-tium fuit, quam aliquamdiu aequam – et quia pro aris ac focis dimicabatur et

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20 Sul valore della cui testimonianza storica ancora G. Colasanti è autore di un interes-santissimo opuscolo, Come scrive Livio che non erra, Carabba, Lanciano 1933, recentementeristampato nella collana dei Quaderni fregellani.

21 Liv. 8, 23, 6-7 (338 a.C.): «Però (i Sanniti) non potevano nascondere il malcontento delpopolo sannita per il fatto che Fregelle, città da loro tolta ai Volsci e distrutta, i Romani l’ave-vano ricostruita, ed avevano fondato una colonia nel territorio sannita, che i Romani chiama-vano Fregelle. Se gli autori di quell’ingiusto affronto (contumeliam iniuriamque) non provve-devano a ritirarlo, essi stessi lo avrebbero cancellato con ogni mezzo (omni vi)» (la traduzioneadottata, qui come in tutti gli altri passi di Livio, è quella edita nella collezione dei Classicilatini della UTET; nello specifico è stata eseguita da Luciano Perelli, mentre nelle prossime cita-zioni sarà segnalato, di volta in volta, il diverso traduttore).

22 Cfr. F. Coarelli, Fregellae 1, cit., p. 31.

quia ex tectis adiuvabat imbellis multitudo – tamen Fregellani sustinuerunt; frausdeinde rem inclinavit, quod vocem audiri praeconis passi sunt incolumem abitu-rum qui arma posuisset. Ea spes remisit a certamine animos et passim arma iac-tari coepta. Pertinacior pars armata per aversam portam erupit tutiorque iis auda-cia fuit quam incautus ad credendum ceteris pavor, quos circumdatos igni nequi-quam deos fidemque invocantes Samnites concremaverunt»23.

Gli studiosi, sostanzialmente concordi sulla datazione alta di questoevento, già da tempo hanno ridimensionato la portata del resoconto livia-no, per la sua particolare indulgenza al pathos24. Forse è più corretto ipo-tizzare uno smantellamento della colonia, o la sua consensuale evacua-zione subito dopo la sconfitta romana, piuttosto che una vera expugna-tio25. È lecito pensare, del resto, che nelle clausole del trattato di paceseguito al trionfo caudino, in linea con l’esemplarità della lezione impar-tita ai milites catturati, i Sanniti abbiano inteso reprimere fieramente l’in-frazione originaria e pretestuosa che aveva dato l’avvio alle ostilità, ossiala deduzione della colonia nella loro area. Dal punto di vista stilistico, inogni caso, le spie testuali che tradiscono l’enfatizzazione liviana sonoabbastanza evidenti, né è escluso che sul color retorico del resoconto,oltre, naturalmente, alla fonte (annalistica, forse Valerio Anziate), possa-no aver esercitato il loro influsso anche altre importanti suggestioni let-terarie, come la descrizione virgiliana dell’incendio di Troia26. Del resto,qualche capitolo dopo, in occasione della presa di Sora del 314, tornanoi medesimi motivi: l’assedio, il blitz notturno, il gesto proditorio deter-

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23 «Frattanto i Satricani passarono ai Sanniti e la colonia di Fregelle fu occupata di nottedai Sanniti con un attacco di sorpresa (necopinato adventu) – risulta che con essi vi erano an-che dei Satricani. Quindi il vicendevole timore tenne le due parti tranquille fino all’alba; l’appa-rire della luce segnò l’inizio della battaglia, che per parecchio tempo i Fregellani sostennero dapari a pari, poiché combattevano per i loro altari e focolari (pro aris ac focis), ed anche la popo-lazione inerme dava manforte dai tetti. Ma poi la lotta fu decisa da un inganno (fraus), quandolasciarono che si udisse la voce di un araldo, il quale proclamava che chi deponeva le armi pote-va andare sano e salvo. Questa speranza rese gli animi meno disposti alla lotta, e da ogni partesi cominciarono a gettar via le armi. I più ostinati si aprirono la strada con le armi per la portaopposta al nemico, e l’audacia fu per loro più sicura che la paura per gli altri incautamente cre-duli, i quali, invano invocando gli dei e il rispetto alla parola data (nequiquam deos fidemqueinvocantes), furono circondati dalle fiamme e bruciati vivi dai Sanniti» (Liv. 9, 12, 5-8).

24 Cfr. G. Colasanti, Fregellae, cit., pp. 137-138; G. De Sanctis, Storia dei Romani II, LaNuova Italia, Torino 1907, pp. 298-299.

25 Cfr. G. Colasanti, Fregellae, cit., p. 138, ripreso da F. Coarelli, Fregellae 1, cit., p. 31.26 Verg. Aen. 2, 265 ss. Questo genere di resoconto, in virtù della potente suggestione let-

teraria esercitata dal modello, può aver ricevuto un trattamento topico anche al di fuori delgenere epico. Del resto è noto che a Roma la storiografia, opus oratorium maxime, tende avalorizzare la componente patetica insita nei fatti e quindi non di rado sfrutta le ingenti risor-se espressive fornite dalle tecniche retoriche. Fondamentale per definire l’intreccio tra retoricae storiografia è la lettera di Cicerone a Lucceio (Cic. fam. 5, 12, 6). L’ambito elettivo di que-sta intersezione rimane, ovviamente, quello militare (si pensi alle allocuzioni dei comandantiai soldati), di cui si è interessato ad esempio, ultimamente, il lavoro di J.C. Iglesias Zoido (ed.),Rétorica e Historiografía, Ediciones Clásicas, Madrid 2007.

minante di un cittadino del luogo27, l’incendio e lo sgomento della gente,stravolta dal risveglio repentino ed inopinato.

Comunque sia, la rioccupazione di Fregellae dovette avvenire giàl’anno successivo alla presa di Sora, cioè nel 313, accogliendo la crono-logia delle fonti28; il sito, pertanto, rimase presumibilmente deserto peralcuni anni, considerato che i Sanniti dopo la distruzione quasi certa-mente lo avevano abbandonato, come avevano fatto, del resto, con laFregellae volsca, perché non avevano interesse a conservare in vita uncentro abitato in quella zona, al di fuori del loro polo stanziale. Al con-trario i Romani, reduci dalla cruenta campagna contro gli Aurunci, cheavevano assoggettato con la forza e diroccandone i centri abitati, voleva-no far leva su avamposti in grado di offrire sicuri vantaggi per il control-lo del territorio, secondo lo stesso criterio che animò il recupero dell’op-pidum sorano, la cui utilità strategica era garantita dal fatto che si affac-ciava sul versante continentale.

Così, tra il 328 e il 298, in soli trent’anni, furono fondate ben diecicolonie di diritto latino (oltre a Fregellae si contano Luceria, SuessaAurunca, Pontiae, Saticula, Interamna Lirenas, Sora, Alba Fucens, Nar-nia, Carseoli), otto delle quali alla periferia del Sannio, nel palese inten-to di accerchiare la fortezza sannita, come dimostra il fatto che la crono-logia di queste fondazioni si colloca integralmente nel periodo compresotra la seconda e la terza guerra sannitica. Del resto sembra rispondere allastessa logica anche la deductio di Narnia nel 299, probabile testa di pontenel territorio degli Umbri, che con gli Etruschi e i Galli assicuravano illoro appoggio ai Sanniti, come fu evidente quattro anni più tardi nella“battaglia delle nazioni” di Sentinum, in cui Roma ottenne la vittoria de-cisiva contro il nutrito contingente militare confederato.

Le vicende storico-politiche più strettamente connesse con la fonda-zione della colonia ne rivelano, quindi, la collocazione funzionale all’in-terno di un preciso disegno unitario, una organica politica di colonizza-zione atta a favorire, nello specifico, la romanizzazione del Sannio29. Delresto una simile strategia coloniale, che sfruttava in maniera attenta estrumentale i meccanismi della fondazione, nel corso del III secolo fuancora utilmente adoperata in più di qualche occasione, per esempio nelcontrollo dell’area medioadriatica del Piceno, di recente conquista (con

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27 Soranus transfuga (9, 24, 3). Il motivo è fortunato nella storiografia classica, fin dalromanzato tradimento di Efialte ai danni degli eroi delle Termopili. Come si vedrà avanti,anche la definitiva capitolazione di Fregellae sarà associata al tradimento di un suo abitante,l’opulento Numitorio Pullo.

28 Dettagliatamente discusse in F. Coarelli, Fregellae 1, cit., p. 31 s., che nello specificomostra di preferire Livio rispetto a Diodoro (19, 101, 3).

