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V. Caminneci. M.C. Parello; M.S. Rizzo, I luoghi della tutela

Date post: 09-Feb-2023
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I Luoghi

della TutelaRicerca archeologica e fruizione

nel territorio agrigentino

Testi di:

Giuseppe Alongi, Valentina Caminneci, Angelo Di FrancoDomenica Gullì, Maria Concetta Parello, Maria Serena Rizzo

Cartografia a cura di:

Serena Sanzo

A cura di:

Valentina Caminneci

Regione SiCiliAnA

Assessorato dei Beni Culturali, Ambientali e della Pubblica IstruzioneDipartimento dei Beni Culturali, Ambientali ed Educazione Permanente

2007

Soprintendenza BB.CC.AA. Agrigento

Servizio per i Beni Archeologici

In copertina dall’alto verso il basso:

1. Castello di Poggio Diana. 2. Villa di Durrueli. Mosaico con Cariddi.3. Cannatello. Vaso biansato.4. Eraclea Minoa. Testa fittile femminile.5. Licata. Museo Badia.

Sul retro:

Monte Sant’Angelo di Licata. Sakkós aureo.

I luoghi della tutela : ricerca archeologica e fruizione nel territorio agrigenino / a cura di Valentina Caminneci ; testi di Giuseppe Alongi ... [et al.] ;cartografia a cura di Serena Sanzo. - Palermo : Regione Siciliana, Assessorato dei beni culturali, ambientali e della pubblica istruzione, Dipartimentodei beni culturali, ambientali e dell’educazione permanente, 2007.ISBN 978-88-88559-80-31. Zone archeologiche - Agrigento <prov.>. I. Caminneci, Valentina <1966>.II. Alongi, Giuseppe <1960>. III. Sanzo, Serena.

711.570945822 CDD-21 SBN Pal0209265

CIP - Biblioteca centrale della Regione Siciliana “Alberto Bombace”

LegendaLe schede sono distinte per colore a seconda della cronologia del sito.

� età preistorica

� età greca

� età romana

� età medievale

© Copyright 2007

È fatto divieto di riproduzione e utilizzazione senza autorizzazione della Soprintendenza ai Beni Culturali Ambientali di Agrigento.

Copia omaggio - Vietata la vendita.

7 MONTE S.ANGELO (Maria Concetta Parello)

8 La casa in età ellenistica (Maria Concetta Parello)

9 MADRE CHIESA (Domenica Gullì)

10 PIANO VENTO (Domenica Gullì)

11 MONTE GRANDE (Domenica Gullì)

12 L’approvvigionamento dello zolfo nel territorio agrigentino

nella preistoria (Domenica Gullì)

13 CIGNANA (Maria Serena Rizzo)

14 Il villaggio tardoantico (Maria Serena Rizzo)

15 CONTRADA CANALE (Valentina Caminneci)

16 Necropoli paleocristiane nel territorio agrigentino

(Valentina Caminneci)

17 IL CASTELLO DI NARO (Maria Serena Rizzo)

18 Il castello (Maria Serena Rizzo)

19 MONTE SARACENO DI RAVANUSA (Maria Concetta Parello)

20 Le necropoli di età greca (Maria Concetta Parello)

21 VITO SOLDANO (Maria Serena Rizzo)

22 La viabilità romana in Sicilia (Maria Serena Rizzo)

23 CONTRADA SARACENO (Valentina Caminneci)

24 La villa in età tardoantica (Valentina Caminneci)

25 CANNATELLO (Domenica Gullì)

26 I Micenei in Sicilia (Domenica Gullì)

27 DURRUELI (Maria Concetta Parello)

28 Gli edifici termali in età romana (Maria Concetta Parello)

29 ERACLEA MINOA (Domenica Gullì)

30 Il teatro greco (Domenica Gullì)

31 LOCALITÀ CAMPANAIO (Maria Serena Rizzo)

32 Produzione e commercio in età romana in Sicilia

(Valentina Caminneci)

33 MONTE DELLA GIUDECCA (Maria Serena Rizzo)

34 Le rivolte musulmane (Maria Serena Rizzo)

35 RAFFADALI (Domenica Gullì)

36 I sarcofagi romani di Raffadali e di Racalmuto

(Valentina Caminneci)

37 S.ANGELO MUXARO (Domenica Gullì)

38 Il mito di Kokalos (Domenica Gullì)

39 MONTE CASTELLO (Maria Serena Rizzo)

40 La ceramica medievale (Maria Serena Rizzo)

41 RIBERA (Domenica Gullì)

42 La tomba a tholos (Domenica Gullì)

43 IL CASTELLO DI POGGIO DIANA (Maria Serena Rizzo)

44 GRATTAVOLE (Valentina Caminneci)

45 S. ANNA DI CALTABELLOTTA (Valentina Caminneci)

46 Il Cristianesimo nel territorio Agrigentino (Valentina Caminneci)

47 SAN BENEDETTO DI CALTABELLOTTA (Maria Concetta Parello)

48 Contatti tra Greci e Indigeni (Maria Concetta Parello)

49 ROCCA NADORE (Valentina Caminneci)

50 Architettura militare in Sicilia nel IV sec. a.C.

(Valentina Caminneci)

51 CONTRADA TRANCHINA (Domenica Gullì)

52 La tomba a grotticella artificiale: la rivoluzione eneolitica

(Domenica Gullì)

53 CONTRADA S. GIORGIO (Domenica Gullì)

54 Il fenomeno megalitico in Sicilia (Domenica Gullì)

55 MONTE KRONIO (Domenica Gullì)

56 La grotta (Domenica Gullì)

57 MONTE ADRANONE (Valentina Caminneci)

58 Contatti tra Greci e Punici (Valentina Caminneci)

59 MONTAGNOLI (Domenica Gullì)

60 MONTEVAGO (Valentina Caminneci)

61 LAMPEDUSA (Maria Concetta Parello)

62 La lavorazione del pescato e la produzione di “garum” nel

mondo antico (Maria Concetta Parello)

63 MUSEO ARCHEOLOGICO “BADIA” (Angelo Di Franco)

64 MUSEO ARCHEOLOGICO “SALVATORE LAURICELLA”(Angelo Di Franco)

65 ANTIQUARIUM DI ERACLEA MINOA (Giuseppe Alongi)

66 ANTIQUARIUM “MONTE ADRANONE” (Giuseppe Alongi)

67 CARTA DEL TERRITORIO

69 Referenze fotografiche

Indice

.

La pubblicazione si rivolge ai docenti delle

scuole di ogni ordine e grado della provincia di

Agrigento, per stimolare una riflessione sui Beni

Culturali e nel contempo fornire uno strumento

valido alla programmazione di percorsi didattici

attraverso l’utilizzo di opportuni linguaggi e sus-

sidi.

Nella consapevolezza che la formazione del-

l’individuo si alimenta del contatto con il territo-

rio, la Soprintendenza ai BB. CC. AA. è chiama-

ta a svolgere un ruolo di forte impegno accanto

all’istituzione scolastica, tenuto conto che l’atti-

vità didattica rientra tra i compiti istituzionali

dell’Amministrazione Regionale.

Saper leggere le testimonianze del passato è

presupposto imprescindibile della nostra identità

ed i Beni Culturali sono le cifre simboliche in cui

è scritto il codice della nostra memoria.

Pertanto, la didattica dei beni culturali non

può essere affidata ad interventi episodici, super-

ficiali e generici, ma è momento essenziale

dell’Educazione Permanente, finalità istituziona-

le dell’Assessorato BB. CC. AA., che persegue un

rapporto corretto con il passato attraverso una

cosciente fruizione del patrimonio storico, unita

ad una responsabile azione di tutela.

D’altro canto le attuali prospettive della

scuola dell’autonomia assegnano una nuova

centralità al patrimonio culturale, attraverso

una riflessione sulla pedagogia del patrimonio

che consente di individuare obiettivi formativi

interdisciplinari. L’urgenza formativa del tema si

coniuga, poi, attraverso il partenariato, ai pro-

getti di collaborazione sistematica tra scuole ed

enti territoriali preposti alla tutela, al fine di ela-

borare nuovi percorsi in cui l’integrazione delle

diverse competenze possa tradurre in atti concre-

ti le mete educative.

IL SOPRINTENDENTEDott.ssa Gabriella Costantino

Premessa

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.

Il monte Sant’Angelo si trova immediatamentead Ovest della foce del Salso, l’antico Imera meri-dionale che, nell’antichità, ha costituito una delle viedi penetrazione più importanti verso l’interno ed hasegnato per lungo tempo il confine tra la parte occi-dentale e la parte orientale dell’isola. La ricerca ar-cheologica ha messo in luce un importante insedia-mento di età ellenistica in cui è stata riconosciuta Fin-ziade, fondazione del tiranno di Agrigento Finzia, del282 a. C. Secondo la notizia di Diodoro Siculo, in-fatti, il tiranno akragantino, approfittando del disor-dine creatosi nell’isola dopo la morte di Agatocle, neltentativo di costruire un proprio piccolo dominio, fadistruggere la città di Gela e ne deporta gli abitantinella città di nuova fondazione che dal suo nomechiamerà appunto Finziade. Gli scavi degli ultimianni hanno permesso di rintracciare lo schema urba-nistico della città, i cui isolati risultano inseriti in unamaglia urbana di tipo ortogonale con ampie strade,plateiai, intersecate da strade più strette e perpendi-colari, stenopoi, secondo un impianto scenografico a

distribuiti intorno ad un cortile nel quale si trova sem-pre una cisterna per l’acqua. Per qualcuna di questecase è stata documentata anche la presenza di un pianosuperiore. I pavimenti erano generalmente in calce eciottoli o in laterizi o in cocciopesto, mentre le pareti,ricoperte di stucco, erano spesso decorate da cornici

riccamente modanate. In una di queste case, durantegli scavi degli anni novanta è avvenuto l’eccezionaleritrovamento di un tesoretto contenente diversi gioielliin oro, tra cui alcuni bracciali, un anello ed un sakkòs,ovvero un medaglione con testa di Medusa a rilievocon doppia catena a maglie mobili di pregevolissimafattura ed oltre quattrocento monete d’argento. L’in-sediamento ebbe due fasi edilizie, la prima, contem-poranea alla fondazione, presentava un impianto constrade e case che si adattavano all’orografia del ter-reno, la seconda, caratterizzata dall’impianto urbani-stico regolare di cui abbiamo parlato, che sembra es-sere posteriore alla seconda guerra punica, quando laSicilia entra a far parte dei territori controllati daRoma. La ricchezza espressa dalle abitazioni sembre-rebbe legata ad un cambiamento della funzione del sitodi Finziade che, esaurito il suo ruolo di avamposto po-litico-militare, si trasforma in un importante centrocommerciale con funzione di snodo nel commerciodei prodotti agricoli provenienti dai latifondi dell’in-terno dell’isola verso Roma. La distruzione ed il suc-cessivo abbandono del sito si possano collocare du-rante la prima età imperiale.

Monte S. Angelo

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Le ricerche archeologiche nel sito da parte della Soprintendenza BB. CC.AA. di Agrigento sono iniziate negli anni ‘80 del secolo scorso quando èstata esplorata un’area vicino al castello in cui si sono rinvenuti dei vanidi abitazione di età ellenistica in parte scavati nella roccia. Negli anni ‘88e ‘89 due campagne di scavo in via Santa Maria hanno rimesso in luce unampio settore di abitato. Altri interventi, effettuati nel 1994 e nel 1998 lungoil pendio sud del monte hanno permesso di rimettere in luce un’importantecasa all’interno della quale è stato trovato il tesoretto di gioielli e monete.Le ultime campagne di scavo, svolte negli anni dal 2003 al 2005, finanziatecon fondi P.O.R. ed affidate dalla Soprintendenza all’Università degli Studidi Messina, hanno messo in luce numerose abitazioni inserite in un sistemaurbanistico regolare. L’area archeologica è aperta al pubblico.

Per saperne di più: A. DE MIRO, I risultati condotti a Licata negli ultimi anni, in Licata tra Gela e Finziada. Atti del seminario distudi per la valorizzazione storica ed archeologica di Licata e del suo territorio. Licata 2004, Ragusa 2005; G.F. LA TORRE, I recenti

scavi sul Monte S. Angelo di Licata, in Licata tra Gela e Finziada. Atti del seminario di studi per la valorizzazione storica ed archeo-logica di Licata e del suo territorio, Licata 2004, Ragusa 2005; G.F. LA TORRE, Urbanistica e architettura ellenistica a Tindari, Era-

clea Minoa e Finziade: nuovi dati e prospettive di ricerca, in M. OSANNA, M. TORELLI (a cura di) Sicilia ellenistica, consietudo Ita-

lica. Alle origini dell’architettura ellenistica d’occidente. Spoleto 2004, Roma 2006.

terrazze tipico delle città ellenistiche e databile tra lafine del III e gli inizi del II sec. a.C. Non si conosconoancora le aree pubbliche della città, ma si hanno con-sistenti indicazioni riguardo l’architettura domestica.

Le numerose case messe in luce nel settore di abi-tato disposto lungo le pendici meridionali del monteinfatti hanno caratteristiche abbastanza uniformi. Apianta quadrangolare, presentano in genere una decinadi vani, di cui in alcuni casi è stata definita la funzione,

Durante l’età ellenistica, mentre continua la tra-dizione architettonica della casa con cortile centrale eportico (pastàs) su uno o due lati, propria dell’età grecaarcaica e classica, si afferma la casa a peristilio, la cuipianta si svolge intorno ad un porticato sui quattro latidi uno spazio centrale aperto che poteva essere desti-nato a giardino. Questo modello architettonico, desti-nato ad una fascia di popolazione medio-alta, si af-ferma in Grecia a partire dal IV sec. a. C. e, proprio du-rante l’età ellenistica, viene esportato anche in Siciliadove rimane in uso per lungo tempo. Anche nel pe-riodo della dominazione romana dell’isola, infatti, allacasa con atrio centrale, di tradizione italica, viene pre-ferita la casa a peristilio, così come ampiamente docu-mentato in molti siti dell’isola.

A Megara Hyblaea, Tindari, Solunto, Segesta,Monte Iato, Agrigento, infatti, inserite in rigidi im-pianti urbanistici di tipo ortogonale, risultano ampia-mente documentate le case con peristilio centrale. Se-condo gli studiosi sembra che le piante di questo tipodi abitazione siano state elaborate nel regno siracusanoa partire dal tardo IV sec. a. C. e, soprattutto, nel III,come confermerebbero sia i quartieri residenziali diMorgantina, precedenti la conquista romana dell’isola,sia le grandi case ellenistiche di Megara Hyblaea. Nella

casa a peristilio, tra gli ambienti che si aprono verso lospazio centrale, assume particolare importanza il piùgrande, spesso enfatizzato anche attraverso prospettiarchitettonici, rivestimenti parietali e pavimenti di pre-gio. Questo ambiente, che normalmente assume la fun-zione di ambiente di soggiorno, nelle case più riccheviene definito andròn ed è utilizzato come sala di ri-cevimento.

Intorno a questo ambiente principale ed allo spa-zio aperto, considerate le parti costitutive essenzialidella casa, si raggruppano numerosi altri vani con fun-zioni e dimensioni diverse, tra questi, cubicula, ovverocamere da letto, ambienti di servizio e a volte bagniprivati. In una casa di Finziade è stato individuato unvano a pianta quadrata destinato ai culti domestici.

Non mancano esempi di case con doppio peristi-lio (Monte Iato, Morgantina) o di peristili a due piani(Monte Iato, Solunto, Tindari), e di case sia con peri-stilio che con atrio (Lilibeo, Agrigento, Tindari), cherisentono dell’influenza di tradizioni architettonicheitaliche e si diffondono nell’isola dopo la conquista ro-mana.

La casa a peristilio, senza cambiamenti sostan-ziali nella pianta, rimane in uso fino al II-III sec. d. C.A partire dall’ età medio-imperiale le case più ricche esontuose si presentano arricchite da complessi termalie da ricchi arredi musivi (Agrigento, Lilibeo, TerminiImerese, Catania, Siracusa, Palermo). Nello stesso pe-riodo si diffondono le ville e non è chiaro fino a quandorimane appetibile, per le élites locali, la residenza ur-bana di lusso. Qualche esempio di ricca casa urbana diIV sec. d. C. si ha a Siracusa.

Un duro colpo alla vita nelle città sembra esserestato causato dalle invasioni vandaliche quando la po-polazione si sposta verso le campagne.

La casa in età ellenistica

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Per saperne di più: W. B. DINSMOOR, The Architecture of ancient Greece, London 1975; H. LAUTER, L’architettura dell’ellenismo,

Milano 1999; L. C. NEVETT, House and Society in the Ancient Greek World, Cambridge, 1999; E. C. PORTALE, S. ANGIOLILLO, C.VISMARA, Le grandi isole del Mediterraneo occidentale. Sicilia Sardinia Corsica, Roma 2005; M. OSANNA, M. TORELLI (a cura di)Sicilia ellenistica, consietudo Italica. Alle origini dell’architettura ellenistica d’occidente. Spoleto 2004, Roma 2006.

Monte Iato. Abitazione di età ellenistica

Morgantina. Abitazione di età ellenistica

L’insediamento di Madre Chiesa si trova a SE diLicata, a quattro km dall’approdo costiero di Torre diGaffe. L’importanza del sito è nota sin dal 1979quando, sulla scorta di rinvenimenti fortuiti, venneroeseguiti dei saggi di scavo che consentirono l’indivi-duazione di un lembo di abitato collocabile tra l’An-tico e il Medio Bronzo.

Le cinque campagne di scavo che seguirono, frail 1986 e il 1993, hanno permesso di definire l’orga-nizzazione dell’abitato, costituito da capanne circolaricon diametro medio di m 4.50/5.00, alcune delle qualicon banchina interna, che fanno supporre una organiz-zazione di tipo monofamiliare. Alcune capanne sonoinserite entro un grande recinto, che determina pertantouna particolare unità abitativa, certamente privilegiataall’interno del villaggio.

In alcuni settori si è riscontrata una sovrapposi-zione fra le capanne thapsiane su quelle castellucciane

a testimonianza di una lunga continuità di vita in cuisi coglie anche una chiara fase di contatto fra la cul-tura castellucciana e la cultura thapsiana.

Lo scavo stratigrafico ha fornito dati cronologicimolto importanti per la datazione delle fasi finalidella cultura castellucciana grazie al rinvenimento inlivelli tardo-castellucciani, di un frammento miceneodatabile alla fine del XV sec. a.C., che viene pertantoa costituire anche un preciso terminus post quem perl’inizio della cultura di Thapsos, cui si riferiscono lecapanne circolari che si sovrappogono a quelle castel-lucciane.

Lo scavo dell’insediamento di Madre Chiesa as-sume pertanto una particolare importanza nel quadroculturale del Medio Bronzo in Sicilia in quanto vienedocumentato con chiarezza il momento di passaggiofra la cultura castellucciana e quella thapsiana con ag-ganci cronologici sicuri, forniti dai frammenti ceramicidi importazione egea.

Madre Chiesa

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Per saperne di più: G. CASTELLANA, L’insediamento del Medio Bronzo di Madre Chiesa nel territorio di Licata, Atti Convegno Sto-ria e Archeologia della Media e Bassa valle dell’Himera. III Giornata di Studi sull’archeologia Licatese, Palermo 1993, pp. 53-62;G. CASTELLANA, La cultura del medio bronzo nell’agrigentino ed i rapporti con il mondo miceneo, Agrigento 2000, pp. 66-132.

Il sito archeologico è espropriato.

Ricostruzione capanna 1.

Museo di Licata.

Madre Chiesa.

Vaso su

alto piede.

La collina di Piano Vento si erge a monte deltratto di costa compreso tra il castello chiaramontanodi Palma di Montechiaro e Monte Grande-PuntaBianca.

Le prime concrete testimonianze archeologiche sidocumentarono nel 1981, quando brevi saggi di scavopermisero di portare in luce lembi di capanne colloca-bili nell’ambito del neolitico, come documenta la cera-mica del tipo a decorazione impressa di tipo arcaico(unghiate, pizzicate, a coffee grains, a rocher) riferibilial neolitico antico, e di tipo più evoluto con impressionicon punzoni di vario tipo, riferibili alla cultura di Sten-tinello del neolitico medio. Frammenti dello stileS.Cono Piano Notaro indicarono chiaramente una fre-quentazione anche durante l’età del Rame.

Le campagne di scavo successive, del 1983 e del1984 permisero di documentare una chiara stratigrafiache scandiva cinque fasi di vita dal neolitico antico finoal neolitico medio a ceramiche dipinte cui attiene la ca-panna 3, inserita entro un muro di recinto rettilineo, aprobabile scopo difensivo. La frequentazione nell’areasembra diradarsi durante il neolitico finale caratteriz-zato dalle ceramiche rosse coralline della facies diDiana e torna ad essere occupato, alla fine dell’età neo-litica con grande intensità, cambiando la sua destina-zione diventando luogo di necropoli.

Lo scavo, del 1983 e 1984 permise di documen-tare, per la prima volta, una tipologia tombale in evi-dente evoluzione dal tipo a fossa semplice, caratteri-stico del neolitico, a quello ipogeico, che caratterizzainvece la tipologia sepolcrale dell’eneolitico.

Tale momento di passaggio è provato anche dallacaratteristica ceramica, a superficie grigia a fascie ex-cise dipinte a base d’ocra, che precisi riferimenti stra-tigrafici hanno permesso di datare ad una fase di pas-saggio, quasi di transizione, fra il neolitico finale el’eneolitico. Importantissimi gli elementi emersi a li-vello del rituale funerario con la documentazione delrito del seppellimento secondario consistente nella se-poltura di ossa già scarnificate, in genere ordinata-mente disposte all’interno della cella. Dato di estremointeresse è il rinvenimento di undici fossette all’esternodella tomba dove venivano deposti oggetti di corredo,

chiaro segno di cerimonie sacrificali svolte in onoredei morti. Piano Vento rappresenta pertanto un sitochiave della preistoria mediterranea, per la conoscenzadi quel lungo e variegato periodo culturale che dalNeolitico antico (VII-VI millennio a.C.) giunge finoalle soglie dell’Eneolitico iniziale (fine IV-III millen-nio a.C.).

Piano Vento

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Per saperne di più: G. CASTELLANA, La necropoli protoeneolitica di Piano Vento nel territorio di Palma di Montechiaro, Agrigento1995.

Il sito archeologico è espropriato.

Planimetria tomba

con selezione delle ossa

Ricostruzione grafica di una delle capanne

Planimetria e sezione tomba a grotticella

come un sistema organico aggregantesi in-torno ad un grande recinto centrale con ilquale gli altri recinti comunicano mediantedei passaggi. Questo ha fatto supporre cheil grande santuario fosse il luogo di cultonon di una singola comunità ma un santua-rio federale di tanti villaggi.

Si sono rinvenuti numerosi idoletti fit-tili e l’eccezionale modellino di capanna-tempietto interpretato come la trasposizionedi una danza rituale in circolo di quattroideoletti intorno ad un idolo centrale.

Monte Grande con il grande santuarioe le officine annesse finalizzate alla fusionedello zolfo, nell’ambito della cultura di Ca-stelluccio, rappresentò un centro di fonda-mentale importanza per gli intensi rapportimercantili a livello panmediterraneo nelXVI e XV sec. a.C., come dimostrato dallanumerosissima ceramica egea rinvenuta.

I dati stratigrafici indicano che il san-tuario e le fornaci annesse furono abbando-nate nel XV sec. a.C.

Monte Grande

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Per saperne di più: G.CASTELLANA, Il santuario castellucciano di Monte Grande e l’approvvigionamento dello zolfo nel Mediterra-

neo nell’età del Bronzo, Agrigento 1998.

Il sito è stato sottoposto a vincolo archeologico ed esproprio.

Modellino fittile

di capanna-tempietto

Il sito di Monte Grande, al confine fra Agrigentoe Palma di Montechiaro, dopo circa un decennio discavi e ricerche promosse dalla Soprintendenza diAgrigento e dirette da Giuseppe Castellana, si imponecome uno dei siti certamente più importanti nell’am-bito della preistoria siciliana e mediterranea.

