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Interventi di consolidamento dei terreni: tecnologie e scelte di progetto

Date post: 17-Nov-2023
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1 Osservazioni su alcune delle tecniche di consolidamento dei terreni più diffuse in Italia Flora A., Lirer S. Dipartimento di Ingegneria Idraulica, Geotecnica e Ambientale, Università degli Studi di Napoli Federico II 1. INTRODUZIONE Il consolidamento dei terreni è un settore dell’ingegneria geotecnica in rapida evoluzione che, grazie alle nuove possibilità tecnologiche offerte dall’industria, svolge sempre più spesso un ruolo rilevante nei progetti di opere geotecniche. Si può anzi affermare che, negli ultimi decenni, lo sviluppo di soluzioni tecniche adatte al miglioramento e al rinforzo dei terreni e delle rocce è stato uno dei motori principali dell’innovazione dell’ingegneria e dell’industria delle costruzioni nel settore geotecnico. Tuttavia, la presenza di molte soluzioni alternative, l’incertezza relativa ad alcuni aspetti dell’esito degli interventi (estensione, proprietà meccaniche, presenza di difetti) e in alcuni casi la scarsa conoscenza dei processi fisico-meccanici coinvolti, rappresentano per l’ingegnere difficoltà che molto spesso ne condizionano il controllo in fase di progetto. Le tecniche di consolidamento possono essere classificate efficacemente (Fig. 1.1) in funzione dell’estensione e del rapporto con il terreno in sede (migliorament o se diffuso, rinforzo se localizzato) nonché dell’effetto che esse hanno sullo “stato” del terreno trattato (descritto sinteticamente dal grado di addensamento e dalle condizioni tensionali agenti) e sulla sua “costituzione” (intesa come l’insieme delle componenti fisico-chimiche che costituiscono il terreno consolidato). In questa sede è impossibile anche la mera descrizione dell’intero panorama esistente. Senza alcuna pretesa di completezza, quindi, nel seguito si descrivono per le diverse tipologie di intervento gli aspetti salienti ed alcune tecniche particolarmente promettenti. Infine, con riferimento a tre tecniche particolarmente note e oramai diffuse in Italia (jet-grouting, permeation grouting, soil nailing), si riportano informazioni più dettagliate e alcune indicazioni di progetto. 1.1 Tecniche di miglioramento dei terreni Tra le tecniche che agiscono sullo stato del terreno, quella che al momento sembra avere a livello internazionale il più largo impiego è certamente il drenaggio con pompe a vuoto, noto anche in Italia con il termine inglese vacuum preloading. Con esso, si realizza nel terreno un sistema drenante superficiale e profondo isolato superiormente con una copertura impermeabile all’aria (Fig. 1.2a). All’interno di tale sistema drenante si applica una depressione che innesca un fenomeno di consolidazione concettualmente equivalente a quello causato dall’applicazione di un tradizionale precarico, con il vantaggio di non movimentare grandi volumi di terreno. Sebbene tale tecnica sia nota da lungo tempo e il meccanismo di funzionamento sia ben chiaro, i recenti sviluppi tecnologici e i nuovi materiali disponibili per il drenaggio ne hanno di molto favorito la diffusione.
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1

Osservazioni su alcune delle tecniche di

consolidamento dei terreni più diffuse in Italia

Flora A., Lirer S.

Dipartimento di Ingegneria Idraulica, Geotecnica e Ambientale, Università degli Studi di Napoli Federico II

1. INTRODUZIONE

Il consolidamento dei terreni è un settore dell’ingegneria geotecnica in rapida evoluzione che,

grazie alle nuove possibilità tecnologiche offerte dall’industria, svolge sempre più spesso un ruolo

rilevante nei progetti di opere geotecniche. Si può anzi affermare che, negli ultimi decenni, lo

sviluppo di soluzioni tecniche adatte al miglioramento e al rinforzo dei terreni e delle rocce è stato

uno dei motori principali dell’innovazione dell’ingegneria e dell’industria delle costruzioni nel

settore geotecnico. Tuttavia, la presenza di molte soluzioni alternative, l’incertezza relativa ad

alcuni aspetti dell’esito degli interventi (estensione, proprietà meccaniche, presenza di difetti) e in

alcuni casi la scarsa conoscenza dei processi fisico-meccanici coinvolti, rappresentano per

l’ingegnere difficoltà che molto spesso ne condizionano il controllo in fase di progetto.

Le tecniche di consolidamento possono essere classificate efficacemente (Fig. 1.1) in funzione

dell’estensione e del rapporto con il terreno in sede (miglioramento se diffuso, rinforzo se

localizzato) nonché dell’effetto che esse hanno sullo “stato” del terreno trattato (descritto

sinteticamente dal grado di addensamento e dalle condizioni tensionali agenti) e sulla sua

“costituzione” (intesa come l’insieme delle componenti fisico-chimiche che costituiscono il terreno

consolidato). In questa sede è impossibile anche la mera descrizione dell’intero panorama esistente.

Senza alcuna pretesa di completezza, quindi, nel seguito si descrivono per le diverse tipologie di

intervento gli aspetti salienti ed alcune tecniche particolarmente promettenti. Infine, con riferimento

a tre tecniche particolarmente note e oramai diffuse in Italia (jet-grouting, permeation grouting, soil

nailing), si riportano informazioni più dettagliate e alcune indicazioni di progetto.

1.1 Tecniche di miglioramento dei terreni

Tra le tecniche che agiscono sullo stato del terreno, quella che al momento sembra avere a livello

internazionale il più largo impiego è certamente il drenaggio con pompe a vuoto, noto anche in

Italia con il termine inglese vacuum preloading. Con esso, si realizza nel terreno un sistema

drenante superficiale e profondo isolato superiormente con una copertura impermeabile all’aria

(Fig. 1.2a). All’interno di tale sistema drenante si applica una depressione che innesca un fenomeno

di consolidazione concettualmente equivalente a quello causato dall’applicazione di un tradizionale

precarico, con il vantaggio di non movimentare grandi volumi di terreno. Sebbene tale tecnica sia

nota da lungo tempo e il meccanismo di funzionamento sia ben chiaro, i recenti sviluppi tecnologici

e i nuovi materiali disponibili per il drenaggio ne hanno di molto favorito la diffusione.

