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Rivista Maria Ausiliatrice 1/14

Date post: 16-Mar-2016
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Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in abbonamento postale – D.L. 353/2003 (conv. in Legge 27-02-2004 n. 46) art. 1, comma 2 e 3 – CB-NO/TORINO MARIA AUSILIATRICE RIVISTA DELLA BASILICA DI TORINO VALDOCCO g e n n a i o - fe b b r a i o 114 4 IL RETTOR MAGGIORE IN ATTESA DEL BICENTENARIO 46 SINDONE. OSTENSIONE in onore di don Bosco28 TIZIANO FERRO: VIVERE CON MISERICORDIA # DUEMILAQUINDICI MENO UNO! 1,70 Euro IT
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114

4 Il RettoR MaggIoRe in attesa del bicentenario

46 SIndone. oStenSIone in onore di don bosco”

28 tIzIano FeRRo: vivere con Misericordia

# dueMilaquindici meno uno!

1,70 euro it

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Il saluto del RettoRe 1 TuTTi inviTATi il 31 gennAio

a tutto campo 4 DA mihi AnimAs, ceTerA Tolle

sfIde educatIve 7 unA nuovA bAby siTTer: il TAbleT8 un PunTo Di svisTA: i rAgAzzi

accoGlIamocI 10 sePArArsi è bello. sì. Forse. Anzi, no.

leGGIamo I vaNGelI 12 unA FAmigliA nuovA

IN cammINo coN maRIa 14 lA signorA mAriA, mADre Di Dio

GIovaNI IN cammINo 16 come sogni lA chiesA Di DomAni?

amIcI dI dIo 18 sono vAlenTino. vi scrivo.

maRIa NeI secolI 20 Don bosco TrA i PresePi

la paRola QuI e oRa 22 gesù “riconosciuTo” DAl PADre

espeRIeNZe 24 sPorT in “reTe”, come Don bosco26 cereA. Don meco!28 «vivo i miei giorni chieDenDo

misericorDiA»32 c’è chi Dice no34 AllA ricercA Dell’essenziAle

sommario

40Direzione:Livio Demarie (Coordinamento)

Mario Scudu (Archivio e Sito internet)

Luca Desserafino (Diffusione e Amministrazione)

Direttore responsabile: Sergio Giordani

Registrazione: Tribunale di Torino n. 2954 del 21-4-1980

Progetto Grafico: at Studio Grafico – Torino

Stampa: Higraf – Mappano (TO)

hic domus mea

inde gloria mea

Corrispondenza: Rivista Maria Ausiliatrice Via Maria Ausiliatrice 32 10152 TorinoCentralino 011.52.24.822 Diffusione 011.52.24.203 Fax [email protected] http://rivista.ausiliatrice.net

Abbonamento: Ccp n. 21059100 intestato a: Santuario Maria Ausiliatrice Via Maria Ausiliatrice 32 – 10152 Torino

Per Bonifici: BancoPosta n. 21059100 IBAN: IT15J076 0101 0000 0002 1059 100

PayPal: [email protected]

Collaboratori: Federica Bello, Lorenzo Bortolin, Ottavio Davico, Giancarlo Isoardi, Marina Lomunno, Luca Mazzardis, Lara Reale, Carlo Tagliani

Foto di copertina: Dario Prodan

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50

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FotoFOTOLIA: Mykola Velychko (10); Torsten Schon (11); .shock (16); Vitaliy Pakhnyushchyy (26); T.Tulic (27); Dmitri MIkitenko (53); SHUT-TERSTOCK: Dmitriy Shironosov (5); FLICKR: tizianoferro (29); DEPO-SIPHOTOS: Depositedhar (6); Foryouinf (12-13); Luciano De polo (16); Laksen (22); Znamenskiy Oleg (23); Michele Piacquadio (32); M a r c o -mayer (40); LaCameraChiara (40); JOHN ROMAN (41); Wai Chung Tang (43); Alena Root (51); Patrick J. Boening (56); Minervastock (58-59) PHOTOXPRESS: STYF (17); Yuri Arcus (41); SYNC-STUDIO: Massimo Paolone (24); Paolo Siccardi (46-47); ALTRI: ImageBank (4); www.domusweb.it (7); Archivio RMA (20-21,42); www.lasesia.vercelli.it (25); www.salesianiperlosport.org (25); L’Osservatore Romano (26); www.facebook.com/tizianoferro/photos_stream (29,30); M.Sticca/Milestone Media (28); Bruno Gallizzi (48-49); Maurizio Brambati (54); Dario Prodan (60)