29 Alla quale è dedicato il bel volume La romanisation du Samnium aux IIème et Ier siè-cles av. J.C., Actes du colloque organisé par le Centre Jean Bérard, D’Auria, Napoli 1991.

la deduzione delle colonie romane di Hatria, Castrum Novum e SenaGallica), o nella protezione della costa a Nord di Roma (con la creazionein Etruria meridionale della colonia latina di Cosa nel 273 e, subito dopo,di ben quattro colonie romane, Castrum Novum, Pyrgi, Alsium e Fre-genae, schierate a costituire uno scudo compatto contro l’imminente peri-colo punico). Ci si potrebbe interrogare, in effetti, sulla ragione per cuiquesto fertile meccanismo coloniale, impiegato con tanta frequenza edefficacia, sia stato poi improvvisamente del tutto abbandonato, tanto chedall’inizio del II secolo a.C. non si registra più la deduzione di nessu-n’altra colonia latina. Evidentemente le ragguardevoli proporzioni ormairaggiunte dall’ager publicus imponevano la scelta di nuove politiche ter-ritoriali, ma questo è un altro discorso, che metterebbe conto di affronta-re in separata sede e con opportuni suffragi testuali.

Durante i suoi due secoli di storia la città romana conobbe, in ognicaso, una crescita notevole, sia dal punto di vista politico che economi-co, e fu anche protagonista di eventi destinati a rivelarsi fondamentali perla stessa sopravvivenza di Roma.

Solo per citare un celebre esempio, Livio narra che nel 211 Annibale,nel tentativo di distogliere l’assedio delle legioni da Capua, avrebbeimprovvisamente maturato la decisione di attaccare Roma, rimasta ora-mai sguarnita. Alla repentina iniziativa punica rispose la disperata rin-corsa dell’esercito guidato dal proconsole Fulvio Flacco, che però partìin netto svantaggio: così, mentre i soldati romani marciavano lungo ladirettrice della via Appia, i nemici procedevano lungo la via Latina. In-fatti la migliore chiave d’accesso a Roma da Sud era rappresentata dallasezione del basso Lazio compresa tra il Liri e Cassino, ed era proprio sulfiume che si poteva rallentare più efficacemente il generale cartaginese.Così i Fregellani decisero di tagliare il ponte per ostacolare la sua mar-cia, riuscendo di fatto nell’impresa solo a prezzo di un “saccheggio smo-dato” (infesta perpopulatio), definizione che, grazie anche alla veemen-za insita nel prefisso perfettivizzante, rende perfettamente l’idea dellacrudele ritorsione punica contro la popolazione rimasta fedele a Roma30.

Grazie anche a simili dimostrazioni di lealtà, Fregellae dovette gode-re di una elevata considerazione a Roma, riuscendo a raggiungere dimen-sioni considerevoli e a svolgere, intorno alla fine del II sec. a.C., un ruolo

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30 Liv. 26, 9, 3 (211 a. C.): «inde praeter Interamnam Aquinumque in Fregellanum agrumad Lirim fluvium ventum, ubi intercisum pontem a Fregellanis morandi itineris causa invenit»(«poi si giunse oltre Interamna e Aquino nel territorio di Fregelle presso il fiume Liri dovetrovò il ponte tagliato dai Fregellani per ritardare la marcia»); ibi, § 11: «Hannibal, infestiusperpopulato agro Fregellano propter intercisos pontes, per Frusinatem Ferentinatemque etAnagninum agrum in Labicanum venit» («Annibale dopo aver messo a ferro e fuoco e con piùcattiveria il territorio di Fregelle a motivo dei ponti tagliati, giunse in quel di Labico passandoattraverso il territorio di Frosinone, di Ferentino e di Anagni», trad. di L. Fiore).

di spicco tra le colonie latine, come si evince nitidamente dalle lusin-ghiere parole di Strabone:

e[ti de; Fregevllai, parΔ h}n oJ Leiri~ rJei oJ eij~ ta;~ Mintouvrna~ ejkdidou~,nun me;n kwvmh, povli~ dev pote gegonuia ajxiovlogo~ kai; ta;~ polla;~ twna[rti lecqeiswn perioikivda~ provteron ejschkuia, ai} nun eij~ aujth;n sunevr-contai ajgorav~ te poiouvmenai kai; iJeropoiiva~ tinav~: kateskavfh dΔ uJpo;ÔRwmaivwn ajpostasa31.

Il passo si chiarisce riferendo il participio lecqeiswn alle città pre-cedentemente elencate dallo storico, tutte posizionate sull’itinerario dellavia Latina: Ferentinum, Frusino, Fabrateria (Vetus), Aquinum, Interam-na, Casinum, Teanum, Cales, Setia, Signi, Privernum, Cora, Suessa, Veli-trae, Aletrium, oltre ad un non chiaro Trapontium (forse Tripontium, l’o-dierna Torre Treponti, una sessantina di chilometri a sud-est di Roma). Lamaggior parte di questi centri esiste tuttora: si tratta dei più notevolicomuni della provincia di Frosinone, dal capoluogo alle limitrofe cittadi-ne di Ceccano, Ferentino e Alatri, fino all’altro polo di Cassino, che, invirtù di un significativo sviluppo urbano e industriale, al quale si aggiun-ge il fatto di ospitare un rilevante complesso universitario, già da tempoaspira a costituirsi come provincia autonoma. La rassegna straboniana ècompletata da altri centri non trascurabili, oggi appartenenti alle provin-ce attigue di Latina (Cori, Sezze, Priverno), Caserta (Teano, Sessa Au-runca) e Roma (Velletri), su di un’area, come si vede, piuttosto estesa.

Il ruolo centrale di Fregellae sarebbe confermato, del resto, anche daun altro singolare resoconto liviano relativo alla guerra annibalica: men-tre dodici colonie dichiaravano di non essere più in grado di sostenereRoma, né dal punto di vista economico né militare32, il portavoce diquelle che si dichiararono fedeli ad oltranza, se necessario anche ultravires (per di più in un momento in cui le defezioni pro Annibale, pertimore o effettiva convinzione, erano all’ordine del giorno), fu proprio ilfregellano Sestilio33. Congiungendo questa notizia con il precedente

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31 «Poi c’è Fregellae, presso cui scorre il Liri, che si getta nel mare a Minturnae: ora èsolo un villaggio, ma una volta era una città importante che teneva sotto il proprio potere lamaggior parte delle città vicine che abbiamo nominato, i cui abitanti anche ora convengono làper fare mercati e per alcune cerimonie sacre: ribellatasi, fu distrutta dai Romani» (Strabo 5,3, 10, tr. di A.M. Biraschi). Degno di nota il chiasmo (nun me;n kwvmh, povli~ dev pote), concui Strabone felicemente sottolinea l’antico splendore di Fregellae.

32 Liv. 27, 9, 7 (209 a.C.): «triginta tum coloniae populi Romani erant; ex iis duodecim,cum omnium legationes Romae essent, negaverunt consulibus esse unde milites pecuniamquedarent. Eae fuere Ardea, Nepete, Sutrium, Alba, Carseoli, Sora, Suessa, Circeii, Setia, Cales,Narnia, Interamna» («allora le colonie del popolo romano erano trenta; dodici fra queste, men-tre le legazioni di tutte erano a Roma, dichiararono ai consoli di essere sprovviste dei mezzicon cui poter fornire soldati e contributi in denaro. Esse furono: Ardea, Nepi, Sutri, Alba,Carseoli, Sora, Suessa, Circei, Setia, Cales, Narni e Interamna»).

33 Liv. 27, 10, 3-5: «pro duodeviginti coloniis M. Sextilius Fregellanus respondit et mili-

passo di Strabone ed una fugace allusione liviana ad un fremitus [...]inter Latinos sociosque in conciliis ortus34, non sarebbe poi così stranoipotizzare che qui le colonie funzionassero come una sorta di “lega”, lacui momentanea leadership sembrerebbe fare capo alla stessa Fregellae.Sempre da Livio, del resto, si sa che di lì a poco la colonia avrebbe cono-sciuto un sensibile incremento demografico grazie anche a mirati appor-ti esterni, secondo un meccanismo coattivo di mobilità umana tipica-mente romano35:

«Fregellas quoque milia quattuor familiarum transisse ab se Samnites Paeligni-que querebantur, neque eo minus aut hos aut illos in dilectu militum dare»36.

