+ All Categories
Home > Documents > TESI VITO RICCARDI LA RIFORMA DEGLI AMMORTIZZATORI SOCIALI

TESI VITO RICCARDI LA RIFORMA DEGLI AMMORTIZZATORI SOCIALI

Date post: 21-Feb-2023
Category:
Upload: unimarconi
View: 0 times
Download: 0 times
Share this document with a friend
116
1 UNIVERSITÀ DEGLI STUDI GUGLIELMO MARCONI FACOLTÀ DI GIURISPRUDENZA CORSO DI LAUREA IN SCIENZE GIURIDICHE LA RIFORMA DEGLI AMMORTIZZATORI SOCIALI TRA DIRITTO COMPARATO E DIRITTO INTERNO” Relatore: Candidato: Chiar. mo Prof. GIULIO D’IMPERIO VITO RICCARDI Matr. N°: SG00620 ANNO ACCADEMICO 2013/2014
Transcript

1

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI GUGLIELMO MARCONI

FACOLTÀ DI GIURISPRUDENZA

CORSO DI LAUREA IN SCIENZE GIURIDICHE

“LA RIFORMA DEGLI AMMORTIZZATORI SOCIALI TRA DIRITTO COMPARATO E DIRITTO INTERNO”

Relatore: Candidato: Chiar.mo Prof. GIULIO D’IMPERIO VITO RICCARDI Matr. N°: SG00620

ANNO ACCADEMICO 2013/2014

2

LA RIFORMA DEGLI AMMORTIZZATORI SOCIALI TRA DIRITTO COMPARATO E DIRITTO INTERNO

INDICE INTRODUZIONE p.3 CAPITOLO 1 ASPETTI DI DIRITTO COMPARATO DEGLI AMMORTIZZATORI SOCIALI

1.1. I principali interventi di sostegno al reddito e le risposte alla crisi dell’Unione Europea p.6 1.2. Misure per la promozione del reinserimento e la creazione di nuovi posti di lavoro p.10 1.3. Misure di supporto al reddito per i disoccupati p.11 1.4. L’efficacia delle politiche anticrisi p.15 1.5. I modelli sociali in Europa e la loro efficacia nel combattere la crisi p.19 CAPITOLO 2 AMMORTIZZATORI, WELFARE E FLEXICURITY A LIVELLO COMUNITARIO IN PROSPETTIVA COMPARATIVA

2.1. Le policy di flexicurity in alcuni paesi europei p.26 2.1.1. Il modello danese p.26 2.1.2. Regno Unito p.29 2.1.3. Francia p.32 2.1.4. Germania p.34 2.1.5. Spagna p.35 2.1.6. Olanda p.37 2.1.7. Belgio p.39 2.1.8. Danimarca p.40 2.1.9. Svezia p.41

3

CAPITOLO 3 LA SITUAZIONE ITALIANA

3.1. La flexicurity in Italia p.43 3.2. Mercato del lavoro e modalità contrattuali flessibili p.48 3.3. Le Relazioni Industriali p.54 3.4. Le politiche attive del lavoro p.56 3.5. I Sistemi di sicurezza sociale p.60 3.6. La riforma Fornero p.62 CAPITOLO 4 WELFARE E AMMORTIZZATORI SOCIALI A LIVELLO INTERNAZIONALE AL DI FUORI DELL’UNIONE EUROPEA: I CASI DI STATI UNITI E BRASILE

4.1. Storia del Welfare State negli Stati Uniti fino alla Grande Depressione ed al Social Security Act (1935) p.73 4.2. Dal Social Security Act (1935) alla War on Poverty e alle riforme degli anni ’60 p.80 4.3. Da Johnson alla riforma Clinton: Personal Responsibility and Work Opportunity Reconciliation Act (1996) p.82 4.4. La situazione attuale: da Bush Jr. alla Riforma Obama p.87 4.5. Il welfare in Brasile. Le radici storiche del welfare brasiliano e l’attuale struttura del sistema di welfare p.91 4.6. Peculiarità del welfare brasiliano e del sistema degli ammortizzatori sociali e il rapporto con la situazione complessiva del paese p.101 CONCLUSIONI p.106 BIBLIOGRAFIA p.111

4

INTRODUZIONE

La questione degli ammortizzatori sociali e delle policy di protezione

sociali attuate (soprattutto nei confronti delle categorie sociali più

svantaggiate), argomento sempre attuale, è venuto imponendosi nelle agende

politiche del continente con sempre maggior forza nel corso, grosso modo,

degli ultimi dieci anni.

Nel primo capitolo si analizzeranno i diversi sistemi di ammortizzatori

sociali - a livello di sostegno del reddito, di protezione del lavoro, di

assicurazioni contro la disoccupazione nei differenti paesi europei.

Ciascun paese dispone di un proprio sistema di ammortizzatori sociali

e, complessivamente, sembrano emergere tre diversi modelli: quello, proprio

dei paesi del nord-Europa, incentrato sulla flexicurity; quello mediterraneo ed

il sistema anglosassone.

Ciò per due ordini di ragioni: da un lato, a causa della sempre minore

disponibilità di risorse pubbliche, soprattutto in paesi caratterizzati, come

l’Italia, da un elevato livello di debito pubblico; dall’altro, a causa delle ripetute

e perduranti crisi sistemiche verificatesi negli ultimi anni.

Nel capitolo successivo l’attenzione verrà più specificatamente rivolta

alla flexicurity ed alle modalità secondo cui il concetto è recepito a livello

comunitario.

La Commissione europea definisce la flexicurity o (flessicurezza) quale

una strategia integrata mossa da un duplice obiettivo il rafforzamento della

flessibilità e della sicurezza del mercato del lavoro.

L’acronimo flexicurity, composto da due termini, ‘flessibilità’ e

‘sicurezza’, pone rilievo sia alla flessibilità delle organizzazioni, quale strumento

per rispondere efficacemente ai continui mutamenti del mercato e degli scenari

competitivi, sia alla flessibilità dei singoli lavoratori (formule contrattuali

flessibili), necessaria per rendere possibile l’adattamento ai mutevoli fabbisogni

5

professionali del mercato e dei processi produttivi, soggetti ad un costante

incremento della componente tecnologica.

Verranno poi illustrate le diverse policy di flexicurity, attuate in alcuni

dei più importanti paesi europei, rappresentativi dei diversi modelli di welfare:

scandinavo, anglosassone, continentale e mediterraneo.

Il terzo capitolo tratterà le diverse forme di sicurezza sociale presenti in

Italia. La Penisola ha subito, a partire dagli anni ’90, con la riforma portata

avanti dall’ex Ministro Treu e gli ulteriori interventi succedutisi, radicali

mutamenti nell’ambito del mercato del lavoro. L’Italia in pochi anni ha visto

incrementare notevolmente il livello di flessibilità del lavoro, anche se questa si

è riversata principalmente sulla fasce più deboli della popolazione.

Rispetto ai sistemi di protezione sociale non sono mancati interventi

significativi tesi a modificarne profondamente l’assetto complessivo, come la

riforma degli ammortizzatori sociali (Legge 28.06.2012 n° 92) e le numerose

riforme pensionistiche, iniziate nel ’92 con Amato e continuate con cadenza

periodica fino al 6 dicembre 2011, data di approvazione della discussa riforma

Fornero.

Nel quarto capitolo, infine, l’indagine sugli ammortizzatori sociali e sui

sistemi di protezione sociale verrà estesa a due paesi extraeuropei, gli Stati

Uniti ed il Brasile.

Giova qui sottolineare alcune peculiari caratteristiche dei sistemi di

protezione statunitensi, diversi da quelli del Continente. In primo luogo,

l’assenza (o la minore presenza) di misure universalistiche di ridistribuzione del

reddito e di estensione a tutti i cittadini dei sistemi di welfare, la messa in atto

di politiche sociali ispirate, solitamente, all’erogazione dei servizi, il forte ruolo

dei privati nei sistemi di assistenza e di welfare. Si deve a Clinton l’eliminazione

del concetto di ‘diritto all’assistenza’ ad ognuno per il semplice fatto di essere

cittadino americano.

Nel caso del Brasile, invece, il modello di welfare adottato, sin

dall’inizio, era di chiara impronta europea. Il welfare brasiliano è di tipo

6

corporativo, ispirato ai modelli di protezione sociale caratteristici dei paesi

dell’area centrale, Germania e Francia in particolare.

Tale sistema proviene, dal punto di vista storico, da una concezione di

carattere assicurativo, ovvero il modello bismarckiano, parzialmente integrata

da meccanismi assistenziali

In tale paese, tuttavia, per lungo tempo parte della popolazione era

rimasta esclusa da forme di protezione sociale. Più in generale, se il sistema di

welfare brasiliano non differisce da quello dei paesi europei, caratteristica della

nazione sudamericana è sempre stata la struttura sociale dalle forti differenze e

disuguaglianze, sconosciute alle realtà europee. Per lunghi anni il principale

problema è stato – ed è parzialmente tutt’ora – quello di innalzare il livello

complessivo (non solo economico, ma anche umano e sociale) di sviluppo del

paese.

7

CAPITOLO PRIMO

ASPETTI DI DIRITTO COMPARATO

DEGLI AMMORTIZZATORI SOCIALI

1.1. I principali interventi di sostegno al reddito e le risposte

alla crisi dell’Unione Europea.

Ogni Paese europeo possiede un sistema assicurativo contro la

disoccupazione, in cui il lavoratore fornisce, con la sua prestazione, il

pagamento dei contributi “sociali”, ricevendo, in cambio, in caso di

disoccupazione, l’erogazione, da parte del gestore, dell’indennità di

disoccupazione. Inoltre, esiste un sistema assistenziale di sussidi di

disoccupazione, che interviene a sostegno del reddito dei disoccupati, che

sono esclusi dalle indennità di disoccupazione, o che sostituisce tali indennità

quando terminano.

Mentre nella maggior parte dei Paesi l’assicurazione contro la

disoccupazione che comprende generalmente tutti i lavoratori subordinati

entro i limiti dell’età pensionabile è obbligatoria, in Danimarca e in Svezia è

volontaria, ma la quasi totalità dei lavoratori è iscritta a una cassa per

l’assicurazione contro la disoccupazione.

Il finanziamento delle prestazioni relative alla disoccupazione, nella

maggior parte dei Paesi, si basa sui contributi versati dai lavoratori assicurati e

dai loro datori di lavoro, ma la loro suddivisione varia da Stato a Stato. Solo a

copertura di eventuali deficit nella gestione delle assicurazioni interviene la

fiscalità generale. I sussidi sociali, invece, vengono spesso finanziati attraverso

il fisco.

In questa fase, tutti i Paesi europei, trovandosi ad affrontare il problema

di un aumento generale della spesa relativa alla gestione della sicurezza sociale,

cercano possibili vie di riforma dei sistemi di welfare. Nel tentativo di contenere

8

la spesa sociale, si cerca di intervenire sulle condizioni di accesso al sistema

delle indennità, sulla generosità delle indennità e sugli adempimenti richiesti ai

beneficiari per incentivarli nella ricerca attiva di una nuova occupazione e, al

contrario, disincentivarli alla permanenza passiva nel sistema di sicurezza

sociale.

La crisi del sistema finanziario, che ha investito l’Unione europea

nell’autunno del 2008, ha richiesto un’azione immediata e coordinata. Perciò

gli Stati membri hanno concordato con la Commissione europea1 le azioni da

intraprendere per tutelare il settore bancario da fallimenti2. Inoltre, il Consiglio

europeo dell’ 11 e 12 dicembre 20083 ha approvato il Piano europeo di ripresa

economica, elaborato dalla Commissione4 e caratterizzato da una

combinazione di incentivi economici e riforme strutturali. I suoi principali

obiettivi sono: stimolare rapidamente la domanda e far rinascere la fiducia tra i

consumatori; ridurre l’impatto sociale, in particolare sulle categorie più

vulnerabili attraverso provvedimenti per contenere la perdita di posti di lavoro

ed assistere successivamente le persone a rientrare nel mercato del lavoro;

aiutare l’Europa nella ripresa.

Le tre grandi priorità nell’affrontare la crisi, definite dal Consiglio

europeo 20095 sono state: salvaguardare l’occupazione, creare posti di lavoro e

promuovere la mobilità, migliorare le competenze e rispondere ai bisogni del

mercato del lavoro, facilitare il reinserimento e l’accesso al lavoro.

L’economia dell’Unione europea ha vissuto una nuova fase recessiva

nel 2012. Allora la Commissione ha proposto un “pacchetto occupazionale”6

per creare una nuova domanda di lavoro, con lo scopo di sostenere la

1 Sull’importanza del coordinamento a livello europeo degli interventi, si veda EUROPEAN

COMMISSION, Economic Crisis in Europe: Causes, Consequences and Responses, European Economy, 2009, n. 7, pp. 59 ss.. 2 Cfr. J. HEYES, P. LEWIS, I. CLARK, Varieties of Capitalism in Crisis? The Consequences of the ‘Great Recession’ for Employment and Social Protections, Proceedings of the 16th ILERA World Congress, 2012. 3 Cfr. CONSIGLIO DELL’UNIONE EUROPEA, Conclusioni della Presidenza del Consiglio europeo del 11 e 12 dicembre 2008, 13 febbraio 2009. 4 Cfr. COMMISSIONE EUROPEA, Un piano europeo di ripresa economica, 26 novembre 2008, COM(2008)800. 5 Cfr. COMMISSIONE EUROPEA, Un impegno comune per l’occupazione, 6 giugno 2009, COM(2009)257. 6 COMMISSIONE EUROPEA, Verso una ripresa fonte di occupazione, 18 aprile 2012, COM(2012)173.

9

creazione di posti di lavoro attraverso sussidi alle assunzioni e il supporto alla

autoimprenditorialità; ridurre il cuneo fiscale; sostenere la crescita di posti di

lavoro in settori in espansione, come quelli dell’economia verde, dell’assistenza

sociale e sanitaria e delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione.

La Commissione ha proposto, inoltre, in accordo con la Banca centrale

europea, di riformare i mercati del lavoro, rendendoli più dinamici e capaci di

incrementare la flessibilità interna, in modo da prevenire l’uso smodato delle

tipologie contrattuali non standard7. Tuttavia, i governi ed i datori sostengono

che irrigidire la regolamentazione in materia di lavoro determini costi

aggiuntivi per le imprese e ostacoli la ripresa economica. Pertanto diversi Paesi

hanno stabilito di non adottare misure che rendano più rigida la legislazione di

tutela dell’occupazione o che accrescano i diritti dei lavoratori.

Molteplici sono le combinazioni delle numerose variabili

macroeconomiche che determinano un impatto non omogeneo della crisi sui

Paesi europei. L’ampiezza degli effetti sulla situazione occupazionale dipende,

prima di tutto, dalla diversa variazione della domanda e del prodotto interno

lordo. Un altro fattore sembra essere l’elasticità dell’occupazione che risulta

bassa nell’attuale crisi rispetto al prodotto interno lordo. Inoltre la perdita dei

posti di lavoro a seguito della prima fase recessiva è stata in effetti

relativamente contenuta, considerato il consistente calo del prodotto interno

lordo8.

Invece le differenti dinamiche dei mercati nazionali del lavoro sono

influenzate anche dalle condizioni di ogni singolo contesto giuridico-

istituzionale, oltre che dai diversi approcci alla gestione della crisi.

Gli ordinamenti nazionali propongono due opzioni principali: la

dichiarazione di esubero dei lavoratori, e i conseguenti licenziamenti, o

l’adozione di misure per la conservazione dei posti di lavoro, in particolare

7 Cfr. COMMISSIONE EUROPEA, Verso una ripresa fonte di occupazione, cit. 8 Cfr. R. HIJMAN, The impact of the crisis on employment, Eurostat, Statistics in focus, 2009, n. 79, p. 2.

10

attraverso la riduzione delle ore lavorate9, strategia, quest’ultima, che spiega il

fenomeno della bassa elasticità dell’occupazione rispetto al prodotto interno

lordo. La riduzione delle ore lavorate può essere attuata attraverso il ricorso

alle ferie obbligatorie, alla c.d. “banca ore”, ma anche alla riduzione dell’orario

di lavoro o alla sospensione dell’attività lavorativa10.

Pressati dalla necessità di gestire celermente il crescente impatto sociale

ed occupazionale della crisi economica, i Paesi europei non sono stati in grado

di attuare delle riforme strutturali e, quando ci sono riusciti, non hanno ancora

potuto percepirne gli effetti. I governi nazionali si sono limitati a

provvedimenti ed azioni emergenziali, che dessero una risposta immediata alla

situazione contingente. Successivamente in una seconda fase hanno approvato

misure organiche della regolamentazione del lavoro, come in Italia11 o in

Spagna12.

I primi provvedimenti nazionali attuati per fronteggiare la recessione

sono molto eterogenei13, ma l’analisi delle diverse risposte date da ogni Paese

ad uno stesso problema, cioè il contenimento dell’impatto della crisi

economica sul mercato del lavoro e sui cittadini, può essere utile per

semplificare la complessità di queste politiche nella loro catalogazione sotto

alcune semplici categorie: 1) misure per la promozione del reinserimento e la

creazione di nuovi posti di lavoro, 2) misure di supporto al reddito dei

disoccupati, 3) misure per la conservazione dei posti di lavoro14. Si può partire

9 Cfr. J. HURLEY, I. MANDL, D. STORRIE, T. WARD, Restructuring in recession, ERM Report 2009, European Foundation for the Improvement of Living and Working Conditions, 2009, p. 58. 10 Cfr. EUROPEAN COMMISSION, Short time working arrangements as response to cyclical fluctuation, European Economy, Occasional papers, giugno 2010, n. 64, p. 8. 11 Per un approfondimento sulla riforma italiana, cfr. i contributi raccolti in M. MAGNANI, M. TIRABOSCHI (a cura di), La nuova riforma del lavoro, Giuffrè, Milano, 2012. 12 A. BAYLOS, Crisi del diritto del lavoro o diritto del lavoro in crisi: la riforma del lavoro spagnola del 2012, in Dir. rel. ind., 2012, n. 2, pp. 353-375. 13 Cfr. EUROPEAN COMMISSION, Recovering from the crisis – 27 ways of tackling the employment challenge, 2009. La diversità che caratterizza gli interventi di politica del mercato del lavoro attuati agli Stati membri tra la fine del 2008 e il 2009 è tale da averli identificati come “27 modi per affrontare la sfida dell’occupazione”. 14 J. HURLEY, I. MANDL, D. STORRIE, T. WARD, Restructuring in recession, ERM Report 2009, European Foundation for the Improvement of Living and Working Conditions, 2009; I. MANDL, L. SALVATORE, Tackling the recession: Employment-related public initiatives in the EU Member States and Norway, European Foundation for the Improvement of Living and Working Conditions, 2009.

11

da qui per verificare se esiste un collegamento tra le politiche adottate dai Paesi

membri e l’andamento dei loro mercati del lavoro durante la crisi.

1.2. Misure per la promozione del reinserimento e la creazione

di nuovi posti di lavoro.

Vari Paesi europei sono intervenuti sui servizi pubblici per l’impiego

affinché questi si adeguassero alle nuove condizioni e necessità del mercato del

lavoro e della promozione del reinserimento dei lavoratori nel mercato

attraverso l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, l’orientamento, il

supporto alla ricerca del lavoro e le misure di attivazione dei disoccupati15. Tali

provvedimenti hanno generalmente comportato ristrutturazioni

dell’organizzazione dei servizi, ampliamento del personale dedicato e attività

formative aggiuntive.

Si è resa necessaria l’introduzione di sussidi che hanno facilitassero la

mobilità territoriale o benefici fiscali come incentivo per i lavoratori ad

accettare nuovi posti di lavoro, anche lontani dalla loro residenza.

Inoltre, per promuovere la creazione di nuovi posti di lavoro, sono

state supportate nuove assunzioni da parte delle imprese: si registrano

consistenti incentivi nella riduzione dei contributi sociali a carico dei datori di

lavoro in caso di nuove assunzioni, interventi con fondi pubblici a copertura

delle retribuzioni dei lavoratori, creazione di nuovi posti di lavoro nel settore

pubblico, consulenza e formazione specifiche, riduzione o dilazione del

versamento dei contributi sociali allo scopo di favorire il lavoro autonomo e

l’autoimprenditorialità16.

15 Cfr. I. MANDL, L. SALVATORE, op. cit., pp. 20 ss.. 16 Cfr. OECD, Employment Outlook 2010 - Moving Beyond The Jobs Crisis, 2010; EUROPEAN COMMISSION, Employment in Europe 2010.

12

1.3. Misure di supporto al reddito per i disoccupati.

Tra gli interventi di politica del lavoro rientrano anche quelli passivi,

consistenti nel supporto al reddito dei lavoratori disoccupati. Lo strumento

principale è rappresentato dall’indennità di disoccupazione, che ha la funzione

di ridurre l’impatto socio-economico a seguito della perdita del posto di

lavoro17.

Anche se tutti i paesi dell’Unione europea dispongono di sistemi

consolidati di indennità di disoccupazione18, modifiche (anche temporanee)

sono state apportate alle regolamentazioni in materia per garantire una

copertura adeguata a seguito dell’incremento del numero dei disoccupati. Sono

stati ritoccati principalmente i criteri di eleggibilità, l’ammontare del sussidio, la

durata e le categorie degli aventi diritto19. Nello specifico, mentre alcuni

interventi hanno mirato a ridurre o a rendere meno severi i criteri di accesso,

altri hanno esteso la durata del diritto al beneficio, altri ancora hanno

introdotto nuove misure di sostegno al reddito per particolari categorie di

lavoratori escluse dai trattamenti.

Le misure dirette a supportare la conservazione dei posti di lavoro si

concretizzano in aiuti diretti o indiretti alle imprese. Più nel dettaglio, si

annoverano interventi volti a ridurre l’ammontare dei contributi sociali a carico

dei datori di lavoro con riferimento ai lavoratori già assunti dall’impresa o a

dilazionarne il versamento20; aiuti diretti alle imprese, consistenti in prestiti

pubblici, garanzie per i prestiti, prestiti a interessi ridotti; aiuti indiretti, come

investimenti pubblici in infrastrutture o incentivi agli acquisti per i

consumatori.

Nell’ambito delle misure per la conservazione dei posti di lavoro si

collocano, inoltre, forme di sostegno alle imprese per interventi formativi a

favore dei lavoratori occupati, spesso dirette ai lavoratori sospesi dal lavoro o

17 Sull’assicurazione contro la disoccupazione nella crisi, si veda J. ROTHSTEIN, Unemployment Insurance and Job Search in the Great Recession, NBER Working Paper 2011, n. 17534. 18 Per un’analisi comparata, cfr. K. STOVICEK, A. TURRINI, Benchmarking Unemployment Benefit Systems, Economic Papers, European Economy, 2012, n. 454. 19 Cfr. I. MANDL, L. SALVATORE, op. cit., pp. 27 ss.. 20 Cfr. J. HURLEY, I. MANDL, D. STORRIE, T. WARD, op. cit., p. 112.

13

in riduzione di orario e con l’obiettivo di conservare e accrescere le loro

competenze in preparazione della ripresa economica.

In alcuni casi, l’accesso al sostegno al reddito riconosciuto ai lavoratori

in riduzione oraria o in sospensione dal lavoro è garantito dalla partecipazione

a tali percorsi formativi21. Poiché la recessione comporta necessariamente

modifiche nella strutturazione economica di un paese, nella tipologia di

produzione di beni e servizi, nell’organizzazione del lavoro, queste

trasformazioni determinano cambiamenti nella domanda di conoscenze e

competenze, che si accompagnano a un trend preesistente, caratterizzato

dall’evoluzione della struttura occupazionale verso lavori a maggiore intensità

di conoscenze e competenze (knowledge and skill-intentive jobs)22. Emerge la

rilevanza dell’istruzione e della formazione, così come l’importanza della

riqualificazione dei lavoratori a rischio di disoccupazione, perché possano

acquisire le competenze che saranno richieste nel mercato del lavoro del post-

crisi. In questa prospettiva, paiono fondamentali gli interventi a supporto della

formazione nell’ambito di una congiuntura negativa. In alcuni ordinamenti,

infatti, sono previsti degli incentivi o contributi pubblici a supporto dei costi di

formazione sostenuti dai datori di lavoro per i loro dipendenti23.

Tra le politiche dirette a prevenire i licenziamenti e sostenere la

conservazione dei posti di lavoro, hanno acquisito particolare rilevanza

durante la crisi quelle misure identificate a livello internazionale con

l’espressione short time work(ing) arrangements (STWA), cioè sistemi che

consentono alle imprese di ridurre l’orario di lavoro oppure sospendere

temporaneamente l’attività lavorativa e che riconoscono ai lavoratori una

compensazione per il mancato reddito conseguente alle ore non lavorate24.

21 Cfr. EUROPEAN COMMISSION, Short time working arrangements as response to cyclical fluctuation, European Economy, Occasional papers, giugno 2010, n. 64, 21, 23, 33. 22 Cfr. CEDEFOP, In Europa posti di lavoro a maggiore intensità di conoscenze e competenze, nota informativa, febbraio 2010. 23 Cfr. OECD, Employment outlook 2009, cit., p. 95; I. MANDL, L. SALVATORE, op. cit., pp. 13 ss. 24 Cfr. EUROPEAN COMMISSION, Short time working arrangements as response to cyclical fluctuation, cit., p. 8; EUROPEAN COMMISSION, Employment in Europe 2010, cit., pp. 78 ss..

14

Rientra evidentemente in tale tipologia di misure il sistema italiano della cassa

integrazione guadagni.

Nel panorama europeo, questi sistemi di sostegno e integrazione del

reddito in caso di riduzione dell’orario o sospensione dal lavoro differiscono

considerevolmente in termini di procedure, coinvolgimento dei sindacati,

“piani di rientro”, categorie di possibili beneficiari, criteri di eleggibilità e

importo della compensazione25. Tuttavia, alle diverse misure nazionali è

comune l’obiettivo di prevenire i licenziamenti e garantire la tutela del reddito

dei lavoratori soggetti alla riduzione oraria. I vantaggi collegati a queste misure

non sono, comunque, riservati soltanto ai lavoratori: esse consentono alle

imprese di conservare il patrimonio di competenze e capacità tecniche

accumulate dai lavoratori negli anni di esperienza lavorativa e di evitare gli

elevati costi dei licenziamenti e quelli che, al momento della ripresa economica,

l’azienda si troverebbe a fronteggiare per la ricerca di nuovo personale

qualificato e la sua formazione. Di non minore rilevanza è, poi, l’utilità di

queste misure di sostegno al reddito per i governi nazionali. Da questo punto

di vista, infatti, garantendo la tutela del reddito dei lavoratori, tali misure sono

fondamentali al fine di mantenere il controllo sociale e prevenire possibili

conseguenze politico-istituzionali.

Nei diversi ordinamenti nazionali, è possibile distinguere sistemi

consolidati di sostegno del reddito in caso di riduzione dell’orario o

sospensione dal lavoro da misure di nuova istituzione, introdotte per

fronteggiare la crisi.

Con riferimento alla prima categoria, i sistemi di sostegno al reddito in

caso di riduzione dell’orario di lavoro si inquadrano nei sistemi più complessivi

di assicurazione contro la disoccupazione (Austria, Belgio, Francia, Germania,

Italia).

25 Cfr. EUROPEAN COMMISSION, Short time working arrangements as response to cyclical fluctuation, cit., pp. 18 ss.; I. MANDL, L. SALVATORE, op. cit., pp. 11-13.

15

I datori di lavoro e i lavoratori versano una quota di contributi sociali

(“premio”) a copertura di questo specifico rischio e i lavoratori potranno

ottenere il “risarcimento” in forma di sostituzione del reddito nel caso del

verificarsi del “danno” ovvero della riduzione dell’orario di lavoro o della

sospensione. A seguito dell’inizio della crisi economica, questi sistemi hanno

tendenzialmente adattato o ampliato le misure di tutela del reddito prevedendo

incrementi dell’ammontare delle indennità ed estensione della durata

temporale massima delle misure oppure del campo di applicazione26. In alcuni

contesti nazionali (Bulgaria, Olanda, Polonia, Slovacchia, Slovenia, Ungheria),

privi di tali sistemi, sono state introdotte forme di sostegno al reddito per

riduzione dell’orario di lavoro o sospensione come nuove misure volte a

fronteggiare la crisi economica. Per questa ragione, esse non sono parte del

sistema di assicurazione contro la disoccupazione e perciò non sono finanziate

dai contributi sociali versati dai datori di lavoro e dai lavoratori, ma dalla

fiscalità generale27.

In alcuni sistemi nazionali (Danimarca, Finlandia, Irlanda, Spagna e

Regno Unito), tale sostegno al reddito è costituito dall’indennità di

disoccupazione parziale che viene riconosciuta normalmente ai lavoratori part-

time che sono alla ricerca di un lavoro a tempo pieno. In questo caso, i

lavoratori in riduzione oraria o in sospensione sono considerati alla stregua di

lavoratori disoccupati. Infatti, per accedere all’indennità, devono soddisfare i

normali requisiti richiesti per l’indennità di disoccupazione piena, compresa la

disponibilità alla ricerca di una nuova occupazione, nonostante siano ancora

titolari di un contratto di lavoro (è il caso di Danimarca, Finlandia e Regno

Unito). Poiché la misura di sostegno al reddito in caso di riduzione oraria è, a

26 Con rifermento alle modifiche subite da tali sistemi durante la crisi, cfr. EUROPEAN COMMISSION, Employment in Europe 2010, cit., p. 80. 27 Per il finanziamento del sostegno al reddito per riduzione dell’orario di lavoro o sospensione, si veda EUROPEAN COMMISSION, Short time working arrangements as response to cyclical fluctuation, cit., p. 25.

16

tutti gli effetti, un’indennità di disoccupazione, essa viene erogata direttamente

dall’istituto previdenziale28.