In località Baffo Superiore si è rinvenuto un com-plesso di recinti interpretato come un grande santuarioconsacrato al culto della fertilità e della prosperità, da-tato, in base ai materiali rinvenuti, indigeni ed egei, alXVI sec. a.C.

Connesse ai recinti erano fornaci per la fusionedello zolfo, rinvenimento davvero straordinario checonferma la pratica della fusione dello zolfo già nel-l’Antica età del Bronzo. Questa scoperta costituisce laprima conferma archeologica all’ipotesi della ricercae del commercio dello zolfo nella regione agrigentinasin dalla preistoria. I numerosi ed eccezionali materialivotivi rinvenuti in un’area vastissima, indicano che irecinti costituivano un grande santuario concepito

La prima conferma archeologica all’ipotesi dellaricerca e del commercio dello zolfo nella regione agri-gentina prima del periodo romano, è costituita dalleeclatanti scoperte di Monte Grande di Palma di Mon-techiaro dove, connesse ai grandi recinti circolari,erano delle fornaci per la fusione dello zolfo, ad oggiun unicum nel contesto della preistoria del Mediterra-neo. Poco distante dalla fornace, in uno strato castel-lucciano sigillato da uno strato di rosticcio fine dizolfo, si è rinvenuto, oltre alla ceramica castelluccianae frammenti egei, un panetto di zolfo fuso di formatronco piramidale con basepiana e pareti oblique, co-stituito da zolfo puro al100%. Un frammento diun panetto simile si è rin-venuto recentemente suMonte Roveto a Castelter-mini, rinvenimento checonferma la pratica delconfezionamento dellozolfo fuso in panetti.

L’associazione deimateriali egei con le traccedelle strutture destinatealla fusione dello zolfo aMonte Grande, indicano

L’approvvigionamento dello zolfo

nel territorio agrigentino nella preistoria

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Per saperne di più: C. GIARDINO, Resti castellucciani di lavorazione dello zolfo a Monte Grande: indagini archeometriche, in G. CA-STELLANA, Il santuario castellucciano di Monte Grande e l’approvvigionamento dello zolfo nel Mediterraneo nell’età del Bronzo,

Agrigento 1998, pp. 408-427.

Panetto di zolfo da strati dell’antica età del bronzo

che lo zolfo, di cui si conoscono i molteplici usi nelmondo antico, dall’ambito farmacologico a quello cul-tuale, fu oggetto di traffici transmarini per la sua ri-cerca e approvvigionamento, e quindi elemento impor-tante nell’economia della Sicilia centro-meridionalegià in questa fase della preistoria.

Le indagini archeometriche condotte sui mate-riali rinvenuti a Monte Grande, indicano che la tecnicadella fusione dello zolfo nel forno denominato calca-rone non sia una tecnica moderna ma utilizzata almenodall’Antica età del Bronzo.

Ricostruzione di una fornace a canaletta

Ricostruzione di una fornace-calcarone a Monte Grande

scavo, da una serie di simili edifici,composti da uno o, al massimo, dueambienti contigui, non inseriti in untessuto urbanistico regolare e sepa-rati da ampi spazi probabilmente dicarattere pubblico.

Sulla pendice che fronteggiaad est il sito, e da esso separato daun profondo vallone, si trova uncomplesso catacombale, riferibileal villaggio tardoantico: esso è for-mato da nove ipogei, con tombe di-sposte ai lati o di un corridoio o diuna sorta di atrio centrale.

Cignana

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Per saperne di più: G. CAPUTO, Catacombe presso Palma di Montechiaro in contrada Cignana, Notizie Scavi e Antichità 1931, pp.405-408; R.M. BONACASA CARRA (a cura di), Agrigento paleocristiana, Zona Archeologica e Antiquarium, Palermo 1987, pp. 22-24;G. FIORENTINI, in Attività di indagini archeologiche della Soprintendenza Beni Culturali e Ambientali di Agrigento, Kokalos XXXIX-XL, 1993-1994, pp. 717-733.

Sul sito la Soprintendenza BB.CC.AA ha condotto tre diverse campa-gne di scavo, nel 1990, 1992 e 2006. L’area dell’abitato è stata espro-priata, mentre la necropoli è sottoposta a vincolo archeologico.

A sinistra: Cignana. Il villaggio.

Sotto: Cignana. Planimetria degli ipogei paleo-

cristiani

Il toponimo Cignana si estende ad una vasta con-trada ad Ovest dell’attuale centro abitato di Palma diMontechiaro, costituita da un fertile altopiano, la Pianadi Cignana, e dalle sue pendici meridionali. Il topo-nimo, di origine latina, potrebbe riferirsi all’antico pro-prietario del fondo o derivare dal nome di una statio

posta lungo la strada romana Siracusa-Agrigento.Sulla pendice meridionale dell’altopiano è stata

scavata parte di una villa, cui era annesso un piccoloedificio termale. Di quest’ultimo sono stati messi inluce alcuni ambienti, riscaldati grazie ad una fornace,dotati di ipocausti e di tubuli applicati alle pareti, neiquali venivano convogliati i vapori caldi. Un vano adessi contiguo, probabilmente non riscaldato, aveva pa-vimento a mosaico monocromo bianco, nel quale erainserito un riquadro figurato in bianco e nero con sog-getto marino. Le caratteristiche tecniche ed iconogra-fiche del mosaico ed i reperti rinvenuti negli strati dicrollo della villa concordano nel datare ad un periodocompreso tra la seconda metà del II secolo ed i primidecenni del III la costruzione e l’uso dell’edificio.

Alla villa si sovrapposero, forse già a partire dallaseconda metà del IV secolo, alcuni ambienti rettango-lari, parte di un ampio villaggio che si estende su unavasta area, costituito, stando ai dati finora emersi dallo

I caratteri dell’insediamento rurale tardoantico inSicilia sono ancor oggi poco noti, poiché rimangonoin numero esiguo gli scavi che abbiano indagato inmodo completo abitati di questo periodo e che sianostati integralmente pubblicati. A delineare le dinami-che del popolamento tardoantico sono state piuttostole ricerche di superficie, che hanno mostrato come, nelcorso dell’età imperiale, nelle campagne siciliane de-clini l’insediamento sparso in fattorie isolate a favoredi più ampi abitati accentrati. Tale fenomeno, connessoforse con lo sviluppo del latifondo, sembra accentuarsinel periodo tardoantico, probabilmente a partire dal IVsecolo, anche se esso non comporta la scomparsa dellafattoria isolata, ancora attestata nella piena età bizan-tina dall’epistolario di Gregorio Magno, papa dal 590al 604.

Tra i villaggi tardoantichi quelli meglio conosciutisono il villaggio di contrada Campanaio, in territorio diMontallegro (AG) e quello di Punta Secca, sulla costa

ragusana. Il primo è costituito da una serie di abitazioniinserite in isolati regolari, separati da strade ortogonali;il secondo, invece, è caratterizzato da edifici con piantediversificate, alcuni composti da pochi ambienti rettan-golari, altri più complessi, in qualche caso con cortileabsidato e scala per accedere ad un piano superiore,sparsi in un’ampia area, senza una organizzazione ap-parente. Tra gli edifici è stata riconosciuta una chiesettaa tre navate, con pavimentazione a mosaico policromo,intorno alla quale si aggregano alcune delle abitazioni.Nei villaggi dovevano trovare posto anche diverse at-tività produttive: è documentata, tra l’altro, la presenzadi frantoi, di fornaci per la produzione di tegole, di sco-rie della lavorazione del ferro.

Nell’insediamento di Punta Secca si è propostodi riconoscere l’approdo di Kaukana, noto dalle cro-nache della guerra greco-gotica di Procopio, che lo de-finisce choríon, termine utilizzato dai documenti bi-zantini per indicare il villaggio.

Il villaggio tardoantico

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Per saperne di più: O. BELVEDERE, Organizzazione fondiaria e insediamenti nella Sicilia di età imperiale, in XLIII Corso di Culturasull’Arte Ravennate e Bizantina, Ravenna 1998, pp. 33-59; V. RECCHIA, Gregorio Magno e la società agricola, Roma 1978, pp. 323-353; G. DI STEFANO, Il villaggio bizantino di Kaukana. Spazi urbani, monumenti pubblici ed edilizia privata, in R.M. CARRA BONA-CASA (a cura di), Byzantino-Sicula IV. Atti del I Congresso Internazionale di Archeologia della Sicilia bizantina, Palermo 2002, pp.173-190; R.J.A. WILSON, Rural life in Roman Sicily: excavation at Castagna and Campanaio, in R. J. A.WILSON (a cura di), From

River Trent to Raqqa. Nottingham University archaeological fieldwork in Britain, Europe and the Middle East, 1991-1995, Notthin-gam 1996, pp. 24-41.

Punta Secca. Il villaggio tardoantico.

Indagini di superficie hanno accertato in diversipunti del vasto territorio di Naro testimonianze archeo-logiche, che costituiscono una valida base di partenzaper future ricerche indirizzate a delineare i caratteri delpopolamento dell’area nel periodo antico.

Sono stati individuati e vincolati una necropolipreistorica nella c.da Furore –Savoia e strutture ipo-geiche tardoromane in località Donna Ligaria e Co-perta, mentre in Contrada Paradiso, alcuni saggi con-dotti nel 1978 dalla Prof.ssa Maria Rosaria LaLomia, a cui si devono anche le prime indagini negliipogei di contrada Canale, hanno messo in luce al-cune strutture murarie riferibili ad ambienti, la cuidatazione, come si desume dai rinvenimenti cera-mici, si attesterebbe tra il II e il V sec. d.C. E’ pro-babile si tratti dei resti di una fattoria o di una pic-cola villa, come dimostrerebbero gli elementi archi-

tettonici recuperati. La contrada, ricca di acque e di sorgenti naturali,

compresa tra due ridenti colline, secondo gli scopri-tori, ricorderebbe nel nome il paradeisos, cioè il qua-driportico con il kantharos per le abluzioni antistantealle basiliche paleocristiane: una vecchia voce popo-lare vorrebbe qui una Chiesa del Paradiso, di cui perònull’altro sappiamo.

Degli ipogei di contrada Canale, il più noto, co-nosciuto come “Grotta delle Meraviglie”, presenta uncorridoio lungo 20 m, e ai lati quattordici nicchie, giu-stapposte in gruppi di sette, con tombe a forma.

Dall’ipogeo B provengono lucerne africane, deco-rate sul disco con simboli propri del culto cristiano:l’agnello, l’albero della vita, il pesce guizzante. Per la re-golarità e l’organicità delle piante dei singoli ipogei si ri-tiene che l’intero cimitero derivi da un progetto unitario.

Contrada Canale

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Per saperne di più: M. R. LA LOMIA, Ricerche archeologiche nel territorio di Naro (AG). Esplorazione e scavo di ipogei paleocri-stiani in c.da Canale e saggio di scavo in c.da Paradiso, in AA.VV., Complessi catacombali nei territori di Naro, Gela e Agrigento,Kokalos XXXII, 1986, pp. 333-361; R.M. BONACASA CARRA (a cura di), Agrigento paleocristiana. Zona archeologica e Antiquarium,Palermo 1987, pp. 16-19.

L’area di Contrada Canale, espropriata, è re-cintata e visitabile: recentemente sono statecondotte indagini a cura della Prof.ssa R.M.Bonacasa Carra su incarico della Soprinten-denza di Agrigento nell’ambito di un progettodi valorizzazione e di fruizione con fondi eu-ropei. Nei pressi, in un casale ristrutturato, èstato di recente allestito un antiquarium docu-mentario.

Naro, Contrada Paradiso

manina in terracotta

Contrada Canale.

Ipogei A e B.

La ricerca sulle testimonianze paleocristiane nelterritorio di Agrigento è ancora agli albori: le indaginiarcheologiche negli ultimi anni sono state, infatti, con-centrate sulla città, dove gli scavi diretti dalla Prof.ssaR.M.Bonacasa Carra, a partire dalla metà degli anni’80, su incarico della Soprintendenza BB.CC.AA.,hanno messo in luce un lembo cospicuo di necropolisub divo e complessi ipogeici. I nuovi dati hanno per-messo di integrare, con considerazioni di carattere sto-rico-topografico, gli studi di Fuehrer e di Mercurelli suAgrigento paleocristiana.

Sono noti nel territorio numerosi complessi fune-rari, solo in parte vincolati, che sono di seguito eviden-ziati in una carta archeologica preliminare. Le prospet-tive di ricerca preannunciano esiti interessanti: dallastoria del popolamento, alle dinamiche dell’insedia-mento e alla viabilità.

Generalmente si tratta di arcosoli ad uno o più lo-culi, o di ipogei scavati nella roccia, dalla pianta più omeno complessa e articolata, ai lati di un corridoio cen-trale, in nicchie con tombe rettangolari cosiddette “aforma”. In molti casi le sepolture riutilizzano tombe agrotticella dell’età del bronzo. Manca però per moltidi essi la documentazione grafica della pianta, utileanche a ricostruire una classificazione tipologica ec-cetto per i complessi cata-combali di contrada Ca-nale e di Cignana nel ter-ritorio di Naro, di RoccaStefano di Favara, di Ca-salicchio Agnone di Li-cata.

Necropoli paleocristiane

nel territorio agrigentino

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Per saperne di più: E. DE

MIRO, Ricerche e valoriz-zazione dei monumentipaleocristiani e bizantiniin Agrigento e nel territo-rio, Kokalos XXXII-XXXIII, 1986-1987, pp.285-296; R.M. BONA-CASA CARRA (a cura di),Agrigento paleocristiana.Zona archeologica e An-tiquarium, Palermo 1987,pp. 13-15, 22-26.

Carta delle principali necropoli

sottoposte a provvedimenti di

tutela.

Le notizie storiche più antiche, relative al centroabitato di Naro, sono quelle fornite da Malaterra, chelo cita tra i castelli musulmani prossimi alla città diAgrigento, costretti alla resa dal conte Ruggero nel1086: grazie al cenno di Malaterra apprendiamo dun-que che Naro era già popolato in età islamica e che eraun castrum, cioè un centro fortificato. In età normanna,tuttavia, Idrisi lo menziona soltanto come “grosso vil-laggio”, sede di mercati e di “industrie attive”. SottoFederico III Naro è citato come “terra”, cioè villaggiofortificato, in possesso di Pietro Lancia. Intorno al1355 Naro, terra cum castro, era già probabilmentenelle mani dei Chiaromonte, e lo è ancora nel 1374-75,quando viene menzionata tra le terre di Manfredi Chia-romonte che versano il sussidio al nunzio apostolicoper la revoca dell’interdetto papale.

Il castello, nell’aspetto attuale, non risulta facil-mente databile, anche a causa dei numerosi rifacimentie riutilizzazioni susseguitesi fino a tempi recentissimi.Sul piano stilistico si può comunque certamente asse-gnare all’età chiaramontana la cosiddetta torre qua-drata, almeno nell’aspetto che essa ha attualmente: si

tratta di una sorta di dongione a due piani, ciascuno deiquali è occupato da un unico ambiente, che si innalzaall’angolo nord-orientale della cinta esterna del ca-stello; gli elementi decorativi e formali del primo pianoappaiono tipici dell’architettura chiaramontana. Tutta-via, sembra che si possano riconoscere almeno due di-versi momenti nella costruzione della torre ed ipotiz-zare l’esistenza dell’edificio già in una fase precedente,che potrebbe forse essere attribuita a Federico IIId’Aragona; anche negli altri ambienti dell’ala orien-tale del castello sembra si possano riconoscere almenodue diverse fasi costruttive.

Lo scavo archeologico, effettuato in occasione deilavori di restauro, non ha chiarito la storia costruttivadell’edificio: esso ha tuttavia potuto dimostrare chel’area era utilizzata già almeno intorno alla metà delXIII secolo, come è documentato da uno scarico, sca-vato all’esterno del castello, contenente ceramiche dietà federiciana. Pochi frammenti, inoltre, anch’essi rin-venuti nell’area esterna alla cinta dell’edificio, docu-mentano la frequentazione del sito almeno a partiredall’età normanna.

Il castello di Naro

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Per saperne di più: F. MILITELLO, R. SANTORO, Castelli di Sicilia. Città e fortificazioni, Palermo 2006.

Il castello, di proprietà comu-nale, ha subito numerosi re-stauri e rifacimenti nel corsodella sua storia. L’ultimo è stato realizzato dalServizio per i Beni Architetto-nici della Soprintendenza diAgrigento nel 2002-2003; inquesta occasione è stata effet-tuata una campagna di scaviarcheologici. Il castello è oggiaperto al pubblico.

Favara. Il castello

Il castello rappresenta uno degli elementi più ca-ratteristici del paesaggio insediativo medievale. In Sici-lia l’insediamento d’altura, con finalità essenzialmentedifensive, fa la sua comparsa probabilmente già in etàbizantina, nel momento in cui si moltiplicano e si fannopiù pericolosi gli assalti musulmani dalle coste del-l’Africa settentrionale. Sembra essersi delineata allorala strategia difensiva messa in campo dai bizantini, che,secondo la testimonianza dello storico arabo Ibn al Athir,“munirono le castella ed i fortalizii ed incominciaronoa far girare ogni anno nella stagione propizia intorno allaSicilia delle navi che la difendevano”. Molte delle for-tezze bizantine dovevano disporsi a controllo delle prin-cipali vie fluviali, per tentare di impedire la penetrazionenemica dalla costa verso l’entroterra.

Le linee essenziali del sistema difensivo stabiliteforse già in età bizantina rimangono valide anche neisecoli successivi: la maggior parte delle fortezze citatedalle cronache della conquista araba sono anche quelleintorno alle quali si svolgeranno le fasi più significa-tive della guerra di conquista normanna e che sarannoancora utilizzate e ulteriormente fortificate sotto inuovi dominatori.

Nascono inoltre con gli Altavilla i primi castellifeudali, mentre, nella Sicilia occidentale, soprattuttonella valle del Belice e del Platani, alcune delle antiche

fortezze diven-gono, dopo lametà del XII se-colo, rifugio deimusulmani infuga dalle stragidei Lombardi e,s u c c e s s i v a -mente, rocca-forti delle insur-rezioni islami-che contro Fede-rico II.

Negli ul-timi decenni, gli

scavi archeologici hanno messo in luce, soprattuttonella Sicilia occidentale, una importante documenta-zione sulle fortezze di età normanna. Esse erano spessoconnesse con un abitato, un casale, che sovrastavanoe proteggevano, secondo una relazione tra hisn e rahal

che è documentata anche da Idrisi. In molti dei casi fi-nora noti ricorre, all’interno di una cinta muraria diforma irregolare, che si adatta alla morfologia del ter-reno, l’associazione di un palazzo e di una cappella.

Sotto Federico II vengono costruiti, per iniziativaesclusivamente imperiale, un gran numero di castellicon caratteristiche unitarie, che rappresentano una no-vità di grande portata rispetto alle precedenti esperienzesviluppate in Sicilia. Accogliendo probabilmente espe-rienze e impulsi diversi provenienti sia dall’Europa oc-cidentale che dall’Oriente delle Crociate, ed in partico-lare dagli edifici costruiti dagli ordini militari in Terra-santa, l’architettura federiciana sviluppa un proprio tipooriginale di edificio castrale, ampiamente e precoce-mente documentato nella Sicilia orientale.

Nel corso del ‘300 si assiste invece nell’isola almoltiplicarsi dei castelli di origine feudale, in conco-mitanza con il consolidarsi delle tendenze autonomi-stiche delle grandi famiglie baronali e con l’inasprirsidello scontro all’interno dell’aristocrazia isolana e conla Corona aragonese. I castelli trecenteschi, in molticasi disposti a controllo delle principali vie di comu-nicazione, lungo le quali i prodotti agricoli, ed il fru-mento in particolare, raggiungevano dall’entroterra lecittà e i porti, avevano insieme una funzione di difesadel feudo ed una di rappresentazione simbolica dellapresenza della famiglia nobiliare sul territorio. Sulpiano architettonico si osservano edifici imponenti ecurati nei loro aspetti costruttivi e decorativi, accantoad esempi estremamente poveri e provinciali, in alcunicasi quasi impossibili da riconoscere sul terreno.

Il castello

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Mussomeli. Il castello

Per saperne di più: F. MAURICI, Castelli medievali in Sicilia. Dai bizantini ai normanni, Palermo 1992; R. SANTORO, La Sicilia deicastelli. La difesa dell’isola dal VI al XVIII secolo, storia e architettura, Palermo 1985; F. MILITELLO, R. SANTORO, Castelli di Sici-lia. Città e fortificazioni, Palermo 2006.

Posto lungo la valle dell’Imera me-ridionale, oggi Salso, importante via dipenetrazione dalla costa meridionaleverso l’interno dell’isola, il sito, che sisviluppa sulla parte sommitale del montee lungo il versante meridionale, ha avutouna continuità di vita dall’età preistoricasino al III sec. a.C. Le tracce più antichedi occupazione sono state scoperte sullaparte sommitale dove, oltre a pochi fram-menti di ceramica dell’età del Rame e delBronzo Antico, è stata individuata unapresenza abbastanza consistente di mate-riali del Bronzo Medio pertinenti alla fa-

cies di Thapsos. Nella stessa area sonostati individuati i resti di tre capanne cir-colari pertinenti ad un villaggio indigenosicano, che vive tra la fine dell’VIII e la metà del VIIsec. a.C., i cui materiali rientrano nell’orizzonte cultu-rale di S. Angelo Muxaro-Polizzello. Immediatamentedopo, sui resti del villaggio distrutto si impianta unnuovo insediamento con case a pianta rettilinea che si

estende anche sul cosiddetto terrazzo superiore. La vitadel villaggio si chiude nel secondo venticinquennio delVI sec. a.C. quando il centro viene ricostruito secondoun’articolata organizzazione dello spazio che prevede

l’impianto di una maglia urbanistica regolare, la co-struzione di una cinta muraria, la definizione di spazicultuali e di necropoli. Questa nuova fase di vita del-l’abitato, che si conclude nel terzo venticinquennio delV sec. a.C. rappresenta il momento di massima espan-sione del centro, che si estende, oltre che sul terrazzosuperiore, anche sul cosiddetto terrazzo inferiore, e chepresenta moltissimi elementi propri della cultura greca.Secondo alcuni studiosi la fioritura del sito può esseremessa in rapporto con la presenza stanziale di un nu-cleo di greci a Monte Saraceno, altri invece pensano adei processi di “acculturazione” che portarono le po-polazioni indigene ad assumere modi di vita ed abitu-dini proprie del mondo greco. Durante il secondo ven-ticinquennio del V sec. a.C., quando viene abbando-nato l’abitato del terrazzo inferiore, comincia per il sitouna fase di decadenza. Alla fine del V secolo il sito as-sume un ruolo di carattere militare nell’ambito dellapolitica di Dionisio I, tiranno di Siracusa; a questo pe-riodo risale una nuova sistemazione delle strutture delpianoro sommitale e del terrazzo inferiore e la costru-zione di una nuova cinta muraria. L’abitato sembra su-bire una distruzione intorno alla metà del IV sec. a.C.Dopo tale evento la vita nel sito sembra riprendere inmaniera molto parziale fino agli inizi del III sec. a.C.,quando viene abbandonato definitivamente.

Monte Saraceno di Ravanusa

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La conoscenza del sito inizia nel 1928 con l’esplorazione di superficie di P.Marconi che riconosce Monte Saraceno come sede di una borgata sicula,ellenizzata da Agrigento alla fine del VI secolo e rimasta in vita fino al IVsec. a.C. con qualche propaggine in età romana e bizantina. Nel 1938 P.Mingazzini con il primo scavo archeologico mette in luce un tratto del murodi fortificazione ed un tempietto. Dall’analisi del materiale raccolto lo stu-dioso concludeva che Monte Saraceno fosse una città greca, colonia diGela, fondata in funzione antiagrigentina. Nel 1956 D. Adamesteanuesplora il sito sconvolto da distruzioni e sbancamenti ed individua nume-rosi edifici sacri. Secondo lo studioso, Monte Saraceno fu un centro indi-geno ellenizzato da Gela alla fine del VII sec.a.C., trasformato sotto l’in-fluenza agrigentina in polis, intorno alla metà del VI sec.a.C., quando sa-rebbero stati costruiti alcuni edifici monumentali, distrutto alla fine del IVsecolo, in concomitanza con la battaglia di Ecnomos tra Cartaginesi el’esercito di Agatocle. Dal 1973-74 gli scavi vengono affidati con appositaconvenzione all’ Università di Messina, diretti negli anni dal Prof. E. DeMiro ed attualmente dalla Prof.ssa Calderone. E’ stata portata avanti l’in-dagine sia nell’abitato che in necropoli ed i risultati sono illustrati nelMuseo Civico di Ravanusa di recente inaugurato. Il sito, acquisito al de-manio regionale, è visitabile.

