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La famiglia transnazionale fra diritti di cittadinanza e diritti degli stranieri, in S. Amadeo, F....

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COLLANA DI DIRITTO DELL’IMMIGRAZIONE diretta da Adelina Adinolfi - Stefano Amadeo - Giandonato Caggiano Giuseppe Cataldi - Giovanni Cellamare - Paola Mori - Bruno Nascimbene 3
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Collana di diritto dell’immigrazionediretta da

adelina adinolfi - Stefano amadeo - giandonato Caggianogiuseppe Cataldi - giovanni Cellamare - Paola mori - Bruno nascimbene

3

g. giappichelli editore – torino

le garanzie fondamentali dell’immigrato in euroPa

a cura di

Stefano amadeo e fabio Spitaleri

© Copyright 2015 - g. giaPPiCHelli editore - torino

Via Po 21 - tel.: 011-81.53.111 - faX: 011-81.25.100

http://www.giappichelli.it

iSBn/ean 978-88-921-0049-7

Stampa: Stampatre s.r.l. - torino

le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume/fascicolo di periodico dietro pagamento alla Siae del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941, n. 633.

le fotocopie effettuate per finalità di carattere professionale, economico o commerciale o comunque per uso diverso da quello personale possono essere effettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da Clearedi, Centro licenze e autorizzazioni per le riproduzioni editoriali, Corso di Porta romana 108, 20122 milano, e-mail [email protected] e sito web www.clearedi.org.

Il presente volume è stato stampato grazie al contributo della Fondazione CRTrieste e al contri-buto del MIUR per il Progetto di rilevante interesse nazionale (2010-2011) dal titolo «Principio democratico e governo dell’economia nell’adesione e nella partecipazione all’Unione europea» (responsabile scientifico Prof. Stefano Amadeo, Prot. 2010AALBC4_003).

Il presente volume è stato sottoposto a referaggio.

INDICE

pag.

PREFAZIONE IX LISTA DELLE ABBREVIAZIONI XIII

Profili generali

Adelina Adinolfi, La «politica comune dell’immigrazione» a cinque anni dal Trattato di Lisbona: linee di sviluppo e questioni aperte 3

PARTE I Le garanzie sostanziali

Patrizia De Pasquale, Il trattamento degli «stranieri lungo soggiornanti» fra libera circola-zione e profili economici della parità di trattamento 31 Francesco Munari, Lo status di rifugiato e di richiedente protezione temporanea. La vi-sione europea del «diritto di Ginevra» 47 Paolo Giangaspero, Gli spazi per le politiche regionali in materia di tutela dei diritti so-ciali dei cittadini di Paesi terzi 71 Roberta Nunin, L’integrazione dello straniero: tra partecipazione al Welfare State italiano e diritto all’inclusione nel mercato del lavoro 91

VI Indice

pag.

PARTE II La garanzia degli status e delle relazioni familiari

Sara Tonolo, La famiglia transnazionale fra diritti di cittadinanza e diritti degli stranieri 117 Marco Balboni, Il «diritto al ricongiungimento familiare» dei minori tra tutela del lo-ro superiore interesse e dell’interesse generale in materia di politica migratoria 163

PARTE III Le garanzie procedurali e processuali

Alessandra Lang, Il divieto di refoulement tra CEDU e Carta dei diritti fondamentali del-l’Unione europea 209 Linda Maria Ravo, La giurisprudenza N.S. e altri c. Regno Unito e il problema della solida-rietà fra Stati membri in materia di asilo 245 Fabio Spitaleri, Il rimpatrio dell’immigrato in condizione di soggiorno irregolare: il difficile equilibrio tra efficienza delle procedure e garanzie in favore dello straniero nella disciplina dell’Unione europea 291 Pierpaolo Martucci, La detenzione amministrativa dei migranti irregolari. Una questione europea fra sicurezza, emergenza e continuità 325

Indice VII

pag.

Profili conclusivi

Stefano Amadeo, La funzione dei diritti fondamentali nel diritto dell’immigrazione e dell’asilo dell’Unione europea 343 Bruno Nascimbene, Considerazioni conclusive. Le incertezze delle politiche europee di immigrazione e asilo 395 INDICE DELLA GIURISPRUDENZA 419

VIII Indice

PARTE II

La garanzia degli status e delle relazioni familiari

116 Sara Tonolo

La famiglia transnazionale fra diritti di cittadinanza e diritti degli stranieri 117

Sara Tonolo*

La famiglia transnazionale fra diritti di cittadinanza e diritti degli stranieri

SOMMARIO: 1. Osservazioni introduttive. – 2. La nozione di famiglia nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo. – 3. Segue: e nella giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea. – 4. Rispetto della vita familiare e obblighi degli Stati. – 5. Il trattamento della famiglia migrante: ricongiungimento e continuità degli status fa-miliari. – 6. La progressiva emersione di un principio generale rivolto al riconoscimento degli status familiari e personali quale contenuto implicito dell’art. 8 della CEDU. – 7. La cittadinanza europea quale status fondamentale dei cittadini degli Stati membri e i suoi influssi sulle relazioni familiari. – 8. Osservazioni conclusive. Estensione dei diritti di cittadinanza quale portato della cittadinanza dell’Unione europea. Effettiva corrispon-denza dell’estensione dei diritti di cittadinanza alla garanzia dei diritti fondamentali.

1. La garanzia delle relazioni familiari costituisce l’oggetto di un diritto fondamentale della persona, riconosciuto a prescindere dalla cittadinanza in molti strumenti internazionali sia autonomamente, come ad esempio nell’art. 12 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo

1, nell’art. 8 della Convenzione europea sui diritti dell’uomo e le libertà fondamentali (di se-guito: la CEDU o la Convenzione)

2, nell’art. 23 del Patto sui diritti civili e

* Professore associato di Diritto internazionale, Università di Trieste. 1 Universal Declaration of Human Rights (UDHR), GA Res. 217/A (III), 10.12.1948,

U.N. Doc. A/810 at. 71. 2 La Convenzione per la salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali è stata

adottata in seno al Consiglio d’Europa a Roma il 4 novembre 1950 ed è entrata in vigore il 3 settembre 1953. È stata resa esecutiva in Italia con l. 4 agosto 1955, n. 848. Su di essa si ve-da in generale: J. G. COHEN, La Convention européenne des droits de l’homme, Paris, 1989; M. DELMAS-MARTY, The European Convention for the Protection of Human Rights: Inter-national Protection versus National Restrictions, Dordrecht, 1992; V. STARACE, La Conven-zione europea dei diritti dell’uomo e l’ordinamento italiano, Bari, 1992; F. SUDRE (a cura di), L’interprétation de la Convention européenne des droits de l’homme, Bruxelles, 1998; H. GOLSONG, W. KARL, H. MIEHSLER, L. WILDHABER (a cura di), Internationaler Kommen-tar zur Europäischen Menschenrechtskonvention, Köln, 2004; C. GRABENWARTER, Eu-

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politici 3, nell’art. 10 del Patto sui diritti economici sociali e culturali

4, sia quale aspetto integrativo di altri diritti, come nel quadro della Carta sociale europea, nella quale l’art. 16 prevede che «per realizzare le condizioni di vi-ta, indispensabili al pieno sviluppo della famiglia, cellula fondamentale della società, le Parti s’impegnano a promuovere la tutela economica, giuridica e sociale della vita di famiglia, in particolare per mezzo di prestazioni sociali e familiari, di disposizioni fiscali e d’incentivazione alla costruzione di abita-zioni adattate ai fabbisogni delle famiglie, di aiuto alle coppie di giovani sposi, o di ogni altra misura appropriata»

5. Nell’ordinamento dell’Unione europea, il diritto fondamentale all’unità

familiare è previsto da tre norme della Carta dei diritti fondamentali (di se-guito, la Carta): da un lato, come diritto del singolo nell’art. 7, relativo al ri-spetto della vita privata e familiare ovvero nell’art. 9, sul diritto di sposarsi e di costituire una famiglia; dall’altro, come diritto della formazione sociale costituita dalla famiglia, nell’art. 33 della Carta che, fra i diritti di solidarie-tà, annovera la protezione della vita familiare e la conciliazione di questa con la vita professionale

6.

ropäische Menschenrechtskonvention: ein Studienbuch, München, 2005; F. SUDRE, Droit européen et international des droits de l’homme, Paris, 2005.

3 Res. 2200A (XXI), in United Nations Treaty Series, vol. 999, p. 171 ss., reso esecutivo in Italia con l. 25 ottobre 1977, n. 881.

4 Res. 2200A (XXI), in United Nations Treaty Series, vol. 993, p. 3 ss., reso esecutivo in Italia con l. 25 ottobre 1977, n. 881.

5 La Carta sociale europea riveduta (CSER) è stata elaborata tra il 1990 e il 1994 da un apposito Comitato (Charte-Rel), istituito in seguito alla Conferenza ministeriale informale sui diritti umani tenutasi a Roma il 5 novembre 1990. Il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa nel 1996 ha approvato il testo della CSER, licenziato dal Comitato nel 1994, aprendolo alla firma il 3 maggio dello stesso anno. La revisione della CSE del 1961 è stata attuata per corrispondere all’evoluzione dei diritti sociali ed economici in Europa. Il Proto-collo addizionale del 1988, con l’aggiunta di nuovi diritti, il Protocollo del 1991, e soprattut-to il Protocollo del 1995, che ha introdotto un efficace sistema di reclami collettivi, avevano del resto anticipato l’intento riformatore del Consiglio d’Europa. Il meccanismo di controllo della Carta, oltre che sui reclami collettivi, si basa sui rapporti annuali, che gli Stati con-traenti sottopongono ad un Comitato di 15 esperti indipendenti (Comitato europeo dei diritti sociali – CEDS), eletti dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa. La Carta è stata resa esecutiva dall’Italia con l. 9 febbraio 1999, n. 30.

6 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata da Parlamento europeo, Consiglio e Commissione il 7 dicembre 2000, riformulata e fatta oggetto di richiamo dal-l’art. 6, par. 1, del Trattato sull’Unione europea (TUE) che le conferisce (con effetto dal 1°dicembre 2009) «lo stesso valore giuridico dei Trattati» (vedasi il testo della Carta in G.U.U.E. C 115 del 9 maggio 2008).

La famiglia transnazionale fra diritti di cittadinanza e diritti degli stranieri 119

I diritti fondamentali dei singoli al godimento di una vita familiare sono garantiti innanzitutto nell’ambito degli ordinamenti nazionali per effetto del-le norme di garanzia ivi previste. A livello europeo, nondimeno, si riscon-trano tuttora differenze rilevanti fra Stati membri, sia relativamente alla no-zione di famiglia e alla disciplina dei diritti degli individui che la compon-gono, sia riguardo alle norme di diritto internazionale privato, che indivi-duano la disciplina delle c.d. «relazioni familiari transnazionali» secondo differenti metodi e approcci.

Le difficoltà nel realizzare un quadro normativo organico trovano riflesso sul piano del diritto internazionale convenzionale, ove considerazioni di po-litica legislativa nazionale rappresentano spesso un limite all’unificazione, anche nelle ipotesi in cui quest’ultima sarebbe una soluzione opportuna, se-condo molteplici punti di vista (si pensi alla tardiva ratifica italiana alla con-venzione dell’Aja del 19 ottobre 1996 concernente la competenza, la legge applicabile, il riconoscimento, l’esecuzione e la cooperazione in materia di responsabilità genitoriale e di misure di protezione dei minori, in vigore dal 14 ottobre 2005)

7. Difficoltà analoghe sono ravvisabili altresì nell’ambito del diritto dell’Unione europea, ove le differenze normative esistenti all’in-terno degli Stati membri sono talora ritenute insuperabili anche nei processi di uniformazione posti in essere dall’Unione. Si pensi, a tal riguardo, al c.d. Regolamento Roma III in materia di legge applicabile alla separazione e al divorzio, adottato tramite il ricorso alla cooperazione rafforzata, strumento disciplinato dall’art. 20 TUE e dagli art. 326-334 TFUE

8, che consente ad

7 Gli Stati membri dell’Unione europea l’hanno sottoscritta a seguito della decisione del Consiglio del 19 dicembre 2002. Si veda inoltre la decisione 2008/431/CE del Con-siglio, del 5 giugno 2008, che autorizza alcuni Stati membri a ratificare la convenzione dell’Aja del 1996 sulla competenza, la legge applicabile, il riconoscimento, l’esecuzio-ne e la cooperazione in materia di responsabilità genitoriale e di misure di protezione dei minori, ovvero ad aderirvi, nell’interesse della Comunità europea, e che autorizza alcuni Stati membri a presentare una dichiarazione sull’applicazione delle pertinenti norme interne del diritto comunitario – Convenzione sulla competenza, la legge applica-bile, il riconoscimento, l’esecuzione e la cooperazione in materia di responsabilità geni-toriale e di misure di protezione dei minori. L’Italia l’ha resa esecutiva con L. 18.6.2015, n.101.

8 Regolamento (UE) n. 1259/2010 del Consiglio, del 20 dicembre 2010, relativo all’at-tuazione di una cooperazione rafforzata nel settore della legge applicabile al divorzio e alla separazione personale. Si veda in generale sul punto A. FIORINI, Harmonizing the Law Ap-plicable to Divorce and Legal Separation – Enhanced Cooperation as the Way Forward?, in ICLQ, 2010, p. 1143 ss. Sulle difformità esistenti nei sistemi normativi nazionali in tema di diritto di famiglia, che evidenziano alcune criticità in merito all’impiego della cooperazione rafforzata nel diritto internazionale privato della famiglia, si veda F. POCAR, Brevi note sulle

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un certo numero di Stati membri di approfondire l’integrazione giuridica in una determinata materia, senza impedire che successivamente vi partecipino anche altri Stati, inizialmente estranei a tale procedimento. L’integrazione possibile in tale ambito evidenzia il permanere di molte criticità in un settore del diritto di famiglia, quale quello dello scioglimento del matrimonio, in cui si contrappongono spesso diritti fondamentali degli individui.

La mancanza di omogeneità delle concezioni nazionali relativamente alla regolazione dei rapporti di famiglia e al trattamento dei suoi membri valoriz-za il ruolo correttivo e talora normativo dei diritti fondamentali garantiti dal-la Convenzione europea e dalla Carta.

Sotto il profilo formale i diritti fondamentali, come noto, costituiscono parametro di valutazione (interpretativo e di compatibilità) delle discipline nazionali e degli strumenti derivati del diritto dell’Unione, tanto materiali quanto strumentali (per esempio, di diritto internazionale privato e proces-suale, a maggior ragione se ispirati alla tutela di interessi sostanziali). I dirit-ti fondamentali sono spesso richiamati nei considerando o nelle disposizioni precettive degli atti dell’Unione, in particolare come criterio ispiratore (e dunque parametro) della disciplina di dettaglio demandata agli Stati membri (in particolare in materia di politica d’asilo e d’immigrazione ovvero di di-ritto di famiglia c.d. europeo)

9. Sotto il profilo del contenuto, i diritti fondamentali hanno dato origine ad

importanti filoni giurisprudenziali (nell’ambito del sistema di controllo della CEDU, dell’Unione europea, nonché a livello nazionale). Come si vedrà nel prosieguo, essi hanno inciso, ad esempio, nell’individuazione dei soggetti che beneficiano del rispetto della vita familiare, nell’ambito di una ricostru-zione flessibile e autonoma dei legami di tipo familiare (ex art. 8 CEDU e con ricadute «interpretative» anche nel diritto dell’Unione europea, tanto della Carta quanto derivato: v. paragrafi 2 e 3), nella definizione dello stan-dard minimo di tutela che i membri della famiglia possono pretendere (e dei criteri di bilanciamento con il contrapposto interesse della collettività stata-le: v. paragrafi 4 e 6), nella disciplina del ricongiungimento familiare della famiglia straniera legalmente soggiornante nell’Unione europea (v. paragra-fo 5) o, più generalmente, nel riconoscimento della «mobilità» degli status cooperazioni rafforzate e il diritto internazionale privato europeo, in Riv. dir. int. pr. pr., 2011, p. 297 ss., p. 302.

9 Cfr. in generale l’art. 67, par. 1, TFUE. Sul diritto di famiglia europeo si vedano: R. BARATTA, Réflexions sur la coopération judiciaire civile suite au traité de Lisbonne, in G. VENTURINI, S. BARIATTI (a cura di), Nuovi strumenti del diritto internazionale privato, Liber Fausto Pocar, Milano, 2009, p. 3 ss.; K. BOELE-WOELKI, For Better or for Worse: the Eu-ropeanization of International Divorce Law, in Yearb. Priv. Int. Law, 2010, p. 17 ss.

La famiglia transnazionale fra diritti di cittadinanza e diritti degli stranieri 121

soggettivi che costituiscono presupposto del godimento della vita familiare (paragrafo 6).

Particolare attenzione, nel corso della presente indagine, verrà rivolta a due significative conseguenze dell’interazione fra diritti fondamentali e normative nazionali in materia di famiglia. Sarà esaminato, per un verso, il problema del-l’incidenza del diritto al rispetto della vita familiare sulla circolazione delle sen-tenze straniere che riconoscono o pongono termine a legami familiari, e dunque delle ricadute dell’art. 8 CEDU sull’operatività (o sui limiti all’operatività) delle norme di conflitto nazionali. Sarà esaminato, per altro verso, il problema della tutela del diritto al nome (come componente delle garanzie previste dall’art. 8 CEDU o dall’art. 7 della Carta) nell’ambito della famiglia «migrante» (in parti-colare per motivi non economici), quando la diversità delle regole nazionali sul-la determinazione e la trasmissione del medesimo ai discendenti sia tale da pro-durre serio pregiudizio al diritto di libera circolazione dei suoi membri ai sensi dell’art. 20 e 21 TFUE.