Al contrario, in altri ordinamenti (Germania, Austria, Belgio, Francia,

Italia), l’accesso al sostegno al reddito in caso di riduzione o sospensione non è

subordinato ai criteri di eleggibilità e alle condizioni previste per l’indennità di

disoccupazione, bensì semplicemente scaturisce dalla circostanza di essere

colpito dalla riduzione oraria o dalla sospensione dal lavoro. Questo non

esclude che possano essere previsti requisiti specifici per i lavoratori, come per

esempio in Italia un periodo minimo di anzianità lavorativa presso il datore di

lavoro, nel caso dei trattamenti straordinari di integrazione salariale. Questi

sistemi prevedono, inoltre, che la prestazione di sostegno al reddito, ancorché

a carico del sistema previdenziale, possa essere erogata per tramite del datore

di lavoro, unitamente alla retribuzione per le ore lavorate.

La modalità di erogazione della prestazione non rappresenta soltanto

un aspetto formale e procedurale, ma riflette anche un profilo sostanziale:

evidenzia la diversa concezione alla base delle differenti tipologie di sostegno

al reddito in caso di riduzione dell’orario di lavoro. Infatti, mentre nei sistemi

che erogano l’integrazione del reddito prevale la prospettiva della permanenza

del lavoratore nel rapporto di lavoro e della temporaneità della riduzione oraria

e della sospensione; negli altri sistemi viene maggiormente evidenziato il

profilo della disoccupazione, benché parziale.

1.4. L’efficacia delle politiche anticrisi

Dagli studi relativi alle diverse dinamiche dei mercati del lavoro europei

si evince che ad avere un effetto negativo sul mercato del lavoro sono le

rigidità istituzionali in materia di regolamentazione del diritto del lavoro, gli alti

costi accessori del lavoro e i sussidi del sistema di sicurezza sociale.

28 Cfr. EUROPEAN COMMISSION, Short time working arrangements as response to cyclical fluctuation, cit., pp. 18-19.

17

In tutti i sistemi europei sono previste, in caso di disoccupazione,

prestazioni economiche sostitutive del reddito, che assumono varie funzioni.

Infatti, se da un lato funzionano da stabilizzatori nei momenti di congiunture

economiche negative, dall’altro offrono la possibilità di cercare un posto di

lavoro con relativa tranquillità e senza dover accettare il primo lavoro offerto

per la necessità impellente. In questo modo il reinserimento lavorativo

dovrebbe essere migliore perché si creerebbe un’effettiva corrispondenza fra le

caratteristiche professionali del lavoratore e le necessità del datore di lavoro.

D’altro canto possono esservi effetti negativi sul mercato del lavoro

innescati dalle indennità di disoccupazione per il fatto che un elevato livello di

prestazioni sociali in caso di disoccupazione innalza il livello della retribuzione

pretesa dal lavoratore per l’accettazione di un nuovo posto di lavoro,

allungando i tempi di ritorno al lavoro e determinando una disoccupazione di

lungo periodo. Ed è per questo motivo che i Paesi con prestazioni di sostegno

al reddito molto elevate si sono dotati di sistemi di reinserimento al lavoro

anche mediante servizi per l’impiego o meccanismi di attivazione dei lavoratori

disoccupati alla ricerca di un’occupazione, caratterizzati da incentivi e sanzioni.

Per valutare gli effetti delle politiche pubbliche sul mercato del lavoro è

necessario che trascorra un congruo periodo di tempo. Infatti, tale valutazione

è resa difficile anche dall’interrelazione tra gli interventi di politica economica,

fiscale e finanziaria29, resi ulteriormente complessi dal presentarsi di una nuova

fase recessiva. Tuttavia diversi studi hanno compiuto una valutazione degli

effetti delle politiche30.

29 Cfr. EUROPEAN COMMISSION, Short time working arrangements as response to cyclical fluctuation, cit., p. 6; OECD, Employment Outlook 2010, cit., p. 56; OECD, EUROPEAN COMMISSION, Employment in Europe 2010, cit., p. 95; EUROPEAN COMMISSION, Economic Crisis in Europe: Causes, Consequences and Responses, cit., p. 71. 30 cfr. EMPLOYMENT COMMITTEE, EUROPEAN COMMISSION, The choice of effective employment policies measures to mitigate jobless recovery in times of fiscal austerity, cit.; EUROPEAN COMMISSION, Employment in Europe 2010, cit.; OECD, Employment Outlook 2010, cit., p. 11, pp. 46 ss..

18

Le misure più adatte ad arginare gli effetti negativi della crisi sui livelli

occupazionali31 e a contenere l’aumento della disoccupazione mediante la

prevenzione dei licenziamenti sembrano essere state quelle indirizzate al

mantenimento dell’occupazione. E, tra queste, le più efficaci nel conservare i

posti di lavoro sono risultate le misure di sostegno al reddito in caso di

riduzione dell’orario di lavoro32, anche se, a causa delle distorsioni del mercato,

tali misure hanno prodotto anche alcuni effetti negativi. Le distorsioni del

mercato sono generate quando la riduzione dell’orario di lavoro o la sua

sospensione conducono ad un mantenimento artificioso dell’occupazione in

settori in declino o in imprese non competitive, che pertanto non consentono

un’efficiente riallocazione del fattore lavoro (effetto spiazzamento). Un’altra

distorsione del mercato è rappresentata dal cosiddetto effetto “peso morto”,

che si determina quando vengono concesse misure ad aziende che non ne

hanno bisogno e che non ridurrebbero comunque i posti di lavoro. La

riduzione del periodo di godimento del beneficio oppure l’individuazione di

criteri più severi per l’accesso rappresentano delle contromisure da adottare

allo scopo di prevenire o limitare le distorsioni33.

L’effetto “peso morto” può produrre ancora distorsioni quando

vengono offerti incentivi all’assunzione o si riducono i costi del lavoro poiché

queste soluzioni, pur essendo efficaci nella creazione di posti di lavoro,

risultano costosi. Inoltre, la creazione diretta di posti di lavoro nel settore

pubblico ha poche possibilità, rispetto ad altre misure, di ottenere un impatto

positivo sul mercato del lavoro34.

31; con riferimento alla realtà nazionale italiana, si vedano M. MAGNANI, L’uso allargato della Cassa integrazione tra emergenza e ricerca di una logica di sistema, in Analisi Giuridica dell’Economia, 2010, n. 2. 32 Cfr. OECD, Employment Outlook 2010, cit., pp. 11, 18, 56 ss.; EMPLOYMENT COMMITTEE, EUROPEAN COMMISSION, The choice of effective employment policies measures to mitigate jobless recovery in times of fiscal austerity, cit.; I. MANDL, J. HURLEY, M. MASCHERINI, D. STORRIE, Extending flexicurity – The potential of short time working schemes, European Foundation for the Improvement of Living and Working Conditions, 2010, p. 1. 33 Cfr. OECD, Employment Outlook 2010, cit., p. 57. 34 Cfr. J. KLUVE, The Capacity of Active Labour Market Policies to Combat European Unemployment, in G. DI DOMENICO, S. SPATTINI (eds.), New European Approaches to Long-Term Unemployment, Kluwer Law International, Alphen aan den Rijn, The Netherlands, 2008, pp. 27-37.

19

Considerando le misure che promuovono il reinserimento, la

formazione ha un limitato effetto positivo sull’occupazione e risulta più

efficace in periodi di alta disoccupazione. Non è facile però affermare quanto

essa possa essere utile durante una fase recessiva35. Al contrario, l’assistenza

alla ricerca di un nuovo lavoro e le misure di attivazione dei lavoratori

implementate dai servizi per l’impiego hanno un impatto positivo

sull’occupazione, risultando efficaci nel breve periodo, ma necessitano di un

contesto economico caratterizzato da una crescita o una stabilità della

domanda di lavoro. Infatti, solo se si registra domanda di lavoro, è possibile

supportare la ricerca di una nuova occupazione, l’incrocio domanda-offerta e il

reinserimento dei lavoratori nei processi produttivi.

Le misure di supporto al reddito per i disoccupati possono avere un

effetto negativo sulla disoccupazione poiché il tasso del rimpiazzo del reddito

e la durata scoraggiano la ricerca e l’accettazione di un nuovo lavoro. Si può

provare a ridurre questi effetti negativi diminuendo l’ammontare del beneficio

e il periodo di godimento e condizionando il sostegno al reddito con

l’accettazione di un lavoro congruo36. Tali aggiustamenti vengono proposti in

quasi tutti i sistemi nazionali, che prevedono, come mostra la tabella, un diritto

all’indennità di disoccupazione condizionato alla ricerca attiva di un nuovo

lavoro, all’immediata disponibilità e all’accettazione di un lavoro congruo e alla

partecipazione alle misure di politica attiva, di solito accompagnate da un

piano di azione individuale o da un patto di servizio37. Tale accordo è stipulato

tra i beneficiari del sostegno al reddito e i servizi pubblici per il lavoro e

identifica diritti e doveri di ciascuna parte contraente; inoltre, allo scopo di

garantire l’effettività del condizionamento, sono previste sanzioni per il

beneficiario del sostegno in caso di non conformità agli obblighi assunti.

35 Cfr. EMPLOYMENT COMMITTEE, EUROPEAN COMMISSION, The choice of effective employment policies measures to mitigate jobless recovery in times of fiscal austerity, cit., p. 7, dove inoltre si sottolinea che gli interventi formativi per essere efficaci devono essere ben mirati e calibrati sugli effettivi fabbisogni formativi del mercato. 36 Cfr. OECD, Employment Outlook 2006 – Boosting Jobs and Incomes, 2006, pp. 190 ss.. 37 Nella letteratura internazionale, ci si riferisce a tali concetti con l’espressione “client contract”: sul punto cfr. S. SPATTINI, Il governo del mercato del lavoro tra controllo pubblico e neo-contrattualismo, Giuffrè, Milano, 2008, cap. II, spec. pp. 108 ss..

20

1.5. I modelli sociali in Europa e la loro efficacia nel

combattere la crisi.

I modelli sociali che vengono proposti dai vari Paesi dell’Unione

europea sono tre.

I Paesi vengono classificati prima di tutto in base alla severità della

legislazione di tutela dell’occupazione, misurata dall’indice elaborato

dall’OECD38. I Paesi con indice superiore a quello della media europea sono

riconducibili al modello welfare, a seguire, con un indice abbastanza

contenuto, i Paesi di flexicurity ed, infine, i Paesi anglosassoni dalla legislazione

liberale.

I sistemi di welfare sono caratterizzati da una legislazione di tutela

dell’occupazione (in particolare di tutela contro i licenziamenti) piuttosto

restrittiva. Poiché la conservazione del posto di lavoro è il primo obiettivo di

questi sistemi, gli altri elementi non assumono la rilevanza della tutela contro i

licenziamenti. Infatti, i trattamenti di integrazione del reddito in caso di

disoccupazione sono tendenzialmente poco generosi in termini di durata e

tasso di rimpiazzo, in particolare se paragonati a quelli dei modelli di flexicurity.

Il modello di flexicurity ha una regolamentazione flessibile in materia di

lavoro e una legislazione di tutela dell’occupazione poco restrittiva poiché

punta ad una continuità dell’occupazione anche se non necessariamente nello

stesso posto di lavoro. L’alta flessibilità è controbilanciata da efficaci interventi

di politica attiva sul territorio, consistenti in attività formative per la

riqualificazione professionale, supporto della transizione dei lavoratori da un

posto all’altro e reinserimento nel mercato del lavoro, anche con l’aiuto dei

servizi pubblici per l’impiego.

38 L’idea dell’indice nasce da D. GRUBB, W. WELLS, Employment Regulation and Patterns of Work in EC Countries, in OECD Economic Studies, 1993, n. 21, pp. 7-58, e successivamente viene sviluppato dall’OECD. Per la definizione e la metodologia della costruzione dell’indice della tutela dell’occupazione, si veda OECD, Employment Outlook 1994, cit., pp. 50 ss.; per l’interrelazione tra la severità della legislazione di tutela dell’occupazione e le dinamiche del mercato del lavoro, cfr. anche OECD, Employment Outlook 2004, cit. Invero, esistono critiche sulla sua costruzione, come ammette D. VENN, Legislation, Collective Bargaining and Enforcement: Updating the OECD Employment Protection Indicators, Social, Employment and Migration Working Paper, OECD, 2009, n. 89, p. 11, tuttavia viene ampiamente utilizzato.

21

Il modello anglosassone ha una legislazione a tutela dell’occupazione

decisamente liberale, con indennità di disoccupazione poco generose ma

politiche di attivazione e per il lavoro cui sono condizionati i trattamenti di

disoccupazione molto efficienti.

Se si osserva l’andamento degli indicatori economici dei diversi Paesi

membri prima e durante la crisi, si possono fare delle considerazioni sulle

performance dei vari modelli sociali.

Il modello di flexicurity ha sempre presentato performance piuttosto

buone, con tassi di disoccupazione inferiori alla media dell’Unione europea e

con il più alto tasso di occupazione.

In tendenza contraria, i Paesi improntati al modello di welfare

registravano tassi di disoccupazione maggiori della media europea.

Il modello di flexicurity, durante la crisi, si è rivelato piuttosto

fallimentare perché non ha saputo contenere le variazioni degli indicatori

occupazionali39: il tasso di disoccupazione dei Paesi che attuano questo

modello è cresciuto mentre quello di occupazione è diminuito per un valore

compreso tra 2 e 5 punti percentuali. Anzi, la disoccupazione è aumentata del

30% rispetto al 2008 e in Danimarca, esempio di flexicurity, è più che

raddoppiato40.

Alcuni Paesi con modello di welfare (Belgio, Austria, Francia, Germania

e Italia) hanno visto aumentare la disoccupazione e diminuire l’occupazione di

2 punti percentuali, mentre altri Paesi, come Grecia e Spagna, hanno raggiunto

livelli di disoccupazione di 10 punti percentuali e una riduzione

dell’occupazione di oltre 6 punti. Tale difformità dipende sia dalla variazione

del prodotto interno lordo sia dalla dotazione di sistemi di integrazione del

reddito in caso di sospensione o riduzione dell’orario di lavoro.

39 Cfr. O. VAN VLIET, H. NIJBOER, Flexicurity in the European Union: Flexibility for Outsiders, Security for Insiders, Department of Economics Research Memorandum, Leiden University, 2012, n. 2, p. 14, e P. AUER, La flexicurity nel tempo della crisi, in Diritto delle relazioni industriali, 2011, n. 1, pp. 37-58. 40 Per un’analisi della crisi in Danimarca e la validità del suo modello di flexicurity, cfr. P.K. MADSEN, Reagire alla tempesta. La flexicurity danese e la crisi, in Diritto delle relazioni industriali, 2011, n. 1, pp. 78-96.

22

Il modello anglosassone, pur avendo visto una riduzione del prodotto

interno lordo molto differente tra Irlanda (-7,4% tra 2008 e 2010) e Regno

Unito (-2,2% tra 2008 e 2010), è caratterizzato da un andamento comune nella

variazione degli indici.

Emerge da queste osservazioni che il modello di welfare risulta quello

che è riuscito meglio a ridurre l’impatto della crisi sul mercato del lavoro,

contenendone le variazioni negative, forse grazie alla severità della legislazione

di tutela dell’occupazione (anche se proprio Grecia e Spagna, che hanno i più

elevati indici di severità, hanno subito un elevato decremento

dell’occupazione)41. La differenza tra Paesi come la Grecia e la Spagna e altri

come l’Austria, il Belgio, la Francia e l’Italia, nell’ambito del modello di welfare

è rappresentata dall’assenza di un sistema di sospensione o riduzione

dell’orario di lavoro con compensazione del reddito. Pertanto sarà stato questo

elemento, piuttosto che la severità della legislazione, ad aver consentito il

controllo della riduzione del tasso di occupazione e dell’incremento di quello

di disoccupazione.

Date le buone performance del modello di flexicurity nei periodi

precedenti la crisi, istituzioni internazionali, come l’OECD e la Commissione

europea lo hanno ritenuto il miglior esempio da seguire in quanto ne

apprezzava l’obiettivo di garantire la sicurezza del reddito attraverso la tutela

dell’occupazione grazie all’implementazione di efficaci politiche attive per il

lavoro42.

I modelli di welfare erano, invece, criticati perché basati sulla tutela del

posto di lavoro e sulla prevalenza delle politiche passive su quelle attive e per

un atteggiamento sfavorevole verso strumenti di integrazione del reddito in

casi di sospensione o riduzione dell’orario di lavoro per difficoltà aziendali

(short time work arrangements).

41 J. HEYES, P. LEWIS, Employment Protection Under Fire: Why Labour Market Deregulation Will Not Deliver Quality Jobs, Working Paper presentato alla SPERI Inaugural Conference, 16-18 luglio 2012, 20, evidenziano che la rigidità della legislazione di per sé può essere efficace nel contenimento della perdita di posti di lavoro soltanto in una prima fase della crisi. 42 Cfr. OECD, Employment Outlook 2004, cit., spec. pp. 97-98; O. VAN VLIET, H. NIJBOER, op. cit., pp. 1, 14; inoltre, cfr. EUROPEAN COMMISSION, Employment in Europe 2007, 2007, pp. 125 ss..

23

Attualmente però, dopo aver constatato la tenuta di questo modello

nella gestione della crisi, la critica si è affievolita43, mentre investe il modello di

flexicurity, prima considerato il migliore44.

I principi di flessibilità e di sicurezza hanno influenzato moltissimo il

dibattito europeo sulla riforma del mercato del lavoro nell’ultimo decennio. Il

modello paradigmatico che tende a un mercato del lavoro estremamente

flessibile senza essere privo di una forte protezione sociale, soprattutto nei

confronti di lavoratori a margine e dei disoccupati, è quello danese. La

Danimarca, inoltre, rappresenta un esempio virtuoso anche per quanto

riguarda le capacità di innovazione economica e di riforma istituzionale, i livelli

di formazione professionale, la cooperazione tripartitica a tutti i livelli che crea

consenso sia sulle iniziative specifiche che sugli obiettivi generali delle politiche

da seguire.

La letteratura ha definito questo modello “triangolo d’oro”45 e ha

individuato i suoi vertici in un mercato del lavoro altamente flessibile, uno

schema generoso di ammortizzatori sociali e un’ampia diffusione delle

politiche attive, associati ad un alto grado di coesione sociale.

Col termine flessibilità ci si riferisce ad una flessibilità numerica dei

lavoratori che ogni anno cambia lavoro, passando da un’azienda all’altra e

attraversando un periodo di disoccupazione: solo il 20% di questi lavoratori

sarà aiutato dal sistema delle politiche attive al reinserimento lavorativo,

mediante, per esempio, corsi di riqualificazione e job training, mentre gli altri

troveranno una nuova occupazione autonomamente. Inoltre, la scarsa

protezione del posto di lavoro in Danimarca determina un altro livello di

mobilità, avvicinandosi ai sistemi liberali prevalenti in Canada, Irlanda, Gran

43 Cfr. EUROPEAN COMMISSION, Short time working arrangements as response to cyclical fluctuation, cit., pp. 15 ss., e EUROPEAN COMMISSION, Adapting unemployment benefit systems to the economic cycle, 2011, 2011, p. 25. 44 La EUROPEAN FOUNDATION FOR THE IMPROVEMENT OF LIVING AND WORKING CONDITIONS, Flexicurity: perspectives and practice, 2010, pp. 4, 7, richiama il dibattito relativo al fatto che la flexicurity rimanga un modello valido anche nella crisi economica. 45 B. ANASTASIA, M. MANCINI, U. TRIVELLATO, Il sostegno al reddito dei disoccupati: note sullo stato dell’arte. Tra riformismo strisciante, inerzie dell’impianto categoriale e incerti orizzonti di flexicurity, WP n.112, ISAE, aprile 2009.

24

Bretagna e Stati Uniti46: ogni anno il 25-30% dei lavoratori cambia datore di

lavoro ed è colpita da disoccupazione, ricevendo sussidi di disoccupazione o di

supporto47.

In Danimarca, le organizzazioni sindacali e industriali mettono in atto

una gestione politica e un controllo dettagliato e concertato, che fanno in

modo di attivare diversi e alti livelli di flessibilità: dell’orario (straordinari, part-

time ecc.), funzionale e organizzativa (mobilità interna al posto di lavoro sia

orizzontale che verticale), salariale. Nel modello danese ha assunto un ruolo

rilevante la contrattazione fra le parti sociali, in un clima di reciproca fiducia e

responsabilità, spesso con l’esclusivo intervento delle autorità politiche locali,

che curano quasi tutti gli aspetti principali del rapporto di lavoro (livelli

salariali, offerta di corsi di formazione e politiche attive). Infatti, l’intervento

legislativo sul mercato del lavoro si limita a definire aspetti di cornice, quali

ferie, sanità e sicurezza, o a recepire direttive comunitarie48.

Anche se la legislazione non protegge abbastanza il posto di lavoro e la

mobilità occupazionale e la disoccupazione sono avvenimenti frequenti, dalle

indagini demoscopiche in materia emerge che i cittadini danesi si sentono

molto più sicuri del proprio status occupazionale rispetto ai cittadini degli altri

Paesi europei49: ciò si spiega con la transitorietà del fenomeno della

disoccupazione, il controllo sociale che previene forme di licenziamento

arbitrario, la generosità e tempestività del sistema di ammortizzatori sociali50.

46 B. AMOROSO, Luci ed Ombre del Modello Danese, Relazione tenuta presso L’Università degli Studi Roma 3, Facoltà di Economia Federico Caffè, 21 febbraio 2006. 47 Per misurare il grado di protezione dell’occupazione assicurato dalla legislazione vigente in ciascun Paese, l’OCSE ha elaborato un indicatore sintetico, Employment Protection Legislation (EPL), ottenuto dalla media ponderata di tre indici (grado di protezione dei lavoratori standard, dei lavoratori a termine, licenziamenti collettivi) sulla regolamentazione dei licenziamenti. Il valore dell’EPL, compreso tra 0 e 6, riflette il grado di rigidità della normativa. E la Danimarca, con valore dell’EPL di 1,8, dopo il Regno Unito (1,1) e l’Irlanda (1,3) è il Paese con legislazione meno vincolante. [Per l’Italia l’EPL si attesta al 2,4. Cfr. OECD, Employment Outlook, 2009 (dati 2008)]. 48 V. FERRONI, D. GUERRERA, Gli ammortizzatori sociali in Italia. Prospettive, confronti e risposte alla crisi, in MEF, N. 5, luglio 2010, p. 19. 49 P. K. MADSEN, The Danish Model of Flexicurity: A Paradise – With Some Snakes, in H. SARFATI, G. BONOLI, Labour Market and Social Protection Reforms in International Perspective: Parallel or Converging Tracks?, Aldershot, Ashgate, 2002. 50 Nel sistema danese, nonostante le notevoli restrizioni per ridurre la componente di sicurezza del reddito a favore di meccanismi di incentivazione al lavoro, la copertura del sussidio di disoccupazione è del 70% per il lavoratore di reddito medio e del 90% per i bassi salari: si tratta di benefici tra i più alti

25

Per disincentivare comportamenti opportunistici, si è vincolata

l’erogazione dei sussidi alla partecipazione alle politiche attive ed è stato

migliorato il monitoraggio della ricerca effettiva del lavoro.

Si può, dunque, definire il sistema occupazionale danese come un

sistema ibrido, caratterizzato da livelli di flessibilità comparabili con quelli dei

Paesi anglosassoni e da sistemi di protezione sociale e schemi di attivazione a

carattere universale proprio del tradizionale modello di welfare scandinavo. Alle

politiche del lavoro la Danimarca destina le maggiori risorse, in termini di

quota sul PIL.

Dato che la Commissione europea considera il modello danese una best

practice da imitare in ogni Paese dell’Unione europea, bisogna individuare le

condizioni necessarie per replicare, anche in contesti profondamente diversi

dalla Danimarca, i successi registrati dal sistema danese, tenendo conto, però,

di alcuni aspetti critici individuati dalla letteratura51.

Innanzitutto la Danimarca registra una graduale espulsione dei

lavoratori con basse qualifiche, che non sono in grado di sostenere le esigenze

di continua crescita della produttività né di riqualificarsi mediante schemi di

attivazione. Infatti, l’offerta di formazione è diretta principalmente ai lavoratori

più produttivi invece che a quelli che hanno la necessità di accrescere le loro

competenze.

Un’altra criticità è rappresentata dalla sostenibilità fiscale di questo

modello, che assorbe molte risorse, in una fase di recessione52.

La vera innovazione del sistema danese viene individuata

nell’introduzione di efficaci schemi di attivazione (più che dalla riduzione

tra i paesi dell’UE. Misure di sostegno del reddito sono previste anche per i lavoratori non assicurati, in una misura corrispondente a circa l’80% del sussidio di disoccupazione. 51 P. K. MADSEN, The Danish Model of Flexicurity: A Paradise - With Some Snakes, op. cit.; D. LANG, Can the Danish Model of Flexicurity Be a Matrix for the Reform of European Labour Markets?, GRES working paper, 18, 2006. 52 In tali condizioni, la flessibilità finirebbe per prevalere sull’istanza di sicurezza, come accaduto del resto negli anni più recenti nella gran parte dei Paesi europei, dove si è significativamente incrementata la deregolamentazione del mercato del lavoro senza al contempo prevedere un’adeguata compensazione in termini di protezione sociale. Cfr. A. TANGIAN, European Flexicurity: Concepts (Operational Definitions), Methodology (Monitoring Instruments), and Policies (Consistent Implementation), 2006.

26

dell’EPL) grazie ad un lungo processo storico che coinvolge tutti gli attori

sociali.

Inoltre si è notato che il modello di flexicurity alla danese non è

sostenibile in Paesi dotati di poco senso civico, sia da parte dei datori di lavoro

che dei lavoratori. In generale, il successo di un modello è legato alla totalità

delle istituzioni presenti e al funzionamento di un sistema intero di politiche

complementari53.

Infine, la struttura produttiva e le interconnessioni fra politiche del

lavoro e politiche industriali, incluse quelle per promuovere l’innovazione non

vanno trascurate54. Infatti, il sistema danese sembra legato alla necessità di

migliorare le qualifiche dei lavoratori in un sistema economico molto

innovativo, il quale preferisce la flessibilità per rispondere ad un’esigenza di

innovazione tecnologica e non certo per risparmiare sul costo del lavoro.

53 Esportare unicamente alcuni elementi di tale modello (ad esempio la deregolamentazione dei mercati) senza tener conto delle complesse complementarità e interconnessioni istituzionali (o anche di semplici aspetti di disomogeneità territoriale) potrebbe risolversi in un fallimento e dar luogo a risultati perversi. 54 P. BORIONI, La flexicurity scandinava: inclusione e competizione, in Welfare scandinavo, welfare italiano. Il modello sociale europeo, Carocci 2005.

27

CAPITOLO SECONDO

AMMORTIZZATORI, WELFARE E FLEXICURITY

A LIVELLO COMUNITARIO

IN PROSPETTIVA COMPARATIVA

2.1. Le policy di flexicurity in alcuni paesi europei

2.1.1. Il modello danese

I principi di flessibilità e di sicurezza hanno influenzato moltissimo il

dibattito europeo sulla riforma del mercato del lavoro nell’ultimo decennio. Il

modello paradigmatico che tende ad un mercato del lavoro estremamente

flessibile senza essere privo di una forte protezione sociale, soprattutto nei

confronti di lavoratori a margine e dei disoccupati, è quello danese. La

Danimarca, inoltre, rappresenta un esempio virtuoso anche per quanto

riguarda le capacità di innovazione economica e di riforma istituzionale, i livelli

di formazione professionale, la cooperazione tripartitica a tutti i livelli che crea

consenso sia sulle iniziative specifiche che sugli obiettivi generali delle politiche

da seguire.

La letteratura ha definito questo modello “triangolo d’oro”55 e ha

individuato i suoi vertici in un mercato del lavoro altamente flessibile, uno

schema generoso di ammortizzatori sociali ed un’ampia diffusione delle

politiche attive, associati ad un alto grado di coesione sociale.

Col termine flessibilità ci si riferisce ad una flessibilità numerica dei

lavoratori che ogni anno cambia lavoro, passando da un’azienda all’altra e

attraversando un periodo di disoccupazione: solo il 20% di questi lavoratori

sarà aiutato dal sistema delle politiche attive al reinserimento lavorativo,

mediante, per esempio, corsi di riqualificazione e job training, mentre gli altri

55 B. ANASTASIA, M. MANCINI, U. TRIVELLATO, Il sostegno al reddito dei disoccupati: note sullo stato dell’arte. Tra riformismo strisciante, inerzie dell’impianto categoriale e incerti orizzonti di flexicurity, WP n.112, ISAE, aprile 2009.

28

troveranno una nuova occupazione autonomamente. Inoltre, la scarsa

protezione del posto di lavoro in Danimarca determina un altro livello di

mobilità, avvicinandosi ai sistemi liberali prevalenti in Canada, Irlanda, Gran

Bretagna e Stati Uniti56: ogni anno il 25-30% dei lavoratori cambiano datore di

lavoro e sono colpiti da disoccupazione, ricevendo sussidi di disoccupazione o

di supporto57.

In Danimarca, le organizzazioni sindacali e industriali mettono in atto

una gestione politica e un controllo dettagliato e concertato, che fanno in

modo di attivare diversi e alti livelli di flessibilità: dell’orario (straordinari, part-

time ecc.), funzionale e organizzativa (mobilità interna al posto di lavoro sia

orizzontale che verticale), salariale. Nel modello danese ha assunto un ruolo

rilevante la contrattazione fra le parti sociali, in un clima di reciproca fiducia e

responsabilità, spesso con l’esclusivo intervento delle autorità politiche locali,

che curano quasi tutti gli aspetti principali del rapporto di lavoro (livelli

salariali, offerta di corsi di formazione e politiche attive). Infatti, l’intervento

legislativo sul mercato del lavoro si limita a definire aspetti di cornice, quali

ferie, sanità e sicurezza, o a recepire direttive comunitarie58.

Anche se la legislazione non protegge abbastanza il posto di lavoro, la

mobilità occupazionale e la disoccupazione si verificano con molta frequenza.