Per quattromila famiglie si intende da un minimo di dodici fino anchea ventimila persone, tenendo conto dell’ingente composizione dei nucleifamiliari dell’epoca. Simili cifre, del resto, lasciano induttivamente sup-porre che la comunità fregellana fosse ancor più numerosa rispetto alcontingente artificiosamente aggiuntole dall’esterno. Si noti, tra l’altro,che le lamentele dei nuovi foederati Sanniti e Peligni sull’impoverimen-to della loro componente demografica furono immediatamente recepitedal senato romano, che dispose un massiccio trasferimento compensati-vo di Liguri Apuani (sull’ordine delle 47.000 unità), a reintegrare i ran-ghi di queste due popolazioni appenniniche37.

Tali premesse inducono a pensare che in pieno II sec. a.C. Fregellaefosse un centro ragguardevole, sia per dimensioni che per carisma politi-co, e che la sua posizione geografica così ravvicinata a Roma dovessevalerle lo scomodo ruolo di “spina nel fianco”. Tutto ciò, verosimilmen-te, deve esserle stato fatale: comunque sia, la sua definitiva distruzione fu

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tes paratos ex formula esse, et si pluribus opus esset plures daturos, et quidquid aliud impera-ret velletque populus Romanus enixe facturos; ad id sibi neque opes deesse, animum etiamsuperesse. Consules parum sibi videri praefati pro merito eorum sua voce conlaudari eos, nisiuniversi patres iis in curia gratias egissent, sequi in senatum eos iusserunt» («a nome dellediciotto colonie M. Sestilio Fregellano rispose che i soldati richiesti erano pronti e che se fos-sero stati necessari di più ne avrebbero dati di più, e che con ogni sforzo avrebbero eseguitoqualunque altra cosa comandasse e volesse il popolo romano: a loro non mancavano i mezziper quello scopo e anche il coraggio restava loro d’avanzo. I consoli avendo detto che a lorosembrava troppo poco ringraziarli solo a voce in relazione ai meriti posseduti senza che tutti isenatori non avessero espresso in piena curia la propria gratitudine, li invitarono a seguirli inSenato»).

34 Cioè «un malcontento sorto tra i Latini e gli alleati nelle assemblee» (Liv. 27, 9, 2).35 Circostanza già segnalata da J. Carcopino, Les lois agraires des Gracques et la guerre

sociale, «Bulletin de l’Association Guillaume Budé» 22(1929), p. 13.36 Liv. 41, 8, 8 (177 a.C.): «Sanniti e Peligni lamentavano anche il trasferimento a Fregelle

di quattromila famiglie che avevano lasciato le loro terre e tuttavia non per questo gli uni o glialtri in occasione di arruolamenti davano minor numero di soldati» (tr. di G. Pascucci).

37 Cfr. A. Barzanò, Il trasferimento dei Liguri Apuani nel Sannio del 180-179 a.C., in M.Sordi (ed.), Coercizione e mobilità umana nel mondo antico, Vita e Pensiero, Milano 1995, pp.197 s.

spietatamente operata nel 125 dall’allora pretore (e prossimo console)Lucio Opimio, assoluto protagonista nella repressione dei moti gracca-ni38. Com’è noto, in quel periodo Roma stava attuando una feroce politi-ca coercitiva nei confronti delle principali minacce esterne, che portò allaconsecutiva eliminazione di Cartagine e Corinto nel 146 e Numanzia nel133, sempre ad opera di Scipione l’Emiliano. In questo triste quadro esi-ziale si pone anche la fine di Fregellae, artefice nel 125 di un tentativo diribellione rimasto pressoché isolato, poiché nessun’altra colonia latina viaderì39. L’associazione letteraria tra epiloghi così ferali di città un tempofiorenti fu immediata, trovandosi già attestata nella Rhetorica adHerennium, la cui composizione in genere viene datata una quarantinad’anni dopo la distruzione della città40:

«Populus Romanus Numantiam delevit, Kartaginem sustulit, Corinthum disiecit,Fregellas evertit. Nihil Numantinis vires corporis auxiliatae sunt, nihil Karta-giniensibus scientia rei militaris adiumento fuit, nihil Corinthis erudita calliditaspraesidii tulit, nihil Fregellanis morum et sermonis societas opitulata est»41.

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38 La sua opera di feroce repressione continuò nell’anno del suo consolato, cioè il 121,allorché fu a capo del partito ottimate contro Gaio Gracco. Ricevuti poteri straordinari, assalìi graccani insediatisi sull’Aventino, ordinando di giustiziarne tremila con procedura sommaria.L’anno successivo fu per questo messo sotto accusa, ma poi fu assolto grazie alla difesa diPapirio Carbone. Nel 116 fu a capo di una commissione senatoria inviata in Numidia per divi-dere la regione tra Giugurta ed Aderbale. Condannato nel 109, forse in base all’accusa di esser-si lasciato corrompere da Giugurta, morì in povertà assoluta a Dyrrachium.

39 Cfr. L. Perelli, I Gracchi, Salerno, Roma 1993, p. 157: «la sorte toccata a Fregelle dis-suase le altre città alleate da ogni eventuale intenzione di rivolta, e il suo caso rimase isolato;però la ribellione della città era un segno che gli alleati latini e italici esigevano un trattamen-to più equo, e consideravano oppressivo il governo dell’oligarchia senatoria e dei suoi magi-strati». Gli studi recenti sembrerebbero sconfessare la vecchia ipotesi in base alla quale la mas-siccia intrusione dell’elemento osco nella colonia di Fregellae ne avrebbe alterato la composi-zione etnica, facendole così perdere terreno nella considerazione delle altre colonie latine ecostituendo, in un certo senso, la causa intrinseca del fatto che la rivolta contro Roma nonavrebbe avuto seguito. Giustamente, infatti, si è opposto che ormai gli immigrati sanniti ave-vano tutto l’interesse a mettere da parte la loro matrice osca ed avviarsi a un consapevole pro-cesso di latinizzazione, non fosse altro per i cospicui vantaggi giuridici e pratici che ne avreb-bero ricavato, e che pertanto questa sarebbe stata la direzione del processo di integrazione,piuttosto che il contrario (sulla questione cfr. P. Conole, Allied Disaffection, cit., pp. 133 s.).Per una possibile spiegazione, ingegnosamente avanzata da Coarelli, del perché le altre colo-nie latine non avrebbero dato manforte a Fregellae, si veda più avanti (n. 51).

40 Cioè negli anni ottanta: sul problema della datazione dell’opera si sofferma dettaglia-tamente G. Calboli, Cornifici Rhetorica ad C. Herennium, Patron, Bologna 1969, pp. 12-17.

41 Rhet. Her. 4, 27, 37: «il popolo romano distrusse Numanzia, eliminò Cartagine, abbat-té Corinto, rase al suolo Fregelle. A nulla servirono ai Numantini le forze del corpo, non fuaffatto d’aiuto ai Cartaginesi la conoscenza dell’arte militare, non portò nessuna difesa aiCorinzi la loro astuzia consumata, né giovò ai Fregellani la vicinanza di costumi e di lingua»(la traduzione è mia). L’anonimo riserva uno spazio davvero considerevole alla cittadina lazia-le: non esita, infatti, ad evidenziarne la perfidia (perfidiosae Fregellae, 4, 15, 22), mentre altro-ve sembra ritenerla l’unica responsabile del tentativo di rivolta (quid? Fregellani non sua spon-te conati sunt?, 4, 9, 13).

Risulta notevole, in questo passo, la duplice prolungata variatio, daun lato dei perfetti indicanti distruzione (delevit, sustulit, disiecit, evertit),dall’altro delle locuzioni di senso contrario relative al soccorso, suggesti-vamente scandite dall’insistita anafora del pronome indefinito nihil(auxiliatae sunt, adiumento fuit, praesidii tulit, opitulata est). Spicca,inoltre, l’affinità elettiva instaurata ad arte tra Romani e Fregellani, acco-munati da una significativa vicinanza di costumi e di lingua (morum etsermonis societas). Questo accostamento, derivante proprio dalle condi-vise origini latine, stabilisce un netto divario rispetto alle qualità indivi-duate dall’anonimo per i centri extraitalici, tutte incentrate sulla forzafisica o militare, e conferisce un che di privilegiato al rapporto tra le duecittà. Né si può ignorare che nell’ideale accostamento di alfa ed omega,fondazione e distruzione, nascita e morte, motivo unificante della pre-sente ricerca, anche l’atto ultimo della colonia di Fregellae, così come ilsuo momento istitutivo, fu dettato da ragioni politiche contingenti, ossia,nello specifico, la riluttanza dei Romani a concedere la cittadinanza aglialleati latini ed italici.