Infine verranno richiamati i «nuovi diritti» che la giurisprudenza della Corte di giustizia ha riconosciuto ai familiari (stranieri) dei cittadini europei stanziali (giurisprudenza Zambrano), nell’ambito della valorizzazione dello status «fondamentale» di cittadinanza europea. A conclusione dell’indagine saranno svolte alcune riflessioni sulle ripercussioni che gli orientamenti giu-risprudenziali della Corte EDU e della Corte di giustizia hanno determinato negli ordinamenti nazionali.

2. Nel quadro delle relazioni familiari transnazionali, assumono un ruolo

fondamentale l’art. 8 e l’art. 12 della Convenzione europea per la salvaguar-dia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. La prima disposizione ha una portata evidentemente più ampia della seconda stabilendo che «ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domi-cilio e della sua corrispondenza». L’art. 12 si limita a prevedere il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia in corrispondenza alle leggi nazionali che regolano l’esercizio di tale diritto.

L’art. 8 rileva, al di là della sua formulazione testuale, soprattutto per l’ampiezza di contenuto attribuita alla nozione di «vita privata e familiare» dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo e della Com-missione (sino all’entrata in vigore, il 1° novembre 1998, del Protocollo n. 11 alla Convenzione di Roma del 1950)

10, nel quadro di una marcata inter-

10 Si veda in generale sul punto V. COUSSIRAT-COUSTERE, Famille et Convention européenne des Droits de l’Homme, in AA.VV., Protection des droits de l’homme: la perspective euro-péenne. Mélanges à la mémoire de Rolv Ryssdal, Köln/Berlin/Bonn/München, 2000, p. 281 ss.

122 Sara Tonolo

pretazione evolutiva 11 secondo la quale detta nozione non è suscettibile di

essere definita in maniera esaustiva 12, in quanto «l’institution de la famille

n’est pas figée, que ce soit sur le plan historique, sociologique ou encore ju-ridique»

13. Suo tratto caratterizzante è, secondo l’interpretazione della Corte europea dei diritti dell’uomo, la circostanza che il rispetto per la vita privata deve comprendere anche il diritto di stabilire e sviluppare relazioni con altri esseri umani.

Sulla base di tali presupposti, la tutela prevista dall’art. 8 della Conven-zione si estende, grazie alla nozione flessibile e inclusiva di vita familiare ivi accolta

14, fino a ricomprendere non solo la famiglia legittima e le situazioni prodottesi all’interno delle convivenze di fatto

15, ma anche la possibilità di

11 Sui caratteri e l’ambito di tale interpretazione, si veda in generale: D. FELDMAN, The developing scope of Article 8 of the European Convention on Human Rights, in Eur. Hum. Rights Law Rev., 1997, p. 265 ss.; F. SUDRE, Les aléas de la notion de “vie privée” dans la jurisprudence de la Cour européenne des droits de l’homme, in AA.VV., Mélanges en hommage à L. E. Pettiti, Bruxelles, 1998, p. 687 ss.; N. K. PREBENSEN, Evolutive Interpreta-tion of the European Convention on Human Rights, in AA.VV., Protection des droits de l’homme: la perspective européenne, cit., p. 1123 ss., p. 1125; C. PITEA, L’interpretazione evolutiva del diritto al rispetto della vita privata e familiare in materia di libertà sessuale e di tutela dell’ambiente, in L. PINESCHI (a cura di), La tutela internazionale dei diritti umani, Milano, 2006, p. 384 ss.

12 Corte EDU 25 marzo 1993, ric. n. 13134/87, Costello-Roberts c. Regno Unito, par. 36. 13 Corte EDU 1 febbraio 2000, ric. n. 34406/97, Mazurek c. Francia, par. 52. 14 P. PILLITU, La tutela della famiglia naturale nella Convenzione europea dei diritti

dell’uomo, in Riv. dir. int., 1989, p. 793 ss.; K. O’ DONNELL, Protection of Family Life: Positi-ve Approaches and the EHCR, in Journ. Soc. Welf. Fam. Law,1995, p. 261 ss.; ID., Parent – Child Relationships within the European Convention, in N. LOWE & G. DOUGLAS (edited by), Families Across Frontiers, The Hague, 1996, p. 135 ss.; R. PISILLO MAZZESCHI, La protezione della famiglia nel quadro degli atti internazionali sui diritti dell’uomo, in Riv. int. dir. uomo, 1995, p. 262 ss.; C. RUSSO, Art. 8, in L.E. PETITTI, E. DECAUX, P.H. IMBERT (sous la direction de), La Convention européenne des droits de l’homme. Commentaire article par article, Paris, 1999, p. 316 ss.; V. ZENO ZENCOVICH, Art. 8, in S. BARTOLE, B. CONFORTI, G. RAIMONDI (a cura di), Commentario alla Convenzione europea per la tutela dei diritti dell’uomo e delle li-bertà fondamentali, Padova, 2001, p. 314 ss.; U. KILKELLY, The right to respect for private and family life, Human Rights Handbook, 1, Strasbourg, 2001, p. 11 ss.

15 Corte EDU 13 giugno 1979, ric. n. 6833/74, Marckx c. Belgio, par. 61; Corte EDU 28 maggio 1985, ric. nn. 9214/80, 9473/81 e 9474/81, Abdulaziz, Cabales e Balkandali c. Re-gno Unito, par. 62: nel caso Abdulaziz si trattava, infatti, della controversia concernente la validità di un matrimonio la cui celebrazione aveva avuto luogo tramite cerimonia nelle Fi-lippine, secondo le norme di tale ordinamento, cerimonia che veniva ritenuta invalida in Re-gno Unito; il fatto che gli sposi si ritenessero validamente coniugati e stessero conducendo una vita familiare effettiva consente alla Corte di superare le argomentazioni del Regno Uni-

La famiglia transnazionale fra diritti di cittadinanza e diritti degli stranieri 123

due soggetti di stabilire e mantenere legami di tipo familiare 16.

In tale contesto, la nozione di famiglia elaborata dalla giurisprudenza del-la Corte di Strasburgo assume dunque una connotazione autonoma in cui ri-leva lo sviluppo della personalità dei partners e dei figli, secondo i principi fondamentali di dignità, libertà, eguaglianza e solidarietà.

Tali aspetti hanno assunto, tuttavia, diversa rilevanza nell’evoluzione del-la giurisprudenza, inizialmente più incline a riconoscere i diritti dei «figli di fatto» che quelli dei «coniugi di fatto», pur determinando in entrambi i casi in capo agli Stati non solo l’obbligo di non ingerirsi nella vita privata e fami-liare degli individui

17, ma anche l’obbligo positivo diretto a consentire ai singoli di avere una vita familiare normale, alla quale corrisponda un regime giuridico adeguato

18. In tema di filiazione si è infatti affermato che è la nascita a far sorgere il

legame tra genitore e figlio ed è tale legame che deve essere protetto ai sensi dell’art. 8 della Convenzione, anche nel caso in cui manchi la coabitazione familiare

19, o vi sia stato ritardo nel riconoscimento da parte del padre natu-rale, o affidamento del figlio ad altri parenti

20. Inoltre la Corte europea dei

to e di richiamare l’art. 8 CEDU evitando di pronunciarsi sul problema della validità del ma-trimonio secondo la legge del luogo di celebrazione.

16 Per l’applicazione della nozione di «famiglia naturale» a un rapporto tra due donne, una delle quali aveva subito un cambiamento di sesso, e il figlio della prima concepito me-diante fecondazione artificiale, si veda Corte EDU (GC) 22 aprile 1997, ric. n. 21830/93, X, Y e Z c. Regno Unito, parr. 41-44. Si veda inoltre da ultimo 21 luglio 2015, ric. n. 18766/11 e 36030/11, Oliari e a. c. Italia, par. 103.

17 Significativa in tal senso è la giurisprudenza che ha affermato la contrarietà all’art. 8 CEDU delle normative nazionali dirette a reprimere penalmente le pratiche omosessuali tra adulti consenzienti: Corte EDU 22 ottobre 1981, ric. n. 7525/76, Dudgeon c. Regno Unito, par. 69; 26 ottobre 1988, ric. n. 10581/83, Norris c. Irlanda, par. 44; 22 aprile 1993, ric. n. 15070/89, Modinos c. Cipro, parr 16-17.

18 Corte EDU 25 gennaio 2000, ric. n. 31679/96, Ignaccolo-Zenide c. Romania, par. 95. In questo caso la Corte condanna la Romania per la mancata attuazione delle misure previste dalla Convenzione dell’Aja del 25 ottobre 1980 sugli aspetti civili della sottrazione di minori nei confronti delle figlie di una cittadina francese, alla stessa sottratte e trasferite in Romania dal padre, in seguito al divorzio dalla moglie.

19 Corte EDU 26 maggio 1994, ric. n. 16969/90, Keegan c. Irlanda, par. 42-45: in questo caso, si afferma che il figlio nato dall’unione di due persone non sposate si inserisce nella loro famiglia e gode di un legame garantito dall’art. 8, anche se alla nascita i genitori già non convivono più; pertanto si considera contrario all’art. 8 il diritto irlandese poiché prevede la possibilità di adozione senza il consenso del padre naturale. Si veda inoltre sul punto: Corte EDU 21 giugno 1988, ric. n. 10730/84, Berrehab c. Paesi Bassi, par. 29.

20 Corte EDU 24 aprile 1996, ric. n. 22070/93, Boughanemi c. Francia, par. 35.

124 Sara Tonolo

diritti dell’uomo ha riconosciuto anche l’esistenza del diritto alla vita fami-liare nei confronti di una relazione esistente tra un transessuale e il figlio na-to attraverso la procedura di fecondazione assistita

21. La Commissione, a suo tempo, si era invece dimostrata contraria ad af-

fermare il legame genitoriale nell’ambito delle famiglie omosessuali 22, sia

che si trattasse della richiesta proposta dalla convivente della madre naturale del figlio

23, sia che si trattasse della domanda di un padre biologico rispetto al figlio nato da una madre omosessuale

24. Evidente allora che la tutela della «vita familiare» degli omosessuali è circoscritta esclusivamente alla relazio-ne con i loro figli biologici, come stabilito dalla Corte nel caso Salgueiro da Silva Mouta c. Portogallo, in cui ha condannato il Portogallo per la viola-zione degli artt. 8 e 14 della Convenzione a causa della negazione ad un pa-dre dell’autorità parentale sulla figlia nata nell’ambito di un precedente ma-trimonio, in ragione di una sua relazione sentimentale con un altro uomo

25. È interessante notare come la Corte consideri in via di principio lecita la di-scriminazione operata dai giudici portoghesi, in quanto ispirata all’obiettivo di proteggere i diritti della bambina, ma non ritenga in concreto soddisfatta la condizione di proporzionalità, non avendo gli stessi giudici valutato la si-tuazione concreta ed essendosi limitati ad affermare in astratto l’opportunità per i bambini di vivere all’interno di famiglie tradizionali.

Tale orientamento è stato peraltro confermato nel caso Fretté c. Francia in cui la Corte ha ritenuto legittimo il rifiuto da parte delle autorità francesi di concedere l’adozione ad un omosessuale, in forza del margine di discre-zionalità ancora riconosciuto agli Stati al fine di proteggere la salute e i dirit-ti dei bambini

26. La Corte ha infatti osservato che la tutela dei diritti degli

21 Corte EDU, X, Y e Z c. Regno Unito, cit., par. 95. 22 Si veda in generale sul punto D. BORRILLO, Pluralisme conjugal ou hiérarchie des

sexualités: la reconaissance juridique des couples homosexuels dans l’Union européenne, in Mc Gill Law Journ., 2001, p. 875 ss.

23 Commissione europea diritti dell’uomo, decisione 19 maggio 1992, n. 15666/89, Ker-khoven e Hinke c. Paesi Bassi, 3.

24 Commissione europea diritti dell’uomo, decisione 8 febbraio 1993, n. 16944/90, J.R.M. c. Paesi Bassi, 1.

25 Corte EDU, 21 dicembre 1999, ric. n. 33290/96, Salgueiro da Silva Mouta c. Portogallo, par. 22.

26 Corte EDU, 26 febbraio 2002, ric. n. 36515/97, Fretté c. Francia, par. 28. Su tale aspetto si veda in particolare T. WILLOUGHBY-STONE, Margin of Appreciation Gone Awry: The European Court of Human Rights’ Implicit Use of the Precautionary Principle in Fretté v. France to Backtrack on Protection from Discrimination on the Basis of Sexual Orienta-tion, in Connecticut Public Int. Law Journal, 2003, Paper 9, disponibile on line.

La famiglia transnazionale fra diritti di cittadinanza e diritti degli stranieri 125

adottandi costituisce una fondata giustificazione per escludere determinate categorie di persone dal godimento del diritto di adottare, come previsto dal-l’ordinamento francese, riconoscendo così un ampio margine di apprezza-mento alle autorità nazionali anche alla luce dell’assenza di accordo, nella comunità scientifica, sugli effetti dell’adozione posta in essere da persone omosessuali

27. Nel caso E.B. c. Francia, la Grande Camera della Corte europea ha par-

zialmente modificato il proprio convincimento con riguardo ad una donna che aveva una stabile relazione omosessuale e che intendeva adottare un mi-nore. In questo caso, la Corte valorizza il fatto che il rigetto della domanda da parte delle autorità interne era fondato proprio sulla condizione omoses-suale del richiedente, in contrasto con il divieto di discriminazione in base all’orientamento sessuale di cui all’art. 14 CEDU. In particolare, a fronte della capacità di adozione riconosciuta in Francia ai single, pur in considera-zione delle esigenze del minore adottato, il diniego del consenso all’adozione da parte dell’autorità preposta fondato sulle scelte o sulle «condizioni di vita» della richiedente, manifesta una considerazione decisiva del suo orientamento sessuale, si radica cioè su un criterio di distinzione vietato, salvo giustifica-zione obiettiva e ragionevole, che nella fattispecie non è ravvisabile

28. Successivamente, il superiore interesse del minore ha assunto un ruolo

più significativo nella sentenza del 19 febbraio 2013 nel caso X e altri c. Au-stria

29, in cui la Corte riconosce che la completa esclusione, da parte del di-ritto civile austriaco, delle coppie omosessuali dall’adozione (c.d. coparenta-le), consentita invece alle coppie eterosessuali (per effetto del gioco della norma che regola gli effetti dell’adozione, secondo cui l’adottante si sosti-tuisce al genitore biologico del suo stesso sesso), costituisce una distinzione di trattamento fondata sull’orientamento sessuale. Preso atto che la motiva-

27 Corte EDU, Fretté c. Francia, cit., par. 41. 28 Corte EDU 22 gennaio 2008, ric. n. 435466/02, E. B. c. Francia, punti 88-98. La Corte

ha affermato che «force est de constater que les orientations sexuelles de [la requérante] n’ont cessé d’être au centre du débat la concernant et qu’elles ont été omniprésentes à tous les niveaux des procédures administrative et juridictionnelle. La Cour considère que la réfé-rence à l’homosexualité de la requérante était sinon explicite du moins implicite. L’influence de l’homosexualité déclarée de la requérante sur l’appréciation de sa demande est avérée et, compte tenu de ce qui précède, elle a revêtu un caractère décisif, menant à la décision de re-fus d’agrément en vue d’adopter (voir, mutatis mutandis, Salgueiro da Silva Mouta, précité, § 35)». Sulla sentenza v. la nota di E. FALLETTI in Fam. dir., 2008, p. 221.

29 Corte EDU 19 febbraio 2013, ric. n. 19010/07, X e altri c. Austria, parr. 92-95. Sul punto C. CAMPIGLIO, Lo stato di figlio nato da contratto internazionale di maternità, in Riv. dir. int. pr. pr., 2009, p. 589 ss.

126 Sara Tonolo

zione di tale disciplina dell’adozione è di ricreare, (anche) nell’ambito della coppia convivente di cui il membro adottante è dello stesso sesso del genito-re biologico, la situazione esistente in una famiglia biologica, e che tale preoccupazione, e quella di proteggere l’interesse del minore, esprimono in-teressi sicuramente meritevoli di protezione e idonei a giustificare una diffe-renza di trattamento, la Corte ritiene violato il principio di proporzionalità. Infatti, alla luce di certa incoerenza della normativa nazionale e di una serie di considerazioni specifiche («l’existence de la famille de fait formée par les intéressés, l’importance qu’il y a pour eux à en obtenir la reconnaissance ju-ridique, l’incapacité du Gouvernement à établir qu’il serait préjudiciable pour un enfant d’être élevé par un couple homosexuel ou d’avoir légalement deux mères ou deux pères, et surtout le fait que le Gouvernement reconnaît que les couples homosexuels sont tout aussi aptes que les couples hétéro-sexuels à l’adoption coparentale») la Corte afferma che il divieto assoluto di adozione coparentale per le coppie omosessuali, in assenza di ragioni «parti-culièrement solides et convaincantes militant en faveur d’une telle interdic-tion absolue» è eccessivamente rigido e sproporzionato. A suo avviso «les considérations exposées jusqu’ici donnent au contraire à penser que les tri-bunaux devraient pouvoir examiner chaque situation au cas par cas. Cette façon de procéder paraît aussi plus conforme à l’intérêt supérieur de l’en-fant, notion clé des instruments internationaux pertinents»

30. Da ultimo se, in assenza di common ground tra gli Stati rispetto a questioni moralmente o eticamente sensibili, il margine di apprezzamento spettante agli Stati è am-pio, tale margine si riduce progressivamente quando entra in gioco la di-scriminazione fondata su ragioni di orientamento sessuale, dato che, tra l’altro, il sistema austriaco, consentendo l’adozione da parte di un single omosessuale, dovrebbe riconoscere, a fortiori, che un minore può essere al-levato da una coppia omosessuale.