Dalle indagini demoscopiche in materia emerge che i cittadini danesi si

sentono molto più sicuri del proprio status occupazionale rispetto ai cittadini

degli altri Paesi europei59: ciò si spiega con la transitorietà del fenomeno della

56 B. AMOROSO, Luci ed Ombre del Modello Danese, Relazione tenuta presso L’Università degli Studi Roma 3, Facoltà di Economia Federico Caffè, 21 febbraio 2006. 57 Per misurare il grado di protezione dell’occupazione assicurato dalla legislazione vigente in ciascun Paese, l’OCSE ha elaborato un indicatore sintetico, Employment Protection Legislation (EPL), ottenuto dalla media ponderata di tre indici (grado di protezione dei lavoratori standard, dei lavoratori a termine, licenziamenti collettivi) sulla regolamentazione dei licenziamenti. Il valore dell’EPL, compreso tra 0 e 6, riflette il grado di rigidità della normativa. E la Danimarca, con valore dell’EPL di 1,8, dopo il Regno Unito (1,1) e l’Irlanda (1,3) è il Paese con legislazione meno vincolante. [Per l’Italia l’EPL si attesta al 2,4. Cfr. OECD, Employment Outlook, 2009 (dati 2008)]. 58 V. FERRONI, D. GUERRERA, Gli ammortizzatori sociali in Italia. Prospettive, confronti e risposte alla crisi, in MEF, N. 5, luglio 2010, p. 19. 59 P. K. MADSEN, The Danish Model of Flexicurity: A Paradise – With Some Snakes, in H. SARFATI, G. BONOLI, Labour Market and Social Protection Reforms in International Perspective: Parallel or Converging Tracks?, Aldershot, Ashgate, 2002.

29

disoccupazione, il controllo sociale che previene forme di licenziamento

arbitrario, la generosità e tempestività del sistema di ammortizzatori sociali60.

Per disincentivare comportamenti opportunistici, si è vincolata

l’erogazione dei sussidi alla partecipazione alle politiche attive ed è stato

migliorato il monitoraggio della ricerca effettiva del lavoro.

Si può, dunque, definire il sistema occupazionale danese come un

sistema ibrido, caratterizzato da livelli di flessibilità comparabili con quelli dei

Paesi anglosassoni e da sistemi di protezione sociale e schemi di attivazione a

carattere universale proprio del tradizionale modello di welfare scandinavo. Alle

politiche del lavoro la Danimarca destina le maggiori risorse, in termini di

quota sul PIL.

Dato che la Commissione europea considera il modello danese una best

practice da imitare in ogni Paese dell’Unione europea, bisogna individuare le

condizioni necessarie per replicare, anche in contesti profondamente diversi

dalla Danimarca, i successi registrati dal sistema danese, tenendo conto, però,

di alcuni aspetti critici individuati dalla letteratura61.

Innanzitutto la Danimarca registra una graduale espulsione dei

lavoratori con basse qualifiche, che non sono in grado di sostenere le esigenze

di continua crescita della produttività né di riqualificarsi mediante schemi di

attivazione. Infatti, l’offerta di formazione è diretta principalmente ai lavoratori

più produttivi invece che a quelli che hanno la necessità di accrescere le loro

competenze.

Un’altra criticità è rappresentata dalla sostenibilità fiscale di questo

modello, che assorbe molte risorse, in una fase di recessione62.

60 Nel sistema danese, nonostante le notevoli restrizioni per ridurre la componente di sicurezza del reddito a favore di meccanismi di incentivazione al lavoro, la copertura del sussidio di disoccupazione è del 70% per il lavoratore di reddito medio e del 90% per i bassi salari: si tratta di benefici tra i più alti tra i paesi dell’UE. Misure di sostegno del reddito sono previste anche per i lavoratori non assicurati, in una misura corrispondente a circa l’80% del sussidio di disoccupazione. 61 P. K. MADSEN, The Danish Model of Flexicurity: A Paradise - With Some Snakes, op. cit.; D. LANG, Can the Danish Model of Flexicurity Be a Matrix for the Reform of European Labour Markets?, GRES working paper, 18, 2006. 62 In tali condizioni, la flessibilità finirebbe per prevalere sull’istanza di sicurezza, come accaduto del resto negli anni più recenti nella gran parte dei Paesi europei, dove si è significativamente incrementata la deregolamentazione del mercato del lavoro senza al contempo prevedere un’adeguata

30

La vera innovazione del sistema danese viene individuata

nell’introduzione di efficaci schemi di attivazione (più che dalla riduzione

dell’EPL) grazie ad un lungo processo storico che coinvolge tutti gli attori

sociali.

Inoltre si è notato che il modello di flexicurity alla danese non è

sostenibile in Paesi dotati di poco senso civico, sia da parte dei datori di lavoro

che dei lavoratori. In generale, il successo di un modello è legato alla totalità

delle istituzioni presenti e al funzionamento di un sistema intero di politiche

complementari63.

Infine, la struttura produttiva e le interconnessioni fra politiche del

lavoro e politiche industriali, incluse quelle per promuovere l’innovazione non

vanno trascurate64. Infatti, il sistema danese sembra legato alla necessità di

migliorare le qualifiche dei lavoratori in un sistema economico molto

innovativo, il quale preferisce la flessibilità per rispondere ad un’esigenza di

innovazione tecnologica e non certo per risparmiare sul costo del lavoro.

2.1.2. Regno Unito

Il sussidio Jobseeker’s Allowance (JSA) è la prinicpale tutela prevista a

favore dei disoccupati in cerca di lavoro. In base ai casi, può dipendere dalla

contribuzione (Contributio-base Jobseejer’s Allowance) o dal reddito ed essere

finalizzata ad offrire un sostegno ai redditi più bassi (Income-based Jobseeker’s

Allowance). Il Jobcentre Plus decide circa l’applicabilità del sussidio e provvede

alla sua erogazione. Hanno diritto al Jobseeker’s Allowance tutti i lavoratori di età

compresa tra i 16 e i 65 anni, disoccupati o che lavorano meno di 16 ore

compensazione in termini di protezione sociale. Cfr. A. TANGIAN, European Flexicurity: Concepts (Operational Definitions), Methodology (Monitoring Instruments), and Policies (Consistent Implementation), 2006. 63 Esportare unicamente alcuni elementi di tale modello (ad esempio la deregolamentazione dei mercati) senza tener conto delle complesse complementarità e interconnessioni istituzionali (o anche di semplici aspetti di disomogeneità territoriale) potrebbe risolversi in un fallimento e dar luogo a risultati perversi. 64 P. BORIONI, La flexicurity scandinava: inclusione e competizione, in Welfare scandinavo, welfare italiano. Il modello sociale europeo, Carocci 2005.

31

settimanali, abili al lavoro, disponibili a lavorare, attivamente alla ricerca di

un’occupazione, al di sotto dell’età pensionabile.

Nel caso in cui il disoccupato ha precedentemente versato una quota

sufficiente di contributi volontari, può accedere all’indennità di disoccupazione

basta sulla contribuzione. In caso contrario, può fare domanda per percepire

l’indennità di disoccupazione basata sul reddito.

L’importo della prestazione non è legato al reddito precedentemente

percepito, ma è un importo forfetario che varia in base a tre fasce di età del

lavoratore disoccupato65. La durata è di 182 giorni.

L’indennità legata al reddito si applica ai lavoratori con un reddito

inferiore a un importo minimo stabilito e che non abbiano un partner che

lavori più di 24 ore a settimana: l’importo deriva dai carichi familiari e dai livelli

di reddito.

Per quanto riguarda la durata, non esiste un limite prestabilito:

l’indennità viene erogata finché sussistono i requisiti.

Nel caso in cui il beneficiario di una delle due indennità abbandoni il

lavoro (o assuma un comportamento tale da indurre il licenziamento) o rifiuti

un lavoro accettabile, è prevista una sospensione dell’erogazione della

prestazione fino a 26 settimane. Se, invece, il lavoratore non segue le

indicazioni del servizio pubblico, l’indennità può essere ridotta da 2 a 4

settimane.

Per quanto riguarda la tassazione, l’indennità legata alla contribuzione è

soggetta a tassazione, mentre l’indennità legata la reddito è esente e comunque

non sono soggette a contribuzione sociale. Entrambe le indennità vengono

definite come indennità di disoccupazione, ma in realtà dalle diverse

caratteristiche che presentano, l’indennità legata al reddito sembra avvicinarsi

più ad una prestazione assistenziali che assicurativa, anche se i criteri di

eleggibilità sono abbastanza stringenti come quelli validi per l’altro tipo di

indennità.

65 € 51 a settimana fra i 16 e 17 anni, € 67 a settimana fra i 18 e i 24 anni e € 85 a settimana dai 25 anni.

32

Il sistema di sicurezza sociale inglese66 si basa sulla strategia definita

“welfare to work”, con l’obiettivo di promuovere attivamente la reintegrazione

del mercato del lavoro, non soltanto nelle politiche attive e passive ma anche

nell’ambito dei sussidi assistenziali. Le forme di sostegno al reddito sono varie:

Income Support, Incapacity Benefit, Severe Disablement Allowance, Invalid Care

Allowance, Housing Benefit, Council Tax Benefit, Widows Benefit, Social Fund.

All’Income Support, che si basa sulle condizioni economiche della persona e sui

carichi familiari, accedono i lavoratori disoccupati che non hanno i requisiti

per beneficiare delle Jobseeker Allowance.

Le politiche del New Deal permettono al Governo di prevenire

l’esclusione sociale, fornendo ai lavoratori disoccupati gli strumenti per

accrescere le loro capacità professionali e le opportunità di occupabilità,

aiutandoli, mentre eroga i sussidi, a reinserirsi nel mercato del lavoro.

Il programma Train to Gain, che fornisce formazione e sostegno a

persone in situazioni di pre-licenziamento, aiuta a sviluppare le competenze

necessarie per passare più facilmente ad un nuovo posto di lavoro, anche in un

settore non di appartenenza.

Il Servizio di Risposta Rapida (Rapid Response Service) prevede il sostegno

a favore di coloro che rischiano il licenziamento direttamente sul posto di

lavoro, includendo attività di orientamento, analisi e valutazione delle

competenze, incrocio domanda/offerta, assistenza nella compilazione del

curriculum e nella ricerca di lavoro, formazione per lo sviluppo di competenze,

consulenza e sostegno a favore di coloro che intendono avviare una attività in

proprio.

I Partenariati Locali per l’Occupazione (Local Employment Partnership o

LEPS), una forma di collaborazione a livello locale tra governo e datori di

lavoro, fanno in modo che vengano assunti i disoccupati di lunga durata.

66 Cfr. Integrated approaches to active welfare and employment policies – United Kingdom, European Foundation for the Improvement of Living and Working Conditions, Dublino 2002.

33

I Centri Competenze (Skills Hubs), infine, sono reti di partner locali in

grado di fornire servizi di intermediazione, formazione e altre forme di

sostegno.

2.1.3. Francia

Il sistema assicurativo francese è obbligatorio per tutti i lavoratori

dipendenti ed è finanziato dai contributi versati all’assicurazione sia dal datore

di lavoro, nella misura del 3,6%, che dal lavoratore, nella misura del 2%.

Accede alle indennità di disoccupazione il lavoratore involontariamente

disoccupato, fisicamente idoneo al lavoro, iscritto all’ufficio di collocamento

come lavoratore in cerca di occupazione, attivamente in cerca di un posto di

lavoro, di età inferiore a 60 anni e che abbia lavorato almeno 6 degli ultimi 22

mesi prima del periodo di disoccupazione.

L’ammontare dell’indennità di disoccupazione viene stabilita in base alla

retribuzione percepita dal lavoratore negli ultimi 12 mesi e ha un andamento

regressivo, per cui, dopo 4 mesi, le percentuali di definizione dell’indennità

diminuiscono.

Viene erogata per un minimo di 7 mesi fino a un massimo di 60 mesi, a

seconda della combinazione dell’età del lavoratore e della sua anzianità

contributiva.

Se tali condizioni vengono violate, sono previste delle sanzioni, nella

misura di una sospensione della prestazione per 4 settimane, in caso di

dimissioni del lavoratore o in caso di rifiuto di un lavoro accettabile o di

mancanza di una ricerca attiva di un lavoro.

Il sistema di sicurezza francese67 si basa su due principi: quello

assicurativo e quello solidaristico e comprende otto diverse forme di sostegno

al reddito: sussidio per le persone anziane (minimum vieillesse), sussidio per gli

invalidi (minimum invalidité), sussidio per gli adulti disabili (allocation adulte

67 Cfr. Integrated approaches to active welfare and employment policies – France, op. cit.

34

handicapé), sussidio d’inserimento (allocation d’insertion), reddito minimo

d’inserimento (revenu minimum d’insertion), sussidio per genitori single (allocation de

parent isolé), assicurazione contro la vedovanza (assurance veuvage).

Il sistema di sostegno al reddito è caratterizzato da un intervento su tre

livelli. Al primo livello, il legislatore ha previsto di non pagare un sussidio, ma

di garantire l’accesso a un programma di inserimento o reinserimento al

lavoro. Il secondo livello prevede l’erogazione di un sussidio, contenuto ma

accompagnato da meccanismi di reinserimento nel mercato del lavoro e di

integrazione sociale. Il terzo livello consiste nell’erogazione di un sussidio di

assistenza non accompagnato da misure di inserimento al lavoro.

Il sistema di sostegno al reddito è diventato complementare al sistema

dell’assicurazione contro la disoccupazione: da quando sono state ristrette le

condizioni di accesso alle indennità di disoccupazione, le varie forme di

sostegno al reddito hanno in parte sostituito le indennità di disoccupazione per

quei lavoratori che non soddisfacevano i criteri di accesso, diventando un

rifugio per i disoccupati di lungo periodo.

Tra le citate forme assistenziali merita indubbia attenzione il reddito

minimo di inserimento, al quale possono accedere le persone che non

soddisfano i criteri di eleggibilità imposti per le altre forme di sostegno al

reddito. Ciò che caratterizza tale istituto è l’approccio globale nei confronti

della persona, che presuppone una valutazione dei diversi tipi di problemi che

la stessa può incontrare relativamente alla casa, alla salute, al lavoro, fino alla

formazione e all’inserimento lavorativo, e ai quali si cerca di far fronte in modo

complessivo, attraverso un monitoraggio continuo e “trasversale” della

persona medesima.

L’erogazione della prestazione, in ogni caso, resta comunque soggetta

all’effettiva partecipazione del beneficiario ad appositi programmi di

inserimento sociale e occupazionale, considerati la condicio sine qua non per la sua

integrazione sociale.

35

2.1.4. Germania

Il sistema assicurativo tedesco contro la disoccupazione è su base

obbligatoria per tutti i lavoratori subordinati che siano impiegati per almeno 18

ore settimanali e che percepiscano una retribuzione superiore ad una soglia

prestabilita. Tale sistema viene finanziato attraverso la contribuzione sociale,

calcolata sulle retribuzioni lorde dei lavoratori nella misura totale del 6,5%,

equamente ripartita tra lavoratori e datori di lavoro.

L’indennità di disoccupazione (Arbeitslosengeld), la cui corresponsione è

subordinata alla ricorrenza di specifici requisiti: stato di disoccupazione

involontaria ovvero occupazione per meno di 18 ore settimanali; iscrizione agli

uffici di collocamento; abilità al lavoro; disponibilità ad accettare un lavoro

confacente al proprio patrimonio professionale; ricerca attiva di

un’occupazione; anzianità contributiva minima per almeno 1 anno nel triennio

precedente la disoccupazione), è computata sulla base di una media delle

retribuzioni percepite nelle ultime 52 settimane, secondo un importo

diversificato in relazione alla presenza o meno di figli nel nucleo familiare del

lavoratore.

La durata della prestazione, variabile nell’arco di un periodo compreso

tra 2 e 6 mesi, dipende dall’età e dall’anzianità contributiva del beneficiario.

Sono inoltre previste apposite sanzioni, in particolare in caso di abbandono

volontario del posto di lavoro e in caso di rifiuto di un lavoro accettabile o,

ancora, di rifiuto di partecipare a misure di politica attiva per il reinserimento

professionale. La sanzione consiste, generalmente, nella sospensione del

trattamento indennitario, fino ad un massimo di 12 settimane.

Accanto al sistema assicurativo è presente un sistema assistenziale68,

che prevede l’erogazione di un sussidio di disoccupazione (Arbeitlosenhilfe) in

favore dei lavoratori che hanno percepito l’indennità di disoccupazione, ma

che alla cessazione del sussidio sono ancora disoccupati. Detta prestazione è

finanziata attraverso la fiscalità generale ed è determinata in percentuale al

68 Cfr. Integrated approaches to active welfare and employment policies – Germany, op. cit.

36

reddito di riferimento (inferiore a quella della indennità di disoccupazione) e

non prevede limiti temporali, salvo verifica annuale della permanenza dei

requisiti previsti per la sua corresponsione.

Strutturalmente e funzionalmente, dunque, il sussidio di disoccupazione

non differisce granché dall’indennità di disoccupazione, se non per la minore

severità dei requisiti di accesso, per la concorrenza di un requisito reddituale

insieme a quello soggettivo dello stato di disoccupazione (è richiesto, in altre

parole, lo stato di “indigenza”), e per la forma di finanziamento che, come

detto, è a carico della collettività.

L’ammontare del sussidio di disoccupazione, come pure per l’indennità

di disoccupazione, dipende dalla retribuzione precedentemente percepita dal

lavoratore, risultando quindi, generalmente, abbastanza elevato. A queste

forme di sostegno del reddito si aggiunge una terza forma di sussidio

(Sozialhilfe), erogato a coloro che non rientrano nel campo di applicazione delle

provvidenze precedenti.

Anche questo tipo di prestazione è finanziato dalla fiscalità generale e

ha durata illimitata. Il suo ammontare non dipende da retribuzioni

precedentemente percepite dal lavoratore, ma è stabilito in base alla situazione

del nucleo familiare.

2.1.5. Spagna

Come nella maggior parte dei Paesi europei, anche in Spagna

l’assicurazione contro la disoccupazione è a carattere obbligatorio.

L’erogazione delle prestazioni - che sono finanziate attraverso i

contributi versati dai lavoratori (nelle misura del 4,7%) e dai datori di lavoro

(nella misura del 23,6%) - è subordinata all’accertamento della ricorrenza dei

requisiti di eleggibilità (involontarietà dello stato di disoccupazione, abilità e

disponibilità al lavoro, iscrizione all’ufficio di collocamento, età compresa tra

16 anni e l’età pensionabile), cui si aggiunge il criterio relativo all’anzianità

37

contributiva, che prevede il versamento di contributi per 360 giorni nei 6 anni

precedenti il periodo di disoccupazione.

L’importo dell’indennità di disoccupazione viene determinato in base

alle retribuzioni dei 180 giorni precedenti la disoccupazione. In particolare,

l’importo corrisponde al 70% del reddito di riferimento per i primi 180 giorni

e del 40% per il periodo successivo, nel rispetto di un minimale e di un

massimale predeterminati per legge.

La durata della prestazione è variabile in funzione della durata del

periodo di contribuzione del lavoratore nei 6 anni precedenti la

disoccupazione stessa, e comunque non può oltrepassare il limite massimo di 2

anni.

Accanto all’indennità di disoccupazione è previsto un sussidio di

disoccupazione69 che spetta ai lavoratori disoccupati che hanno esaurito il

diritto all’erogazione dell’indennità di disoccupazione, oppure che non

soddisfano i requisiti imposti per l’accesso all’indennità stessa.

Per avere diritto a tale tipo di sussidio non sono richiesti particolari

requisiti, se non uno stato di disoccupazione involontaria, l’iscrizione all’ufficio

di collocamento, il possesso di un’età compresa tra 16 anni e l’età pensionabile.

In alcuni casi è richiesto un minimo di versamenti contributivi corrispondente

a 3 o a 6 mesi.

L’ammontare del sussidio di disoccupazione è previsto nella misura del

75% del salario minimo e viene erogato per un periodo di 6 mesi, rinnovabile

per altri sei mesi, fino ad un massimo di 18 mesi in casi particolari.

Oltre a questo sussidio, esistono in Spagna altre forme di sostegno del

reddito che fanno parte di un sistema assistenziale. Ne fanno parte ben 17

forme diverse di provvidenze economiche, corrispondenti alle altrettante

comunità autonome presenti nel territorio nazionale.

69 Cfr. Integrated approaches to active welfare and employment policies – Germany, op. cit.

38

2.1.6. Olanda

In Olanda l’assicurazione contro la disoccupazione è obbligatoria per

tutti i lavoratori al di sotto dei 65 anni. Essa è finanziata attraverso la

contribuzione dei lavoratori (nella misura del 3,65%) e dei datori di lavoro

(nella misura del 5,25%).

All’interno di tale sistema esistono tre differenti tipi di indennità di

disoccupazione: l’indennità di breve periodo, l’indennità proporzionale alla

retribuzione e l’indennità di proseguimento.

In generale i requisiti richiesti per l’accesso al sistema indennitario

prevedono che il lavoratore sia disoccupato involontario, abile e disponibile al

lavoro, sia registrato all’ufficio di collocamento e sia disposto ad accettare

lavori ritenuti confacenti alla propria professionalità.

L’indennità di breve periodo richiede, in aggiunta ai predetti requisiti,

che il lavoratore abbia lavorato per almeno 26 settimane nelle 39 precedenti la

disoccupazione.

L’ammontare dell’indennità non dipende dalla retribuzione

precedentemente percepita dal lavoratore, tanto è vero che esso è determinato

nella misura del 70% del salario minimo legale. Quanto alla sua durata, la legge

olandese prevede l’erogazione della prestazione per un massimo di 6 mesi.

Per la corresponsione dell’indennità proporzionale alla retribuzione,

oltre ad essere soddisfatta la condizione delle 26 settimane lavorative nelle

ultime 39 settimane – già vista per l’indennità di breve periodo - è necessario

che il lavoratore possa dimostrare di avere almeno 52 giornate retribuite

all’anno per almeno 4 degli ultimi 5 anni.

L’ammontare di detta indennità è parametrata al 70% della retribuzione

precedentemente percepita dal lavoratore, entro comunque il limite massimo

previsto dalla legge. La durata della prestazione, variabile da 6 mesi a 5 anni,

dipende dall’anzianità lavorativa e dall’età del lavoratore.

Cessato il diritto all’indennità proporzionale, il lavoratore disoccupato

ha diritto a beneficiare di una indennità di proseguimento. Questa viene

39

erogata nella misura del 70% del salario minimo legale, oppure della

retribuzione giornaliera, se inferiore al salario minimo. Tale indennità può

essere erogata per un periodo massimo di due anni, salvo che per i lavoratori

disoccupati con più di 57,5 anni, nei confronti dei quali può essere erogata fino

al compimento dell’età pensionabile.

Nel caso in cui il lavoratore si dimetta (o assuma un comportamento

che determini il proprio licenziamento) oppure rifiuti un lavoro accettabile

ovvero, ancora, rifiuti di partecipare a programmi di reinserimento lavorativo,

è prevista l’irrogazione di sanzioni, consistenti, a differenza degli altri Paesi, in

una riduzione dell’indennità dal 35 al 70% (ma è contemplata anche

l’interruzione dell’erogazione in caso di violazioni o di inadempimenti molto

gravi).

Sul versante delle tutele sociali70, il sistema olandese presenta una vasta

gamma di tipologie di intervento, tra le quali meritano particolare attenzione i

sussidi sociali per le persone che non riescono a garantirsi il minimo

indispensabile per la sopravvivenza. Competenti per tali forme di assistenza

sociale sono le amministrazioni comunali, che provvedono all’erogazione dei

sussidi nei confronti di tutti i cittadini (olandesi o stranieri legalmente residenti

in Olanda) con più di 18 anni, sprovvisti delle risorse necessarie per la loro

sopravvivenza.

Come nel caso delle indennità di disoccupazione, sono previste

specifiche condizioni di accesso alle suddette prestazioni sociali (ricerca attiva

di un lavoro, iscrizione agli uffici di collocamento, partecipazione a corsi e a

programmi personali per la reintegrazione nel mercato del lavoro).

Tendenzialmente i beneficiari di questo tipo di prestazione sono

persone che hanno effettive difficoltà nella ricerca di un impiego e che hanno

poche possibilità concrete di rientrare nel mercato del lavoro.

70 Cfr. Integrated approaches to active welfare and employment policies – The Netherland, op. cit.

40

2.1.7. Belgio

Organizzato su base obbligatoria, il sistema belga è finanziato dai

contributi sociali versati dai lavoratori e dai datori di lavoro.

Hanno diritto all’indennità di disoccupazione tutti i lavoratori

disoccupati, abili al lavoro, iscritti all’ufficio di collocamento come lavoratori in

cerca disoccupazione. Inoltre, conta l’anzianità contributiva, che dipende

dall’età del lavoratore e che prevede, per lavoratori fino a 36 anni, una durata

contributiva di 312 giorni nei 18 mesi precedenti la disoccupazione, per

lavoratori in età compresa fra i 36 e i 49 anni, di 468 giorni negli ultimi 27 mesi

e per lavoratori con più di 50 anni, di 624 giorni negli ultimi 36 mesi.

L’ammontare dell’indennità di disoccupazione, che prevede un limite

minimo e uno massimo, dipende dalla retribuzione percepita dal lavoratore,

nella misura del 60% e del 43% dopo un anno.

Per quanto riguarda la durata, la situazione è singolare: non sono

previsti limiti se non in determinati casi di disoccupazione di lungo periodo.

In caso di rifiuto di un’offerta di lavoro o di false dichiarazioni,

l’indennità di disoccupazione viene sospesa per un periodo variabile da 1 a 26

settimane (tempo che viene raddoppiato in caso di reiterazione di tali

comportamenti) o da 4 a 52 settimane per violazioni molto gravi, fino alla

sospensione definitiva dell’erogazione dell’indennità.

Il sistema assicurativo belga71 contro la disoccupazione è affiancato da

un sistema assistenziale, che coinvolge un modesto numero di persone, del

tutto autonomo dal primo. Mentre il sistema assicurativo gestisce

separatamente l’erogazione delle prestazioni (livello federale) e l’attività di

collocamento e gestione delle politiche attive (livello regionale), il sistema

assistenziale gestisce a livello federale sia l’erogazione delle prestazioni sia le

politiche di attivazione.

71 Cfr. Integrated approaches to active welfare and employment policies – Belgium, op. cit.

41

Il sistema assistenziale prevede un minimo di sussistenza (Minimex),

stabilito in base alle situazioni di indigenza sia nell’importo che nella durata,

per quanti non sono in grado di sopravvivere con i propri mezzi.

2.1.8. Danimarca

La Danimarca, diversamente dagli altri Paesi europei, dispone di un

sistema assicurativo contro la disoccupazione dall’adesione volontaria da parte

di lavoratori subordinati o autonomi in età compresa tra i 18 e i 65 anni.

I lavoratori disoccupati devono essere iscritti alla cassa assicurativa da

almeno un anno e aver contribuito per almeno 52 settimane nei 3 anni

precedenti al periodo di disoccupazione.

Oltre ai requisiti di età e anzianità assicurativa, sono stati stabiliti anche

alcuni criteri di eleggibilità con il compito di limitare l’accesso a tale sistema,

come l’involontarietà della disoccupazione, l’iscrizione all’ufficio di

collocamento, l’idoneità al lavoro, la disponibilità al lavoro, la ricerca attiva di

un’occupazione, anche al di fuori della sua area professionale.

Nel caso in cui il lavoratore che percepisce l’indennità di

disoccupazione non rispetti tali adempimenti, il servizio per l’impiego deve

informare la cassa per l’assicurazione contro la disoccupazione, la quale

considererà l’eventuale applicazione delle sanzioni previste.

Le sanzioni prevedono la sospensione per 5 settimane dell’indennità di

disoccupazione nel caso in cui il lavoratore 2 volte in 12 mesi abbandoni

volontariamente il lavoro o per 1 settimana nel caso di rifiuto di un lavoro

accettabile 2 volte sempre in un periodo di 12 mesi. Le sanzioni possono

arrivare fino all’interruzione dell’erogazione dell’indennità in caso di rifiuto del

lavoratore di partecipare a programmi di politica attiva.

Definito il reddito di riferimento, l’indennità è prevista per il 90% di

tale reddito.

42

Nel sistema di sicurezza sociale danese72 due diverse amministrazioni

sono responsabili per l’erogazione di prestazioni sociali o di disoccupazione: il

Ministro del Lavoro è responsabile per le prestazioni e le misure occupazionali

dirette ai lavoratori iscritti a una cassa di assicurazione contro la

disoccupazione, il Ministro degli Affari sociali è responsabile per le prestazioni

e le misure occupazionali volte ai lavoratori che non sono iscritti a tali casse.

In Danimarca anche il sistema assistenziale, come quello assicurativo,

prevede sussidi caratterizzati da alti tassi di rimpiazzo e breve durata, in quanto

l’obiettivo fondamentale è il reinserimento del disoccupato nel mercato del

lavoro attraverso programmi specifici.

Nella realtà non è previsto un coordinamento fra il sistema assicurativo

e il sistema assistenziale, come non è previsto fra i ministri del lavoro e degli

affari sociali. Il coordinamento degli operatori dei due sistemi è ritenuto

auspicabile.

2.1.9. Svezia

Il sistema di assicurazione svedese è organizzato su base volontaria ed è

costituito da 38 casse assicurazioni. L’indennità in caso di disoccupazione

spetta solo ai lavoratori subordinati o autonomi fino al compimento di 65

anni, iscritti a una delle casse, dotati dei requisiti stabiliti (disoccupazione

involontaria, iscrizione all’ufficio di collocamento come lavoratore in cerca di

occupazione, abilità al lavoro, non rifiutare un lavoro accettabile,

collaborazione con il servizio per l’impiego nella definizione di un programma

di reinserimento al lavoro, ricerca attiva di un lavoro73).