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TRATTAMENTI DI MIGLIORAMENTO

STATO

TENSIONE E PRESSIONE

INTERSTIZIALEINDICE DEI VUOTI

PRECARICO

DRENAGGIO

Drenaggi a gravità

Drenaggi con

pompe a vuoto

Dreni verticali

COMPATTAZIONE

SUPERFICIALE

Compattazione

statica

Compattazione

per vibrazione

Compattazione per

impatto

COMPATTAZIONE

PROFONDA

Vibrocompattazione

Consolidazione dinamica

Esplosioni

Iniezioni compattanti

ELETTROSMOSI

RISCALDAMENTO

COSTITUZIONE

FLUIDO INTERSTIZIALE SCHELETRO SOLIDO

PERMEAZIONE

CONGELAMENTO

Iniezioni di

miscele

STABILIZZAZIONE

GRANULOMETRICA

Miscele granulari

STABILIZZAZIONE

CHIMICA

Miscelazione

con cemento

Miscelazione

con calce

STABILIZZAZIONE

ELETTROCHIMICA

STABILIZZAZIONE

FISICA

Miscelazione

con fibre

STABILIZZAZIONE

TERMICA

Microrganismi

Azioni su

Fattore modificabile

PROCESSO

Applicazione

Legenda

Compattazione

con impulsi elettrici

TRATTAMENTI DI MIGLIORAMENTO

STATO

TENSIONE E PRESSIONE

INTERSTIZIALEINDICE DEI VUOTI

PRECARICO

DRENAGGIO

Drenaggi a gravità

Drenaggi con

pompe a vuoto

Dreni verticali

COMPATTAZIONE

SUPERFICIALE

Compattazione

statica

Compattazione

per vibrazione

Compattazione per

impatto

COMPATTAZIONE

PROFONDA

Vibrocompattazione

Consolidazione dinamica

Esplosioni

Iniezioni compattanti

ELETTROSMOSI

RISCALDAMENTO

COSTITUZIONE

FLUIDO INTERSTIZIALE SCHELETRO SOLIDO

PERMEAZIONE

CONGELAMENTO

Iniezioni di

miscele

STABILIZZAZIONE

GRANULOMETRICA

Miscele granulari

STABILIZZAZIONE

CHIMICA

Miscelazione

con cemento

Miscelazione

con calce

STABILIZZAZIONE

ELETTROCHIMICA

STABILIZZAZIONE

FISICA

Miscelazione

con fibre

STABILIZZAZIONE

TERMICA

Microrganismi

Azioni su

Fattore modificabile

PROCESSO

Applicazione

Legenda

PROCESSO

Applicazione

Legenda

Compattazione

con impulsi elettrici

TRATTAMENTI DI RINFORZO

COSTITUZIONE

CON INCLUSIONI PER CONFINAMENTO

Terra rinforzata

MEGASTRUTTURA

Reagenti

a trazione

Non reagenti

a trazione

Chiodature

Bulloni

Pali radice

e micropali

Colonne granulari

Trattamenti

colonnari

Jet grouting

Gabbioni

Muri reticolari

compositi

Azioni su

Fattore modificabile

RINFORZO

Applicazione

Legenda

TRATTAMENTI DI RINFORZO

COSTITUZIONE

CON INCLUSIONI PER CONFINAMENTO

Terra rinforzata

MEGASTRUTTURA

Reagenti

a trazione

Non reagenti

a trazione

Chiodature

Bulloni

Pali radice

e micropali

Colonne granulari

Trattamenti

colonnari

Jet grouting

Gabbioni

Muri reticolari

compositi

Azioni su

Fattore modificabile

RINFORZO

Applicazione

Legenda

RINFORZO

Applicazione

Legenda

Figura 1.1 - Classificazione delle tecniche di consolidamento dei terreni e delle rocce (Flora e Lirer, 2011).

Certamente da segnalare sono anche quegli interventi di consolidamento che prevedono l’iniezione

di miscele che non penetrino all’interno dei pori del terreno, ma generino in profondità volumi da

esso isolati capaci, per la pressione di iniezione utilizzata, di esercitare una sollecitazione sul terreno

circostante (iniezioni compattanti). L’effetto di questa sollecitazione può essere l’addensamento

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locale del terreno circostante (compaction grouting) o l’innalzamento del piano campagna

(compensation grouting) (Fig. 1.2b). Quest’ultima applicazione, solitamente usata per terreni a

grana fine o medio fine e quindi applicata in condizioni non drenate, si sta sempre più diffondendo

congiuntamente alla realizzazione di gallerie superficiali in area urbana, per ridurne l’impatto sulle

costruzioni in superficie.

edificio

scavo

piano campagna

volume trattato

cedimento dovuti

allo scavo cedimento dopo

il trattamento

edificio

scavo

piano campagna

volume trattato

cedimento dovuti

allo scavo cedimento dopo

il trattamento

Figura 1.2 – a) Schema di applicazione del vacuum preloading; b) Schema di funzionamento del

compensation grouting associato allo scavo di gallerie superficiali.

Le tecniche di miglioramento che agiscono sulla costituzione del terreno, invece, modificano la

composizione o lo stato del fluido interstiziale, oppure le caratteristiche e la composizione dello

scheletro solido, attraverso processi di varia natura. Tra le tecniche che agiscono sul fluido

interstiziale si annoverano le iniezioni per permeazione. Esse non sono oramai considerate

innovative dal punto di vista del principio di funzionamento (Mitchell, 1981), ma lo sono per

quanto riguarda i materiali impiegati, in continua e rapida evoluzione, e per i processi da essi

attivati per il consolidamento.

Una variante che merita però una pur breve menzione in questa sede è la “permeazione con

microrganismi”, citata nella classificazione di Fig. 1.1. Tale tecnica consiste nell’iniezione per

permeazione di particolari batteri e di miscele contenenti urea e cloruro di calcio. L’attività

metabolica dei micorganismi fa precipitare cristalli di carbonato di calcio che legano chimicamente

i granelli di terreno, aumentando globalmente la rigidezza e la resistenza al taglio del terreno (van

Paassen et al., 2009). Questa tecnica si è dimostrata molto efficace alla scala del laboratorio e

promettente per le applicazioni in sito: il difetto più grave del processo, al momento, consiste nella

necessità di estrarre dal terreno il cloruro di ammonio, che è un sottoprodotto inquinante del

processo chimico prima descritto.

Tra le tecniche di miglioramento che invece agiscono sulla costituzione dello scheletro solido sono

incluse tutte quelle utilizzate per la stabilizzazione tramite rimaneggiamento di terreni superficiali o

posti a rilevato. La più innovativa di queste tecniche è senza dubbio quella classificata in Fig. 1.1

come “miscelazione con fibre”: si tratta di una tecnica di consolidamento che consiste nella

miscelazione del terreno con fibre sintetiche di piccole dimensioni (con lunghezza massima di

alcuni centimetri). L’interesse di questa tecnica risiede nel fatto che le fibre possono essere ottenute

da prodotti industriali riciclati non inquinanti. Dai numerosi studi di laboratorio condotti sui terreni

fibro-rinforzati (Zornberg 2002; Michalowski e Cermàk, 2003; Sadek et al., 2012; Lirer et al. 2011,

(a) (b)

4

Lirer et al. 2012), emerge che in linea generale l’inserimento delle fibre tende ad aumentare la

resistenza e la duttilità del terreno naturale.

Figura 1.3 - Sabbia rinforzata con fibre di polipropilene (da Lirer et al., 2011).