La Corte è invece apparsa poco incline a sancire (tramite le garanzie de-gli artt. 8 e 14 CEDU) un diritto al pari trattamento nell’adozione di minori a beneficio della coppia eterosessuale nell’ambito del matrimonio, e della coppia omosessuale nell’ambito dei PACS francesi. Nel caso Gas e Dubois c. Francia

31, concernente una coppia omosessuale unita da un PACS fran-cese, all’interno della quale una delle partner aveva chiesto l’adozione del figlio, nato con le tecniche di fecondazione artificiale, dell’altra, le autorità

30 Corte EDU, X e altri c. Austria, cit., punti 146 ss. 31 Corte EDU 15 marzo 2012, ric. n. 25951/07, Gas e Dubois c. Francia, par. 66. Su di

essa si v. P. JOHNSON, Adoption, Homosexuality and the European Convention on Human Rights: Gas and Dubois v. France, in Modern Law Rev., 2012, p. 1136 ss.

La famiglia transnazionale fra diritti di cittadinanza e diritti degli stranieri 127

nazionali avevano rifiutato l’adozione ritenendola contraria all’interesse su-periore del minore. La Corte europea esclude la violazione dei parametri convenzionali sopra evocati, rilevando che la legislazione francese non pre-vede che i conviventi abbiano diritti identici a quelli delle persone coniuga-te, e che ai sensi della CEDU è legittimo che l’ordinamento nazionale con-senta l’adozione alla coppia sposata, ma non alla coppia unita in base a un PACS. Secondo la Corte, infatti, non v’è analogia o comparabilità nella si-tuazione dei soggetti legati dal matrimonio o da istituti affini, ma distinti, quali i PACS

32. Per altro verso, l’ordinamento francese non discrimina la situazione delle coppie eterosessuali conviventi e delle coppie omosessuali conviventi quanto all’adozione

33. Volgendosi ora al problema del riconoscimento, e dell’equiparazione, dei

diritti dei coniugi e dei conviventi, la Commissione 34 e la Corte europea

35 hanno dimostrato inizialmente molta cautela, considerando innanzitutto l’o-mosessualità come un’espressione della vita privata e non della vita familia-re, e ritenendo, al contrario, che la situazione delle coppie eterosessuali non coniugate possa essere equiparata alla famiglia fondata sul matrimonio tradi-zionale.

Il riconoscimento della tutela delle convivenze omosessuali solo entro l’ambito della vita privata (art. 8 CEDU) si ricollega, nella prospettiva della Commissione, alla circostanza che «la famille (à laquelle peut être assimilée la relation de couple hétérosexuel non marié mais cohabitant comme mari et femme) mérite une protection particulière dans la société»

36. La Corte, per parte sua, ha confermato il riconoscimento dell’omosessualità come espres-sione della vita privata dell’individuo, osservando che entro la sfera della vita privata quest’ultimo può sviluppare liberamente la propria personalità e stabi-lire relazioni con altre persone, riguardo alle quali l’omosessualità non può es-

32 V. anche con riguardo all’ordinamento austriaco, Corte EDU, X e altri c. Austria, cit., punti 105 ss.

33 Corte EDU, Gas e Dubois c. Francia, cit., punti 68-69. 34 Commissione europea diritti dell’uomo, decisione 3 maggio 1983, n. 9369/81, X e Y c.

Regno Unito, pp. 190-210; decisione 10 febbraio 1990, n. 16106/90, B c. Regno Unito, p. 278; decisione 15 maggio 1996, n. 28318/95, Röösli c. Germania, p. 169.

35 Corte EDU 17 ottobre 1986, ric. n. 9532/81, Rees c. Regno Unito, par. 37, in cui la Corte introduce il concetto di proporzionalità nel controllo del rispetto degli obblighi positivi tra interessi dei singoli e interesse della collettività, nell’equilibrare i quali «les objectifs énumerés au paragraphe 2 de l’article 8 peuvent jouer un certain rôle».

36 Commissione europea diritti dell’uomo 14 maggio 1986, n. 11716/85, Simpson c. Re-gno Unito, p. 285.

128 Sara Tonolo

sere sanzionata se non nella misura prevista dall’art. 8, par. 2 37.

Qualche apertura all’affermazione dei diritti delle coppie omosessuali nella giurisprudenza della Corte si è avuta dapprima con la sentenza Karner, in cui, seppure in applicazione del divieto di discriminazione, l’Austria è stata condannata a causa del rifiuto di far succedere nel contratto di locazio-ne il «compagno di vita» del defunto solo perché del suo stesso sesso

38. Si tratta tuttavia di una apertura alquanto limitata, dal momento che la

Corte riconosce, nel caso di specie, la violazione degli artt. 8 e 14 della Con-venzione nel rifiuto della Suprema Corte austriaca di inserire il partner dello stesso sesso nella nozione di «compagno di vita» (Lebensgefährte), di cui alla sez. 14 del Mietrechtsgesetz austriaco, riferendo tuttavia tale violazione al diritto al rispetto del domicilio

39, come richiesto dal ricorrente, ed evitan-do così di addentrarsi nelle nozioni di vita privata o di vita familiare

40. Nella sentenza Karner la Corte conferma inoltre che l’esigenza di tutelare la no-zione di famiglia tradizionale può giustificare un diverso trattamento delle famiglie non corrispondenti a tale nozione, pur essendo necessario dimostra-re che il trattamento differenziato è una condizione necessaria per il raggiun-gimento dell’obiettivo da tutelare. Nel caso di specie, la violazione degli artt. 8 e 14 CEDU è sancita anche a causa della mancata dimostrazione, da parte dell’Austria, che il riconoscimento al convivente omosessuale di un diritto di successione nel contratto di locazione possa ostacolare la tutela della famiglia tradizionale

41.

37 Corte EDU, Dudgeon c. Regno Unito, cit., par. 60. Nel caso, la Corte condanna il Re-gno Unito per il contrasto della normativa, rivolta a criminalizzare le attività omosessuali tra adulti, vigente in Irlanda del Nord. Nello stesso senso si veda: Corte EDU, Norris c. Irlanda, cit., par. 44; Corte EDU, Modinos c. Cipro, cit., parr. 16-17.

38 Corte EDU 24 luglio 2003, ric. n. 40016/98, Karner c. Austria, par. 33. 39 Tale conclusione rappresenta un’inversione di tendenza rispetto all’orientamento pre-

cedentemente espresso dalla Commissione europea diritti dell’uomo nelle decisioni: 14 mag-gio 1986, Simpson. c. Regno Unito, cit., p. 285, e 15 maggio 1996, Röösli c. Germania, cit., p. 149: in entrambi i casi, la Commissione ha ritenuto che le unioni omosessuali non fossero più meritevoli di tutela dei diritti contrattuali del proprietario al termine della locazione.

40 Si veda sul punto R. WINTEMUTE, Strasbourg to the Rescue? Same – Sex Partners and Parents under the European Convention, in R. WINTEMUTE, M. ANDENAES (edited by), Le-gal Recognition of Same-Sex Partnerships: A Study of National, European and International Law, London, 2001, p. 714.

41 Corte EDU, Karner c. Austria, cit., spec. par. 41: «Le but consistant à protéger la fa-mille au sens traditionnel du terme est assez abstrait et une grande variété de mesures con-crètes peuvent être utilisées pour le réaliser. Lorsque la marge d’appréciation laissée aux Etats est étroite, dans le cas par exemple d’une différence de traitement fondée sur le sexe ou

La famiglia transnazionale fra diritti di cittadinanza e diritti degli stranieri 129

Solo nel 2010, la Corte afferma chiaramente che la relazione fra persone dello stesso sesso fruisce della tutela prevista dall’art. 8 della CEDU alla vi-ta familiare

42, equiparando definitivamente la convivenza omosessuale alla convivenza delle coppie eterosessuali.

3. Nel diritto dell’Unione europea, le garanzie della famiglia e degli indi-

vidui al rispetto della loro vita familiare vanno ricostruite a partire dalle pre-visioni della Carta cui a partire dal 1° dicembre 2009 è attribuito (per effetto dell’art. 6 TUE) lo stesso valore giuridico dei Trattati.

L’art. 7 della Carta riconosce agli individui il diritto al rispetto della vita familiare, nelle varie esplicazioni in cui essa si attua, a titolo di diritto auto-nomamente riconosciuto all’interno dell’Unione europea.

Ai sensi dell’art. 9 della Carta è inoltre garantito il diritto «di sposarsi e di costituire una famiglia» secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l’esercizio

43. È una norma di tutela a contenuto variabile, nel senso che la garanzia ivi prevista in termini di principio (si può intendere, con riferimen-to alla famiglia tradizionale) s’amplia alle famiglie atipiche ove riconosciute dal diritto nazionale. Tale disposizione dunque, sebbene per rinvio, ha una portata ricognitiva e inclusiva delle tipologie familiari previste dalle legisla-zioni nazionali, come consentito dall’elisione del riferimento all’uomo e alla donna quali membri dell’unione familiare (vedi a tal riguardo l’art. 12 CE-DU, che tale diritto riferisce invece a «uomini e donne in età maritale») e in conformità, tra l’altro, agli auspici del Parlamento europeo relativamente ai diritti delle coppie omosessuali

44. L’art. 24, inoltre, sancisce la tutela delle

l’orientation sexuelle, non seulement le principe de proportionnalité exige que la mesure re-tenue soit normalement de nature à permettre la réalisation du but recherché mais il oblige aussi à démontrer qu’il était nécessaire, pour atteindre ce but, d’exclure certaines personnes – en l’espèce les individus vivant une relation homosexuelle – du champ d’application de la mesure dont il s’agit – en l’espèce l’article 14 de la loi sur les loyers. La Cour constate que le Gouvernement n’a pas présenté d’arguments qui permettraient d’aboutir à une telle con-clusion».

42 Corte EDU 24 giugno 2010, ric. n. 30141/04, Schalk e Kopf c. Austria, par. 90. 43 Su di esso, si veda M. BONINI BARALDI, Parità di trattamento e nozione di “fami-

liare” tra prerogative nazionali e prospettive comunitarie, in Familia, p. 821 ss., p. 835.

44 Risoluzione sulla parità dei diritti delle persone omosessuali nella Comunità europea, 8 febbraio 1994, A3 – 0028/94; Risoluzione sul rispetto dei diritti umani nell’Unione euro-pea, 16 marzo 2000, 11350/1999 – C5 0265/1999 – 1999/2001. Su tali risoluzioni e sul col-legamento con il divieto di discriminazione di cui all’art. 13 TUE, si veda in generale M. BELL, The new Article 13 EC Treaty: a Sound Basis for European Anti – Discrimination

130 Sara Tonolo

relazioni tra genitori e figli 45. Infine, tra i diritti di solidarietà, l’art. 33 della

Carta prevede che «1. È garantita la protezione della famiglia sul piano giu-ridico, economico e sociale. 2. Al fine di poter conciliare vita familiare e vi-ta professionale, ogni individuo ha il diritto di essere tutelato contro il licen-ziamento per un motivo legato alla maternità e il diritto a un congedo di ma-ternità retribuito e a un congedo parentale dopo la nascita o l’adozione del figlio».

Si porrà pertanto il problema di definire l’ambito d’applicazione di tali disposizioni, e in particolare degli art. 7 e 9 della Carta, anche alla luce delle analoghe previsioni della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Ove esse rivelino dei contenuti divergenti, come nel caso della tutela del diritto di sposarsi e di fondare una famiglia, più restrittivamente sancito dall’art. 12 della CEDU

46, la soluzione potrà essere cercata tramite l’appli- Law?, in Maastricht Journ. Eur. Law, 1999, p. 5 ss. Sulla natura permissiva e non auto-nomamente precettiva di tale disposizione, cfr. le Spiegazioni all’art. 9 e i rilievi svolti dalla Corte costituzionale italiana nella sentenza del 14 aprile 2010, n. 138. La Corte, che nel re-spingere i dubbi di costituzionalità sollevati dal Tribunale di Venezia con riferimento alla disciplina o al sistema del codice civile che non consente l’accesso al matrimonio da parte delle coppie omosessuali in Italia, con riferimento al parametro costituito dall’art. 117, par. 1, Cost. e dall’art. 9 della Carta, ha affermato che «è comunque decisivo il rilievo che anche la citata normativa non impone la piena equiparazione alle unioni omosessuali delle regole previste per le unioni matrimoniali tra uomo e donna. Ancora una volta, con il rinvio alle leggi nazionali, si ha la conferma che la materia è affidata alla discrezionalità del Parlamen-to. Ulteriore riscontro di ciò si desume, come già si è accennato, dall’esame delle scelte e delle soluzioni adottate da numerosi Paesi che hanno introdotto, in alcuni casi, una vera e propria estensione alle unioni omosessuali della disciplina prevista per il matrimonio civile oppure, più frequentemente, forme di tutela molto differenziate e che vanno, dalla tendenzia-le assimilabilità al matrimonio delle dette unioni, fino alla chiara distinzione, sul piano degli effetti, rispetto allo stesso» (punto 10 del considerato in diritto).

45 Corollari importanti di tali disposizioni relative alla vita familiare sono poi previsti dall’art. 21, relativo al divieto di discriminazione, e dall’art. 14 concernente il diritto all’e-ducazione. Sul punto C. MC GLYNN, Families and the European Union Charter of Fun-damental Rights: progressive change or entrenching the status quo?, in ELREV., 2001, p. 582 ss.

46 Secondo il quale «a partire dall’età matrimoniale, l’uomo e la donna hanno il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia secondo le leggi nazionali che regolano l’esercizio di tale diritto». Tale disposizione è coerentemente intesa nel senso che il diritto di fondare una fa-miglia presuppone l’esistenza di un matrimonio tradizionale, eterosessuale: Corte EDU, Rees c. Regno Unito, cit., par. 49; 27 settembre 1990, ric. n. 10843/84, Cossey c. Regno Uni-to, par. 43; 30 luglio 1998, ric. nn. 22985/93 e 23390/94, Sheffield and Horsham c. Regno Unito, par. 56 ss. Sulla limitata incidenza interpretativa dell’art. 9 della Carta sulle garanzie dell’art. 12 CEDU, cfr. Corte EDU (GC) 11 luglio 2002, ric. n. 28957/95, Goodwin v. the United Kingdom, punti 97-101.

La famiglia transnazionale fra diritti di cittadinanza e diritti degli stranieri 131

cazione dell’art. 52, par. 3, della Carta, che contiene una presunzione di identità tra il contenuto della Carta e quello della Convenzione europea sui diritti dell’uomo, laddove esse considerino diritti corrispondenti, prevalen-do tuttavia la disciplina più favorevole, ove presente, nel diritto dell’Unio-ne, in conformità al principio generale del trattamento più favorevole (art. 53 della Carta) tra quanto previsto dalla Convenzione europea e dalle con-venzioni internazionali in materia di diritti fondamentali di cui gli Stati membri siano parti.

Quanto alla definizione della nozione di famiglia, è nota la cautela con cui la Corte di giustizia ha affrontato il tema, ad esempio negando inizial-mente l’equiparazione tra lo status di coniuge e quello di convivente nell’in-terpretazione del diritto derivato.

Quanto alle convivenze tra individui di sesso diverso, la Corte di giusti-zia, dopo aver chiarito che la determinazione del significato di alcuni con-cetti del diritto di famiglia, utilizzati ma non definiti nella nozione comunita-ria di familiare, deve avvenire secondo l’interpretazione autonoma, conclude tuttavia che un’interpretazione autonoma della nozione di “coniuge” di cui all’art. 10 del reg. (CEE) n. 1612/68

47 non consente di includervi il convi-vente more uxorio, e che solo il diritto del lavoratore migrante alla parità di trattamento rispetto ai cittadini dello Stato di residenza nel godimento dei «vantaggi sociali», di cui all’art. 7, par. 2, del reg., implica il diritto al sog-giorno nello Stato ospite (il ricongiungimento familiare) del partner qualora tale diritto sia autonomamente accordato dal diritto nazionale ai cittadini di tale Stato

48. Relativamente alle convivenze omosessuali, a partire dal precedente

Grant 49, secondo cui le discriminazioni in base alle tendenze sessuali non

47 Regolamento (CEE) n. 1612/68 del Consiglio, del 15 ottobre 1968, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all’interno della Comunità.

48 Corte giust. 17 aprile 1986, causa C-59/85, Paesi Bassi c. Reed, punto 29. Per una suc-cessiva apertura al riconoscimento delle convivenze, si veda tuttavia Corte giust. 22 giugno 2000, causa C-65/98, Eyüp, punto 39, ove tuttavia il riconoscimento della convivenza ai fini dell’accertamento della residenza legale nel territorio della Comunità avviene nel caso parti-colare di due coniugi, divorziati e poi risposati, che hanno continuato a convivere nel perio-do intercorrente tra i due matrimoni. Dunque non può ritenersi un precedente valido ai fini del riconoscimento di una nozione comunitaria di convivenza.

49 Corte giust. 17 febbraio 1998, causa C-249/96, Grant c. South-West Trains. Si tratta di un caso concernente alcune agevolazioni di viaggio richieste dalla signora Grant a favore della sua partner, ma non riconosciute in quanto il regolamento aziendale della South West Trains prevedeva tali agevolazioni solo a favore del coniuge del dipendente o della persona di sesso opposto con cui il dipendente avesse una relazione da almeno due anni.