72 Cfr. Integrated approaches to active welfare and employment policies – Denmark, op. cit. 73 A questi requisiti di eleggibilità si aggiunge la necessità dell’iscrizione per almeno un anno ad una cassa di assicurazione e il soddisfacimento di requisiti di anzianità assicurativa, che prevedono che il lavoratore sia stato occupato (in modo autonomo o subordinato) per almeno 6 mesi e per almeno 70 ore al mese oppure per 6 mesi e almeno 450 ore oppure 45 ore per gli ultimi 12 mesi.

43

Il finanziamento di questa indennità si basa sui contributi versati dai

datori di lavoro nella misura del 5,84% delle retribuzioni lorde dei lavoratori

subordinati e nella misura del 3,3% delle entrate dei lavoratori autonomi.

L’importo della indennità di disoccupazione è stabilito nell’80% della

retribuzione giornaliera media calcolata durante il periodo di riferimento, per

un massimo di € 80 al giorno per i primi 100 giorni e successivamente di € 73.

L’indennità di disoccupazione viene erogata per 300 giorni (per 5 giorni

a settimana, quindi 60 settimane) per i lavoratori fino a 57 anni e per 450

giorni (90 settimane) per i lavoratori con più di 57 anni. Ma la durata può

essere prolungata fine 600 giorni.

Nel caso in cui il lavoratore abbandoni il proprio lavoro senza un valido

motivo è prevista una sospensione della erogazione dell’indennità di

disoccupazione per 45 giorni, mentre nel caso in cui rifiuti un lavoro

accettabile, la prima volta è prevista una riduzione del 25% dell’indennità di

disoccupazione per 40 giorni, la seconda volta del 50% per ulteriori 40 giorni e

la terza volta la sospensione per 60 giorni.

L’indennità è soggetta a tassazione.

Il sistema sociale svedese prevede l’erogazione di un sussidio sociale per

le persone che temporaneamente si trovano nella situazione di non poter

provvedere alla loro sussistenza o a quella della famiglia. Tale sussidio può

essere erogato alla persona o alla famiglia, a seconda della situazione familiare.

Non sono previsti limiti alla durata di tale sussidio: esso è previsto che venga

erogato fintanto che permane la situazione.

44

CAPITOLO TERZO

LA SITUAZIONE ITALIANA

3.1. La flexicurity in Italia

L’evoluzione apportata alla regolamentazione del mercato del lavoro in

Italia nell’ultimo ventennio e l’assetto attuale sono notevolmente condizionati

dalla situazione di partenza. Due erano gli aspetti peculiari del mercato del

lavoro italiano:

un intervento pubblico, il quale si attuava mediante divieti e

obblighi;

una protezione che riposava quasi soltanto sull’elevata rigidità in

uscita stabilita dalla normativa sui licenziamenti e mancanza di strumenti

appropriati di protezione del reddito in caso di perdita del posto di lavoro.

Questa organizzazione ha influenzato lo sviluppo delle possibilità e dei

mezzi a disposizione della pubblica amministrazione, in maniera tale che le

riforme degli anni Novanta avrebbero necessitato di elementi di novità radicali.

Malgrado ciò, giova sottolineare come durante gli anni Ottanta e Novanta il

paradigma tradizionale di regolamentazione del mercato del lavoro è stato in

grande misura demolito. È stato messo da parte in maniera definitiva il

principio della chiamata numerica, già di gran lunga sorpassato nei fatti, ed è

stato abrogato il monopolio pubblico del collocamento con l’apertura alle

agenzie private. Inoltre, le differenti riforme susseguitesi a cominciare dagli

anni ‘90 hanno cercato di inserire la flessibilità esterna nel mercato del lavoro,

temperando i vincoli all’uso di contratti a tempo determinato e procurando

nuove tipologie di contratti ‘atipici’. Malgrado ciò, la flessibilità pare essersi

soltanto ‘sovrapposta’ alla precedente situazione, non mutando, se non

parzialmente, nella Riforma Fornero del 2012, il livello di protezione

all’impiego per i contratti a tempo indeterminato.

45

Paiono ormai palesi gli ostacoli collegati al passaggio da un’occupazione

temporanea ad una a tempo indeterminato, in particolare per i lavoratori più

giovani, aumentando considerevolmente il livello di segmentazione del

mercato del lavoro. Al riguardo le matrici di transizione basate sui dati Istat

mostrano che la probabilità di passaggio nell’arco di un anno dal contratto a

tempo determinato a quello indeterminato sono circa del 29%. Tale probabilità

si abbassa al 12% circa qualora il contratto di partenza sia di collaborazione

continuativa. Inoltre, chi non ha un contratto a tempo indeterminato ha una

più elevata probabilità di diventare disoccupato (CNEL 2007). Dai dati

amministrativi di fonte INPS si emerge che per i collaboratori la probabilità di

essere ancora occupati con il medesimo contratto o con uno a tempo

determinato è pari al 49% dopo un anno, si riduce al 27% dopo tre ed è ancora

il 22% dopo cinque; Infine, la percentuale di lavoratori entrati con contratto a

tempo determinato e che troviamo nell’occupazione a tempo indeterminato è

pari al 33% dopo un anno, e al 50% dopo tre, passati i quali non sembra più

aumentare.

Complessivamente i risultati indicano la presenza di effetti di diverso

segno associabili all’utilizzo di contratti non standard. Le caratteristiche

individuali sono soltanto parzialmente esplicative della permanenza dei singoli

lavoratori in tali forme contrattuali. A volte, il transito attraverso di esse,

soprattutto i contratti formativi, si delinea come un porto d’ingresso

nell’occupazione a tempo indeterminato. Malgrado ciò, risalta una significativa

persistenza in contratti instabili e all’interno della stessa impresa, a conferma

dell’esistenza di un effetto trappola, che può essere interpretato secondo il

vantaggio per le imprese in termini di riduzione del costo del lavoro.

Abbastanza spesso, alla fragilità nel mercato del lavoro dei lavoratori

atipici si aggiunge una posizione di svantaggio anche nell’arena delle politiche

pubbliche. Infatti la gravità della segmentazione dipende, da una parte, dalle

peggiori condizioni contrattuali, salariali tipiche dell’occupazione atipica e,

dall’altra, dalla carenza di una riforma del sistema degli ammortizzatori sociali,

46

che pare rimanere piuttosto frammentato. Mancano, nello specifico, modalità

di protezione adatte alle differenti tipologie di lavoratori temporanei;

nell’opinione di Lucidi e Raitano: “le misure introdotte per aumentare la

flessibilità del mercato del lavoro hanno favorito l’occupazione, ma non sono

state affiancate da un corrispondente aumento della sicurezza. Il mercato del

lavoro è diventato più duale. La protezione rimane estremamente elevata per i

lavoratori dipendenti con contratti a tempo indeterminato occupati nelle

imprese più grandi, mentre i soggetti che lavorano nelle piccole imprese con

contratti “atipici” a tempo determinato sperimentano livelli di insicurezza

molto più elevati. Le spese rivolte alle politiche attive del mercato del lavoro

rimangono inferiori alla media europea. La formazione e l’apprendimento

continuo vivono una situazione di grave ritardo”74.

Le analisi comparative svolte in conformità alle direttive della

Commissione Europea contenute nella Comunicazione Towards common

principles of: more and better jobs through flexibility and security, pongono l’Italia

lontana dalle forme più compiute di flexicurity. Nei confronti dei paesi nordici

e anglosassoni, che mostrano migliori performance quanto ad efficienza e/o

equità, l’Italia è posta, con il resto dei paesi, tra quelli con risultati inferiori su

entrambi i fronti.

Per poter attuare in maniera efficace la flexicurity appare necessario la

riduzione della segmentazione, sia dal punto di vista statico sia, in particolare,

dinamico; in tal senso i principali motivi della segmentazione dovrebbero

essere affrontate immediatamente, prima di provare ad imitare esperienze

estere rivelatesi efficaci in tale ambito75.

Nello specifico, oltre agli sforzi avviati dalla legge Fornero, “in chiave

statica si è verificato che per i lavoratori a tempo determinato i rischi derivanti

dall’instabilità del rapporto di lavoro (e dai bassi benefici assistenziali,

sfavorevoli soprattutto ai lavoratori parasubordinati) non sono compensati da

74 F. LUCIDI, M. RAITANO, Lo stato dell’arte sull’implementazione della flexicurity in Italia: aspetti formativi ed evidenza empirica, in ISFOL, La Flexicurity come nuovo modello di politica del lavoro, ISFOL 2011, p. 77. 75 Cfr. E. PISANO, M. RAITANO (2007), La flexicurity danese: un modello per l’Italia?, in P. VILLA (a cura di), Generazioni flessibili. Nuove e vecchie forme di esclusione sociale, Carocci editore, Roma.

47

un salario maggiore, il quale risulta essere, al contrario, significativamente più

basso rispetto a quello corrisposto ai lavoratori a tempo indeterminato”76.

Quanto accaduto in Italia, quindi, pare un tipico caso di traslazione dei

rischi sui lavoratori, poiché l’aumento dei livelli di flessibilità del lavoro, con lo

scopo di soddisfare le esigenze delle imprese, ha avuto come conseguenza che

alcuni gruppi di lavoratori si siano ritrovati fortemente esposti a rischi di

diverso tipo, senza che ciò sia stato compensato da maggiori retribuzioni o da

più generose prestazioni di welfare (e/o di maggiore accesso alla formazione

continua).

La situazione di crisi ha poi comportato l’aggravamento della situazione

creatasi e l’aumento delle diseguaglianze fra lavoratori a termine e a tempo

indeterminato, riducendo ulteriormente le possibilità, per quelli a termine, di

stabilizzare la propria posizione lavorativa o di avere dei rinnovi contrattuali.

Le misure adoperate per contrastare le recenti crisi si sono rivelate

inadeguate, poiché paiono essere state carenti le azioni per procedere verso la

riforma organica degli ammortizzatori sociali; soprattutto, non sono stati

sufficientemente corretti “i due macroscopici limiti del sistema italiano:

l’assenza di un’adeguata indennità di disoccupazione a carattere

universale (che copra cioè, in modo automatico e con le stesse regole, la

totalità dei lavoratori);

l’erogazione di uno strumento assistenziale means tested per chi non

abbia più il diritto a riceverla”77.

Bisognerà quindi operare per abbassare le disparità delle tutele del

welfare (anche previdenziali) tra le diverse categorie di lavoratori

Quanto modello di flexicurity più adatto all’Italia, il danese non sembra

un paradigma cui ispirarsi a causa dei seguenti motivi:

la marcata segmentazione del mercato del lavoro italiano;

le caratteristiche della struttura produttiva;

il contesto economico-sociale della penisola.

76 F. LUCIDI, M. RAITANO,. Lo stato dell’arte sull’implementazione della flexicurity in Italia, cit., p. 78. 77 F. LUCIDI, M. RAITANO,. Lo stato dell’arte sull’implementazione della flexicurity in Italia, cit., p. 79.

48

Tangian ha proposto l’erogazione universale di un reddito di

cittadinanza e che contributi sociali e retribuzioni siano stabiliti in maniera

proporzionale al grado di rischio proprio delle diverse tipologie contrattuali78.

Hanno osservato Lucidi e Raitano al riguardo: “Se si accetta l’idea che la

flessibilità sia necessaria per incrementare l’efficienza dei mercati e la

competitività delle imprese sembra, infatti, necessario e doveroso che i

lavoratori temporanei ricevano maggiori (e non minori) tutele dal welfare state e

salari (a parità di skills) in modo da attenuare il grave fenomeno di

segmentazione (spesso associato a precarietà e insicurezza) di cui, per una

quota non irrilevante dei lavoratori, l’analisi precedente ha suggerito l’esistenza.

In caso contrario, come sembra sia invece finora avvenuto in molti casi e

come la crisi ha ulteriormente evidenziato, si scaricherebbero sui soli individui

- e non sulla collettività e/o sulle imprese - i rischi derivanti dalla richiesta di

maggiore flessibilità (se non anche, o soprattutto, di semplice riduzione degli

oneri sociali e del costo del lavoro) da parte del settore produttivo”79.

Quanto ai costi, l’adeguamento del sistema di sussidi agli standard di

durata e importo prevalenti nell’Unione sembra difficilmente sostenibile per le

finanze pubbliche, in un paese ad alta disoccupazione strutturale. Nel caso in

cui il finanziamento riposasse sul costo del lavoro, sotto forma di oneri sociali,

si verificherebbero ulteriori effetti negativi sulla domanda e sull’offerta di

lavoro in quanto il livello della tassazione e della disoccupazione sono

interdipendenti dato che un più largo cuneo fiscale riduce l’occupazione e, a

sua volta, la maggiore disoccupazione aumenta la spesa per sussidi e per ciò

comporta un più largo cuneo fiscale. Bisogna poi considerare che il sussidio di

disoccupazione, necessario a realizzare un compiuto sistema di flexicurity,

sembra non facilmente conciliabile con il carattere prevalentemente strutturale

della mancanza di lavoro nelle regioni meridionali.

78 Cfr. A. TANGIAN, Flexibility-flexicurity-flexinsurance: response to the European Commission’s Green Paper on “Modernising labour law to meet the challenges of the 21st century”, WSI Diskussionspapier 149, Düsseldorf, Hans-Böckler-Stiftung, 2007. 79 F. LUCIDI, M. RAITANO, Lo stato dell’arte sull’implementazione della flexicurity in Italia, cit., pp. 79-80.

49

3.2. Mercato del lavoro e modalità contrattuali flessibili

Come già ricordato, fino alla metà degli anni ’90 il mercato del lavoro

italiano era caratterizzato da elevata regolamentazione, con un alto livello di

rigidità e di protezione del lavoro. Le caratteristiche del sistema produttivo

italiano, il modello sociale adottato e la situazione socio-economica del tempo

erano le cause di tale situazione. Il paradigma affermatosi nel periodo ha

progressivamente alzato il livello di tutela che era garantito ai lavoratori a

tempo, pieni titolari di un contratto a tempo indeterminato. I primi

cambiamenti legislativi riguardo alla regolamentazione del mercato del lavoro

sono della metà degli anni ’90; generalmente il punto di svolta viene

identificato nel 1997, in seguito all’approvazione del ‘pacchetto Treu’, per

quanto già nel 1995, la ‘riforma Dini’, che mutò profondamente il sistema

previdenziale era stata un punto di svolta.

Con l’introduzione della gestione separata – ovvero una peculiare

gestione pensionistica prevista per i lavoratori parasubordinati e volta a

tutelare, in particolare, i collaboratori coordinati continuativi (co.co.co) – si

ebbe l’individuazione di lavoratori considerati autonomi dal punto di vista

formale, ma che de facto erano solitamente dipendenti da un singolo datore di

lavoro. “L’introduzione della Gestione Separata diede impulso alla

proliferazione di tali contratti, che garantivano il livello più basso di protezione

(a causa della loro natura formale di lavoro autonomo) e il pagamento di

limitati contributi sociali”80.

La successiva ‘riforma Treu, l. 196/ 1997, ebbe carattere più strutturale

e contemplava come punti salienti:

l’introduzione delle agenzie di lavoro interinale;

l’introduzione dei contratti di tirocinio (volti a facilitare la transizione

dei giovani dal sistema di istruzione all’occupazione);

la ristrutturazione dei vincoli all’assunzione di lavoratori con

contratti a tempo determinato.

80 F. LUCIDI, M. RAITANO, Lo stato dell’arte sull’implementazione della flexicurity in Italia, cit., p. 42.

50

Il cammino verso la flessibilità è stato poi perfezionato tramite la l.

30/2003 (‘Legge Biagi’). la legge da una parte immise nuove modalità

contrattuali atipiche, quali il lavoro a chiamata, lo staff leasing e il job sharing;

dall’altra, modificò le co.co.co in collaborazioni a progetto, introducendo

l’obbligo della formalizzazione di uno specifico progetto di lavoro per tentare

di porre freno agli abusi risultati dall’uso improprio delle collaborazioni

coordinate e continuative che nascondevano un rapporto di lavoro

dipendente.

La Legge Biagi’ prevedeva poi ulteriori riforme, ovvero:

la liberalizzazione dei servizi di collocamento;

l’introduzione del contratto di inserimento in sostituzione del

precedente contratto di Formazione e Lavoro per supportare l’inclusione dei

gruppi svantaggiati nel mercato del lavoro, id est: soggetti di età compresa tra i

18 ed i 29 anni, disoccupati di lunga durata tra i 29 e i 32 anni, disoccupati di

età superiore ai 50 anni, persone in cerca di lavoro con più di 2 anni di

inattività, donne residenti in regioni svantaggiate, persone con handicap;

la modifica della normativa sull’apprendistato, l’applicabilità della

quale era estesa fino ai 29 anni d’età;

la modifica della normativa sul part-time.

Queste riforme, rendendo possibile l’introduzione di sempre maggiori

elementi di flessibilità ha portato nella Penisola una sostanziale riduzione della

rigidità della legislazione nel mercato del lavoro. Secondo l’OCSE l’Italia ha

fatto registrare a livello europeo la più alta riduzione dell’indice della normativa

in materia di tutela del lavoro (EPL); nel 1995 ci sopravanzava solo il

Portogallo; successivamente eravamo preceduti soltanto dai paesi anglosassoni

e dalla Danimarca

51

Andamento dell’indice della legislazione di protezione dell’occupazione nei paesi della UE15

Fonte: OCSE

Preme sottolineare come prima del Big Bubble, la flessibilizzazione del

mercato del lavoro pareva aver abbassato la disoccupazione, sebbene in misura

forse minore di quanto auspicato dal Trattato di Lisbona, anche se restano

estremamente elevati gli squilibri territoriali. Le forme più flessibili sono state

maggiormente utilizzate al sud e per periodi più brevi rispetto al nord.

Quota di dipendenti con contratto a termine nei paesi della UE15

Fonte: Eurostat

52

Dall’immagine emerge che, per quanto attiene all’utilizzo della leva della

flessibilità in ingresso per garantire incrementi occupazionali, il paese con la

più alta percentuale di contratti a termine, cioè con il più alto livello di

flessibilità del lavoro, i.e. la Spagna (e non soltanto nella UE a 15 come nel

grafico sopra riportato) è anche quello dove il tasso di disoccupazione è più

elevato.

Infine, la recente ‘legge Fornero’ ha recato ulteriori sostanziali novità

riguardo alla flessibilità del mercato del lavoro. In generale, la riforma Fornero

ha introdotto nel diritto del lavoro italiano sostanziali modifiche, volte ad

assicurare una maggiore flessibilità del mercato del lavoro, sia in entrata, sia in

uscita; questo, in particolare, in materia di contratti di lavoro a tempo

determinato, contratti a progetto, lavoro autonomo, licenziamenti individuali e

collettivi, tutela in caso di licenziamento illegittimo, ammortizzatori sociali e

nel processo del lavoro. La riforma è stata poi oggetto di ulteriori integrazioni

e modifiche grazie al decreto sviluppo (D.L. 22 giugno 2012, n. 83)81.

Composizione della spesa per politiche del lavoro in Italia e nella UE15 nel 2005

Fonte: OCSE

81 Convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134.

53

Una novità di rilievo è stata presentata in materia di contratti a tempo

determinato; con l’entrata in vigore della riforma e del decreto sviluppo, è stata

infatti data la possibilità al datore di lavoro di non motivare e di non indicare la

ragione giustificatrice del termine del primo contratto che sia sottoscritto tra le

parti, purché non sia di durata superiore ai 12 mesi.

Si può affermare che la riforma del contratto di lavoro a tempo

determinato ha finito per far diventare quest’ultimo una forma comune di

contratto, quasi un prolungamento del periodo di prova previsto di norma per

i contratti a tempo indeterminato. Nella complessa situazione occupazionale

attuale si è stimato così di smuovere il mercato del lavoro rendendo possibile

una prima esperienza lavorativa, augurandosi che questa possa contribuire ad

aumentare le possibilità di un rapporto stabile con lo stesso o altro datore di

lavoro.

Inoltre, i contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali dei

lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul

piano nazionale potranno prevedere, anche in sede di contrattazione

decentrata, che non siano richieste ragioni giustificatrici per la stipula di

contratti a tempo determinato a condizione che:

l’assunzione o la missione nell’ambito del contratto di

somministrazione si verifichi all’interno di un processo organizzativo:

venga rispettato il limite complessivo del 6% dei CTD rispetto al

totale dei lavoratori occupati.

Per quanto riguarda il Contratto di inserimento (art. 1, commi 14 e 15; art.

4, commi 8-11), l’attuale legge lo abroga, sostituendolo con degli incentivi

all’occupazione che riguardano due categorie di lavoratori:

i lavoratori sopra i cinquant’anni, disoccupati da oltre dodici mesi;

le donne di qualsiasi età, residenti in aree svantaggiate del Paese e

disoccupate da almeno sei mesi; donne disoccupate da almeno ventiquattro

mesi, ovunque residenti.

54

L’incentivo comporta una riduzione del 50% dei contributi a carico del

datore di lavoro per una durata complessiva di 12 mesi ed è corrisposto in

rapporto alle assunzioni a tempo determinato. Nel caso in cui vi sia una

trasformazione a tempo indeterminato, oppure l’assunzione sia stata fatta

direttamente a tempo indeterminato, la riduzione dei contributi avrà una

durata totale di 18 mesi.

È stata poi anche modificata la normativa relativa all’Apprendistato (art.

1, commi 16-19) presente nel Testo Unico del 2011 (D.Lgs. 167/2011).

Secondo la nuova normativa:

la durata minima del contratto è di sei mesi e in questa non sono

compresi gli apprendisti assunti per lo svolgimento di attività stagionali;

non è possibile assumere apprendisti con un contratto di

somministrazione a tempo determinato;

è previsto un vincolo che subordina la possibilità di assumere nuovi

apprendisti alla prosecuzione, nei 36 mesi precedenti, di almeno il 50% dei

rapporti di apprendistato instaurato (norma non valida per i datori di lavoro

con meno di 10 dipendenti).

Ritornando al contratto a tempo determinato acausale, bisogna porre in

luce come l’utilizzazione del contratto a termine per favorire l’occupazione di

soggetti particolarmente svantaggiati, si configuri quale una scelta normativa

ben conosciuta in Italia da ormai parecchi anni82; tuttavia, mentre queste

possibilità fino ad ora erano state riservate a specifiche categorie di soggetti

deboli, attualmente si assiste ad un processo di generalizzazione, poiché

nell’attuale scenario, molto spesso per i giovani laureati o per chi detiene un

titolo di studio medio alto, è la mancanza di una prima esperienza lavorativa ad

impedire l’accesso all’occupazione.

82 Cfr. L. MENGHINI, Contratto a termine (art. 1, commi 9-13, l. n. 92/2012), in Il lavoro nella giurisprudenza, 2012, n. 10, p. 929.

55

Quota dipendenti con contratto a termine (Regioni 2007)

Fonte: ISFOL, La flexicurity come nuovo modello di politica del lavoro,

in I libri del Fondo Sociale Europeo, n. 158, Roma, 2011, p. 85.

3.3. Le Relazioni Industriali

Nelle Relazioni Industriali il sistema italiano si è sempre contraddistinto

per un basso livello di istituzionalizzazione, non essendo state attuate mediante

legge ordinaria le differenti disposizioni della Costituzione che hanno impatto

in tale ambito. Infatti l’art. 39 della carta, nel garantire il diritto alla libertà di

associazione, delega alla legge l’articolazione degli ulteriori diritti del sindacato.

La medesima situazione si ha per la contrattazione di livello nazionale e

aziendale, non esistendo leggi che regolano il sistema di relazioni industriali e

che definiscono i diritti e i doveri delle parti. Un sistema tale genere ha

prodotto un modello di relazioni industriali con procedure instabili e risultati

difficili da prevedere, nel cui ambito le controparti hanno spesso messo in

pratica strategie conflittuali per dimostrare il proprio peso nei rapporti di

forza.

56

La preferenza per contrattazioni di tipo centralizzato o aziendale è

spesso mutata a partire dalle specifiche situazioni congiunturali. In fasi di

crescita il sindacato ha preferito il livello aziendale in considerazione del fatto

che per gli imprenditori era essenziale produrre ed evitare eccessivi conflitti.

Tutto ciò è stato modificato con l’accordo interconfederale del 1993 che ha

regolato le materie di competenza dei differenti livelli di contrattazione, oltre a

proceduralizzare le fasi di negoziazione e rinnovo.

Il sistema ha tenuto piuttosto bene, fino agli ultimi anni, quando è

diventato necessario permettere deroghe a livello di contrattazione aziendale,

sia rispetto al CCNL di categoria, sia alla legge. In risposta a tale esigenza,

legata alla crisi che ha richiesto di intervenire in ambito di singola impresa le

migliori soluzioni per gestire le specifiche criticità, è stata approvata dal

governo la legge n.148 del 2012 che rende possibile ampie deroghe alla legge e

alla contrattazione collettiva per la sottoscrizione di intese rientranti in un

contesto abbastanza ampio.

Nello stesso tempo, presumibilmente anche per limitare la portata

dirompente di tale innovazione, i tre sindacati maggiormente rappresentativi

CGIL, CISL e UIL hanno sottoscritto un nuovo accordo interconfederale per

proceduralizzare la stipula di accordi aziendali in deroga al CCNL ma non alla

legge. Si tratta di novità sicuramente rilevanti che dovrebbero consentire di

aumentare la dinamicità delle relazioni industriali del nostro paese e garantire la

opportuna flessibilità regolamentandola laddove effettivamente necessario.

57

Quota di lavoratori parasubordinati, sul totale degli occupati (Regioni italiane 2006)

Fonte: ISFOL, La flexicurity come nuovo modello di politica del lavoro,

in I libri del Fondo Sociale Europeo, n. 158, Roma, 2011, p. 86.

3.4. Le politiche attive del lavoro

Gli ultimi 15 anni sono venuti caratterizzandosi per la profonda

trasformazione dei sistemi istituzionali che presiedono all’intermediazione tra

domanda e offerta di lavoro. Tale trasformazione ha riposato su un duplice

processo riformatore, avviato sul volgere degli anni Novanta, che ha visto in

primo luogo avanzare - a partire dal 1997 - alla demonopolizzazione e alla

riconversione del collocamento pubblico in un sistema capace di fornire servizi

nell’ambito delle politiche attive del lavoro e di supportare lo sviluppo di un

approccio preventivo alla disoccupazione. Successivamente - a partire dal 2003

- si è proceduto alla progressiva definizione dei contorni normativi del mercato

dei servizi al lavoro allargato a nuovi soggetti sia pubblici che privati, tale da

conferire al sistema istituzionale italiano una configurazione mista “pubblico –

privata”.

Il cammino riformatore ha recato una geografia regionalizzata delle

competenze in materia di Servizi per l’impiego e politiche del lavoro, ponendo

le regioni e le province al centro di processi di governo di questi ambiti.

58

I Centri per l’impiego hanno agito sulla base della logica di “presa in

carico” degli individui in cerca di lavoro, cui sono stati offerti servizi di politica

attiva adattati alle specifiche necessità, lasciando da parte l’approccio

indifferenziato caratteristico del vecchio collocamento.

Indicatori del ruolo svolto dai Centri per l’impiego, per Regioni

Fonte: ISFOL, La flexicurity come nuovo modello di politica del lavoro, in I libri del Fondo Sociale Europeo, n. 158, Roma, 2011, p. 91.

59

Propriamente pare opportuno rilevare come il livello e la tipologia dei

servizi erogati dai Centri per l’impiego sia notevolmente differente a seconda

delle aree geografiche di riferimento. Nello specifico, l’erogazione di servizi

personalizzati e di carattere “proattivo” è caratteristico nel Centro Nord, di

contro al prevalere di servizi minimali al Sud. Tale differenza solo parzialmente

risulta comprensibile alla luce della diversa quantità di domanda di servizi

rivolta alle strutture per l’impiego.

Inoltre all’interno del nuovo sistema sono tutt’ora esistenti alcune

eredità del vecchio collocamento, ovvero:

sbilanciamento del sistema verso la domanda di lavoro;

modello organizzativo e operativo generalista in cui tutti fanno tutto;

difficoltà a differenziare i servizi in rapporto all’utenza;

mancanza di meccanismi premiali nei confronti dell’utenza che

aderisce ai servizi ed ai percorsi definiti83.

Da sottolineare, inoltre, la mancanza di un sistema informativo centrale

completamente implementato, capace di garantire flussi costanti e aggiornati

con le necessarie informazioni, insieme al deficit di un ruolo forte di

coordinamento che dovrebbe spettare all’amministrazione centrale.

83 Cfr. CENTRO STUDI INTERNAZIONALI E COMPARATI “Marco Biagi”, Flexicurity: lavori in corso, Bollettino ADAPT, 22 ottobre. 2007

60

Tassi di transizione da contratto a termine a permanente Regioni italiane 2007-2008

Fonte: ISFOL, La flexicurity come nuovo modello di politica del lavoro,

in I libri del Fondo Sociale Europeo, n. 158, Roma, 2011, p. 94.

Per ultimo appare rilevante considerare alcuni dati relativi alle spese che

lo stato italiano sostiene per politiche attive del lavoro, essendo questi

piuttosto negativi e pertanto indice della bassa propensione a investire

veramente in tale settore, in particolare in un periodo congiunturale negativo

come quello attuale. Infatti, mentre in tre anni le risorse investite in

ammortizzatori sociali sono cresciute di oltre il 20%, quelle per le politiche

attive e i servizi per l'impiego sono diminuite del 6 e del 10 per cento. Si

aggrava dunque lo squilibrio tra sussidi monetari e iniziative attive: i primi

captano l'80% del budget totale, mentre alle politiche attive è destinato

soltanto lo 0,31% del Pil, la metà rispetto a quanto spende la Germania. Con

uno squilibrio record, eccezion fatta per la Romania, l’Italia è il Paese europeo

con il gap più alto tra sussidi passivi e politiche attive. (dati archivio eurostat).

Nel 2011 soltanto il 32% dei disoccupati si è rivolto ai centri per l'impiego, il

secondo dato più basso della Ue a 27, di contro ad una media di utilizzo della

61

Ue che sfiora il 56%. A ciò bisogna aggiungere che in media appena il 3,9% dei

disoccupati trova un impiego grazie al collocamento pubblico (dati Isfol).

