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La funzione del coro nella produzione musicale dell’ultimo kaiserlich-königlicher Kapellmeister...

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«... un enorme individuo, dotato di polmoni soprannaturali» Funzioni, interpretazioni e rinascite del coro drammatico greco a cura di Andrea Rodighiero e Paolo Scattolin EDIZIONI FIORINI - VERONA
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Sommario III

«... un enorme individuo,dotato di polmoni soprannaturali»

Funzioni, interpretazionie rinascite del coro drammatico greco

a cura diAndrea Rodighiero e Paolo Scattolin

EDIZIONI FIORINI - VERONA

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Sommario V

Sommario

VII Premessa di Andrea Rodighiero e Paolo Scattolin

1 I R. Nicolai, La crisi del paradigma: funzioni degli exempla mitici nei cori di Sofocle

37 II M. Di Marco, I mevlh di Eschilo e Frinico (Ar. Ran. 1264-1328)

67 III A. Bierl, Il dramma satiresco di Pratina e il Ciclope di Eu-ripide. Movimento selvaggio, autoreferenzialità corale e liberazione dell’energia accumulata sotto il segno di Dio-niso

97 IV O. Imperio, Il coro nell’ultimo Aristofane: la parodo del Pluto

161 V P. Scattolin, Aristotele e il coro tragico (Poetica 12, 18)217 VI A. Tessier, «Mit übernatürlicher Lunge» (Nietzsche, Das

griechische Musikdrama, SW I, 525): Böckh e il tabu del dattilo acataletto fi nale

247 VII E. Biggi Parodi, La funzione del coro nella produzione dell’ultimo kaiserlich-königlicher Kapellmeister Antonio Salieri

291 VIII B. Zimmermann, Il coro nella teoria e prassi teatrale del classicismo tedesco

307 IX G. Sandrini, Manzoni e la tragedia greca: il coro del Car-magnola e il modello dei Sette a Tebe

329 X G. Ugolini, Nietzsche: un’interpretazione dionisiaca del coro tragico

375 Gli autori

379 Index locorum

La funzione del coro nella produzione musicale ... 247

VII

La funzione del coro nella produzione musicale dell’ultimo kaiserlich-königlicher Kapellmeister Antonio Salieri

ELENA BIGGI PARODI

Alla fi ne del Settecento il desiderio d’un rinnovamento morfologico è profondamente avvertito in seno al dibattito del rapporto fra testo e musica nella produzione teatrale; in par-ticolare nell’opera seria di stampo italiano è viva l’esigenza di trovare altre vie rispetto al più diffuso modello di riferimento, costituito dall’impianto teatrale metastasiano. Fra le contami-nazioni stilistiche ancora non chiarite che conducono all’opera dell’Ottocento vi è in primo piano la funzione del coro, rele-gata ai margini nel modello metastasiano e considerata invece un’importante risorsa drammatica nell’opera romantica. È evi-dente che l’utilizzo del coro con i suoi costi e con i suoi pro-blemi organizzativi è stato fortemente condizionato dal sistema produttivo di ogni specifi ca piazza teatrale, nonché dai fattori contingenti di ogni produzione, tuttavia fu anche legato alle concezioni che ebbero librettisti, musicisti e teorici del melo-dramma di questa importante risorsa.

La posizione sulla quale tutti i teorici, i librettisti e i musi-cisti della seconda metà del Settecento sembrano convergere è l’esigenza di legittimare l’arte del loro tempo attraverso il ri-chiamo alla grande tradizione classica, con la quale sentono un rapporto di diretta discendenza.

La grande rivoluzione cui si assiste alla fi ne del Settecen-to in campo teatrale, come ha messo in luce Degrada, è rap-presentata dalla nuova drammaturgia musicale compiuta da Mozart nell’arco creativo che parte da Idomeneo e giunge alla Zauberfl öte, periodo nel quale il compositore visse più o meno stabilmente a Vienna1. Il cambiamento dell’impostazione me-

1 Cfr. DEGRADA 1996, 43 e 1996-1997.

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todologica degli studi sull’opera italiana2 ci ha resi consapevoli di come ciascun’opera sia un prodotto teatrale risultato di tanti condizionamenti, determinata da un insieme di fattori contin-genti, legati a ciascun preciso momento storico e all’‘orizzonte d’attesa’ del pubblico, da cui consegue come per comprendere lo stile di Mozart, il suo rapporto con le convenzioni del suo tempo, sia necessario prendere in esame la produzione operi-stica nata per la medesima realtà teatrale.

L’opera italiana (particolarmente quella di genere buffo) ha dominato l’attività dei teatri di Vienna fra il 1765 e il 1800. La necessità di conoscere la produzione di Salieri per comprende-re meglio la produzione mozartiana, per lo meno quella che fu composta a Vienna nell’arco creativo che va dal 1781 al 1791, è stata ampiamente dimostrata3.

2 Tale impostazione metodologica, ormai acquisita, è stata resa esplicita da BIANCONI – PESTELLI 1987, IV-IX.

3 Nella sua disamina della esegesi critica salieriana-mozartiana, RICE 1998 afferma che coloro che hanno tentato di studiare le opere teatrali dei composi-tori coevi a Mozart hanno focalizzato la loro attenzione sui compositori di opere italiane non residenti a Vienna, non composte per Vienna, per il pubblico e per i cantanti per cui scrisse Mozart. Per esempio, per tracciare le ‘convergenze dei generi’ che conducono a Don Giovanni, HENZE-DÖRING 1986 non si riferisce a nessuna delle opere di Salieri nelle quali tali convergenze sono assai maggior-mente riscontrabili. Così pure ROBINSON 1987, nel suo bel saggio sulla tradizione dell’opera buffa nella quale Mozart scrisse Le nozze di fi garo, menziona Salieri come uno degli autori più rappresentati a Vienna negli ultimi vent’anni del Set-tecento ma rivolge la sua attenzione piuttosto verso la musica di Pasquale An-fossi, Domenico Cimarosa e Paisiello. L’attuale situazione degli studi di questo periodo, dichiara RICE 1998, è stata infl uenzata principalmente dall’infl usso delle ricerche pionieristiche svolte sulla produzione mozartiana da Abert, nei suoi due volumi su Mozart (ABERT 1955-1956), nei quali il musicologo tedesco ha rivolto la sua attenzione su contemporanei di Mozart come Traetta, Guglielmi, Anfossi, Domenico Fischietti, Baldassare Galuppi, nessuno dei quali ha vissuto a Vienna per un periodo maggiore a pochi mesi. L’unico autore operista viennese a cui fa riferimento è il maestro di Salieri, Florian Gassmann, ma senza un’osservazione approfondita. Rice dichiara che le composizioni teatrali di Antonio Salieri meri-tano una nuova attenzione oggi, dato che gli studiosi hanno avvertito l’esigenza di cogliere nella produzione mozartiana le convenzioni musicali del suo tempo. Un altro autorevole studioso mozartiano, Platoff, afferma che molti degli aspetti della musica operistica del maestro di Salisburgo possono essere ritrovati nelle opere dei musicisti che operarono a Vienna come Salieri, Martin y Soler e i loro rivali, oggi dimenticati. Il linguaggio che noi oggi consideriamo ‘mozartiano’ come se fosse appannaggio esclusivo del genio di Salisburgo fu in realtà il linguaggio usato

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Come ha indicato Rice, nel periodo cruciale di oltre trent’anni che trascorre da Paride ed Elena di Gluck al Fidelio di Beethoven, entrambi concepiti per Vienna, vi sono dei cam-biamenti sostanziali che non sono comprensibili limitando la nostra osservazione alle opere di Gluck e Mozart. La produzio-ne di Antonio Salieri è una «presenza estetica» che 1) rifl ette i cambiamenti nell’opera e nella vita musicale viennese assai più che non le opere di questi due autori; 2) ci offre l’opportunità di considerare l’ultimo trentennio del diciottesimo secolo e i primi dieci anni del nuovo secolo a Vienna come un periodo unitario4.