132 Sara Tonolo

possono essere incluse tra le discriminazioni sulla base del sesso 50, e per-

tanto non ne deriva l’equiparazione tra unioni di persone dello stesso sesso rispetto a quelle tra persone di sesso diverso

51, la Corte ha ribadito l’irrile-vanza del divieto di discriminazione in base al sesso in materia occupazio-nale con riguardo alle partnerships registrate, ritenute non equiparabili al matrimonio di persone di sesso diverso

52. Relativamente al matrimonio ete-rosessuale, peraltro, la Corte ha elaborato una giurisprudenza nettamente orientata ad escludere dalla nozione dell’istituto i c.d. «matrimoni di como-do», in quanto diretti ad estendere fraudolentemente il godimento delle pre-rogative dei cittadini comunitari

53. Solo un’interpretazione evolutiva del-l’art. 10 del regolamento 1612/68 cit. potrebbe consentire l’estensione della nozione di coniuge dallo stesso definita alle persone vincolate da matrimoni omosessuali o da partenariati registrati anche al fine di eliminare gli ostaco-li alla libera circolazione dei lavoratori

54. Si distingue inoltre per particolare «rigidità» la nozione di familiare, ac-

colta dalla direttiva 2003/86 del Consiglio in materia di ricongiungimento

50 Sulle quali è invece nota l’interpretazione estensiva operata dalla Corte a favore dei transessuali. Si veda in tal senso Corte giust. 30 aprile 1996, causa C-13/94, P. c. S. e Corn-wall County Council; nel caso la Corte interpreta estensivamente il principio di non discri-minazione in base al sesso e ritiene che il trattamento sfavorevole riservato a un lavoratore inglese (licenziamento) in seguito al mutamento di sesso sia vietato. Si veda amplius sul punto A. CAMPBELL, H. LARDY, Discrimination against Transsexuals in Employment, in ELREV, 1996, p. 412 ss. Si veda inoltre Corte giust. 7 gennaio 2004, causa C-117/01, K.B. Il caso trae origine dalla richiesta pensione di reversibilità a favore della partner convivente. Su tale sentenza si veda amplius L. TOMASI, Le coppie non tradizionali (nuovamente) alla prova del diritto comunitario, in Riv. dir. int. pr. pr., 2004, p. 977 ss. In materia, si veda in-fine Corte giust. 27 aprile 2006, causa C-423/04, Richards, per una recente riaffermazione del divieto di discriminazione, sulla base del sesso, con riguardo al rifiuto di uno Stato membro di concedere una pensione di vecchiaia prima del raggiungimento dei sessantacin-que anni di età a una persona transessuale passata dal sesso maschile a quello femminile, quando invece tale persona avrebbe avuto diritto alla pensione all’età di sessant’anni, se fos-se stata considerata donna sotto il profilo del diritto nazionale.

51 Corte giust. 17 febbraio 1998, Grant v. South West Trains, cit., punto 35: «allo stato attuale del diritto nella Comunità, le relazioni stabili tra due persone dello stesso sesso non sono equiparate alle relazioni tra persone coniugate o alle relazioni stabili fuori dal matrimo-nio tra persone di sesso opposto».

52 Corte giust. 31 maggio 2001, cause C-122/99 P e C-125/99 P, P – D. e Svezia c. Con-siglio.

53 Corte giust. 23 settembre 2003, causa C-109/01, Akrich. 54 E. GUILD, Free Mouvement and Same-Sex Relationships: Existing EC Law and Article

13 EC, in R. WINTEMUTE, M. ANDENAES, Legal Recognition of Same-Sex Partnerships: A Study of National, European and International Law, cit., p. 685 ss.

La famiglia transnazionale fra diritti di cittadinanza e diritti degli stranieri 133

familiare dei cittadini di Stati terzi regolarmente soggiornanti 55. Questa di-

rettiva annovera, infatti, tra i familiari aventi diritto al ricongiungimento, so-lo il coniuge e i figli minori avuti con quest’ultimo, attribuendo invece al convivente ed ai figli dello stesso solo la «possibilità» di godere del ricon-giungimento, condizionata al riconoscimento della famiglia cui di fatto ap-partengono da parte dello Stato membro ospitante. All’art. 4 par. 4, si distin-gue inoltre tra i conviventi di fatto e i membri delle unioni registrate, ai fini della prova dell’unione, dalla quale i secondi sono esonerati, in forza della registrazione della loro convivenza

56. Per quanto riguarda i coniugi di matri-moni poligamici, l’art. 4, par. 4, della direttiva esclude che la moglie non convivente in caso di matrimonio poligamo, in cui vi sia già un coniuge con-vivente con il titolare del diritto di soggiorno, possa godere del diritto al ri-congiungimento, e pertanto autorizza gli Stati a non accordarlo. Per i figli minorenni del soggiornante, l’art. 4, par. 1, lett. c), prevede che gli Stati membri possono limitare il ricongiungimento familiare al minore soggior-nante e all’altro coniuge. Tuttavia, in materia, il principio generale del supe-riore interesse del minore opera per bilanciare le misure restrittive che do-vrebbero trovare una adeguata giustificazione

57. In maniera analoga dispongono, da un lato, la direttiva 2004/83 sulla qua-

lifica dello status di rifugiato, secondo la quale può ritenersi ricompreso tra i familiari, analogamente al coniuge del beneficiario di tale status, «il partner non sposato con questi, avente una relazione stabile se la legislazione o la prassi dello Stato membro interessato equipara le coppie non sposate a quel-le sposate nel quadro della legislazione sugli stranieri»

58, e, dall’altro, la di-

55 Direttiva 2003/86/CE del Consiglio, del 22 settembre 2003, relativa al diritto al ricon-giungimento familiare.

56 Si veda in tal senso l’art. 4, par. 3, della direttiva 2003/86/CE: «Gli Stati membri pos-sono, per via legislativa o regolamentare, autorizzare l’ingresso e il soggiorno ai sensi della presente direttiva, fatto salvo il rispetto delle condizioni definite al capo IV, del partner non coniugato cittadino di un paese terzo che abbia una relazione stabile duratura debitamente comprovata con il soggiornante, o del cittadino di un paese terzo legato al soggiornante da una relazione formalmente registrata, ai sensi dell’art. 5, par. 2, nonché dei figli minori non coniugati, anche adottati, di tali persone, come pure i figli adulti non coniugati di tali perso-ne, qualora direttamente non possano sovvenire alle proprie necessità in ragione del loro sta-to di salute».

57 Sul tema v. M. BALBONI, Il «diritto al ricongiungimento familiare» dei minori tra tute-la del loro superiore interesse e dell’interesse generale in materia di politica migratoria, in questo volume, p. 163 ss.

58 Art. 2 della Direttiva 2004/83/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, recante norme mi-nime sull’attribuzione, ai cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di

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rettiva n. 2004/38 sulla libera circolazione dei cittadini dell’Unione 59, se-

condo la quale può intendersi come familiare: «a) il coniuge; b) il partner che abbia contratto con il cittadino dell’Unione un’unione registrata sulla base della legislazione di uno Stato membro, qualora la legislazione dello Stato membro ospitante equipari l’unione registrata al matrimonio e nel rispetto del-le condizioni previste dalla pertinente legislazione dello Stato membro ospi-tante; c) i discendenti diretti di età inferiore a ventuno anni o a carico e quelli del coniuge o partner di cui alla lettera b); d) gli ascendenti diretti a carico e quelli del coniuge o partner di cui alla lettera b)» (art. 2, n. 2)

60. L’equiparazione dei conviventi ai coniugi appare, pertanto, legata, nel-

l’ordinamento dell’Unione europea, alle specifiche valutazioni dello Stato membro di destinazione o ospitante

61, con il rischio che le prerogative deri-vanti dallo status di convivente (nel o negli Stati membri di origine) non siano riconosciute, nel caso in cui lo Stato così individuato non preveda al-cuna regolamentazione al riguardo.

L’esistenza di profonde differenze tra gli ordinamenti degli Stati membri dell’Unione avrebbe dunque potuto suggerire soluzioni diverse, ispirate o all’e-laborazione di una nozione autonoma di convivente, da equiparare eventual-mente a quella di coniuge

62, o al rinvio alla legislazione dello Stato d’origine 63.

persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul conte-nuto della protezione riconosciuta.

59 Direttiva n. 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare li-beramente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/ 35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE, a far data dal 30 aprile 2006.

60 Si veda sul punto L. TOMASI, Status familiari e libera circolazione dei cittadini del-l’Unione, in BARUFFI (a cura di), La Costituzione europea: quale Europa dopo l’allarga-mento?, Padova, 2006, p. 191 ss.

61 Si veda in generale sul punto H. TONER, Partnership Rights, Free Movement and EU Law, Oxford, 2004, p. 53 ss.

62 Si veda in tal senso P. PALLARO, I diritti degli omosessuali nella Convenzione europea per i diritti umani e nel diritto comunitario, in Riv. int. dir. uomo, p. 132; H.U. JESSURUN

D’OLIVEIRA, Freedom of Movement of Spouses and Registered Partnerships in the Europe-an Union, in J. BASEDOW, I. MEIER, A. K. SCHNYDER, T. EINHORN (edited by), Private Law in the International Arena. Liber Amicorum Kurt Siehr, The Hague, 2000, p. 526 ss., p. 535.

63 Tale soluzione era stata proposta dal Parlamento europeo nell’iter di adozione della di-rettiva 2004/38 sul diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di sog-giornare liberamente nel territorio degli Stati membri, nella risoluzione legislativa doc. P5_TC1-COD(2001)0111 e nella posizione doc. P5_TA(2003)0041, p. 42 ss. Per l’applica-zione alternativa della legislazione dello Stato d’origine con quella dello Stato di destinazio-

La famiglia transnazionale fra diritti di cittadinanza e diritti degli stranieri 135

Le cautele manifestate dalla normativa derivata, e dalla giurisprudenza, in materia di libera circolazione dei lavoratori o dei cittadini dell’Unione, così come in materia di diritto di soggiorno e di circolazione dei cittadini di Stati terzi, per quanto riguarda l’identificazione della nozione di fami-glia, permangono anche nell’ambito della politica antidiscriminatoria del diritto dell’Unione. Così nel caso Maruko

64 la Corte di giustizia, chiamata ad interpretare il principio della parità di trattamento, indipendentemente dall’orientamento sessuale, sancito dalla direttiva 2000/78 sulla parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, con ri-guardo al diniego della pensione di vedovo opposto al sig. Maruko legato (da una unione registrata: Lebenspartnerschaft) al proprio compagno, alla morte di questi, ha ritenuto che il mancato riconoscimento della pensione al convivente omosessuale legato al defunto lavoratore da un’unione regi-strata integri una discriminazione diretta in base all’orientamento sessuale. Tale conclusione è tuttavia subordinata al previo accertamento, da parte del giudice nazionale, che «i coniugi superstiti e i partner di unione solida-le superstiti siano in una posizione analoga per quanto concerne questa […] prestazione ai superstiti» nell’ambito dell’ordinamento tedesco. La Corte dunque non prende posizione sullo snodo decisivo della comparabi-lità dell’unione registrata al matrimonio secondo la legislazione nazionale rilevante né, ovviamente, la direttiva incide sulle scelte nazionali in merito all’assimilazione civilistica dell’unione registrata all’istituto matrimonia-le

65. La giurisprudenza sembra tuttavia orientata, in casi più recenti, a incidere

sulla qualificazione della comparabilità della posizione dei membri del co-niugio e dell’unione registrata. Nella sentenza Römer

66, la Corte ha afferma-

ne della famiglia, si veda invece L. TOMASI, Status familiari e libera circolazione dei citta-dini dell’Unione, in BARUFFI (a cura di), op. cit., p. 197.

64 Corte giust. 1 aprile 2008, causa C-267/06, Maruko. 65 Corte giust. 1 aprile 2008, Maruko, cit., punto 73: «il combinato disposto degli artt. 1 e

2 della direttiva 2000/78 osta ad una normativa come quella controversa nella causa princi-pale in base alla quale, dopo il decesso del suo partner con il quale ha contratto un’unione solidale, il partner superstite non percepisce una prestazione ai superstiti equivalente a quel-la concessa ad un coniuge superstite, mentre, nel diritto nazionale, l’unione solidale porrebbe le persone dello stesso sesso in una posizione analoga a quella dei coniugi per quanto riguar-da la detta prestazione ai superstiti. È compito del giudice a quo verificare se il partner di unione solidale superstite sia in una posizione analoga a quella di un coniuge beneficiario della prestazione ai superstiti prevista dal regime previdenziale di categoria gestito dalla VddB».

66 Corte giust. 10 maggio 2011, causa C-147/08, Römer.

136 Sara Tonolo

to che costituisce violazione del divieto di discriminazione in base all’orien-tamento sessuale la situazione in cui una pensione complementare di vec-chiaia versata ad una persona legata ad un partner in un’unione civile sia in-feriore, a parità di altre condizioni, a quella concessa ad una persona sposa-ta. Il caso prende origine dalla domanda del sig. Römer che aveva richiesto all’amministrazione di Amburgo, suo datore di lavoro, di poter beneficiare, per la sua pensione complementare di vecchiaia, del regime tributario più fa-vorevole spettante ai soggetti coniugati. Il richiedente si vedeva negare tale vantaggio, riservato ai soli beneficiari di prestazioni coniugati. Secondo la Corte di giustizia, il divieto di discriminazione per motivi di orientamento sessuale in materia di rapporti di lavoro, di cui alla direttiva, è suscettibile di trovare applicazione anche in relazione alle conseguenze legate alla conclu-sione del rapporto di lavoro. Il trattamento deteriore subito dal Sig. Römer nel percepire una pensione di vecchiaia inferiore rispetto a quella di cui go-drebbe se fosse unito in matrimonio, in quanto membro di un’unione civile registrata, costituisce una discriminazione diretta, poiché il progressivo alli-neamento previsto dal diritto tedesco del regime applicabile all’unione regi-strata a quello esistente per il matrimonio determina la comparabilità delle situazioni. In altri termini, il partner di un’unione registrata si trova in una situazione comparabile con quella del coniuge e, dunque, il diverso tratta-mento del primo rispetto al secondo è direttamente collegato all’orientamen-to sessuale

67. Ciò che distingue o qualifica il caso, rispetto al precedente Maruko, è la

specificità degli accertamenti di fatto propedeutici alla comparabilità degli istituti civilistici che la Corte impone al giudice nazionale. Secondo la Corte, «il raffronto tra le situazioni deve essere fondato su un’analisi incentrata sui diritti e sugli obblighi dei coniugi e dei partner dell’unione civile registrata, quali risultanti dalle disposizioni nazionali applicabili e che appaiono perti-nenti alla luce della finalità e dei presupposti di concessione della prestazio-ne controversa nella causa principale, e non deve consistere nel verificare se il diritto nazionale abbia operato un’equiparazione generale e completa, sot-to il profilo giuridico, dell’unione civile registrata rispetto al matrimonio»

68. È peraltro su tale base e secondo lo stesso orientamento che la Corte, nel

recente caso Hay, è pervenuta a concludere, a seguito di qualificazione (al-

67 Sugli effetti della giurisprudenza di Lussemburgo negli ordinamenti nazionali, si veda ad es. Cass. civ. 15 marzo 2012, n. 4184, www.italgiure.giudizio.it, p. 9, per l’accoglimento nell’ordinamento italiano del principio di omogeneità tra coppie omosessuali ed eterosessua-li nel godimento di determinati diritti.

68 Corte giust. 10 maggio 2011, Römer, cit., punto 43.

La famiglia transnazionale fra diritti di cittadinanza e diritti degli stranieri 137

meno parzialmente) autonoma degli elementi di comparazione rilevanti tra il matrimonio e i PACS di diritto francese, che il diniego selettivo della con-cessione dei giorni di congedo straordinario e del «premio di matrimonio», previsti dal contratto collettivo nazionale del Crédit Agricole al sig. Hay, di-pendente bancario, in ragione proprio della sua condizione di partner nell’ambito di un PACS con una persona del medesimo sesso, costituisce una discriminazione diretta in base all’orientamento sessuale

69. 4. Nella considerazione dei diritti dei membri della famiglia transnazio-

nale, riveste grande importanza il riconoscimento da parte della Corte euro-pea di obblighi positivi in capo agli Stati al fine di rendere effettiva la dispo-sizione dell’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Pre-supposto di tali obblighi positivi è il «diritto al rispetto» della vita privata e familiare

70, che «può implicare l’adozione di misure rivolte ad assicurare il rispetto della vita privata anche nell’ambito delle relazioni tra individui»

71. Si tratta pertanto di obblighi di risultato, in quanto la scelta del mezzo ido-neo a perseguire la realizzazione dei medesimi è lasciata ai singoli Stati

72. Nella definizione degli obblighi positivi si pone poi il problema di vedere

se possa assumere rilevanza il par. 2 dell’art. 8, secondo il quale «non può esservi ingerenza della pubblica autorità nell’esercizio di tale diritto se non in quanto tale ingerenza sia prevista dalla legge e in quanto costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria per la sicurezza nazio-nale, l’ordine pubblico, il benessere economico del paese, la difesa dell’ordi-ne, la prevenzione dei reati, la protezione della salute o della morale, o la protezione dei diritti e delle libertà altrui». Ciò in ragione del fatto che, se-condo parte della dottrina, tale disposizione diventa irrilevante nella defini-zione degli obblighi positivi, dal momento che lo Stato non potrebbe invoca-re, relativamente agli obblighi positivi, quell’interesse della collettività che invece consente le interferenze nei diritti dell’individuo

73. In realtà, al di là di un nucleo di diritti (core rights) di rilevanza primaria,

69 Corte giust. 12 dicembre 2013, causa C-267/12, Hay, punti 32-40. 70 U. KILKELLY, op. cit., p. 20. 71 Corte EDU 26 marzo 1985, ric. n. 8978/80, X e Y c. Paesi Bassi, par. 22. 72 Si veda amplius sul punto C. TOMUSCHAT, What is a «Breach» of the European Con-

vention on Human Rights, in R. LAWSON, M. DE BLOIS (edited by), The Dynamics of Protec-tion of Human Rights in Europe. Essays in Honour of H.G.Schermers, Dordrecht/Boston/ London, 1994, 315 ss.

73 A.M. CONNELLY, Problems of Interpretation of Article 8 of the European Convention on Human Rights, in ICLQ, 1986, p. 567 ss., p. 572.