Per saperne di più: AA.VV., Greci e indigeni nella valle dell’Himera. Scavi a Monte Saraceno di Ravanusa, Messina 1985; AA.VV.,Monte Saraceno di Ravanusa. Un ventennio di ricerche e studi, Messina 1996; AA.VV., Il centro antico di Monte Saraceno di Ra-

vanusa. Dall’Archeologia alla Storia, Messina 2003.

Nella definizione funzionale degli spazi di unacittà greca, la collocazione delle aree destinate a ne-cropoli lascia intendere come per i greci non ci potesseessere contatto alcuno tra la città dei vivi e la città deimorti. Collocate fuori la cinta muraria, lungo le stradeche uscivano dalle città, accoglievano i defunti nell’ul-timo atto di un ampio rituale di passaggio che preve-deva il lavaggio e la vestizione del corpo del defuntoe la sua esposizione (prothesis) e, successivamente, iltrasporto (ekphorà) verso la necropoli.

L’arrivo in necropoli segnava il momento delladeposizione della salma che poteva avvenire secondomodalità diverse. Si praticava infatti sia l’inumazioneche la cremazione con tipologie funerarie di vario tipo.L’inumazione poteva avvenire direttamente nella nudaterra o all’interno di grandi contenitori.

Le inumazioni di individui in età infantile di so-lito avvenivano all’interno di anfore o pithoi. Per gliindividui in età adulta i contenitori potevano essere co-stituiti da sarcofagi di terracotta o pietra, da casse dilegno o di mattoni crudi. A volte il defunto veniva pro-tetto da una copertura a spioventi realizzata con tegoli.

Anche l’incinerazione poteva avvenire secondomodalità diverse. Gli studiosi infatti distinguono unacremazione cosiddetta primaria, in cui il corpo del de-funto veniva bruciato, insieme alle offerte che veni- vano deposte con lui, nello stesso posto in cui poi ve-

niva lasciato. In altri casi invece, dopo la cremazione,si procedeva alla raccolta dei resti ed alla loro deposi-zione all’interno di contenitori spesso abbastanza pre-ziosi, come crateri figurati o contenitori in bronzo.Delle diverse tipologie funerarie è stata propostaspesso un’interpretazione di tipo sociologico dal mo-mento che nelle necropoli greche vengono spesso uti-lizzate contemporaneamente tipologie diverse. Le in-cinerazioni, per esempio, vengono spesso associate alleélites aristocratiche mentre nelle varie tipologie di inu-mazione sono state riconosciute differenze etniche,oltre che sociali. Indicazioni sociali, di sesso, di pro-venienza etnica sono state riconosciute anche nellecomposizioni dei corredi che molto spesso accompa-gnavano le sepolture e che di solito erano costituiti davasi di varie forme e da oggetti personali o legati adattività lavorative o sportive svolte dal defunto in vita.

Le necropoli di età greca

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Per saperne di più: R. CHAPMAN, S. KINNES, K. RANDSBORG, The Archaeology of Death, Cambridge 1981; G. GNOLI, J.P. VERNANT,La mort, les morts dans les sociétes anciennes, Cambridge 1982; J.P. VERNANT, L’individu, la mort, l’amour, Parigi 1989; I. MORRIS,Death Ritual and structure in Classical Antiquity, Cambridge 1992.

Agrigento. Necropoli Contrada Mosè.

Pochi chilometri ad est di Canicattì si estende lacontrada Vito Soldano, sede di un vasto insediamentotardoromano, noto da lungo tempo ed indagato con di-verse campagne di scavo a partire dalla fine degli anni’50. Gli scavi hanno messo in luce un edificio di carat-tere termale, costituito da ambienti strettamente desti-nati al ciclo dei bagni, sia riscaldati (tepidarium, cali-

darium) che non riscaldati (apodyterium, frigidarium),e da vani accessori, che possiamo immaginare venis-sero utilizzati per l’attività ginnica, i massaggi ecc. Gliambienti propriamente termali erano costruiti in con-glomerato cementizio ed avevano probabilmente co-pertura a volta: parte di una delle volte, relativa ad unambiente absidato, si è conservata nel corso dei secoli.Durante gli scavi inoltre sono stati rinvenuti diversiesemplari di tubuli fittili, del tipo utilizzato di solitoper alleggerire le volte. Il rinvenimento di numerosetessere di mosaico testimonia che alcuni degli ambienti

dovevano avere pavimenti musivi, che non si sonoperò conservati.

Il complesso termale era inserito all’interno di unvasto insediamento, del quale finora sono state messein luce alcune strade, ortogonali tra di loro, e una pic-cola parte dell’abitato, coevo, a quanto sembra, all’edi-ficio dei bagni, che risulta costruito in età costantiniana(fine del III secolo/inizi del IV) ed abbandonato intornoalla metà del V secolo.

Nell’insediamento si è proposto di riconoscere lamansio di Corconiana, una delle stazioni di sosta men-zionate dall’Itinerarium Antonimi lungo la strada ro-mana Agrigento-Catania.

Vito Soldano

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Per saperne di più: M.R. LA LOMIA, Ricerche archeologiche nel territorio di Canicattì, Kokalos VII, 1961, pp. 157-165; R.M. BO-NACASA CARRA (a cura di), Agrigento paleocristiana, Zona archeologica e Antiquarium, Palermo 1987.

L’area è stata dapprima vincolata e successivamente espropriata. Con i fondidella Comunità Europea sono stati recentemente realizzati i lavori che ren-dono possibile la fruizione del sito ed è stata restaurata una villa padronaledestinata ad accogliere un piccolo Antiquarium.

Si ritiene comunemente che i Romani non realiz-zarono in Sicilia grandi opere connesse con la viabi-lità, simili a quelle costruite in altre parti dell’impero,anche se alcune recentissime ricerche dimostrerebberoche indagini più puntuali sul terreno possono portarealla scoperta di resti di manufatti stradali, soprattuttoponti, più numerosi di quanto finora supposto. Data lacarenza, almeno per il momento, di indicazioni prove-nienti da resti materiali, i principali elementi di cui cisi può servire per ricostruire la viabilità siciliana pro-vengono dalle fonti scritte ed in particolare dagli Iti-neraria, manuali ad uso dei viaggiatori o carte geogra-fiche con l’indicazione dei principali tracciati stradalie delle stazioni di sosta.

L’Itinerarium Antonini, datato tra la fine del II egli inizi del III secolo d.C., documenta l’esistenza di unaviabilità basata su tre percorsi costieri, lungo i tre latidell’isola, e tre strade interne, che collegavano Agri-

gento con Palermo, Termini Imerese con Catania e Agri-gento con Catania. I diversi percorsi possono essereidentificati nelle grandi linee, ma molto più difficile è ilriconoscimento puntuale dei tracciati, che possono es-sere, almeno in alcuni tratti, ricostruiti basandosi sulladistribuzione degli insediamenti, sulla toponomastica,sulle persistenze medievali o sul rinvenimento di parti-colari reperti, tra i quali ha un valore straordinario il mi-

liarium rinvenuto a Corleone, che contribuisce a rico-struire il tracciato della strada Agrigento-Palermo.

Nella Tabula Peutingeriana, carta geografica conindicazione dei tracciati stradali e delle principali sta-zioni di sosta, databile probabilmente, nella redazionea noi pervenuta, alla seconda metà del IV secolo, per-dono di importanza i tracciati interni, mentre vienedato particolare rilievo alla statio di Aquae Labodes,presso Sciacca, indicata da una vignetta che ne mettein evidenza la funzione di stazione termale.

La viabilità romana in Sicilia

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Per saperne di più: G. UGGERI, La viabilità della Sicilia in età romana, Galatina 2004.

Scavi condotti allafine degli anni ottantahanno portato alla luceun insediamento rurale,posto alle pendici delcolle Caltafaraci, pressoFavara, in una zona riccadi acque sorgive, domi-nante un’ampia e fertilevallata, che presenta unacontinuità di vita dal IIall’VIII sec. d.C., con di-verse fasi costruttive, etracce di frequentazionedel XIII sec. d.C. Ilprimo impianto è rela-tivo ad una villa, com-prendente il complessotermale ed alcuni am-bienti destinati alla con-servazione dei cereali, che subisce una prima ristruttu-razione, a seguito di un incendio, in età costantiniana.Questa seconda fase risulta di breve durata, fino allametà circa del IV sec. d. C., a causa di un evento cala-mitoso, probabilmente il terremoto del 365 d.C., ricor-dato dalle fonti, che distrugge le strutture.

Il complesso termale si trova nel settore nord-estdella villa, distinto dalla corte da un muro di conci ditufo, articolato in una serie di ambienti piuttosto piccolidi forma grosso modo quadrangolare e, senza rispon-dere ad alcuna simmetria generale, orientati in sensoest-ovest. La tecnica costruttiva consiste nell’utilizzodi pietrame sbozzato o squadrato, talora legato conmalta. L’accesso era, probabilmente, da un ambienteidentificato come apodyterium, con il pavimento a mo-saico in bianco e nero: un emblema, perduto, era inse-rito in uno sfondo di girali di acanto, mentre due pescientro un riquadro erano sopra un cerchio tra motivi atriangolo. Da qui si accedeva ad un piccolo vano occu-pato da un labrum semiovale per le abluzioni, con tregradini sul lato occidentale e canaletta di adduzione, in-

terpretato come frigidarium. Altri ambienti, per le su-

spensurae che reggevano il pavimento, ed i tubuli fit-tili posti verticalmente a rivestimento delle pareti sonostati identificati come tepidarium e calidarium.

La villa di età imperiale può essere appartenutaad una famiglia benestante della vicina Agrigentum, ri-fiorita in questo periodo grazie al commercio dellozolfo, sebbene non possa escludersi la possibilità chericadesse in un fondo di proprietà senatoria, dal mo-mento che le ville costituiscono la prova macroscopicadella fitta rete di interessi fondiari intessuta dalle fa-miglie aristocratiche in età imperiale in Sicilia.

E’ verosimile pensare che l’insediamento fossecollegato all’importante strada interna tra Catina eAgrigentum, segnalata dalle fonti itinerarie e stretta-mente connessa alle esigenze di viabilità dei latifondi.

Contrada Saraceno

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Per saperne di più: G. CASTELLANA, B. MC CONNELL, A rural settlement in contrada Saraceno, American Journal of Archaeology94, 1990, pp. 25-44; G. CASTELLANA, La sigillata africana dell’insediamento di età imperiale romana e bizantina del Saraceno di

Favara presso Agrigento, Sicilia Archeologica 78-79, 1992, pp. 45-68.

Il sito è stato indagato in diverse campagne di scavo a partire dagli anni ‘80ed è oggetto di un progetto di adozione da parte del Liceo “Martin LutherKing” di Favara. La villa settecentesca dei Marchesi Cafisi, che ingloba lestrutture antiche, è in corso di restauro da parte della Soprintendenza.

Nel quadro delle testimonianze archeologichedell’età imperiale in Sicilia il fenomeno delle ville ri-veste un ruolo di grande importanza, ai fini della co-noscenza del tessuto sociale e della stessa valenza eco-nomica dell’Isola, attraente terra di investimenti perl’aristocrazia romana: legate allo sfruttamento del ter-ritorio, le ville documentano, infatti, l’esistenza digrandi proprietà, di cui costituiscono il fulcro.

La ripresa economica delle province africanesotto i Severi coinvolge anche la Sicilia in un rinno-vamento dei sistemi produttivi. Con la riforma di Dio-cleziano, poi, la fitta rete di interessi tessuta dalle fa-miglie senatorie costituisce il presupposto per assicu-rare ai figli il governo provinciale della Sicilia, che

spesso precedeva quello della Proconsolare. I Nico-maci, i Simmaci, I Valeri sono le famiglie protagoni-ste di questi processi di concentrazione fondiaria, cheinfluiscono significativamente anche sulla viabilitàche si adegua a servire le nuove esigenze del latifondo,in cui si afferma il sistema del colonato libero.

A Piazza Armerina, su una dimora preesistente,viene eretta nel IV sec.d.C. una villa sontuosa, artico-lata intorno ad un grande peristilio centrale, un im-pianto termale e due sale tricliniari. Pavimenti a mo-saico policromo abbellivano le circa cinquanta stanzedella villa: le maestranze che li eseguirono, di origineafricana, hanno lasciato prova indiscutibile della loroarte in complesse raffigurazioni, come, ad esempio laGrande Caccia, che rappresenta la cattura di animalidestinati alle venationes, le cacce alle fiere che si svol-gevano negli anfiteatri. Altre ville coeve lussuosa-mente adornate sono state rinvenute a Patti e al Tel-laro, prova della presenza di ricche famiglie senatoriein Sicilia, di cui rimane eco anche nella fonte agiogra-fica della Vita di Santa Melania, la pia nobildonnadella famiglia dei Valeri, che, in fuga verso l’Africadopo il sacco gotico di Roma del 410 a.C., insieme almarito Piniano, sosta nella sua tenuta nei pressi diMessina.

La villa in età tardoantica

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Per saperne di più: L.CRACCO RUGGINI, La Sicilia e la fine del mondo antico (IV-VI secolo) in E.GABBA, G.VALLET (a cura di), La Si-

cilia antica, II, Napoli 1980, pp. 481-524; A.CARANDINI, A.RICCI, M.DE VOS, Filosofiana. La villa di Piazza Armerina, Palermo 1982;AA.VV., La villa del Casale di Piazza Armerina, Cronache di Archeologia e Storia dell’ Arte, XXIII, 1984.

Piazza Armerina. Villa romana. Il peristilio.Patti. Villa romana. Due particolari dei mosaici.

L’identificazione del villaggio preistorico di Can-natello si deve a Giulio Emanuele Rizzo nel 1897, me-ritevole secondo l’Orsi “di avere gettate le prime lineedella paletnologia agrigentina”. La scoperta di alcunecapanne, molti vasi preistorici e un gruppo di armi inbronzo, quattro lance, due spade e un’ascia, contenuteentro una grande olla, diede subito all’Orsi la misuradell’eccezionalità della scoperta. Dopo circa un decen-nio spettò ad Angelo Mosso la responsabilità delloscavo. Dei materiali rinvenuti, ceramica di Thapsos eun frammento miceneo, si è persa traccia, mentre sonoconservati ad Agrigento le armi in bronzo rinvenute dalRizzo. Ed è probabilmente da questo villaggio che pro-viene l’anforetta a staffa micenea (XIII sec. a.C.) indi-cata ai tempi dell’Orsi come proveniente generica-mente dalla “marina di Girgenti”. Con la pubblicazioneda parte dell’Orsi nel 1905 dell’anforetta, a qualcheanno dalla scoperta di Thapsos e altre località del sira-cusano così ricche di vasi micenei, si apre il dibattitosulla presenza del miceneo nel territorio agrigentino esul tema più generale dei rapporti fra Sicilia ed Egeo.E nell’ambito di questo dibattito, l’evidenza di Canna-

tello assunse subito “un respiro egeo” che divenne so-lida documentazione archeologica con gli scavi direttida Ernesto De Miro negli anni Novanta del secoloscorso. Del villaggio Egli ha potuto distinguere duefasi successive, di cui la più antica è costituita da ca-panne circolari comprese entro un robusto muro di re-cinzione e la seconda da capanne a pianta rettangolareallungata. Associata alla ceramica locale, con preva-lenza di vasi della cultura di Thapsos, si è rinvenutaceramica micenea (IIIA2 e IIIB), mai così abbondantein contesto di abitato, in cui il De Miro ha riconosciuto“una forte caratterizzazione cipriota”. Questo elementoconferma il lungo perdurare dei contatti fra la costaagrigentina e l’area culturale cipriota dalle fasi inizialidell’Antico Bronzo, così come testimoniato dalle ecla-tanti scoperte di Monte Grande, fino al Bronzo Medioe Tardo del villaggio agrigentino. Il villaggio costierodi Cannatello è pertanto identificabile come uno deipiù importanti avamposti commerciali egei, la cui fun-zione si pone nel quadro di una rotta sistematica a par-tire dal Bronzo Antico, base per ulteriori avanzamentiverso l’Occidente sardo ed iberico.

Cannatello

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Per saperne di più: E. DE MIRO, Recenti ritrovamenti micenei nell’agrigentino e il villaggio di Cannatello, Atti e Memorie SecondoCongresso Internazionale di Micenologia (Roma-Napoli, 1991), Roma 1996, pp. 995-1011; E. DE MIRO, Un emporio miceneo sulla

costa sud della Sicilia, in V. LA ROSA, L. VAGNETTI (a cura di), Atti Simposio Italiano di Studi Egei dedicato a L. Bernabò Brea e G.

Pugliese Carratelli, Roma 1999, pp. 439-449.

Il sito è stato sottoposto a vincolo ed esproprio. E’ in corso di studio un per-corso didattico di visita al villaggio.

Anforetta

micenea

(XIII sec. a.C)

Cannatello. Planimetria della capanna.

I dati storici e leggendari dell’espansione miceneain Occidente, sono diventati oggi, dalla ormai lontanascoperta in una tomba di Matrensa dei primi due vasimicenei allora conosciuti, nutrita documentazione ar-cheologica.

Nuclei di genti egeo-micenee si stanziano sullecoste siciliane nel corso del Bronzo antico e medio. Gliinsediamenti, con caratteri di emporia, hanno la fun-zione di arrivo e smistamento delle merci sulla rotta me-ridionale mediterranea che da Oriente giungeva nell’Oc-cidente sardo e iberico. Gli emporia meglio conosciutisono l’insediamento di Thapsos sulla costa sud-orien-tale presso Augusta, e, sulla costa agrigentina, gli inse-diamenti di Cannatello e di Monte Grande presso Palmadi Montechiaro.

Il polo orientale della presenza micenea in Siciliaha nell’insediamento di Thapsos l’attestazione più evi-dente: qui, dopo gli scavi di Paolo Orsi nella necropoli,le indagini sono riprese negli anni Sessanta con la sco-perta dell’abitato e di un altro settore della necropoli,costituita da tombe a grotticella artificiale con corredicostituiti da ceramica indigena e materiali di importa-zione micenea, oltre a vasi anche armi in bronzo e mo-nili. L’abitato (XIV-IX sec. a.C.) è costituito da capannecircolari, ovali e quadrangolari; in un’ area centrale del-l’abitato, alcuni ambienti rettangolari disposti intorno acortili centrali lastricati, hanno fatto pensare a modellimicenei, diretti o mediati. Il villaggio è pertanto funzio-nale a quella attività commerciale attestataci dalle cera-miche micenee importate e, quindi, in rapporto con ilruolo di emporio del sito.

Dagli anni Ottanta si è avuto un notevole incre-mento delle conoscenze sulla presenza micenea nel poloagrigentino, che da subito assunse suoi specifici conno-tati in riguardo ai tempi, modi ed esiti di questo “con-tatto”. Il villaggio di Cannatello si impone per impor-tanza, in quanto offre, con l’abbondanza di frammentimicenei, mai documentati così numerosi in un contestodi abitato, la possibilità di isolare diverse componentiegee, fra cui in particolare quella cipriota.

E se il villaggio di Cannatello si impianta nel XVper risolversi nel corso del XIII secolo, le eccezionaliscoperte di Monte Grande hanno retrodatato i contatti

trasmarini almeno al Bronzo Antico, grazie alla presenzadi una cospicua messe di ceramiche di tipo medio-ella-dico. Queste recenti acquisizioni hanno riaffermato lacosta agrigentina come il più importante polo nella Si-cilia meridionale dei contatti fra Egeo ed occidente,parte importante dunque di quella che è stata definitauna “Koinè marinara”, caratterizzata da rapporti siste-matici e programmati.

L’ipotesi della ricerca, l’ approvvigionamento dellozolfo nella Sicilia centro-meridionale da parte dei navi-ganti egei, ha ormai nei rinvenimenti di Monte Grandesolida prova archeologica. Gli approdi della costa agri-gentina, Monte Grande e Cannatello, possono esserepunto di appoggio anche per ulteriori apprestamentiverso l’interno, lungo la valle del Platani, che ha offertomolte prove della presenza di nuclei di genti egee. E, inquesta prospettiva, altri “emporia” potrebbero trovareposto lungo la costa, da Punta Bianca (Palma di Mon-techiaro) fino a Capo Bianco (Eraclea Minoa). Da que-sti avamposti principali, i prospectors egei potevano ad-dentrarsi nelle aree interne, quella “via del sale e dellozolfo” che in un primo momento dovette essere interes-sata solo da relazioni di tipo indiretto e successivamenteda stanziamenti più stabili, intesi soprattutto come sedidi limitati gruppi di residenti egei, e forse a loro voltamediatori fra gli indigeni e le popolazioni più distanti.La presenza di nuclei egei lungo la “via del sale e dellozolfo” ha lasciato testimonianza nelle ceramiche ebronzi di importazione egea oltre che nella diffusa e ge-neralizzata presenza della tomba a tholos.

I Micenei in Sicilia

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Per saperne di più: S. TUSA, La società siciliana e il “contatto” con il Mediterraneo centro-orientale, Sicilia Archeologica, XXXIII,2000, pp. 9-39; V. LA ROSA (a cura di), Le presenze micenee nel territorio siracusano, Padova 2004.

Principali siti con ritrovamenti micenei

La villa romana in contradaDurrueli di Realmonte rappresentauno dei rari esempi di villa mari-

tima in Sicilia. Posta al centro diuna baia, a diretto contatto con ilmare, fu con buona probabilità co-struita come dimora di vacanza.Della villa, costruita alla fine del Isec. a.C., si conoscono diversi am-bienti disposti intorno ad un peristi-lio-giardino a pianta quadrata concinque colonne per ciascun lato.Nel lato nord si trova un ampiovano centrale fornito di una grandeapertura verso Sud, nel quale è statoriconosciuto il tablinum (stanzaprincipale di ricevimento). Ai lati,simmetricamente disposte, eranodue stanze di minori dimensioni, probabilmente cubi-

cula (camere da letto), con pavimento in opus sectile,

precedute dalle rispettive anticamere che hanno resti-tuito dei pavimenti a mosaico geometrico in bianco enero. Lungo il lato ovest erano ubicati altri importantiambienti della villa, in cui si sono riconosciuti il tricli-

nium (sala da pranzo), con pavimento a mosaico, e larelativa anticamera, anch’essa decorata a mosaico, conmotivi di foglie in elementi ottagonali. Ad Ovest deltriclinium un’altro ambiente quadrangolare presentaun interessante pavimento mosaicato in bianco-nerocon la raffigurazione, nel riquadro centrale, di Posei-

don con tridente, circondato da delfini. Nell’area a Suddel peristilio sono stati rinvenuti resti di strutture mo-numentali. Ancora più a Sud, verso il mare, un mura-glione di limite, che raggiungeva la spiaggia e costi-tuiva sia la recinzione della villa che il muro di terraz-zamento a sostegno del complesso soprastante, dovevaservire anche per raggiungere un attracco.

Come molte delle ville romane, anche la villa diDurrueli era dotata di un complesso termale privato,situato a Sud-Ovest del settore residenziale principale.La terma è costituita da un ambiente spogliatoio chepresenta pareti rivestite in marmo e pavimento deco-

rato da mosaico con emblema centrale raffiguranteScylla, mostro marino femminile, che tiene un timone,circondata da diverse creature marine. La stanza con-tigua, con pareti rivestite in marmo e pavimento a mo-saico, doveva costituire il frigidarium. Al suo internosi trova un bacino circolare di immersione, rivestito dimarmo; nella parete sud una porta conduceva ad un ve-stibolo dal quale, verso Ovest, si entrava in una pic-cola stanza riscaldata, probabilmente il calidarium.