Le fibre impiegate in questa tecnica di consolidamento possono essere realizzate in polipropilene,

polietilene, nylon o poliestere, più raramente in acciaio. Esse possono avere varie forme (fibre piatte

o cilindriche) e diverse procedure di produzione (monofilamento o plurifilamento).

Un terreno fibro-rinforzato è un materiale composito con un comportamento macroscopico che

dipende dalle proprietà (intrinseche e di stato) del terreno originario e da quelle delle fibre

(caratteristiche geometriche e meccaniche). Siccome l’effetto consolidante delle fibre è legato alla

capacità dei granelli di serrarle e non farle sfilare, tra le proprietà intrinseche del terreno deve

ovviamente essere considerata anche la distribuzione granulometrica, in quanto rappresentativa

della capacità di sviluppare contatti granelli-fibre Lirer et al. (2011).

1.2 Tecniche di rinforzo dei terreni

Gli interventi di rinforzo del terreno sono caratterizzati dalla presenza di elementi ben distinti dalla

massa di terreno. Tali elementi possono essere di tipo strutturale (chiodi, bulloni, pali, micropali,

geotessili) o realizzati con aggiunta di materiali di varia natura (terreni granulari, geotessili, miscele

cementizie).

Sotto la voce “trattamenti colonnari” si includono tutte le tecniche di miscelazione profonda per

mescolamento meccanico del terreno con miscele cementizie, solitamente identificate con il termine

deep mixing oppure con gli acronimi DMM (Deep Mixing Method) o DCM (Deep Cement Mixing)

ma che commercialmente assumono nomi diversi in funzione dei brevetti. Il volume di terreno

trattato con deep mixing ha forma cilindrica (Fig. 1.4), se si adotta la classica attrezzatura di scavo e

iniezione della miscela ad elica (continua o discontinua), oppure una forma parallelepipeda a

pannelli se si adotta una coppia di ruote fresanti.

Una tecnica di rinforzo sulla quale si è concentrata molto l’attenzione dei ricercatori nel recente

passato è quella delle colonne granulari, che possono essere di vario tipo sia per la tecnica di

installazione sia per il materiale utilizzato. Questa tecnica consiste nella realizzazione di colonne di

materiale granulare di buone proprietà meccaniche aventi la doppia funzione di fondazione

profonda e di drenaggio.

Per la loro costituzione, queste colonne sono meno efficaci dei tradizionali pali di fondazione, ma

più rapide ed economiche da realizzare. Le versioni più note sono le cosiddette Stone Columns (Fig.

1.4b) se realizzate solo con materiale grossolano, e le colonne con una camicia di geotessile

circostante (Encased Stone Columns, Geotextile Confined Columns GCC). La camicia di geotessile

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svolge una benefica azione cerchiante, aumentando notevolmente la capacità portante delle colonne

granulari.

Due tecniche di rinforzo ben note sono il jet grouting e la chiodatura dei terreni (soil nailing), di cui

si parlerà diffusamente nel seguito.

Figura 1.4 - a) Schema di esecuzione di trattamenti colonnari cilindrici (deep mixing); b) Schema di

formazione di una colonna granulare (stone column).

2 JET GROUTING

2.1 Procedimento esecutivo e meccanismo di funzionamento

Il trattamento dei terreni mediante jet grouting avviene con l’iniezione ad alta velocità di una o più

miscele fluide che rimaneggiano e cementano il terreno in sede. Nella sua applicazione tradizionale,

con questa tecnica si realizzano volumi di terreno trattato approssimativamente cilindrici. Il jet

grouting ha avuto uno sviluppo vorticoso negli ultimi decenni, ed è senza dubbio la tecnica di

consolidamento più nota e diffusa nella pratica professionale nazionale, sia per la sua versatilità sia

per il contributo che le aziende italiane hanno fornito al suo sviluppo. Si tratta di una tecnica di

consolidamento particolarmente flessibile e adattabile a diversi impieghi anche per la possibilità di

eseguire colonne con qualsiasi inclinazione.

Nella sua versione classica, il trattamento si articola in due fasi successive di perforazione e di

iniezione dei fluidi in risalita (Fig. 2.1). La risalita può essere continua o, più frequentemente, a

gradini di altezza predeterminata.

Il processo di formazione della colonna produce un refluo, denominato spurgo, costituito dal fluido

in eccesso e da una aliquota di terreno rimaneggiato, che risale in superficie attraverso

l’intercapedine tra aste e foro. Sebbene rappresenti uno spreco e comporti anche un costo

aggiuntivo per la sua gestione in cantiere, lo spurgo è assolutamente indispensabile come indicatore

del buon funzionamento del processo. La tecnica è infatti efficace se l’intercapedine tra aste e

terreno è libera, e il getto è libero di fuoriuscire dallo strumento di perforazione e iniezione

(monitor) ad alta velocità. La fuoriuscita dello spurgo a boccaforo è l’unica garanzia che ciò

avvenga.

I procedimenti attualmente in uso, denominati in modo diverso dalle varie imprese esecutrici,

possono essere classificati in tre categorie generali: monofluido, bifluido e trifluido.

Il sistema monofluido è il più semplice, è stato il primo ad essere sviluppato ed è ancora largamente

in uso. Con questo sistema si effettua una perforazione di piccolo diametro (fino a 150 mm) con

circolazione di acqua oppure – qualora sia necessario sostenere le pareti del foro – di fango

(a) (b)

6

bentonitico o miscela cementizia. Nella fase di trattamento, dagli ugelli laterali si inietta un unico

fluido (miscela acqua-cemento con eventuali additivi) che assolve alle funzioni di

rimaneggiamento, permeazione e cementazione del terreno.

Figura 2.1 – a) Schema del trattamento con jet grouting, b) Schema del monitor nei tre sistemi: a) monofluido,

b) bifluido, c) trifluido. (da AGI, 2011).

Nel sistema bifluido, durante la fase di trattamento in risalita l’insieme degli ugelli permette

l’iniezione contemporanea di miscela cementizia ed aria compressa . In particolare, l’aria compressa

viene espulsa attraverso un ugello a forma di corona circolare, coassiale a quello preposto

all’iniezione della miscela cementizia, in modo che il getto di miscela risulti circondato da un

“anello” di aria compressa che limita la dispersione del getto stesso, incrementandone l’efficienza

idrodinamica e quindi il raggio d’azione.

Nel sistema trifluido, infine, il trattamento avviene separando le funzioni di disgregazione del

terreno in sede (affidata ad un getto di acqua circondato da aria che fuoriesce dall’ugello superiore,

da quella di cementazione, svolta dalla miscela cementizia iniettata dall’ugello inferiore.

Le attrezzature e il procedimento descritti non sono gli unici possibili, e ad oggi si contano

numerose modifiche sia alle une che agli altri, con la messa a punto anche di tecniche ibride quali

ad esempio l’uso degli ugelli per jet grouting su attrezzatura per il deep mixing (Shibazaki, 2002).