138 Sara Tonolo

per i quali non valgono le limitazioni del par. 2 dell’art. 8 CEDU, nel senso che il solo fatto che uno Stato non ne riconosca l’esistenza viola l’art. 8, par. 1

74, la Corte non pare essersi mai discostata dalla considerazione dell’interes-se generale statale anche in ordine alla definizione degli obblighi positivi

75. È proprio nell’individuazione degli obblighi positivi esistenti a carico de-

gli Stati al fine di assicurare il rispetto della vita familiare che è apparso di fondamentale rilevanza l’equilibrio tra il diritto dei singoli e gli interessi del-la collettività

76. Si tratta tuttavia di un equilibrio suscettibile di variare a se-conda delle circostanze del caso di specie, come dimostra l’evoluzione della giurisprudenza della Commissione e della Corte europea.

Ad esempio, mentre nella sentenza Marckx 77, la Corte ha ritenuto preva-

lente il diritto della figlia di una madre non coniugata ad avere una normale vita familiare rispetto all’interesse dello Stato di tutelare la famiglia fondata sul matrimonio, ai fini di affermare l’obbligo per il Belgio di realizzare il rico-noscimento automatico dei legami familiari (nel caso negato dalla circostanza che i legami familiari erano subordinati al riconoscimento cui era tenuta la madre), nella sentenza X, Y e Z c. Regno Unito

78, fondandosi sulla libertà di apprezzamento degli Stati, ha negato che il diritto al rispetto della vita familia-

74 Corte EDU, Marckx c. Belgio, cit., par. 31. 75 Si veda in generale sul punto I. VIARENGO, Deroghe e restrizioni alla tutela dei diritti

umani nei sistemi internazionali di garanzia, in Riv. dir. int., 2005, pp. 955 ss., 970 ss. 76 Corte EDU, Rees c. Regno Unito, cit., par. 37, in cui la Corte introduce il concetto di

proporzionalità nel controllo del rispetto degli obblighi positivi tra interessi dei singoli e in-teresse della collettività.

77 Corte EDU, Marckx c. Belgio, cit., par. 31:«By proclaiming in paragraph 1 the right to respect for family life, Article 8 signifies firstly that the State cannot interfere with the exer-cise of that right otherwise than in accordance with the strict conditions set out in paragraph 2. As the Court stated in the “Belgian Linguistic” case, the object of the Article is “essential-ly” that of protecting the individual against arbitrary interference by the public authorities (judgment of 23 July 1968, Series A no. 6, p. 33, par. 7). Nevertheless it does not merely compel the State to abstain from such interference: in addition to this primarily negative un-dertaking, there may be positive obligations inherent in an effective “respect” for family life. This means, amongst other things, that when the State determines in its domestic legal sys-tem the regime applicable to certain family ties such as those between an unmarried mother and her child, it must act in a manner calculated to allow those concerned to lead a normal family life. As envisaged by Article 8, respect for family life implies in particular, in the Court’s view, the existence in domestic law of legal safeguards that render possible as from the moment of birth the child’s integration in his family. In this connection, the State has a choice of various means, but a law that fails to satisfy this requirement violates paragraph 1 of Article 8 (art. 8-1) without there being any call to examine it under paragraph 2 (art. 8-2)».

78 Corte EDU, X, Y e Z c. Regno Unito, cit., par. 52.

La famiglia transnazionale fra diritti di cittadinanza e diritti degli stranieri 139

re comportasse per lo Stato l’obbligo di riconoscere alla figlia di un transes-suale, nata tramite fecondazione assistita, la possibilità di avere nel certificato di nascita l’indicazione di un padre diverso da quello biologico.

In maniera analoga, nella decisione della Commissione nel caso A. e A. c. Paesi Bassi

79, la Commissione respinge il ricorso proposto in merito alla violazione dell’art. 8 relativamente alla mancata concessione di un permesso di soggiorno da parte delle autorità olandesi al figlio di un marocchino e del-la sua prima moglie, per il fatto che il padre era regolarmente residente in Olanda con la seconda moglie sposata in questo paese. Nel caso di specie, le autorità olandesi avevano negato il permesso, precisando di intendere il ri-congiungimento familiare limitato a una sola moglie e ai figli della stessa. La Corte riconosce l’esistenza di un’ingerenza nella vita familiare dei ricor-renti, ma ritiene che la stessa sia giustificata alla luce dell’art. 8, par. 2, della CEDU e, in particolare, sulla base del margine di apprezzamento di cui gli Stati godono in merito al settore dell’immigrazione. La discriminazione che si viene a creare tra i figli dello stesso padre persegue uno scopo legittimo e dunque non è contraria all’art. 14 CEDU.

L’individuazione di un giusto equilibrio (fair balance) tra i diritti dei sin-goli al rispetto della loro vita familiare e l’interesse contrapposto dello Stato ospitante è il tratto caratterizzante della giurisprudenza di Strasburgo in ma-teria di immigrazione

80. La portata dell’obbligo di uno Stato di consentire l’ingresso dei familiari

di immigrati dipende dalla situazione degli interessati e dell’interesse gene-rale: gli Stati hanno diritto di controllare l’ingresso degli stranieri sul proprio territorio e l’art. 8 non può essere interpretato nel senso che implichi l’obbli-go generale di rispettare la scelta delle coppie sposate della loro comune re-sidenza e di consentire il ricongiungimento familiare sul proprio territorio.

L’identificazione dei criteri concernenti il contenuto e le finalità di tali obblighi positivi risulta dunque essere un’operazione molto difficile, perché se da un lato la definizione di obblighi positivi limita il potere discrezionale degli Stati nell’applicazione della CEDU, imponendo loro un obbligo di agi-re, dall’altro la Corte riconosce agli Stati un margine d’apprezzamento, deli-

79 Commissione europea diritti dell’uomo, decisione 6 gennaio 1992, n. 14501/89, A. e A. c. Paesi Bassi, p. 72.

80 Cfr. ad esempio Corte EDU 23 aprile 2015, ric. n. 38030/12, Khan c. Germania, par. 40: «the Court has […] consistently held that the Contracting States have a certain margin of appreciation in assessing the need for an interference, but it goes hand in hand with Europe-an supervision. The Court’s task consists in ascertaining whether the impugned measures struck a fair balance between the relevant interests, namely the individual’s rights protected by the Convention on the one hand and the community’s interests on the other».

140 Sara Tonolo

mitato secondo parametri classici: le circostanze di tempo e di luogo, la na-tura del diritto in causa o delle attività in gioco, lo scopo perseguito e l’esi-stenza di elementi comuni ai sistemi giuridici degli Stati membri

81. Così, ad esempio, nel caso Abdulaziz, Cabales e Balkandali, la Corte considera la possibilità che, in presenza di determinate circostanze, gli Stati membri ac-colgano il coniuge di un immigrato al fine di consentirgli di realizzare il di-ritto alla vita familiare, ma rifiuta di leggere nell’art. 8 «a general obligation on …a Contracting State to respect the choice by married couples of the country of their matrimonial residence and to accept the non – national spouses for settlement in that country»

82. I principi elaborati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo sono stati ri-

chiamati dalla Corte di giustizia, in sede di interpretazione della direttiva comunitaria 2003/86/CE del 22 settembre 2003 relativa al ricongiungimento familiare.

Infatti nella sentenza 27 giugno 2006 83, la Corte di Lussemburgo, basan-

dosi sulle norme della Convenzione del fanciullo del 1989, della Carta dei diritti fondamentali del 2000 e della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, ha escluso che le norme della direttiva che subordinano a determinate condizioni il diritto al ricongiungimento familiare dei figli siano contrarie al rispetto della vita familiare, riconoscendo agli Stati «nel conte-sto della direttiva (…) un potere discrezionale limitato» 84. Relativamente al coniuge, l’art. 4, par. 4, della direttiva esclude che possa godere del diritto al ricongiungimento la moglie non convivente in caso di matrimonio poligamo, in cui vi sia già un coniuge convivente con il titolare del diritto di soggiorno, e pertanto autorizza gli Stati a non accordare il diritto di soggiorno. Riguar-do ai figli minori, il principio del superiore interesse del minore richiedereb-be una migliore giustificazione delle misure restrittive.

5. La disciplina del trattamento della famiglia migrante sorge dal coordi-

namento di varie fonti, interne, internazionali e del diritto dell’Unione euro-

81 Si veda in generale sul punto F. SUDRE, Les “obligations positives” dans la jurispru-dence européenne des droits de l’homme, in AA.VV., Protection des droits de l’homme: la perspective européenne, cit., p. 1359 ss.

82 Corte EDU, Abdulaziz, Cabales e Balkandali c. Regno Unito, cit., par. 68; 19 febbraio 1996, ric. n. 23218/94, Gül c. Svizzera, par. 38; 28 novembre 1996, ric. n. 21702/93, Ahmut c. Paesi Bassi, punto 67; 25 marzo 2014, ric. n. 38590/10, Biao c. Danimarca, par. 53; 3 ot-tobre 2014, ric. n. 12738/10, Jeunesse c. Paesi Bassi, par. 107.

83 Corte giust. 27 giugno 2006, causa C-540/03, Parlamento c. Consiglio. 84 Corte giust. 27 giugno 2006, Parlamento c. Consiglio, cit., punto 62.

La famiglia transnazionale fra diritti di cittadinanza e diritti degli stranieri 141

pea, con riguardo ai diversi aspetti relativi alle prerogative dei membri della medesima.

In particolare, con riguardo al ricongiungimento familiare, si segnala che l’Italia ha attuato la direttiva 2003/86/CE

85, lasciando irrisolti i problemi concernenti la definizione di familiari, in particolare con riguardo alle fami-glie poligamiche.

Nel Testo Unico sull’immigrazione, come modificato dal d.lgs. 8 gennaio 2007, n. 5, e dal d.lgs. 3 ottobre 2008, n. 160, e dalla l. 15 luglio 2009, n. 94, si fa riferimento al ricongiungimento del «coniuge» (art. 29, par. 1 lett. a), ri-mettendo tuttavia all’interprete la definizione della nozione di coniuge. C’è da chiedersi se tale nozione vada ricostruita secondo il nostro ordinamento o se-condo quello che potrebbe essere richiamato a regolare questo status. In ogni caso, anche in tale eventualità, rileva la norma dell’art. 86 c.c. che prescrive la libertà di stato come condizione per contrarre il matrimonio, e quindi pare ri-volta a definire il matrimonio come monogamico. Alla luce di tali interpreta-zioni, si deduce pertanto che una sola moglie potrebbe richiedere il ricongiun-gimento, come, tra l’altro prescritto dalla direttiva 2003/86.

L’art. 29 del Testo unico è stato interpretato in maniera tale da consen-tire il ricongiungimento dei figli nati nell’ambito dei matrimoni poligami-ci, grazie ai quali è stato poi riconosciuto anche il diritto di ricongiungi-mento con la madre, eventualmente non titolare del diritto in quanto se-condo coniuge. In base a quanto prevede l’art. 29, par. 5, del Testo Unico, infatti, «è consentito l’ingresso, per ricongiungimento al figlio minore re-golarmente soggiornante in Italia, del genitore naturale che dimostri il pos-sesso dei requisiti di disponibilità di alloggio e reddito di cui al comma 3». Si tratta di un meccanismo volto a garantire al minore il diritto di godere di una vita familiare effettiva mediante il rapporto con entrambi i genitori

86,

85 D.lgs. 8 gennaio 2007, n. 5. 86 App. Torino, decreto 18 aprile 2001, in Dir. fam., 2001, p. 1492: nel caso si trattava di

un marocchino che viveva in Italia con le due mogli e i due figli. L’istanza volta a richiedere di autorizzare il soggiorno della seconda moglie viene respinta dal tribunale dei minorenni di Torino per contrarietà all’ordine pubblico; contro tale decreto marito e moglie propongono ricorso che viene accolto nell’interesse del figlio minore per garantirgli la vicinanza con l’al-tro genitore; Cass. 9 giugno 2005, n. 12169, in Fam. dir., 2005, p. 354: in questo caso si trat-ta di una donna marocchina che ottiene il ricongiungimento in Italia del secondo marito e dei figli nati dal primo matrimonio sciolto con atto di ripudio; l’Ambasciata italiana in Marocco nega il visto di ingresso dei figli perché erano affidati alla tutela del padre. La donna presen-ta ricorso al Tribunale di Perugia previo accertamento del fatto che al mantenimento dei bambini provvedeva la madre, seppure a distanza. Il tribunale accoglie il ricorso, ma il Mini-stero degli esteri e dell’interno propongono reclamo alla Corte d’appello di Perugia che in-

142 Sara Tonolo

in vista del più generale interesse del minore. Nell’ambito del ricongiungimento familiare, vengono in rilievo alcuni

istituti concernenti il diritto di famiglia, la cui applicazione incide sulle pre-rogative dei familiari stessi.

Tra essi rileva in maniera particolare la kafala del diritto islamico, istituto rivolto alla protezione dei minori in stato di necessità, attraverso il quale un soggetto (kafil) assume l’obbligo alla presenza di un giudice o di un notaio di provvedere alle cure del minore, senza con ciò acquisire un rapporto fa-miliare, essendo tra l’altro vietata dal Corano l’adozione. La kafala non in-terrompe il legame giuridico con la famiglia d’origine, non determina un cambiamento di status personale in capo al minore e termina con la sua maggiore età. Tale istituto viene in rilievo come motivo di ricongiungimento familiare in Italia e dunque il riconoscimento dello stesso è ammesso, a tal fine, secondo i procedimenti di cui agli artt. 64-68 della l. 31 maggio 1995, n. 218 (riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato)

87, a se-conda che sia richiesto da cittadini stranieri (ammesso, come statuito ad e-sempio da Cass. 20 marzo 2008, n. 7472)

88 o da cittadini italiani di fede mussulmana (v. Cass. 1° marzo 2010, n. 4868)

89. Se già non fosse evidente il nesso tra diritti fondamentali degli individui,

diritti c.d. di cittadinanza e istituti familiari, con riguardo al caso della rico-noscibilità dell’istituto della kafala, pare opportuno notare che tale nesso è stato sottolineato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nel caso Harroudj c. Francia. Ivi essa ribadisce la propria competenza a «not to substitute itself for the domestic authorities, but rather to review under the Convention the decisions taken by those authorities in the exercise of their power of appre-ciation»

90. Nel caso specifico, la Corte afferma che la mancata conversione di un provvedimento di kafala in un provvedimento di adozione non confi-gura violazione dell’art. 8 della Convenzione perché corrispondente a un di-vieto previsto dalla legge dello Stato in cui tale conversione è richiesta (art. 370-3 code civil francese), che richiama la disciplina dello Stato d’origine

voca il difetto di rappresentanza legale della donna secondo la legge marocchina, applicabile in base all’art. 36, l. 218/95. La donna rileva la contrarietà all’ordine pubblico di tale dispo-sizione e la Corte accoglie tale argomentazione. I ministeri propongono ricorso in Cassazio-ne e la Corte in base al superiore interesse del minore afferma la contrarietà all’ordine pub-blico della legge marocchina applicabile nel caso di specie.

87 L. 31 maggio 1995, n. 218. 88 Cass. 20 marzo 2008, n. 7472, in Riv. dir. int. pr. pr., 2008, p. 809. 89 Cass. 1 marzo 2010, n. 4868, in Riv. dir. int. pr. pr., 2010, p. 754. 90 Corte EDU 4 ottobre 2012, ric. n. 43631/09, Harroudj c. Francia, par. 45.

La famiglia transnazionale fra diritti di cittadinanza e diritti degli stranieri 143

del provvedimento (Algeria). Tale conclusione corrisponde alla giurispru-denza della Corte europea in merito all’art. 8, secondo la quale tale norma si pone a garanzia della continuità transnazionale degli status costituiti in un paese straniero, in corrispondenza alle norme ivi previste.

Detto orientamento trova peraltro conferma nella disciplina della Con-venzione dell’Aja del 1996 sulla tutela dei minori, secondo la quale (art. 23) ai fini del riconoscimento dei provvedimenti di kafala, si esige il ri-spetto dell’art. 33, che dispone la necessità di una consultazione preventiva tra l’autorità competente dello Stato che intende adottare una misura di collocamento o di affido del minore presso un ente o una famiglia tramite l’istituto della kafala e l’autorità centrale dello Stato in cui tale colloca-mento avrà luogo e subordina la decisione della prima alla preventiva ap-provazione da parte di quest’ultima (tenuto conto del superiore interesse del minore). Attualmente l’unico Stato in cui è prevista la kafala, che ha ratificato la Convenzione, è il Marocco e dunque solo per i provvedimenti pronunciati in tale paese si potrebbe porre in essere il meccanismo previsto dalla Convenzione dell’Aja del 1996 finalmente resa esecutiva in Italia 91.

6. L’orientamento della Corte europea relativamente alla considerazione

del riconoscimento degli status familiari acquisiti come parte integrante del rispetto alla vita familiare appare peraltro ormai consolidato, e rilevante, al di là delle specifiche problematiche del ricongiungimento familiare e del ca-so specifico della kafala.

Nella sentenza Wagner e J.M.W.L. c. Lussemburgo 92, la Corte perviene

alla conclusione che le autorità lussemburghesi, rifiutandosi di riconoscere una sentenza peruviana di «adozione piena» di una bimba peruviana da parte della sig.ra Wagner, cittadina lussemburghese non coniugata, hanno violato gli articoli 6 e 8, nonché l’art. 14 della Convenzione. Il motivo del rifiuto, peraltro in un contrasto con una prassi interna consolidata, risiedeva nella contrarietà di detta sentenza con il diritto internazionale privato lussembur-

91 L. 18 giugno 2015, n. 101. 92 Corte EDU 28 giugno 2007, ric. n. 76240/01, Wagner e J.M.W.L. c. Lussemburgo, par.

43, sulla quale si veda: L. D’AVOUT, Arrêt Wagner et J.M.W.L. c. Luxembourg, in Clunet, 2008, pp. 187-198; J.F. FLAUSS, Actualité de la Convention européenne des droits de l’homme (mars – août 2007), L’exequatur des jugements étrangers, in Actualité juridique – Droit Administratif, 2007, pp. 1920-1921; P. KINSCH, Arrêt Wagner et J.M.W.L. c. Luxem-bourg, in Rev. Crit. Droit Int. Privé, 2007, pp. 807-821; F. MARCHADIER, La protection eu-ropéenne des situations constituées à l’étranger, in Recueil Dalloz 2007, pp. 2700-2703; P. PIRRONE, Limiti e ‘controlimiti’ alla circolazione dei giudicati nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti umani: il caso Wagner, in DUDI, 2009, p. 151 ss.