Procedendo verso Est si giunge in un lungo ambientein cui potrebbe riconoscersi il tepidarium. Il complessotermale sembrerebbe più recente rispetto al nucleo re-sidenziale della villa e potrebbe datarsi alla secondametà del II sec. d.C.

Durrueli

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Per saperne di più: M. AOyAGI, Ripresa degli scavi nella villa romana di Realmonte (Agrigento), Kokalos XXVI-XXVII, 1980-81,668 ss; M. AOyAGI, Il “Mosaico di Posidone” rinvenuto a Realmonte, Quaderni della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Universitàdi Messina, 3, 1988, pp. 91 ss.; G. FIORENTINI, L’attività della Soprintendenza BB.CC.AA. di Agrigento, Kokalos XXXIX-XL, 1993-94, pp. 728 ss.; G. FIORENTINI, La villa romana di Durrueli presso Realmonte (Agrigento), Agrigento 2006.

La villa venne scoperta nel 1907, durante i lavori per la costruzione di untratto della linea ferroviaria Agrigento - Siculiana. Gli scavi dell’anno suc-cessivo rivelarono la presenza di alcuni ambienti del complesso, alcuni deiquali con pavimenti a mosaico e in opus sectile. Il tracciato ferroviario vennedeviato e la prosecuzione dello scavo nella zona meridionale portò alla in-dividuazione di altri due ambienti, anch’essi con pavimentazione a mosaico.Successivamente le ricerche furono riprese dalla Soprintendenza di Agri-gento in collaborazione con una Missione Archeologica Giapponese del-l’Università di Tsukuba guidata dal Prof. Masanori Aoyagi. Partendo dagliambienti scavati all’inizio del secolo, gli scavi 1979-81 hanno messo in lucebuona parte del rimanente complesso della villa. Il sito, acquisito al dema-nio regionale, è aperto al pubblico.

Le terme rappresentano una delle tipologie co-struttive più caratteristiche dell’architettura romana;esse, soprattutto durante l’età imperiale, sono enorme-mente diffuse, sia all’interno delle città, sia negli inse-diamenti rurali. Gli edifici termali potevano essere co-struiti per iniziativa di magistrati, senatori o degli stessiimperatori ed essere destinati alla fruizione pubblica,o costituire parte di ricche domus private. A Roma, daNerone in poi, gli imperatori costruirono grandi edificitermali, alla cui gestione erano riservate somme in-genti. Al di fuori di Roma i bagni potevano essere co-struiti e gestiti da privati o dalle città. Anche in ambitorurale esistevano terme private, annesse a ville residen-ziali, ed edifici termali pubblici, all’interno di insedia-menti più ampi e complessi: sappiamo ad esempio chebagni si trovavano spesso nelle mansiones, cioè neiluoghi di sosta posti lungo i principali assi stradali.

Gli ambienti principali dei complessi termalierano:– l’apodyterium, lo spogliatoio, nel quale il frequen-

tatore delle terme riponeva i vestiti; – il tepidarium, una stanza priva di attrezzature parti-

colari, che serviva alla traspirazione del corpo e allapreparazione dello stesso alle temperature elevatedel calidarium;

– il laconicum, l’ambiente che serviva per una fortesudorazione del corpo;

– il calidarium, una sala calda orientata a sud-ovestper sfruttare il calore dei raggi del sole; si trovavaal centro di tutte le stanze calde per conservare il ca-lore di queste; secondo le indicazioni di Vitruvioaveva una forma rettangolare ed era costituita da duespazi: uno che conteneva l’alveo, ampio bacino de-stinato al bagno, e l’altro il labrum, conca rotondaal centro della quale zampillava dell’acqua fredda,

utilizzata per le abluzioni; – il frigidarium, l’ambiente più vasto, al cui interno si

trovava una vasca destinata ai bagni freddi; – la natatio, una piscina con acqua in equilibrio ter-

mico con l’ambiente circostante. Negli edifici più antichi il riscaldamento avve-

niva per mezzo di bracieri e stufe posti all’interno degliambienti. Successivamente venne introdotto il sistemadell’ipocausto, termine che definisce lo spazio vuotosottostante al pavimento di un ambiente, in cui vieneconvogliato il calore prodotto da un forno a legna. Talespazio vuoto era ottenuto in genere per mezzo di pila-stri (suspensurae), che sostenevano il pavimento del-l’ambiente.Gli ambienti principali erano disposti se-condo un percorso preciso e prestabilito, che portavail frequentatore delle terme dal tepidarium al laconi-

cum, al calidarium, dal quale, attraverso un secondotepidarium, si usciva al frigidarium.

Gli edifici termali

in età romana

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Durrueli. Villa romana. Particolare del mosaico con Scilla

Durrueli. Villa romana. Particolare delle “suspensurae”.

Durrueli. Villa romana. “Frigidarium”.

La città di Eraclea Minoa sistende su un bianco promontorioproteso verso un incantevole pae-saggio marino, con alte pareti ver-ticali, sulla sinistra del fiume Pla-tani.

La storia della ricerca ar-cheologica ha inizio nel 1950, al-lorquando Ernesto De Miro viscopre il teatro, scavato a più ri-prese fino al 1964. Il teatro è inse-rito entro il reticolo regolare dellacittà, articolato su terrazze digra-danti verso Sud-Ovest. La città eraprotetta da una imponente cintamuraria (calcolata in Km 6 circa),che abbraccia l’intera estensionedell’altopiano, fino al fiume Pla-tani. Dell’abitato è stato messo inluce un notevole settore, nel pianoro a Sud del teatro.Sono stati accertati due strati sovrapposti di abitazioni,rispettivamente riferibili al periodo ellenistico e al pe-riodo romano repubblicano.

Dell’ abitato di II strato (IV-III sec. a.C., contem-poraneo al teatro) sono state scavate due case, inseritein un sistema a strade parallele e ortogonali. Le duecase messe in luce sono caratterizzate da una piantasemplice: struttura quadrata, chiusa intorno ad un pic-colo atrio con cortile centrale. La casa A era ad un solopiano con cortile fornito di grande cisterna in cui siconvogliavano le acque del tetto a falde compluviate.A Nord del cortile era un sacello domestico (lararium),di cui si conservano l’altare quadrangolare addossatoall’angolo nord-ovest e l’edicoletta per i lares nella pa-rete est. La pavimentazione del vano è in cocciopestodecorato di tesserine bianche; le pareti conservanoavanzi della decorazione a stucco (stile a incrostazioneo I stile pompeiano).

La casa B aveva un piano superiore con stanzedestinate all’abitazione, le cui macerie (mattoni crudidelle pareti, lastroni di soglia, stucchi, intonaci, pavi-mento in cocciopesto decorato e mosaico), nel crollo,hanno colmato i vani del piano terra. Eccezionale lo

stato di conservazione dei muri, non solo nella partelapidea ma anche nell’elevato in mattoni crudi. Le pa-reti erano rivestite di intonaco dipinto, di cui rimane ilsottofondo di allettamento.

All’abitato di IV-III sec. a.C. si sovrappone, nelII-I sec. a.C., l’abitato di I strato, che può identificarsicon la colonia di ripopolamento dedotta da Rupilio(Cic., Verr., II, 125) al termine della prima guerra ser-vile (132 a. C.). E’ costituito da case costituite gene-ralmente di due o più vani gravitanti su un cortile confocolare. I muri sono costruiti con basamento di bloc-chetti di pietra gessosa ed elevato in mattoni crudi.L’organizzazione in isolati inquadrati da strade nord-sud che si incrociano con strade est-ovest, ricalca loschema della fase precedente. Verso il termine del Isec. a.C. la città fu abbandonata e cala il silenzio nellefonti letterarie. L’area extra-urbana tornò ad essere oc-cupata in epoca paleocristiana e bizantina (III-VII sec.d.C.), con la costruzione di una grande basilica e da unconnesso cimitero.

Eraclea Minoa

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L’area archeologica è recintata e visitabile. In un piccolo antiquarium sonoesposti materiali provenienti dagli scavi del sito e del territorio circostante.

Per saperne di più: E. DE MIRO, Heraclea Minoa. Scavi eseguiti negli anni 1955-56-57, Notizie Scavi e Antichità 1958, pp. 232-287;E. DE MIRO, Heraclea Minoa. Risultati archeologici e storici dei primi scavi sistematici nell’area dell’abitato, Kokalos XII 1966,221-233.

Il teatro più antico inSicilia si trova a Siracusadove è attestata un’attivitàteatrale collegata con ilpoeta greco Epicarmo. DalIV al III sec. a.C. si collo-cano i diciannove teatri co-nosciuti in Sicilia: Agira,Catania, Eloro, EracleaMinoa, Tusa (Halaesa),Messina, Montagna dei Ca-valli (Prizzi), Monte Iato,Morgantina, PalazzoloAcreide, Segesta, Siracusa,Solunto, Taormina, Tindari.Tre teatri, ad Agrigento,Caucana e Enna, sono atte-stati unicamente dalle fonti.

Durante il periodo elle-nistico gli edifici scenici dimolti edifici vennero modi-ficati: venne introdotto ilpalcoscenico alto, detto proscenio. Sembra che si ri-specchi la tradizione della commedia popolare deiFliaci che usava palchi di forma simile in legno comece lo illustrano alcune pitture vascolari. La farsa flia-cica (o tragedia burlesca) fu infatti ampiamente diffusasia in Sicilia che in Magna Grecia: il maggiore espo-nente fu Rintone, nato forse a Siracusa.

Il teatro di Eraclea non è citato dalle fonti anti-che. Compreso nel perimetro delle mura di fortifica-zione, è sistemato nella cavità di una collinetta. Il koi-

lon (cavea) è aperto a Sud, contro le prescrizioni di Vi-truvio (De Arch. V, 32) che vuole che sia evitata unatale esposizione che provoca la concentrazione del ca-lore nella conca caveale.

Il koilon consta di dieci ordini di gradini in concidi arenaria, mentre ricavati nella roccia sono la prae-

cinctio (alta m 8.90 sopra il livello dell’orchestra) el’ambulacro perimetrale antistante. La cavea, cui si ac-cede frontalmente mediante quattro gradini, è divisa innove settori (kerkides) da otto scalette (klimades). Ab-

bastanza ben conservati i muri di testata o analémmata,in numero di otto filari di conci di tufo marnoso messiin opera con struttura piramidale a gradoni.

Un ambulacro di servizio separa la gradinata dallaproedria (prima fila di sedili destinata alle autorità) for-mata da un ordine di banchi con schienale con brac-cioli. Tra l’orchestra e l’anello di conci che delimita ilkoilon è l’euripo largo m 1.25.

Il teatro di Eraclea non ebbe un vero e propriopalcoscenico: nell’area scenica sono stati riconosciutii cavi per il fissaggio delle travi di un podio ligneo mo-bile di tipo fliacico.

Il teatro risulta abbandonato fra il II e il I sec. a.C.quando alcune strutture dell’abitato di I strato (identi-ficato con la colonia di Rupilio) si addossano ai muridi testata della gradinata.

Il teatro greco

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Il teatro è stato oggetto di recenti restauri consistenti nel consolida-mento lapideo e nella copertura provvisoria della gradinata.

Per saperne di più: H.P.ISLER, Edifici teatrali antichi in Sicilia, in Prosopon-Persona. Testimonianze del teatro antico in Sicilia, Ca-talogo della mostra, Messina 2002, pp. 7-13; Sul teatro di Eraclea Minoa: E. DE MIRO, Il teatro di Eraclea Minoa, Rendiconti Acca-demia dei Lincei, XXI, 1966, pp. 151-169; E. DE MIRO, Eraclea Minoa, in Teatri antichi, “Kalòs”, Palermo 1995, pp. 26-31; E. DE

MIRO, Il teatro di Eraclea nel quadro dei teatri minori in Sicilia, in Studi classici in onore e di Luigi Bernabò Brea, Quaderni delMuseo Archeologico Regionale Eoliano “Luigi Bernabò Brea”, supplemento II, Messina 2003, pp. 275-279.

In contrada Campanaio, nel territorio comunaledi Montallegro, sono state condotte, a partire dagli anni’80, diverse campagne di scavo archeologico, diretteda Roger J.A. Wilson, dell’Università di Dublino.

Gli scavi hanno messo in luce un ampio insedia-mento agricolo, esteso per circa tre ettari, del qualesono state riconosciute diverse fasi di vita. Sembra in-fatti che esso sia nato come un modesto gruppo di co-struzioni in periodo tardo-ellenistico (I sec. a.C.) edabbia raggiunto le sue massime dimensioni in età tar-doromana (V sec. d.C.). In quest’ultima fase assumel’aspetto di un vero e proprio villaggio rurale, nel qualevenivano svolte numerose attività artigianali e semi-industriali: è infatti documentata la presenza di un fran-toio per la produzione dell’olio di oliva e di fornaci pertegole. Attestata anche la lavorazione del ferro e pro-babilmente del piombo. Il sito fu distrutto alla metà delV sec. d. C., forse in seguito alle incursioni dei Van-

dali sulle coste meridionali della Sicilia. Ci sono traccedi una ricostruzione immediatamente successiva del-l’abitato, ma in forme estremamente modeste.

Nei pressi di Campanaio la stessa Università diDublino ha effettuato scavi archeologici nel sito di Ca-stagna, su una collina a 5 km ed Est di Heraclea Minoa,dove, a partire dagli anni ’80, è stata messa in luceparte di un insediamento rurale, la cui vita si è pro-tratta, per diversi secoli, dalla fine del II sec. a.C. agliinizi del VI sec. d.C. La fase più ampiamente docu-mentata è quella a cui appartiene l’edificio “A”, co-struito intorno alla metà del I sec. d.C. e più volte re-staurato o modificato prima della sua distruzione av-venuta alla fine del II sec. d.C. L’occupazione dell’areain età tardo antica, allo stato attuale delle ricerche, èdocumentata solo da alcune fosse, scavate all’internodelle strutture ormai abbandonate, che contenevano ce-ramiche databili al V-inizi del VI sec. d.C.

Località Campanaio

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Per saperne di più: R.J. A.WILSON, Sicily under the Roman Empire, Warminster 1990; ID, Rural life in Roman Sicily: excavation at

Castagna and Campanaio, in R.J. A.WILSON (a cura di), From River Trent to Raqqa. Nottingham University archaeological fieldwork

in Britain, Europe and the Middle East, 1991-1995, Notthingam 1996, pp. 24-41.

Interessata da diverse campagne di scavo tra gli anni ’80 ed i primi anni ’90,l’area è soggetta a vincolo archeologico.

Le fonti antiche non mancano di rimarcare in piùoccasioni l’importanza dell’Isola come fornitrice digrano per l’Urbe.

La celebre definizione straboniana di “granaio diRoma”, rende pienamente il senso della funzione an-nonaria, che la Sicilia manterrà fino all’età augustea,quando soppiantata in tale ruolo dall’Egitto, perderà lasua centralità nell’economia dell’Impero. Un nuovostimolo ai processi di produzione porterà la fondazionedi Costantinopoli, verso cui verrà dirottato il grano egi-ziano, reintegrando la Sicilia nella sua funzione di ap-provvigionamento della plebe romana.

Era famoso anche il vino siciliano, trasportatonelle caratteristiche anfore a fondo piatto, le cui fab-briche sono state individuate a Naxos, presso la cittàdi Tauromenium, attestate in Italia, Africa Settentrio-nale, Spagna, Germania e Inghilterra.

Torchi e frantoi documentano la produzione diolio, ma ad oggi non vi sono prove di esportazione re-lative all’ età romana. Riguardo all’allevamento signi-ficativi sono i dati emersi dalle analisi delle ossa di ani-mali della fattoria di Castagna, nel territorio di Eraclea.Rinomata era la razza siciliana di cavalli: l’imperatoreGordiano regalò cavalli siciliani al Circo. Testimo-nianze epigrafiche documentano la produzione di lana,mentre sono noti alcuni stabilimenti di lavorazione delpescato, come quello rinvenuto a Lampedusa.

Altra grande risorsa della Sicilia in età imperialee del territorio agrigentino, in particolare, fu certa-mente lo zolfo, utilizzato in vario modo per le sue pro-prietà combustibili e farmacologiche.

Le attività ad esso legate, estrazione, lavorazioneed esportazione, conoscono in età imperiale un nuovoassetto organizzativo, testimoniato dalle cosiddette te-

gulae sulphuris, tavolette iscritte, che, poste alla basedi casseforme, lasciavano il marchio dell’officina suipani di zolfo.

Ma, a partire dal III sec. d.C., la Sicilia fu soprat-tutto meta delle importazioni dei prodotti africani, peri quali, esercitò, per la sua posizione geografica, vero-similmente, anche un ovvio ruolo di transito verso imercati dell’Urbe. Dai dati di rinvenimento emergeuna grande diffusione del vasellame fine da mensa, la

cosiddetta terra sigillata africana, la caratteristica ce-ramica ad impasto rosso- arancio e vernice più o menolucente, talora decorata a stampo o a rotella, così comedelle lucerne e delle anfore. Non mancano, sebbene inmisura minore, i prodotti dai mercati orientali, mentrei contesti di questo periodo documentano una notevolepresenza di ceramica da cucina prodotta nell’Isola diPantelleria.

Produzione e commercio

in età romana in Sicilia

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Per saperne di più: E. DE MIRO, Città e contado nella Sicilia centro-meridionale nel III-IV sec. d.C., Kokalos XXVIII-XXIX, 1982-1983, pp. 477-515; R.J A. WILSON, Sicily under the Roman Empire, Warminster-Wiltshire 1990.

lucerne africane da S. Anna di Caltabellotta.

In alto: lucerna africana da Cam-

panaio.

A destra: Anfora tardoromana

prodotta a naxos. Profilo di un

esemplare integro da el Djem (Tu-

nisia).

Monte della Giudecca,nel territorio del comune diCattolica Eraclea, è un’altacollina gessosa, di difficile ac-cesso, culminante a q. 322, chesi innalza sulla riva sinistra delPlatani. Proprio la sua posi-zione strategica, a controllodell’importante via di penetra-zione dalla costa meridionaledella Sicilia verso l’interno, fuprobabilmente la ragione chene determinò l’importante fun-zione militare.

Sulla parte più alta del ri-lievo, infatti, sono evidenti iresti di opere di fortificazionedi età medievale, che racchiu-dono la sommità della collinasui lati Sud, Ovest e Nord,mentre il fianco orientale, ta-gliato naturalmente a strapiombo, è privo di opere di-fensive. Il muro, che racchiude un’area pressoché ret-tangolare, è costruito in parte con pietre appena sboz-zate, in parte, soprattutto in corrispondenza degli spi-goli, con blocchi squadrati. Con la stessa tecnica è co-struito una sorta di torrione quadrangolare, che cingeuno spuntone di roccia affiorante all’interno della cintamuraria. La struttura, m 8x5 ca., si impianta sulla roc-cia, che è in parte livellata per accoglierla. All’area for-tificata si accedeva probabilmente dal lato occidentale,attraverso un ingresso ricavato alla base di una torre,secondo un sistema che trova confronti ad Entella e alCastellaccio di Monreale, oltre che in alcune fortezzecrociate in Terra Santa.

Le ricerche di superficie hanno documentatol’utilizzazione della fortezza tra il XII secolo e i primidecenni del XIII, come testimonia la prevalenza, tra leceramiche invetriate, della decorata in bruno sotto ve-trina verde e della solcata. Non mancano tuttavia in-dizi di un’utilizzazione del sito anche nei secoli prece-denti: in particolare, il rinvenimento di frammenti di

tegole decorate con striature a pettine, comuni in etàtardo-romana e protobizantina, può suggerire l’esi-stenza di un abitato già in questo periodo.

Sul Monte della Giudecca sorgeva probabilmentela rocca e casale di Platano, fortezza bizantina durantela resistenza ai musulmani, e poi roccaforte degli Agri-gentini durante le insurrezioni contro il governatore fa-timita Khalil, che nel 938-39 la cinse d’assedio per di-versi giorni; Platano inoltre è ricordato da Malaterra trai castra conquistati da Ruggero nel 1086. Descritto daEdrisi come hisn in alto sito, a circa sei miglia dal mare,ma anche come abitato popoloso, con un fertile territo-rio agricolo, è probabilmente tra le fortezze nelle manidei musulmani insorti contro Federico II. Forse proprionel tentativo di mantenerne il controllo, lo stesso Fede-rico lo donò nel 1211 alla Chiesa palermitana.

Monte della Giudecca

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Per saperne di più: F. MAURICI, L’emirato sulle montagne, Palermo 1987; ID., Castelli medievali in Sicilia. Dai bizantini ai normanni,Palermo 1992; M.S. RIZZO, Insediamenti fortificati di età medievale nella valle del Platani, Sicilia Archeologica XXIII, 1990, pp.41-63; EAD., L’insediamento medievale nella valle del Platani, Roma 2004; M. PAOLETTI (a cura di), Monte della Giudecca. Rico-

gnizioni e ricerche nella bassa valle del Platani (2003), Cosenza 2005.

Sulla collina non sono mai stati condotti scavi archeologici, ma di-verse ricognizioni di superficie, l’ultima delle quali da parte dell’Uni-versità della Calabria, grazie ad una convenzione stipulata con laSoprintendenza di Agrigento.

Conquistata la Sicilia, i Normanni stabilirono coni musulmani che vi vivevano quello che è stato defi-nito un “meccanismo di convivenza ineguale”, basatosulla subordinazione di questi ultimi, ma anche suforme di collaborazione in campo amministrativo eculturale. In alcune zone della Sicilia occidentale, inol-tre, alcuni notabili saraceni poterono probabilmentemantenere le proprie proprietà. L’equilibrio su cui sireggeva questo sistema di convivenza si ruppe allamorte del re Guglielmo I, quando i musulmani dellaSicilia centro-orientale furono vittime delle persecu-zioni degli immigrati lombardi che vi si erano stabiliti:in quest’occasione, ci dice Falcando, i superstiti fug-girono ad tutiora sarracenorum oppida della Siciliaoccidentale.

Saranno queste fortezze, ubicate in particolare

nelle valli del Belice e del Platani, a diventare il cen-tro della rivolta islamica divampata alla morte di Gu-glielmo II: i territori di Monreale e di Agrigento sfug-gono al controllo della Monarchia e della Chiesa, e inessi non si riconosce altro potere che quello dei gaitimusulmani. La rivolta diviene aperta sotto Federico II:Si forma ora un vero stato nello stato, sotto il comandodell’emiro Muhammad ibn Abbad, con centro nellaroccaforte di Iato. Ad Agrigento, intorno al 1220, i mu-sulmani ribelli catturarono il vescovo Ursone e lo ten-nero rinchiuso nella fortezza di Guastanella per diversimesi, saccheggiando nel frattempo la Cattedrale e isuoi beni. La rivolta fu infine repressa nel sangue daFederico nel 1246; i musulmani superstiti furono de-portati a Lucera. E’ soltanto in questo momento che fi-nisce la storia dell’Islam siciliano.

Le rivolte musulmane

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Per saperne di più: C.A. DI STEFANO, A. CADEI, Federico e la Sicilia. Dalla terra alla corona. Archeologia e architettura, Palermo1995; F. MAURICI, L’emirato sulle montagne, Palermo 1987.

Guastanella.

Le prime notizie di carattere storico archeologicoriguardanti il territorio di Raffadali sono relative al rin-venimento, avvenuto nel XVI secolo, del famoso sar-cofago romano con la rappresentazione del mito diKore conservato presso la chiesa madre di Raffadali.

In seguito a diversi rinvenimenti occasionali, nel1968 venne effettuato lo scavo presso Cozzo Busonèche ha permesso di documentare una necropoli costi-tuita da tombe a grotticella artificiale precedute da poz-zetti con corredi pertinenti alla facies S. Cono PianoNotaro. In un pozzetto esterno ad una tomba a grotti-cella, si rinvenne un ciottolo fluviale in cui si è rico-nosciuta la riproduzione del tipo della cosidetta Venere.