La presenza artistica di Salieri sulle scene viennesi fu deter-minante anche perché dal 1774 in poi egli espletò la funzione di direttore dell’opera italiana, partecipando attivamente alla messa in scena delle opere di stampo italiano allestite nei teatri gestiti dalla corte. Il 12 febbraio 1788 Salieri divenne Hofkapel-lmeister, la più importante carica musicale dell’impero asbur-gico.

La sua produzione operistica inoltre testimonia anche la liaison fra Vienna e Parigi5, un asse culturale dominante, desti-

dai compositori della sua epoca, le stesse convenzioni melodiche, le stesse caden-ze, gli accompagnamenti, lo stesso stile comico per i caratteri buffi , e lo stesso tipo di approccio lirico per quelli seri: le differenze fra la produzione di Mozart e quella dei suoi contemporanei ci sono, ma sono più sottili di quanto si potrebbe pensare. Si vedano PLATOFF 1984; 1990; 1991a; 1991b; 1992; 1993.

4 RICE 1998, 1-2.5 All’Académie Royale de Musique, il 26 aprile 1784 andò in scena la

tragédie-lyrique Les Danaïdes in cinque atti, su libretto di Ludwig Theodor Tschu-di e Marius François Du Roullet, da Ranieri de’ Calzabigi (ricordo anche che fi no alla dodicesima replica non si svelò che Les Danaïdes erano una composizione di Salieri e non di Gluck, come era stato annunciato), poi a Versailles, il 2 dicembre 1786, fu rappresentata Les Horaces, tragédie-lyrique en trois actes, mêlée d’inter-mèdes, su libretto di Nicolas-François Guillard da Pierre Corneille (Guillard e Du Roullet erano stati gli artefi ci del libretto dell’Iphigénie en Tauride di Gluck del 1779), infi ne ancora all’Académie Royale de Musique, il 7 giugno 1787, fu rappresentata Tarare, opera in cinque atti e un prologo su testo di Pierre Augustin Caron de Beaumarchais. Il rivoluzionario libretto racconta della detronizzazione e uccisione del re tiranno al quale succede, acclamato dalla volontà popolare, il proprio generale. L’opera riscosse uno straordinario successo a Parigi, due an-ni prima della Rivoluzione. Nel 1790, in occasione del primo anniversario della

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nato a propagare il proprio infl usso nella capitale lombarda, a Venezia e a Firenze.

Come sappiamo Salieri conobbe a Venezia il direttore dell’opera della corte imperiale di Vienna, Florian Gassmann, che vi si trovava per ingaggiare personale specializzato per la programmazione teatrale di stampo italiano. Gassmann lo con-dusse a Vienna, lo ospitò nella propria casa e ne forgiò l’educa-zione musicale. I primi incontri determinanti per la formazione di Salieri furono con direttive stilistiche diverse fra loro: il Me-tastasio, poeta cesareo alla corte di Vienna fi n dal 1730; Gluck e Calzabigi, impegnati nella riforma dell’opera seria, sostenuti dai personaggi della corte imperiale interessati alla dominante cultura francese, come Josef von Sonnenfels e Giacomo Du-razzo, i quali formavano a Vienna una popolazione di cittadini della repubblica europea dei lumi.

Al fi ne di fornire un esempio della varietà di soluzioni dell’utilizzo del coro considererò qui di séguito una campio-natura delle composizioni drammatiche di Salieri, proponen-done un’analisi alla luce delle convinzioni teoriche espresse dagli autori del dramma, condotta parallelamente all’osser-vazione delle scelte musicali effettuate dal compositore. Ciò consentirà di inquadrare la rinnovata funzione del coro nella produzione operistica di Salieri secondo alcune delle principali direttive estetiche di quell’epoca, e a questo scopo ho scelto di presentare tre casi emblematici: 1) il primo esempio d’una nuova utilizzazione del coro da parte del musicista legnaghese nell’oratorio d’impianto teatrale metastasiano La Passione di Gesù Cristo composto per Vienna; 2) la rinnovata funzione del coro nell’opera Europa riconosciuta, ideata in accordo con il librettista Verazi per l’inaugurazione del Teatro alla Scala di Milano. Questa costituisce un prototipo di opera che potrebbe defi nirsi ‘europea’ per le molteplici tipologie stilistiche adot-

presa della Bastiglia, Salieri con Beaumarchais ampliarono Tarare di un nuovo atto: Le couronnement de Tarare. In questo manifesto della Francia rivoluzionaria Beaumarchais e Salieri affrontano il tema del divorzio, del matrimonio dei preti, della liberazione degli schiavi delle colonie.

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tate, derivate dai tentativi di rinnovamento applicati all’opera di stampo italiano in varie corti d’Europa6 e costituisce un si-gnifi cativo precedente per Idomeneo di Mozart; 3) la funzione del coro nella tragédie-lyrique – su testo di Du Roullet – Les Danaïdes, rappresentata a Parigi nel 1784. Du Roullet era stato il librettista dell’Iphigénie en Aulide di Gluck nel 1774, nonché l’adattatore dell’Alceste francese di Calzabigi e Gluck nel 1776. Nel libretto de Les Danaïdes, proveniente da un precedente libretto di Calzabigi, il popolo delle fi glie e dei fi gli di Danaüs e di Egyste giunge a ottenere una dimensione sociale con la sua signifi cativa presenza in scena, ma sono le strategie musicali di Salieri che lo rendono capace d’una evoluzione psicologica che contrasta tanto con l’utilizzo del coro realizzato da Metastasio che con la concezione calzabigiana d’una impostazione psico-logica statica dei personaggi. Una caratterizzazione musicale del coro capace d’una varietà di atteggiamenti diversi che lo fa interagire con gli altri protagonisti e divenire un personaggio a pieno titolo.

1. La funzione del coro ne La Passione di Gesù Cristo di Meta-stasio – Salieri

Come è noto, con l’azione sacra La Passione di Gesù Cristo7 Metastasio dà avvio alla sua collaborazione con la corte vienne-se di Carlo VI. Al poeta viene richiesto il libretto per le celebra-zioni paraliturgiche della settimana santa mentre era ancora a Roma, intento a ultimare i preparativi per recarsi presso quella prestigiosa corte, libretto che egli invia ai primi di marzo del 1730 facendo precedere con esso il suo atteso arrivo. Nell’arco di quasi quarant’anni a Vienna, il suo teatro aveva dato voce con immenso successo a innumerevoli personaggi dell’antichità classica, tanto che nella capitale imperiale era stata stabilmente ingaggiata una compagnia di canto per rappresentare l’opera

6 Cfr. PETZOLDT MCCLYMONDS 1997 e 20047 Ora in METASTASIO 1965.

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italiana. Gassmann introdusse il sedicenne Salieri, giunto nella capitale asburgica il 16 giugno 1766, in casa Martinez, dove ri-siedeva il cesareo poeta. Sappiamo dalla testimonianza di Ignaz von Mosel, primo biografo di Salieri cui il compositore lo riferì personalmente, che Metastasio faceva leggere a Salieri e decla-mare in italiano intere scene di sue opere.

Salieri era a Vienna quando sul palcoscenico del Burgthe-ater andò in scena quello che passerà alla storia come l’avve-nimento centrale della Riforma gluckiana8, ossia la rappresen-tazione dell’Alceste, la sera del 26 dicembre 1767. Nel salotto della casa dove risiedeva ebbe numerose occasioni di incontra-re Gluck e il suo librettista Ranieri de’ Calzabigi, e di conoscere la loro concezione teorica in campo teatrale. La visione che il livornese ebbe riguardo alla tragedia e in particolare al coro è espressa in due testi che concernono il complesso rapporto fra Calzabigi e il teatro metastasiano, nella Dissertazione su le Poesie drammatiche del signor abate P. M. (1755)9 e poi nella Risposta di Don Santigliano (1790).