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ghese. Questo, richiamando la legge della cittadinanza dell’adottante, avreb-be reso applicabile l’art. 367 del codice civile lussemburghese il quale stabi-lisce che l’adozione «piena» possa essere pronunciata solo a favore di cop-pie coniugate, mentre le persone non coniugate possono ottenere l’adozione «semplice», che però, a differenza della prima, non interrompe i legami giu-ridici tra l’adottato e la sua famiglia di origine, né integra del tutto l’adottato nella famiglia d’adozione

93. Pertanto «the decision refusing enforcement fails to take account of the social reality of the situation. Accordingly, since the Luxembourg courts did not formally acknowledge the legal existence of the family ties created by the Peruvian full adoption, those ties do not pro-duce their effects in full in Luxembourg. The applicants encounter obstacles in their daily life and the child is not afforded legal protection making it possible for her to be fully integrated into the adoptive family. Bearing in mind that the best interests of the child are paramount in such a case […], the Court considers that the Luxembourg courts could not reasonably dis-regard the legal status validly created abroad and corresponding to a fami-ly life within the meaning of Article 8 of the Convention. However, the na-tional authorities refused to recognise that situation, making the Luxem-bourg conflict rules take precedence over the social reality and the situa-tion of the persons concerned in order to apply the limits which Luxem-bourg law places on full adoption»

94. Del resto, in mancanza di riconosci-mento dell’adozione legittimante, si determina una situazione tanto più pregiudizievole per la ricorrente minore, in quanto nel suo paese d’origine sono ormai interrotti i legami con la famiglia naturale per effetto della pro-nuncia del provvedimento da riconoscere. In conclusione, secondo la Cor-te, il rifiuto delle autorità lussemburghesi di dare applicazione alla senten-za peruviana costituisce un’ingerenza nella vita familiare, intercorsa, in fatto, tra la ricorrente e la minore, ai sensi dell’art. 8, par. 1, CEDU; inge-renza non giustificabile, ex art. 8, par. 2, con l’esigenza di applicare rigoro-samente la disciplina civilistica dell’adozione, in conformità con il diritto internazionale privato lussemburghese.

Nella citata sentenza vengono in rilievo tanto il preminente interesse del minore, richiamato dalla Corte come punto focale della qualificazione del-l’ingerenza nella vita familiare delle ricorrenti (del suo carattere irragione-vole) quanto l’esigenza che gli Stati membri diano considerazione adeguata alla realtà sociale e alla situazione soggettiva concreta degli individui coin-volti. Tali preoccupazioni compaiono anche nella sentenza X e altri c. Au-

93 Corte EDU, Wagner e J.M.W.L. c. Lussemburgo, cit., par. 43-63. 94 Corte EDU, Wagner e J.M.W.L c. Lussemburgo, cit., par. 132-133.

La famiglia transnazionale fra diritti di cittadinanza e diritti degli stranieri 145

stria 95, in cui, nel sancire che il divieto assoluto di adozione coparentale per

le coppie conviventi omosessuali costituisce un’ingerenza sproporzionata nei diritti protetti dagli artt. 8 e 14 CEDU, la Corte ha modo di sottolineare la necessità che la CEDU sia oggetto di continue e rinnovate operazioni in-terpretative, alla luce dei mutamenti sociali, e di ricordare che, secondo giu-risprudenza costante, «the aim of protecting the family in the traditional sen-se is rather abstract and a broad variety of concrete measures may be used to implement it (...). Also, given that the Convention is a living instrument, to be interpreted in present-day conditions, the State, in its choice of means de-signed to protect the family and secure respect for family life as required by Article 8, must necessarily take into account developments in society and changes in the perception of social, civil-status and relational issues, includ-ing the fact that there is not just one way or one choice when it comes to leading one’s family or private life»

96. In ordine alla mancata attuazione delle sentenze straniere in tema di rap-

porti di famiglia, l’art. 8 della CEDU è stato richiamato nel caso Hussin c. Belgio, in cui la Corte di Strasburgo ha constatato che il rifiuto belga di con-cedere l’exequatur ad alcune decisioni tedesche in materia di obbligazioni alimentari, secondo la procedura prevista dalla Convenzione di Bruxelles del 1968 (di cui nel caso era peraltro controversa l’applicabilità), ha rappresen-tato non solo un’ingerenza (seppure giustificata nel caso di specie) nel dirit-to al rispetto della vita privata e familiare, ma anche una lesione del diritto al rispetto dei beni, garantito dall’art. 1 del Protocollo n. 1 alla CEDU

97. Appa-re significativa la necessità di garantire l’unità dello statuto patrimoniale del-le persone, espressa nell’obbligo di riconoscimento delle sentenze che reca-no accertamento di un credito in maniera uniforme all’interno dei diversi Stati, una volta assicurate le garanzie dell’equo processo di cui all’art. 6 del-la CEDU

98. Nella giurisprudenza della Corte, appaiono forme di garanzia

95 Corte EDU, X e a. c. Austria, cit., v. par. 92. 96 Corte EDU, X e a. c. Austria, cit., par. 139. 97 Corte EDU 6 maggio 2004, ric. n. 70807/01, Hussin c. Belgio, par. 17. Nel caso tutta-

via la Corte esclude che vi sia concreta violazione dell’art. 8 della CEDU per la circostanza che il mancato exequatur discende dall’incompetenza delle autorità giurisdizionali cui si so-no rivolti in prima battuta i ricorrenti: «(…) nul ne saurait se plaindre d’une situation qu’il a lui-même pu contribuer à créer (…)». Per l’affermata violazione dell’art. 1 del Protocollo 1 alla CEDU in seguito alla mancata esecuzione di una decisione straniera, già riconosciuta nello Stato richiesto, si veda, seppure in materia estranea al diritto internazionale privato del-la famiglia, Corte EDU 1 aprile 2010, ric. n. 32540/05, Vrbica c. Croazia, par. 56.

98 P. KINSCH, Droits de l’homme, droits fondamentaux et droit international privé, in Re-cueil des Cours, 2005, t. 318, p. 95 s.

146 Sara Tonolo

della continuità degli status familiari, accertati da pronunce giurisdizionali (ad esempio relative alle conseguenze del divorzio) realizzate indirettamen-te, attraverso la dichiarazione di irrilevanza, per la CEDU, della mancata esecuzione in uno Stato membro di sentenze straniere relative allo status matrimoniale, ottenute allo scopo di aggirare la giurisdizione dello Stato membro interessato.

Nella decisione Mc Donald c. Francia, la Corte ha ritenuto manifesta-mente infondato e irricevibile il ricorso instaurato da un cittadino americano contro il rifiuto di riconoscimento e d’esecuzione, da parte dei giudici fran-cesi, di una sentenza del giudice della Florida (Stato di cittadinanza dell’in-teressato), rifiuto che avrebbe violato il diritto a un processo equo del ricor-rente e il divieto di discriminazione nel godimento di tale garanzia sanciti dagli artt. 6 e 14 della Convenzione. Il diniego era stato giustificato dai giu-dici francesi sul c.d. privilegio di giurisdizione francese e sulla frode alla legge commessa dal ricorrente

99. Questi, diplomatico di professione, sposa-tosi in Francia con una cittadina francese, dopo aver adito assieme alla mo-glie il giudice francese e aver ottenuto una sentenza di divorzio con affida-mento congiunto del figlio e obbligo di corrispondere un assegno mensile per il suo mantenimento, non aveva impugnato la decisione giurisdizionale. Aveva bensì ottenuto, qualche tempo dopo, una sentenza di divorzio dal giudice della Florida, di cui chiedeva il riconoscimento in Francia. La sen-tenza di divorzio americana rimetteva alla giurisdizione francese la discipli-na di taluni profili quali l’affidamento del figlio, il contributo agli oneri del suo mantenimento, il diritto di visita. A seguito di tale ultima pronuncia, aveva peraltro cessato di versare alla moglie l’assegno di mantenimento. Le giurisdizioni francesi adite dal ricorrente oppongono alla sua domanda di ri-conoscimento il privilegio di giurisdizione di cui all’art. 15 code civil. La Corte di cassazione francese, in particolare, conferma che l’ex moglie del ricorrente ha titolo, in virtù della sua nazionalità francese, di fruire (dal mo-mento che non vi ha rinunciato) di tale privilegio, implicante la competenza esclusiva dei tribunali francesi, ad esclusione di ogni altra competenza con-corrente dei giudici stranieri, le cui decisioni non sono dunque riconoscibili in Francia.

La Corte EDU, pur riconoscendo che il rifiuto dell’esecuzione della sen-tenza straniera rappresenti un’ingerenza nel diritto a un equo processo ga-rantito dall’art. 6 CEDU, la ritiene nel caso giustificata dal comportamento processuale dello stesso ricorrente: «en règle générale, nul ne saurait se plaindre d’une situation qu’il a lui-même pu contribuer à créer par sa propre

99 Corte EDU 29 aprile 2008, ric. n. 18648/04, Mc Donald c. Francia, par. 83.

La famiglia transnazionale fra diritti di cittadinanza e diritti degli stranieri 147

inaction […]. La Cour observe que le requérant lui-même admet avoir laissé passer le délai pour faire appel. Après avoir été débouté de sa demande en divorce en France, il a saisi le juge américain d’une demande similaire après un court séjour en Floride et, suite au jugement américain, a cessé de verser sa contribution aux charges du mariage à son épouse alors que cette ques-tion n’avait pas été tranchée par le juge américain qui l’avait renvoyée au juge français. La Cour constate qu’avant de former une action devant les juridictions américaines pour ensuite solliciter l’exequatur en France de la décision étrangère, il appartenait au requérant d’interjeter appel du juge-ment du tribunal de grande instance de Marseille du 3 décembre 1997 qu’il avait lui-même initialement choisi de saisir de sa demande en divorce. Il ne saurait dès lors être fait grief aux autorités françaises d’avoir refusé l’exécution d’une décision qui leur est apparue comme ayant pour but de faire échec, du fait de l’inaction du requérant, aux règles de procédure ap-plicables»

100. La non applicabilità dell’art. 6 CEDU esclude la possibile ri-levanza dell’art. 14

101, che, come noto, sancisce la rilevanza del divieto di discriminazione solo in connessione con i diritti e le libertà garantiti dalle altre norme della stessa CEDU e dei protocolli addizionali

102, a differenza di quanto poi previsto dall’art. 1, par. 1, del Protocollo n. 12 del 4 novem-bre 2000

103. L’art. 8 della Convenzione europea viene in rilievo, in punto di continuità

degli status familiari, anche in altri ambiti, come ad esempio in materia di sottrazione internazionale dei minori e garanzie di rispetto della vita familia-re. Nella sentenza della Grande Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo del 6 luglio 2010

104, la mancata esecuzione di una sentenza sviz-zera, che ordinava il rientro di un minore, ritenuto illecitamente sottratto dal-

100 Corte EDU, Mc Donald c. Francia, cit, par. 83. 101 Si veda sul punto P. LAMBERT, La portée de l’article 14 de la Convention européenne

des droits de l’homme, in Rev. Hell. Dr. de l’homme, 2003, p. 59 ss. 102 Corte EDU, Mc Donald c. Francia, cit., par. 83. 103 Protocollo adottato il 4 novembre 2000, in vigore dal 1° aprile 2005; l’Italia l’ha solo

sottoscritto e non ratificato. In generale sul divieto di discriminazione nel sistema CEDU, si veda R. WINTEMUTE, “Within the Ambit”: How is the Gap in Article 14 European Conven-tion on Human Rights?, in Eur. Hum. Rights Law Rev., 2004, pp. 366-382.

104 Corte EDU 6 luglio 2010, ric. n. 41615/07, Neulinger and Shuruk c. Svizzera, par. 132, sulla quale si veda M. DI STEFANO, La Grande Camera si pronuncia sul caso Neulinger e…recupera l’interesse superiore del minore, Quad. dir. pol. eccl., 2010, p. 884 ss.; EAD., Educazione religiosa del minore e sottrazione internazionale dei minori: l’ottimismo teorico della Corte europea dei diritti dell’uomo nel caso Neulinger, in Quad. dir. pol. eccl., 2009, p. 879 ss.

148 Sara Tonolo

la madre al padre, che viveva in Israele, in tale ultimo Stato, viene tuttavia ritenuta non in contrasto con il diritto al rispetto della vita familiare del pa-dre, alla luce della necessità di interpretare la disciplina della Convenzione dell’Aja del 1980 (sulla quale si fondava la procedura di rientro) nell’ottica del «superiore interesse del minore»

105. 7. Dalla affermazione della cittadinanza europea quale status fonda-

mentale dei cittadini degli Stati membri 106, anche inattivi

107, discendono molteplici conseguenze che toccano lo status della c.d. «famiglia transna-zionale».

Vari sono peraltro i settori nei quali all’affermazione della cittadinanza europea si sono ricollegate prerogative riguardanti i diritti fondamentali de-gli individui, e incidenti sulle relazioni familiari.

Tra essi, viene innanzitutto in rilievo quello concernente il diritto al nome degli individui, a partire dalla nota sentenza Garcia Avello, in cui la Corte di giustizia ha affermato che costituisce discriminazione in base alla cittadi-nanza e, come tale, violazione del diritto dell’Unione, il rifiuto da parte del-l’autorità amministrativa di uno Stato membro di registrare i figli sotto il nome che avrebbero secondo le regole di altro Stato membro

108. In forza di questo principio, si è così riconosciuto ad un cittadino spagnolo, sposato con una cittadina belga e residente in Belgio, il diritto di ottenere l’iscrizione dei figli all’anagrafe con il cognome del padre e della madre, come prevede l’ordinamento spagnolo

109. Nel caso specifico, il principio della cittadinanza

105 Nel caso di specie, vengono in particolar modo in considerazione l’integrazione del minore in Svizzera, ove risiede con la madre, e i possibili problemi derivanti dall’imposta-zione religiosa del padre.

106 Corte giust. 20 settembre 2001, Grzelczyk: nel caso, viene in rilievo l’applicazione del divieto di discriminazione in maniera funzionale alla prerogativa, discendente dalla cittadi-nanza europea, della libertà di circolazione e soggiorno in Belgio di uno studente francese, e al conseguimento da parte di quest’ultimo del diritto al «minimo dei mezzi di sussistenza», c.d. «minimex», concesso dalla legge belga ai propri cittadini o ai soggetti in possesso dei requisiti di cui al reg. n. 1612/68.

107 C. MORVIDUCCI, Un nuovo diritto di soggiorno per il cittadino europeo, in M.C. BA-

RUFFI, I. QUADRANTI (a cura di), Libera circolazione e diritti dei cittadini europei, Napoli, 2012, p. 3 ss.

108 Corte giust. 2 ottobre 2003, causa C-148/02, Garcia Avello, punto 45. 109 Artt. 108 e 109 del Còdigo civil spagnolo. Sul punto v. S. BARIATTI, Prime considera-

zioni sugli effetti dei principi generali e delle norme materiali del Trattato CE sul diritto in-ternazionale privato comunitario, in Riv. dir. int. pr. pr., 2003, p. 671 ss.; P. LAGARDE, Nota a Corte giust., 2 ottobre 2003, causa C-148/02, Garcia Avello e Stato belga, in Rev. Crit.

La famiglia transnazionale fra diritti di cittadinanza e diritti degli stranieri 149

dell’Unione viene collegato al principio di uguaglianza di trattamento. L’e-lemento idoneo a ricondurre la fattispecie nell’ambito d’applicazione del di-ritto dell’Unione europea risiede nel possesso della doppia cittadinanza (belga e spagnola) dei minori interessati. Questi non hanno mai esercitato la libertà di circolazione loro riconosciuta dall’art. 21 TFUE, ma l’attribuzione del nome secondo le regole belghe, a fronte del loro stato di cittadini di un altro Stato membro, che utilizza regole diverse, avrebbe comportato (pro-spettivamente) gravi inconvenienti nell’esercizio della loro libertà di circo-lazione. Benché la cittadinanza europea non abbia «lo scopo di ampliare la sfera di applicazione ratione materiae del trattato a situazioni nazionali che non abbiano alcun collegamento con il diritto comunitario»

110, il mero nesso giuridico con l’ordinamento europeo pare alla Corte presupposto idoneo a delineare i limiti che l’ordinamento comunitario può porre all’applicazione delle disposizioni di conflitto nazionali

111. Essa afferma così che, in linea di principio, «le norme che disciplinano il cognome di una persona rientrano nella competenza degli Stati membri», ma che «questi ultimi, nell’esercizio di tale competenza, devono tuttavia rispettare il diritto comunitario»

112.

Nella sentenza Grunkin Paul 113, la Corte ribadisce la rilevanza delle re-

gole nazionali sulla formazione del nome per l’esercizio della libertà di cir-

Droit Int. Privé, 2004, pp. 192-202; A. LANG, Cittadinanza dell’Unione, non discriminazione in base alla nazionalità e scelta del nome, in DPCE, 2004, p. 249 ss.; J. MÖRSDORF-SCHULTE, Europäische Impulse für Namen und Status des Mehrstaaters, in IPRax, 2004, p. 315 ss.

110 Corte giust., 2 ottobre 2003, Garcia Avello, cit., punto 26. Più in generale, sulla ini-doneità della cittadinanza comunitaria ad ampliare la sfera di applicazione del Trattato a si-tuazioni nazionali che non abbiano alcun collegamento con il diritto comunitario, si veda Corte giust. 5 giugno 1997, cause riunite C-64/96 e C-65/96, Land Nordrhein-Westfalen / Uecker e Jacquet / Land Nordrhein-Westfalen. In questi casi, si giunge infatti a negare che i cittadini di uno Stato terzo, coniugati con un lavoratore cittadino di uno Stato membro, pos-sano far valere l’art. 11 del reg. n. 1612/68, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all’interno della Comunità se il coniuge non ha mai esercitato tale ultimo diritto.