I pozzetti naturali all’esterno delle tombe si con-figurano certamente come pozzetti sacrificali, alcuniintenzionalmente chiusi con scaglie di pietra. I pozzettivotivi testimonierebbero l’esistenza di pratiche ceri-moniali connesse al culto dei morti attraverso offerteperiodiche al di fuori della tomba, così come più re-centemente documentato nella necropoli di PianoVento. L’identificazione dei ciottoli fluviali con la rap-presentazione del tipo della Venere rimanda ad un cultotributato ad una divinità femminile, fortemente inve-stita da connotazioni materne, rap-presentazione cultuale della fecon-dità. La frequentazione della colli-netta è attestata ancora durante l’etàdel bronzo antico e medio fino allapiena età storica, con frammenti ce-ramici pertinenti alla cultura di S. An-gelo Muxaro-Polizzello e frammenticeramici greci di VI e V sec. a.C.

La collinetta di Pietrarossasorge lungo la strada provinciale cheporta da Raffadali a Siculiana. Tuttoil versante SE e SO è interessato dauna fitta serie di tombe a grotticella,alcune precedute da vestibolo, data-bili al bronzo antico.

In età storica molte di esse ven-nero riutilizzate subendo delle modi-fiche strutturali: in età ellenistica una

di queste tombe fu riutilizzata divenendo una monu-mentale tomba a camera scavata nella roccia nellaquale trovano posto cinque loculi incavati lungo le pa-reti e il cui piano di seppellimento fu lavorato a mò diletto con i cuscini arrotondati alle due estremità. In etàtardoromana molte tombe vennero trasformate in verie propri arcosoli.

La località Terravecchia-Modaccamo è nota nellaletteratura archeologica per il rinvenimento del famososarcofago romano con la rappresentazione del mito diKore. Dal punto di vista archeologico l’intero arealeriveste importanza eccezionale, non solo per la suaestensione, ma anche e soprattutto per la tipologia deirinvenimenti, che documentano un continuum crono-logico pressocchè ininterrotto dall’Antica Età delBronzo all’Età bizantina. A questo estesissimo insedia-mento è pertinente la necropoli della adiacente con-trada Grotticelle costituita da molte decine di tombe adarcosolio e piccoli ipogei con all’interno sarcofagi sca-vati nella roccia.

Raffadali

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Per saperne di più: G. BIANCHINI, Le Veneri di Busonè, Rivista Studi Preistorici XI-XII, 1968, pp. 129 ss.; G. CASTELLANA, Pietra-

rossa, s.v. G. NENCI (a cura di), Bibliografia Topografica della colonizzazione greca; D. GULLì, Nuove indagini e nuove scoperte nella

media e bassa valle del Platani, Quaderni della facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Messina 1,1, 2000, pp.139-177.

I siti sono sottoposti a vincolo archeologico.

Pietrarossa

I sarcofagi romani custoditi nella Chiesa Madre diRaffadali e nel Castello Chiaramontano di Racalmutorecano sulla fronte il mito del ratto di Proserpina, la dearapita da Ade, il re degli Inferi, soggetto gradito allacommittenza isolana durante il III sec. d.C., come atte-stano altri due esemplari custoditi a Mazara del Vallo ea Messina. Nella genesi artistica del soggetto ruolo fon-damentale svolse certamente la tradizione poetica, so-prattutto, la suggestione dei versi di Ovidio, che avevacantato il ratto sullo sfondo di una Sicilia fresca e om-brosa, tra i colori variopinti dei fiori che la giovane Pro-serpina, spensierata e innocente, raccoglieva nei cesti,prima che il dio degli inferi, preso da ardente e improv-visa passione, la rapisse sul suo carro. Il mito, frequenteanche nel mosaico e nella pittura funeraria, allude sim-bolicamente allo strappo proditorio di una morte repen-tina e prematura. Attenua il rimpianto lacerante per unavita spenta anzitempo, la recondita allusione ad una vitaoltremondana nella vicenda della dea che torna dall’ol-tretomba e consente il rigenerarsi della natura dopo imesi invernali.

Sfortunatamente, mancando i dati di rinvenimento,non è possibile contestualizzare i sarcofagi nella necro-poli di provenienza, sebbene non sia difficile, comun-que, supporne la destinazione ad una tomba monumen-tale, così come per tutti i sarcofagi, pensati per il sepol-cro di tipo familiare predominante dal II sec. d.C.,quando cioè si afferma nel mondo romano il rito del-l’inumazione. In questo momento si manifesta una sen-sibile ripresa economica attraverso indubbi indizi di undecoroso tenore di vita, che, oltre alla classe senatoriaed equestre, interessa anche il ceto medio. Così emerge,infatti, dagli apparati musivi e pittorici che arricchisconol’architettura domestica e quella delle tombe familiari,a cui è destinato il sarcofago. I sarcofagi scolpiti – acassa rettangolare o a tinozza o lenos – in genere inmarmo, furono prodotti su scala sempre più vasta da of-ficine specializzate a Roma, ad Atene e in Asia Minore,che, via via che la domanda cresceva, razionalizzaronole fasi di lavorazione, creando tipi standard e seriali, cheindovinassero il gusto della committenza, specie nellascelta della decorazione scultorea. Soggetto significantedi memoria, il sarcofago è il manifesto dei valori di unagens, che sceglie forme culturalmente ambiziose di co-

municazione affidando al mito del fregio, nell’ottica diuna celebrazione del lutto sotto le vesti illustri di storiedi eroi e di divinità, il messaggio più importante, com-memorativo per il defunto e consolatorio per il vivo.L’intera esperienza umana –bellezza, innocenza, amore,sfortuna, violenza- risaltava nelle vicende di Adone, Ip-polito, Alcesti, Fetonte, Meleagro, Eracle, Proserpina,la cui raffigurazione iconografica, rappresentata secondolo stile narrativo tipico del rilievo romano, potè subiretalora delle varianti, verosimilmente dettate da una com-mittenza desiderosa di imprimere, anche nei dettagli, itratti identificativi della propria storia. La produzionenei secoli successivi arricchirà il repertorio con scene dibattaglia tra romani e barbari, di caccia o di culto dioni-siaco, fino alla comparsa di motivi e soggetti ascrivibilialla tradizione cristiana.

I sarcofagi romani

di Raffadali

e di Racalmuto

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Per saperne di più: V. TUSA, Sarcofagi romani in Sicilia, Roma 1995; P. ZANKER, Un’arte per l’impero. Funzione e intenzione delle

immagini nel mondo romano, Martellago 2002.

Raffadali. Sarcofago romano

Racalmuto. Sarcofago romano

Raffadali. Sarcofago romano. Particolare del ratto.

Sulle aspre pendici gessose delcolle di S. Angelo Muxaro, nella mediavalle del Platani, nella primavera del1931 Paolo Orsi scoprì un gruppo digrandi tombe a tholos i cui ricchi cor-redi, in uno alla monumentalità dell’ar-chitettura funeraria, che non trova an-cora oggi riscontro in altre necropoli si-ciliane, imposero da subito il sito comeuno dei più importanti e degni di atten-zione della Sicilia protostorica.

Sin dalla loro scoperta, Paolo Orsisottolineò le analogie dell’architetturatholoide con l’architettura egeo-mice-nea e indicò in Eraclea Minoa il possi-bile punto di diffusione di queste in-fluenze transmarine, riflesse nella tra-dizione di antichi rapporti fra Creta e laSicilia. Stessa matrice culturale Eglivide nel pesante anello d’oro rinvenuto da un conta-dino nell’area della necropoli, con la rappresentazione,a profondo intaglio, di una vacca che allatta un vitel-lino e che potè assicurare alle collezioni del Museo diSiracusa, barattandolo con il proprio cappotto, nelfreddo gennaio del 1927.

La scoperta del secondo anello con la figura di unlupo inciso su un castone ovale, ancora al dito di unpersonaggio adagiato sul letto funebre della tomba VI,

in uno ai ricchi corredi scoperti nella campagna discavo del 1931, sancì definitivamente l’importanza delsito. Nel 1935 il Pace, accogliendo una suggestione diGiacomo Caputo proponeva per la prima volta l’iden-tificazione di S. Angelo Muxaro con Camico, la capi-tale del regno sicano del re Kokalos, dando inizio aduna lunga querelle mai risolta che ha visto l’identifi-cazione di Camico in innumerevoli località del territo-rio agrigentino.

S. Angelo Muxaro

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Per saperne di più: AA.VV., Natura mito e storia nel regno sicano di Kokalos, Canicattì 1999; G. RIZZA, D. PALERMO (a cura di), Le

necropoli di S. Angelo Muxaro. Scavi Orsi-Zanotti Bianco 1931-1932, Palermo 2004.

L’area della necropoliè stata sottoposta avincolo ed esproprio;è visitabile la partealta dove è situata lacosiddetta “tomba delPrincipe”.

Tucidide, storicogreco del V sec. a.C., ri-costruisce attraverso tremomenti fondamentalila storia della Sicilia,dalle età più antiche adepoca storica. Ricordache la Sicilia, chiamataTrinacria, era abitata daimitici Lestrigoni; in unsecondo momento fuabitata dai Sicani e daloro chiamata Sicania ein ultimo dai Siculi che,cacciando i sicani nellaparte occidentale del-l’isola, abitarono tutta la fascia orientale della Sicilia.

Per quanto riguarda la Sikania, le fonti ci soccor-rono anche per quanto riguarda la precisa localizzazionegeografica: Erodoto riferisce il toponimo Sikania “allaregione nei pressi di Akragas”, Stefano Bizantino la de-finisce “la regione degli agrigentini”.

Alla Sikania è legato un patrimonio di leggendecon al centro la figura del cretese Minosse e il re sicanoKokalos. Le fonti più antiche sono Erodoto ed Antioco.Erodoto (VII, 169-171) parla occasionalmente dei rap-porti fra Sicilia e Creta a proposito delle guerre persiane:narra che Minosse giunto nella Sikania alla ricerca diDedalo, trovò morte violenta a Camico; successiva-mente i cretesi per vendicarne la morte, tornarono conuna grande armata in Sikania e assediarono per cinqueanni Camico; non potendo espugnarla, presero la via delritorno, ma naufragarono sulle coste pugliesi dove fon-darono la città di Uria e divennero Iapigi e Messapi.Nella narrazione di Antioco, la cui Storia della Siciliaaveva inizio con il regno di Kokalos (Diodoro XII, 71),la spedizione di Minosse occupa un posto centrale sof-fermandosi sostanzialmente su tre punti: la figura di De-dalo e le sue opere in Sicilia come l’inespugnabile for-tezza di Camico; la morte di Minosse; l’insediamentocretese in Sicilia, Minoa ed Enghion.

Alla fine dell’800 si è avviata quella lunga tradi-zione degli studi, oggi vivacissima, basata sul tentativodi destrutturazione delle fonti letterarie; questi negarono

ogni valore storico al patrimonio di leggende riferendolead una invenzione dei coloni rodio-cretesi di Gela chequi localizzarono le leggende portate dalla madrepatria.

Dall’Orsi in poi si è tentato di coordinare i datidelle fonti letterarie con i dati delle fonti archeologiche:il rinvenimento frequente di materiali micenei in Siciliae sulle coste pugliesi suggerì l’idea che la tradizione diDedalo e Minosse in Sicilia potesse essere il riflesso diantichi rapporti fra Creta e Sicilia.

Le componenti orientali, le sempre più frequentiscoperte di manufatti di importazione egea, nell’ambitodella Sikania, databili intorno alla metà del XIII sec.a.C., sono la trasposizione archeologica a quel ciclo dileggende tramandateci dalle fonti che proprio in que-st’epoca pongono la spedizione in Sicilia del re dei cre-tesi, Minosse, il cui legame con il territorio resterà persempre sancito nel nome di Minoa.

Il mito di Kokalos

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Per saperne di più: AA.VV., Natura mito e storia nel regno sicano di Kokalos, Canicattì 1999.

Diodoro IV, 79, 1-3. “Ma Minosse, re dei cretesi, che allora dominava sui mari,avendo saputo della fuga di Dedalo in Sicilia, decise di muovere guerra al-l’isola. Partito, dunque, con una flotta grande e munitissima, giunse a quellacittà della costa agrigentina, che da lui è detta Minoa. Schierate poi le truppe,attraverso ambasciatori inviati a Kokalos, richiese Dedalo per punirlo. Koka-los, convocato a colloquio a Minoa, promettendo che avrebbe fatto ogni cosa,lo lusinga con offerte ospitali. Essendo entrato nel bagno, soffocò Minosse nelcalore dei vapori termali, e rese il cadavere ai Cretesi, millantando quale causadi morte, il fatto che per caso fosse scivolato in acque troppo calde. I compa-gni della spedizione, allora, seppellirono il corpo con ogni magnificenza e perlui erigono un sepolcro doppio: nella parte più interna ripongono le ossa,quella anteriore la dedicano quale tempio di Venere, che per molto tempo fuvenerato e onorato dagli abitanti del luogo, che vi compirono sacrifici”

Thera (Santorini). Affresco con scena di partenza di navi egee verso Occidente.

Monte Castello è un’altacollina gessosa (m 468s.l.m.), che si eleva sulla rivasinistra del Platani. Posta acontrollo della media valledel fiume, difficilmente ac-cessibile a causa della morfo-logia accidentata, la collinaha probabilmente rivestito nelcorso dei secoli una impor-tante funzione strategica. Oc-cupata già in età protostorica,come hanno documentato isaggi condotti negli anni ’70dall’Università di Catania,l’altura è stata successiva-mente utilizzata per tutto ilmedioevo, stando a quanto sipuò desumere dai materiali rinvenuti nel corso delle ri-cognizioni di superficie e dalle notizie delle fonti do-cumentarie. Nel sito, infatti, si può forse riconoscerela fortezza bizantina di Qal‘at al Musvari‘a, conquistatadai musulmani nell’861-862; ne è stata inoltre propo-sta l’identificazione con il castrum di Missar, conqui-stato da Ruggero, secondo il racconto di Malaterra, nel1086. E’ certo comunque che su monte Castello sor-geva il castrum di Mussarum, donato alla Chiesa agri-gentina nel 1200 e da essa ceduto a Giovanni Chiaro-monte nel 1305. Le notizie delle fonti si susseguonofino agli inizi del ’500, quando il castello dovette es-sere abbandonato a favore del centro di nuova fonda-zione di Sant’Angelo.

I materiali raccolti nel corso di diverse ricogni-zioni di superficie confermano la lunga continuità di

vita del sito, abitato probabilmente già dall’età bizan-tina e poi con certezza almeno dall’XI al XV secolo;sono evidenti inoltre, sulla sommità dell’altura e sullesue pendici settentrionali, resti consistenti di strutturemurarie di carattere difensivo, che confermano il ruoloessenzialmente strategico del sito. Tuttavia, la ric-chezza e le caratteristiche dei reperti rinvenuti testimo-niano anche una notevole vivacità di rapporti commer-ciali e un alto livello di consumi; per il tardo medioevo,in particolare, le abbondanti ceramiche a lustro impor-tate dalla Spagna documentano l’elevato tenore di vitadegli abitanti del castello.

Monte Castello

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Per saperne di più: D. PALERMO, S. Angelo Muxaro. Saggi di scavo sulle pendici meridionali del Colle Castello, Cronache di Archeo-logia e Storia dell’Arte 18, 1979, pp. 50-58; M. S. RIZZO, Insediamenti fortificati di età medievale nella Valle del Platani, Sicilia Ar-cheologica XXIII, 73, 1990, pp. 41-63; F. MAURICI, Castelli medievali in Sicilia. Dai Bizantini ai Normanni, Palermo 1992; P. MELI,M. S. RIZZO, I siti della Valle del Platani, in Federico e la Sicilia. Dalla terra alla corona. Archeologia e architettura, Palermo 1995,pp. 177-185; M. S. RIZZO, L’insediamento medievale nella Valle del Platani, Palermo 2004.

Il sito è sottoposto a vincolo archeologico. Indagini di scavo archeo-logico sono state condotte dall’Università degli Studi di Catania.

Le produzioni ceramiche medievali siciliane pre-cedenti la metà circa del X secolo sono ancor oggi pococonosciute, anche se studi recentissimi cominciano ametterne a fuoco le caratteristiche; nel complesso essesembrano muoversi ancora nel solco della tradizionetardoromana.

E’ intorno alla seconda metà o alla fine del X se-colo che sembra venga introdotta in Sicilia una grandeinnovazione tecnologica in campo ceramico, quelladell’invetriatura, cui si associa la decorazione dipintaal di sotto della vetrina con motivi geometrici, di deri-vazione vegetale o zoomorfi, estranei alla tradizione“occidentale”. E’ evidente il rapporto di queste cera-miche, sia dal punto di vista tecnico che decorativo,con le coeve produzioni del mondo islamico, ed in par-ticolare del nord Africa, tanto che è stata ipotizzatal’immigrazione in Sicilia di artigiani che avrebbero in-trodotto la nuova tecnologia ed il nuovo repertorio for-

male e decorativo. Ceramiche invetriate vengono pro-dotte, per tutto l’XI ed il XIII secolo, in una moltepli-cità di centri, sia urbani che rurali: fornaci sono note,ad esempio, a Palermo, a Siracusa, ad Agrigento, a Ma-zara del Vallo, ma anche in un casale come quello diPiazza Armerina. Intorno alla metà del XII secolo sidiffonde la tecnica della decorazione solcata sull’ar-gilla cruda, al di sotto di una vetrina monocroma verde;questa tecnica è utilizzata in particolare nelle produ-zioni agrigentine, ampiamente diffuse in Sicilia e in al-cuni centri dell’Italia peninsulare tirrenica.

Sotto Federico II si pone un nuovo importantecambiamento tecnologico e formale, con l’introdu-zione, per influenza probabilmente delle produzionipeninsulari, di una invetriatura coprente a base di os-sido di stagno, sulla quale veniva dipinta la decora-zione. Le prime esperienze in questo senso sembravengano fatte proprio negli anni centrali del XIII se-colo, quando sono prodotte le prime protomaioliche,del tipo cosiddetto di Gela (Gela ware), caratterizzatedalla decorazione policroma con motivi prevalente-mente zoomorfi e di derivazione vegetale. Nel corsodel ‘200 protomaioliche vengono prodotte in diversicentri, sia della Sicilia orientale che occidentale, concaratteristiche peculiari per ciascun centro produttore.

Nel XIII e XIV secolo, accanto alle produzionilocali, si moltiplicano le importazioni, sia dall’Italiapeninsulare, sia da altre zone del Mediterraneo, ed inparticolare dalla Spagna, da cui provengono in parti-colare le ceramiche decorate a lustro.

La ceramica medievale

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Per saperne di più: S. FIORILLA, S. SCUTO, Fornaci, Castelli e Pozzi dell’età di mezzo. Primi contributi di archeologia medievale

nella Sicilia centro-meridionale, Agrigento 1990; S. SCUTO (a cura di), L’età di Federico II nella Sicilia centromeridionale, Atti delleGiornate di Studio, Agrigento 1991; C.A. DI STEFANO, A. CADEI, Federico e la Sicilia. Dalla terra alla corona. Archeologia e archi-

tettura, Palermo 1995; A. MOLINARI, La produzione ed il commercio in Sicilia tra il X ed il XIII secolo: il contributo delle fonti ar-

cheologiche, Archeologia Medievale XXI, 1994, pp. 99-119.

Gela. Piatto in protomaiolica.

Agrigento. Fornaci medievali. Ciotola

Il territorio di Ribera è ricchissimo di testimonianzearcheologiche che documentano una lunga frequenta-zione del territorio dalla preistoria ad età medievale. Par-ticolarmente documentata è la preistoria, con siti di no-tevole interesse inseriti a pieno titolo nell’ambito dellapreistoria mediterranea.

In contrada Ciavolaro, su un costone calcareniticoche delimita ad Est l’altipiano su cui sorge l’attuale abi-tato di Ribera, si aprono numerose tombe a grotticella ea camera violate ab antiquo. Nei pressi di una tomba inanfratto è stata individuata e scavata una grande stipe vo-tiva, forse in relazione alle cerimonie sacrificali che sisvolgevano nell’ambito della necropoli; i materiali do-cumentano un uso continuato nel tempo, dall’Antica Etàdel Bronzo, con i numerosi vasi castellucciani e le tazzedella facies Rodì-Tindari, fino alla Media Età del Bronzo,con vasi preludenti alle tipiche tipologie thapsiane.

In contrada Anguilla, pochi km a Sud di Ribera, nelcostone roccioso di una bassa collina marnosa, si apreuna necropoli costituita da tombe a grotticella e a cameraprecedute da dromos, topograficamente distinte. Letombe a camera con alzato a tholos sono 12, disposte suvari livelli e precedute da dromos: le porte di ingresso

sono rettangolari spesso riquadrate. La tipologia tombaleriunisce elementi tipici delle tombe della regione dellaSikania, quali la doppia camera, i grandi letti funebri egli scodellini alla sommità della volta. Anche le tholoi

erano state violate ed è stato recuperato poco materialeche si inquadra nell’ambito della cultura di PantalicaNord. L’insediamento sub-costiero di contrada Scirindaha rilevato una stratificazione che va dalla Media Età delBronzo fino all’Età del Ferro con una sequenza ininter-rotta di fasi abitative l’ultima delle quali riferibile ad uninsediamento indigeno di VIII-VII sec. a.C.

Ribera

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Per saperne di più: G. CASTELLANA, La stipe votiva del Ciavolaro nel quadro del Bronzo Antico Siciliano, Agrigento 1996; ID., La

cultura del Medio Bronzo nell’agrigentino ed i rapporti con il mondo miceneo, Agrigento 2000, pp. 142-211 (su Scirinda); R. PAN-VINI, La necropoli preistorica di contrada Anguilla di Ribera, in Traffici micenei nel Mediterraneo, Atti Convegno Palermo, Taranto1986, pp. 113-115.

Nell’area della necropoli di contrada Anguilla sono stati recentemente rea-lizzati dei percorsi di visita. Nei pressi della necropoli, un vecchio casolare,in fase di restauro a cura della Soprintendenza di Agrigento, ospiterà un an-tiquarium iconografico.

Vaso castellucciano

dal Ciavolaro

Contrada Anguilla. Tomba a tholos con dromos di accesso.

Planimetria

di un settore

dell’abitato di Scirinda

La tomba a tholos è caratterizzata da cella circo-lare e profilo ogivale allungato con alla sommità un in-cavo a forma di scodellino rovesciato.

Questo tipo di tomba si diffonde durante l’età delBronzo Medio in concomitanza con la facies di Thap-sos che rappresenta un momento di grande unità carat-terizzato su tutta l’isola dalla medesima produzione ar-tigianale. In questo clima culturale uniforme e statico,si verifica un evento che segnerà la storia dell’isola: lostanziarsi di nuclei di genti egeo-micenee sulle costesiciliane. Un riscontro immediato a questa presenza èil rinvenimento di prodotti di importazione, vasellame,monili, metalli e, fenomeno di vasta portata, il diffon-dersi del nuovo tipo di tomba con profilo a tholos cheviene quasi concordemente riferito ad ambito miceneo.

Molto diffusa in vaste aree della Sicilia, solo inrari casi è stata trovata intatta e quindi collocabile inuna fase precisa. Il riesame di alcuni corredi di tombedella Sicilia orientale, Thapsos, Matrensa e Cozzo delPantano, ha permesso di collocare le tombe tra ilBronzo medio e il Bronzo recente; tre tombe dellaMontagna di Caltagirone iniziano nel Bronzo recentee sono ancora in uso nel Bronzo finale.

La seconda zona di diffusione ricade nell’area delbacino idrografico del Platani, con una notevole con-

centrazione nel medio corso del fiume. Dati recentiprovengono dalle tombe a tholos di Milena, dove il re-cupero di alcuni corredi ha permesso di collocarle frala fase finale di Thapsos e Pantalica Nord. Precisi ri-ferimenti provengono dai materiali micenei rinvenutinelle tholoi, databili tra il XIII e il XII sec. a.C.