Recentemente in Giappone è stata sviluppato un monitor per jet grouting bifluido (Yoshida et al.,

1996), ancora poco diffuso in Italia, che ha una conformazione dei condotti interna tale da evitare

brusche curve, al fine di ridurre al minimo la turbolenza dei fluidi e quindi le perdite di carico

localizzate all’ugello. Questa modifica ha notevole efficacia e rende il sistema più efficiente della

versione tradizionale. Commercialmente questa tecnica è nota come Super Jet o come Super Jet

Midi: con essa si possono ottenere colonne con diametri veramente elevati (fino a 5 m), molto

maggiori di quelli che si possono realizzare con le tecniche tradizionali.

L’efficacia del jet grouting dipende dalla capacità erosiva del getto, che è funzione soprattutto della

sua energia idrodinamica. La presenza di un velo d’aria in pressione riduce sensibilmente

l’interazione tra il fluido iniettato e quello di intercapedine, migliorando l’efficienza del sistema, e

(a) (b)

7

quindi le tecniche bifluido e trifluido sono più efficaci. Come suggerito da Flora e Lirer (2011),

l’energia specifica (energia per unità di lunghezza, espressa in MJ/m) sono può essere scritta come:

energia specifica all’impianto Es,i (imposta dall’operatore):

ri,s

v

QpE

(2.1)

energia specifica agli ugelli Es,u :

r

2u

2u

u,sv

vQ

L2

vmE

(2.2)

dove: p = pressione del fluido; Q = portata del fluido; vr = velocità media di risalita delle aste; m

= massa del fluido; vu = velocità di uscita del getto; = densità del fluido.

Siccome la quantificazione dell’energia riguarda il fluido che rimaneggia il terreno, la portata Q, la

pressione p e la velocità di uscita del getto vu sono relativi alla miscela cementizia nel caso di

tecnica monofluido o bifluido, all’acqua nel caso di tecnica trifluido. Le espressioni (2.1) e (2.2)

dovrebbero essere utilizzate per programmare le attività di cantiere in fase di sperimentazione

(campi prova), scegliendo combinazioni di parametri di iniezione tali da fornire al terreno l’energia

sufficiente ad ottenere il diametro desiderato. Tra le due espressioni dell’energia esiste la relazione:

p,su,s EE (2.3)

con <1. Per un impianto ben concepito, la somma delle perdite distribuite e concentrate è al più

dell’ordine di grandezza del 10% dell’energia alla pompa, per cui 0.9.

A parità di energia di trattamento, l’efficacia è tanto maggiore quanto minore è la resistenza al

rimaneggiamento dei terreni. In generale, i terreni sabbiosi non cementati sono i materiali più idonei

ad essere trattati, con un esito che dipende ovviamente anche dal loro stato di addensamento.

La scelta dei parametri di trattamento con jet grouting avviene assegnando valori prestabiliti alle

variabili controllate dall’operatore, che possono essere distinte in tre categorie: variabili

geometriche del sistema meccanico, variabili relative al movimento delle aste, e variabili relative

alle miscele di iniezione. In Tab. 2.1 sono riportati gli intervalli di riferimento tipici per le variabili

più significative, ricavati dalla pratica consolidata (AGI, 2012). L’evoluzione tecnologica nel

settore è però molto rapida, per cui è lecito attendersi scostamenti dai valori orientativi indicati

riportati in tabella.

2.2 Diametro medio delle colonne di jet grouting

Esistono in letteratura numerose indicazioni che suggeriscono valori orientativi del diametro medio

D delle colonne per le diverse tecniche e per i diversi terreni (ad esempio: Croce et al., 2004,

Modoni et al., 2006, Tornaghi e Pettinaroli, 2004, AGI, 2012). Nella stragrande maggioranza dei

casi queste indicazioni fanno riferimento alla tipologia di trattamento (monofluido, bifluido o

8

trifluido) e alle proprietà del terreno, espresse in modo qualitativo attraverso una descrizione

granulometrica oppure con riferimento ai risultati di prove in sito (tipicamente, SPT o CPT).

Tabella 2.1 - Valori tipici dei parametri di trattamento (modificata da AGI, 2012).

Parametri di Trattamento Unità di Misura Sistema

mono bi tri

Passo di sollevamento, s 10-3

m 40 50 40 80 40100

Velocità media di risalita, vr 10-3

m/s 4 10 18 0.55

Velocità di rotazione, ω Giri al minuto 5 40 330 140

Diametro ugelli, d 10-3

m 2 8.0 2 8 2 8

Numero ugelli, M - 1 2 1 2 1 2

Pressione miscela cementizia*, pm MPa 30 55 20 40 2 10

Pressione aria*, pa MPa - 0.5 2.0 0.5 2.0

Pressione acqua*, pw MPa - - 2055

Portata miscela cementizia , Qm 10-3

m3/s 2 10 2 10 2.0 5

Portata aria, Qa 10-3

m3/s - 200300 200300

Portata acqua, Qw 10-3

m3/s - - 0.5 2.5

Rapporto ponderale acqua/cemento, w/c - 0.601.3 0.601.3 0.40 1.0

* I valori di pressione sono quelli misurati alla perforatrice.

Sulla base dell’esperienza italiana, si può fare riferimento per una prima stima di larga massima alle

indicazioni orientative riportate in Tab. 2.4 (AGI, 2012), che indicano i massimi valori ottenibili

con un trattamento ben progettato in diverse tipologie di terreni. La tabella mette anche in evidenza

che per il sistema con minore energia (monofluido) il trattamento dà luogo a colonne di

piccolissime dimensioni nei terreni a grana fine, ed è quindi certamente sconsigliato per argille da

mediamente consistenti a consistenti. Queste indicazioni sono basate su un gran numero di

esperienze, ma sono necessariamente qualitative. È però oramai possibile anche effettuare stime più

accurate, sulla base di metodi analitici: l’esempio più recente è fornito da Flora et al. (2012) che,

considerando in modo quantitativo e razionale sia la resistenza al taglio del terreno sia l’energia del

getto ad una certa distanza dall’ugello, e tenendo conto anche della possibile presenza del velo

d’aria tipico delle tecniche bifluido e trifluido, suggeriscono relazioni analitiche che consentono una

previsione abbastanza accurata dell’esito del trattamento in termini di diametro medio della

colonna.

2.3 Variabilità delle proprietà geometriche e meccaniche delle colonne consolidate

Le colonne di jet grouting non sono solidi cilindrici perfetti con asse perfettamente posizionato.

Croce et al. (2004) suggeriscono di distinguere tra variabilità dell’esito legate a errori sistematici

(ad es., effetto sul diametro dell’aumento della resistenza al taglio con la profondità, oppure effetto

9

sulla direzione dell’inclinazione del peso proprio delle aste per perforazioni orizzontali), e

variabilità di tipo aleatorio.

Tabella 2.2 - Massimo diametro delle colonne consolidate (valori orientativi) (AGI, 2012).