Il coro sopravvive nei drammi di Metastasio, osserva Cal-zabigi «con tutti i riguardi dovuti al verosimile» e solo nei casi in cui «si adatta all’azione, non ne guasta l’ordine, né l’interrompe»10. Come ha notato Gallarati, il teatro di Metasta-sio, secondo il poeta livornese, «sarebbe addirittura superiore alla tragedia antica greca e latina». Questo parere riguardava la propensione del Cesaro poeta ad eliminare il coro in favore «dell’aria, che nel teatro di Metastasio sottrae l’elemento lirico contemplativo alla voce astrattamente collettiva del coro classi-

8 In campo storico-musicale ci si riferisce al complesso fenomeno del tenta-tivo principalmente compiuto dal compositore Gluck e dal suo librettista Ranieri de’ Calzabigi di rinnovare il rapporto fra testo e musica di genere serio, in risposta all’eccessiva genericità drammatica raggiunta dagli spettacoli teatrali, per meglio esprimere il dramma contenuto nell’opera in osservanza dei criteri di ‘naturalez-za’ e ‘verosimiglianza’. Da ora in poi in questo testo il fenomeno sarà indicato semplicemente dalla parola ‘Riforma’ con la lettera maiuscola.

9 Ora in CALZABIGI 1994, I, 22-146.10 CALZABIGI 1994, I, 33.

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co, per metterlo in bocca ai protagonisti dell’azione, calandolo nella concretezza emotiva del singolo personaggio»11.

Nella Dissertazione su le Poesie drammatiche del signor abate P. M. Calzabigi afferma che nelle tragedie antiche un momento di particolare interesse per la musica si presentava al momento del coro. «Le vaghezze del coro» che secondo Calzabigi era-no confi nate nelle tragedie antiche «dopo ogn’atto», nel tea-tro della sua epoca sono state «trasportate quasi infi ne d’ogni scena». Il letterato dichiara infatti che le arie del teatro lirico altro «in sostanza non sono che parti del coro, le quali la lirica poesia, e le vaghe sublimi immagini di quella conservano»12.

Il problema del coro per Calzabigi investe soprattutto il tempo drammaturgico, che rispetto alla tragedia greca «con-tinuamente scandita dagli interventi del coro», è più rapido nel teatro metastasiano. Apparentemente in contraddizione con questa opinione appare l’apprezzamento del Calzabigi per l’articolata complessità dello schema drammaturgico di Qui-nault in cui il coro, il balletto, la scena, la poesia, la musica si fondono in una magnifi cenza spettacolare (a condizione però, avverte il livornese, che esso venga liberato dal decorativismo mitologico surreale tardobarocco). Come è noto ci si è spes-so interrogati su questa contraddizione fra l’apprezzamento dell’opera francese come Gesamtkunstwerk e l’elogio del Me-tastasio, tanto più che la Riforma gluckiana realizzerà proprio l’unione di questi due elementi di provenienza diversa: coro e ballo francesi con arie e recitativi italiani.

Benché Calzabigi attui un completo capovolgimento della sua posizione rispetto a Metastasio, mantiene la sua idea ri-guardo alla funzione del coro. Egli dichiara che alla funzione del coro può corrispondere il moderno concertato, superiore a questo perché mentre nei concertati cantano i «personaggi in passione»13, «nelle greche e nelle latine [tragedie], non essendo il coro che semplice spettatore non poteva per conseguenza se

11 GALLARATI 1980, 500.12 CALZABIGI 1994, I, 31.13 Lettera sull’Elfrida, ora in CALZABIGI 1994, II, 587.

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non debolmente sentirsi agitare dalle passioni che i personaggi provavano»14.

A Gallarati dobbiamo una convincente soluzione di questa posizione apparentemente contraddittoria espressa da Calza-bigi allorché dalla sua poetica teatrale si passi all’osservazione delle scelte concrete messe in atto in Orfeo ed Euridice, Alceste e Paride ed Elena. Per ciò che riguarda il coro lo studioso ri-leva che esso acquista un’importanza molto superiore a quella goduta nel teatro di Metastasio, inserendosi tuttavia nella linea del predecessore, perché entra in rapporto di verosimiglianza con l’azione drammatica, incarnando i sentimenti d’una comu-nità reale che partecipa direttamente allo svolgersi dei fatti. La funzione del coro assume quella «esemplarità etica della tra-gedia già predicata da Orazio, e fatta propria da Calzabigi e Gluck»15. Nelle opere della Riforma, indica Gallarati, l’utilizzo del coro è fi nalizzato a un «massiccio accostamento di compatti blocchi scenici formati da canto solistico, canto corale e danze, nei quali l’alto idealismo etico della vicenda viene celebrato in atteggiamenti solenni». Più che sulle ‘fabule’ narrate nelle tra-gedie, Gluck e Calzabigi hanno puntato sui miti della tradizio-ne classica, trasformando il teatro in musica «nel pulpito di un discorso etico in cui si celebra la “gloria somma” della virtù e la “miserabil catastrofe” del vizio», in cui il coro concorre alla funzione di «ammaestramento de’ Grandi»16.

Dal 7 febbraio 1774 Salieri successe al suo maestro, Florian Gassmann, come Kapellmeister dell’opera italiana. Ma la situa-zione molto presto cambiò: si cominciò a polemizzare con il serioso razionalismo espresso dalla cerchia degli intellettuali, sino a che Giuseppe II decise di sciogliere la compagnia stabile per l’opera italiana per privilegiare il prodotto nazionale del Singspiel.

Salieri pose rimedio alla repentina mancanza di ingaggi te-atrali con la composizione d’un oratorio per soli coro e orche-

14 Cfr. la Dissertazione, in CALZABIGI 1994, I, 31.15 GALLARATI 1980, 512.16 GALLARATI 1980, 514.

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stra dall’azione sacra di Metastasio La Passione di Gesù Cristo,

che, pur non avendo bisogno di scene, costituiva un ottimo sostituto all’opera di stampo italiano, poiché ne utilizzava il medesimo stile melodrammatico17. L’oratorio fu eseguito il 21 dicembre 177718 a Vienna durante l’annuale concerto a benefi -cio degli orfani e delle vedove dei musicisti presso la Tonkün-stler-Societät.

Il primo esempio di un nuovo e originale utilizzo del co-ro da parte del musicista legnaghese lo abbiamo proprio con la sua intonazione di questo libretto del Metastasio. La strut-tura musicale ideata da Salieri si sovrappone al teatralissimo testo del Metastasio, già denso di drammatici gesti interiori, per aumentarne l’azione e l’effetto. Il compositore di Legnago innesta una concezione drammaturgica del tipo della Riforma calzabigiana-gluckiana nell’impianto drammatico del Metasta-sio, che dimostra a questo scopo una straordinaria duttilità. Salieri, come vedremo, pur sposando concettualmente molte delle direttive estetiche riformate, fra cui l’abbandono dell’aria col da capo, un largo impiego dei recitativi accompagnati e re-alizzando una signifi cativa coesione drammatica fra la sinfonia iniziale e il resto della composizione, mantiene un atteggiamen-to di autonomia estetica che riguarda anche l’aspetto del coro.

Nella prima parte dell’oratorio è come se il coro con la sua musica dovesse imprimere un marchio di unità alla composi-zione19. Conclude la prima parte dell’oratorio l’esteso numero

17 Come è noto le infl uenze del melodramma sulla musica sacra, nel periodo che va dalla seconda metà del Settecento alla prima metà dell’Ottocento, furono ingenti, tanto che (benché i due generi fossero considerati inconciliabili dai teo-rici dell’epoca) non è possibile osservare una netta distinzione fra lo stile sacro e quello operistico. Un esempio fra tanti dell’infl uenza del melodramma sulla musica sacra è analizzato da MORELLI 1991 (cfr. anche LUCARELLI 1995). Alcune testimonianze delle affi nità in questo periodo fra lo stile teatrale e quello utilizzato persino nella musica italiana da chiesa sono riportate da KANTNER 1982.