La tendenza di qualsiasi gruppo umano è quella di vedersi ricono-sciuto il godimento dei più pieni ed efficaci diritti all’interno della pro-pria comunità di appartenenza. In particolare gli abitanti di Fregellaedovevano percepire questa opportunità come una prerogativa incontesta-bile, sia per ragioni “genetiche” (la comunanza di origini), sia per i meri-ti che si erano effettivamente procurati nel tempo. Si aggiunga che esse-re civis Romanus nella seconda metà del II secolo a.C. equivaleva a con-dividere uno straordinario progetto di espansione territoriale e crescitapolitico-economica, grazie all’opportunità dell’affaccio sul Mediterraneoorientale e di lì sull’Asia ellenizzata, con l’improvvisa disponibilità diuna distesa sconfinata di terre e conseguentemente di un inestimabilemercato di beni di lusso.

Premesso ciò, e per non sezionare l’analisi nei plurimi rivoli in cuipotrebbe disperdersi partendo troppo da lontano, è il biennio 126-125 afornire gli indizi decisivi per comprendere le ragioni della feroce repres-sione romana ai danni di Fregellae. Da poco, infatti, si era esaurita labreve ma intensa parabola di Tiberio Gracco, che aveva comunque postole basi perché la sua opera fosse proseguita con successo dal fratelloGaio. Di ciò, ovviamente, non mette conto parlare, trattandosi di proces-si storici molto noti. Ciò che colpisce, invece, è che proprio in quel tornodi tempo il rapporto tra Roma e i suoi alleati latino-italici conobbe unasvolta in senso nettamente più duro e repressivo. In precedenza, infatti,era addirittura accaduto che l’Emiliano, il campione dell’aristocraziasenatoria, avesse speciosamente preso le difese degli Italici con l’unicointento di compromettere la riuscita della riforma agraria42. Allora, inve-

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42 Tra l’altro l’Emiliano in quel frangente avrebbe persino trovato la morte, circostanza

ce, al di fuori di qualsiasi infingimento ed ambiguità, il tribuno filo-otti-mate Giunio Penno fece approvare una legge reazionaria, in base allaquale chi non fosse titolare della cittadinanza romana non aveva più ildiritto di stare a Roma43. Tale provvedimento, apparentemente favorevo-le alle comunità degli alleati, la cui integrità traeva un indubbio vantag-gio dal fatto che ai loro membri venisse espressamente vietato di trasfe-rirsi a Roma, in realtà mirava a sottrarre al partito graccano dei fautoriparticolarmente pericolosi e turbolenti, che, insoddisfatti del loro scarsopeso giuridico, potessero creare problemi all’ordine pubblico, sia che sitrattasse di Italici, del tutto esclusi dal suffragium, che di Latini, a lorovolta titolari solo di un diritto limitato. Fu in quel frangente che il mino-re dei Gracchi pronunciò un veemente discorso pubblico in cui attaccavasenza quartiere la disposizione di Penno, schierandosi in favore deglialleati con sincera convinzione, il che l’anno seguente gli avrebbe cagio-nato l’accusa (probabilmente infondata) di essere stato uno degli istiga-tori, nonché parte attiva, della stessa rivolta fregellana44.

Nonostante il silenzio delle fonti antiche, che dell’episodio non forni-scono più di qualche fugace accenno, sembra verosimile individuare ilpunto di partenza delle tensioni che lo determinarono nel rigetto dellarogatio con cui il partito graccano replicava alla proposta di Penno. Ne fupromotore Fulvio Flacco, console nel 125 e formidabile alleato deiGracchi, il quale, nello spirito della riforma agraria avviata da Tiberio,propose il conferimento della cittadinanza romana agli Italici, o, in alter-nativa, l’estensione della provocatio ad populum, privilegio notoriamenteriservato ai cives45, a tutti i socii che avessero fatto espressa rinuncia della

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rimasta comunque misteriosa: Appiano (civ. 1, 20, 84) lascia trapelare in proposito sordide edinconfessate responsabilità. Sulla questione si veda anche, per esempio, D. Stockton, TheGracchi, Clarendon Press, Oxford 1979, pp. 89 ss.

43 Si tratta della lex Iunia de peregrinis, su cui cfr. G. Rotondi, Leges publicae populiRomani, SEL, Milano 1912, p. 304.

44 Plutarco dichiara esplicitamente che Gaio dovette difendersi in tribunale dall’accusa dicollusione con i rivoltosi fregellani (CG 3, 1: aijtiva~ aujtw/ kai; divka~ ejphgon, wJ~ tou;~ sum-mavcou~ ajfivstanti kai; kekoinwnhkovti th~ peri; Frevgellan ejndeicqeivsh~ sunwmosiva~«dovette subire altri processi, sotto l’imputazione di aver sollevato i confederati e di aver par-tecipato al complotto scoperto a Fregelle», trad. di C. Carena). Sembra che Gaio abbia rispo-sto all’accusa con grande eloquenza, guadagnandosi l’assoluzione, nonostante la sua giovaneetà, grazie all’orazione pro se (cfr. E. Malcovati, Oratorum Romanorum fragmenta liberae reipublicae, Paravia, Torino 19764, p. 182). Anche secondo Appiano (1, 23, 99) oJ de; Gravkco~[...] kai; tou;~ Lativnou~ ejpi; pavnta ejkavlei ta; ÔRwmaivwn («Gracco [...] chiamava i Latini apartecipare a tutti i diritti dei Romani», tr. di E. Gabba). Cfr. anche Cic. Brut. 99.

45 Per definire il carattere tipicamente romano dell’istituto della provocatio ad populum,a parte la relativa trattazione nel classico libro di W. Kunkel, Untersuchungen zur Entwicklungdes römischen Kriminalverfahrens in vorsullanischer Zeit, Verlag der Bayerischen Akademieder Wissenschaften, München 1962, risultano ancora fondamentali J. Bleicken, Ursprung undBedeutung der Provocation, in «Zeitschrift der Savigny-Stiftung für Rechtsgeschichte. Germa-nistische Abteilung» 76(1959), pp. 324-377; G. Crifò, Alcune osservazioni in tema di provo-catio ad populum, in «Studia et Documenta Historiae et Iuris», 29(1963), pp. 288-295 (rivolte

civitas46. Ovviamente la proposta di Flacco, che nell’intervallo tra l’ope-rato del primo e del secondo fratello sembra aver assunto a Roma un ruolodi spicco all’interno del partito graccano47, incontrò la recisa opposizionedei conservatori, che, accantonata ogni forma di ipocrita assistenzialismonei confronti degli alleati, espressero a quel punto un categorico rifiuto. Èlecito pensare, d’altronde, che un’altra ragione non trascurabile possa averindotto l’oligarchia senatoria ad agire in questa maniera: un livellamentototale, infatti, avrebbe vanificato quell’ottica del privilegio, in base allaquale si tendeva a conferire la civitas solo ai membri dominanti dellecomunità italiche, in modo che entrassero automaticamente a far parte delmeccanismo clientelare delle grandi famiglie romane48. Un’attribuzione didiritti così massiccia ed indiscriminata, invece, presentava il duplice svan-taggio di provocare, da un lato, l’affievolimento del potere specifico deimaggiorenti locali e di introdurre, dall’altro, una gran quantità di nuovielettori che, difficilmente riconducibili alla realtà della clientela urbana,avrebbero più che altro creato disagi e scompensi alla nobiltà cittadina.L’opposizione congiunta da parte dei quadri dirigenti periferici e centralinon poteva che vanificare i progetti del console Flacco, che fu quindi co-stretto ad accettare un incarico pretestuoso in Gallia49 e a deporre, per ilmomento, ogni proposito riformistico.

Proprio in quel particolare frangente, dunque, si sarebbe registrata larivolta di Fregellae, rimasta, a quel punto, isolata sia perché fatalmentesguarnita dell’appoggio di figure istituzionali influenti sul proscenio poli-tico romano, sia, e soprattutto, per la rapidità con cui Roma avrebbe orga-nizzato la sua repressione, dotandola di una esemplare valenza minatoriaper ogni potenziale alleato scontento. Il tentativo fregellano, che consimili presupposti non si profilava, dunque, né opportuno né capace dicatalizzare consensi, fu spietatamente represso nel sangue. In realtà,come si è detto, le fonti non spiegano minimamente in che modo si siaconcretamente attuata la rivolta50, limitandosi a ricordare la ferocia del-

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all’opera di Kunkel); A.W. Lintott, Provocatio. From the Struggle of the Orders to the Prin-cipate, in Aufstieg un Niedergang der Römischen Welt I.2, De Gruyter, Berlin-New York 1972,pp. 226-267.

46 G. Rotondi, Leges publicae, cit., p. 306, fa differenza tra una rogatio Fulvia de civita-te sociis danda ed un’altra, distinta, de provocatione, anche se poi, in merito a quest’ultima,soggiunge che forse poteva trattarsi di un articolo della prima.