SISTEMA

Diametro delle colonne (m)

Argille da

mediamente

consistenti a

consistenti

Limi e argille

poco consistenti

sabbia

limosa sabbia ghiaia

Monofluido S 0.6 1.0 1.2 1.2

Bifluido 1.0 1.3 2.0 2.5 2.5

Trifluido 1.5 1.8 2.5 3.0 3.0

Legenda: S = sconsigliato.

Per le variabilità di tipo aleatorio, si può fare ricorso alla teoria della probabilità e definire la

variabile con una legge di distribuzione di probabilità. In questo modo, i possibili difetti di

trattamento (diametro e posizione) possono essere considerati attraverso il ricorso a metodi di

progetto probabilistici o semiprobabilistici.

Sulla base di informazioni sperimentali, recentemente sono anche state suggerite alcune

distribuzioni di riferimento (Croce et al. 2004, Flora et al. 2007, Flora et al. 2012, AGI 2012). Le

caratteristiche meccaniche del materiale consolidato sono fortemente influenzate dalle

caratteristiche del terreno trattato e dalle proprietà della miscela iniettata, sia in termini di rapporto

acqua/cemento w/c, sia in termini di eventuali additivi presenti (ad esempio, bentonite). Il contenuto

di acqua della miscela di iniezione influenza sia i valori della resistenza del materiale consolidato,

sia il tempo di maturazione. Sono possibili riduzioni della resistenza a compressione fino al 50%

passando da rapporti acqua-cemento pari a 0.67 a rapporti pari a 1.

A causa dell’accertata e prevedibile variabilità dei risultati di prove meccaniche di laboratorio

eseguite su provini di piccole dimensioni, si pone il problema della caratterizzazione complessiva

del volume trattato. A tale proposito si osserva innanzitutto che il materiale consolidato è di solito

caratterizzato meccanicamente in laboratorio attraverso prove di compressione uniassiale, sebbene

in alcuni casi si siano effettuate caratterizzazioni con prove triassiali (ad esempio Croce e Flora,

1998). Anche per la resistenza, si può tenere conto della variabilità dei risultati attraverso una

distribuzione statistica della resistenza (tipicamente rappresentata dalla resistenza a compressione

semplice c). I risultati indicano sistematicamente che la distribuzione che meglio interpreta i

risultati è di tipo log-normale (Croce et al., 2004, AGI, 2012), e tale sarà quindi anche quella

dell’intera sezione.

La rigidezza del terreno consolidato è solitamente molto più elevata di quella dei terreni circostanti

non trattati. I pochi dati di letteratura disponibili (ad esempio Croce e Flora, 1998, Katzenbach et

al., 2001, Croce et al., 2004) mostrano che i valori del modulo di rigidezza E sono affetti da

un’elevata variabilità e che le distribuzioni di frequenza assumono una forma molto simile a quella

della resistenza a compressione uniassiale. Ai fini pratici è possibile correlare il modulo E alla

resistenza a compressione c con legami di tipo lineare del tipo E=kc, con k solitamente compreso

nell’intervallo 200-700.

10

3. INIEZIONI PER PERMEAZIONE

3.1 Procedimento esecutivo e miscele

Il consolidamento per permeazione consiste nell’iniezione nel sottosuolo di una miscela che ha la

funzione di modificarne le caratteristiche fisiche e meccaniche, con un aumento di resistenza e

rigidezza ed una diminuzione della permeabilità. Nelle tradizionali applicazioni geotecniche, se

riferito a terreni e non a rocce, questo trattamento viene in genere eseguito con bassa pressione di

iniezione, intendendo con ciò che la pressione di iniezione deve essere tale da fornire i necessari

gradienti idraulici alla miscela consolidante che penetra nei pori del terreno senza però modificarne

la struttura originale, o facendolo in misura ridotta. Questa tecnica di consolidamento ben si presta

all’uso in ambiente urbano perché il cantiere è poco ingombrante e le perforazioni sono di piccolo

diametro, perché il trattamento può essere effettuato in modo graduale ed eventualmente con

iniezioni ripetute, e inoltre perché l’impiego di basse pressioni di iniezione offre garanzie rispetto

alla vicinanza di opere esistenti. Unica eccezione a quest’ultimo vantaggio è il caso del trattamento

di terreni non saturi collassabili (ad esempio, la pozzolana fuori falda) in cui l’aumento del grado di

saturazione nel transitorio del trattamento potrebbe dar luogo ad una complessiva riduzione di

volume del terreno e quindi ad un disturbo per le opere circostanti.

Il limite maggiore di questa tecnica è relativo all’incertezza dell’esito del trattamento, sia in termini

di estensione (raggio medio della colonna) sia in termini di proprietà meccaniche del mezzo trattato.

Le applicazioni devono tenere conto di questi limiti e quindi, con riferimento ai terreni, questa

tecnica di consolidamento non è ideale nei casi in cui siano necessarie, per il successo prestazionale,

la continuità e l’omogeneità.

Le iniezioni di miscele consolidanti possono essere effettuate iniettando nel terreno direttamente le

miscele preparate in appositi contenitori in cantiere mescolando i vari elementi (tecnica denominata

one shot), oppure con una doppia iniezione (denominata two shots) in cui le miscele vengono

iniettate separatamente nel terreno attraverso più condotti per cui il mescolamento fra i vari

costituenti e la loro interazione chimica avvengono direttamente nel terreno. L’iniezione viene

eseguita generalmente isolando tratti successivi della perforazione (attraverso tubi a manchette).

Tradizionalmente le miscele impiegate in questa tecnica di consolidamento vengono distinte in:

sospensioni, nella quali una fase solida è dispersa uniformemente in una liquida; un esempio di

sospensione molto utilizzata nel settore del consolidamento dei terreni, è rappresentato da

preparati a base di micro cementi (in cui un cemento idraulico è utilizzato come elemento legante

principale), calcite opportunamente stabilizzata etc.;

soluzioni (in letteratura definite sinteticamente chemical grouts), sono rappresentate da miscele

omogenee costituite da due o più componenti dove il componente presente in maggiore quantità

viene definito solvente, quello a minore quantità soluto. Fanno parte di questa classe i silicati di

sodio e le resine, composti che prima di essere iniettati sono soluzioni liquide di bassa o

bassissima viscosità dinamica iniziale m;

emulsioni, dove una fase (liquida, gassosa o solida nanometrica) è omogeneamente dispersa in

un’altra fase liquida in essa non miscibile (ad esempio, emulsioni bituminose, miscele organiche

a base di lattici, miscele inorganiche quali la silice colloidale).

11

Il principale meccanismo di consolidamento si esplica attraverso la formazione di precipitati

insolubili all’interno dei pori del terreno da trattare. L’azione consolidante si esplica attraverso la

formazione di un gel (di silice, per esempio) e la sua successiva trasformazione in un materiale

vetroso (per i silicati, un polimero silicatico). Il gel ingloba, totalmente o parzialmente, i granuli di

terreno all’interno di un reticolo continuo che, attraverso un complesso processo di evaporazione

dell’acqua, si trasforma in un materiale vetroso indurito. L’effetto consolidante si ottiene quindi per

il diretto contributo fisico di tale reticolo, senza alcuna interazione chimica col terreno.