18 Si veda BIGGI PARODI 2000a.19 Dopo la sinfonia in si bemolle, collegata senza soluzione di continuità al

recitativo obbligato di Pietro (Dove son?), la scena prosegue senza cesure con l’arioso in mi bemolle Ingratissimo Pietro! e la cavatina di Pietro Giacché mi tremi in seno in sol minore; segue la descrizione di Pietro dell’arrivo degli altri perso-naggi con il recitativo obbligato Ma qual dolente stuolo. Da qui immediatamente,

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fi nale per voci soliste e coro Di qual sangue, o mortale. Nel-la prima sezione di questo ultimo numero della prima parte, Larghetto con moto, Salieri modifi ca il testo del Metastasio aggiungendo la ripetizione dell’ammonizione «o mortale!» da parte del coro in omoritmia. Il ricorso all’omoritmia serve a far comprendere meglio l’invocazione corale che scandisce il testo con i medesimi accenti. Ancora nella breve sezione centrale, Maestoso, il compositore fa esprimere al coro nuovamente in omoritmia i versi «quanto più grande il dono chi n’abusa è più reo» e l’esortazione «pensaci e trema». Dopo una terza sezione, Allegro giusto, in cui il coro attua un’imitazione serrata, Salieri conclude questo primo fi nale facendo ripetere al coro parte della sezione Maestoso con l’ammonimento «pensaci e trema». In questo evidente tentativo di isolare questi versi come monito rivolto al pubblico Salieri assegna al coro la funzione analoga realizzata da Calzabigi e Gluck, per amplifi care con la musica il discorso etico contenuto nella composizione.

Altrove tuttavia Salieri, attraverso l’utilizzazione del coro, escogita una soluzione autonoma e originale per variare il pia-no teatrale metastasiano, irrigidito nella codifi cata alternanza di recitativi e arie. Egli aggiunge un intervento del coro in due arie solistiche, utilizzando il semplice espediente di far ripetere ad esso alcune parole del solista; il cambiamento è minimo, le battute corali sono pochissime, tuttavia il risultato ha una grande portata drammatica. Osservando il diverso trattamento della melodia corale nelle due differenti occasioni, che condu-ce a due differenti situazioni drammatiche, possiamo renderci conto che il cambiamento drammaturgico è stato intenzionale e consapevolmente realizzato.

L’aria di Maddalena Potea quel pianto è suddivisa in due quartine di quinari, Un poco lento e Allegretto. Nella secon-da quartina/sezione musicale Allegretto, dai versi «pure a que’

senza introduzione strumentale, si apre il coro Quanto costa il tuo delitto in mi bemolle, che ripresentando il disegno della sinfonia d’apertura attua una conti-nuità con quanto s’era ascoltato prima, convincendoci che la situazione emotiva non è cambiata.

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perfi di | Maria che langue | è nuovo stimolo | di crudeltà», allor-ché il solista pronuncia il terzo verso con la parola «stimolo», il musicista fa intervenire il coro due volte con le parole «perfi di! Perfi di!», che ottiene l’effetto di un’improvvisa esplosione di sdegno dei presenti, che impedisce a Maddalena di terminare il verso, tanto che essa riprende a cantare con la ripetizione del terzo verso, e nuovamente viene interrotta dal coro che svolge una funzione di condanna etica in linea con la direttiva realizzata da Calzabigi e Gluck20, ma con un gesto impulsivo e spontaneo, che pare provenire, più che da un ‘pulpito’, da un genuino e personalissimo moto interiore.

Nell’aria di Giovanni Dovunque il guardo io giro21 Salieri – dopo che Giovanni ha espresso la sua sensazione della pre-senza di Dio in ogni cosa – affi da al coro il compito di unirsi ad esso con identiche parole e uguale melodia musicale, sor-tendo un effetto drammaturgico di un appaiamento totale fra solo e tutti, come a rendere evidente che la sensazione emotiva di Giovanni si propaga all’intera umanità, provocando anche in questo caso un effetto di identifi cazione negli ascoltatori. L’atmosfera celestiale è ottenuta anche mediante una strate-gia di comunicazione che non doveva sfuggire agli ascoltatori dell’epoca, le famiglie dei musicisti della Tonkünstler-Societät viennese, la citazione quasi letterale dell’accompagnamento strumentale dell’aria Che puro ciel dell’Orfeo gluckiano situata all’arrivo di Orfeo nei campi Elisi.

2. La funzione del coro in Europa riconosciuta di Verazi – Salieri

Salieri stava lavorando ancora alla partitura de La Passione di Gesù Cristo, nei primi mesi del 1778 (pensando probabilmente a

20 Ora in SALIERI 2000, 74 (tav. 1).21 La versione che riporta Brunelli (in METASTASIO 1965, 561), è «dovunque il

guardo giro», ma si riporta qui il verso musicato da Salieri: «dovunque il guardo io giro».

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una nuova esecuzione viennese)22, quando sopraggiunse, grazie a Gluck, l’offerta di recarsi in Italia per inaugurare il nuovo ‘re-gio teatro’ della città di Milano – il Teatro alla Scala – con l’opera Europa riconosciuta, che andò in scena il 3 agosto 1778.

Nel sistema produttivo italiano di questo periodo il coro era spesso formato da garzoni di bottega che arrotondavano le proprie entrate. Una testimonianza di ciò è fornita anche dal primo biografo di Salieri, Ignaz von Mosel, il quale racconta che trovandosi Salieri a Firenze nell’estate del 1779, dove si stava rappresentando una sua opera, La fi era di Venezia, stu-pito dal ritardo con cui l’opera andava in scena a causa della mancanza dei coristi, gli fu risposto che ciò avveniva perché i negozi chiudevano più tardi, approfi ttando del fatto che era ancora giorno:

In Italien bestand nämlich dazumal der größte Theil der Chorsänger aus Ladendienern, die, ohne das Geringste von der Musik zu ver-stehen, ihre Aufgabe blos nach dem Gehör lernen und sie dann zu vollkommener Zufriedenheit singen23.

La massa corale in Italia fi no agli anni Venti del XIX secolo era mediamente formata da dodici-sedici coristi, ed erano in netta prevalenza i cori di voci maschili rispetto al coro di voci miste24.

Mentre attendeva alla composizione di Europa riconosciu-ta, sappiamo che Gluck chiese a Salieri di seguire la messa in scena della sua Alceste a Bologna25. Il compositore legnaghese ebbe dunque molteplici occasioni di conoscere le strategie glu-ckiane26. «Le istoriche notizie» sul mito di Europa, che eran

22 La partitura di questo autografo contiene molte correzioni, compresa la data originale, 1776, modifi cata dal compositore in 1778: si veda BIGGI PARODI 2000a.

23 Testo del 1827, ora in MOSEL 1999, 55: trad. it. in DELLA CORTE 1936, 131-132: «in Italia, infatti, a quei tempi, il coro era quasi esclusivamente formato da garzoni di bottega che, senza conoscere una nota, imparavano la loro parte ad orecchio e la cantavano poi alla perfezione».

24 Si vedano i saggi raccolti in PASSADORE – ROSSI 2000; MATTEI 2005.25 BIGGI PARODI 2004a.26 CUMMING 1995.

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servite «di fondamento a questo immaginato fatto», come dichiara Verazi nel libretto, erano tratte dalla Genealogia de gli dei del Boccaccio tradotta in volgare. Con una particolare attenzione per le interpretazioni allegoriche che la tradizione cristiana successiva aveva operato dei miti classici il Boccaccio, parlando di Europa, rimandava a Ovidio, Eusebio, Agostino. Nella versione italiana della Genealogia conosciuta da Verazi si narrava che questa, «molto amata da Giove», quinta fi glia di Agenore re di Tiro, fu rapita dal dio, manifestatosi sotto le sembianze di un bianco toro. Europa, avvinta dalla bellezza dell’animale, montò sul suo dorso; il toro-Zeus «notando passò il mare», la condusse a Creta dove concepirono tre fi gli maschi, e «in eterna memoria di lei» il dio, riconoscente, «al suo nome chiamò la terza parte del mondo Europa». Il porre l’accento sulle comuni radici culturali non poteva che essere gradito alla corte imperiale di Maria Teresa, prima, e poi di Giuseppe II, ottemperando al duplice scopo di legittimare il Sacro Romano Impero e le sue possessioni italiane.

Per l’importante inaugurazione fu coinvolto anche il mag-gior poeta milanese di quei tempi, Giuseppe Parini, affi dando-gli l’ideazione del soggetto del sipario del nuovo teatro27. Parini immaginò per esso un ‘telone’ che raffi gurava Apollo seduto su un carro posto sulle nuvole: il dio, «volgendo lo sguardo» alle quattro muse del teatro (che con il loro splendore fuggivano «i Vizii»), additava loro «alcuni busti d’uomini illustri»: Sofocle, Terenzio, e per ultimo, quale garante continuatore della cultu-ra classica, l’ancora vivente Pietro Trapassi, il Metastasio.