47 Fu, per esempio, come riferisce Appiano (1, 18, 73), triumviro della commissione agra-ria nel 129 con lo stesso Gaio Gracco e Papirio Carbone. Stockton, The Gracchi, p. 165, lodefinisce icasticamente «a tantalizingly elusive figure». Cfr. anche P. Conole, Allied Disaffec-tion, cit., p. 131 (n. 16).

48 F. Coarelli, Fregellae 1, cit., p. 31, parla significativamente di «oligarchie sempre più ri-strette, protette dallo stato romano, che andarono tessendo, a partire da una base economicacomune, una rete di rapporti di alleanza, basati su strategie matrimoniali e politico-clientelari».

49 A reprimere la sommossa dei Salluvii (cfr. App. 1, 34, 152; Flor. 1, 19, 5).50 Il problema principale è provocato, naturalmente, dal silenzio di quella che è la fonte

l’intervento romano, oggi pienamente confermata dalle evidenze archeo-logiche. Il solo particolare che trapela è che un facoltoso fregellano, taleNumitorio Pullo, avrebbe collaborato con i Romani, macchiandosi di untradimento presto destinato ad assumere evidenza letteraria51. Inoltre si sache Opimio chiese invano il trionfo, perché, secondo il parere concordedi Valerio Massimo52 e Ammiano Marcellino53, per tradizione questosupremo riconoscimento veniva concesso solo in caso di allargamentodel territorio romano, e non per la pacificazione di rivolte interne.

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principale finora citata, Livio, di cui, come si sa, manca il resoconto relativo a questo perio-do. I testimoni superstiti della storia dei rivolgimenti graccani, Appiano e Plutarco, per moltotempo sono stati giudicati pienamente attendibili. Oggi, invece, si è propensi a credere che,pur avendo espresso un pregevole sforzo di ricostruzione delle vicende narrate, peccano talo-ra, rispettivamente, il primo di involontarie sovrapposizioni con le istituzioni dei suoi tempi(per la visione politica “universalistica” appianea cfr. l’introduzione di E. Gabba all’edizionedelle Guerre civili curata per la UTET, Torino 2001, pp. 14 ss.), il secondo di un eccesso dibiografismo.

51 Cicerone si scaglia contro di lui con particolare acrimonia e animosità in più occasioni:nel De finibus (5, 22, 62: «quis Pullum Numitorium Fregellanum, proditorem, quamquam reipublicae nostrae profuit, non odit?», [«chi non odia il traditore Pullo Numitorio, sebbene siastato utile alla nostra repubblica?»], tr. mia); nel De inventione (105): «[...] de Q. NumitorioPullo apud L. Opimium et eius consilium diu dictum est, et magis in hoc quidem ignoscendiquam cognoscendi postulatio valuit. Nam semper animo bono se in populum Romanum fuissenon tam facile probabat, cum coniecturali constitutione uteretur, quam ut propter posterius bene-ficium sibi ignosceretur, cum deprecationis partes adiungeret» («a lungo si discusse a proposi-to di Q. Numitorio Pullo presso L. Opimio e il suo consiglio; e in questo ultimo caso soprattut-to valse più la richiesta di perdono che non la domanda di esaminare i fatti. Non era così facile,infatti, per l’accusato dimostrare, servendosi dello stato congetturale, che aveva sempre nutritobuoni sentimenti nei riguardi del popolo romano, quanto piuttosto chiedere, usando anche learmi dell’implorazione, il perdono in ragione di un servizio reso recentemente», trad. di M.Greco); infine in Phil. 3, 6, 17 sua figlia Numitoria è convenzionalmente identificata come «lafiglia del traditore» (Numitoriam Fregellanam, proditoris filiam). Nella reiterata riprovazione diCicerone sembrerebbe quasi di scorgere del risentimento personale, ipotesi tra l’altro non cosìperegrina se si pensa all’origine arpinate del grande oratore e alla stretta connessione, a livellodi alleanze matrimoniali, tra le più ragguardevoli famiglie di Fregellae e Arpinum, municipioromano optimo iure dal 188 a.C. (su questo punto cfr. ad es. F. Coarelli, Fregellae, Arpinum,Aquinum: lana e fullonicae nel Lazio meridionale, in Les élites municipales de L’Italie pénin-sulaire des Gracques à Néron, Centre Jean Bérard-Ecole française de Rome, Napoli-Roma1996, pp. 199-205). Secondo l’ingegnosa ricostruzione dei fatti proposta dallo stesso F. Coarelli,Fregellae 1, cit., pp. 41 s., la testimonianza ciceroniana del processo sommario intentato aNumitorio di fronte al consilium di Opimio proverebbe che in un primo momento costui avreb-be preso parte attiva alla rivolta. Verosimilmente, quindi, il suo voltafaccia potrebbe essere statopropiziato proprio dalla promessa di future benemerenze, tra cui forse quello ius adipiscendaecivitatis per magistratum che già G. Tibiletti, La politica delle colonie e città latine nella guer-ra sociale, in «Rendiconti dell’Istituto Lombardo. Classe di Lettere, Scienze morali e storiche»86(1953), pp. 54-59, poneva in stretta connessione con la seditio fregellana. L’interpretazioneavanzata da Coarelli, tra l’altro, presenta il pregio di spiegare come mai nessun’altra città sisarebbe unita alla rivolta, dal momento che «la trattativa con una parte dei difensori dovetteavvenire quasi subito e venir adeguatamente comunicata anche alle altre città, i cui gruppi diri-genti furono così indotti ad astenersi da ogni intervento diretto nella contesa».

52 Val. Max. 2, 8, 4.53 Amm. 25, 9, 10.

La città fu rasa al suolo e sconsacrata attraverso il terribile ritualedella devotio, come ci tramanda Macrobio54, e anche il suo nome fu radi-calmente eliminato, perché l’anno seguente sul sito fu dedotta la colonia

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54 Macr. Sat. 3, 9, 13: «in antiquitatibus autem haec oppida inveni devota: †Stonios†,Fregellas, Gavios, Veios, Fidenas; haec intra Italiam, praeterea Carthaginem et Corinthum, sedet multos exercitus oppidaque hostium Gallorum Hispanorum Afrorum Maurorum aliarumquegentium quas prisci loquuntur annales» («mi risulta che nei tempi antichi furono maledette leseguenti città: Turi, Fregelle, Gavi, Veio, Fidene, entro i confini d’Italia; inoltre Cartagine eCorinto, e molti altri eserciti e città nemiche in Gallia, in Spagna, in Africa, in Mauritania e inaltre regioni, di cui parlano gli antichi annali», tr. di N. Marinone). Personalmente, in realtà,trovo molto sospetta l’ipotesi di risanamento della crux †Stonios† in Thurios, proposta daHuschke ed accolta da Nino Marinone nella sua edizione dei Saturnali per la UTET (Torino1967). Nell’Appendice critica premessa al testo, infatti, lo studioso dichiara quanto segue (p.72): «la congettura sembra alquanto probabile, in quanto Thurii fu conquistata da Annibale, enell’elencazione si osserva l’ordine geografico». Tali argomentazioni, in realtà, mi sembranopiuttosto fragili: anzitutto, infatti, mi sembra che il criterio geografico, che può ammettersi,semmai, sul piano più ampio delle province imperiali, com’erano configurate ai tempi diMacrobio (Italia, Gallia, Spagna, Africa settentrionale), non si adatti perfettamente alle cittàitaliche elencate, perché non vedo come possa conciliarsi la menzione di Thurii (peraltro nonagevolmente sostenibile neppure dal punto di vista della ricostruzione paleografica) accantoalle altre cittadine, tutte poste nelle immediate vicinanze di Roma. Aggiungerei, nello specifi-co, che la questione mi sembra ulteriormente complicata dal fatto che il locus di Macrobio nonsolo accosta città affrontate da Roma in epoche molto distanti della sua storia, ma lo fa, fran-camente, anche in modo alquanto confuso, come dimostra la posizione divaricata, nella lista,di Fregellas rispetto alla coppia Carthaginem et Corinthum, le cui devotiones avvennero pocotempo prima di quella fregellana; del resto, anche volendosi mantenere all’interno di una con-siderazione esclusivamente geografica, l’ultima parte del periodo risulta affetta da un’aperturapraticamente omnicomprensiva (Gallorum Hispanorum Afrorum Maurorum aliarumque gen-tium), il che implicitamente fa sorgere qualche dubbio anche sul dettaglio analitico delle pre-cedenti rivelazioni. Un altro punto estremamente critico, anche se testualmente corretto, è rap-presentato dalla resa dell’espressione in antiquitatibus. Intesa, come fa il traduttore, comeomologa e sinonimica rispetto alla iunctura più comune antiquis temporibus, essa, per la veri-tà, è assai rara: si trova attestata, in particolare, in Gellio. In alternativa, può servire in sensotecnico ad introdurre la citazione di brani tratti dalle Antiquitates rerum humanarum di Varrone(come accade, ad es., in Gell. 11, 1, 1). Questa seconda possibilità traluce implicitamente in F.Coarelli, Fregellae 1, cit., p. 44, n. 203: «questa stessa – scil. la formula della devotio, tratta daSammonico Sereno (l’inciso è mio) –, o piuttosto le antiquitates di Varrone, potrebbero essereanche la fonte da cui deriva la lista degli oppida devota». Coarelli ritiene la fonte buona ed ilpasso complessivamente attendibile, ma va detto che c’è persino chi ha ritenuto apocrifo lostesso carmen devotionis, integralmente riportato da Macrobio nei §§ 10-12 (su tutti K. Latte,Römische Religionsgeschichte, C.H. Beck, München 1960, p. 82, n. 4: «die Formel ist fürrömische Religion unverwendbar»). In effetti sarebbe molto interessante effettuare un’analisicomparativa delle diverse modalità di distruzione delle città variamente citate da Macrobio. Tral’altro si potrebbero sfatare delle convinzioni erronee, ma piuttosto radicate a livello di com-munis opinio, come per esempio quella relativa allo spargimento di sale sulle rovine della cittàdistrutta in segno di maledizione solenne, su cui le fonti antiche invece tacciono del tutto (pro-babilmente la confusione sarà stata originata dall’indebita sovrapposizione di un’usanza tipicadel mondo semitico: cfr. G. Walter, La déstruction de Carthage, A. Michel, Paris 1947, p. 509).Chi, come H.S. Vernsel, Two types of Roman devotio, in «Mnemosyne» 29(1976), pp. 379 ss.,ha il merito non solo di aver proposto, ma anche efficacemente impostato una simile analisi, siè affidato, in realtà, unicamente al sostegno degli strumenti filologici e dei dati storico-lettera-ri, mentre l’operazione potrebbe ricavare un enorme beneficio dalla corretta acquisizione dei