Lo sviluppo tecnologico nel settore delle miscele è abbastanza vivace, e quasi sempre legato a

brevetti. La ricerca riguarda da un lato la capacità delle miscele di penetrare nel terreno

(iniettabilità), dall’altra l’adozione di componenti che non siano chimicamente inquinanti, ed

interessa soprattutto le sospensioni e le emulsioni.

Per quanto riguarda le emulsioni, ad esempio, i prodotti più innovativi sono quelli a base di silice

colloidale, commercialmente noti come miscele di nano silice colloidale. Nelle miscele cementizie,

invece, lo sviluppo riguarda soprattutto la ricerca di una distribuzione granulometrica sempre più

fine delle particelle in sospensione. È oramai prassi ricorrere ai microcementi, con diametro medio

delle particelle dell’ordine di pochi m, con l’impiego di additivi anti flocculanti e anti

sedimentazione sempre più raffinati.

In via generale, le principali proprietà da definire nelle miscele sono:

composizione: indica gli elementi che compongono la miscela e le loro singole proprietà;

stabilità: essenzialmente riferita alle miscele cementizie (ma anche alle emulsioni), indica la

capacità della miscela di non dare origine a fenomeni di sedimentazione o separazione tra le fasi

prima che il trattamento sia ultimato.

proprietà reologiche: riguardano la viscosità, la coesione o rigidità iniziale c e l’attrito interno

della miscela .

tempo di gelificazione o di presa (detto anche setting time): è il tempo necessario affinché la

miscela subisca un significativo incremento di viscosità che ne rende nulla la lavorabilità (e

l’iniettabilità). Tale tempo può assumere valori molto diversi, variabili da qualche minuto

(miscele chimiche) a molte ore (miscele cementizie)..

In linea generale, il terreno trattato è più resistente e rigido di quello naturale, con un

comportamento meccanico paragonabile a quello delle rocce tenere. Le indicazioni di letteratura

sono molto abbondanti su questo argomento (ad es. Warner, 2004, Lirer et al. 2006). Il trattamento

con miscele cementizie conferisce incrementi di resistenza molto maggiori di quanto si ottiene con

il trattamento con le soluzioni chimiche. Solitamente queste ultime non consentono di ottenere

valori di c superiori ai 2-3 MPa, mentre quelle cementizie forniscono valori che, in funzione del

rapporto acqua/cemento, possono superare anche i 10 MPa .

3.2 Applicabilità

L’analisi rigorosa del processo di iniezione è molto laboriosa perché al processo di filtrazione si

somma l’interazione chimica con le particelle di terreno, la diluizione e la dispersione nell’acqua di

porosità, nonché la possibile sedimentazione di particelle in sospensione, se presenti, così come

mostrato da alcuni lavori molto completi sull’argomento (ad esempio, Bouchelaghem e Vulliet,

12

2001). Ciò spiega almeno parzialmente perché l’applicabilità di questa tecnica venga di solito

stimata con criteri empirici senza un’analisi rigorosa dei fenomeni in atto. Le proprietà solitamente

considerate per valutare tale applicabilità sono la permeabilità o la distribuzione granulometrica del

terreno (in quanto direttamente correlata alla sua permeabilità), la distribuzione granulometrica

degli elementi in sospensione nella miscela e la viscosità della miscela (Fig. 3.1).

D

iam

etro

med

io d

elle

par

tice

lle

del

la m

isce

la (

)

Permeabilità (m/sec)

Diametro dei grani del terreno D10 (mm)

argilla limo sabbia ghiaia

10-11 10-10 10-9 10-8 10-7 10-6 10-5 10-4 10-3 10-2 10-1

0.001 0.002 0.006 0.01 0.02 0.06 0.1 0.2 0.6 0.1 0.2

1

10

100

1000

Jet Grouting

Iniezioni a bassa pressi

one

Cemento

Silicati/emulsioniResine

nano-cementi

nano-silicatiDia

met

ro m

edio

del

le

par

tice

lle

del

la m

isce

la (

)

Permeabilità (m/sec)

Diametro dei grani del terreno D10 (mm)

argilla limo sabbia ghiaia

10-11 10-10 10-9 10-8 10-7 10-6 10-5 10-4 10-3 10-2 10-1

0.001 0.002 0.006 0.01 0.02 0.06 0.1 0.2 0.6 0.1 0.2

1

10

100

1000

Jet Grouting

Iniezioni a bassa pressi

one

Cemento

Silicati/emulsioniResine

nano-cementi

nano-silicati

Figura 3.1 - Iniettabilità dei terreni in funzione delle proprietà di miscela e terreno (Flora e Lirer, 2011).

Nel caso delle miscele cementizie (e in genere delle sospensioni), la penetrabilità è ovviamente

legata anche al rapporto tra le dimensioni delle particelle solide presenti nella miscela e le

dimensioni dei pori del terreno attraverso i quali essa deve permeare. Le indicazioni più classiche e

universalmente accettate sono quelle di Mitchell (1981), che suggerisce di valutare l’iniettabilità di

una sospensione attraverso due parametri significativi (N e Nc) legati al rapporto fra diametri

rappresentativi della distribuzione granulometrica del terreno (D) e delle particelle in sospensione

(d):

85

15

d

DN (3.1.a)

95

10c

d

DN (3.1.b)

Con i pedici aventi l’usuale significato di percentuali di passante in peso. Secondo Mitchell

l’iniezione di sospensioni è possibile solo per N>24 e Nc>11, impossibile per N<11 e Nc<6.

Il parametro di maggiore interesse per l’analisi del processo di filtrazione è il coefficiente di

permeabilità del terreno alla miscela km definito come:

m

m0m kk

(3.2)

in cui m e m sono rispettivamente il peso specifico e la viscosità dinamica della miscela, e k0 è la

permeabilità assoluta o intrinseca del terreno (indipendente dalla natura della miscela). La grande

variabilità di m per le diverse miscele (Tab. 3.1) fa sì che uno stesso terreno, per un assegnato

13

valore della permeabilità, possa avere coefficienti di permeabilità alla miscela molto diversi, e che

comunque si riducono al trascorrere del tempo di iniezione.

Tabella 3.1 - Tipici valori di m per alcune miscele (modificata da Lirer et al. 2004).