111 Sull’inidoneità di tale presupposto a fondare la soluzione della Corte, si veda P. LA-

GARDE, op. cit., p. 195 ss. 112 Corte giust., 2 ottobre 2003, Garcia Avello, cit., par. 25. 113 Corte giust. 14 ottobre 2008, causa C-353/06, Grunkin e Paul sulla quale, si veda M.

LEHMANN, What’s in a name? Grunkin – Paul and Beyond, in Yearb. Priv. Int. Law, 2008, p. 135 ss., p. 158; C. HONORATI, Free circulation of Names for EU Citizens, in Dir. UE, 2009, p. 379 ss.; EAD, La legge applicabile al nome tra diritto internazionale privato e dirit-to comunitario nelle conclusioni degli avvocati generali, in G. VENTURINI, S. BARIATTI (a cura di), op. cit., pp. 473 ss.-476 ss.; V. LIPP, Namensrecht und Europarecht – Die En-tscheidung Grunkin Paul II und ihre Folgen für das deutsche Namensrecht, in Das Stande-samt, 2009, p. 1 ss.

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colazione dei cittadini europei e afferma l’obbligo dello Stato membro di cittadinanza del discendente di riconoscere il nome registrato dai genitori nello Stato membro di nascita e di residenza dello stesso. Nel caso, si tratta del nome di un minore tedesco, nato in Danimarca da genitori tedeschi spo-sati e residenti in Danimarca, attribuito secondo le regole dell’ordinamento danese con il riferimento al cognome del padre e della madre (Grunkin Paul). Poiché secondo il diritto tedesco, il nome di una persona è regolato dalla legge nazionale che, nel caso di specie, prevede l’attribuzione del no-me del padre, le autorità dello stato civile tedesco rifiutano di riconoscere il doppio cognome attribuito secondo la legge danese. Le autorità tedesche, adite dai genitori per ottenere il riconoscimento del doppio cognome previ-sto dalla legge danese, chiedono alla Corte se la disciplina tedesca che rego-la il nome in base al collegamento della cittadinanza sia in contrasto con il divieto di discriminazione, trattandosi nel caso di un soggetto in possesso della cittadinanza tedesca e dunque non configurandosi tecnicamente una violazione del divieto di discriminazione in base alla nazionalità. La Corte, avendo escluso che l’applicazione della regola di diritto internazionale pri-vato tedesca produca effetti discriminatori, ritiene tuttavia che la mancata registrazione del nome secondo le regole danesi sia idoneo a configurare seri inconvenienti a carico del cittadino europeo nell’esercizio della sua libertà di circolazione, e dunque un ostacolo ingiustificato ai sensi dell’art. 21 TFUE. Invero «(…) nessuno dei motivi dedotti a sostegno del collegamento della determinazione del cognome di una persona alla sua cittadinanza, per quanto possano di per sé essere legittimi, merita di essere considerato talmente im-portante da giustificare che le autorità competenti di uno Stato membro, in circostanze come quelle della causa principale, rifiutino di riconoscere il co-gnome di un figlio così come esso è stato determinato e registrato in un altro Stato membro in cui tale figlio è nato e risiede sin dalla nascita»

114. Affermando l’obbligo dello Stato membro di (unica) cittadinanza di rico-

noscere il nome attribuito nello Stato membro di residenza la Corte delinea il principio del mutuo riconoscimento degli status quale principio generale dell’ordinamento dell’Unione europea; in tale operazione assumono certa-mente rilievo sia la giurisprudenza tramite la quale sono state chiarite le pre-rogative connesse alla cittadinanza europea

115, sia l’affermazione del diritto

114 Corte giust. 14 ottobre 2008, Grunkin e Paul, cit., par. 31. 115 Corte giust. 7 luglio 1992, causa C-369/90, Micheletti e a. c. Delegación del Go-

bierno en Cantabria. Nel caso era in questione la libertà di stabilimento in Spagna di un soggetto titolare di cittadinanza argentina e italiana, per la previsione dell’art. 9, n. 9 del Còdigo civil spagnolo, secondo la quale «Agli effetti del presente capitolo, le situazioni di

La famiglia transnazionale fra diritti di cittadinanza e diritti degli stranieri 151

al nome come diritto fondamentale, tutelato dalla CEDU e operante nell’or-dinamento dell’Unione europea

116. La rilevanza del nome nelle relazioni familiari transnazionali è inoltre

posta in luce dalla sentenza pronunciata dalla Corte di giustizia nel caso Sayn – Wittgenstein

117. Tale sentenza riguarda il caso di una donna au-striaca, adottata in Germania da un cittadino tedesco, Lothar Fürst von Sayn – Wittgenstein, di cui ha assunto il nome Ilonka von Sayn Wittgen-stein. Tale nome viene annotato sui documenti tedeschi della donna (pas-saporto, patente di guida). Ai fini del riconoscimento del nome in Austria, viene tuttavia in rilievo la legge austriaca concernente l’abolizione dei tito-li nobiliari, legge (ritenuta espressione del principio di uguaglianza fra cit-tadini nazionali, secondo la concezione austriaca, e elemento della identità costituzionale di tale Stato membro) in base alla quale le autorità viennesi considerano non riconoscibile il certificato di nascita dell’interessata, e si rivolgono alla Corte per sapere se l’art. 21 TFUE contrasti la regola in base alla quale le autorità di uno Stato membro possono rifiutare di riconoscere il nome di un minore adottato (ormai adulto), attribuito in un altro Stato membro, quando tale nome comprende un titolo nobiliare non ammesso nel primo Stato. La Corte afferma che le regole concernenti il nome di una persona e i titoli nobiliari rientrano nella competenza degli Stati membri, ma devono rispettare il diritto dell’Unione europea. Osserva inoltre che

doppia cittadinanza previste dalla legge spagnola saranno disciplinate in conformità alle disposizioni dei trattati internazionali e, in mancanza di disposizioni al riguardo, sarà data preferenza alla cittadinanza corrispondente all’ultima residenza abituale o, in difetto, all’ultima cittadinanza acquisita. In ogni caso, la cittadinanza spagnola prevarrà su tutte le altre non previste dalle nostre leggi o dai trattati internazionali. In ogni caso di cittadinan-za doppia o più che doppia, senza che alcuna di esse sia quella spagnola, la legge applica-bile è quella determinata al numero seguente», e per quella dell’art. 9, n. 10 secondo cui «sarà considerata come legge sullo stato delle persone degli apolidi o delle persone la cui legge è indeterminata la legge del luogo della loro residenza abituale». Sulla possibilità di estendere le rilevanti affermazioni della Corte circa il rapporto tra cittadinanza e libertà di stabilimento alla cittadinanza comunitaria, si veda in generale R. KOVAR, D. SIMON, La citoyenneté européenne, in CDE, 1993, pp. 285-315, p. 290 ss.; Corte giust. 11 luglio 2002, causa C-224/98, D’Hoop, punto 35; 11 luglio 2002, causa C-60/00, Carpenter, pun-to 40; 17 settembre 2002, causa C-413/99, Baumbast e R., 20 settembre 2001, Grzelczyk, cit., punto 31.

116 S. TONOLO, La legge applicabile al diritto al nome dei bipolidi nell’ordinamento co-munitario, in Riv. dir. int. pr. pr., 2004, p. 959 ss.; R. BARATTA, Problematic Elements of an Implicit Rule Providing for Mutual Recognition of Personal and Family Status in the EC, in IPRax, 2007, 7-9.

117 Corte giust. 22 dicembre 2010, causa C-208/09, Sayn-Wittgenstein.

152 Sara Tonolo

l’attribuzione di nomi diversi in documenti diversi può determinare confu-sione in merito all’identità della persona, con implicazioni problematiche anche ai fini della libertà di circolazione garantita dall’art. 21 TFUE. Gli ostacoli alla libertà di circolazione delle persone possono giustificarsi solo se si fondano su considerazioni oggettive e sono proporzionati all’obiettivo legittimamente perseguito dalle legislazioni nazionali. Nel caso in esame, la Corte ritiene che la legge austriaca che ha abolito i titoli nobiliari sia stata adottata per principi di ordine pubblico interno e che di per sé non si ponga in contrasto con il divieto di discriminazione. La Corte ritiene proporzionato all’obiettivo dell’uguaglianza di trattamento il divieto dell’acquisto, del pos-sesso e dell’uso di titoli nobiliari.

Di conseguenza, nel caso Sayn-Wittgenstein l’art. 21 TFUE non osta al mancato riconoscimento, da parte delle autorità di uno Stato membro, del nome attribuito entro un altro Stato membro, per contrasto con norme di or-dine pubblico vigenti in quello Stato.

All’origine del caso Runevič-Vardyn e Wardyn 118 una cittadina lituana,

appartenente alla minoranza polacca in Lituania, e suo marito, cittadino po-lacco, si rivolgevano alle autorità lituane per ottenere la trascrizione del loro nome secondo le regole della grafia polacca. Relativamente al nome di en-trambi, si erano delineati vari problemi: il nome della moglie era stato attri-buito alla stessa dalla sua famiglia di origine conformemente alle regole del-la grafia polacca, ma era stato trascritto in caratteri lituani in un certificato di nascita e nel passaporto consegnato alla stessa dalle autorità lituane; nel cer-tificato di matrimonio, contratto a Vilnius nel 2007 con un cittadino polacco, il nome di entrambi veniva scritto secondo le regole e i caratteri lituani: non conoscendo la lettera W, il nome del marito risultava Vardyn e, essendo stati omessi i segni diacritici della grafia polacca, il nome della moglie veniva scritto come Runevic. Le autorità lituane rifiutarono di conformarsi alla ri-chiesta, presentata dalla sig.ra Runevič-Vardyn, di modifica del certificato di nascita e di matrimonio secondo le regole polacche.

Alla Corte di giustizia vengono poste varie questioni, relative alla confi-gurazione del comportamento delle autorità lituane come discriminazione ovvero restrizione vietata dagli artt. 18 e 21 TFUE. La Corte osserva che, quando un cittadino dell’Unione europea si sposta in uno Stato membro di-verso da quello di origine e si sposa con un cittadino di tale Stato, il fatto che poi i documenti acquisiti in tale Stato (nel caso la famiglia risiede in Belgio) siano redatti secondo le regole ivi vigenti non determina un tratta-

118 Corte giust. 12 maggio 2011, causa C-391/09, Runevič-Vardyn e Wardyn.

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mento meno favorevole di quello di cui tale soggetto avrebbe potuto godere prima di far uso del diritto alla libertà di circolazione. Secondo la Corte, la legge lituana non si configura neppure, nel caso di specie, come ostacolo al-la libertà di circolazione dei cittadini dell’Unione. In particolare, relativa-mente al certificato di matrimonio, la Corte afferma che il rifiuto di modifi-care il nome di famiglia comune non costituisce un ostacolo all’esercizio delle libertà fondamentali, a meno che non si determinino «gravi inconve-nienti» di ordine amministrativo, professionale e privato per gli interessati (secondo i precedenti Garcia Avello e Grunkin-Paul), la cui valutazione rientra però nella valutazione del giudice nazionale.

Evidente dunque che, nell’interpretazione della Corte, la portata delle prerogative di cittadinanza europea sull’esercizio del diritto al nome e sulle norme ad esso strumentali, comprese le norme di diritto internazionale pri-vato, viene effettuata sulla base della considerazione dei «seri inconvenien-ti» che possono derivare dalle limitazioni al concreto esercizio delle libertà di circolazione, ritenuti determinanti nei primi due casi, e diversamente con-siderati oggetto di possibile giustificazione nel terzo caso, o di eventuale va-lutazione discrezionale da parte del giudice nazionale nel quarto caso.

Tra i diritti fondamentali connessi alle relazioni familiari e oggetto di considerazione dalla Corte di giustizia, è opportuno inoltre ricordare l’am-bito dei diritti sociali (ad esempio accesso all’istruzione, previdenza sociale, ecc.). In tale contesto, rilevante è stata l’estensione interpretativa del divieto di discriminazione in vista degli obiettivi cui è rivolta la previsione della cit-tadinanza.

Nel noto caso Baumbast 119, la Corte ha stabilito che rappresenta un’inge-

renza sproporzionata nell’esercizio del diritto di soggiorno la negazione, da parte del Regno Unito, del diritto di soggiorno a un cittadino tedesco che, disponendo di risorse sufficienti, aveva risieduto legalmente in quello Stato per vari anni e aveva sottoscritto per sé e per la sua famiglia un’assicurazio-ne contro le malattie in un altro Stato membro dell’Unione. Svolgendo il ra-gionamento, che si fonda sul principio secondo cui «lo status di cittadino

119 Corte giust. 17 settembre 2002, Baumbast e R., cit., punti 92-93; per un caso analogo si veda Corte giust., 11 luglio 2002, D’Hoop, cit., punto 35, in cui la Corte di giustizia ha affermato che la negazione del sussidio di disoccupazione, generalmente concesso dal Bel-gio ai giovani che abbiano completato gli studi e siano in cerca di prima occupazione, a una cittadina belga che aveva compiuto gli studi secondari in un altro Stato membro (Francia), è comunque contraria ai principi su cui poggia lo status di cittadino dell’Unione, ovvero la garanzia del medesimo trattamento giuridico nell’esercizio della propria libertà di soggiorna-re nel territorio degli Stati membri.

154 Sara Tonolo

dell’Unione è destinato ad essere lo status fondamentale dei cittadini degli Stati membri», già affermato in precedenza

120, la Corte stabilisce infatti che «un cittadino dell’Unione europea che non benefici più nello Stato membro ospitante del diritto di soggiorno in qualità di lavoratore migrante può, in qualità di cittadino dell’Unione europea, ivi beneficiare del diritto di sog-giorno in virtù dell’efficacia diretta dell’art. 18, n. 1, CE» (ora 20 TFUE)

121. La sentenza in esame rileva, tuttavia, ai fini di precisare non solo i diritti de-rivanti dalla cittadinanza europea, ma anche la compatibilità della legisla-zione inglese sull’immigrazione con gli art. 17 e 18 trattato CE (ora 20 e 21 TFUE), con gli artt. 10-12 del regolamento 1612/68 e con la direttiva del Consiglio del 28 giugno 1990, n. 90/364, a seguito del rinvio pregiudiziale proposto dall’Immigration Appeal Tribunal, adito dal sig. Baumbast, citta-dino tedesco, coniugato con una cittadina colombiana, e padre di figlie di nazionalità tedesca e colombiana, e dalla Signora R., cittadina americana, coniugata con un cittadino francese, e madre di due figlie titolari di cittadi-nanza francese e americana, al fine di ottenere il permesso di soggiorno per sé e per i propri figli.

Le due cause, riunite dal giudice nazionale ai fini del rinvio pregiudiziale, riguardavano tuttavia fattispecie diverse: nel caso R., si trattava di un divor-zio tra un cittadino francese e una cittadina americana, a seguito del quale le figlie avevano continuato a vivere con la madre; nel caso Baumbast, il pa-dre, cittadino tedesco, si era trasferito in Regno Unito per motivi di lavoro ed era stato raggiunto dalla moglie, cittadina colombiana, dalla figlia della stessa, cittadina colombiana anch’essa, e dalla figlia dei coniugi, titolare di cittadinanza tedesca e colombiana. Le discriminazioni di cui avrebbero potu-to essere oggetto i figli titolari di doppia cittadinanza del Signor Baumbast e della Signora R. vengono censurate dalla Corte con l’affermazione secondo la quale «i figli di un cittadino dell’Unione europea stabiliti in uno Stato membro, ove il genitore si avvalga del diritto di soggiorno in quanto lavora-tore migrante nello Stato membro medesimo, godono del diritto di soggior-nare in tale Stato al fine di seguirvi corsi di insegnamento generale, confor-memente al regolamento n. 1612/68»

122. Più recentemente, la Corte ha riconosciuto i diritti dei familiari dei citta-

dini dell’Unione europea, anche se cittadini di Stati terzi, in un contesto fi-nalizzato all’esercizio delle prerogative della cittadinanza europea.

120 Corte giust. 20 settembre 2001, Grzelczyk, cit., punto 31. 121 Corte giust., 17 settembre 2002, Baumbast e R., cit., punto 94. 122 Corte giust. 17 settembre 2002, Baumbast e R., cit., punto 63.

La famiglia transnazionale fra diritti di cittadinanza e diritti degli stranieri 155

Nel caso Ibrahim 123, ad esempio, la Corte conclude che i figli minori di

un cittadino di uno Stato membro (Danimarca), che lavora in un altro Stato membro (Regno Unito), e il coniuge, cittadino di uno Stato terzo, possono ottenere il diritto di residenza in base all’art. 12 del regolamento 1612/68, senza necessità di dimostrare la disponibilità di risorse sufficienti o l’esisten-za di un’assicurazione entro tale Stato. Nel caso Teixeira

124, la Corte affer-ma che l’art. 12 del regolamento 1612/68 consente al minore, figlio di un la-voratore migrante, il diritto di soggiorno autonomo e fondato sul diritto al-l’insegnamento nello Stato ospitante. A tale diritto si accompagna il diritto di soggiorno del genitore (cittadino di uno Stato terzo), che ha la responsabi-lità genitoriale sul minore finché gli studi dello stesso non siano conclusi. Evidente, in quest’ultimo caso, il nesso tra diritti di cittadinanza e diritti fondamentali riconosciuti ai membri della famiglia.

8. L’evoluzione della giurisprudenza di Lussemburgo in merito alle ga-

ranzie derivanti dalla cittadinanza dell’Unione ha condotto a un notevole ampliamento dei diritti di cittadinanza, seppure secondo un percorso talora tortuoso e in cui rimangono ancora molti punti oscuri.