di Fabrateria Nova55. Per la verità gli itinerari tardo-antichi registranoancora un Fregellanum in corrispondenza di una mansio (stazione diposta), ma esso non sembra sovrapponibile all’antica Fregellae, comeefficacemente dimostrò il Colasanti56. Doveva trattarsi, infatti, dellakwvmh, il modesto borgo di cui parlava Strabone contrapponendolo allaflorida colonia latina, la cui estensione, al contrario, doveva superare gliottanta ettari, superficie davvero ingente se si pone mente al fatto chePompei ne totalizzava sessantacinque57.

Tornando alla testimonianza di Macrobio sulla devotio fregellana,potrebbe essere utile spendere qualche parola sui termini squisitamentesacrali di questa tremenda maledizione, cercando di verificare se e fino ache punto i nuovi elementi emersi dall’indagine archeologica siano ingrado di confermare i dati letterari o addirittura consentano di ricostruirecon maggiore chiarezza le concrete modalità attuative di questo impor-tante procedimento religioso e militare. Se in relazione al primo punto èplausibile una risposta affermativa, grazie alla significativa congruenzadei nuovi apporti documentali, per il secondo la situazione si fa obietti-vamente molto più fumosa, pur non potendosi escludere che alcuni indi-zi emersi dagli scavi permettano una seria riconsiderazione del proble-ma58. Intanto un punto di partenza sicuro è rappresentato dalla completaeliminazione del toponimo, una vera e propria damnatio memoriae59.Cercherò, comunque, di limitarmi a richiamare i dati oggettivi, abboz-zando al contempo qualche timida ipotesi di lavoro.

Il problema della devotio investe due ordini di ragionamento, il primostorico-religioso, il secondo più puramente giuridico, né ciò suona stra-no, dal momento che ambedue le realtà, com’è noto, si giovano di for-

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recenti sviluppi dell’indagine archeologica. Sulla devotio è possibile ricordare, infine, anche unaltro interessante contributo dello stesso H.S. Vernsel, Destruction, devotio and despair. Themourning for Germanicus in triple perspective, Perennitas. Studi in onore di Angelo Brelich,Edizioni dell’Ateneo, Roma 1980, pp. 541-618, nonché il recente inquadramento di L. Sacco,Devotio, in «Studi Romani» 52(2004), pp. 312-352.

55 Su cui cfr. A. Nicosia, Fabrateria Nova, Gruppo Archeologico, Pontecorvo 1977. Laposizione di Fabrateria Nova corrispondeva a quello dell’attuale San Giovanni Incarico; la cit-tadina non va confusa con la Vetus, che, citata in precedenza all’interno della lista strabonia-na, oggi corrisponde a Ceccano ed era comunque molto più antica (cfr. S. Antonini, FabrateriaVetus, Quasar, Roma 1988). Rilevava le notevoli difficoltà incontrate dagli studiosi nel discer-nere le testimonianze antiche relative all’una ed all’altra Fabrateria già G. Colasanti, Fregellae,cit., p. 34.

56 Sull’identificazione topografica l’autore si pronuncia in dettaglio e a più riprese: cfr. G.Colasanti, Fregellae, cit., pp. 39 ss.; 173 ss.

57 Ibi, p. 148. I recenti rilevamenti sembrano confermare le stime del Colasanti.58 Mi riferisco ancora ad alcuni interessantissimi rilievi di Coarelli, cui si farà riferimen-

to più avanti.59 Del resto la menzione della distruzione di Fregellae, nella lista di Macrobio, accanto a

casi paradigmatici come quelli di Cartagine o Corinto, rappresenta una conferma, seppure indi-retta, del fatto che anch’essa fosse percepita dai Romani come esemplare.

mulari altamente evocativi. Per la verità il termine non è univoco, dalmomento che, a prescindere dagli altri significati che può rivestire al difuori dell’ambito sacrale60, anche in questo gli studiosi hanno individua-to due fenomeni dai caratteri ben distinti61. Intesa lato sensu, infatti, ladevotio, come illustra il suo impianto etimologico, non è altro che unvotum62, cioè un gesto estremo con cui il comandante delle milizie siimmola, gettandosi armato tra le schiere nemiche e andando così incon-tro a morte sicura, pur di assicurare la vittoria ai suoi. Il devovens, di soli-to un magistrato cum imperio, come un console, in pratica decide di affi-dare la propria vita agli dei Manes e alla Tellus con la doppia funzione diofficiante ed hostia sacrificale, pronunciando contestualmente una for-mula sacra in cui invoca non solo gli dei Inferi, ma anche i Superi (comeIuppiter o Ianus), perché concedano il trionfo all’esercito romano.Questo rituale appare applicato per la prima volta nel 340 a.C., in occa-sione del celebre sacrificio di Publius Decius Mus nella battaglia delVesuvio contro i Latini63. Livio, nel riferire l’episodio, riporta anche la

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60 Efficacemente riassunti nella relativa voce del Thesaurus linguae Latinae V.1, 878 s.;cfr. più succintamente l’Oxford Latin Dictionary, p. 534.

61 La distinzione tra i due tipi di devotio si trova sia nell’articolo realizzato da G. Wissowaper la Realencyclopädie der classischen Altertumswissenschaft (V, 277-280) che in quello diA. Bouché-Leclercq per il Dictionnaire des antiquités grecques et romaines di C. Daremberged E. Sagliò (III, 113).

62 Nell’impianto etimologico del termine, infatti, sono presenti il radicale vov- (vot-) divoveo, votum, ed il preverbio de. Se a quest’ultimo è stato variamente conferito il senso loca-tivo di “giù”, “sotto” (come ha fatto Wissowa nella sua voce per la RE, con riferimento alledediche agli Inferi), ovvero una valenza separativa, del tipo di quella operante in de-dico (cfr.H. Fugier, Recherches sur l’expression du sacré dans la langue latine, Faculté des Lettres,Strasbourg 1963, p. 50), è chiaro che la portata semantica del vocabolo risiede tutta nel radi-cale. Significativamente il Vocabularium Iurisprudentiae Romanae (V, W. de Gruyter, Berolini1939, 1496 s.) riporta solo votum e voveo, mentre mancano del tutto, nel lessico dei giurecon-sulti romani, sia il sostantivo devotio che il verbo devoveo. Il lemma votum, per esempio, vieneglossato come una «promissio sollemnis deo facta»: cfr. Dig. 50, 12, 2 pr. (Ulpianus libroprimo disputationum): «si quis rem aliquam voverit, voto obligatur. Quae res personam voven-tis, non rem quae vovetur, obligat. Res enim, quae vovetur, soluta quidem liberat vota [...]» («seuno promette solennemente qualcosa, è obbligato dal voto. Questo fatto obbliga la persona dichi promette, non l’oggetto del voto. Infatti una volta che si è realizzato l’oggetto della pro-messa, si è liberati dal voto», trad. mia; secondo me si tratta della spiegazione più chiara delsignificato del termine, in quanto lo mette in rapporto con il concretizzarsi dell’oggetto del-l’offerta).