Miscela Viscosità iniziale m (mPa s)

silicatica 2-100

di silice colloidale 5-50

cementizia 5-200

aminoplastica 6-30

acrilamide 2-8

lignine 2-8

poliuretanica 20-150

Il coefficiente di permeabilità, quindi, non è una proprietà del solo terreno ma dipende dalle

caratteristiche del fluido. Siccome la determinazione sperimentale della permeabilità intrinseca non

è un’operazione di routine, la (3.2) viene anche espressa come:

t

ktkm

m

w

wwm

(3.3)

in cui il pedice w indica le proprietà relative all’acqua, ben note (w=1 mPas, denominato anche

centiPoise e indicato con la sigla cP), per cui il problema si riconduce a quello più classico di

conoscere il coefficiente di permeabilità all’acqua kw e di selezionare una miscela che abbia m e

m(t) adeguati alle esigenze del caso. In linea di principio, quindi, i limiti di applicabilità indicati in

letteratura possono essere sorpassati riducendo la viscosità iniziale della miscela e rallentandone il

processo di gelificazione, sempre che i tempi di iniezione siano ingegneristicamente ragionevoli.

3.3 Progetto dell’intervento

Nonostante le notevoli incertezze dell’estensione di questo tipo di consolidamento, in sede di

progetto si deve stabilire un raggio di trattamento di prima approssimazione. Per fare ciò bisogna

considerare il comportamento reologico della miscela ed adottare un modello per la previsione del

suo avanzamento all’interno del terreno. Per quanto riguarda il primo aspetto si deve innanzitutto

selezionare il tipo di miscela che si intende adottare (per compatibilità con il terreno in termini di

iniettabilità), e si devono poi stimare la sua viscosità dinamica iniziale e la sua evoluzione nel

tempo. In particolare, la composizione della miscela deve soddisfare due requisiti antitetici: da un

lato essa deve garantire che la viscosità non si modifichi significativamente nell’intervallo

necessario al trattamento, e quindi che la miscela abbia tempi di presa o gelificazione superiori al

tempo di iniezione; dall’altro, deve evitare che dopo il termine dell’iniezione la miscela permanga

allo stato fluido troppo a lungo, con negative conseguenze in termine di dispersione idrodinamica e

diluizione, e quindi di efficacia dell’intervento.

Per quanto riguarda la stima dell’estensione del trattamento, in linea di principio sono disponibili

metodi analitici molto completi, che considerano contemporaneamente il trasporto convettivo e la

14

diluizione della miscela consolidante all’interno della fase fluida, la sedimentazione di particelle

solide all’interno dei pori durante il moto e il processo di consolidazione del terreno per

l’accoppiamento idraulico-meccanico (ad esempio Bouchelaghem and Vulliet, 2001). Tuttavia

questi modelli sono certamente troppo complessi per essere adottati correntemente nella pratica

professionale. Solitamente, quindi, per simulare il processo di permeazione delle miscele all’interno

di mezzi porosi si usano metodi più semplici, classificabili come metodi geometrici o geometrico-

analitici (Flora e Lirer, 2011).

4. SOIL NAILING

4.1. Meccanismo di funzionamento

Il soil nailing è largamente diffuso in molti paesi, mentre in Italia non è ancora diventato una pratica

corrente. Si tratta di una tecnica di rinforzo usata per il sostegno – permanente o temporaneo - di

scavi e per la stabilizzazione dei pendii che consiste nell’infissione ravvicinata di inclusioni passive

di piccolo diametro (tipicamente compreso tra 20 e 30 mm) a contatto con il terreno per l’intera

lunghezza. Le inclusioni sono in grado di assorbire sollecitazioni di trazione, taglio e flessione e

possono essere metalliche o in altri materiali quali gli FRP (Fiber Reinforce Polymers), che

costituiscono una vasta gamma di materiali compositi.

Il soil-nailing viene realizzato dall’alto verso il basso (top-down, Fig. 4.1) procedura che consiste

nella realizzazione di scavi parziali liberi di altezza compresa tra 1-2 metri (altezza che deve

comunque essere inferiore all’altezza critica di scavo del terreno in sito), seguiti dalla messa in

opera dei chiodi e dal ricoprimento dello scavo stesso con un rivestimento leggero; la procedura

viene iterata fino al raggiungimento della profondità di scavo predefinita.

La tecnica del soil-nailing è applicabile a diversi tipi di terreni: argille, terreni sabbiosi, rocce

alterate, terreni eterogenei e stratificati, purché tali da consentire scavi non protetti di altezza di 1–2

m, stabili almeno temporaneamente. Ciò è possibile nei casi in cui il terreno sia dotato di coesione o

esista il benefico contributo della suzione dell’acqua di porosità..

Convenzionalmente, i chiodi si distinguono in funzione della tecnica di installazione:

chiodi cementati (grouted soil nails): sono i chiodi più diffusi; hanno solitamente diametro

variabile tra 15 mm e 46 mm e sono inseriti in prefori di 100÷200 mm di diametro. La

cementazione avviene solitamente a pressione atmosferica o comunque bassa. Barre filettate

vengono tipicamente utilizzate per migliorare l’aderenza con il terreno.

chiodi direttamente infissi (driven soil nails): chiodi di piccolo diametro (solitamente tra i 15 mm

e i 35 mm) direttamente infissi nel terreno. Il grande vantaggio di questa tecnica di installazione

è l’assenza di miscele di iniezione e quindi la maggior rapidità, semplicità ed economicità di

installazione. Il grande limite tecnologico dei chiodi infissi, se in acciaio, è legato alla

corrosione, per la quale eventualmente bisogna considerare misure di protezione specifiche.

chiodi auto perforanti (self-drilling soil nails): sono realizzati con barre cave che possono essere

infisse nel terreno e iniettate contemporaneamente: la miscela, che fuoriesce da una testa di

perforazione sacrificale a pressione relativamente bassa, riempie l’intercapedine tra barra e

terreno, assicurando una buona interazione con il terreno.

15

chiodi infissi ad aria compressa (launched soil nails): anche questa tecnica consiste

nell’infissione diretta dei chiodi nel terreno, con la differenza che in questo caso è utilizzato un

dispositivo di lancio ad aria compressa che infila i chiodi nel terreno ad alta velocità. I chiodi

hanno diametro variabile tra 19 mm e 38 mm.

Figura. 4.1 - Schema di realizzazione di una parete rinforzata con soil nailing (da FHWA, 2003).

L’uso di barre in FRP rappresenta una innovazione di grande interesse per il fatto che questi

materiali non sono soggetti a corrosione, sebbene siano molto più deformabili dell’acciaio..

A causa del meccanismo di funzionamento dei chiodi interagenti col terreno per la loro completa

lunghezza, questa tecnica garantisce sforzi normali sul rivestimento molto minori delle opere di

sostegno tradizionali. Il rivestimento, quindi, ha il compito principale di assicurare la stabilità locale

del terreno compreso tra le chiodature e di proteggerlo dall’erosione superficiale e dall’azione degli

agenti atmosferici. Esso può essere realizzato con una rete metallica con cui vengono collegate le

teste di tutti i chiodi, con un ricoprimento di calcestruzzo proiettato con spessore solitamente

compreso tra i 10 e 20 cm.

4.2 Interazione chiodo-terreno

Le condizioni di sollecitazione nei chiodi si modificano durante la realizzazione dello scavo. Nella

generica fase di approfondimento (Fig. 4.2a), le deformazioni indotte nel terreno dalla modifica

16

delle condizioni al contorno generano una modifica dell’interazione tra i chiodi già in opera e il

terreno stesso.