3.5. I Sistemi di sicurezza sociale

Per quanto riguarda la tutela del lavoratore oggetto di licenziamento o

sospensione del rapporto di lavoro, il sistema italiano degli ammortizzatori

sociali è formato da molteplici strumenti che, solitamente, necessitano di una

certa anzianità contributiva. Le modifiche legislative sopravvenute nel corso

degli anni hanno aumentato le differenze nelle modalità di applicazione di

misure a sostegno del reddito e delle indennità. In sintesi, data la vastità di

interventi messi in atto dai diversi governi succedutisi negli anni, gli

ammortizzatori sociali possono essere classificati in tre categorie:

1. In caso di sospensione del rapporto di lavoro: trattamenti di

integrazione al reddito (Cassa integrazione guadagni ordinaria, CIGO, e cassa

integrazione guadagni straordinaria, CIGS). In questa classe di interventi sono

compresi gli interventi in deroga della CIGS e i contratti di solidarietà insieme

alle indennità di disoccupazione per i lavoratori sospesi. L’importo economico

normalmente riconosciuto ai lavoratori in questa situazione è pari all’80%

dell’ultima retribuzione percepita, calcolata su di un massimale. L’erogazione

può andare dai 3 mesi ai 3 anni a partire dalle specifiche situazioni aziendali.

2. In caso di cessazione del rapporto di lavoro: indennità di mobilità e

indennità di disoccupazione. L’importo dell’indennità di mobilità è pari a

quello della CIG e viene erogato per periodi compresi tra 1 a 4 anni, a seconda

dell’età del lavoratore e dell’area geografica. Le imprese che assumono

lavoratori in mobilità usufruiscono di agevolazioni contributive a seconda del

tipo di contratto e delle caratteristiche dei lavoratori assunti.

3. Misure temporanee a sostegno dei lavoratori a tempo determinato,

apprendisti e parasubordinati in regime di monocommittenza. Negli ultimi

anni il Governo è intervenuto per ampliare la platea di lavoratori beneficiari di

62

ammortizzatori sociali con diverse misure. Ad esempio, in via sperimentale,

per il triennio 2009-2011 è stata introdotta un’indennità di disoccupazione a

favore dei lavoratori in possesso della qualifica di apprendista - di norma

esclusi - con almeno tre mesi di servizio al momento della sospensione o del

licenziamento, presso l'azienda interessata dalla crisi.

Tale sistema di ammortizzatori sociali è stato spesso oggetto di aspre

critiche, che possono essere riassunte nel modo seguente:

il sistema è discriminatorio in quanto riposa su criteri di categoria e

con molti margini di discrezionalità. Nello specifico la discriminazione pare

assai elevata tra lavoratori appartenenti al comparto delle grandi aziende,

soprattutto del settore industriale ed il resto dei dipendenti privati;

gli interventi di sostegno al reddito non sono collegati con le

politiche attive e non sono effettivamente condizionati alla ricerca di lavoro;

gli ammortizzatori sociali operano soltanto nella prima fase dei

periodi di disoccupazione. Di conseguenza trascurano i rischi di povertà

collegati ai casi di disoccupazione di lunga durata, casi per i quali non è

prevista in Italia alcuna forma strutturata di “reddito di ultima istanza”, come

invece in molti altri Paesi europei.84

La Legge 28.06.2012 n. 92, oltre a modificare le regole del mercato del

lavoro, ha anche riorganizzato profondamente l’assetto degli ammortizzatori

sociali, con l’obiettivo di re-instaurare la coerenza tra flessibilità e coperture

assicurative, ampliare e rendere più eque le tutele fornite dal sistema, limitare

le numerose distorsioni e gli spazi per usi impropri insiti in alcuni degli

strumenti attualmente esistenti. In vista di ciò sono state riordinate le tutele in

caso di perdita involontaria della propria occupazione; estese le tutele in

costanza di rapporto di lavoro ai settori oggi non coperti dalla Cassa

integrazione; introdotti strumenti che agevolino la gestione delle crisi aziendali

per i lavoratori vicini al pensionamento.

84 Cfr. CENTRO STUDI INTERNAZIONALI E COMPARATI “Marco Biagi”, Flexicurity: lavori in corso , Bollettino ADAPT, 22 ottobre. 2007

63

Gli strumenti introdotti dalla riforma si articolano su tre pilastri:

Assicurazione sociale per l’Impiego (ASpI), a carattere universale.

Dal punto di vista degli importi e delle durate vi è una convergenza rispetto

agli attuali trattamenti di disoccupazione ordinaria e di mobilità, raggiunta

tramite un regime transitorio che cesserà nel 2017

Tutele in costanza di rapporto di lavoro (Cigo, Cigs, fondi di

solidarietà). La necessità di eliminare, a decorrere dal 2014, i casi in cui la CIGS

copre esigenze non connesse alla conservazione del posto di lavoro induce a

ritenere necessaria l’eliminazione della causale per procedura concorsuale con

cessazione di attività

Uno Strumento di gestione degli esuberi strutturali, che fornisce la

possibilità di anticipare il pensionamento di 4 anni rispetto ai requisiti di legge,

in tutti i casi di esuberi strutturali di personale, ponendo però il trattamento

interamente a carico delle aziende. Si tratta di una novità di rilievo visto che

anteriormente questa tipologia di situazioni veniva gestita tramite l’istituto

della mobilità, con ovvie ripercussioni sulle casse dell’INPS.

3.6. La riforma Fornero

La recente riforma del mercato del lavoro85 (c.d. Riforma Fornero) di

cui alla legge n. 92 del 201286, “si propone l'obiettivo ambizioso di contribuire

a spostare il nostro ordinamento dall'equilibrio proprio del modello

mediterraneo all'equilibrio proprio del modello nord europeo, dalla sicurezza

del lavoro costruita essenzialmente su di un legame molto forte tra il

lavoratore e l'azienda, alla sicurezza costruita su di una forte assistenza al

85 Peraltro, mentre interviene direttamente sulla disciplina delle tutele assegnate al lavoratore disoccupato, all'art. 4, comma 49, proroga di ulteriori sei mesi dalla data di entrata in vigore della medesima legge, la delega per il riordino dei servizi per l'impiego di cui al comma 30 dell'art. 1 della legge n. 247 del 2007 (cfr. R. BENINI, Guida alla riforma del lavoro, Halley, Matelica, 2012). 86 Cfr. sulla riforma Fornero, F. ALVARO, Riforma del lavoro Fornero: prime considerazioni, su www.altalex.it; M. BROLLO, Il mercato del lavoro, in Trattato di diritto del lavoro, Cedam, Padova, 2012.

64

lavoratore nel mercato, ovvero nel passaggio dal vecchio al nuovo posto di

lavoro”87.

La legge n. 92 del 2012, intervenendo anche in materia di

ammortizzatori sociali, ha realizzato una revisione degli strumenti di tutela del

reddito nel caso di disoccupazione.

Momento centrale della novella legislativa è l'istituzione

dell'assicurazione sociale per l'impiego (AspI), destinato ai lavoratori

dipendenti del settore privato, compresi gli apprendisti, ai soci di cooperative

che abbiano stabilito, con la loro adesione o successivamente all'instaurazione

del rapporto associativo, un rapporto di lavoro in forma subordinata, ai sensi

dell'art. 1, comma 3, della legge n. 142 del 3 aprile 2001, al personale artistico

subordinato ed ai dipendenti della pubblica amministrazione con contratto a

tempo determinato88.

Come evidenziato in dottrina, significativa è già la stessa

denominazione del nuovo ammortizzatore che marca la differenza rispetto

all'idea di disoccupazione, richiamando, invece, il concetto di impiego. Detto

in altri termini, il nuovo concetto di tutela pare voler assumere la funzione di

sostituire il reddito del lavoratore nel periodo di ricerca di una nuova

occupazione e non già quella di indennizzare la perdita della stessa89.

In base all'art. 2 della legge n. 92/2012, dal 1° gennaio 2013,

relativamente ai nuovi eventi di disoccupazione verificatisi a decorrere dalla

87 Cfr. P. ICHINO, Riforma del lavoro: contesto, intendimenti del Governo e ratio legis, in DPL, 2012, pp. 1497 ss.. 88 Le sole esclusioni riguardano i lavoratori della pubblica amministrazione assunti con contratto a tempo indeterminato, in quanto la loro occupazione è considerata stabile, ed i lavoratori agricoli, poiché percettori di apposita indennità. In tal senso, B. LA PORTA, Assicurazione sociale per l'impiego (AspI), in AA. VV., Il nuovo lavoro, Milano, 2012, pp. 185-186. L'autore aggiunge che, analogamente alla vigente indennità di disoccupazione ordinaria, per poter godere del sussidio i soggetti beneficiari devono trovarsi in stato di disoccupazione involontaria. Dunque, l'ASpI non compete ai lavoratori dimissionari ed ai lavoratori che hanno cessato il rapporto di lavoro per mutuo consenso, ad eccezione della risoluzione consensuale concordata davanti alla Direzione Territoriale del Lavoro e relativa alla nuova procedura di conciliazione obbligatoria propedeutica al licenziamento per giustificato motivo oggettivo da intimarsi da parte di datori di lavoro rientranti nell'ambito di applicazione del novellato art. 18 della legge n. 300 del 1970. 89 In tal senso, G. ZILIO GRANDI, M. SFERRAZZA, La legge n. 92/2012 ed il riordino degli ammortizzatori sociali: alla ricerca della riforma perduta, op. cit., par. 3.

65

predetta data, l'ASpI sostituisce le tutele in precedenza esistenti per i casi di

perdita di lavoro.

Per il periodo transitorio 2013-2015 è dettata una specifica disciplina.

Per le prestazioni relative ai nuovi eventi di disoccupazione intercorsi nel 2013:

otto mesi per i lavoratori con età anagrafica inferiore ad anni cinquanta; dodici

mesi se di età pari o superiore a cinquanta anni. Per le prestazioni relative agli

eventi intercorsi nel 2014: otto mesi per i lavoratori con età anagrafica

inferiore ad anni cinquanta; dodici mesi per i lavoratori di età pari o superiore

a cinquanta anni, ma inferiore a cinquantacinque; quattordici mesi per i

soggetti con età anagrafica pari o superiore a cinquantacinque anni, nei limiti

delle settimane di contribuzione negli ultimi due anni. Per le prestazioni

relative agli eventi intercorsi nel 2015: dieci mesi per i lavoratori con età

anagrafica inferiore ad anni cinquanta; dodici mesi per i lavoratori di età pari o

superiore a cinquanta anni, ma inferiore a cinquantacinque; sedici mesi per i

soggetti con età anagrafica pari o superiore a cinquantacinque anni, nei limiti

delle settimane di contribuzione negli ultimi due anni90.

L'assicurazione sociale per l'impiego, istituita presso la Gestione delle

Prestazioni Temporanee dei lavoratori dipendenti è, come detto, un

ammortizzatore sociale.

In qualità di sostegno al reddito è indirizzata a tutti i lavoratori che si

trovano in stato di disoccupazione involontaria a partire dal 1° gennaio 201391.

90 Viene ridefinito, altresì, secondo un modulo di progressivo ridimensionamento, l'arco temporale massimo del diritto all'indennità di mobilità per il periodo 1° gennaio 2013-31 dicembre 2016. In relazione a tale articolata disciplina è previsto che il Ministro del lavoro, entro il 31 dicembre 2014, proceda “insieme alle associazioni dei datori di lavoro ed alle organizzazioni sindacali dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, ad una ricognizione delle prospettive economiche e occupazionali in essere alla predetta data, al fine di verificare la corrispondenza della disciplina transitoria di cui al comma 46 e di proporre, compatibilmente con i vincoli di finanza pubblica, eventuali conseguenti iniziative” (comma 46-bis, come inserito dall'art. 46-bis, comma 1, lett. f, del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, nella legge n. 134 del 7 agosto 2012). 91 Art. 2, comma 1, della legge n. 92/2013: “A decorrere dal 1° gennaio 2013 e in relazione ai nuovi eventi di disoccupazione verificatisi a decorrere dalla predetta data è istituita, presso la Gestione prestazioni temporanee ai lavoratori dipendenti, di cui all'art. 24 della l. 9 marzo 1989, n. 88, l'Assicurazione sociale per l'impiego (AspI), con la funzione di fornire ai lavoratori che abbiano perduto involontariamente la propria occupazione un'indennità mensile di disoccupazione”.

66

Nella definizione di lavoratori rientrano tutti coloro che a legislazione

vigente sono titolari di diritto a tale indennità92.

In particolare, si tratta di tutti i lavoratori del settore privato, assicurati

contro la disoccupazione involontaria che abbiano concluso il rapporto di

lavoro per motivi non imputabili alla propria volontà93.

Tra i lavoratori dipendenti tutelati dalla norma vi sono poi gli

apprendisti. Come evidenziato in dottrina, il riferimento chiaramente espresso

sottende alla piena parificazione degli apprendisti agli altri lavoratori

dipendenti, nella prospettiva voluta dal legislatore in quest'ultimo periodo già

delineata dal notevole impulso dato con il d.lgs. n. 167 del 2011, che

l'apprendistato diventi la forma di ingresso prevalente dei giovani nel mondo

del lavoro94.

Altri soggetti che rientrano nell'ambito di applicazione del beneficio

sono i soci lavoratori di cooperativa che abbiano stabilito un rapporto di

lavoro subordinato, ai sensi dell'art. 1, comma 3 della legge n. 142/2001, anche

successivamente all'entrata in cooperativa in qualità di socio e tutti i lavoratori

delle Amministrazioni Pubbliche di cui all'art. 1, comma 2 del d.lgs. n.

165/2001, con contratto di lavoro dipendente purchè non a tempo

determinato95.

92 Art. 2, comma 2, della legge n. 92/2013: “Sono compresi nell'ambito di applicazione dell'ASpI tutti i lavoratori dipendenti, ivi compresi gli apprendisti e i soci lavoratori di cooperativa che abbiano stabilito, con la propria adesione o successivamente all'instaurazione del rapporto associativo, un rapporto di lavoro in forma subordinata, ai sensi dell'art. 1, comma 3 della legge 3 aprile 2001, n. 142, e successive modificazioni, con esclusione dei dipendenti a tempo indeterminato delle pubbliche amministrazioni di cui all'art. 1, comma 2 del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni”. 93 Lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato; lavoratori assunti con contratto a tempo determinato; lavoratori extracomunitari con permesso di soggiorno “non stagionale”; lavoratori licenziati a seguito di un periodo di lavoro svolto con contratto di inserimento; lavoratori per i quali la cessazione è avvenuta per risoluzione consensuale nei casi di trasferimento di proprietà dell'azienda e di trasferimento della sede di lavoro; lavoratori che hanno presentato le dimissioni per giusta causa; lavoratori sospesi causa crisi aziendale o occupazionale, a carattere transitorio o temporaneo, per un massimo di 90 giornate nell'anno solare. 94 In tal senso, F. PIZZI, F. RUSSO, G. E. DE FILIPPIS, ASpI e nuovi ammortizzatori sociali, Bologna, 2012, p. 39, secondo i quali, inoltre, l'intervento non risulta del tutto innovativo essendo già operante a favore dei predetti l'art. 19, comma 1, lett. c), del d.l. n. 185 del 29 novembre 2008, convertito con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, che prevedeva in caso di sospensione per crisi aziendali o occupazionali o in caso di licenziamento, il diritto al trattamento economico pari all'indennità ordinaria di disoccupazione non agricola con requisiti normali. 95 Per questi lavoratori, in effetti, viene confermato un obbligo, già esistente per la Pubblica Amministrazione, di assicurare i propri dipendenti contro la disoccupazione involontaria, in forza

67

Da ultimo, l'intento di allargare a più categorie di lavoratori tale tipo di

ammortizzatore sociale ha fatto convogliare nel suo ambito anche lavoratori in

passato non coperti dall'assicurazione contro la disoccupazione, quali gli artisti,

ossia coloro che rivestono il ruolo di personale artistico, teatrale e

cinematografico ai sensi dell'art. 40 del r.d.l. n. 1827 del 1935.

Da quanto detto, risulta evidente che la nuova indennità mensile di

disoccupazione, in ogni caso non riguarderà i dipendenti delle Pubbliche

Amministrazioni con contratto di lavoro dipendente a tempo indeterminato né

andrà ad incidere sul settore degli operai agricoli a tempo determinato ed

indeterminato per i quali rimane in vigore la previgente normativa di settore96.

L'indennità prevista dalla nuova normativa esprime la nuova visione del

mondo del lavoro focalizzata non sulla tutela del posto di lavoro, ma sul

lavoratore a cui si vuole fornire un sostegno al reddito nei momenti di caduta

dell'attività lavorativa97.

Pertanto, in sostituzione delle varie indennità previste dalla previgente

normativa è stata prevista un'unica forma di assicurazione sociale per l'impiego

contro la disoccupazione involontaria.

In particolare, l'ASpI andrà a sostituire l'indennità di mobilità, indennità

di disoccupazione ordinaria non agricola, l'indennità di disoccupazione con

requisiti ridotti e l'indennità di disoccupazione speciale edile, mentre non

toccherà la cassa integrazione ordinaria, che verrà sostanzialmente mantenuta,

né inciderà su quella in deroga e su quella straordinaria, che verrà limitata alle

aziende in ristrutturazione.

Il quarto comma dell'art. 2 della legge n. 92 del 2012 indica i requisiti

occupazionali ed assicurativi che permettono la fruizione della nuova indennità

e che in gran parte risultano analoghi a quelli previsti per l'indennità di

dell'art. 20 del d.l. N 112 del 2008, convertito in legge 6 agosto 2008, n. 133, come esplicitato dalla circolare INPS n. 18 del 12 febbraio 2009. 96 Cfr. D. GAROFALO, Gli ammortizzatori sociali per la riforma Fornero, in Il lav. nella giur., 10/2012, p. 1004. 97 In tal senso, F. PIZZI, F. RUSSO, G.E. DE FILIPPIS, ASpI e nuovi ammortizzatori sociali, op. cit., p. 41.

68

disoccupazione non agricola ordinaria prevista dalla legislazione oggetto della

riforma98.

Quanto ai requisiti occupazionali, alla lettera a) si richiede che il

lavoratore deve trovarsi in stato di disoccupazione involontaria ai sensi dell'art.

1, comma 2, lett. c) del d.lgs. n. 181/2000, il quale risponde a due condizioni,

ossia che il soggetto sia privo di lavoro e che sia immediatamente disponibile

allo svolgimento ed alla ricerca di una attività lavorativa secondo le modalità

definite con i servizi competenti99.

Quanto ai requisiti assicurativi, la lettera b), anche se non specifica una

diretta ed esclusiva correlazione con il lavoro dipendente, fissa il termine del

periodo in maniera lineare, ossia l'anzianità assicurativa di almeno due anni100,

il c.d. “biennio mobile” che inizia a decorrere dalla data del licenziamento.

In dottrina è stato subito evidenziato che, tuttavia, se lo stato di

disoccupazione subìto per effetto della perdita involontaria del lavoro porta

con sé il diritto al sostegno economico, non altrettanto fatto produce

l'inattività conseguente alle dimissioni quale scelta intenzionale della parte, a

meno che non si tratti di dimissioni per giusta causa da cui si evince la volontà

coartata da fatti determinati101.

La stessa conclusione, poi, come per il caso delle dimissioni semplici, è

esplicitamente prevista per i casi di risoluzione consensuale del rapporto ad

eccezione dei casi in cui siano frutto di accordi conciliativi sottoscritti in

98 Cfr. D. GAROFALO, Gli ammortizzatori sociali per la riforma Fornero, op. cit., pp. 1005 ss.. 99 Cfr. B. LA PORTA, Assicurazione sociale per l'impiego (AspI), op. cit., pp. 185-186. 100 In tal modo risulta abbandonata la più articolata indicazione precedente che prevedeva almeno un contributo settimanale versato prima del biennio precedente la domanda e rimane fermo il minimo delle 52 settimane nell'ultimo biennio. 101 Come ad esempio, il mancato pagamento della retribuzione, il mobbing, le molestie sessuali, le modificazioni peggiorative delle mansioni lavorative, le notevoli variazioni delle condizioni di lavoro a seguito di cessione ad altre persone dell'azienda, lo spostamento del lavoratore da una sede ad un'altra senza che sussistano le comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive, il comportamento ingiurioso posto in essere dal superiore gerarchico bei confronti del dipendente. In tal senso, F. PIZZI, F. RUSSO, G.E. DE FILIPPIS, ASpI e nuovi ammortizzatori sociali, op. cit., p. 42.

69

presenza della Commissione di conciliazione della Direzione territoriale del

lavoro di cui all'art. 410 c.p.c.102.

La durata dell'assicurazione sociale per l'impiego dovuta per i periodi di

mancanza di lavoro in cui, involontariamente, si dovesse venire a trovare il

lavoratore a partire dal 1° gennaio 2016 è stabilita dal comma 11 della nuova

normativa103.

Pertanto, la durata massima dell'ASpI varia a seconda dell'età anagrafica

dei soggetti beneficiari, con la distinzione tra lavoratori con un'età inferiore ai

55 anni e quelli con un'età pari o superiore a 55 anni104.

Tuttavia, in entrambi i casi saranno detratti i periodi di indennità

eventualmente goduti come AspI oppure come Mini AspI o eventualmente

come cumulo delle due indennità, goduti nello stesso periodo105.

Per i lavoratori di 55 anni compiuti o con età superiore e che dunque

usufruiscono della durata massima di 18 mesi, l'indennità sarà corrisposta nel

limite delle settimane di contribuzione dell'ultimo biennio106.

L'avente diritto al trattamento che abbia un'età pari o superiore ai 55

anni ed abbia lavorato nel biennio di riferimento, ad esempio per 60 settimane,

in definitiva, percepirà una indennità di 60 settimane e non del previsto

massimale di 18 mesi e sempre che non vi siano detrazioni che intervengano a

decurtare ulteriormente il periodo di fruizione107.

102 In tale ultimo caso si può anche prevedere, ai fini della ricollocazione professionale, anche l'affidamento del lavoratore ad un'agenzia per il lavoro di cui all'art. 4, comma 1, lettere a) e b), del d.lgs. n. 276 del 10 settembre 2003. 103 Dopo il periodo che va dal 1° gennaio 2013 al 31 dicembre 2015, per il quale le norme stabiliscono durate differenti in relazione all'anno di riferimento e all'età anagrafica dei soggetti, la durata dell'ASpI entra a regime dal 1° gennaio 2016 quale sostitutivo dell'indennità di disoccupazione tenendo presente che, per quanto concerne l'indennità di mobilità, la stessa verrà sostituita definitivamente con l'anno 2017 seguendo le modalità previste dalla parte relativa al periodo transitorio della norma novellata. 104 In tal senso, per gli aventi diritto con età inferiore a 55 anni la durata sarà di 12 mesi, mentre per i lavoratori con 55 anni compiuti e con età superiore ai 55, la durata sarà pari a 18 mesi. 105 Cfr. B. LA PORTA, Assicurazione sociale per l'impiego (AspI), op. cit., p. 188. 106 Anche in tal caso il legislatore ha voluto esplicitamente evitare cumuli detraendo quanto già fruito anche come trattamento breve. In tal senso, F. PIZZI, F. RUSSO, G.E. DE FILIPPIS, ASpI e nuovi ammortizzatori sociali, op. cit., p. 45. 107 Cfr. sull'argomento A. CHIARALUCE, L'ASPI e il nuovo sistema previsto a partire dal 2013, op. cit., pp. 21 ss..

70

Per accedere all'indennità di disoccupazione prevista dalla legge n.

92/2012 è prevista una procedura specifica che contempla le date di scadenza,

la forma richiesta, le modalità di invio108 e l'ente cui deve essere inviata la

domanda.

Quanto ai termini, questi riguardano sia la maturazione del diritto sia

l'inoltro della domanda.

In vero, il comma 12 dell'art. 2 in esame stabilisce chiaramente che il

diritto si matura a partire dall'ottavo giorno successivo alla data di cessazione

dell'ultimo rapporto di lavoro oppure dal giorno successivo a quello in cui

l'avente diritto ha presentato la domanda, fermo restando l'invio della stessa

nei termini fissati109.

Quanto, poi, al termine di scadenza di presentazione della domanda,

questo è stabilito inderogabilmente ed a pena di decadenza del diritto stesso

entro sessanta giorni dalla data in cui si ha diritto al trattamento, ovvero entro

68 giorni dalla data del licenziamento.

Condizione essenziale per avere l'accesso all'assicurazione sociale per

l'impiego è, infine, il perdurare dello stato di disoccupazione da parte del

lavoratore che abbia reso, peraltro, ai Centri per l'impiego la dichiarazione di

“immediata disponibilità” alla svolgimento di attività lavorativa110.

Qualora il lavoratore assicurato riprenda a lavorare con un contratto di

lavoro subordinato, l'indennità prevista dalla legge n. 92/2012 viene interrotta

d'ufficio111 basando tale elemento sui dati in possesso delle amministrazioni

competenti112.

108 Al comma 13, in linea con molte recenti indicazioni amministrative in materia di aggiornamento tecnologico e velocità di trasmissione dei dati al fine di raggiungere un'efficienza tale da rendere disponibili le informazioni ad una platea più ampia di funzionari pubblici con pochi passaggi, è esplicitata quale forma esclusiva di inoltro della domanda, pena decadenza del diritto, la modalità telematica, e l'INPS quale ente destinatario dell'istanza. 109 Cfr. A. CHIARALUCE, L'ASPI e il nuovo sistema previsto a partire dal 2013, op. cit., pp. 21 ss.. 110 Cfr. D.l. n.297 del 19 gennaio 2012. 111 Il periodo di sospensione dell'ASpI può arrivare ad un massimo di sei mesi. Nel caso in cui ci si trovi a terminare il periodo di lavoro prima della scadenza prevista allora l'indennità riprenderà a decorrere dalla data in cui era rimasta sospesa (cfr. art. 2, comma 15, legge n. 92/2012). 112 In particolare, la ripresa dell'attività lavorativa viene desunta dalle comunicazioni obbligatorie che i datori di lavoro inviano al centro per l'impiego.

71

Nel caso in cui la nuova attività è svolta come lavoro autonomo e da

tale lavoro venga ricavato un reddito inferiore al tetto necessario per la

conservazione della condizione di disoccupazione, grava sul lavoratore

l'obbligo di effettuare una comunicazione all'Inps entro trenta giorni dall'inizio

della nuova attività, denunciando in via presuntiva il reddito annuo che

prevede di realizzare e relativo all'attività svolta113.

V'è da dire che se lo stato di disoccupazione è conditio sine qua non per la

concessione dell'ASpI e questo viene a cadere per effetto dell'abrogazione di

cui all'art. 4, comma 33, lett. c), n. 1 della riforma, a fronte di un reddito anche

minimo, risulta difficilmente conciliabile il diritto al sostegno del reddito, che

pure rimane nel periodo di sospensione, con la perdita dello stato di

disoccupazione114.

Difatti, il comma in esame, disciplinando la sospensione del

trattamento, in caso di nuovo rapporto di lavoro subordinato, non pare tener

conto della difficoltà di coordinamento con quanto previsto dal citato art. 4,

comma 33, lett. c), n. 1, che sembra sopprimere la possibilità di conservazione

dello stato di disoccupazione nel caso di svolgimento di qualsiasi attività

lavorativa, anche autonoma115.

Inoltre, viene specificato che nel caso in cui il soggetto sia esente

dall'obbligo di presentazione della denuncia dei redditi, l'avente diritto è tenuto

ad effettuare apposita autodichiarazione che illustri i ricavi percepiti dal lavoro

autonomo in modo da mettere l'istituto in condizioni di poter correttamente

erogare quanto previsto.

113 Il reddito in questione è pari ad € 4.800 annui. Cfr. Circolare INPS numero 67 del 14 aprile 2011. 114 Cfr. A. CHIARALUCE, L'ASPI e il nuovo sistema previsto a partire dal 2013, op. cit., pp. 21 ss.. 115In tal senso, F. PIZZI, F. RUSSO, G.E. DE FILIPPIS, ASpI e nuovi ammortizzatori sociali, op. cit., p. 47, secondo cui, infatti, la parte abrogata dell'art. 4 del d.lgs. n. 181/2000 così recita: “perdita dello stato di disoccupazione: a) conservazione dello stato di disoccupazione a seguito di svolgimento di attività lavorativa tale da assicurare un reddito annuale non superiore al reddito minimo personale escluso da imposizione. Tale soglia di reddito non si applica ai soggetti di cui all'art. 8, commi 2 e 3 del d.lgs. 1° dicembre 1997, n. 468”.

72

Il comma 19, infine, introduce un provvedimento di carattere

innovativo, anche se in forma sperimentale e valido solamente per il triennio

2013-2015116.

In particolare, nel comma in questione viene previsto il diritto di

richiedere la liquidazione dell'importo delle mensilità spettanti in un'unica

soluzione nell'eventualità che si intenda avviare un'attività in proprio, sia come

lavoro in autoimpresa o microimpresa o in cooperativa117.

In base a quanto stabilito dai commi 40 e 41 dell'articolo in esame, il

beneficio legato all'assicurazione sociale per l'impiego decade al verificarsi di

determinati casi118.

Innanzitutto vi sono i casi della perdita dello stato di disoccupazione e

l'omessa comunicazione all'Inps dello svolgimento di lavoro autonomo ex art.

2, comma 17, legge n. 92/2012 di cui s'è poc'anzi discussa la normativa.

Altra circostanza collegata alla decadenza del beneficio è il

conseguimento delle condizioni per poter usufruire del trattamento di

pensione di vecchiaia oppure del pensionamento anticipato, come pure il caso

in cui il lavoratore ottenga il diritto al trattamento pensionistico di invalidità o

l'assegno ordinario di invalidità119.

Oltre a tali casi, ve ne sono altri, previsti dall'art. 3 comma 41 che

incidono sulla decadenza. Questi riguardano il rifiuto o l'irregolare

partecipazione, senza giustificato motivo, a iniziative di politica attiva proposte

dai Centri per l'impiego120, oppure il rifiuto di un'offerta di lavoro di livello

retributivo superiore almeno del 20% rispetto all'indennità spettante121.