Paolo Orsi, indicando nelle tholoi micenee il mo-dello architettonico delle monumentali tombe di S.Angelo Muxaro, aveva visto in Eraclea Minoa il puntodi irradazione di tali influssi culturali: il bianco pro-montorio proteso sul mare e a dominio della foce delPlatani, come base per i gruppi di naviganti prove-nienti dall’Egeo, che risalivano il corso del fiume. Laloro presenza lungo la “via del sale e dello zolfo”, halasciato segno indelebile nella diffusione, nell’ambitodella Sikania, di una cultura fortemente permeata dielementi micenei in svariati campi della cultura ma-teriale locale, forme e tecnologie ceramiche, tipologiadei bronzi. L’intensità di quei contatti si coglie soprat-tutto nel fenomeno di evoluzione interna di questomodello architettonico, in cui sono stati individuati deiveri e propri modelli progettuali articolati intorno amoduli ricorrenti che evidenziano la presenza di ca-vatori specialisti itineranti all’interno di un medesimocomprensorio.

La tomba a tholos

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Per saperne di più: F. TOMASELLO, Le tombe a tholos nella Sicilia centro-meridionale, Cronache di Archeologia e Storia dell’Arte34-35, 1995-96.

Esempi di tombe a tholos da S. Angelo Muxaro e dalla Messenia

Il Castello di Poggio Diana, in ter-ritorio del comune di Ribera, occupaquasi per intero la sommità stretta e al-lungata di un’altura dalle pareti scoscesee difficilmente accessibili, che si elevasulla riva sinistra del fiume Verdura.Nella conformazione attuale l’edificiosi presenta come il risultato di diversi in-terventi e restauri succedutisi nel tempo,a partire probabilmente dalla metà circadel ‘300. E’ infatti dal 1356 che comin-cia ad essere menzionata dalle fonti latorre di Misilcassim, che possiamo concertezza identificare con il nostro sito;la torre fu forse costruita dalla famiglianobiliare dei Chiaromonte, che control-lava il feudo dal 1348.

Decapitato nel 1392 Andrea Chiaromonte e con-fiscati i beni della potente famiglia ribelle alla Corona,il feudo e la torre di Misilcassim vennero infeudati aiPeralta, che li tennero fino al 1398, quando essi furonovenduti ai Perapertusa. E’ in questi anni che probabil-mente si pone la costruzione dei vani più antichi delCastello: Guglielmo riceve infatti nel 1392 turrim Mi-

silcassimi et feudum; vende nel 1398 ad Adelicia, ve-dova di Nicolò Buondelmonte e moglie di BernardoBerengario de Perapertusa, la baronia Misilcassimi

cum castro. Tra la fine del secolo e gli inizi del succes-sivo sembra si abbia anche la prima presenza stabilenel luogo: con quale funzione è difficile dirlo, al mo-mento, ma il tipo di materiali rinvenuti nel corso degliscavi che sono stati effettuati sul sito sembrano indi-catori di un discreto livello sociale.

Nel corso dei restauri effettuati nel corso deglianni 2005/2006 sono stati infatti eseguiti alcuni saggiarcheologici, ed in particolare sono stati scavati i riem-pimenti di due cisterne, una utilizzata come scaricodella cucina, l’altra invece colmata con i materiali ri-sultanti da una sistemazione dell’area antistante l’edi-ficio. Le ceramiche recuperate nei due riempimentisono complessivamente databili tra la fine del XIV se-colo e i primi decenni del XV e presentano una note-

vole varietà di forme e destinazione funzionale, oltreche peculiari caratteristiche tecniche e decorative. Siriconosce, tra l’altro, un significativo gruppo di ciotoleprodotte dalle coeve fornaci di Sciacca, oltre ad alcunirecipienti di una produzione finora poco nota in Sici-lia, che potrebbe essere attribuita allo stesso centro oad officine diverse, situate comunque nella parte occi-dentale dell’isola.

Siamo negli anni in cui il castello gravita nell’or-bita della famiglia dei Peralta, che hanno il loro centroa Sciacca, dove, negli stessi anni, viene costruito il Ca-stello Nuovo. La costruzione del castello di Misilcas-sim e la presenza, al suo interno, di un nucleo stabilee numericamente consistente potrebbe essere collegatacon le vicende politiche di quegli anni, che vedonol’estrema ribellione alla Corona di Aragona degli espo-nenti delle principali famiglie signorili, tra i quali giocaun ruolo di rilievo Guglielmo Peralta. E’ in questo con-testo, infatti, che può spiegarsi la costruzione dell’edi-ficio che, per la sua posizione, risulta strategico per ilcontrollo dei traffici da e verso l’entroterra.

Il castello di Poggio Diana

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Per saperne di più: R. LENTINI, G. SCATURRO, Misilcassim seu Poggiodiana. Un castello a Ribera, Ribera, 1996; M. A. RUSSO, I Pe-

ralta e il Val di Mazara nel XIV secolo, Caltanissetta 2003; M. C. PARELLO, M. S. RIZZO, Il Castello di Poggio Diana nella valle del

Verdura (Ribera - AG), Archeologia Medievale nell’Italia centro meridionale. Insediamenti e territorio, Atti del VI Congresso di Ar-cheologia Medievale, in c.d.s.

L’edificio è proprietà del Comune di Ribera. La Soprintendenza BB.CC.AAdi Agrigento ha effettuato un primo intervento di restauro negli anni 2005-2006.

Il sito, nei pressi della strada provinciale Sciacca-S. Anna di Caltabellotta, presenta tracce di frequenta-zione dal periodo greco a quello bizantino ed una seriedi camere e ingrottamenti scavati nella roccia. Si trattadi un’importante testimonianza di architettura rupestre,che, attraverso un considerevole arco cronologico, do-cumenta diversi complessi e varietà di destinazione, daquella cultuale a quella abitativa e a quella funeraria.Rimangono da comprendere i contesti sociali e cultu-rali, che, nel tempo, hanno dato origine a queste strut-ture, prive di qualunque dato cronologico, anche inrapporto alle dinamiche insediative del territorio cir-costante.

Verosimilmente all’età ellenistica appartiene ilsantuario composto da un’edicola e due altari, da cuiproviene un’iscrizione dedicata al dio Sileno, mentredi età tardoromana o bizantina sono una serie di nic-chie e camere, delle quali una presenta graffiti raffigu-ranti teorie di personaggi a piedi o a cavallo, navi ecarri. Di grande interesse la dimora su due piani (bi-zantina?), oggi crollata, e il colombario romano connicchie quadrangolari e semicircolari. Poco più amonte rimangono tombe scavate nella roccia, violate,forse di età ellenistica.

Grattavole

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Per saperne di più: V. GIUSTOLISI, Camico, Triocala, Caltabellotta, Sicilia Archeologica che scompare, Palermo 1982.

Il sito, sottoposto a vincoloarcheologico, si estende nelterritorio dei comuni diSciacca e Caltabellotta.

In contrada Mon-tevergine a S. Anna diCaltabellotta, a seguitodi indagini archeologi-che della Soprinten-denza, sono emersestrutture riferibili adun insediamento data-bile tra l’età tardoan-tica e il Medioevo. Sitratta di ambienti ret-tangolari costruiti asecco, in cui sono statericonosciute tre fasicostruttive distinte. Ilprimo complesso abi-tativo, composto davani orientati in sensoest-ovest e databile alIV-V sec. d.C., presentatracce di distruzioneviolenta, che sono state interpretate come prova dellerazzie vandaliche, testimoniate dalle fonti per la secondametà del V sec. d.C. Sulle strutture si imposta un nuovoabitato, databile al V-VII sec. d.C. con un orientamentoin senso NO-SE e servito da una strada interna. La vitadi questo insediamento, sicuramente a vocazione agri-cola, collegato alla costa attraverso i valloni dei tor-renti e, verosimilmente, anche alla strada costiera chedurante il periodo imperiale congiungeva Agrigentuma Lylibaeum è testimoniata dalla ricchezza di rinveni-menti ceramici pertinenti a forme da mensa in terra si-gillata africana, la caratteristica ceramica ad impastorosso- arancio e vernice più o meno lucente, talora de-corata a stampo o a rotella, che, specie tra il IV e il VIsec. d.C., conosce grande diffusione nei mercati delMediterraneo, così come dalle lucerne, che recano im-pressi sul disco anche i simboli del cristianesimo edalle anfore di produzione nordafricana.

Sul sito, dopo circa quattro secoli di abbandono,si impianta un casale che vive fino al XIII secolo,come attestano la ceramica e le monete federicianerinvenute, con annessa una fornace per la lavorazionedel ferro. Tale testimonianza conferma i dati ricava-bili dalle fonti e dagli stessi toponimi di origine arabacome Kalath Bellut e Gulea (qulai-ah, piccola rocca),circa la frequentazione di questi luoghi in età arabo-normanna.

E’ stata proposta l’identificazione di questo sitocon Triocala, citata da Diodoro come rocca deglischiavi guidati da Trifone durante la seconda guerraservile, e, più tardi, indicata come sede del VescovoPellegrino, martirizzato alla metà del III sec. d.C.

S. Anna di Caltabellotta

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Per saperne di più: V. GIUSTOLISI, Camico, Triocala, Caltabellotta, Sicilia Archeologica che scompare, Palermo 1982; R. PANVINI,Presenze archeologiche di età arabo-normanna e sveva nel territorio di Caltabellotta, in G. CASTELLANA (a cura di), Dagli scavi di

Montevago e di Rocca di Entella. Un contributo di conoscenze per la storia dei musulmani della Valle del Belice dal X al XIII se-

colo, Atti Convegno Nazionale Montevago 1990, Agrigento 1992; R. PANVINI, Ricerche nel territorio di Monte S.Giuliano, M. De-

susino, S.Giovanni Gemini, Caltabellotta, S. Anna, Kokalos XXXIX-XL, 1993-1994, II 1, pp. 762-763.

Il sito è sottoposto a vincolo archeologico. Gli scavi sono stati condotti neiprimi anni ’90 da parte della Soprintendenza di Agrigento, a cura delladott.ssa R.Panvini.

Le origini del Cristiane-simo in Sicilia si legano aicomplessi rivolgimenti di tiposocioeconomico che coinvol-sero il mondo romano nellatarda antichità, con una ritro-vata centralità della campa-gna e un nuovo sistema diproduzione, il colonato, attra-verso cui l’aristocrazia sena-toria promuoveva i suoi inte-ressi fondiari di sfruttamentodel latifondo. In questo qua-dro, la Sicilia entra nell’orbitadella politica imperiale comecaposaldo economico, dive-nendo base strategica nel Me-diterraneo e trait d’union

nelle rotte commerciali da e verso l’Africa. I nuovi in-dirizzi della ricerca sulle origini del Cristianesimo inSicilia tendono a rivalutare anche le testimonianze of-ferte dagli scritti agiografici, che, liberati dalle colori-ture leggendarie e miracolistiche, contribuiscono a de-lineare il profilo culturale della società del tempo. E’,comunque, la ricerca archeologica a supplire alle fontistoriche su questo periodo, assai esigue: il dato cheemerge è la presenza diffusa di insediamenti rurali,che, attraverso gli edifici di culto, i complessi cimite-riali e la cultura materiale, attestano la vitalità di comu-nità cristiane nel territorio agrigentino già a partire dallafine del III sec. d.C. Ad Agrigento, che si annovera trale diocesi siciliane più antiche, l’Encomio di San Mar-ciano tramanda il nome del Vescovo Libertino, martiresotto gli imperatori Valeriano e Gallieno, insieme a SanPellegrino di Triokala, forse identificabile nell’insedia-mento tardoromano di S. Anna di Caltabellotta. Gli stu-diosi riconoscono nella basilichetta mononave absidata,rinvenuta nel vallone S.Biagio sotto la Collina dei Tem-pli, il martyrion (chiesa con tombe di martiri) ad essidedicato, mentre la necropoli sorta nei pressi testimo-nierebbe la pia usanza di seppellire i defunti “ad san-

ctos”. Scavi recenti hanno messo in luce nel territoriodi Eraclea Minoa un’altra basilica cristiana e un lembodi necropoli sub divo ad essa connessa, databili tra il IVe il VII sec. d.C. L’edificio, a tre navate e absidato, pre-senta all’interno sei tombe ed è assimilabile alla basi-lica di Sofiana. La tipologia sepolcrale è a fossa fode-rata da lastroni, mentre i corredi sono costituiti da broc-che acrome e monili in bronzo, argento e oro. Da unatomba proviene un frammento di testa marmorea del

IV sec. d.C. Anche a Vito Soldano,

presso Canicattì, il toponimo“Ecclesiastra” po-trebbe riferirsi adun riuso delleterme come chiesacristiana.

Il Cristianesimo nel territorio agrigentino

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Per saperne di più: C. MERCURELLI, Agrigento paleocristiana, Atti Pontificia Accademia Romana di Archeologia, Memorie VIII,1948, pp. 68-69; E. DE MIRO, Agrigento paleocristiana e bizantina, Felix Ravenna CXIX-CXX, 1980, pp. 131-171; R. M. BONACASA

CARRA, Quattro note di Archeologia cristiana in Sicilia, Palermo 1992; G. FIORENTINI, Attività di indagini archeologiche della So-

printendenza Beni Culturali e Ambientali di Agrigento, Kokalos XXXIX-XL, 1993-1994, II 1, pp.717-733; G. FIORENTINI, La basi-

lica e il complesso cimiteriale paleocristiano e protobizantino presso Eraclea Minoa, Byzantino - Sicula, Atti I Congresso Interna-zionale di Archeologia della Sicilia bizantina, Palermo 2002, pp. 223-242.

Eraclea Minoa:

Planimetria della basilica

e della necropoli.

Eraclea Minoa.

Necropoli

paleocristiana.

Brocche acrome.

L’importante sito indigeno ellenizzato di contradaSan Benedetto di Caltabellotta ha restituito numerosetracce che lo connotano come luogo privilegiato perl’insediamento umano già a partire dall’età preistorica.Gli scavi nell’abitato infatti hanno fornito una notevolequantità di dati che ne descrivono numerose ed impor-tanti fasi di vita. Al di sotto dei resti dell’abitato grecodi fine VI- inizi V sec. a. C. sono state ritrovate tracceconsistenti di un villaggio capannicolo indigeno data-bile tra l’VIII ed il VII sec. a. C. con materiale perti-nente all’orizzonte di S. Angelo Muxaro-Polizzello. In-dagini recenti, inoltre, hanno messo in luce un tratto dimuro cui sono associati materiali appartenenti all’etàdel Bronzo Recente.

Il centro indigeno, a partire probabilmentedalla metà del VI sec. a. C., sotto la spinta espansioni-stica di Selinunte, subisce una forte ellenizzazione inconsiderazione della grande importanza rivestita nelcontrollo della Valle del Verdura. Dopo una distruzionedatata alla metà del V sec. a. C., che è stata messa inrelazione con la rivolta dei Siculi contro i Greci gui-data da Ducezio, la città rinasce agli inizi del IV sec.a. C., probabilmente come phrourion cartaginese inse-rito lungo la linea di difesa che corre tra il Platani edBelice e subisce una distruzione, che sarà definitiva,agli inizi del III sec. a.C., probabilmente in seguito aglieventi della Prima Guerra Punica. Delle epoche suc-cessive sono state trovate solo tracce sporadiche di fre-quentazione.

Della città è stato in parte individuato il perime-tro della cinta muraria. Sono stati infatti messi in lucetre lunghi tratti di muro e due torri circolari. Il muro ècostruito nella tecnica ad aggere ed il suo impianto ri-sale alla fine del VI-inizi V sec. a.C.; saggi stratigra-fici hanno documentato rifacimenti degli inizi del IVsec. a.C.

Per quanto riguarda l’organizzazione degli spaziurbani si conosce una vasta e monumentale area diculto caratterizzata da edifici sacri costruiti con grandiblocchi squadrati e definiti da un imponente porticoposto lungo il lato sud del pianoro e di cui rimangonoi tagli di fondazione. Secondo gli scavatori l’area harestituito due fasi d’uso, la prima collocabile tra la fine

del VI e gli inizi del V sec. a. C., la seconda ascrivibileal IV sec. a.C., successiva all’avanzata cartaginese.

Al periodo greco arcaico appartiene anche unapiccola abitazione monocellulare, posta vicino ad unadelle torri integrate nel sistema di fortificazione, il cuistrato di crollo sopra il pavimento in terra battuta harestituito materiali molto interessanti. Tra questi un’oi-

nochoe bronzea di tipo rodio rinvenuta insieme a ce-ramica indigena e a ceramica d’importazione. Altri am-bienti attestano una continuità di frequentazione chearriva fino alla metà del V sec. a.C. Si data invece agliinizi del IV sec. a.C. la risistemazione dell’impiantourbano ed un rifacimento delle fortificazioni.

I dati relativi all’abbandono del sito, come giàdetto, riportano ad una datazione tra la fine del IV edi primi anni del III sec. a.C.

San Benedetto di Caltabellotta

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L’area archeologica, recintata, sottoposta a vincolo archeologico e in parteacquisita al demanio regionale, è stata recentemente oggetto di indagininell’ambito di un progetto POR per la valorizzazione e la fruizione del sito.

Per saperne di più: R. PANVINI, Scavi e ricerche a Caltabellotta tra il 1983 ed il 1985, Kokalos XXXIV-XXXV, 1988-1989, II, pp.559 ss.; R. PANVINI, Contributo alla conoscenza di un centro indigeno ellenizzato presso Caltabellotta (Agrigento), Quaderni dellaFacoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Messina, 2, 1989, pp. 105 ss.

Tra i motivi che determinarono la migrazione deiGreci verso Occidente, la ricerca di terre da coltivare fusicuramente uno dei più importanti. Nelle colonie da lorofondate, oltre che lingua, tradizioni, religione, trasferi-rono anche il loro modello di vita, quello del contadinoche vive dei prodotti ricavati dal proprio podere. Proprioper questo l’atto della colonizzazione coincise con quellodella spartizione delle terre tra coloro che avevano intra-preso il lungo ed incerto viaggio verso terre ignote e lon-tane. Ed uno dei primi problemi che si pose, non appenale comunità dei coloni cominciarono a crescere, fu quellodell’acquisizione di nuove terre a danno delle popola-zioni indigene. La ricerca archeologica, infatti, ha dimo-strato come l’idea dell’eremos chora trasmessaci dallefonti storiche greche non corrisponda affatto alle realtàarcheologiche che sono emerse in oltre un secolo di ri-cerche sistematiche. E’ stato infatti ampiamente docu-mentato il fatto che numerose colonie, quali Siracusa,

Lentini, Selinunte e Lipari, solo per citarne alcune, sonosorte su abitati indigeni o nelle vicinanze. Oltre alla ri-cerca di terre, causa sostanzialmente di contrasti e scon-tri, altri importanti motivi spinsero presto i Greci ad in-trattenere rapporti con le popolazioni indigene, da un latoil bisogno di donne per garantire un’adeguata crescita de-mografica, dall’altro la ricerca di forza-lavoro maschileda impiegare nella coltivazione della terra e nelle produ-zioni artigianali: queste forme di contatto ebbero esiti di-versi. In alcuni casi comportarono l’allontanamento for-zato degli indigeni dalle aree occupate dai greci fino aprovocare l’abbandono di numerosi siti, in altri si giunsea forme di alleanze, in altri ancora furono fatti dei tenta-tivi di convivenza talvolta falliti.

Se questi si possono considerare sommariamentegli esiti, per i Greci, dei contatti con le popolazioni indi-gene dei Siculi, dei Sicani e degli Elimi, anche le rea-zioni degli indigeni, derivate dal contatto con la civiltàgreca sono diverse e di varia natura. La loro organizza-zione sul territorio, per esempio, attraverso passaggi gra-duali, da un sistema di villaggi sparsi arriva a vere e pro-prie forme urbane, con l’introduzione, in molti casi, dischemi urbanistici regolari in cui appaiono ben distintele aree pubbliche da quelle private. Così le forme dell’ar-chitettura domestica riprendono presto quelle delle casegreche e nelle necropoli vengono introdotte tipologie se-polcrali proprie del mondo greco quali l’enchytrismos,

l’inumazione in fossa, l’incinerazione. Si innesca dun-que un fenomeno generale definito dagli studiosi “accul-

turazione” secondo cui le popolazioni indigene assun-sero modi di vivere “greci”. Nel territorio di competenzadella Soprintendenza BB.CC.AA. di Agrigento due cen-tri abbastanza esemplificativi di questi processi di tra-sformazione sono quello sul monte San Benedetto di Cal-tabellotta ed il sito sul monte Saraceno di Ravanusa, allecui schede si rimanda per seguirne l’evoluzione.

Contatti tra Greci

e Indigeni

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Per saperne di più: V. LA ROSA, Le popolazioni della Sicilia: Sicani, Siculi, Elimi, in G. PUGLIESE CARATELLI (a cura di), Italia, om-

nium terrarum parens, Milano 1989; R. M. ALBANESE PROCELLI, Siculi, Sicani ed Elimi, forme di identità, modi di contatto e processi

di formazione, Milano 2003.

Museo di Siracusa. Villa-smundo. Necropoli del Mar-cellino. “Deinos”.

Museo di Siracusa. Villa-smundo. Necropoli del Mar-cellino. “Hydría”.

La Sicilia in età greca, con le colonie greche e fenicio-puniche e l’area

considerata tradizionalmente occupata dalle popolazioni indigene: sica-

ne, sicule ed elime.

A poca distanza daSciacca, a 7 km dalla costa, sieleva un imponente sperone roc-cioso, alto m 599, occupato inantico, per la sua posizione emi-nente e per la valenza strategicain relazione al percorso della Se-

linountia odòs, la strada che col-legava Selinunte, passando daHeraclea, con Akragas.

Le campagne di scavo, apartire dagli anni settanta, hannomesso in luce vaste porzioni diun insediamento risalente al IVsec. a. C., protetto da poderosefortificazioni, probabilmente dariferire al potenziamento dellalinea di difesa della eparchìa

cartaginese nel periodo delleguerre contro Dionigi I.

L’abitato, con strade nonortogonali ed edifici parzial-mente ricavati nella roccia, gravitanti attorno a cortilicon cisterne a campana, ha restituito testimonianze ce-ramiche e monetali, come ad esempio le anfore a si-luro e le monete con testa femminile e cavallo, cheascrivono il centro ad un’area di cultura punica. Note-voli anche alcuni oscilla configurati a gorgoneion.L’area della necropoli, che non è stata ad oggi inda-gata, si estendeva probabilmente alle pendici setten-trionali del colle. Il pendio orientale, il più accessibile,

risulta fortificato da una doppia linea ad aggere, contorrioni e postierle.

Questo imponente sforzo difensivo è verificabilein altri siti coevi, di pari importanza strategica, postisulla sommità di rilievi, quasi in allineamento ottico,a controllo delle vie di penetrazione verso l’interno,come Monte Adranone, e S. Benedetto di Caltabel-lotta. Pure in assenza di rinvenimenti si può ipotizzareanche Monte Kronio come parte di questo sistema dialture tra il Verdura e il Belice attraverso cui si mosse,già nel VI sec. a.C., la penetrazione selinuntina versoEst.

La fine improvvisa dell’abitato di Rocca Nadore,agli inizi del III sec. a.C., potrebbe essere messa in re-lazione alle operazioni belliche di Agatocle o alla spe-dizione di Pirro.

Rocca Nadore

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Il sito, in passato interessato da lavori di cava sul fianco ovest del monte, èstato sottoposto a vincolo archeologico e ad esproprio. Sono in corso inda-gini da parte dell’Università degli Studi di Palermo, grazie ad una conven-zione scientifica con la Soprintendenza BB.CC.AA. di Agrigento nell’am-bito di un progetto POR di valorizzazione del sito. Presso l’area archeolo-gica, recintata e visitabile, è in corso di allestimento un piccolo antiqua-rium documentario in un casale restaurato.