63 Liv. 8, 9, 1-8, ma si veda anche 10, 28, 12-18 per la devotio di P. Decius Mus figlio nel295 a Sentinum (in proposito si è propensi a credere che l’attribuzione del rito al padre nel 340sia un’anticipazione del sacrificio del figlio). Per una prima bibliografia orientativa sulle devo-tiones Decianae e la discussione sulla loro attendibilità, si vedano, oltre, ovviamente, ai varicommenti all’opera di Livio, i contributi specifici di G. Stievano, La supposta devotio di P.Decio Mure nel 279 a.C., in «Epigraphica» 13(1951), pp. 3-13; O. Schoenberger, Motivierungund Quellenbenützung in der Deciusepisode des Livius (X, 24-30), in «Hermes», 88(1960), pp.217-230; L.F. Janssen, Some unexplored aspects of devotio Deciana, in «Mnemosyne»34(1981), pp. 357-381.

formula di questo particolare istituto sacrale, pronunciata dal ponteficemassimo al seguito della legione, velato capite64. Essa consisteva nell’in-vocare gli dei tutelari della patria perché concedessero la salvezza all’e-sercito romano ed insieme annientassero quello nemico, funestandolo«con il terrore, la paura e la morte» (terrore, formidine morteque)65: sitrattava, in ultima analisi, di un terrificante anatema, circostanza peraltroconfermata dalle sostanziali analogie intercorrenti tra la formula delladevotio66 e quella delle maledizioni67.

Tuttavia, quella che qui più interessa è l’altra tipologia, che vieneconvenzionalmente denominata devotio hostium e la cui fonte basilare èappunto il già citato passo dei Saturnalia di Macrobio68. In breve, l’eru-dito latino riferisce di un diverso rituale, in cui l’oggetto del voto non èpiù costituito dal sacrificio del generale romano, ma dall’intero territorionemico, con tutte le sue proprietà mobili ed immobili, compresa la popo-lazione civile e militare. Di conseguenza proprio in questo particolarerisiede la sua differenza rispetto agli altri vota, ossia nel fatto che l’og-getto del desiderio viene ad identificarsi con quello della promissio: larovina e la dissoluzione dei nemici e delle loro proprietà. Così configu-rata, in pratica, la devotio hostium si risolve in un rito di brutale mattan-za della popolazione, preceduto dalla evocatio delle divinità nemiche,ossia dalla loro simbolica assunzione all’interno del pantheon romano, inmodo da alienare alle popolazioni locali la loro protezione in cambio diun trattamento cultuale non meno onorifico da riceversi a Roma. Questopeculiare procedimento, secondo Servio, sarebbe stato dettato, essenzial-mente, da ragioni sacrali, «propter vitanda sacrilegia»69, essendo «nefasdeos [...] habere captivos»70.

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64 Sul profondo significato simbolico della velatura del capo connessa con questa impor-tante operazione religiosa, si veda ora F.R. Nocchi, Roma antica /1/ Abiti nuziali, in «Quadernidi simbologia del vestire», 5, Nuova Cultura, Roma 2007, p. 38.

65 Liv. 8, 9, 7.66 Di cui significativamente George Dumézil evidenziava la natura imperativa, accostan-

dola più ad un rito magico-teurgico che ad una semplice implorazione, in virtù della alta con-sapevolezza che il devovens aveva della realizzabilità dei propri desiderata (cfr. G. Dumézil,La religion romaine archaïque, Payot, Paris 19742, ed. e tr. it. La religione romana arcaica, acura di F. Jesi, Rizzoli, Milano 2001, pp. 96-98). La formula riportata da Livio, pur conser-vando molti arcaismi del testo originario, come tutte le testimonianze del genere deve esserestata rimaneggiata dallo storico per una sua più idonea fruizione da parte dei contemporanei.

67 Per questo con il passare del tempo il termine tende a porsi come sinonimo di malefi-cio in generale, giungendo a ricomprendere tutte le iniziative portate avanti contro la vita altruiattraverso rituali magici, come dimostrano le endiadi «carmina et devotiones» (Tac. Ann. 2, 69)o «devotionibus ac maleficiis» (Apul. Met. 9, 29).

68 Macr. Sat. 3, 9, 9-13.69 Serv. ad Aen. 2, 351.70 Macr. Sat. 3, 9, 2. Sulla evocatio come «conquista delle divinità delle città assediate»

si veda la sintesi operata da M. Baistrocchi, Arcana urbis: considerazioni su alcuni ritualiarcaici di Roma, ECIG, Genova 1987, pp. 265-274. Secondo G. Dumézil, La religione romana,

Gli elementi comuni rispetto all’altra forma, che per comodità di sin-tesi è stata definita devotio ducis (sebbene anche in questo caso l’obietti-vo intrinseco dell’animadversio sacrale si identifichi in una devotiohostium), sono l’obbligo della direzione del rito da parte di un magistra-tus cum imperio e l’invocazione agli dei, sostanzialmente gli stessi, cioèTellus, Iuppiter e le divinità infere, in ordine Dis Pater, sovrano del regnodei morti, omologo ed omonimo dell’ellenico Pluton, che lo soppiantò inepoca classica71, Vediovis, entità ctonia del mondo dei defunti, che GiuliaPiccaluga ha felicemente definito in negativo, come opposto di Iuppiter72,e per finire i Manes73. Vorrei inoltre segnalare, anche se solo en passant,la consonanza, credo piuttosto significativa, tra l’invocazione alle divini-tà sotterranee nella formula tramandata da Macrobio e quella attestata perle varie categorie umane soggette a consecratio capitis et bonorum peruno scelus inexpiabile74, come se il ricorso alle forze ultraterrene inter-venisse a surrogare specifiche carenze del diritto civile in casi di partico-lare gravità e immoralità. Mi sembra, infatti, che il denominatore comu-ne tra tutte queste fattispecie si possa rinvenire nell’infrazione del vinco-lo etico dell’obsequium da prestare verso colui o ciò nei confronti delquale si intrattiene un obbligo di rispetto e devozione, com’è tra figli egenitori, marito e moglie, patrono e liberto, ovvero in questo caso, tra-sponendo il discorso dal piano privato-individuale a quello pubblico-col-

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cit., p. 98, «nell’evocatio l’orante e gli dei sono in una situazione meno tesa e l’oggetto del-l’offerta non è così drammatico come quello dell’offerta nella devotio».

71 Dis, equivalente di Ditis, appartiene come il greco plouto~ alla sfera semantica dellaricchezza e si riferisce alla straordinaria abbondanza di vene metallifere e giacimenti di pietrepreziose presenti nel sottosuolo, che gli antichi, con associazione tanto logica quanto sugge-stiva, reputavano un possedimento esclusivo del signore delle tenebre.

72 G. Piccaluga, L’anti-Iuppiter, in «Studi e Materiali di Storia delle Religioni»34/2(1963), p. 229. Eloquente, in proposito, la glossa fornita da Mythogr. Vat. 3, 6, 1: «Vedio-vis id est malus Iovis».

73 Un’evidente consonanza lessicale è riscontrabile, peraltro, anche nelle minacce paven-tate ai nemici, che per due terzi coincidono tra la formula di Livio («terrore, formidine morte-que») e quella di Macrobio («fuga formidine terrore»: notevole, oltre l’asindeto, qui integrale,l’allitterazione iniziale della fricativa labiodentale).