116 Nel disegno di legge originario tale provvedimento non era stato inserito mentre durante i lavori della Commissione lavoro del Senato si è ritenuto di voler inserire tale previsione legislativa al fine di dare impulso alla ricerca attiva da parte del disoccupato che basandosi su un introito, seppur limitato, può tentare di avviare un'iniziativa alternativa a quella del normale lavoro subordinato. 117 Le condizioni, le modalità e i limiti di questa procedura sperimentale saranno stabiliti con decreto del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali emanato, di concerto con il Ministro dell'Economia e delle Finanze entro 180 giorni dall'entrata in vigore della presente legge. 118 Cfr. B. LA PORTA, Assicurazione sociale per l'impiego (AspI), op. cit., p. 189. 119 In tal caso, in capo all'avente diritto, v'è facoltà di scelta alternativa: poter usufruire dell'una o dell'altra misura di sostegno al reddito. 120 Ad esempio: corso di qualificazione o riqualificazione. 121 Purchè l'attività corsuale o lavorativa non disti più di 50 chilometri e sia raggiungibile con mezzi pubblici nell'arco di 80 minuti.

73

Come evidenziato in dottrina, ciò fa pensare che a fronte di

un'indennità pari a mille euro mensili percepita dal disoccupato, nel caso in cui

questi rifiuti un impiego che gli garantisca un minimo di 1.200 € mensili, lo

stesso vedrebbe decadere il suo diritto alla fruizione dell'assicurazione sociale

per l'impiego122.

Nel caso, quindi, in cui insorgano le circostanze di decadenza appena

richiamate e qualora il lavoratore abbia continuato a godere dell'indennità,

questi sarà tenuto alla restituzione dei ratei eventualmente percepiti.

122 In tal senso, F. PIZZI, F. RUSSO, G.E. DE FILIPPIS, ASpI e nuovi ammortizzatori sociali, op. cit., p. 48.

74

CAPITOLO QUARTO

WELFARE E AMMORTIZZATORI SOCIALI A LIVELLO

INTERNAZIONALE AL DI FUORI DELL’UNIONE EUROPEA:

I CASI DI STATI UNITI E BRASILE

4.1. Storia del Welfare State negli Stati Uniti fino alla Grande

Depressione ed al Social Security Act (1935)

Negli USA il termine Welfare si riferisce ai programmi di welfare del

governo federale, i quali sono stati messi in atto per contrastare la

disoccupazione o la sottoccupazione; inoltre il sistema di welfare è esteso, con

diversi programmi, a soggetti svantaggiati o bisognosi, come donne e bambini

(WIC Program), famiglie con figli a carico (AFDC), o a soggetti con bisogni di

tipo medico (Medicaid).

Il welfare statale, ovvero federale, ebbe inizio negli anni’30 durante la

grande depressione, per cercare di arginare i devastanti effetti del big crash

sulla popolazione.

Dal punto di vista storico, tuttavia, il welfare statunitense risale all’inizio

della colonizzazione del paese e il modello fu, chiaramente, la Gran

Bretagna123; della madrepatria venne adottata la Poor Laws (1601). Si può

ricordare che in Inghilterra nel corso del XVI secolo si era verificato un

notevole sviluppo delle opere di carità, che spesso assumevano la forma di

Charitable Trust124 e il parlamento aveva legiferato sulla materia già nel 1597 e

nel 1601, sotto il regno di Elisabetta I. Si ebbero allora due riforme

“primordiali” del welfare del tempo; tali riforme ebbero ad oggetto l’uso dei

123 Dal punto di vista storico in Europa risale perlomeno al medioevo l’esistenza di organizzazioni di tipo sociale nate con l’obiettivo di aiutare e soccorrere chi si trovava in condizioni di bisogno; organizzazioni che, sebbene abbiano svolto un ruolo economico per nulla trascurabile, trovavano la loro ragione giustificatrice non nella ricerca del profitto quanto, piuttosto, nell’esigenza di assicurare in varie forme il “bene sociale”. 124 Cfr. RIDLEY, DUFF R., BULL M, Understanding Social Enterprise. Theoty and Practice, Sage, London, 2011, p. 22.

75

fondi dei trust da parte della Chiesa per l’istruzione e per il welfare. In tale

ambito venne introdotta la Poor Law (propriamente: Act for the Relief of the

Poor125, 1601) per permettere ai Local Council di raccogliere denaro dai

contribuenti per aiutare i bisognosi. Già allora era prevalsa la concezione che

tali organizzazioni agissero per obiettivi caritatevoli, senza fine di lucro ed in

vista del bene pubblico126.

In tempi più recenti, nel corso del XIX secolo il liberalism si era

affermato negli USA quale indirizzo dominante (forse in maniera addirittura

maggiore che in Gran Bretagna) e al welfare del tempo vennero dedicandosi

enti privati (come le grandi industrie); il governo federale non agì in maniera

diretta e dei bisogni delle parti più svantaggiate della popolazione si fecero

carico le istituzioni caritatevoli e non lo stato. In generale, soprattutto a partire

dal XIX secolo, la tradizione ‘anglosassone’ (britannica e statunitense nel

nostro caso), appare orientata al liberismo, ovvero allo scarso intervento dello

stato in ambito sociale; era dunque terreno fertile per lo sviluppo di enti ed

organizzazioni che fossero espressione della società civile.

Venne sviluppandosi negli Stati Uniti una visione della povertà come

problema sociale, potenziale fonte di criminalità e di squilibri sociali. Intorno al

1830, la Yates Commission a New York e la Quincy Commission in Massachusetts

dopo aver analizzato il problema della povertà giunsero alla conclusione che le

Poor Laws avevano finito per rivelarsi dannose per i poveri, per i quali era

troppo forte la tentazione di vivere grazie ai sussidi pubblici127. Vennero

dunque istituiti dei grandi ospizi ove raccogliere i poveri e, grazie alla disciplina

ed alla routine, ‘trasformarli’ in operosi cittadini. Istituzioni simili furono

125 Il testo può essere letto in http://www.workhouses.org.uk/poorlaws/1601act.shtml 126 In seguito, in Gran Bretagna, particolare importanza assunse il Poor Law Amendment Act del 1834 o New Poor Law (propriamente: An Act for the Amendment and better Administration of the Laws relating to the Poor in England and Wales), con il quale vennero eliminate le differenti leggi del tempo circa le modalità di intervento sulla povertà, emanando una legge unica. 127 Cfr., ROTHMAN, This discovery of the asylum: Order and disorder in the new republic, Boston: Little, Brown. 1971

76

pensate, oltre che per i poveri, anche per i criminali e per chi era affetto da

disturbi psichici128.

Tali metodi divennero presto di difficile applicazione, tuttavia,

soprattutto a causa delle continue ondate migratorie che il paese si trovò a

subire, oltre che a causa dell’influenza di alcuni enti (privati) quali la Society for

the Prevention of Pauperism e la Association for the Improvement of the Condition of the

Poor, per i quali aiutare i poveri si configurava come un dovere sociale; la cosa

determinò il venir meno delle pratiche di internamento, sebbene persistesse la

credenza che le cause della povertà fossero imputabili al singolo.

La Guerra Civile cambiò notevolmente la situazione in quanto, al suo

termine, gli USA divennero ‘una sola nazione’, mentre in precedenza

apparivano piuttosto un insieme di stati semi-indipendenti; crebbe, di

conseguenza, e si affermò il potere dello stato centrale, del governo federale.

In particolare, sul finire della Civil War, venne istituito il Freedman’s Bureau nel

1865, ovvero la prima agenzia di welfare federale, che diede un notevole

contributo soprattutto a livello di educazione e di soccorso ai bisognosi.

Sul finire del XIX secolo si ebbe un notevole aumento delle Charitable

agencies, che ideologicamente non si differenziavano molto da quelle dei periodi

precedenti; diversi stati istituirono dei boards of charities, sebbene il ruolo

principale a sostegno del welfare venne svolto dalle, sempre private, Charity

Organization Societies (COS), che iniziarono a nasce sul finire degli anni ’70 del

XIX secolo. Le COS furono fondamentali nel formare il welfare statunitense -

in un periodo dominato dal darwinismo sociale e dal laissez-faire – creando

diversi ‘gruppi caritatevoli’ e diventando una presenza dominante in tutti i

principali centri del paese. Alle COS si deve anche l’elaborazione della ‘carità

scientifica’, con un preciso metodo di ‘educazione al lavoro’129, destinata a

quei soggetti che, seppur poveri, erano privi di tratti caratteriali malsani o di

128 Cfr. W. TRATTNER, From poor law to welfare state: A history of social welfare in America, New York: Free Press, 1989. 129 Cfr. M. Katz, In the shadow of the poorhouse: A social history of welfare in America. New York: Basic Books, 1986.

77

incerta moralità; l’attenzione era sempre rivolta all’individuo, come si vede, e

non alla società nel suo complesso130.

In ogni caso, il COS seppe provvedere al sostegno degli strati più

poveri della popolazione, in un clima ideologico ostile a tali forme di

assistenza, riuscendo a far diventare stabili molte organizzazioni volte al

benessere collettivo.

Il periodo successivo fu caratterizzato da forti conflitti di classe oltre

che da una notevole immigrazione che mutò la composizione etnica e

demografica della nazione e dall’affermazione del capitalismo industriale,

favorì la nascita del Progressivism, un movimento che influenzò profondamente

la cultura americana (il cui principale esponente fu J. Dewey) e che si

opponeva completamente all’ideologia del laissez-faire.

Il movimento dei Progressives ebbe un’influenza fondamentale verso il

welfare statunitense e portò alla creazione, anni dopo, di una sorta di ‘pensione

di vecchiaia’ (nel 1920), propriamente una forma di assistenza per i lavoratori

in età avanzata e l’Aid to Dependent Children (ADC), il sostegno per i figli a

carico; si trattava di fondi comuni, non statali, che venivano erogati, in ogni

caso, non a partire dai contributi versati dal singolo, ma a seconda del suo

ruolo e della sua caratura morale; anche l’aiuto ai bambini dipendeva

dall’accertata adeguatezza morale dei destinatari. Si trattò, in ogni caso, dei

primi interventi di welfare, che diedero un notevole sviluppo a forme di

sostegno sociale collettivo.

Il movimento dei Progressives ebbe il fondamentale merito di porre in

primo piano a livello pubblico e di interesse politico i diversi problemi sociali –

quali povertà, immigrazione, salute pubblica, etc. – e gli strumenti di cui si

disponeva per contrastarli; sul finire degli anni ’20 aveva creato un contesto nel

quale, circa 25 anni dopo, gli Stati Uniti avrebbero edificato il proprio modello

di welfare state.

130 La figura più prominente fu Josephine Shaw Lowell, la vera ideologa del COS.

78

Gli anni ‘20, rappresentano la fase immediatamente precedente la

Grande Depressione - ovvero “la peggiore crisi mai attraversata dall’economia

mondiale”131 - furono positivi dal punto di vista economico. La crisi, ricorda

Galbraith nel suo fondamentale studio, si abbatté inaspettatamente, in quanto

“gli anni venti in America furono un periodo veramente buono. La

produzione e l’occupazione erano elevate e in aumento. I salari non salivano

molto, ma i prezzi erano stabili […] il capitalismo americano si trovava

indubbiamente in una fase di animazione”132.

Come sottolineato da Galbraith, gli anni ’20 furono dunque un buon

periodo per gli Stati Uniti, caratterizzati da un elevato livello di produzione e

da un’alta occupazione e, sebbene i salari non fossero aumentati di molto, i

prezzi erano stabili; complessivamente; a parte, ovviamente, la povertà del

tempo, soprattutto negli Appalachi del sud e negli stati meridionali per la

popolazione afro-americana, oltre che nelle slums ai margini delle grandi città

del tempo. Sempre secondo lo studioso americano “tra il 1925 e il 1929 il

numero delle aziende manifatturiere aumentò da 183.900 a 206.700; il valore

della loro produzione salì da $ 60.0 miliardi a $ 68.0 miliardi. L’indice della

Federal Reserve per la produzione, soltanto 67 in media nel 1921, salì a 100 nel

luglio del ’28 e raggiunse 126 nel giugno del 1929. Nel 1926 vennero prodotte

4.301.000 automobili. Tre anni dopo, nel 19292, la produzione aumentò di

oltre un milione raggiungendo 5.358.000 unità, una cifra che regge il confronto

con quella (5.700.000) delle nuove auto registrate nell’opulento 1953”133. La

prosperità del periodo recò notevoli vantaggi al welfare del tempo.

Prima della crisi il governo federale, che fini a quel momento non aveva

creato forme di intervento assistenziale o previdenziale dirette, se si escludono

le pensioni di guerra per i veterani della Civil War del 1862 – agì in maniera più

incisiva a livello sociale, ad esempio approvando delle leggi sul lavoro minorile

le Child labor Laws, e, nel 1921, approvò lo Shepard Towner Maternità and Infancy

131 S. POLLARD, Storia economica del Novecento, Il Mulino, Bologna, 2004, p. 111. 132 J.K. GALBRAITH, Il grande crollo, La crisi economica del ’29, cit., p. 32. 133 J.K. GALBRAITH, Il grande crollo, cit., p. 32.

79

Act: tale legge contemplava il finanziamento federale ai singoli stati per

finanziare programmi di welfare destinati a fanciulli e bambini.

La Grande Depressione mutò radicalmente il quadro sociale, politico

ed istituzionale; circa le conseguenze della crisi, “nel solo mondo

industrializzato c’erano nel 1932 trenta milioni di disoccupati e milioni di

lavoratori che lavoravano poche ore per un salario estremamente basso. Le

conseguenze erano la fame, una mortalità più alta, l’apatia e la disperazione

[…] La contrazione dei mercati di materie prime e generi alimentari costrinse

gli agricoltori dei paesi in via di sviluppo a convertirsi ad un’agricoltura di

sussistenza, nonostante in tutto il mondo si morisse di fame. Nei paesi

industriali le aziende agricole venivano abbandonate, la terra fertile trasformata

in steppa, i raccolti distrutti nei campi. Davanti agli occhi del mondo il grano

veniva usato per far andare le locomotive, il caffè scaricato in mare. E mentre

dovunque le persone facevano la fila a migliaia per un lavoro, impianti

industriali appena costruiti andavano in rovina per mancanza di commesse”134.

La crisi comportò anche il venir meno dell’egemonia repubblicana alla

Casa Bianca ove salì, nel 1933, F. D. Roosvelt (in precedenza Governatore

dello Stato di New York); il nuovo presidente era maggiormente favorevole

all’intervento pubblico in economia e a livello sociale.

In particolare, il Social Security Act del 1935, ovvero la base del welfare

statunitense.

La legge prevedeva per i lavoratori del comparto industriale lo Old Age

Insurance (OAI) un programma di pensionamento pubblico quale ‘assicurazione

di anzianità’ contributiva e la Unemployment Insurance, ovvero una

‘assicurazione’ di disoccupazione; inoltre, per coloro i quali nono fossero

rientrati nei canoni stabiliti dai due programmi o che erano senza occupazione

vennere elaborati dei programmi appositi che risultavano soggetti alla verifica

delle effettive condizioni finanziarie di coloro che erano i destinatari dei

servizi; finanziati mediante raccolta del prelievo fiscale, tali programmi erano l’

134 S. POLLARD, Storia economica del Novecento, Il Mulino, Bologna, 2004, pp. 111-112.

80

Old Age Assistance (OAA) (la ‘assistenza’ per gli anziani) e l’Aid to Dependent

Children (ADC), ovvero il ‘sostegno’ per i bambini a carico. Come rilevato da

Tanzilli, “ADC era destinato alle madri single prive di altre fonti di reddito

(allora per la maggior parte vedove), e veniva cofinanziato dal governo federale

e dagli Stati, cui ne era affidata la gestione amministrativa. L’assenza di

standard federali si tradusse per gli Stati stessi nella possibilità di imporre

requisiti minimi per l’inserimento nel programma, come cittadinanza e

residenza, limitazione dei benefici sulla base dello stato civile, test cosiddetti ‘di

moralità’ sulla conduzione della vita familiare, obbligo di svolgimento di

un’attività lavorativa. Soprattutto, gli Stati ebbero la possibilità di fissare

l’importo dei sussidi, il cui valore subiva perciò consistenti variazioni

all’interno del territorio nazionale tra le aree industrializzate, spesso più

generose, e gli Stati rurali del Sud, del Midwest e dell’Ovest, che invece

preferivano sussidi di importo decisamente inferiore”135.

Roosvelt avrebbe anche voluto introdurre un diverso sistema sanitario,

ma non vi riuscì a causa dell’opposizione della American Medical Association,

sorte che toccò in seguito anche a Truman. A partire dal periodo successivo

alla Great Depression nel paese si svilupparono piani sanitari che erano finanziati

dai datori di lavoro e che venivano forniti dalle stesse imprese, oltre che da

compagnie assicurativa private.

Da notare come Roosvelt agì anche per contrastare nell’immediato gli

effetti della crisi, istituendo, nel 1933 la Federal Emergency Relief Administration

(FERA), volta a mitigare gli effetti della crisi; in particolare FERA favorì il

sorgere di programmi – quali il Works Progress Administration e il Civilian

Conservation Corps, che furono il principale strumento di sostegno per

l’assistenza dei disoccupati durante la metà degli anni ’30.

135 F. TANZILLI, La via americana al welfare. Da Kennedy a Bush, Guerini, Bologna, 2009, p. 21.

81

4.2. Dal Social Security Act (1935) alla War on Poverty e alle

riforme degli anni ’60.

Nel ventennio successivo alla Social Security Act del 1935 si devono

all’amministrazione Eisenhower le principali riforme, che riguardarono il

comparto previdenziale, mentre non vi fu alcuna novità di rilievo riguardo alla

legislazione assistenziale.

Complessivamente, sul finire degli anni ’50 gli USA avevano un ampio

sistema di enti privati che provvedevano al welfare della popolazione; a tali

enti il governo federale aveva recato notevole supporto fiscale e un ambito

giuridico di riferimento estremamente avanzati al tempo. D’altro canto,

permaneva un sistema assistenziale pubblico di dimensioni estremamente

ridotte e molto debole soprattutto nel settore sanitario; altra caratteristica era

l’estrema diversità territoriale, con il Sud del paese in posizione

particolarmente critica.

Da tale situazione nacque un esteso interesse verso la povertà e

l’esclusione sociale che sarà alla base delle successive riforme degli anni ’60.

In particolare la lotta alla povertà sarà uno dei punti fermi

dell’amministrazione Kennedy, da quando il presidente stesso aveva avuto

modo di osservare le difficili situazioni di vita negli Appalachi (zona

tradizionalmente povera del paese).

Appena eletto J.F. K. Approvò l’Area Redevelopmente Act (1961) che

prevedeva lo stanziamento di fondi federali per programmi locali di

investimento e formazione del personale in arre degli US con tassi di

disoccupazione elevata. Il periodo venne caratterizzandosi dal notevole

interesse verso la povertà a livello culturale ed accademico, interesse che venne

saldandosi con la volontà del Presidente di agire in tale direzione; Kennedy,

tuttavia, non potette sviluppare pienamente il proprio programma anti-povertà

in quanto cadde vittima dell’attentato di Dallas (22 novembre 1963).

Il programma di riforma venne dunque posto in essere dal nuovo

presidente e fu Johnson ad attuare la riforma del welfare, con l’obiettivo non

82

solo di cercare di contrastare la povertà ma addirittura di sradicarla. Nei diversi

documenti e nel rapporto annuale disposto dall’Amministrazione (il CEA del

1964, il Council of Economic Advisers creato da Johnson l’anno precedente) si

insisteva verso una riforma della politica di welfare che si indirizzasse a

vantaggio dei gruppi sociali svantaggiati, identificati nei minori e nei poveri. La

novità principale era nel fatto che il sistema di welfare tracciato nel rapporto

annuale del CEA sembrava molto più esteso e molto più pervasivo rispetto

alla legislazione emanata da Roosvelt. In particolare la maggiore estensione

riposava nel fatto che si aveva come obiettivo la prevenzione delle cause della

povertà, agendo nei settori dell’educazione, della formazione e del sostegno

alla persona: migliorando, insomma, il capitale umano.

Il 20 agosto del 1964 Johnson diede vita allo Economic Opportunità Act

(EOA), mediante il quale ci si proponeva di dare a ciascuno le necessarie

chanche per condurre una vita dignitosa. La novità della legge riposa nel

superamento della tradizionale distinzione tra forme di povertà ‘immeritate’ ed

‘meritate’ (deserving e undeserving poor) e dal dirigere gli interventi solo verso le

seconde. L’EOA contemplava la creazione di un programma di lavoro

destinato a giovani tra i sedici ed i ventuno anni, con basso profilo scolastico o

precedentemente coinvolti in attività illecite, ai quali venivano forniti

istruzione, formazione ed apprendistato.

Il noto Community Action Program (CAP), invece, era volto ad incentivare

l’iniziativa nelle comunità maggiormente svantaggiate; il COA erogava i fondi

alle agenzie specializzate locali – sia pubbliche, sia private – per iniziative volte

alla formazione della popolazione locale; nell’Act si legge che veniva concessa

“una considerazione particolare per quei programmi che promettevano di

effettuare un incremento permanente delle capacità degli individui, dei gruppi

e delle comunità di far fronte ai propri problemi senza ulteriore assistenza”136.

136 Economic Opportunity Act of 1964, Public Law 88-452, 78 Stat. 508 USC.

83

Sempre all’Amministrazione Johnson si deve la prima legge

sull’istruzione scolastica, ovvero la Elementary and Secondary Act (ESEA), del 9

aprile 1965, una legge anti-discriminazione i cui fondi venivano distribuiti a

scuole e distretti scolastici ove gli studenti poveri venivano da famiglie al di

sotto del livello di povertà e ripartiti secondo il numero degli iscritti.

Sempre nel 1965 vennero approvati i programmi Medicare e Medicad.

Superando le tradizionali resistenze (soprattutto da parte dell’American Medical

Association) venne istituito un programma di assicurazione sanitaria pubblico.

Fino ad allora, infatti, restavano privi di copertura medica, nel sistema

statunitense i disoccupati, i minori, le donne senza occupazione, che lavorava

per imprese di piccole dimensioni e/o chi aveva attivati di importanza

secondaria.

Dei due programmi di copertura sanitaria pubblica, Medicare finanziava

la degenza ospedaliera e l’assistenza post-operatoria, la degenza negli ospizi e

le cure domiciliari. Medicad, cofinanziato dal governo federale e dagli Stati, si

rivolgeva alle fasce più svantaggiate della popolazione.

Da sottolineare come la riforma del 1965 diede vita a forme di

cooperazione tra l’amministrazione pubblica e le strutture private. Copertura

sanitaria minima venne garantita a livello federale a tre categorie di cittadini:

anziani, disabili e poveri. In ogni caso, non vi fu un’estensione universale della

copertura sanitaria.

4.3. Da Johnson alla riforma Clinton: Personal Responsibility

and Work Opportunity Reconciliation Act (1996)

Nel periodo successivo sorsero diverse critiche alla riforma Johnson, la

quale venne caratterizzandosi per l’assenza di misure universalistiche di

ridistribuzione del reddito e da politiche sociali ispirate all’erogazione dei

servizi. Le critiche presero il sopravvento finendo per decretare, come nel caso

del premio Nobel J. Tobin (di area liberal e già collaboratore

84

dell’Amministrazione Kennedy), il totale fallimento delle policy di Johnson, a

causa delle scarse coperture che dava e dei problemi di effettiva distribuzione

dei fondi che aveva incontrato137.

Paradossalmente, fu il repubblicano Nixon – divenuto presidente nel

1968 – a proporre una legislazione universalistica in materia di Welfare, il

Family Assistance Plan; il piano prevedeva una copertura assistenziale, finanziata

dal governo, che fosse uniforme sull’intero territorio e che si rivolgesse a tutti i

nuclei familiari (e non solo a determinati gruppi, come ad esempio donne-

madri non coniugate) e determinata secondo il calcolo del quoziente di reddito

familiare. Tuttavia, il progetto incontrò numerosi ostacoli e, alla fine, Nixon

vide approvata soltanto la parte che riguardava i sussidi che erano destinati a

disabili, anziani e ciechi, che finì per confluire nel Supplemental Security Incombe

(SSI), sostituendosi alle previsioni precedentemente in vigore. Venne, inoltre,

notevolmente accresciuto il programma di assistenza alimentare Food Stamps: si

trattava di un programma di impostazione universalistica che, stanziato

direttamente dal governo federale, comprendeva l’erogazione di buoni pasto

mensili.

Gli anni settanta vennero caratterizzandosi per la minore crescita

economica e per l’aumento dei costi del sistema di welfare americano. Inoltre,

dal punto di vista economico, diversi esponenti dell’ala libertarian, da M.

Friedmann a von Hayek per citare i più noti, si opponevano a forme di welfare

universalistiche che, in ultima istanza, riposavano sul concetto di diritti comuni

a partire dal fatto di avere la medesima cittadinanza: per la scuola austriaca

l’interventismo statale – in qualsiasi campo - deve essere considerato in

maniera estremamente negativa138. La spesa pubblica si configura

semplicemente come consumo e ogni taglio apportato al bilancio statale finisce

137 Cfr. J. TOBIN, The Guaranteed Income, in K. GORDON (ed.), Agenda for the Nation, BIP, Washinghton, 1968, pp. 48-73. 138 Per la scuola austriaca deve sempre vigere il principio del Laissez- Faire. Ogni azione dei pubblici poteri non improntata a tale principio finisce per avere conseguenze deleterie. Ad esempio, se il livello dei salari viene sostenuto in maniera artificiosa si finisce per favorire l’aumento della disoccupazione, agendo sui prezzi si finisce per causare la creazione di scorte invendute e, infine, ciascun aiuto concesso a imprese in crisi, da un lato ne rimanda la inevitabile liquidazione e, dall’altro, aggrava la situazione in cui queste versano.

85

per far aumentare la relazione tra investimenti e consumi, rendendo così

possibile una maggiormente veloce scoperta di quelli che sono i progetti non

redditizi.

Secondo Tanzilli “nel corso degli anni ’70 le condizioni di vita della

popolazione seguirono un trend di sviluppo diverso da quello sperimentato

all’inizio del decennio precedente, quando i ritmi della crescita economica

nazionale avevano indotto le amministrazioni democratiche a elaborare il

progetto di una Great Society capace di recuperare le ultime ‘sacche’ di povertà

rimaste al proprio interno”139.

L’affermarsi del paradigma libertarian ebbe il proprio ‘corrispettivo’

politico con l’elezione di R. Reagan alla Presidenza del paese nel 1981. Poco

tempo dopo la sua elezione il Congresso approvò la Economic Recovery Tax Act

la quale prevedeva una riduzione dell’imposizione fiscale pro capite, in tre anni,

del 25%. I programmi assistenziali vennero riformati a causa delle previsioni,

estremamente negative, dell’aumento del deficit pubblico, aumento dovuto sia

alle spese militari, sia alla minor crescita dell’economia, sia per l’aumento del

tasso di inflazione; vennero allora ridotti sia i costi, sia il numero di individui

cui si rivolgeva il welfare.

Malgrado i tagli apportati alle spese sociali il deficit federale venne

aumentando e Reagan propose allora sostanziali modifiche al welfare della

nazione, sia nel comparto sanitario, sia in quello previdenziale; cercò, in

particolare, per abbassare gli oneri spettanti allo Stato, di privatizzare

parzialmente i comparti. Le azioni svolte dalla Presidenza Reagan, in ogni caso,

non produssero riforme e cambiamenti sostanziali o strutturali ma si

limitarono ad aumentare il grado di privatizzazione della social security.

L’apertura ai privati, ad esempio in ambito sanitario, riposava sull’idea che una

maggiore concorrenza avrebbe prodotto migliori servizi, minori sprechi e dei

risparmi per lo Stato.

139 F. TANZILLI, La via americana al welfare, cit., p. 91.

86

La struttura del welfare rossveltiano non venne dunque modificate, si

cambiarono i requisiti per l’accesso alle prestazioni, requisiti che divennero più

stringenti. Si ebbero, complessivamente, forti riduzioni del finanziamento

pubblico al welfare per i programmi assistenziali (4,1 miliardi di dollari in

meno nel 1982 e il 1984); malgrado ciò, sebbene ad un livello inferiore, anche

negli anni ’80 la spesa pubblica continuò ad aumentare. Oltre a ciò,

“l’elemento di maggiore innovazione della politica sociale di Reagan fu

costituito invece dal rilievo dato ai programmi occupazionali: il workfare

caratterizzò infatti la politica sociale della presidenza conservatrice”140.

A partire dagli anni ’80 il dibattito sul welfare si caratterizzò per un

maggiore dialogo tra i diversi indirizzi, tra i ‘libertari’ ed i progressisti’, grazie

soprattutto al riconoscimento, da parte dei secondi, dei rischi della ‘dipendenza

dal welfare’ e ‘dai sussidi’ da parte dei soggetti più svantaggiati: un tema tipico

dei conservatori sin dall’inizio.

I dibattiti e le iniziative e proposte, insieme alle effettive azioni

legislative compiute, degli anni ottanta e novanta portarono poi alla ‘nuova

riforma’ del welfare statunitense elaborata da Clinton, il quale, nel proprio

programma elettorale, aveva detto di volere “porre fine al welfare come lo

abbiamo conosciuto finora”141.

La riforma sanitaria propugnata da Clinton non venne approvata dal

Congresso; in particolare si temeva della proposta avanzata da Clinton

l’enorme potere riservato allo Stato nei confronti del sistema sanitario.

Vennero avanzate, successivamente, delle proposte di riforma del

welfare da parte dello schieramento conservatore, grazie a Ginrich; in

particolare si proponeva un limite, un Family Cap: diversamente dal sistema

vigente le welfare mother non avrebbero continuato a ricevere sempre nuovi

sussidi alla nascita di ogni figlio, venendo stabilito un tetto massimo. Inoltre si

propose un tempo massimo di due anni per l’erogazione dei sussidi AFDC.