Per saperne di più: G. BEJOR, Scavi del Phrourion punico ellenistico di Rocca Nadore, Kokalos XVIII-XIX, 1972-1973 pp. 247-250;

G. BEJOR, L’abitato e le fortificazioni di Rocca Nadore presso Sciacca: una notizia preliminare, in ΑΠΑΡΧΑΙ Nuove ricerche e studi

sulla Magna Grecia e la Sicilia antica in onore di P.E. Arias, Pisa 1982, pp. 445-458; E. DE MIRO, Topografia archeologica, in G.PUGLIESE CARRATELLI, (a cura di), Sikanie, Storia e civiltà della Sicilia greca, Milano 1985, p. 574.

A partire dal IV secolo la tec-nica di fortificazione greca conosceun’evoluzione: l’architettura difen-siva statica dei secoli precedenticede il passo a strutture articolateche riflettono le nuove tecniche del-l’assedio, con modifiche architetto-niche studiate per rispondere a mac-chine offensive sempre più evolute.Torri d’assalto furono impiegate perla prima volta durante la spedizionecartaginese in Sicilia del 409 a.C.,mentre Dionisio I, che attraverso isuoi ingegneri, sperimenterà nuovetecniche della poliorcetica, utilizzalitoboli durante l’assedio di Mozia.

Le cinte murarie cercano disfruttare le caratteristiche orografi-che del sito: spesso realizzate sul ciglio dei rilievi perimpedire l’avvicinamento delle macchine da guerra siestendono per un perimetro assai ampio che difficil-mente poteva essere controllato. Il problema fu risoltoattraverso la creazione di diateichismata, muri interniche univano punti opposti del circuito, che risultavanocosì delimitati in settori. Quanto alla tecnica costrut-tiva, in luogo dei muri di conci lapidei, si preferisconostrutture di due filari di blocchi con un riempimentointerno di pietrame (emplekton).

Tale innovazione mirava a contrastare l’urto degliarieti, aumentando lo spessore dell’opera difensiva,che acquisiva elasticità. Anche l’uso del mattone crudosu uno zoccolo di conci lapidei si rivelò resistente efunzionale a subire i contraccolpi. Le torri, circolari esemicircolari, sono via via rese indipendenti dalla cor-tina; si diffonde il tipo di porta “a tenaglia”, che con-sentiva di bloccare il nemico nel corridoio precedenteil varco.

Altro elemento difensivo importante è il fossato,spesso collegato alla fortezza attraverso gallerie, comenel caso del Castello Eurialo di Siracusa, che proteg-gevano più rapidi spostamenti dei soldati e lo sgom-bero dei materiali.

Architettura militare

in Sicilia nel IV sec. a.C.

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Per saperne di più: G. GULLINI, L’architettura, in G. PUGLIESE CARRATELLI (a cura di), Sikanie, Storia e civiltà della Sicilia greca,

Milano 1985, p. 474; H. TRéZINy, L’architettura militare greca in Occidente, in G. PUGLIESE CARRATELLI (a cura di), I greci in Occi-

dente, Calappio di Settala 1996, pp. 347-352; D. MERTENS, Le lunghe mura di Dionigi I a Siracusa, in N. BONACASA, L. BRACCESI,E. DE MIRO (a cura di), La Sicilia dei due Dionisi, Atti Settimana di Studio Agrigento 24-28 Febbraio 1999 (a cura di), Roma 2002.

Gela, Mura di Capo Soprano. Erette nella seconda metà del IV secolo a.C.,presentano, su uno zoccolo di blocchi isodomi, un elevato di mattoni crudi.

Siracusa , Castello Eurialo. Imponente opera di fortificazione eretta sottoDionigi I tra la fine del V e gli inizi del IV, fu ampliata da Agatocle concinque possenti torri angolari, fossati e bastioni.

Contrada Tranchina è situata a circa 11 Km ad Estdi Sciacca sulla Nazionale per Agrigento. La necropolifu casualmente scoperta dal proprietario del fondo nel1957 e nel 1959 si effettuò uno scavo sistematico adopera di Santo Tinè che portò in luce 36 tombe. Que-ste sono tutte del tipo a piccola cameretta ipogeica pre-ceduta da pozzetto circolare, che si apre sul declivedella roccia.

Le tombe sono essenzialmente monosome ad ec-cezione di tre dove sono testimoniate deposizioni col-lettive: la tomba 5 conteneva tre inumati con vasi dicorredo attribuibili allo stile Malpasso-Piano Quartara;la tomba 10 conteneva i resti di quattro scheletri, latomba 30 due scheletri con i vasi di corredo intorno aicrani. Nella tomba 29 è testimoniato il rito della colo-

razione del defunto in ocra rossa, secondo un uso ri-scontrato nella necropoli di Piano Vento.

I corredi sono molto interessanti per il loro carat-tere misto. Si nota infatti sia nella decorazione che nelleforme vascolari una fusione di elementi tipici dell’am-biente culturale occidentale tipo Conca d’Oro ed orien-tale tipo S.Cono. Sono presenti le ciotole decorate nellostile della Conca d’Oro e i cosiddetti bicchieri di Ca-rini, di cui uno presenta una decorazione costituita dauna fascia reticolata marginata da linee incise caratte-ristica dei complessi orientali tipo grotta Zubbia.

Contrada Tranchina

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Per saperne di più: S. TINÈ, Età del rame in Sicilia e “cultura” tipo Conca d’Oro, Bollettino di Paletnologia Italiana 1960-61, pp.16-18.

Il sito è stato sottoposto a vincolo archeologico ed esproprio. Nell’area,recintata e visitabile, sorge un piccolo antiquarium iconografico.

Planimetria e sezione di alcune tombe

Il tipo di tomba a grotticella artificiale che carat-terizza l’eneolitico siciliano (III millennio a.C.) rap-presenta un radicale mutamento rispetto al neolitico(VII-IV millennio a.C.) in cui il tipo di tomba utiliz-zato era la semplice fossa scavata nella terra.

In Sicilia si possono cogliere i vari momenti dellaprogressiva diffusione di queste strutture tombali e delrituale funerario ad esse connesso. In un momento ini-ziale dell’Eneolitico, alla necropoli di Piano Notaro,nei pressi di Gela, costituita unicamente da tombe afossa, si affiancano le necropoli di Piano Vento e S.Cono dove le tombe a fossa si associano a grotticelleartificiali. In altre necropoli, come quelle di Roccazzoe Tranchina, le tombe a grotticella artificiale risultanoesclusive.

Non conosciamo con esattezza il meccanismo diintroduzione di questa nuova tipologia tombale, ma èprobabile che coincida con un profondo mutamentosocio-culturale e spirituale: la tomba a fossa non per-metteva infatti un facile riconoscimento successivo nonpotendo essere riutilizzata, mentre la grotticella, chiusada un portello litico, consentiva la facile identificazionedel sepolcro. Evidenti segni di riaperture delle tombeper sepolture continuate nel tempo, sono i moltepliciesempi di rimaneggiamento e selezione delle ossa, avolte ammucchiate, altre accuratamente selezionate, so-prattutto crani e ossa lunghe. La tomba a grotticella puòessere pertanto l’esito e la risposta ad un processo diaggregazione sociale di tipo parentelare per cui il se-polcro viene reso identificabile, rivisitabile, assolvendo,attraverso il culto degli antenati, una importante fun-zione di identificazione e coesione familiare.

La diffusione dell’uso delle grotticelle artificialisi estende verisimilmente dalle regioni dell’Italia me-ridionale alle isole. In Puglia le prime strutture ipogei-che sono documentate a partire dal Neolitico mediocon una piena affermazione nel neolitico finale in con-comitanza con l’aspetto Diana-Bellavista. E’ nell’am-bito della facies del Gaudo che si possono cogliere leevidenze delle varie fasi delle pratiche funerarie con-

nesse con l’uso esclusivo della grotticella artificiale. Icomplessi rituali che accomunano le necropoli dellafacies del Gaudo con la necropoli agrigentina di PianoVento, dovevano prevedere momenti diversi nel rap-porto con il defunto attraverso pratiche rituali che dopoil seppellimento, prevedevano il trattamento dei restiumani, come rimozione delle ossa, selezione e ridepo-sizione di queste, pratiche probabilmente fissate da re-golari scadenze e accompagnate da atti cerimonialiche, dalle evidenze delle necropoli peninsulari delGaudo e siciliane di Piano Vento, si rivelano di note-vole complessità.

La tomba a grotticella artificiale:

la rivoluzione eneolitica

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Per saperne di più: S. TUSA, L’ipogeismo in Sicilia, in L’ipogeismo nel Mediterraneo. Origini, sviluppo, quadri culturali, in Atti delCongresso internazionale Sassari-Oristano 23-28 Maggio 1994, I, pp. 267 ss.; D. COCCHI GENIK, Considerazioni sulle forme del rituale

funerario dell’Eneolitico italiano, in Studi di Preistoria e Protostoria in onore di Luigi Bernabò Brea, Messina 2001, pp. 113-144.

Esempi di tombe a grotticella con evidenti segni di rimaneggiamento eselezione delle ossa da Piano Vento e dall’Italia meridonale.

Contrada S. Giorgioè una vasta area pianeg-giante intervallata dabasse collinette che si af-faccia sul mare, stretta tracontrada Tranchina adEst, il vallone Femmina-morta ad Ovest. Il sitoentra ufficialmente nellaletteratura archeologicagrazie alla scoperta, neglianni Cinquanta del se-colo scorso, del monu-mento funerario comune-mente conosciuto come il“dolmen di Sciacca”.

La tomba sorge sulcrinale occidentale dellacollina che guarda al val-lone Femminamorta, inarea non idonea alla col-tivazione e per questosalvatasi dalla distruzione. E’ ricavata in un grandemasso isolato che è stato scolpito, lavorato, su tutti ilati. All’interno del grande masso è stata ricavata latomba a grotticella a pianta circolare e alzato a pareticonvesse, preceduta da un anticella/vestibolo a piantarettangolare allungata con angoli arrotondati e facciatamonumentale scolpita con banchina su cui è una seriedi coppelle e canalette.

Immediatamente davanti il vestibolo, è unagrande lastra di forma irregolarmente rettangolare che,come documenta una foto datata al giugno del 1963,si trovava ad una decina di metri di distanza e che èstata successivamente rivoltata nell’ambito di lavori dimiglioramento fondiario. In questa grande lastra, comedocumenta la foto, sono aperte una serie di vaschettee coppelle di varie dimensioni.

Il pesante lastrone di copertura posto al di sopradella grotticella conferisce alla tomba un aspetto mo-numentale “dolmenico”. E’ di forma rettangolare al-lungata con le estremità rastremate e arrotondate: è

lungo m 4.00, larghezza media m 1.20 e con spes-sore medio di m 0,50. Sulla superficie superiore sonouna serie di coppelle e incavi quadrangolari dispostisecondo una linea continua parallela da Nord versoSud.

Il dolmen è pertanto ricavato interamente in unenorme masso naturale, la cui superficie è stata sca-vata, levigata e scolpita su tutti i lati. Degli innumere-voli dolmen distrutti dalle opere di miglioramento fon-diario, sono testimonianza centinaia di enormi lastroniaccatastati in varie parti dell’areale e su cui sono visi-bili canalette, coppelle, fori passanti, vaschette che lidefiniscono come elementi propri delle tombe (lastronidi copertura) o come elementi connessi con i monu-menti dolmenici.

Nei pressi del dolmen negli anni Sessanta del se-colo scorso si rinvenne una brocchetta attribuibile al-l’orizzonte di Malpasso e vari frammenti di coppe e te-glie a costolature interne caratteristiche di contesti del-l’Eneolitico finale (seconda metà III millennio a.C.).

Contrada S. Giorgio

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Per saperne di più: V. GIUSTOLISI, Camico, Triocala, Caltabellotta, Sicilia Archeologica che scompare, Palermo 1982.

In Sicilia il “fenomeno me-galitico” ha acquisito solo intempi recenti contorni meno sfu-mati. Fino alla prima metà delNovecento infatti era conosciutoun unico dolmen, a Mura Pregne,presso Termini Imerese e solonella seconda metà del secolonuove e sempre più frequenti ac-quisizioni hanno contribuito a de-finire meglio forme e tipi dell’ar-chitettura di tipo megalitico sici-liano. L’elemento che distingue ecaratterizza le costruzioni di tipodolmenico siciliane consiste in-nanzitutto nel fatto che sono rica-vate da emergenze rocciose pree-sistenti, con adattamenti e inte-grazioni alle lacune della roccia,oltre alle dimensioni piuttosto ridotte, caratteristica cheha portato Sebastiano Tusa a coniare il termine di “me-galitismo ridotto”.

La definizione di pseudo-dolmen adottata dalTusa per monumenti simili, nasce dall’esigenza di sop-

perire alla mancanza di un termine appropriato per imonumenti siciliani che, pur avendo nello schema tri-litico la più vistosa caratterizzazione, non si possonoinquadrare nella classica tipologia del dolmen europeo.

Nel dolmen di Sciacca si riscontrano tutti queglielementi che in uno studio recente sono stati definiti“elementi cultuali”, coppelle, vaschette, canalette, foripassanti e nicchiette, elementi che, sebbene certamenteconnessi con i monumenti dolmenici, non sono peròdeterminanti per la loro struttura; questi possono tro-varsi sui lastroni di copertura, sugli ortostati o anchesu massi nelle immediate vicinanze dei monumentistessi.

Accomunati da standard dimensionali pressochèuniformi, gli esempi di dolmen siciliani esprimono inpochi tipi e forme il comune modello architettonico ba-sato, con l’eccezione del dolmen di Sciacca, sul con-cetto del trilite. La cronologia dei dolmen siciliani èincerta data la mancanza di scavi sistematici, anche seè costante l’associazione con materiali dell’eneoliticofinale e del bronzo antico.

Il fenomeno megalitico in Sicilia

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Per saperne di più: S. TUSA, L’ipogeismo in Sicilia, in L’ipogeismo nel Mediterraneo. Origini, sviluppo, quadri culturali, in Atti delCongresso internazionale Sassari-Oristano 23-28 Maggio 1994, I, pp. 267 ss.; S. TUSA, Il megalitismo e la Sicilia, in Prima Sicilia.

Alle origini della società siciliana, Palermo 1997, pp. 333.

Dolmen di Cava dei Servi

Dolmen di Mura Pregne

La cosiddetta grottadel Kronio si apre sullasommità del monte S.Calogero a Sciacca, acirca 386 m s.l.m. Da ungrande bacino di acquetermali sottostanti ilmonte, arrivano nellegrotte potenti flussi di va-pori caldi che ne hannosegnato, sin dalla anti-chità più remota una par-ticolare specificità. Losfruttamento di questi va-pori a scopi terapeutici ènoto sin dall’antichità eancora in epoca greca legrotte furono frequentatea scopo rituale come di-mostrano le numerose of-ferte votive (vasetti, lucerne, statuine) contenute neglistrati superficiali del Buco del Fico e dell’Antro Fa-zello.

Nel corso del V sec. d.C. la frequentazione dellagrotta viene ripresa dopo che l’eremita Calogero viprese dimora dispensando da qui miracolose guarigionia uomini e animali. Alla fine degli anni Cinquanta delsecolo scorso S. Tinè con un gruppo di speleologi trie-stini esplorò il fondo della grotta dove si rinvenne un

gruppo di vasi integri ein situ, costituiti da pi-

thoi quadriansati asse-gnabili all’ età del rame.Altri vasi sono dispostiin altre parti della galle-ria e sono stati interpre-tati come depositi con-nessi ad un rito religiosocelebrato nella parte piùprofonda della grotta inonore di una divinitàconnessa forse al feno-meno endogeno. Nel 1962 e 1963 attraverso due cam-pagne di scavo condotte dalla Soprintendenza di Agri-gento con la collaborazione del CAI di Trieste si scavòlo spesso deposito che aveva ostruito la galleria delBuco del Fico dal Neolitico fino alla tarda antichità.

Monte Kronio

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Per saperne di più: S. TINÈ, Età del rame in Sicilia e “cultura” tipo Conca d’Oro, Bollettino di Paletnologia Italiana 1960-61, pp.125-126; S.TINÈ, La campagna di scavo del 1986 nell’antro Fazello del complesso “Stufe di San Calogero” del monte Kronio di

Sciacca (AG), in La preistoria del basso Belice e della Sicilia meridionale nel quadro della preistoria siciliana e mediterranea, Pa-lermo 1994, pp. 245-261.

E’ in allestimento un piccolo antiquarium dove saranno esposti alcuni deireperti più significativi delle diverse fasi di occupazione delle grotte, dal Neo-litico al V sec.d.C.

Le cavità carsiche risultano antropizzate sin daitempi più antichi e per tutta la preistoria è documen-tato l’utilizzo delle cavità naturali come uno dei luo-ghi d’elezione per l’esercizio dei rituali di culto. RuthWhitehouse, esemplificando le diverse evidenze chepossono svelare l’uso cultuale delle grotte, ha sottoli-neato l’importanza del “secrecy theme”, che si realizzanella localizzazione in posti sotterranei e nascosti, nelladifficoltà di accesso e nella mancanza di fonti lumi-nose. Elemento non meno indicativo è la presenza diacqua, nella forma liquida o vaporosa, la deposizionedi vasellame, in genere di buona qualità e la presenzadi sepolture. Tutti questi elementi rientrano quindi inquelle manifestazioni che esulano dal quotidiano e dalfunzionale.

Molte sono le cavità carsiche nel territorio agri-gentino che presentano tali caratteristiche: stillicidiodelle acque, formazioni di stalattiti e stalagmiti, ema-nazioni vaporose, difficoltà di accesso, ristrettezzzadello spazio, mancanza assoluta di luce, presenza divasellame di buona qualità e sepolture. A S. GiovanniGemini la grotta dell’Acqua Fitusa, così chiamata dauna sorgente di acqua sulfurea che scaturisce alla basedell’alto costone roccioso dove si apre la grotta, risultaantropizzata sin dal Paleolitico Superiore, come risultaanche da una datazione al C14 di un focolare che ha

fornito la data di 13.760 + - 330 (11.810) che permettedi collocare il deposito alle fasi finali dell’epigravet-tiano siciliano. Il sistema carsico è costituito da lunghie angusti corridoi che conducono a sale più ampie, al-cune delle quali caratterizzate dalla presenza di unasuggestiva formazione di stalattiti e stalagmiti. Allaprima fase di occupazione della grotta da parte di ungruppo di cacciatori paleolitici segue un lungo hiatus

fino ad età eneolitica (III millennio a.C.). Le modalitàdi occupazione della grotta in questo periodo non sonomolto chiare. Sicuramente una parte di essa venne uti-lizzata come necropoli, come risulta dalle sepolturesconvolte da scavi clandestini nel cunicolo nord. Laceramica rinvenuta contempla i diversi stili ceramicieneolitici: la ceramica a decorazione incisa S. ConoPiano Notaro e le ceramiche dipinte dello stile delConzo, Serraferlicchio e Malpasso; alcuni frammentidella cultura di Castelluccio, della Prima età delBronzo rappresenta, ad oggi, l’ultima fase di occupa-zione della grotta.

Simili caratteristiche presenta la grotta Zubbiapresso Palma di Montechiaro: esplorata per la primavolta nel 1928 da P. Orsi, fu scavata successivamenteda S. Tinè negli anni Cinquanta del secolo scorso. Loscavo si rivelò importantissimo in quanto fu possibiledocumentare una sequenza stratigrafica delle cultureeneolitiche siciliane, Malpasso, Serraferlicchio, PianoNotaro e neolitiche con le culture di Diana e Stenti-nello. Molto suggestiva la grotta Palombara pressoRaffadali dove una serie di vasi dipinti nello stile di S.Ippolito e tazze dello stile di Malpasso, sono stati rin-venuti deposti stanti al di sotto di tronconi di stalattiti,evidentemente quindi destinati alla raccolta delle acquedi stillicidio, considerate salutari o purificatrici.

La grotta

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Per saperne di più: R.D. WHITEHOUSE, Underground Religion. Cult and culture in Prehistoric Italy, Accordia Specialist Studies onItaly, I, London.

Brocca dipinta nello stile S. Ippolito in una nicchia della grotta Palom-

bara a Raffadali

Formazioni di stalattiti e stalagmiti

Su un’altura a poca distanza da Sambuca di Sici-lia, rimangono le imponenti rovine di un centro, chevisse tra l’VIII e il III sec. a.C. in un’area compresa tral’area di influenza sicana e quella elimo-punica. Dalcontatto con tali diverse culture discende la complessafisionomia di questo sito, che grazie alla sua posizioneeminente rivestì anche un’importante valenza strate-gica sia nella fase più arcaica in relazione al percorsodella Selinuntia odòs, la strada che, collegando Seli-nunte con Akragas, consentì la penetrazione selinun-tina, sia in età ellenistica, quando divenne, probabil-mente, caposaldo di quel sistema di piazzeforti realiz-zato da Cartagine a difesa dei confini della propriaeparchía in Sicilia. Si è proposto di identificare il sitocon l’Adranon menzionato da Diodoro in relazione allaprima guerra punica, che i Romani tentarono invano diespugnare: le testimonianze di frequentazione si fer-merebbero comunque al III sec. a.C.

La vasta area archeologica si estende sui terraz-zamenti dell’altura a partire dalle pendici meridionalidove era la necropoli, con diverse tipologie sepolcrali:

tombe a camera ipogeica, fra cui la c.d. Tomba dellaRegina, riferibili alla fase di VI-V sec. a.C. e a cassa,rivestite da blocchetti di marna databili nel IV sec. a.C.A difesa dell’abitato fu eretta a partire dal VI sec.a.C.una possente cinta muraria, che subì diverse fasi edi-lizie legate alla storia del centro: sono in luce i restimonumentali della Porta Sud e della Porta Nord, fian-cheggiate da torrette. Ai piedi dell’Acropoli era un’areasacra con un edificio a pianta rettangolare, bipartito: lapresenza di due betili svela l’appartenenza alla matricereligiosa punica. Stessa connotazione ha il tempio tri-partito eretto sulla cima dell’Acropoli, con il vano cen-trale ipetrale, la cui pianta subisce modifiche nel corsodella lunga vita del sito, pare anche in relazione all’af-fermarsi del culto di Baal-Hammon e di Tanit nellezone di influenza cartaginese. A Sud in area extraur-bana intorno alla metà del IV sec. a.C. venne costruitoil grandioso complesso destinato a laboratori, attivitàartigianali e agricole. In area extra-urbana presso laPorta Sud rimangono le strutture di un piccolo santua-rio ellenistico dedicato a Demetra e Kore.

Monte Adranone

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Il sito, noto già dalla fine dell’800, è stato indagato sistematicamentea partire dalla fine degli anni ’60, da parte del Prof. E. De Miro edella Dott.ssa G. Fiorentini per la Soprintendenza BB.CC.AA. diAgrigento. L’area archeologica, demaniale, è visitabile, mentre a Sambuca diSicilia è stato allestito l’antiquarium “Monte Adranone”.

Per saperne di più: G.FIORENTINI, Monte Adranone. Mostra Archeologica, Agrigento 1998; E DE MIRO, Etruschi e Italici a Monte

Adranone, in B. Adembri (a cura di), Miscellanea di Studi per Mario Cristofani, ΑΕΙΜΝΗΣΤΟΣ I, Firenze 2005, pp. 438-450.

Edifici del blocco I.

Fortificazioni. Propugnacolo esterno

E’ all’VIII sec. a. C. che Tucidide fa risalire lafondazione di città nella Sicilia nordoccidentale daparte dei fenici, nello stesso momento in cui le poleis

greche fondano le loro apoikíai in Occidente. Mozia,Panormo e Solunto vivono a stretto contatto conl’ethnos elimo, presente nelle città di Erice e Segesta.Per tutto il VII secolo non ci sono indizi di scontri trale comunità greche e quelle fenicie, neppure quandoviene fondata la città di Selinunte, proprio al confinetra le due sfere di influenza. La battaglia di Himera del480 a.C. rappresenta il primo scacco da parte dellasymmachìa siracusano-agrigentina contro il tentativoespansionistico della città di Cartagine, la più potentedelle colonie fenicie nel Mediterraneo.