Questa interazione si esplica sotto forma di tensioni tangenziali (molto spesso denominate q

nella bibliografia del settore, e quindi così chiamate nel seguito di questo capitolo) agenti

all’interfaccia tra terreno e rinforzo. In particolare, il movimento verso l’esterno del terreno più

prossimo al fronte di scavo genera all’interfaccia chiodo-terreno tensioni tangenziali che, se

considerate agenti sul chiodo, sono orientate in questa direzione (zona attiva). Siccome questi

movimenti nel terreno si riducono fino ad annullarsi ad una certa distanza dal fronte di scavo,

l’interfaccia della parte di chiodo infissa nel terreno più lontano dal fronte (zona resistente), non

interessata dal movimento, è soggetta a tensioni tangenziali di segno opposto.

Figura 4.2 –a) Evoluzione dello stato tensionale nel generico chiodo con il procedere dello scavo e deformata

qualitativa della parete; b) Schematizzazione del meccanismo di interazione tra chiodo e terreno.

Lungo entrambi i tratti (attivo e resistente), per l’equilibrio alla traslazione nella direzione dell’asse

del chiodo stesso deve essere rispettata la condizione (Fig. 4.2b):

dx)x(qDdT s (4.1)

In cui dT è la variazione della forza di trazione in un tratto di lunghezza dx del chiodo e Ds il

diametro del tratto strutturale interagente (non necessariamente coincidente con il diametro del

chiodo, ad esempio per quelli cementati). In realtà, q(x) è una tensione tangenziale media nel tratto

dx che rappresenta l’integrale delle tensioni tangenziali (non uniformi lungo il perimetro) agenti

lungo la superficie di interfaccia.

Lo sforzo di trazione agente nella barra è quindi variabile lungo il suo asse, e alla generica ascissa x

vale:

dx)x(qDxTx

0

(4.2)

(a) (b)

17

Per quanto detto, T(x) ha l’andamento qualitativamente illustrato nelle Figg. 4.2: cresce dal

paramento verso l’interno del terreno, per raggiungere un massimo e poi decrescere. Spesso si

ipotizza che i massimi avvengano in corrispondenza della separazione tra zona attiva e resistente. In

genere, l’inviluppo dei massimi valori della sollecitazione di trazione interseca il piano campagna

ad una distanza dal paramento compresa tra 0.3H e 0.4H (con H altezza di scavo corrente) (Fig.

4.3a).

La stabilità dello scavo è garantita se un numero sufficiente di chiodi è in grado di esplicare il suo

ruolo di rinforzo senza raggiungere la resistenza allo sfilamento (o al pull-out) disponibile, senza

che il chiodo o la sua connessione al rivestimento si plasticizzi (per una qualsiasi combinazione di

trazione, taglio e flessione) e senza che si possa innescare un meccanismo di rottura generale

(scivolamento o carico limite).

Un ruolo determinante sull’interazione tra chiodo e terreno è ovviamente svolto dallo stato

tensionale agente al contatto tra rinforzo e terreno, che come accennato in precedenza è di

complessa valutazione, variabile lungo il perimetro dello stesso e dipendente dalla tecnica di

installazione (Flora e Lirer, 2011).

Figura 4.3 – a) Posizione schematica dei massimi delle sollecitazione di trazione nei chiodi e della superficie

di separazione tra zona attiva e resistente (da FHWA, 2003). b) Andamento qualitativo della forza di trazione

nel chiodo T(x) e tensione tangenziale all’interfaccia q(x) in una prova di sfilamento, e semplificazione di

calcolo con q(x)=costante (da FHWA, 2003).

4.3. Resistenza allo sfilamento (pull out) del chiodo

Ai fini del calcolo della resistenza allo sfilamento, solitamente si ipotizza che la tensione

tangenziale media all’interfaccia q(x) mobilitata nella zona resistente cresca all’aumentare del

carico applicato, implicitamente sottintendendo con ciò l’ipotesi che lo sforzo normale di trazione

nel chiodo vari linearmente lungo l’asse (Fig. 4.3b). In condizioni limite di sfilamento, q(x) attinge

il valore limite qlim dettato dalla resistenza al taglio di interfaccia e la resistenza allo sfilamento Tpo

(a) (b)

18

si calcola come:

limppo qLDT (4.3)

in cui D è il diametro efficace del rinforzo e Lp la sua lunghezza nella parte resistente. Il valore di

qlim può essere misurato in base a prove di sfilamento in sito o in laboratorio, invertendo la (4.3).

Nel caso in cui si debba stimare qlim e il meccanismo di interazione chiodo-terreno è di tipo attritivo,

la resistenza unitaria viene solitamente messa in relazione alla tensione efficace normale media ’m

nel piano verticale parallelo al fronte di scavo (se verticale) e ortogonale al chiodo (se questo è

posto in opera orizzontalmente), che potremo definire per semplicità tensione efficace normale

media di interfaccia (cosa non rigorosa per chiodo posto in opera non orizzontalmente). La

relazione si esprime solitamente come:

mlim 'q (4.4)

dove è un coefficiente d’interfaccia, di incerta valutazione (Flora e Lirer, 2011).

4.4. Criteri di dimensionamento dell’intervento

Come in ogni opera di ingegneria, nel dimensionamento devono essere considerate condizioni

limite ultime e di esercizio. Per le prime, le sole di cui si fa brevemente cenno in questa sede, si

devono considerare le tre seguenti categorie di meccanismi di rottura (Fig. 4.4a): meccanismi

interni, meccanismi esterni e rottura del paramento.

Mentre le verifiche esterne sono concettualmente identiche a quelle da farsi per altre e più

tradizionali opere di sostegno, quelle interne presentano aspetti peculiari che vale la pena di

richamare brevemente. In particolare, con riferimento alla Fig. 4.4b, che riporta una distribuzione

semplificata della forza di trazione lungo il contorno del singolo chiodo, si devono effettuare le

seguenti verifiche:

a) della resistenza strutturale del chiodo (RT);

b) allo sfilamento del chiodo (pull out);

c) della compatibilità della forza di trazione agente localmente sul rivestimento col valore massimo

applicabile RF.

La verifica di maggior interesse geotecnico è la (b) allo sfilamento (pull out), che prevede il calcolo

di un coefficiente di sicurezza definito come:

imax

poi,po

T

TFS

(4.5)

In cui Tpo è la resistenza allo sfilamento (pull out capacity) dell’i-esimo chiodo, e Tmax la

massima forza di trazione in esso agente. Solitamente si considera Tmax agente nel chiodo in

corrispondenza dell’intersezione con la superficie di separazione tra zona attiva e resistente

considerata.

19

Figura 4.4 - a) Possibili meccanismi di rottura in strutture in soil nailing (da FHWA, 2003). b) Distribuzione

semplificata delle forze di trazione nel chiodo (da FHWA, 2003).

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