La rinuncia a utilizzare per questa occasione un dramma di Metastasio rappresenta una scelta signifi cativa: si ostentava un preciso intento innovatore e si assumeva un grosso rischio, quello di abbandonare la sicurezza che, anche qualora le cose non fossero andate per il verso giusto con la musica o gli inter-preti, almeno sul dramma nessuno potesse muovere obiezioni. A scrivere il dramma fu chiamato Mattia Verazi, con il suo tea-tro sperimentale; un librettista che, come Salieri, aveva compiu-

27 Ora in PARINI 1999, 79.

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to la propria esperienza per la maggior parte fuori dall’Italia, nei teatri tedeschi di Württemberg (Stuttgart-Ludwigsburg) e Mannheim. Qui le modifi che alle convenzioni teatrali italiane erano non solo tollerate, ma incoraggiate, in particolare con un massiccio impiego degli elementi spettacolari francesi in senso antitetico alla riforma arcadica compiuta dal teatro del Metastasio. Tuttavia nel libretto dell’opera stampato per Eu-ropa riconosciuta Verazi ribadisce più volte la sua stima per il poeta cesareo e dichiara che non potendosi spiegare «con quel-la forza, vetustà ed energia»28 che solo il Metastasio possiede, ha utilizzato per la sua costruzione un ingrediente di cui pare rivendicare l’invenzione: il dramma in azione.

A rendere ‘diverso’ lo spettacolo non sono solo le contami-nazioni con altri generi teatrali come la tragédie-lyrique france-se (l’impiego dei cori), o l’opera buffa (l’organizzazione in due atti, il fi nale d’assieme musicalmente complesso), o gli aspetti mutuati dalla Riforma di Gluck e Calzabigi che si possono ri-scontrare in Europa riconosciuta. La sua diversità piuttosto è dovuta al fatto che dietro l’etichetta coniata dal librettista di «dramma in azione» si cela la totale deviazione dalle strutture formali dell’opera italiana che formavano l’orizzonte d’attesa del pubblico milanese, dovuta particolarmente all’impiego del coro. Un eccellente esempio ci è offerto dall’osservazione dello schema riassuntivo dei brani musicali delle prime quattro sce-ne del I atto. In esse come si vede i momenti corali non sono separati dal resto: l’importanza del coro in Europa riconosciuta è fondamentale, su nove scene del I atto, sei hanno il coro29:

atto I, scena IDeserta spiaggia di mare. Selva da un lato, rupi dall’altro fra le quali sterpi, cespugli e serpeggianti edere adombran l’ingresso d’un’ oscura e profonda caverna. Tempesta con lampi, tuoni, pioggia, sibilo di venti, e fragor di sconvolti fl utti (1). Durante la medesima si vede in lon-tananza numerosa fl otta di legni. Alcuni sommergonsi miseramente

28 Cfr. BIGGI PARODI 2004a, 43 e VERAZI 1778, 10.29 I numeri progressivi I.1, I.2 ecc., come pure le sigle che da qui in avanti

identifi cheranno i numeri chiusi delle composizioni teatrali di Salieri, sono tratti da BIGGI PARODI 2005a (BP nel testo).

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nell’onde; altri si perdon affatto di vista. Da un lacero vascello, che viene impetuosamente ad urtar contro il lido sortono Asterio, Europa, e un picciol fanciullo, con varie donzelle seguaci d’Europa, ed alcuni guerrieri cretensi.

I.1; Asterio Sposa… Figlio… Ah non piangete! [senza soluzione di continuità][Rec. acc.]30

Asterio Stelle!…Il fi glio!…All’armi.

Scena IIAsterio, e’l fanciullo fra le donzelle seguaci d’Europa, ed alcuni pochi guerrieri cretensi che vengono attaccati da Egisto che si presenta loro alla testa d’una squadra numerosa di soldati fenici.

I.2; terzetto, coro di donzelle, coro d’aggressori e d’assaliti Chi non cede alle nostr’armi; allegro; si bemolle; C; Europa (S), Asterio (S), Egisto (T), coro di donzelle (S), coro d’aggressori e d’assaliti (T, B), 2 cor in si bemolle, 2 tr in si bemolle, 2 fl , 2 ob, 2 fag, 2 vl, 2 vla, bc; mis [169]

Scena IIIEuropa che sorte improvvisa dal suo ritiro e detti.

[Rec. acc.] Europa Crudeli! Ah no. Fermate[Prosecuzione del terzetto con coro di donzelle e coro d’aggresso-ri e d’assaliti] Europa Pria che ferir quel seno, coro Vinse il paterno amor.

Scena IVAsterio ed Europa colle sue donzelle seguaci, il fanciullo e i soldati fenici.

[Rec. acc.] Asterio Sposa, oh Dio, che giorno è questo! [Prosecuzione del terzetto con coro di donzelle e coro d’aggressori e d’assaliti] Ah, non reggo al mio tormento; mis [65]

Come si vede, vi è l’abbandono della consuetudine, fi no ad allora irrinunciabile, che l’azione della storia fosse portata avanti nei recitativi in modo che la maggior parte del tempo venisse impiegato dalle arie, particolarmente da quelle defi nite ‘di sortita’, così chiamate perché, dopo la sua effusione sen-timentale, il protagonista usciva di scena: l’azione, quindi, si

30 Qui e altrove: «recitativo accompagnato».

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interrompeva e la star poteva tornare sul palcoscenico a riscuo-tere l’applauso o a concedere il bis.

In Europa riconosciuta il compositore, d’accordo con il li-brettista, utilizza diversamente ‘l’azione’ per coinvolgere gli spettatori disponendoli a partecipare emotivamente alle sven-ture dei protagonisti; Salieri sposa questo principio strutturale realizzando un continuum in cui campeggiano i pezzi d’assie-me all’interno dei quali ci sono sezioni dialogate e sezioni so-listiche. La fi nalità principale dell’opera realizzata da Salieri è d’una architettura drammatico-musicale con una connessione organica fra pezzo chiuso, aria, dialoghi e canto corale, in cui la musica unisce senza soluzione di continuità più scene.

Per l’inaugurazione scaligera era stato chiamato apposita-mente a Milano dalla corte di Mannheim-Monaco di Baviera il coreografo e ballerino Claude Le Grand, che apparteneva al numero di quei danzatori coreografi che nelle corti del nord Europa avevano promosso la trasformazione di questo genere, da puro divertimento coreutico a ballo pantomimico, secon-do le più moderne tendenze, interessati a esprimere la verità dei sentimenti31. Dopo Europa riconosciuta (1778) a Claude Le Grand32 furono affi date le produzioni degli spettacoli realizzati a Monaco di Baviera in quegli anni, fra cui Idomeneo (1781)33.

Sappiamo dall’epistolario mozartiano che per Idomeneo la corte di Monaco gli inviò un piano teatrale (oggi perduto) che fi ssava la fonte e stabiliva i criteri della sua trasformazione. È stato chiarito che Idomeneo si inseriva in una linea estetica det-tata dalle corti della Germania meridionale, che prediligeva-no spettacoli su soggetti francesi scenografi camente sontuosi, intramezzati da balli34, ma non è ancora stato messo in luce

31 A proposito del ballo di Europa riconosciuta vd. BIGGI PARODI 2004b e le Discussioni sulla danza pantomima. Rifl essioni sopra la pretesa risposta del sig. Noverre all’Angiolini, vedi lettere sulla danza di Mr Noverre, e del Sig. Angiolini, s.n.e. (esemplare custodito in I-Mc, Riserva, B-43); CUMMING 1995; TOZZI 1972; TOZZI 1995; LOMBARDI 1988.

32 Cfr. BOCKMAIER 2001; BÖHMER 1999, 320 ss.33 Si veda GÖLLNER – HÖRNER 2001.34 PETZOLDT MCCLYMONDS 1996.

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quanto l’impianto teatrale di Idomeneo, con il suo tentativo di superare le strutture formali dell’opera italiana35, corrisponda a Europa riconosciuta. Alcuni dei principali elementi delle due composizioni teatrali sono gli stessi: la pressante minaccia della morte dei protagonisti per esaudire il voto promesso agli dèi e al re, quale atmosfera sottesa a tutto ciò che avviene in scena; poi la presenza delle grandi scene di massa di tripudio e dispe-razione, lo sbarco, il naufragio e la tempesta con tuoni e fulmi-ni36, e il ballo analogo37 alla fi ne del primo atto, musicato dagli stessi compositori dell’opera (diversamente dalla consuetudine di affi dare la musica per il ballo ad altro autore), l’incoronazio-ne fi nale.