All’indomani dell’invasione cartaginese in Sici-lia nel 409-406 a.C., che portò alla distruzione dellegrandi poleis di Selinunte, Himera, Akragas e Gela, sisusseguono una serie di guerre condotte da Dionisio Idi Siracusa e dai suoi successori, nel tentativo di argi-nare la potenza punica che, da quanto è possibile ar-guire dai trattati di pace,stabilì una sorta di predo-minio, indicato dallefonti con i termini di epi-

krateía e eparchía, sullaSicilia nordoccidentaleattraverso la militarizza-zione di alcuni punti stra-tegici, decisivi, anche piùtardi, nelle operazionibelliche contro Pirro econtro Roma. Nel 374a.C., in seguito alla batta-glia del Kronio combat-tuta contro Dionigi I, sistatuì il limite di tale ter-ritorio al corso dell’Haly-kos, probabilmente ilPlatani. Il controllo eser-citato da Cartagine inquesta parte dell’Isolanon sarà scevro di implicanze di carattere culturale e

di fenomeni di scambio, specie sotto il profilo reli-gioso, con la presenza di edifici di culto tipicamentepunici in contesti dalla chiara fisionomia greca, comenel caso di Solunto, ovvero, di templi greci destinati ainuovi dei, come prova il simbolo di Tanit con caduceonel pavimento a mosaico del pronao del Tempio A diSelinunte. Anche la cultura materiale testimonia la pre-senza di tali contatti, come ad esempio a Lilibeo, lacittà fondata da Cartagine dopo la distruzione di Moziada parte di Dionigi I nel 397 a.C., dove i corredi fune-rari presentano forme di produzione punica (come lelucerne bilicni a becchi aperti) accanto a vasellame ditradizione greca (ceramica a vernice nera e sovraddi-pinta). Alla fine del V secolo a.C. hanno inizio le primeemissioni monetali cartaginesi in Sicilia, puniche nellalegenda e nei tipi prescelti – avancorpo di cavallo epalma da dattero-, ma greche nell’aspetto formale e nelnominale, il tetradramma. Dai rinvenimenti, la circo-lazione della monetazione siculo-punica appare stret-tamente connessa alla politica militare di Cartagine.

Contatti tra Greci e Punici

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Per saperne di più: AA.VV., I Cartaginesi in Sicilia all’epoca dei due Dionisi, Kokalos XXVIII-XXIX, 1982-1983, pp. 127-277; V.TUSA, I Fenici e i Cartaginesi, in G. PUGLIESE CARRATELLI (a cura di), Sikanie, Storia e civiltà della Sicilia greca, Milano 1985, pp.577-628; P. ANELLO, Rapporti dei Punici con Elimi, Sicani e Greci, Kokalos XXXVI-XXXVII, 1990-1991, pp. 175-213.

Monte Adranone. Tempio punico sull’acropoli. Il vano centrale presenta

due basi per i betili.

La collina di Montagnoli si erge, con pareti altee scoscese, sulla destra del fiume Belice, pochi chilo-metri a Nord della foce. Gli scavi della Soprintendenzadi Agrigento condotti a partire dal 1987 hanno per-messo di accertare la presenza di un insediamento in-digeno posto sulla spianata sommitale di modeste di-mensioni. Lo scavo stratigrafico ha permesso di accer-tare due fasi cronologiche distinte, ben definite dalpunto di vista strutturale, databili rispettivamente allaseconda metà dell’VIII e alla metà del VI sec. a.C. Unafase più antica, collocabile tra il X e il IX sec. a.C. èevidenziata solo da frammenti di ceramica di impastonero di tipo Ausonio II, rinvenuta nei livelli inferiori enon associata a strutture murarie.

La prima fase strutturale è collocata precisamenteal terzo quarto dell’VIII sec. a.C. grazie anche ad unadatazione al C14: l’insediamento è costituito da settecapanne circolari, di cui tre di grandi dimensioni, di-stanziate da altre quattro di modulo più ridotto. Di par-ticolare rilievo la capanna 7, di forma ovale allungatacon battuto pavimentale in terracotta; lungo il latoorientale corre una banchina intonacata costruita conpietrame di piccolo taglio e argilla. Il corredo della ca-panna ne indica la particolare destinazione: anfore,brocche dipinte e vasi a decorazione incisa e impressa.

L’insediamento presenta tracce consistenti di di-struzione che i dati di scavo collocano nel corso delVII sec. a.C., evento probabilmente avvenuto ad operadei selinuntini.

La seconda fase si colloca nel corso della primametà del VI sec. a.C.: si assiste alla trasformazionedella capanna 1 in recinto all’aperto entro cui si rin-vennero varie deposizioni di piccoli vasi, aryballoi, ko-

tyliskoi, olpai, databili tra il medio e il tardo corinzio,e poi ancora anelli, fibule, vaghi di collana. Anche lagrande capanna 7 subisce ristrutturazioni e sulle suemacerie viene costruito un ambiente rettangolare.

Data l’esiguità della spianata sommitale cheospita l’insediamento, si deve ritenere il sito un luogo

politico e religioso particolare con probabile funzionedi controllo del medio corso del fiume: la distruzioneda parte dei selinuntini dovette pertanto avere un si-gnificato politico particolare.

La città vive fino almeno ad età ellenistica e fufortificata nel IV sec. a.C. con un muro costituito dablocchetti di pietra a doppio paramento con la porta ur-bica aperta direttamente nel costone roccioso.

Montagnoli

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Per saperne di più: G. CASTELLANA, Nuovi dati sull’insediamento di Montagnoli presso Menfi, in Terze giornate Internazionali diStudi sull’area Elima, Pisa-Gibellina 2000, I, pp. 263-271.

Due sono le aree sottoposte a tutela nel territoriodi Montevago, oggetto di indagini archeologiche allafine degli anni ’80.

Presso una vallata ricca di acque sorgive, neipressi della baraccopoli, si trova il sito archeologico diMastro Agostino, individuato in seguito ad una ricercadi superficie. Lo scavo ha messo in luce un complessocomposto da vani rettangolari, con muri di ciottoli asecco, databile tra il II sec. a.C. e il I sec. d.C. Alcuniambienti pare fossero destinati ad attività artigianali,come prova anche la presenza di una fornace. Si è rin-venuta una notevole quantità di frammenti di terra si-gillata italica, la caratteristica ceramica fine da mensa,liscia o decorata a stampo, dall’argilla rosata e la ver-nice rosso mattone, più o meno lucente, la cui produ-zione, tra la fine dell’età repubblicana e i primi due se-coli dell’impero, si ascrive ad officine attive in parec-chi centri della Penisola, che contrassegnano il vasel-lame con bolli stampigliati recanti sigle o iniziali,spesso iscritti in un’impronta di piede (in planta pedis).

Anche i tegoli, a sezione ricurva, recano talora bolli sulbordo.

Per la posizione è probabile la destinazione agri-cola di queste strutture, riferibili, con tutta probabilità,ad una grossa fattoria che, a giudicare dall’estensionedelle aree di frammenti in superficie, controllava unaproprietà piuttosto vasta. Echi di sfruttamento agricolodella Sicilia in questo periodo cogliamo nel racconto

di Diodoro Siculo delle guerre servili, combattute nelII sec. a.C., da cui emerge un’economia basata sullamanodopera schiavile impiegata nelle terre di ricchiproprietari, di origine anche italica. Anche Ciceronenon manca di sottolineare il ruolo vitale dell’Isola perl’approvvigionamento granario dell’Urbe.

Il sito archeologico di contrada Caliata, sottopo-sto a vincolo, consta di due complessi archeologici se-parati dalla SS 188, riferibili comunque ad un unicocontesto. Si tratta di un casale medievale, sorto su pree-sistenze di età tardoromana, la cui frequentazione sidata, con due diverse fasi costruttive, dall’XI al XIIIsec. d.C. e della necropoli coeva di sepolture a fossa,che, secondo gli scopritori, documenterebbe il rito fu-nerario musulmano.

Montevago

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Per saperne di più: G. CASTELLANA, Ricerche nel territorio agrigentino, Kokalos XXXIV-XXXV, 1988-1989, II, pp. 536-540; G.CASTELLANA, Il casale di Calliata presso Montevago, in G. CASTELLANA (a cura di), Dagli scavi di Montevago e di Rocca di Entella.

Un contributo di conoscenze per la storia dei musulmani della Valle del Belice dal X al XIII secolo, Atti Convegno Nazionale Mon-tevago 1990, Agrigento 1992.

Nell’area archeologica di Mastro Agostino, espropriata, è in atto un pro-getto POR della Soprintendenza per la fruizione delle strutture antiche.

Mastro Agostino: planimetria della fattoria romana.

Contrada Caliata: necropoli.

Le presenze archeologiche nell’isola di Lampe-dusa sono distribuite sia nell’ area extraurbana sia all’in-terno dell’area oggi occupata dal centro urbano. Tra lepresenze in area extraurbana si segnalano quelle di Capo

Grecale, promontorio roccioso su cui sono disposte nu-merose emergenze note con il nome locale di “Tim-

puna”. Si tratta di semplici strutture di forma irregolar-mente ellissoidale o circolare, spesso riunite in gruppi edelimitate da muri di pietrame a secco. Presenti anchein altre località dell’isola (loc. San Fratello, monte Par-rino, Punta Alaimo, loc. Sopra Imbriacole, promontoriotra le Cale Madonna e Greca) sono state interpretate dal-l’archeologo inglese Th. Ashby come unità abitative ofunerarie di età preistorica. L’indagine archeologica con-dotta nell’area negli anni ottanta ha permesso di censireun centinaio di strutture e di scavarne alcune che perònon hanno restituito dati determinanti per l’inquadra-mento cronologico. Alla luce dei dati raccolti è stataavanzata da A. De Miro una nuova ipotesi interpretativacirca la loro funzione. Si tratterebbe di “manufatti…

concepiti per restituire ad un qualche uso agricolo aree

naturalmente poco adatte alla coltivazione” funzionalialla piantumazione di alberi o viti con la proprietà di evi-tare la dispersione del terreno agricolo e di trattenerel’umidità, probabilmente di età tardo romana-bizantina.All’interno dell’area urbana sono stati rintracciati diversilembi di un abitato di età tardoromana e protobizantina.Nella cosiddetta area I.A.C.P. è stato parzialmentemesso in luce un edificio, di cui sono stati individuaticinque ambienti definiti da muri di pietrame a secco a

doppio paramento e privi di fondazione, e resti moltomal conservati di altre strutture. L’area di piazza Bri-gnone, nella quale sono state fatte diverse campagne discavo fino al 2005, ha restituito un ampio settore del-l’abitato le cui unità abitative presentano le caratteristi-che già descritte. Dallo scavo proviene una notevolequantità di materiale ceramico, in particolare anfore,terra sigillata africana, lucerne, inquadrabile tra il IV edil VII sec. d. C. Nell’area del c.d. Castello, sulle pendicidel promontorio che separa l’insenatura del porto daquella di Cala Salina è stato messo in luce un interes-sante complesso artigianale, impostato su terrazze, co-stituito da vasche rivestite da malta idraulica e daun’area di servizio rivestita in cocciopesto. Si tratterebbedi strutture funzionali ad attività industriali quali la sa-lagione del pesce o la preparazione del garum, in con-nessione con l’abitato di età tardo romana. Si conosceinoltre un’interessante lembo di necropoli, coeva all’abi-tato in località Cala Palma, costituita da un settore di se-polture a fossa sub divo e da un ipogeo, in parte utiliz-zato fino a tempi recenti come stabilimento per la lavo-razione del pescato. L’ipogeo, in parte naturale ed inparte adattato dall’uomo, conteneva tre livelli di sepol-ture corrispondenti alle tre fasi d’uso della necropoli. Letombe, in alcuni casi scavate nella roccia in altri costruitecon lastre, contenevano sepolture che hanno restituitopochissimi elementi di corredo.

Lampedusa

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Lampedusa. Piazza Brignone. Area archeologica.

Per saperne di più: A. DE MIRO, C. ALEO NERO, Lampedusa. Scavi 1985-1988, Kokalos XXXIV-XXXV, 1988-1989, II, pp. 547-550;A. DE MIRO, C. ALEO NERO, Lampedusa: un impianto per la lavorazione del pesce, in Atti della V Rassegna Archeologica Subac-quea, Giardini Naxos 1990, Messina 1992, pp. 45-53; A. DE MIRO, Le strutture curvilinee di Lampedusa: proposta di interpretazione,Quaderni della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Messina 9, 1994, p. 46.

La ricerca sistematica a Lampedusa comincia a partire dal 1985 con la pro-grammazione, da parte della Soprintendenza di Agrigento, di indagini mi-rate alla conoscenza sia dell’insediamento tardo-romano che si estende aldi sotto dell’abitato moderno sia delle emergenze archeologiche dislocate invarie parti dell’isola. Contemporaneamente è stato avviato un programmadi ricognizione sul territorio mirato al censimento dei siti archeologici rima-sti indenni dopo secoli di incuria ed abbandono. Prima di questa data l’isolaera quasi del tutto ignota alla letteratura specialistica tranne che per l’ arti-colo dell’archeologo Th. Asbhy, del 1911, pubblicato negli Annali della Bri-tish School di Roma, in cui sono descritte con puntualità le emergenze ar-cheologiche ancora visibili durante la sua sosta nell’isola nel 1909. Puntodi partenza dunque per l’indagine archeologica nell’isola lo studio ha per-messo di rintracciare diversi siti, in alcuni casi fortemente sconvolti dagliinterventi dell’uomo, e di indagarne alcuni, in concomitanza anche con lenecessità legate al controllo dell’ importante attività edilizia nell’isola so-prattutto nel centro urbano.

In età romana la necessità di conservare le ecce-denze del pescato favorì lo sviluppo di una fiorente in-dustria di salagione del pesce, con stabilimenti sia sullecoste del Mediterraneo che su quelle dell’Atlantico.Veniva salato soprattutto il tonno e numerosi altri pescidi minori dimensioni, ma l’attività più importante delleindustrie conserviere fu quella della produzione delgarum, una salsa di pesce ampiamente apprezzata eutilizzata come condimento a volte mescolato conacqua, vino, olio, aceto.

Prodotto in origine dai greci della regione pon-tica a partire dall’età arcaica, fu presto introdotto inSpagna dove divenne uno dei prodotti principali del-l’industria conserviera dall’età ellenistica fino allamedia età imperiale.

Il garum si otteneva lasciando macerare al soleper mesi intestini di sgombro e tonno e pesci tagliati apezzi o interi sistemati trastrati di sale. Il liquido cosìottenuto veniva filtrato, ver-sato dentro anfore apposite elargamente esportato.

Sono numerose le emer-genze archeologiche di im-pianti per la lavorazione delpesce e per la produzione delgarum, in Sicilia segnaliamogli stabilimenti di S.Vito LoCapo, Levanzo e Lampedusa.

Di solito consistono instabilimenti in cui si alli-neano ampie vasche rivestitein cocciopesto con gli angolismussati per agevolarne lapulizia. In alcuni stabilimentisono state individuate anchedelle piattaforme in cocciope-sto e pozzi o cisterne per l’ap-provvigionamento idrico.

La lavorazione del pescato

e la produzione di “garum”

nel mondo antico

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Per saperne di più: G. PURPURA, Pesca e stabilimenti antichi per la lavorazione del pesce in Sicilia: S. Vito Lo Capo (Trapani), Cala

Minnola (Levanzo), in Sicilia Archeologica, XV, 1982, 48, pp. 45-60; G. PURPURA, Pesca e Stabilimenti antichi per la lavorazione

del pesce in Sicilia: III. Torre Vendicari (Noto), Capo Ognina, Siracusa, Sicilia Archeologica XXII, 69-70, pp. 25-37; G. PURPURA,Pesca e stabilimenti antichi per la lavorazione del pesce nella Sicilia occidentale: IV. Un bilancio, in Atti della V Rassegna di Ar-cheologia Subacquea, Giardini Naxos 1990, Messina 1992, pp. 87-101.

Piazza Armerina. Villa romana. Particolari dei mosaici

Nel centro storico diLicata, presso la piazzaS.Angelo, sorge il con-vento cistercense di S.Maria del Soccorso, notocome la “Badia”. Edifi-cato nel cinquecento edampliato nei due secolisuccessivi, oggi è sede delMuseo Archeologico checustodisce i reperti prove-nienti dal territorio di Li-cata.

L’esposizione segueun criterio di tipo topogra-

fico che documenta attraverso una selezione di pezzisignificativi la presenza di testimonianze antiche.

Il percorso si articola in sei sale, mentre nel chio-

stro sono le statue quattrocentesche delle virtù cardinalie una Madonna del Soccorso di Domenico Gagini. Levetrine della sala 1 ospitano reperti dai vari siti dellaMontagna di Licata, dall’età preistorica a quella romana,mentre nella sala 2 sono documentati gli scavi della con-trada Casalicchio, dove, dopo una fase di età preistorica,si impianta nel VI sec. a.C., un santuario dedicato a De-metra e Kore, un thesmophorion, da cui provengono nu-merose terrecotte di offerenti con il porcellino.

Nelle sale successive sono esposti reperti da Mar-cato D’Agnone, Portella di Corso, Monte Petrulla, Mu-culufa di Bufera, Madre Chiesa. Il vano interrato è de-dicato ai recuperi sottomarini.

Nella carta che segue sono indicati i siti vincolatidel territorio di Licata.

Museo Archeologico “Badia”

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Licata. Monte Petrulla. Necropoli preistorica

Museo Badia. Statua di Demetra

Recentemente inaugurato, si trova nella cittadinadi Ravanusa e raccoglie i risultati degli scavi condottinel sito di Monte Saraceno. L’esposizione è stata curatadall’Università degli Studi di Messina in concerto conla Soprintendenza BB.CC.AA. di Agrigento ed il Co-mune di Ravanusa.

Il percorso di visita si articola in due sale secondoun criterio cronologico e topografico. Un ricco apparatodidattico di pannelli e didascalie, insieme a modellini ri-costruttivi di oggetti antichi, correda l’esposizione.

La lunga vita del sito è documentata da oggetti dicultura materiale a partire dall’Età del Rame e del Bronzofino al III sec. a.C. Ceramica di produzione indigena te-stimonia la fase dall’VIII sec. a.C., mentre per il periodoarcaico si segnalano i frammenti di terrecotte architetto-niche pertinenti ad edifici sacri e le arule fittili.

Dai contesti dell’abitato di età greca vasellame diuso comune, anfore, pesi da telaio testimoniano la vitaquotidiana degli abitanti di questo antico centro. Le ve-trine dedicate alle necropoli offrono una signficativa se-

lezione dei corredi funerari, con vasi di importazione co-rinzia, attica e greco-orientale. Dalla necropoli di ViaOlimpica provengono due sarcofagi a tempietto e unvaso plastico a figure rosse con satiro ed asino.

Museo Archeologico “Salvatore Lauricella”

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Ravanusa.Museo Archeologico. Ricostruzione telaio greco

Il piccolo antiquarium di EracleaMinoa, costruito negli anni Settanta delsecolo scorso dall’arch. Franco Minissi, è ubicato al-l’ingresso dell’area archeologica.

L’unica sala oggi aperta al pubblico ed in corsodi ristrutturazione, ospita una selezione di reperti chedocumentano la storia lunga di Eraclea, dall’Eneoli-tico (III millennio a.C.) all’età bizantina (VII sec. d.C.).

Il percorso inizia con la vetrina n. 1, dove sonoesposti reperti provenienti dal villaggio trinceratoeneolitico individuato e parzialmente portato in lucefuori dall’area della città greca; sono esposti frammentidi grandi piatti e teglie a superficie interna scanalata,fuseruole, coppe su piede databili all’Eneolitico finale.

Il primo impianto della città greca, della secondametà del VI sec. a.C. è documentato attraverso una se-lezione di reperti costituiti da ceramica a figure nere,come kylikes, lekythoi, e da coroplastica votiva, rap-presentata da statuette fittili di divinità assise in trono(Athena Lindia) e da arule votive, tra cui quella am-piamente nota con scena di zoomachia.

Nel secondo ripiano sono esposti materiali dellaprima età ellenistica (seconda metà IV-III sec. a.C.) re-lativi all’abitato di II strato, coevo al teatro; nel terzo equarto materiali della seconda età ellenistica (secondametà III-I sec. a.C.), relativi all’abitato di I strato.

La vetrina 2 ospita una selezione di materialidella seconda età ellenistica relativi ad attività artigia-nali, ami per la pesca, pesi in piombo, varie matrici fit-tili.

Le vetrine 3 e 4 espongono alcuni corredi fune-rari delle necropoli di Eraclea, rispettivamente di etàarcaica (vetrina 3) e di età ellenistica (vetrina 4). Al-cuni esempi di enchytrismoi (sepolture entro grandivasi) sono stati sistemati al centro della sala.

Nella vetrina n. 5, è esposta una selezione di re-perti provenienti dalla basilica paleocristiana e dallestrutture ad essa adiacenti che sorse fuori dalle muradella città nel IV-V sec. d.C.

Nella vetrina n. 6 infine sono esposti reperti pro-venienti dagli insediamenti rurali di età romana di con-trada Castagna e contrada Campanaio.

L’Antiquarium

di Eraclea Minoa

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Statuetta di divinità assisa. Maschera fittile di gorgone. “Pinax” in marmo con scena di gineceo.

Frammento di coppa a superficie scanalata.

Arula fittile con scena di zoomachia.

Grazie ad una convenzione con il Comune diSambuca di Sicilia è stata allestita, presso i locali del-l’ex-Convento di S.Caterina, una mostra di reperti ar-cheologici provenienti dagli scavi di Monte Adranone.

L’Antiquarium, che si articola in tre sale comuni-canti al primo piano, offre una significativa documen-tazione della lunga vita del sito. L’esposizione segueun criterio topografico attraverso una selezione di te-stimonianze dai diversi contesti di scavo: l’acropoli,l’abitato, la necropoli. Pannelli descrittivi documen-tano, attraverso fotografie e planimetrie, la storia delsito e gli esiti delle indagini archeologiche.

Nella prima sala un grande louterion funge da ful-cro espositivo, mentre tra i reperti esposti nelle vetrinea parete, notevoli sono i cinturoni bronzei decorati asbalzo dal settore centrale dell’abitato ed i busti fittilifemminili. Nelle sale successive due vetrine poste alcentro mostrano alcuni dei corredi più significativi dellanecropoli, a partire dalle tombe della fase arcaica (VIsec. a.C) a quelle del III sec. a.C.: accanto ai vasi di pro-duzione indigena, la ceramica di produzione attica, a fi-gure rosse e a figure nere, e gli oggetti in bronzo.

L’Antiquarium

“Monte Adranone”

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Sambuca di Sicilia. Antiquarium “Monte Adranone”. Reperti bronzeidalla Tomba CIV della necropoli di Monte Adranone.

Sambuca di Sicilia. Antiquarium “Monte Adranone”. Cinturoni bronzeidal settore centrale dell’abitato di Monte Adranone.

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69

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Referenze fotografiche

Soprintendenza BB.CC.AA. Agrigento - [email protected] - [email protected] Tel. 0922-552601 - 0922-552554 (URP)

Museo Archeologico Badia di licata 0922-772602ingresso libero. 9.00-13.00; 16.00-19.00. Festivi: 9.00-13.00.

Zona Archeologica Monte S. Angelo di licata 0922-772602ingresso libero. 9.00 - un’ora prima del tramonto; 9.00-19.00 (estate)

Museo Archeologico “Salvatore lauricella” di Ravanusa 0922-880933ingresso libero. 9.00-13.00 (martedì-venerdì)

Zona Archeologica Monte Saraceno di Ravanusa 0922-880933ingresso libero. 9.00 - un’ora prima del tramonto; 9.00-19.00 (estate)

Villa Romana di Durrueli 0922-552503ingresso libero. 9.00-13.00 (lunedì-venerdì)

Zona Archeologica eraclea Minoa 0922-846005ingresso a pagamento . 9.00 - un’ora prima del tramonto; 9.00-19.00 (estate)

Zona Archeologica Monte Adranone 0925-946083ingresso libero. 9.00 - un’ora prima del tramonto; 9.00-19.00 (estate)

Antiquarium Monte Adranone di Sambuca di Sicilia 0925-943147ingresso libero. 9.00-13.00; 16.00-19.00.

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Fotocomposizione e stampa

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RISTAMPA - LUGLIO 2008

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