74 I figli che alzano le mani sul pater, consecrati ai Mani dei loro antenati (divis paren-tum, Fest. 230 L., s.v. plorare); il marito che vende la sua donna (Plut. Rom. 22); il patrono edil cliente dimentichi dei loro obblighi (Dion. Hal. 2, 10; Serv. ad Aen. 6, 609). La consecratiocomportava l’estromissione del reo (capitis) e dei suoi beni (bonorum) da qualsiasi tutelaumana e divina, anzi giuridicamente ciascuno era abilitato ad ucciderlo senza rischiare l’incri-minazione per omicidio. Ovviamente il mio qui vuole essere solo uno spunto, anche perchéun’analisi appena più approfondita evidenzia da subito delle profonde divergenze tra le due fat-tispecie: per esempio il fatto che la religione romana, pur ammettendo che la consecratio aves-se come estrema conseguenza la morte del consacrato, ne escludeva il sacrificio solenne perconto della comunità (cfr. Fest. 424 L., s.v. sacer). La bibliografia classica sulla sacertas sitrova in B. Santalucia, Diritto e processo penale nell’antica Roma, Giuffrè, Milano 1989, pp.15-16, cui va aggiunto almeno il ricchissimo studio di R. Fiori, Homo sacer. Dinamica politi-co-costituzionale di una sanzione giuridico-religiosa, Jovene, Napoli 1996.

lettivo, Roma e le città sottoposte alla sua egida, sia che ciò fosse espli-citamente comportato dal loro status di colonie (come per Fregellae), siache lo richiedesse un nuovo vincolo di subalternità acquisita (le variecittà italiche o Cartagine e Corinto, per restare nell’elenco di Macrobio).L’invocazione agli dei Inferi serviva a garantire il loro appoggio allacausa romana, un ausilio soprannaturale in grado di legittimare piena-mente il ricorso alla forza contro l’avversario che avesse osato travalica-re il proprio limite naturale.

Ma cosa è possibile ricavare di nuovo sulle concrete modalità esecu-tive del rituale della devotio in base ai recenti scavi condotti sul territoriodi Fregellae? Su questo punto trovo molto istruttivi i rilievi di Coarelli,che in base allo stato del sito dichiara di poter confermare la «radicalitàdella distruzione e l’immediato e definitivo abbandono della città» di cuiparlano le fonti letterarie75. Lo studioso giustamente adduce come provadi questo scempio, che dové investire con cura metodica sia gli edificipubblici che quelli privati, il fatto che una villa di età imperiale, le cuitombe si sono innestate sui pavimenti delle domus distrutte, abbia certa-mente adibito a scopi agricoli una porzione anche piuttosto centrale diquella che in epoca repubblicana era stata l’area urbana della colonia76.Ma l’elemento più sorprendente è che sui resti della Curia, la quale vero-similmente fu abbattuta subito dopo la conquista della città, è stato rin-venuto un denso strato di terriccio nero, molto ricco di ceneri e delle trac-ce di quello che può probabilmente identificarsi in un imponente sacrifi-cio rituale: ossa animali e numerosi ed abbondanti frammenti fittili,appartenenti esclusivamente a due tipi di ceramica, cioè olle comuni etazze a vernice nera. Inoltre, sempre all’interno di questo terriccio nerosono visibili le fondazioni in tufo di quattro imponenti piloni in operaquadrata, che ripercorrevano consapevolmente la struttura della Curia,come per sovrapporsi ad essa in via esemplarmente sostitutiva. Il grossotetrastylum, certamente eretto in un punto politicamente così rappresen-tativo proprio per commemorare la conquista e la distruzione della città,potrebbe essere connesso con le operazioni relative alla devotio dellacittà, tra le quali si potrà includere anche il sacrificio solenne. Coarelli viriconosce «un monumento onorario di Opimio, realizzato nella forma diuno Ianus, che doveva essere già diffusa a Roma fin dai decenni inizialidel II secolo a.C.»77. L’opera, che per il suo esplicito carattere sanziona-torio non dové riscuotere un particolare gradimento da parte dei residen-ti, sopravvisse poco, anzi forse fu già abbattuta durante gli scontri delbellum sociale, che videro interessata anche la zona della valle del Liri.

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75 F. Coarelli, Fregellae 1, cit., p. 67.76 Ibidem.77 Ibi, p. 68.

In conclusione, vorrei tornare a sottolineare l’opportunità di rinnova-re il ricordo di questa ipotesi alternativa di centro abitato, il cui interoarco esistenziale fu strettamente connesso con le ragioni logistiche e stra-tegiche che prima ne suggerirono la fondazione e quindi ne dettarono ladistruzione. Ovviamente tutto ciò le negò per sempre l’opportunità di ela-borare miti di fondazione da tramandare ai posteri, ma non per questoessa si rivelò meno pulsante e florida per tutto il tempo che le fu dato davivere.

La sua memoria storica, lungi dall’essere stata espiantata e maledet-ta in eterno dal tremendo rituale della devotio, com’era nelle intenzionidel suo materiale distruttore, sarebbe rimasta pervicacemente radicata nelterritorio78, per riaffiorare una buona volta, anche a livello archeologico edocumentale, dopo ben due millenni di oscurità, grazie all’inesauribileamore per il sapere connaturato nell’animo umano79.

ABSTRACT

La colonia latina di Fregellae, nel basso Lazio, ha avuto una vitabreve ma intensa tra il IV e il II secolo a.C. Simili insediamenti obbedi-vano alla strategia territoriale caratterizzante il processo di romanizza-zione della penisola in età mediorepubblicana. I resti di Fregellae sonotornati alla luce grazie alle campagne di scavo regolarmente condotte apartire dal 1978 dal team guidato da Filippo Coarelli. I nuovi dati del-l’indagine archeologica si possono utilizzare con profitto per ricostruirele concrete modalità della deletio della colonia, che secondo le fontisarebbe avvenuta con il terribile rituale della devotio. Lo stato del sito,in effetti, mostra con evidenza la radicalità della distruzione e il definiti-vo abbandono della città, offrendo così una netta conferma della testi-monianza delle fonti. Inoltre nella zona della Curia si sono rinvenute os-

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78 Da Cepranese di nascita, ricordo di aver udito di persona dagli anziani del mio paesela singolare espressione cíuta fragellə (la vocale di timbro indistinto è tipica della nostra zona),pronunciata continuativamente, come un’unica parola, ma che qui scompongo per cercare dirisalire alla sua possibile origine. L’espressione, infatti, è impiegata nel senso di “catastrofe”,“calamità”; se la seconda parte presenta notevoli affinità con termini in tema, come “flagello”,“sfacelo” o “sfracello” (volendo mantenere la liquida vibrante), mi sembra però che la primainduca inequivocabilmente a spiegare tutto il nesso come l’evoluzione di un originario civitasFregellae, suprema reminiscenza di una distruzione tanto devastante da non poter essere piùespiantata dal ricordo collettivo locale.

79 Desidero ricordare, in chiusura, che a parte i resti dell’antica Fregellae, nel 1994 l’areadi Ceprano è stata resa celebre anche dalla sensazionale scoperta da parte del paleontologoItalo Biddittu della calotta cranica di Argil, un esemplare di Homo antecessor la cui datazioneè stata riferita a circa 800.000 anni fa. Il rinvenimento dell’“uomo di Ceprano” ha rivoluzio-nato, ovviamente, lo studio dell’archeologia preistorica. Senza entrare in merito alla già nutri-ta bibliografia sull’argomento, mi limito qui a segnalare il recente articolo divulgativo di G.Manzi, Argil, antenato d’Europa, in «Le Scienze» 428/4(2004), pp. 46-53.

sa animali e frammenti fittili, identificabili con le tracce del solenne sa-crificio rituale che dové accompagnare la devotio. Le fondazioni tufaceedi un tetrastylum in opus quadratum tradiscono, infine, la presenza di unmonumento commemorativo, forse da porre anch’esso in relazione con leoperazioni relative alla devotio. L’opera, che per il suo esplicito caratte-re sanzionatorio era invisa ai locali, sopravvisse ben poco, anzi proba-bilmente non arrivò neppure a superare l’imminente bellum sociale.

The Latin colony of Fregellae in southern Latium enjoyed a brief butintense existence between the fourth and second century BC. Similarfoundations were determined by the territorial strategy that character-ized the process whereby the Italian peninsula was Romanized during theMiddle Republic. As of 1978, the ruins of Fregellae have been brought tolight by a series of excavations annually conducted by a team under thedirection of Filippo Coarelli. The new data given by these excvations canbe profitably employed to reconstruct the concrete manner of the colony’sdeletio, which the sources record as having been enacted through the ter-rible ritual of the devotio. The site’s state of preservation effectivelyshows quite clearly the thorough nature of the city’s destruction anddefinitive abandonment, thereby providing a clear confirmation of thetestimony of the sources. Moreover, in the zone of the Curia, there havecome to light animal remains and ceramic fragments that are to be iden-tified as traces of the solemn ritual sacrifice that necessarily accompa-nied the devotio. The tufa foundations of a tetrastylum in opus quadra-tum, lastly, show the presence of a commemorative monument that is per-haps to be connected to the execution of the devotio. Odious to the localinhabitants on account of its explicit punitive nature, this monument didnot survive for long and almost certainly did not survive the BellumSociale that occurred some three decades later.

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