140 F. TANZILLI, La via americana al welfare, cit., p. 129. 141 B. CLINTON, A. GORE, Putting People First. How We Can All Change America, times Book, New York, 1992, p. 165.

87

Tali proposte vennero rigettate da Clinton, che non firmò il documento

sottopostogli dal Congresso. Clinton, invece, appose la propria firma ad un

terzo documento varato dai repubblicani e sostenuto anche da parte dei

democratici. Il 22 agosto 1996 venne dunque ratificato il Personal Responsability

and Work Opportunity Reconciliation Act (PRWORA), ovvero la legge che istituì il

sistema di welfare tutt’ora vigente negli Stati Uniti.

La filosofia della legge, sottolineata expressis verbis dallo stesso

Presidente, era di eliminare la ‘dipendenza dai sussidi’ garantendo di contro la

possibilità di accesso al lavoro; non tanto dunque l’elargizione dei sussidi, ma

piuttosto degli strumenti di accompagnamento verso il lavoro. Oltre a ciò

venivano posti dei limiti alle erogazioni federali per il lavoro – che

precedentemente erano illimitate – stabilendo una quota fissa per ciascuno

Stato per i sussidi AFDC, per fermare così l’incremento della spesa pubblica.

Ogni Stato era tenuto a fornire ad almeno il 50% dei propri assistiti corsi di

formazione, apprendistato e/o inserimenti lavorativi di breve periodo.

L’AFDC venne sostituito dal Temporary Assistance for Needy Families

(TANF), il quale stabiliva una durata massima di due anni consecutivi,

trascorsi i quali i sussidi cessavano in maniera definitiva; veniva totalmente

esclusa l’esistenza ad un diritto individuale a ricevere sussidi pubblici.

I soggetti esclusi dal TANF erano:

residenti non cittadini;

immigrati legalizzati da meno di cinque anni;

cittadini affetti da dipendenza da alcool e droghe.

La riforma introdusse anche nuovi servizi per i minori e l’obbligo di

mantenimento dei figli divenne maggiormente stringente.

Fu creato lo State Children’s Health Insurance Program (SCHIP) con il quale

l’assistenza sanitaria veniva estesa ai minori non assicurati che proveninivano

da famiglie a basso reddito.

88

Infine venne istituito il Child Tax Credit, ovvero un credito fiscale per i

minorenni con l’obiettivo, in un’ottica di politiche per la famiglia, di rendere

più forte il sostegno dei redditi.

La riforma ottenne negli anni successivi alla sua approvazione notevoli

successi, contro le stesse aspettative dei sostenitori e promulgatori della stessa.

Sono venuti diminuendo sia il numero degli assistiti sia l’indice di povertà che,

toccando l’11,3% nel 2000, era giunto al suo limite storico.

La riduzione degli investimenti in sussidi ha poi reso possibile

l’aumento degli stanziamenti per i bambini, che sono risultati triplicati dal 1996

al 1999 (il primo triennio dall’attuazione della riforma).

Tra le critiche ai risultati ottenuti sono da sottolineare almeno due

punti:

1. i soggetti, donne sigle con prole, che hanno avuto accesso al mercato

del lavoro hanno ottenuto impieghi a bassa remunerazione (low skill) e

2. permangono le tradizionali differenze tra gli Stati, essendo il

PRWORA un sistema di welfare di modello federalista.

Non bisogna tacere del fatto, infine, che il periodo in cui venne attuata

la riforma si caratterizzò quale espansivo dal punto di vista economico,

facilitando dunque di molto il successo dei programmi di inserimento

lavorativo.

4.4. La situazione attuale: da Bush Jr. alla Riforma Obama

Complessivamente può apparire paradossale come un sistema di

welfare universalistico (il Family Assistance Plan) sia stato proposto dalla

Presidenza Nixon, cioè dai conservatori, mentre la cancellazione dell’idea del

‘diritto all’assistenza’ ad ognuno in quanto cittadino sia stata opera di un

democratico, Clinton.

Giova sottolineare, in ogni caso, come dopo il 1935 le diverse riforme

del welfare incontrarono numerosi ostacoli; in seguito al Social Security Act, ogni

89

tentativo di riforma radicale del sistema del welfare non arrivarono mai al

termine del cursus legislativo, né riuscirono ad ottenere ampia maggioranza

all’interno del Congresso. Tale sorte venne condivisa da differenti programmi

proposti durante le diverse amministrazioni, come il family Assistance Plan di

Nixon, le proposte di carter e le iniziative di Hilary Clinton. Si ebbero

solitamente modifiche parziali e/o interventi dal carattere limitato, solitamente

sostenuti da entrambi gli schieramenti.

Emergono, complessivamente, le caratteristiche di fondo del welfare

americano notevolmente diverse da quello europeo.

La prima è il sempre maggiore e progressivo indirizzo delle policy di

welfare verso le politiche attive di sostegno del lavoro; in tal senso, la riforma

Clinton rappresenta l’apice di tale processo. Ciò riposa chiaramente sulla tipica

ideologia statunitense della responsabilità individuale e sull’etica del lavoro:

una tradizione culturale condivisa.

Il sostegno alla ricerca del lavoro si accompagna alla credenza dei rischi

relativi alla ‘dipendenza’ dai sussidi. Al riguardo preme sottolineare come gli

stessi aspetti universalistici del welfare statunitense siano stati ottemperati dalle

politiche rivolte al lavoro. Infatti, il già citato Child Tax Credit è una forma di

assistenza universalistica, in quanto il sostegno ai redditi riposa sul quoziente

familiare; tuttavia, i sussidi non vengono concessi a chi non disponga di un

lavoro, evitando, in tale maniera “di avallare la dipendenza degli assistiti

dall’intervento pubblico, incentivando il loro impegno a incrementare il

proprio reddito in vista di contributi fiscali maggiori”142. Il sostegno ai redditi

si traduce dunque in un incentivo al lavoro, particolarmente per le madri single.

Inoltre, soprattutto negli ultimi dieci anni sono proporzionalmente

aumentati, tra gli stanziamenti pubblici, i programmi di Tax Expenditures – i

contributi fiscali non riscossi e/o i crediti fiscali concessi agli aventi diritto -

fino a divenire la principale spesa pubblica per l’assistenza già durante la prima

Amministrazione Bush Jr.. Nel 2004 la cifra complessiva delle Tax Expenditures

142 F. TANZILLI, La via americana al welfare, cit., p. 204.

90

(34.012 milioni di dollari) è stata notevolmente superiore alla spesa per i sussidi

TANF (14.067 milioni di dollari). La redistribuzione delle risorse è stata

dunque ottenuta tramite la leva fiscale, una soluzione notevolmente diversa

rispetto alle policy adottate in Europa.

L’amministrazione Bush venne caratterizzandosi, in generale, per lo

sforzo di compiere vaste riforme a livello sociale (scuola, previdenza, sanità) e

dal continuo tentativo di accrescere la partnership tra gli enti pubblici ed i

fornitori privati di servizio; a causa delle difficoltà incontrate nel Congresso, i

risultati ottenuti furono assai minori rispetto ai progetti iniziali.

Bush, secondo un’ispirazione che aveva mosso anche Clinton, voleva

garantire la massima libertà possibile ai cittadini, a livello decisionale, circa gli

enti cui rivolgersi per ottenere i servizi, migliorando la competizione tra gli enti

stessi, abbattendo i costi ed innalzando la qualità. Anche a livello pensionistico,

stante il continuo abbassamento del differenziale tra popolazione attiva e

pensionati, vi fu una forte apertura ai privati, alla gestione pensionistica da

parte di enti privati143.

Nel caso di Clinton, come si è visto, la ridistribuzione è stata effettuata

tenendo conto della salvaguardia della libertà di scelta dei singoli; lo ‘Stato

leggero’, inoltre, ha incentivato notevolmente lo sviluppo dell’iniziativa privata

in ambito assistenziale e previdenziale, favorendo l’incremento del not for

profit (tramite esenzioni fiscali, detrazioni, etc…).

La ‘privatizzazione del welfare’ pare poi caratteristica della stessa

riforma sanitaria di Obama.

Complessivamente, il modello del sistema sanitario americano è rimasto

immutato, continuando a riposare nelle assicurazioni private e nei programmi

assicurativi pubblici. Virca il primo punto, è stato stabilito l’obbligo di

assicurare (per i datori di lavoro) e di assicurarsi (per le persone), insieme ai

sussidi previsti per incentivare sia i datori di lavoro ad assicurare, sia le persone

143 Analogamente a quanto verificatosi in altri paesi europei, l’aumento della spesa pensionistica rischiava di condurre gli US alla bancarotta nell’arco di circa cinquant’anni.

91

ad assicurarsi. Circa il secondo punto, invece, si è assistito all’irrobustimento di

Medicaid.

Avendo stabilito stanziamenti complessivi, per il primo decennio, di

940 miliardi di dollari, al termine de periodo la copertura assicurativa sanitaria

riguarderà il 95% dei cittadini statunitensi; in particolare la copertura

assicurativa verrà estesa a 32 milioni di nuovi assicurati; nello stesso tempo

saranno circa 22 milioni i soggetti privi di assicurazione.

Tra le misure poste in atto immediatamente in seguito alla riforma sono

da ricordare, innanzitutto, il divieto alle assicurazione di negare l’iscrizione a

quanti siano già affetti malattie preesistenti o di rescindere il contratto per

gravi patologie sopravvenute.

In secondo luogo viene fatto divieto alle assicurazioni di fissare un tetto

massimo ai rimborsi, un cap che finiva per danneggiare i pazienti afflitti di

malattie particolarmente gravi e costose.

La legge prevede anche la chance di comprendere nell’assicurazione

familiare giovani fino a 26 anni, di contro al precedente limite di 18 anni, per

rendere possibile la copertura delle persone che continuano a studiare, che

sono disoccupate o in cerca di prima occupazione.

Infine. La legge statuisce la riduzione della compartecipazione alla spesa

farmaceutica per gli assistiti di Medicare.

Il programma Medicaid ha poi conosciuto una significativa espansione

dei soggetti cui si riferisce, rivolgendosi attualmente a chi ha reddito inferiore a

29.327 dollari (per una famiglia di 4 persone); tale misura ha comportato un

incremento della copertura assicurativa a 16 milioni di persone.

Oltre all’obbligo di assicurare i propri dipendenti per imprese con 50 e

più addetti è parimente previsto, per i soggetti che non godono di copertura

assicurativa pagata dall’impresa, di assicurarsi tramite le proprie risorse.

Per le imprese con 25 dipendenti o meno, qualora procedano ad

assicurarli, è previsto un rimborso pari al 50% del costo delle polizze.

92

Dalla legge sono esclusi gli immigrati irregolari; la legge, inoltre,

proibisce la copertura dell’aborto nelle assicurazioni sussidiate da fondi

federali.

4.5. Il welfare in Brasile. Le radici storiche del welfare

brasiliano e l’attuale struttura del sistema di welfare

Storicamente, si fa risalire al 1821 la nascita del welfare in Brasile, al

decreto emanato dal principe reggente Pedro de Alcantara; in precedenza si ha

soltanto conoscenza di un piano di protezione sociale istituito dalla Marina

Regia del Portogallo per le madri ed i figli degli ufficiali (1793)144.

Il welfare, così come viene attualmente concepito, ebbe inizio soltanto

nel 1923 in seguito alla legge Eloy Chaves, la quale prevedeva la creazione di

un fondo di pensione per tutti gli impiegati delle diverse compagnie ferroviarie

del tempo.

Nel corso degli anni 30 il welfare brasiliano venne ristrutturandosi in

senso corporativo (sotto la chiara influenza del corporativismo fascista

italiano145)per cercare di fronteggiare l’inizio dell’industrializzazione del paese;

vennero creati al tempo, oltre ai fondi e limitati ai soli lavoratori urbani, diversi

sistemi previdenziale pensionistici, ovvero:

IAPM: Instituto de Aposentadoria e Pensões dos Marítimos, del 1933;

IAPC: Instituto de Aposentadoriae Pensões dos Comerciários, del 1933;

IAPB Instituto de Aposentadoria e Pensões dos Bancários, del 1934;

IAPI Instituto de Aposentadoria e Pensões dos Industriários, del 1936;

IPASE Instituto de Aposentadoria e Pensões do Estrado, del 1938.

Caratteristica del sistema del tempo erano le profonde diversità ed

ineguaglianze di trattamento tra i differenti enti.

144 Per l’analisi qui svolta Cfr. MINISTÉRIO DA PREVIDÊNCIA SOCIAL-MPS, Overview of brazilian social welfare, Brasilia – DF, January 2009. 145 Secondo il giudizio di Michael Hall; Cfr. M.M. HALL, The Labor Policies of the Lula Government, in J.L. LOVE, W. BAER (Eds), Brasil under Lula. Econonomy, Politics, and Society under the worker president, Palgrave Mc Milian, New York, 2009, p. 151

93

Sempre nel medesimo periodo si assistette ad un notevole incremento

del numero di persone che godevano di sistemi di protezione sociale che, alla

fine degli anni ’40 risultavano triplicate rispetto al decennio precedente.

Sempre nel corso degli anni ’40, esattamente il 28 agosto del 1942, divenne

completamente operativa la LBA, Legião Brasileira de Assitência, che aveva come

compiti la protezione della maternità e dell’infanzia, l’assistenza agli anziani, ai

disabili e l’assistenza medica146.

Il 24 agosto del 1960 la legge n. 3.807 uniformò la legislazione in

materia di welfare e, nel 1966 venne creato l’Istituto Nazionale di Previdenza

Sociale, INPS (Instituto Nacional de Previdência Social).

Il sistema nazionale di previdenza e di assistenza venne poi

arricchendosi nel corso degli anni ’70 di diversi enti, creati e/o vincolati al

sistema nazionale stesso, con l’obiettivo di svolgere differenti funzioni relative

al welfare della popolazione; secondo la legge n. 6.439 del settembre del 1977

gli enti creati erano

INAMPS: Instituto Nacional de Assistência Médica da Previdência Social;

INPS: Instituto Nacional de Previdência Social;

IAPAS: Instituto de Administração Financeira da Previdência e Assistencia Social;

CEME: Central de Medicamentos147;

DATAPREV: Empresa de Processamento de Dados da Previdência Social148;

FUNABEM Fundação Nacional do Bem-Estar do Menor149;

LBA: Legião Brasileira de Assitência.

In vista della protezione sociale dei lavoratori rurali – un tema sempre

scottante nel paese - venne poi creato nel luglio del 1970 l’INCRA, l’Instituto

Nacional de de Colonização e Reforma Agrária. Nel 1971, grazie alla creazione del

programma di assistenza per i lavoratori delle aree rurali – FUNRURAL,

Programa de Assistência ao Trabalhador Rural – creato con la l. n. 11 del 25 maggio

146 Propriamente la LBA era nata con l’obiettivo iniziale di aiutare le famiglie dei soldati che erano stati inviati al fronte. 147 Centro per i medicinali. 148 Società di elaborazione dei dati della previdenza sociale. 149 Fondazione nazionale per il welfare (benessere) dei minori.

94

1971 – venne stabilito che i lavoratori delle aree rurali avessero pensioni di

vecchiaia, in caso di disabilità e di morte, assistenza sanitaria e sociale;

l’importo della pensione corrispondeva al 50% del salario minimo.

La nuova Costituzione varata negli anni ’80 modificò il sistema di social

security brasiliano ispirandosi a principi di tipo universalistico, secondo i quali

ogni cittadino deve poter aver accesso alla protezione sociale, e sottolineando

la parità di trattamento anche per i cittadini delle zone rurali150; oltre a basarsi

sui principi dello Stato federale brasiliano, e dunque amministrativamente

decentrato, il sistema di welfare, per il quale erano previste molteplici forme di

finanziamento, cercava di determinare i servizi offerti a partire dalle necessità

individuali151; in particolare, sono da ricordare le due leggi n 8.212 e 8.213,

entrambe del 24 luglio del 1991, aventi ad oggetto, rispettivamente, del Piano

di presa a carico (Plano de Custeio) e del Piano di beneficio della previdenza

sociale (Plano de Benefício da Previdência Social)152.

Giova ricordare che il Brasile si trovò retto da dittature militari per più

di un ventennio, dal 1964 al 1985 e la prima elezione diretta, libera, del

Presidente della Repubblica si ebbe soltanto nel 1989, il che spiega come mai si

ebbe una Costituzione nel 1988, che sostituiva la precedente Costituzione

militare del 24 gennaio 1967 (che ha sua volta subentrava alla precedente

costituzione democratica del 1946). Nel periodo della dittatura, a partire “dal

1964 il potere venne esercitato non più da organi rappresentativi (primo fra

tutti il parlamento), ma dai vertici militari, assistiti però da tecnocrati che ne

condivisero il potere, soprattutto in campo economico. L’apertura verso le

classi lavoratrici […] venne sostituita dall’attenzione per la classe possidente,

150 L’art. 6 della Constituição da República Federativa do Brasil 1998 recita: São direitos sociais a educação, a saúde, o trabalho, a moradia, o lazer, a segurança, a previdência social, a proteção à maternidade e à infância, a assistência aos desamparados, na forma desta Constituição. 151 La costituzione brasiliane venne poi modificata tramite la Emenda Constitucional nº 20, del 1998 152 Da sottolineare tra i successivi legislativi volti a modificare il sistema alla luce della nuova Costituzione le leggi n. 9032 del 28 aprile 1995, 9528 del 10 dicembre 1997 e 9732 dell’11 dicembre 1998.

95

principale beneficiaria dello sviluppo economico assistito dal capitale straniero

e dai prestiti esterni”153.

Nel corso degli anni ’90 il Ministero del welfare e dell’assistenza sociale

venne radicalmente mutato venendo ad assumere una nuova configurazione,

che tutt’ora mantiene.

In particolare, la INPS e la IAPAS vennero soppresse lasciando il

campo all’attuale Istituto Nazionale di Sicurezza Sociale (INSS Instituto Nacional

de Seguro Social); parimenti fu soppresso l’INAMPS, responsabile dell’assistenza

medica, le cui competenze furono trasferite al Sistema Unico Sanitario (SUS

Sistema Único de Saúde), di competenza statale (non federale) e municipale. Tali

istituti sono sovvenzionati tramite la tassazione collettiva. Attualmente l’INSS

copre l’interno territorio nazionale154.

La storia del welfare brasiliano ha portato al costituirsi di tre policy

principali. In primo luogo il Regime Geral de Previdência Social (RGPS), pubblico e

di stampo universalistico, diretto dall’INSS e di carattere obbligatorio, che ha

come ambito di competenza il settore privato.

Le pensioni di anzianità vengono corrisposte dopo il 65 anno di età per

gli uomini ed il 60 per le donne nelle aree urbane, a 60 e 55 nelle zone rurali.

La durata del regime contributivo è di 35 anni per gli uomini e di 30 per le

donne155.

In secondo luogo, la Previdência do Servidores Publicos, anch’essa pubblica e

obbligatoria, stabilita a partire dagli emendamenti costituzionali n. 41/2003156

e n. 47/2005157, che prevedeve il ritiro dal lavoro obbligatorio dopo i 70 anni

per entrambi i sessi, con una durata contributiva di 30 (D) e 35 (U) anni; per

153 M.G. LOSANO, Los derechos fundamentales en las constituciones brasileñas del siglo XX, in E. FERNANDEZ, R. DE ASIS, F.J. ANSUATEGUI, (eds.) Historia de los derechos fundamentales. Siglo XX, Dykinson, Madrid, p. 157. 154 Un problema tipico del Sudamerica è sempre stato l’esclusione delle zone rurali, le quali solitamente restavano escluse dal sistema proprio nelle aree sviluppate dei diversi paesi. 155 Dal punto di vista legislativo per il RGPS sono da considerarsi le seguenti leggi: Lei nº 8.212, de 24 de julho de 1991 - Dispõe sobre a organização da Seguridade Social, institui Plano de Custeio, e dá outras providências; Lei nº 8.213, de 24 de julho de 1991 - Dispõe sobre os Planos de Benefícios da Previdência Social e dá outras providências; Regulamento da Previdência Social - RPS, aprovado pelo Decreto nº 3.048, de 6 de maio de 1999. 156 http://www.planalto.gov.br/ccivil_03/Constituicao/Emendas/Emc/emc41.htm 157 http://www.planalto.gov.br/ccivil_03/Constituicao/Emendas/Emc/emc47.htm

96

chi ha iniziato l’attività lavorativa dopo il 1998 l’eta minima del ritiro è di 60

anni per gli uomini e di 65 per le donne.

In terzo luogo, è anche possibile, su base volontaria, aderire a forme di

welfare complementari di carattere privato.

Bisogna sottolineare come i due principali sistemi di previdenza

brasiliani siano autonomi, ciascuno avente una propria specifica legislazione e

un proprio budget.

Già nel 1998 vi era stata un’ampia riforma del sistema di protezione

sociale, con l’obiettivo di rendere sostenibile la spesa pubblica. Nel caso del

RGPS era stata dichiarata incostituzionale la modalità grazie alla quale veniva

calcolato l’importo delle pensioni; in particolare, grazie alle l. n. 9.876 del 26

Novembre 1999 erano state modificate le tipologie di calcolo applicate.

L’ulteriore riforma del 2003, invece, aveva riguardato soprattutto le

pensioni dei Public Servant, il RPPS Regime Próprio da Previdência Social a livello sia

federale, sia municipale. Entrambe le riforme, e soprattutto la seconda,

muovevano fortemente verso il federalismo fiscale; in particolare, seguivano

quel cammino volto a dare maggiore potere agli Stati, riducendo dunque il

peso dell’Unione, progetto perseguito con la stessa creazione della nuova

Costituzione del 1998.

Complessivamente, oltre a perseguire nel lungo periodo l’obiettivo della

sostenibilità, soprattutto sulla base dei mutamenti socio-demografici in corso, e

a creare una progressiva convergenza tra i diversi trattamenti previdenziali, ci

si proponeva una maggiore equità tra le parti sociali. Molti analisti brasiliani, in

generale, hanno parlato della crisi fiscale quale crisi del federalismo brasiliano;

in particolare, con le due riforme si voleva procedere a ridurre notevolmente la

concentrazione di poteri propria dell’Unione, un lascito del periodo delle

dittature militari, riequilibrando la situazione - anche fiscalmente – in senso

federalista; si tratto dunque di superare le difficoltà causate da un’eccessiva

97

concentrazione dei poteri, concentrazione prevalente sotto i governi autoritari

che erano cominciati nel 1964158.

La riforma del 2003, secondo il Ministério da Previdência Social – MPS,

consisteva nei seguenti punti:

reference age for current workers goes up from 53/48 (M/F) to 60/55

(M/F), including rules that discourage early retirement;

a new permanent rule for the calculation of retirement and pensions, aligned with

the General Policy;

RGPS cap also for future public servants, as long as their complementary

welfare is constituted;

supportive contribution from retirees and pensioners for the stability of the

RPPS;

application of a general wage cap (federal, state and municipal) hindering

abusive benefits;

indexation of retirement payments and pensions to inflation/ the end of new

benefit parity (except for those foreseen in the transitional rules);

incentives for those who continue active after the retirement conditions are

reached;

real elevation of the RGPS cap from R$ 1869,34 to R$ 2400,00159.

Oltre agli aspetti pensionistici, la riforma si concentrava sulla sicurezza

sui luoghi di lavoro, sulla prevenzione degli incidenti e delle malattie

professionali, per migliorare, nel suo complesso, l’ambiente lavorativo.

Dal punto di vista dell’inclusione sociale al sistema di welfare, la riforma

affrontava anche il problema (un problema tipico e tradizionale nel paese) del

mancato contributo di parte della popolazione – 28,7 milioni di persone nel

158 Cfr. J.R.R. AFONSO, R. VARSANO, Reforma tributária: sonhos e frustrações, in F. GIAMBIAGI, J.G. REIS, A. URANI, (Eds.), Reformas no Brasil: balanço e agenda, Rio de Janeiro, Nova Fronteira, 2004. Cfr. F. REZENDE, F.A. OLIVEIRA, (Eds.), Descentralização e federalismo fiscal no Brasil: desafios da reforma tributária, Rio de Janeiro, Konrad Adenauer Stiftung, 2003. 159 MINISTÉRIO DA PREVIDÊNCIA SOCIAL-MPS, Overview of brasilian Social Welfare, Brasilia – DF January 2009, pp. 15-16.

98

2007, secondo stime governative160 – al sistema nel suo complesso; parte di

tale popolazione utilizzava i servizi di assistenza sociale e, secondo il Ministero

del welfare, circa 15,7 milioni di individui avrebbero potuto contribuire al

sistema versando i propri contributi. In tale direzione, da parte governativa

con gli emendamenti costituzionali n. 41 e 47 vennero poste in atto politiche

di inclusione sociale per i cittadini a basso reddito.

Tali politiche vennero successivamente sostanziate con la legge

costituzionale n. 123 del 14 dicembre del 2006, la quale prevede una riduzione

dal 20% all’11% dei contributi individuali per speciali categorie (disoccupati,

casalinghe, borsisti di studio, amministratori di condominio non remunerati,

detenuti che non lavorano); tali categorie hanno accesso al RPGS, sebbene

non abbiano il diretto alla pensione erogata al termine del periodo di

retribuzione normalmente previsto e il calcolo della rendita sia stimato sul

salario minimo.

Inoltre, anche ai lavoratori domestici è stato garantito l’accesso al

sistema di welfare; grazie alla legge n. 8.212/1991 gli spetta un’aliquota del

12% di contributi, di contro al 20% spettante ai datori di lavoro; la successiva

legge 11.324/2006 permette ai datori di lavoro degli sgravi fiscali, ovvero la

deducibilità dei fondi versati al sistema di welfare per i propri impiegati

domestici dalle tasse sul reddito (per un solo domestico).

Complessivamente, beneficiano del sistema di welfare le seguenti

categorie:

a) impiegati;

b) lavoratori domestici;

c) lavoratori temporanei;

d) contribuenti singoli (lavoratori autonomi, imprenditori, etc.);

e) ‘categorie speciali’ (lavoratori rurali);

f) contribuenti ‘opzionali’ (come studenti di età superiore ai 16 anni e

casalinghe).

160 Su circa 190 milioni complessivi di abitanti. Il Brasile è il quinto paese al mondo per numero di abitanti.

99

Le politiche di welfare statali si sono poi concentrate sui soggetti a

maggior rischio di esclusione dal sistema pubblico, ovvero la popolazione

femminile e quella ‘di colore’, spesso escluse dal sistema pubblico di

protezione.

Inoltre, il ‘welfare rurale’ è stato rinforzato, grazie alle legge n.

11.718/2008, la quale ha eliminato i numerosi ostacoli che rendevano

difficoltosa la formalizzazione dello status di lavoratore rurale, soprattutto per

i singoli produttori. La legge, inoltre, ha rafforzato il vincolo tra i lavoratori

rurali e le proprie famiglie, sempre in vista di un migliore accesso all’assistenza

sociale.

Da ricordare, infine, come la riforma tributaria, ovvero l’emendamento

n. 42/2003, preveda la possibilità di una parziale sostituzione o, in casi estremi,

di una completa esenzione d’imposta, qualora l’imprenditore decida di

modificare la base su cui si effettua il calcolo contributivo; si tratta di una

misura prevista dal Ministério da Previdência Social, in ultima istanza, per favorire

la semplificazione del prelievo e la diversificazione delle forme di

finanziamento del welfare sociale in modo da ridistribuire il carico fiscale

richiesto tra i differenti settori: “a new base, besides reducing the cost to formalize

labor, can represent a greater stability for long-term welfare funding, because the aggregated

value has grown faster than the wage mass due to the increase in productivity. Additionally,

a diversification of Social Welfare financing sources, always in the scenario of partial payroll

exemption, will result in redistribution in the load of welfare financing among economic

sectors, recalling those segments that, though receiving an increase in their participation in

produced riches, have reduced their participation in labor, generated during the last

decades”161.

Complessivamente, dunque, la maggior parte dei lavoratori (lavoratori

urbani, autonomi, domestici e rurali) trova la propria copertura previdenziale

grazie al RGPS; nel 2007 vi erano circa 36,4 milioni di contribuenti (fonte:

MPS, 2007); nel 2007 secondo il PNAD (Pesquisa Nacional de Amostra

161 MINISTÉRIO DA PREVIDÊNCIA SOCIAL-MPS, Overview of brasilian Social Welfare, Brasilia – DF January 2009, p. 22.

100

Dimiciliar), circa il 65,1% della popolazione che lavorava nel settore privato

godeva della protezione sociale (quali contribuenti e/o beneficiari) della

RPGS.

Come mostra il grafico riportato sotto, la percentuale di popolazione

sotto copertura, declinante negli anni ’90, è poi venuta aumentando.

Evoluzione della copertura di protezione sociale tra gli occupati con età tra 16 e 59 anni

Fonte: PNAD/IBGE

(sono escluse le aree rurali delle regioni settentrionali, ad eccezione di Tocantins).

Il principale effetto della social coverage del RGPS è stata la riduzione

della povertà. Nel 2007 si contavano 56,87 milioni di persone in stato di

povertà, cifra che raggiungeva i 79,10 milioni escludendo i trasferimenti dovuti

alle protezioni del welfare sociale; ciò indica che le welfare transferences hanno

contribuito a ridurre notevolmente la povertà, per ben 22,3 milioni di persone;

dal grafico sotto riportato sembra anche emergere che la riduzione della

povertà nel corso degli ultimi anni sia stata favorita dell’aumento del numero

di persone sotto protezione sociale.

101

Percentuale di povertà (metà del salario minimo) rispetto alla popolazione complessiva, calcolata sui valori del settembre, con e senza

i trasferimenti della protezione sociale (1992-2007)

Fonte: PNAD/IBGE (sono escluse le aree rurali delle regioni settentrionali, ad eccezione di Tocantins.