È stato detto quanto il soggetto di Idomeneo debba a Iphigé-nie en Aulide di Gluck, che Mozart ascoltò durante il soggiorno francese del 1777-1778, ma anche quanto abbia «un contenuto emozionale tanto diverso dalla solenne monumentalità neoclas-sica dei drammi gluckiani» proprio perché la sua struttura mu-sicale attua «il rinnovamento dei tradizionali schemi strutturali delle forme chiuse». In Europa riconosciuta, come e prima di Idomeneo, «un sentimento di angoscia, mestizia e disperazione aleggia cupo – insieme con il senso mortale di un’oscura pre-destinazione tragica»38, ma soprattutto Europa riconosciuta è un «laboratorio sperimentale» che realizza un nuovo tipo di opera attraverso un massiccio impiego di momenti corali e di concertati d’azione, come notò Pietro Verri: «le arie sono corte e frequenti; ora duetti, ora a tre, ora cori mischiati e interrotti coll’attore. Gli occhi sono sempre occupati e l’udito non si an-noia con l’uniformità»39.

Lo stesso Mozart nella lettera a Leopold del 15 novembre 1780 indica che l’intervento del coreografo nei cambiamenti

35 GALLARATI 1985.36 BIGGI PARODI 2000b.37 BIGGI PARODI 2004b. A proposito di Europa riconosciuta vd. PETZOLDT

MCCLYMONDS 1997 e 2004; BELLINA 2004; BIGGI PARODI 2004a.38 DEGRADA 1990, 84.39 Lettera del 5 agosto 1778, da Milano, di Pietro ad Alessandro Verri, citata

in VIANELLO 1941, 142-143.

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effettuati durante la preparazione dell’opera è estremamente attento all’uso del coro:

Nun – in der letzen scene in 2:ten Akt hat Idomeneo zwischen den Chören eine Aria oder vielmehr art von Cavatina – hier wird es bes-ser seyn – ein blosses Recitativ zu machen, darunter die Instrumenten gut arbeiten können – denn, in dieser scene die (wegen der action und den Gruppen, wie wir sie kürzlich mit Le Grand verabredet ha-ben) die schönste der ganze opera seyn wird. wird ein solcher lärm und Confusion auf den theater seyn, daß eine aria eschlechte fi gur auf diesem Platze machen würde – und überdieß ist das donner Wet-ter – und das wird wohl wegen der Aria von H: Raaf nicht aufhören? – und der Effect; eines Recitativs, zwischen den Chören ist ungleich besser40.

È immaginabile che Le Grand lavorando a Idomeneo abbia tenuto conto dell’esperienza signifi cativa che aveva avuto con Europa riconosciuta e con l’utilizzo del coro in azione.

3. La funzione del coro ne Les Danaïdes di Du Roullet – Salieri

A Gluck è dovuta la commissione a Salieri della tragédie-lyrique Les Danaïdes per l’Académie Royale de Musique di Pa-rigi. Infatti dopo i successi raccolti nel 1774, 1776, 1779 e un ultimo esordio teatrale con Eco e Narciso, il nume tutelare della ritrovata espressività della musica francese decise di passarne il testimone al compositore di Legnago. Les Danaïdes andò in scena il 26 aprile del 1784, e solo alla dodicesima replica, do-po aver riscosso un gran successo di pubblico, si seppe che era stata composta dal Kapellmeister viennese e non da Gluck. Nell’articolata vicenda della gestazione delle Danaïdes c’entra

40 Ora in MOZART 2005, 20. Traduzione di chi scrive: «nell’ultima scena dell’atto II Idomeneo ha un’aria o piuttosto una specie di cavatina fra i cori. Qui sarebbe meglio avere un semplice recitativo, ben sostenuto dagli strumenti. Poi-ché in questa scena, che sarà la più bella dell’opera intera (per merito dell’azione e del movimento scenico che è stato appena studiato da Le Grand) si avrà molto ru-more e molta confusione sulla scena, così che un’aria in questo punto particolare farebbe una ben misera fi gura – tanto più che ci sarà anche la tempesta con tuoni, che non può certo calmarsi durante l’aria di Herr Raaf, non è vero? Un recitativo fra i due cori farà perciò un effetto infi nitamente migliore».

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anche la fi gura di Calzabigi, che ne scrisse il primigenio libretto in italiano, poi tradotto e modifi cato in francese da Du Roullet; Calzabigi rivendicò la primogenitura della struttura portante del dramma e approfi ttò dell’occasione per innescare un’acri-moniosa polemica contro il Du Roullet, risentimento che aveva in cuore probabilmente fi n dall’adattamento effettuato da que-sti della sua Alceste, tradotta in francese per la rappresentazio-ne parigina del 23 aprile 177641. Proprio all’epoca dell’Alceste francese risale la Lettre sur les drames-opéra42 del Du Roullet, scritta forse temendo di essere attaccato da Calzabigi, tant’è ve-ro che per dimostrare di avere concezioni personali e originali su ciò che egli defi nisce «musique dramatique» (nei tre generi da lui individuati: tragico, galante o pastorale, comico), il li-brettista parla di Iphigénie en Aulide, invece di far riferimento al suo ultimo successo, Alceste appunto, derivato dal primige-nio libretto calzabigiano.

Mi sono occupata in passato della Lettre sur les drames-opéra43. In sintesi si può dire che essa occupa una posizione intermedia fra i sostenitori del predominio assoluto della mu-sica sulla poesia come Chastellux e Diderot, affermando che la musica per «se développer» ha bisogno d’un testo poetico che segua la «véritable route» indicata dalle tragedie greche. In quel contributo avevo confrontato i due piani teatrali elaborati da Calzabigi e Du Roullet, e benché avessi concluso che gran parte del piano teatrale de Les Danaïdes è tratto dalla distri-buzione delle situazioni del dramma inventate da Calzabigi, ci sono alcune differenze: 1) non solo il numero dei cori è mag-giore, ma soprattutto ad essi sono affi dati nuovi versi che li ca-ratterizzano maggiormente; 2) l’articolazione delle scene di Du Roullet è meno logica dal punto di vista della concatenazione dei fatti, ma più variata per consentire un maggior effetto mu-sicale e teatrale, separando scene che potevano dipingere stati

41 Si veda la Lettre au Rédacteur du «Mercure», ora in CALZABIGI 1994, I, 257-267.

42 LE BLANC DU ROULLET 1776, 28-29.43 BIGGI PARODI 1997.

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d’animo simili; 3) i personaggi delle Danaïdes nel libretto fran-cese subiscono un’evoluzione psicologica diversamente dalla concezione calzabigiana, secondo la quale il «carattere così re-golarmente fabricato deve rilucere nell’Eroe sempre uguale nel corso intero della favola»44; 4) il libretto di Du Roullet utilizza toni più accesi, come quando Danaüs leva la spada in scena contro Hypermnestre, o nell’ultima scena con il coro dei de-moni che tormentano il coro delle Danaïdes.

Tuttavia ciò che differenzia maggiormente la funzione del coro nel libretto di Du Roullet è la realizzazione del coro ‘in azione’, nel senso d’una partecipazione del coro allo svolgi-mento della vicenda drammatica. Questa concezione realizzata nelle sue Danaïdes corrisponde a quanto esposto nella Lettre, dove Du Roullet afferma:

il me paroît inconcevable que les Modernes ayant pour modèles les Tragiques Grecs, qu’on voit faire tous leurs efforts pour intéresser les Chœurs à l’action, et les y faire participer, que les Modernes, dis-je, les ayant introduits dans leur Poëme, et qu’ils les y ayent laissé presque toujours sans intérêt et sans mouvement. L’habitude seule peut sans doute faire tolérer ces personnages postiches, qui plan-tés sur le Théâtre comme des tuyaux d’orgue, ne sont amenés sur la Scène que pour rendre de vains sons. Il est une règle générale et commune à tous les Drames, c’est qu’on ne doit point y introduire de personnages qui n’y soient absolument nécessaires et en action. L’Au-teur d’Iphigénie en Aulide, Opéra, a, ce me semble, senti la nécessité de suivre cette règle, et il a mis presque tous ses Chœurs en action45.