Nella notissima sentenza Chen, al fine di attrarre la situazione di una cit-tadina minore irlandese residente in Regno Unito, e della madre di naziona-lità cinese che le garantisce cura e sostentamento, entro le garanzie dell’art. 20 e 21 TFUE e del diritto derivato, la Corte di giustizia ha affermato che «non spetta a uno Stato membro limitare gli effetti dell’attribuzione della cittadinanza di un altro Stato membro, pretendendo un requisito ulteriore per il riconoscimento di tale cittadinanza al fine dell’esercizio delle libertà fon-damentali previste dal Trattato»

125. Nel caso Ruiz Zambrano

126, la Corte ha ulteriormente sviluppato tale o-rientamento estensivo, affermando che un cittadino di un paese terzo, padre

123 Corte giust. 23 febbraio 2010, causa C-310/08, Ibrahim e Secretary of State for the Home Department.

124 Corte giust. 23 febbraio 2010, causa C-480/08, Teixeira. 125 Corte giust. 19 ottobre 2004, causa C-200/02, Zhu e Chen, punto 39: nel caso di spe-

cie tale limitazione viene ritenuta possibile da parte del Regno Unito, in quanto si tratta del diritto di soggiorno di una bambina, figlia di cittadina cinese, e cittadina irlandese in quanto nata in Irlanda, ove la madre si era trasferita al termine della gravidanza. La Corte ha tuttavia respinto tali argomentazioni perché configurerebbe una limitazione della cittadinanza la ne-gazione di una libertà fondamentale garantita dal diritto comunitario, per il solo fatto che l’acquisto della cittadinanza di uno Stato membro miri a procurare al cittadino di uno Stato terzo un diritto di soggiorno ai sensi del diritto comunitario.

126 Corte giust. 8 marzo 2011, causa C-34/09, Ruiz Zambrano.

156 Sara Tonolo

colombiano di due minori che hanno ottenuto la nazionalità belga in ragione della combinazione della disciplina belga sulla nazionalità (che mira a pre-venire l’apolidia) e del diritto colombiano sulla nazionalità (che richiede la registrazione dopo la nascita), può fondarsi sull’art. 20 TFUE per ottenere un diritto di soggiorno e un permesso di lavoro nello Stato membro di cui i minori hanno nazionalità «per non privare i minori dei diritti connessi allo statuto di cittadino dell’Unione europea». Ciò anche se i minori ancora non hanno esercitato le prerogative di libera circolazione derivanti dalla cittadi-nanza europea.

Da questa decisione discendono effetti molto rilevanti quanto all’esten-sione delle prerogative della cittadinanza europea idonea a incidere non solo sulla posizione dei titolari della medesima, ma anche su quella dei cittadini degli Stati terzi, stretti congiunti dei primi. La Corte tuttavia non ne defini-sce i contorni, né richiama le condizioni elaborate nel caso Chen.

In effetti dopo pochi mesi la Corte ha rivisto tale orientamento nella sen-tenza Mc Carthy, affermando che una cittadina britannica, che aveva legal-mente ottenuto la cittadinanza irlandese, ma non aveva mai esercitato il suo diritto di libera circolazione in tale ultimo Stato membro ai sensi dell’art. 21 TFUE, non poteva fondarsi sulla cittadinanza europea per consentire a suo marito (cittadino giamaicano) di ottenere un diritto di soggiorno nel Regno Unito

127. Infine nella sentenza Dereci, la Corte richiamando la formula del caso Ruiz Zambrano, che garantisce i cittadini dell’Unione contro «provve-dimenti nazionali che abbiano l’effetto di privare [i medesimi] del godimen-to effettivo del nucleo essenziale dei diritti conferiti dallo status» di cittadi-nanza europea, decide che non è base sufficiente per attivare tale garanzia la circostanza che detti cittadini ritengano preferibile che i membri della loro famiglia (cittadini di paesi terzi) possano risiedere con loro in uno Stato membro e ciò venga loro negato

128. Dalla disamina che precede risulta che le prospettive secondo cui la Corte

europea dei diritti dell’uomo e la Corte di giustizia dell’Unione europea si

127 Corte giust. 5 maggio 2011, causa C-434/09, Mc Carthy, punto 56. 128 Corte giust. 21 novembre 2011, causa C-256/11, Dereci e a., punto 68: «la mera cir-

costanza che possa apparire auspicabile al cittadino di uno Stato membro, per ragioni eco-nomiche o per mantenere l’unità familiare nel territorio dell’Unione, che i suoi familiari, che non possiedono la cittadinanza di uno Stato membro, possano soggiornare con lui nel territo-rio dell’Unione, non basta di per sé a far ritenere che il cittadino dell’Unione» si trovi nella situazione Zambrano sopra evocata. Su detta giurisprudenza v. S. AMADEO, I diritti fonda-mentali dei familiari di cittadini europei fra garanzie della famiglia e garanzie della libera circolazione, in A. ANNONI, P. MORI (a cura di), I diritti delle famiglie migranti fra integra-zione e tutela della diversità, Torino, 2015, p. 23, 69 ss.

La famiglia transnazionale fra diritti di cittadinanza e diritti degli stranieri 157

orientano per tutelare i diritti derivati dalle relazioni familiari sono profon-damente diverse.

Secondo la Corte europea, il principio implicito della continuità degli sta-tus sotteso alla tutela della vita familiare consente il controllo dei sistemi giuridici nazionali al fine di realizzarlo: non vi è dunque contrapposizione, ma controllo in vista di un principio superiore.

Nell’orientamento della Corte di giustizia dell’Unione europea le prero-gative discendenti dalla cittadinanza europea divengono prioritarie rispetto ai diversi sistemi normativi nazionali.

Oltre ai casi in cui, come si è detto, la Corte ha inciso sull’applicazione delle norme statuali in vista degli obiettivi della cittadinanza europea (in si-tuazioni di libera circolazione e in situazioni di stanzialità), è stato inoltre precisato che le regole statuali concernenti la cittadinanza possono farsi rien-trare nel campo d’applicazione materiale della cittadinanza europea. Rile-vante a tal riguardo appare il caso Rottmann

129: un cittadino austriaco, tra-sferitosi in Germania (per sottrarsi a un procedimento penale da cui era stato colpito in Austria), aveva ottenuto la cittadinanza tedesca per naturalizza-zione e perso, conseguentemente, quella originaria austriaca, secondo quan-to prevede la legge austriaca; in seguito, si vedeva revocare la cittadinanza tedesca con effetto ex tunc poiché le autorità tedesche erano venute a cono-scenza che nei suoi confronti era stato emesso, in Austria, un mandato di ar-resto per truffa aggravata nell’esercizio della professione svolta.

La Corte di Lussemburgo, dopo aver chiarito che tale questione rileva anche per il diritto dell’Unione europea, dato che la revoca della cittadinan-za tedesca comporta anche la perdita dello status di cittadino dell’Unione, stabilisce che non è necessariamente contrario al diritto dell’Unione europea che uno Stato membro revochi a un cittadino dell’Unione la cittadinanza di questo Stato acquisita in maniera fraudolenta, anche in quanto conforme alle disposizioni del diritto internazionale contenute nella Convenzione sulla ri-duzione dei casi di apolidia del 30 agosto 1961 (art. 8, par. 2), e nella Con-venzione del Consiglio d’Europa sulla cittadinanza del 6 novembre 1997 (secondo cui un soggetto può essere privato della cittadinanza di uno Stato contraente qualora l’abbia ottenuta mediante false dichiarazioni o in modo fraudolento). La Corte sottolinea tuttavia che nella revoca della cittadinanza lo Stato membro deve essere consapevole degli effetti sulla cittadinanza eu-ropea e dunque la decisione di revocare la cittadinanza deve rispettare il «principio di proporzionalità» 130.

129 Corte giust. 2 marzo 2010, causa C-135/08, Rottmann. 130 Corte giust. 2 marzo 2010, Rottmann, cit., punti 33-56.

158 Sara Tonolo

Differenti gli effetti degli orientamenti sino ad ora considerati nei sistemi giuridici nazionali.

L’emersione di un principio di continuità degli status familiari implicito nell’art. 8 della Convenzione europea induce a ritenere gli Stati obbligati a riconoscerlo, per corrispondere all’obbligo convenzionale, come è accaduto ad esempio nell’ordinamento italiano, con riguardo al caso del matrimonio dello straniero in Italia. Nella sentenza della Corte Costituzionale n. 245 del 2011

131, la libertà matrimoniale, intesa nella duplice accezione, positiva, co-me libertà di contrarre matrimonio con chi e quando si preferisce, senza di-scriminazioni, e negativa, come libertà di non contrarre matrimonio o di convivere senza matrimonio, è definita come un diritto fondamentale della persona tutelato, a livello internazionale e costituzionale, secondo discipline che operano su livelli diversi e, con specifico riguardo alla tutela dei diritti dell’uomo, con differenti strumenti dotati di diversi gradi di effettività

132. I limiti posti a tale diritto dalle leggi nazionali, secondo quanto prevede ad esempio l’art. 12 della Convenzione europea, devono fondarsi sulla necessi-tà di salvaguardare valori e interessi particolarmente rilevanti

133. Nell’ordi-namento italiano, le condizioni per contrarre matrimonio riguardano l’esi-stenza e l’integrità del consenso e il mancato contrasto con i principi ritenuti

131 Corte cost. 25 luglio 2011, n. 245, in Giur. it., 2012, p. 1260 con nota di L. CONTE, La Corte, il legislatore, il matrimonio: forma (e contenuti) di un divieto incostituzionale, ibidem.

132 Sul punto si veda F. SORRENTINO, La tutela multilivello dei diritti, in Riv. it. dir. pubb. com., 2005, p. 79 ss.

133 Come ad es. nel caso deciso da Corte EDU 3 dicembre 1997, ric. n. 33257/96, Kruger c. Olanda, par. 66, in cui i ricorrenti lamentavano che imporre ai nubendi la compilazione di un questionario per l’ufficio di polizia qualora uno dei due fosse straniero, al fine di ottenere una dichiarazione abilitante al matrimonio, configurava una discriminazione. La Corte tutta-via ritenne che tale discriminazione aveva una giustificazione oggettiva ragionevole fondata sull’obiettivo di evitare i matrimoni di comodo. Si veda in senso analogo la sentenza della Corte EDU 11 luglio 2006, ric. n. 8407/05, Savoia e Bounegru c. Italia, par. 33, in cui il ri-corso di un cittadino italiano e di una cittadina moldava, che lamentavano il fatto di non aver potuto celebrare il matrimonio in Italia perché alla donna era stato negato il permesso di soggiorno, è stato dichiarato irricevibile perché qualche tempo dopo il diniego le parti ave-vano celebrato il matrimonio in Moldavia e la moglie aveva così ottenuto il permesso di in-gresso in Italia come familiare: «(…) il diritto di contrarre matrimonio non include in linea di principio il diritto di scegliere il luogo geografico del matrimonio. Il rifiuto di permettere l’ingresso in uno stato straniero della fidanzata non contrasta con il diritto individuale di sposarsi secondo l’art. 12 della convenzione, se la coppia può sposarsi nel paese di residenza della fidanzata». Si veda inoltre Corte EDU 14 dicembre 2010, ric. n. 34848/07, O’ Dono-ghue e altri c. Regno Unito, parr. 81-84, in cui la Corte ravvisa una violazione dell’art. 12 della Convenzione nella disciplina inglese concernente la capacità matrimoniale di cittadini stranieri.

La famiglia transnazionale fra diritti di cittadinanza e diritti degli stranieri 159

di ordine pubblico (libertà di stato, assenza di vincoli di parentela, delitto). La richiesta di una condizione ulteriore per i cittadini stranieri, riguardante la regolarità del soggiorno, prevista dall’art. 116 c.c. per effetto della l. n. 94 del 15 luglio 2009, secondo la quale lo straniero che intenda sposarsi in Ita-lia deve presentare, oltre al nulla – osta, un documento attestante la regolari-tà del soggiorno in Italia, non necessariamente attraverso la produzione del permesso di soggiorno, ma anche tramite gli altri documenti a tal fine desti-nati (quali ad esempio l’attesa del rilascio del permesso di soggiorno o l’attesa del rinnovo del permesso di soggiorno), costituisce una limitazione non giustificata della libertà matrimoniale, anche alla luce del fatto che nell’art. 12 della Convenzione europea non si prevede l’esigenza di tutela della «sicurezza nazionale», che consente invece l’ingerenza della pubblica autorità nell’esercizio di taluni diritti, come il diritto alla vita privata e fami-liare (art. 8 CEDU). Ciò, naturalmente, ove, secondo le indicazioni della Corte di Strasburgo, ricorrano quelle condizioni e circostanze concernenti il fatto che uno dei nubendi sia cittadino italiano e il matrimonio non possa es-sere celebrato altrove

134, per impedimenti matrimoniali previsti nel-l’ordinamento di origine dello straniero contrari ai diritti fondamentali, fon-dati su motivi religiosi (ad esempio il divieto per la donna islamica di sposa-re il non islamico), o politici. La conferma della preminente tutela accordata al diritto al matrimonio quale espressione di una libertà fondamentale rende più evidente il contrasto della modifica dell’art. 116 c.c. con i principi del diritto costituzionale ed internazionale, come rilevato dalla Corte Costitu-zionale

135 che ha censurato il fatto che lo straniero venga trattato in modo differenziato rispetto alla tutela di diritti inviolabili.

Molto più difficile è prevedere gli esiti della giurisprudenza Zambrano, McCarthy e Dereci sulla giurisprudenza nazionale.

Nel caso Zambrano, la Corte, come ricordato, attribuisce ai familiari di cittadini europei minori e stanziali un diritto di soggiorno derivante diretta-mente dalle norme del Trattato sulla cittadinanza europea (art. 20 TFUE). Il diniego di tale permesso di soggiorno si traduce invero in una lesione dei di-ritti connessi allo status di cittadino dell’UE del figlio minore, che sarebbe costretto a lasciare il territorio dello Stato membro di nazionalità a seguito del padre. Sulla base degli stessi principi, a Zambrano va anche riconosciuto il diritto di lavorare in Belgio perché possa provvedere al mantenimento del figlio. Nel caso McCarthy invece si nega il diritto di soggiorno al marito del-la sig.ra McCarthy cittadino di Stato terzo, perché tale diniego non si tradur-

134 Corte EDU, Savoia e Bounegru c. Italia, cit., par. 3. 135 Corte cost. 25 luglio 2011, n. 245, cit.

160 Sara Tonolo

rebbe in una lesione dei diritti dell’interessata. Nel caso Dereci infine i cit-tadini minori dell’Unione, con i quali è chiesto il ricongiungimento da parte di stretti congiunti cittadini di Stati terzi, possono contare sulla presenza di un genitore cittadino dell’Unione, soggiornante nel medesimo Stato mem-bro, e dunque non dipendono dai familiari cittadini di Stato terzo per il loro sostentamento. La Corte rimette quindi al giudice nazionale la valutazione della lesione dei diritti connessi allo status di cittadino dell’Unione che chiede il ricongiungimento. Nell’ordinamento italiano gli effetti della giuri-sprudenza Zambrano sono stati in parte considerati dall’art. 30, comma 1, lett. d), del Testo Unico sull’immigrazione, che già prevedeva la possibilità di richiedere un permesso di soggiorno per il genitore cittadino di paese ter-zo, anche naturale, di minore italiano a condizione che non fosse stato priva-to della potestà genitoriale. In Italia, quindi, il sig. Ruiz Zambrano avrebbe ottenuto il permesso di soggiorno se il figlio fosse stato cittadino italiano (si-tuazione peraltro difficile da ipotizzare in base all’attuale assenza di previ-sione dell’acquisto della cittadinanza italiana iure soli), sulla base del solo diritto nazionale.

La giurisprudenza Dereci avrà invece esiti più interessanti perché con-sente di far valere i diritti derivanti dallo status di cittadino dell’Unione eu-ropea, all’interno dello Stato di cittadinanza, in base a una valutazione di-screzionale del giudice nazionale.

Infine appaiono particolarmente problematiche le conseguenze interna-zionalprivatistiche di tale giurisprudenza, in tutti i casi in cui la cittadinanza rilevi come criterio di collegamento.

Dal momento che, a partire dal caso Zambrano, la Corte può controllare i provvedimenti interni che privino i cittadini dell’Unione del loro status fon-damentale, si potrebbe ipotizzare che, qualora la scelta della legge applicabi-le conduca all’ordinamento di uno Stato terzo ignorando la cittadinanza di uno Stato membro e dunque quella europea, la disciplina richiamata si con-sideri incompatibile con le norme del diritto dell’Unione europea in materia di cittadinanza dell’Unione e dunque incontri il limite dell’art. 20 TFUE. Inoltre è prevedibile che alla luce di tale orientamento si incida ulteriormen-te sul gioco delle norme di conflitto, nelle relazioni familiari transnazionali, ove la loro applicazione non risulti funzionale alle prerogative della cittadi-nanza europea. Sempre con riguardo alla giurisprudenza Zambrano, e al test del godimento effettivo del nucleo essenziale dei diritti conferiti dallo status di cittadinanza europea, pare difficile conciliare lo stesso con l’applicazione del criterio di collegamento della cittadinanza, dato che quest’ultimo, seppu-re a titolo residuale, in seguito all’estensione del collegamento della residen-za nel sistema dell’Unione europea, rischia di determinare soluzioni contra-

La famiglia transnazionale fra diritti di cittadinanza e diritti degli stranieri 161

stanti proprio in materia di relazioni familiari transnazionali. In conclusione, pare allora opportuno chiedersi se l’estensione dei diritti

individuali sulla base della cittadinanza europea sia davvero uno strumento efficace per garantire i diritti dei membri della famiglia transnazionale, o se forse il percorso intrapreso dalla Corte europea dei diritti dell’uomo tramite il riconoscimento degli status acquisiti nel paese d’origine sia più coerente con una piena realizzazione del diritto fondamentale alle relazioni personali e familiari.

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