I trasferimenti di ricchezza causati dal sistema di protezione sociale

hanno riguardato soprattutto la fascia di popolazione più anziana, come

mostra il grafico riportato qui di seguito. In particolare i benefici dovuti al

sistema di welfare sono più evidenti per la popolazione di età compresa dai 55

anni in avanti

102

Percentuale di popolazione, per classi di età, con redditi minori della metà del salario minimo pro capite, con e senza le entrate

garantite dalla protezione sociale (al settembre 2007)

Fonte: PNAD/IBGE (sono escluse le aree rurali delle regioni settentrionali, ad eccezione di Tocantins.

4.6. Peculiarità del welfare brasiliano e del sistema degli

ammortizzatori sociali e il rapporto con la situazione complessiva del

paese

Il welfare brasiliano è di tipo corporativo, ovvero ha tratto ispirazione

dai modelli di protezione sociale propri dei paesi dell’area centrale, Germania e

Francia in particolare.

Tale sistema proviene, dal punto di vista storico, da una concezione di

carattere assicurativo, ovvero il modello bismarckiano, parzialmente integrata

da meccanismi assistenziali. Le prestazioni sono connesse all’onere

contributivo che viene sostenuto individualmente, tramite un flusso

complessivo di finanziamenti nel quale sono i contributi a prevalere sulle

imposte. Inoltre, con le formule di calcolo si cerca di dare delle prestazioni che

siano proporzionali ai redditi di riferimento dei beneficiari; ciò comporta la

“categorializzazione” della normativa che riflette lo status dei gruppi

103

professionali (nel caso del Brasile, evidente nei due principali sistemi di

previdenza, quello per i privati e quello per i dipendenti pubblici).

Complessivamente, dunque, si tratta di un modello dal carattere in prevalenza

occupazionale, la qual cosa si rispecchia nell’organizzazione e nelle procedure

di gestione, dove le parti sociali esercitano una partecipazione attiva nella

regolazione e nella verifica degli schemi.

Come osservato da Sheila Najberg e Marcelo Ikeda del BNDES “A

previdência brasileira se baseia no modelo de repartição simples, cuja lógica pressupõe um

equilíbrio coletivo: as contribuições previdenciárias pagas pelos trabalhadores ativos destinam-

se a cobrir os gastos com os benefícios dos inativos. O regime de repartição, em tese, seria

sustentável pelo maior número de futuros contribuintes, responsáveis pelas aposentadorias e

pensões dos atuais contribuintes. Na prática, o aumento espressivo da produtividade da mão-

de-obra faz com que essa premissa esteja incorreta mesmo diante de um quadro de

crescimento econômico sustentável, quanto mais diante de períodos de baixo ou nenhum

crescimento econômico”162.

Inoltre, la copertura è di carattere coattivo: all’inizio di un rapporto di

lavoro l’obbligo assicurativo scatta automaticamente. Nel corso degli anni,

come verificatosi anche in moti paesi occidentali (si pensi all’Italia) è

chiaramente venuta aumentando la riduzione, graduale, della relazione tra i

contribuenti ed i beneficiari, cosa che comporta, come è noto, la difficile scelta

tra la riduzione dei benefici concessi o l’aumento delle quote della

contribuzione.

Le riforme del sistema degli ammortizzatori sociali e del welfare, oltre

che del sistema tributario, iniziate nel 1988 sotto la Presidenza Cardoso, di

ispirazione liberista e in linea con le indicazione e le raccomandazioni del

Fondo Monetario Internazionale, avevano come obiettivo di garantire, nel

caso del welfare, la sostenibilità del sistema e, a livello tributario, oltre alla

semplificazione normativa, il cercare di stimolare crescita e competitività (oltre

che la concessione di maggiori poteri ai singoli Stati. Sotto la Presidenza Lula

162 S. NAJBERG, M. IKEDA, Previdência no Brasil: Desafios e Limites, in F. GIAMBIAGI, M.M. MOREIRA (orgs.), A economia brasileira nos anos 90, Rio de Janeiro, BNDES, 1999, p. 264.

104

(in carica a partire dal 2002) è fortemente proseguita l’apertura del paese alla

globalizzazione e alle sempre più pressanti richieste dei mercati, cosa che

caratterizza il paese anche attualmente.

In ciò il Brasile non differisce dai paesi europei: lo specifico nel caso

della nazione sudamericana è nella composizione e struttura sociale e nelle

forti differenze e disuguaglianze, sconosciute alle realtà europee. Non si tratta,

dunque, soltanto di pensare forme di ammortizzatori sociali e previdenziali in

grado di funzionare nel contesto della globalizzazione di merci, mercati,

capitali e persone, come nel caso europeo, ma anche - e soprattutto – di

innalzare il livello complessivo (non solo economico, ma anche umano e

sociale) di sviluppo del paese. Semplificando, se le condizioni di vita negli Stati

del sud e del sud-est del paese, tradizionalmente i più sviluppati, (Paranà, Santa

Catarina, s. Paolo) sono simili a quelle dell’occidente, in altri stati la situazione

socio-economica è a distanza siderale dalle zone più sviluppate del paese.

Secondo l’IBGE (Instituto Brasilero de Geografia e Estatistica163), il PIL

procapite delle 27 Unità federative del paese, nel 2011, è stato – in Reais

(BRL)164 - il seguente:

primi cinque stati quanto al PIL:

Distrito Federal: 60.020, S. Paulo 32.449 (ca. 10.000 eur annui), Rio

de Janeiro 28.696, Espirito Santo 27.542, Santa Catarina 26.760;

ultimi cinque stati quanto al PIL:

Cearà 10.314, Paraìba 9348, Alagoas 9079, Maranhao 7852, Piaui

7835 (ca. 2500 eur annuali).

Fonte: IBGE. Contas Regionais do Brasil - 2011: Tabela 4 - Produto Interno

Bruto, população residente e Produto Interno Bruto per capita, segundo as Grandes Regiões e

as Unidades da Federação - 2011.

Come si vede, anche escludendo lo Stato della capitale, permangono

differenze enormi essendo il PIL di S. Paolo quasi cinque volte maggiore di

quello di Piaui e più di tre volte maggiore di quello di Cearà. Nel Brasile, e più

163 http://www.ibge.gov.br/home/default.php 164 Attualmente 1 eur corrisponde a 3.20 Reais.

105

in generale, in Sudamerica, i principali fattori di disuguaglianza riposano nelle

condizioni socio-economiche, nelle zone di residenza (rurali o urbane), nella

identità etnica e nel genere.

Nel caso dell’istruzione, ad esempio, il Brasile - secondo l’UNESCO ed

il Ministero brasiliano dell’istruzione - fa registrare il numero più alto di

analfabeti di tutta l’America centrale meridionale: 13 milioni di persone, il 40%

della regione. 68 milioni di brasiliani di età superiore ai 15 anni non finiranno

l’educazione primaria obbligatoria165, “representando quase 50% da população total

de jovens e de adultos”166. Quanto alla istruzione attesa, nella fascia tra i 15 ed i 24

anni 12 milioni non porteranno a termine l’educazione primaria e quasi 2

milioni saranno analfabeti. Sempre in Brasile, inoltre, nel 2006 la percentuali di

giovani inattivi (che non studiano nè lavorano) si attestava al 27,1%167.

Secondo i dati forniti dalla SECAD168, relativi agli ultimi quattordici

anni, tra gli adulti latino-americani con più di 15 anni169 la percentuale di

popolazione senza alcuna istruzione o con un curriculum scolastico limitato ai

primi tre anni di scuola toccherebbe, nel caso del Brasile, il 25%.

Bisogna comunque sottolineare gli enormi progressi compiuti dalla ex-

colonia portoghese negli ultimi 40 anni. Infatti, il Brasile, tra il 1975 ed il 2000

ha scalato diverse posizioni nello Human Development Index (HDI) e non tanto

grazie alla crescita economica quanto piuttosto grazie all’istruzione ed alla

salute. Infatti, nessun paese è avanzato tanto quanto il Brasile nel ranking HDI

(Indice di Sviluppo Umano) nel periodo sopra ricordato: in ventisei anni ha

guadagnato sedici posizioni ed ha raggiunto la sessantacinquesima posizione.

Negli anni settanta e ottanta ha rimontato dieci posizioni, due negli anni ‘90 e

quattro fino al 2001. Tra il 1975 e il 2001 il reddito pro capite è aumentato

dello 0,8 % l’anno (la media mondiale era dell’1,2 %, per i paesi sviluppati del

165 Che, dal 2006, dura nove anni. 166 AA.VV., Educação e aprendizagem para todos: olhares dos cinco continentes, Brasília, UNESCO, Ministério da Educação, 2009, p. 47. 167 AA.VV., Educação e aprendizagem para todos, cit., p. 44. 168 Ovvero la Secretaria de Educação Continuada, Alfabetização e Diversidade, l’ente governativo brasiliano responsabile dell’alfabetizzazione e dell’istruzione del paese. 169 I dati riguardano 13 paesi latino-americani, ovvero: Argentina, Bolívia, Brasil, Costa Rica, Chile, El Salvador, Guatemala, Honduras, Nicarágua, México, Paraguay, Peru e Uruguay.

106

2,3 % annuo). E’ stata proprio questa voce a frenare la scalata del Brasile nel

ranking mondiale, ove il Paese occupava una posizione peggiore rispetto a

molti vicini latino-americani; infatti l’Argentina ara 34°, l’Uruguay 40° ed il Cile

è 43°.

Negli anni successivi, invece, il Brasile ha avuto una crescita economica

molto più sviluppata, con un notevole aumento del PIL, come è noto, mentre

la sua posizione nello HDI è venuta sostanzialmente diminuendo.

Al di là dei notevoli progressi compiuti e degli attuali elevati livelli di

crescita, il paese resta alquanto debole a causa delle profonde disuguaglianze

sociali e, in particolare, della situazione socio-economica delle zone più

svantaggiate: qui è in gioco non tanto la capacità di coniugare protezione

sociale e sviluppo economico ma, piuttosto, di riuscire a garantire i diritti

sociali, i basic needs. Oltre a ciò, per concludere, un tipico problema non solo

del Brasile ma dell’intera America Latina, a livello regionale, è che

l’ineguaglianza, appare diversa per i differenti gruppi sociali, come ricordano le

Nazioni Unite: “The political process also responds differently to the needs of different

groups. A sustained reduction in inequality means impacting the poor quality of political

representation, the frailty of public institutions, unequal access to influence specific policies,

and institutional shortcomings that lead to corruption and the state ending up in the hands of

minority groups”170.

170 UNDP (United Nations Development Program), Regional Human Development report for Latin America & the Caribe 2010, UNDP, New York, 2010, p. 7.

107

CONCLUSIONI

In ambito europeo, come risposta alle crisi sistemiche ed alla

perdurante crisi del welfare state, la Commissione europea ha introdotto il

termine flexicurity.

Tale elaborazione corrisponde alla volontà comunitaria di aprire

totalmente l’Europa alla globalizzazione dei mercati e dell’economia riuscendo,

nello stesso tempo, a garantire la sicurezza sociale. La flessicurezza è una

strategia integrata rivolta, ipso tempore, ad accrescere sia la flessibilità, sia la

sicurezza del mercato del lavoro.

La definizione di flexicurity proposta dalla Commissione riguarda il

modo di intendere i differenti momenti della vita lavorativa e le connesse fasi

di passaggio dell’esistenza individuale: istruzione, ingresso nel mondo

lavorativo, disoccupazione, cambio di lavoro, pensionamento. In tale contesto,

il termine si riferisce sia alla possibilità di cambiare occupazione, sia alla

necessità di superare l’eccessiva staticità che in passato ha caratterizzato il

lavoro subordinato.

Un concetto, dunque, omnicomprensivo che va dalla sicurezza sociale

lavorativa intesa in senso classico, alla mobilità del mercato e alla necessaria

formazione del personale in vista della crescita professionale e della possibilità

di cambiare professione.

La strategia della flexicurity trae origine dall’analisi della realtà dove

operano le organizzazioni aziendali, caratterizzata dalla crescente concorrenza

globale. In tale ambito il sistema produttivo europeo deve poter disporre di

personale in possesso delle giuste competenze costantemente aggiornate e

capace di muoversi senza eccessivi vincoli, in modo da poter essere

competitivo con le economie dei paesi emergenti e attrarre capitali

internazionali.

108

La Commissione europea ha poi definito la flexicurity a partire da

quattro componenti base, ovvero:

Flexible and reliable contractual arrangements;

Comprehensive lifelong learning (LLL) strategies;

Effective active labour market policies (ALMP);

Modern social security systems.

Uno sguardo d’insieme sulle riforme attuate mostra come i paesi

dell’Unione abbiano posto maggiore attenzione all’uniformazione delle

differenti forme contrattuali flessibili, incrementando forme contrattuali

atipiche, come contratti a tempo determinato, di apprendistato a progetto, ecc.

La medesima attenzione, tuttavia, non pare essere stata posta sul tema della

sicurezza, la quale è stata invece gestita secondo logiche di tipo nazionale,

fornendo argomenti a favore di chi incolpava i diversi governi nazionali per

aver ceduto alle richieste delle imprese ed ai dettami della globalizzazione,

senza governare il processo di cambiamento.

L’analisi delle politiche attuate dai paesi comunitari più virtuosi mostra

come il paradigma della flexicurity sia più efficiente quando i suoi quattro

pilastri vengono applicati in maniera congiunta.

Come mostra il caso della Danimarca, i minori vincoli della normativa

che regola i licenziamenti sono più facilmente accettabili se accompagnati a

sussidi di disoccupazione con elevati tassi di sostituzione, magari legati a

penalizzazioni, e un sistema di politiche attive in grado di sostenere

effettivamente il lavoratore in situazioni di disagio. Interessante è anche il caso

della Germania, che mediante un sistema di relazioni industriali molto

efficiente è riuscita ad introdurre notevoli elementi di flessibilità nel mercato

del lavoro, adattandoli alle specifiche esigenze del settore/azienda.

In ogni caso, il sistema di politiche passive, solitamente strutturato a tre

pilastri, pare adeguato per sostenere transizioni nel caso di livelli ordinari di

mobilità, mentre non è certo che possa resistere al perdurare della crisi. Infatti

l’effettiva attuazione di sistemi estremamente articolati che prevedono

109

molteplici interventi per disoccupati di lungo periodo o per persone mai

entrate nel mondo del lavoro, si scontra con la limitatezza delle risorse

disponibili, in particolare per quei paesi nei quali è più elevato il debito

pubblico.

Inoltre, sono le politiche attive per l’occupazione a risentire del limite di

applicabilità ai soli periodi espansivi. Infatti se gli occupati standard

conservano l’occupazione tramite la flessibilità oraria e gli altri strumenti di

integrazione del reddito, le altre tipologie di lavoratori se espulsi dal mercato

del lavoro, data la sua scarsa dinamicità, corrono il rischio di restare ai margini

del mondo del lavoro: una situazione che pare si stia verificando in Italia.

Bisogna poi osservare come la riuscita delle politiche attive, soprattutto della

formazione, sono notevolmente cambiate nei diversi paesi subendo l’influenza

dall’efficienza dei sistemi preposti ad attuare le singole iniziative.

La segmentazione sociale e l’acuirsi delle diseguaglianze a livello

europeo appaiono quindi dei rischi concreti, soprattutto in quei contesti

caratterizzati da bassa domanda di lavoro e per tutti coloro i quali non

dispongono delle necessarie competenze o non sono in grado di accedere alle

informazioni relative alle chanche che offre un mercato del lavoro flessibile,

anche quando ben funzionante.

La dimensione inclusiva della flexicurity può essere garantita soltanto

da istituzioni estremamente efficienti e capillari.

Nel caso dell’Italia il sistema di ammortizzatori messo in atto per

fronteggiare la crisi - grazie anche a provvedimenti in deroga al regime

ordinario - ha reso possibile sostenere i redditi dei lavoratori espulsi o sospesi

dal lavoro. Al riguardo, qualcosa è stato fatto anche per i lavoratori atipici,

sebbene in maniera frammentata e soprattutto senza la necessaria continuità.

Complessivamente, quanto alla flessibilità del mercato del lavoro

italiano, dalla fine degli anni ’90 fino ad oggi diverse azioni sono state

intraprese per rispondere alle esigenze di flessibilità del mondo produttivo,

mentre vi sono stati pochi cambiamenti nei classici rapporti di lavoro a tempo

110

indeterminato. Ciò ha comportato una notevole segmentazione del mercato

del lavoro e la presenza di differenze di trattamento difficilmente accettabili,

dato che solitamente gravano sulle fasce sociali più svantaggiate.

Lo studio dei sistemi di protezione degli Stati Uniti ha reso possibile

cogliere le caratteristiche di fondo del welfare americano che appaiono

notevolmente diverse da quello europeo.

In primo luogo, negli USA vi è sempre stato un forte indirizzo delle

policy di welfare verso politiche attive di sostegno del lavoro; come si è visto,

la riforma Clinton rappresenta l’apice di tale processo. Ciò dettato

dall’ideologia statunitense della responsabilità individuale e dall’etica del lavoro:

una tradizione culturale condivisa.

Nel caso dei diversi tipi di sussidi previsti, questi, in molti casi, non

vengono concessi a chi non disponga di un lavoro, per evitare di

‘istituzionalizzare’ la dipendenza degli assistiti dall’intervento pubblico.

Inoltre, soprattutto negli ultimi dieci anni sono proporzionalmente

aumentati, tra gli stanziamenti pubblici, i programmi di Tax Expenditures – i

contributi fiscali non riscossi e/o i crediti fiscali concessi agli aventi diritto -

fino a divenire la principale spesa pubblica per l’assistenza già durante la prima

Amministrazione Bush Jr.. Nel 2004 la cifra complessiva delle Tax Expenditures

è stata notevolmente superiore alla spesa per i sussidi TANF. La

redistribuzione delle risorse è stata dunque ottenuta tramite la leva fiscale, una

soluzione notevolmente diversa rispetto alle policy adottate in Europa.

Per quanto riguarda la situazione del Brasile, il welfare è di tipo

corporativo, e proviene, dal punto di vista storico, da una concezione di

carattere assicurativo, il modello bismarckiano, parzialmente integrata da

meccanismi assistenziali. Le prestazioni sono connesse all’onere contributivo,

sostenuto individualmente mediante un flusso complessivo di finanziamenti

dove sono i contributi a prevalere sulle imposte. Inoltre si offrono delle

prestazioni proporzionali ai redditi di riferimento dei beneficiari; ciò ha

comportato la “categorizzazione” della normativa che riflette lo status dei

111

gruppi professionali. In Brasile vi sono, infatti, due sistemi di previdenza,

quello per i privati e quello per i dipendenti pubblici.

Le diverse riforme succedutesi a partire dalla fine degli anni ’80 hanno

sempre perseguito due obiettivi: la riduzione delle spese e la razionalizzazione

degli stanziamenti in welfare e protezione sociale. Negli ultimi quindici anni,

sono stati fatti enormi progressi in relazione all’estensione di forme di

protezione sociale a quei soggetti che ne erano privi. Tuttavia, il gigante

sudamericano rimane un paese caratterizzato da profonde disuguaglianze

sociali e con notevoli differenze sia su base regionale e locale, sia razziale.

112

BIBLIOGRAFIA

Monografie

BENINI R., Guida alla riforma del lavoro, Halley, Matelica, 2012.

BORIONI P., La flexicurity scandinava: inclusione e competizione, in Welfare scandinavo, welfare italiano. Il modello sociale europeo, Carocci, Roma, 2005.

BROLLO M., Il mercato del lavoro, in Trattato di diritto del lavoro, Cedam, Padova, 2012.

CLINTON B., GORE A., Putting People First. How We Can All Change America, Times Book, New York, 1992.

HALL M.M., The Labor Policies of the Lula Government, in LOVE J.L., BAER W. (Eds), Brasil under Lula. Econonomy, Politics, and Society under the worker president, Palgrave Mc Milian, New York, 2009, p. 151.

KATZ M., In the shadow of the poorhouse: A social history of welfare in America, Basic Books, New York, 1986.

KLUVE J., The Capacity of Active Labour Market Policies to Combat European Unemployment, in DI DOMENICO G., SPATTINI S. (eds.), New European Approaches to Long-Term Unemployment, Kluwer Law International, Alphen aan den Rijn, The Netherlands, 2008.

LA PORTA B., Assicurazione sociale per l'impiego (AspI), in AA.VV., Il nuovo lavoro, Giuffrè, Milano, 2012.

LOSANO M.G., Los derechos fundamentales en las constituciones brasileñas del siglo XX, in FERNANDEZ, E., DE ASIS R., ANSUATEGUI F.J., (eds.) Historia de los derechos fundamentales. Siglo XX, Dykinson, Madrid.

MADSEN P.K., The Danish Model of Flexicurity: A Paradise – With Some Snakes, in SARFATI H., BONOLI G., Labour Market and Social Protection Reforms in International Perspective: Parallel or Converging Tracks?, Aldershot, Ashgate, 2002.

MAGNANI M., TIRABOSCHI M. (a cura di), La nuova riforma del lavoro, Giuffrè, Milano, 2012.

PISANO E., RAITANO M., La flexicurity danese: un modello per l’Italia?, in

VILLA P. (a cura di), Generazioni flessibili. Nuove e vecchie forme di esclusione sociale, Carocci, Roma, 2007.

113

PIZZI F., RUSSO F., DE FILIPPIS G.E., ASpI e nuovi ammortizzatori sociali, Il Mulino, Bologna, 2012.

POLLARD S., Storia economica del Novecento, Il Mulino, Bologna, 2004.

REZENDE F., OLIVEIRA F.A. (Eds.), Descentralização e federalismo fiscal no Brasil: desafios da reforma tributária, Konrad Adenauer Stiftung, Rio de Janeiro, 2003.

RIDLEY, DUFF R., BULL M, Understanding Social Enterprise. Theoty and Practice, Sage, London, 2011.

ROTHMAN, This discovery of the asylum: Order and disorder in the new republic. Boston: Little, Brown, 1971

SPATTINI S., Il governo del mercato del lavoro tra controllo pubblico e neo-contrattualismo, Giuffrè, Milano, 2008.

TANZILLI F., La via americana al welfare. Da Kennedy a Bush, Guerini, Bologna, 2009.

TOBIN J., The Guaranteed Income, in GORDON K. (ed.), Agenda for the Nation, BIP, Washinghton, 1968.

TRATTNER, W., From poor law to welfare state: A history of social welfare in America, New York: Free Press, New York, 1989.

Riviste

AA.VV., Educação e aprendizagem para todos: olhares dos cinco continentes, Brasília, UNESCO, Ministério da Educação, 2009, p. 47.

AA.VV., Integrated approaches to active welfare and employment policies – United Kingdom, European Foundation for the Improvement of Living and Working Conditions, Dublino 2002.

AFONSO J.R.R., VARSANO R., Reforma tributária: sonhos e frustrações, in GIAMBIAGI F., REIS J.G., URANI A. (Eds.), Reformas no Brasil: balanço e agenda, Rio de Janeiro, Nova Fronteira, 2004.

AMOROSO B., Luci ed Ombre del Modello Danese, Relazione tenuta presso l’Università degli Studi Roma 3, Facoltà di Economia Federico Caffè, 21 febbraio 2006.

114

ANASTASIA B., MANCINI M., TRIVELLATO U., Il sostegno al reddito dei disoccupati: note sullo stato dell’arte. Tra riformismo strisciante, inerzie dell’impianto categoriale e incerti orizzonti di flexicurity, WP n. 112, ISAE, aprile 2009.

AUER P., La flexicurity nel tempo della crisi, in Diritto delle relazioni industriali, 2011, n. 1, pp. 37-58.

BAYLOS A., Crisi del diritto del lavoro o diritto del lavoro in crisi: la riforma del lavoro spagnola del 2012, in Diritto delle relazioni industriali, 2012, n. 2, pp. 353-375.

FERRONI V., GUERRERA D., Gli ammortizzatori sociali in Italia. Prospettive, confronti e risposte alla crisi, in MEF, n. 5, luglio 2010, p. 19.

GAROFALO D., Gli ammortizzatori sociali per la riforma Fornero, in Il lavoro nella giurisprudenza, 10/2012, p. 1004.

GRUBB D., WELLS W., Employment Regulation and Patterns of Work in EC Countries, in OECD Economic Studies, 1993, n. 21, pp. 7-58.

HEYES J., LEWIS P., CLARK I., Varieties of Capitalism in Crisis? The Consequences of the ‘Great Recession’ for Employment and Social Protections, Proceedings of the 16th ILERA World Congress, 2012.

HEYES J., LEWIS P., Employment Protection Under Fire: Why Labour Market Deregulation Will Not Deliver Quality Jobs, Working Paper presentato alla SPERI Inaugural Conference, 16-18 luglio 2012, 20.

HIJMAN R., The impact of the crisis on employment, Eurostat, Statistics in Focus, 2009, n. 79, p. 2.

HURLEY J., MANDL I., STORRIE D., WARD T., Restructuring in recession, ERM Report 2009, European Foundation for the Improvement of Living and Working Conditions, 2009, p. 58.

ICHINO P., Riforma del lavoro: contesto, intendimenti del Governo e ratio legis, in DPL, 2012, pp. 1497 ss..

LANG D., Can the Danish Model of Flexicurity Be a Matrix for the Reform of European Labour Markets?, GRES Working Paper, 18, 2006.

LUCIDI F., RAITANO M,. Lo stato dell’arte sull’implementazione della flexicurity in Italia: aspetti formativi ed evidenza empirica, in ISFOL, La Flexicurity come nuovo modello di politica del lavoro, 2011, p. 77.

MADSEN P.K., Reagire alla tempesta. La flexicurity danese e la crisi, in Diritto delle relazioni industriali, 2011, n. 1, pp. 78-96.

115

MAGNANI M., L’uso allargato della Cassa integrazione tra emergenza e ricerca di una logica di sistema, in Analisi Giuridica dell’Economia, 2010, n. 2.

MANDL I., HURLEY J., MASCHERINI M., STORRIE D., Extending flexicurity – The potential of short time working schemes, European Foundation for the Improvement of Living and Working Conditions, 2010, p. 1.

MANDL I., SALVATORE L., Tackling the recession: Employment-related public initiatives in the EU Member States and Norway, European Foundation for the Improvement of Living and Working Conditions, 2009

MENGHINI L., Contratto a termine (art. 1, commi 9-13, l. n. 92/2012), in Il lavoro nella giurisprudenza, 2012, n. 10, p. 929.

NAJBERG S., IKEDA M., Previdência no Brasil: Desafios e Limites, in GIAMBIAGI F., MOREIRA M.M. (orgs.), A economia brasileira nos anos 90, BNDES, Rio de Janeiro, 1999, p. 264.

ROTHSTEIN J., Unemployment Insurance and Job Search in the Great Recession, NBER Working Paper 2011, n. 17534.

STOVICEK K., TURRINI A., Benchmarking Unemployment Benefit Systems, Economic Papers, European Economy, 2012, n. 454.

TANGIAN A., European Flexicurity: Concepts (Operational Definitions), Methodology (Monitoring Instruments), and Policies (Consistent Implementation), 2006.

TANGIAN A., Flexibility-flexicurity-flexinsurance: response to the European Commission’s Green Paper on Modernising labour law to meet the challenges of the 21st century, WSI Diskussionspapier 149, Düsseldorf, Hans-Böckler-Stiftung, 2007.

VAN VLIET O., NIJBOER H., Flexicurity in the European Union: Flexibility for Outsiders, Security for Insiders, Department of Economics Research Memorandum, Leiden University, 2012, n. 2, p. 14.

VENN D., Legislation, Collective Bargaining and Enforcement: Updating the OECD Employment Protection Indicators, Social, Employment and Migration Working Paper, OECD, 2009, n. 89, p. 11.

Documenti Istituzionali

CEDEFOP, In Europa posti di lavoro a maggiore intensità di conoscenze e competenze, nota informativa, febbraio 2010.

CENTRO STUDI INTERNAZIONALI e COMPARATI “Marco Biagi”, Flexicurity: lavori in corso, Bollettino ADAPT, 22 ottobre. 2007.

116

COMMISSIONE EUROPEA, Un impegno comune per l’occupazione, 6 giugno 2009, COM(2009)257.

COMMISSIONE EUROPEA, Un piano europeo di ripresa economica, 26 novembre 2008, COM(2008)800.

COMMISSIONE EUROPEA, Verso una ripresa fonte di occupazione, 18 aprile 2012, COM(2012)173.

CONSIGLIO DELL’UNIONE EUROPEA, Conclusioni della Presidenza del Consiglio europeo del 11 e 12 dicembre 2008, 13 febbraio 2009.

EUROPEAN COMMISSION, Adapting unemployment benefit systems to the economic cycle, 2011, 2011, p. 25.

EUROPEAN COMMISSION, Economic Crisis in Europe: Causes, Consequences and Responses, European Economy, 2009, n. 7, pp. 59 ss..

EUROPEAN COMMISSION, Employment in Europe 2007, 2007, pp. 125 ss..

EUROPEAN COMMISSION, Recovering from the crisis – 27 ways of tackling the employment challenge, 2009.

EUROPEAN COMMISSION, Short time working arrangements as response to cyclical fluctuation, European Economy, Occasional papers, giugno 2010, n. 64.

EUROPEAN FOUNDATION FOR THE IMPROVEMENT OF LIVING AND WORKING CONDITIONS, Flexicurity: perspectives and practice, 2010, pp. 4 ss.

MINISTÉRIO DA PREVIDÊNCIA SOCIAL-MPS, Overview of brazilian social welfare, Brasilia – DF, January 2009.

OECD, Employment Outlook 2006 – Boosting Jobs and Incomes, 2006, pp. 190 ss.

OECD, Employment Outlook 2010 - Moving Beyond The Jobs Crisis, 2010.

UNDP (United Nations Development Program), Regional Human Development report for Latin America & the Caribe 2010, UNDP, New York, 2010.

UROPEAN COMMISSION, Employment in Europe 2010.

Documenti web

ALVARO F., Riforma del lavoro Fornero: prime considerazioni, su www.altalex.it


Recommended