Come è noto presso l’Académie Royale de Musique era consuetudine fare largo impiego del coro. Ciò che Du Roullet

44 Citato in GALLARATI 1980, 503.45 LE BLANC DU ROULLET 1776, 29-30. Traduzione di chi scrive: «mi pare

inconcepibile che i moderni avendo per modello i tragici greci che fanno tutti gli sforzi per interessare il coro all’azione e lo fanno partecipare ad essa, che i mo-derni, dico io, lo abbiano introdotto nei loro poemi e che l’abbiano lasciato quasi sempre senza interesse e senza movimento. Solo l’abitudine può far tollerare que-sti personaggi posticci, che piantati sulla scena come canne d’organo non vi sono condotti che per realizzare dei vani suoni. Se c’è una regola generale e comune a tutti i drammi è che non si possano introdurre personaggi che non sono assoluta-mente necessari all’azione. L’autore di Iphigénie en Aulide ha sentito la necessità di seguire questa regola e ha messo quasi tutti i cori in azione».

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critica è la tendenza generale del teatro francese alla staticità del coro. Dagli anni Quaranta erano impiegati oltre quaranta coristi, posizionati a ferro di cavallo sulla scena; essi erano vi-sibili anche quando non era richiesto l’intervento del coro in scena, la loro postura era in prevalenza immobile, la loro pre-senza poco partecipe al dramma sulla scena: per ovviare a ciò, spesso nel momento preciso in cui il coro cantava si realizzava una pantomima46.

Nel libretto de Les Danaïdes i cori delle Danaïdes e dei fi gli di Danaüs ricevono una loro propria caratterizzazione, non so-no freddi commentatori della ‘fabula’, ma sono al centro della rappresentazione drammatica, protagonisti e vittime della vi-cenda.

L’opera si apre con l’accoglienza di Danaüs a Lyncée e agli altri fi gli del fratello Egiste, con il quale precedentemente era stato in lotta per la successione al trono paterno. I cinquanta giovani sono venuti per sposare le sue cinquanta fi glie, tra cui Hypermnestre. Nella seconda scena apprendiamo che la vera intenzione di Danaüs è di approfi ttare della notte di nozze per effettuare la strage dei nipoti e vendicarsi del fratello. Per que-sto riunisce in segreto le Danaïdes e comunica loro l’ordine di pugnalare gli sposi durante gli abbracci della prima notte di nozze. Fra le Danaïdes solo Hypermnestre oppone al padre un deciso rifi uto. L’ambiguità di questa situazione in cui i giovani sposi attendono impazienti la notte di nozze mentre le Danaïdes si apprestano ad assassinarli costituisce la cifra stessa dell’atto e dell’intera opera. Come notò un recensore dell’epoca:

c’est surtout au troisième acte, appelé l’acte du festin, qu’est le comble de l’horreur, par la perfi die de ces femmes dansant avec leurs maris, les caressant, les agaçant, lorsqu’elles ont décidé, dès le second acte, de les massacrer durant leurs embrassements secrets.

Ma è la musica che realizza questa atmosfera di suspence, in-serendo accenni inquietanti durante l’atmosfera scintillante del-la festa. In particolare si noti il cortocircuito semantico realizzato

46 CYR 1995. Si vedano le tavv. 9 e 10.

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nel coro BP 15.III.12, Pour nos devoirs montrons un même zè-le47, dove il testo è evidentemente minaccioso con il riferimen-to esplicito delle Danaïdes alla strage che stanno per compiere: «enchainons les d’une chaine eternelle, d’un même trait blessons les tous»; la ferocia sanguinaria di questi versi è veicolata vicever-sa da un coro femminile commosso e quasi sacrale; l’ambiguità che si genera nel rapporto tra parola e musica è dovuta alla ca-pacità di Salieri di dire con la musica altro da quello che il testo affermava, «des jeux atroces» che ricordano le contemporanee Liaisons dangereuses di Choderlos de Laclos48.

Ciò che realizza compiutamente il coro come un personag-gio a tutti gli effetti sono infatti le strutture musicali che Salieri è capace di creare, è la musica che lo rende mobile, un prota-gonista ‘in azione’ grazie agli atteggiamenti diversi nei quali si presenta. Si noti come nella seconda scena del I atto le fi glie di Danaüs riunite nel «lieu souterrain du Palais consacré à Néme-sis» esordiscano nel recitativo accompagnato Où sommes nous? O ciel! Quel spectacle d’horreur!, e poi nel coro BP 15.II.1 Divi-nité de sang avide. Esse si trovano, come si è detto, in un luogo sotterraneo del palazzo consacrato a Nemesi: «la Statue de la Déesse est au milieu: au devant est un Autel»: l’altezza tenden-zialmente costante, il modulo ritmico fi sso, ostinato, esposto già nell’introduzione orchestrale, ripetuto successivamente dal coro, ci comunica l’attesa, lo stupore delle Danaïdes che sono ancora all’oscuro di tutto, che non comprendono perché il pa-dre le abbia convocate in quel luogo inquietante; poi la linea melodica ampia, la scansione giambica legata al timbro degli ottoni, la declamazione sulle note della triade perfetta e il salto di settima discendente conclusivo denotano il parlar ampio e solenne che fa di questo brano una preghiera sacrale: le Da-naïdes ancora al momento del giuramento nel brano Divinité de sang avide, mostrano fragilità e sottomissione.

47 Il coro è presente solo in partitura e non nel libretto, nel quale si trova la ripetizione del testo di L’amour sourit au doux vainqueur du Gange, III.7.

48 Si veda la tav. 2 (= BP 15.III.12), coro Pour nos devoirs montrons un même zèle, battute 1-26. Partitura utilizzata: SALIERI 1784, 166-167.

La funzione del coro nella produzione musicale ... 269

Diversamente poco dopo la musica di Salieri imprime al «concours de peuple» una diversa caratterizzazione musica-le, ne mostra addirittura il successivo cambiamento emotivo. Quando Danaüs ha instillato loro il dubbio che siano gli sposi a tramare il loro massacro nel brano BP 15.II.2 Je vous vois fré-mir de colère, Salieri fa sì che la tensione drammatica e la furia omicida di Danaïs sia comunicata alle fi glie che interagiscono con lui; il mezzo musicale con cui attua questo coinvolgimento emotivo è assai semplice, cuce i due testi e le due melodie diffe-renti attraverso un concitato accompagnamento ostinato degli archi che ci convince che quella delle Danaïdes non è più una «coupable obéissance», ma si è realizzato un vero e proprio cambiamento emotivo, con la volontaria partecipazione delle fi glie al progetto omicida, coro BP 15.II.3 Oui, qu’aux fl ambe-aux des Euménides49.

Les Danaïdes assumono un carattere differente nella pan-tomima della scena terza: Hymne à Bacchus. Choeur dansé, e ancora del folgorante inizio dell’atto quinto nel quale, come indica il libretto,

les Danaïdes entrent de tous côtés furieuses, les cheveux épars; elles sont couvertes à moitié de peaux de tigres, etc. Les unes tiennent d’une main un tirse, et de l’autre un poignard ensanglanté. Les autres portent des tambours sur lesquels elles frappent avec les poignards. D’autres portent des fl ambeaux allumés50.

La musica dei versi orgiastici che cantano in BP 15.V.2 Gloi-re, Evan, Evoé, Bacchus, ô Dieux puissant! ne offre da subito un ritratto sgraziato, grottesco: non più seducenti né dolcemente sottomesse, ma, a dipingere la loro metamorfosi, un ritmo zop-picante di fl auti, archi, oboi e clarinetti, anticipazione plausi-bile del trattamento musicale che diversi anni più tardi Berlioz compirà nella «idée fi xe» della sua Sinfonia fantastica51.

49 Si vedano la tav. 3 (= BP 15.II.2), Je vous vois frémir de colère, battute 1-4, e la tav. 4 (= BP 15.II.3), Oui, qu’aux fl ambeaux des Euménides, battute 1-3.

50 Libretto utilizzato: F-Pn: ThB 1862.51 Si veda la tav. 5 (= BP 15.V.2), coro delle Danaïdes, Plancippe: Gloire,

Evan, Evoé, Bacchus, battute 1-15. Cfr. BIGGI PARODI 2005b.

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Altrove la varietà di atteggiamenti musicali ideati da Salieri dipinge la massa corale come almeno due dei protagonisti del dramma: l’elemento maschile e l’elemento femminile.

Si noti la caratterizzazione dei mariti quando Salieri nel III atto, l’atto della festa nuziale vera e propria, fa intonare loro come un sol uomo BP 15.III.3 Descends dans le sein d’Amphi-trite, un’invocazione al sole affi nché tramonti presto e alla not-te affi nché scorra più lentamente, una serenata tenera e ardita con l’accenno alla «nuit favorable à notre ardeur»; il codice musicale è dello stesso tipo di quello che viene esibito da Lyn-cée più tardi nella sua appassionata dichiarazione BP 15.III.8 Rends-moi ton cœur ad Hypermnestre (che raggiunge l’intensi-tà espressiva del Dalla sua pace del Duca Ottavio del mozartia-no Don Giovanni).

L’atteggiamento musicale degli sposi è dello stesso tipo di quello di Lyncée: un gesto musicale che potrebbe essere tra-dotto visivamente con il movimento del porgere la mano, gra-zie al suo incipit trocaico per Lyncée (giambico con un battito precedente in levare per il coro dei mariti); in entrambi i casi abbiamo una linea discendente e regolare che esprime emozio-ne controllata e non aggressivo desiderio, poi il salto d’ottava ascendente con l’invocazione, la conclusione della frase con le note ribattute che esprimono una pacata persuasione52.

L’effetto del coro dei mariti, ben distanziato nel III atto dall’aria di Lyncée, è reso ancora più evidente accostato alla veloce danza che segue, che assolve alla funzione di isolare la parentesi lirica (ricordandoci che siamo alla festa di nozze) e insieme di far stagliare l’intervento corale quale organismo in-dipendente.

Gli atteggiamenti musicali del coro nelle Danaïdes, caratte-rizzati da una ricchissima varietà di modi retorici, fanno sì che esso ci attragga per la sua straordinaria vitalità, come quando, durante il III atto, il coro generale BP 15.III.7 L’amour sourit au doux vainqueur du Gange si ammanta di piglio marziale per

52 Si vedano la tav. 6 (= BP 15.III.3), Descends dans le sein d’Amphitrite, battute 1-7, e la tav. 7 (= BP 15.III.8), Rends-moi ton cœur, battute 1-5.

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festeggiare la virile riconciliazione fra l’uno e l’altro pater fami-lias, la melodia scandita omoritmicamente dal coro sulle note della triade perfetta che sale e torna su se stessa (rinforzata con la strumentazione avvalendosi degli ottoni) è un tipico richia-mo militare, il passo è battuto con ritmo giambico, l’articola-zione melodica alla ripresa dell’incipit inziale in re, è sottoline-ata dai timpani a evocare il rullio dei tamburi53.

Nell’ultima scena, la quinta dell’atto IV, mentre Hypermne-stre sta ancora convincendo Lyncée a mettersi in salvo, senza spiegargliene il motivo, sopraggiunge improvviso con un rullio di timpani il segnale convenuto per l’inizio della strage; fuori dalla scena si sentono le grida del coro degli sposi, che non si vedono («arrête, implacable furie»), mentre Hypermnestre come indica il libretto cade svenuta: «Hypermnestre, qui est tombée évanouie sur un siège, y reste pendant le Chœur des Epoux qu’on égorge: quelques moments après, elle revient à elle et le cinquième Acte commence». Anche se il coro non si vede esso assume attraverso la musica la capacità di essere in azione. La sensazione d’orrore è accresciuta oltre che dagli espedienti strumentali (scale, tremoli) dal fatto che le grida in fortissimo degli sposi s’interrompono a tratti, fi nché si spengo-no d’improvviso e ad esse subentra il silenzio. Il solitario sgo-mento in cui subito dopo si trova Hypermnestre è anticipato dall’introduzione orchestrale in levare, esitante.

Ancora al termine dell’atto V, nella decima scena, quando Lyncée rivolge un pensiero riconoscente al cielo per aver con-servato la sua sposa (Rendons graces aux Dieux de leur bonté su-prême), dopo che ha proferito le prime parole «rendons graces aux Dieux», il coro si unisce al suo canto con un atteggiamento drammaturgico musicale simile a quello attuato nell’aria Do-vunque il guardo io giro de La passione di Gesù Cristo, come a rendere evidente che la sensazione emotiva di Lyncée si propa-ga ai superstiti del dramma, provocando anche in questo caso un effetto di identifi cazione negli ascoltatori.

53 Tav. 8 (= BP 15.III.7), L’amour sourit au doux vainqueur du Gange, battute 32-36.

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La maggiore importanza che assumono i cori nel libretto francese rispetto all’originale calzabigiano è da attribuire a Du Roullet, che «inserisce talvolta per le Danaidi dei nuovi testi»54 laddove Calzabigi utilizzava ripetizioni di versi che oltre a ri-sultare un poco monotone erano meno caratterizzanti; si ricor-di che lo stesso Du Roullet nel precedente dramma di Iphigénie en Aulide di Racine aveva inserito il popolo greco al posto di Ulisse per ricordare ad Agamennone la crudele volontà degli dei, ma è la musica di Salieri che giunge a raffi gurare nel coro, con una straordinaria intuizione teatrale, non solo «un enorme individuo dai polmoni soprannaturali», ma anche la comples-sità psicologica del protagonista.

54 BIGGI PARODI 1997, 119.

La funzione del coro nella produzione musicale ... 273

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Tav. 1: P. Metastasio, A. Salieri, La Passione di Gesù Cristo, aria di Maddalena e coro: Potea quel pianto (= SALIERI 2000, 74, battute 61-73).

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Tav. 2: A. Salieri, Les Danaïdes, coro: Pour nos devoirs montrons un même zèle (SALIERI 1784, 166-167 = BP 15.III.12, battute 1-26).

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Tav. 2 continua.

La funzione del coro nella produzione musicale ... 281

Tav. 3: A. Salieri, Les Danaïdes, Danaüs: Je vous vois frémir de colère (SALIERI 1784, 77 = BP 15.II.2, battute 1-4).

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Tav. 4: A. Salieri, Les Danaïdes, coro: Oui, qu’aux fl ambeaux des Euménides (SALIERI 1784, 81 = BP 15.II.3, battute 1-3).

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Tav. 5: A. Salieri, Les Danaïdes, coro delle Danaïdes, Plancippe: Gloire, Evan, Evoé, Bacchus (SALIERI 1784, 225 = BP 15.V.2, battute 1-15).

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Tav. 5 continua.

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Tav. 6: A. Salieri, Les Danaïdes, coro degli sposi: Descends dans le sein d’Amphitrite (SALIERI 1784, 131 = BP 15.III.3, battute 1-7).

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Tav. 7: A. Salieri, Les Danaïdes, Lincée: Rends-moi ton cœur (SALIERI 1784, 152 = BP 15.III.8, battute 1-5).

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Tav. 8: A. Salieri, Les Danaïdes, coro: L’amour sourit au doux vainqueur du Gange (SALIERI 1784, 141 = BP 15.III.7, battute 32-36).

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Tav. 9: Incisione a stampa d’una scena di Thétis et Pélée di P. Collasse (Parigi, Bibliothèque-Musée de l’Opéra: da CYR 1995).

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Tav. 10: Incisione a stampa della scena fi nale di Amadis di J.B. Lully (Parigi, Bibliothèque nationale de France: da CYR 1995).Tav. 1: P. Metastasio, A. Salieri, La Passione di Gesù Cristo, aria di Maddalena e coro: Potea quel pianto (= SALIERI 2000, 74, battute 61-73).

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