sempRe coN NoI 36 ADDio A Don giusePPe cAPrA

mamme sulle oRme dI maRIa 38 mADre corAggio

l’avvocato RIspoNde 40 “in vino veriTAs”

mA Può Anche ucciDere...

doN Bosco oGGI 42 Don PAgellA: cAmPione DellA musicA

orgAnisTA44 ADmA Al cAPiTolo generAle 27

cHIesa vIva 46 lA sinDone nel bicenTenArio

Di Don bosco 48 in silenzio nel cuore DellA ciTTà50 un PAneTTone, un brinDisi...

e Poi? 52 nuovo sinoDo:

le sFiDe PAsTorAli DellA FAmigliA

Abbonamento annuo: ............................................... E 13,00Amico .................................................. E 20,00 Sostenitore ......................................... E 50,00 Europa ................................................. E 15,00 Extraeuropei ....................................... E 18,00 Un numero .......................................... E 3,00

54 FrAncesco: il PAPA DAll’AForismA FAcile56 Quel PreTe (inesisTenTe?) Di bAghDAD 58 DomenicA non è Più DomenicA60 che cosA FAreseTi se...

posteR Don bosco, TrA TerrA e cielo

poster

“Perché il malato di lebbra cessi di essere lebbroso, bisogna guarire quelli che stanno bene. Bisogna guarire quelle persone terribilmente fortunate che siamo noi da un’altra lebbra, singolarmente più contagiosa e più sordida e più miserabile: la paura. La paura e l’indifferenza che troppo spesso essa porta con sé”. (Raoul Follereau)

Ninga Shetty, 59 anni, con disabilità

causate dalla lebbra. Grazie al sostegno

di AIFO è diventato un artigiano locale.

Fai della tua vita qualcosa che vale

Foto

di F

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esca

Moo

re

61^ giornata Mondiale dei Malati di lebbrasotto l’alto Patronato del Presidente della repubblica

26 gennaio 2014

AIFO è partner ufficiale dell’OMS-DAR, ed è riconosciuta dal MIUR come ente formativo.

Programma e informazioni sul sito

www.aifo.it

Locandina Lebbra 2014 Hearst Italia 212x280.indd 1 31/10/13 10:48

rivista.ausiliatrice

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Ispirato dalle notizie riguardanti don Giovanni Cocchi, che pochi anni prima di lui aveva tentato di radunare all’interno di un Oratorio i ragazzi di-sagiati di Torino, don Bosco decise di scendere per le strade della sua città e osservare in quale stato di degrado fossero i giovani del tempo.Incuriosito dalla vita e dalle opere di san Giovanni Bosco, battendo le strade del mio lavoro, mi sono fermato a riflettere su quale sia la vera povertà e il disagio che attraversano i giovani del mio tempo per diventare adulti. Di fatto la povertà dei nostri tempi, seppur sembri ritornare prepotentemente in auge una concreta mancanza di soldi e lavo-ro, è figlia di una povertà d’animo e mancanza di desiderio che pare non abbia uguali nella storia dell’umanità. Una gran parte dei ragazzi quasi non sognano più: non combattono per entrare a far parte del mondo, né hanno l’ardire di cambiarlo con le loro idee. Si spengono in una qualche vita tecnologica e sociale che massifica le coscienze e rende le relazioni umane un qualcosa di già visto in tv. Sono annoiati. In declino. La maggioranza degli

un punto di “svista”: i ragazziadulti, in queste nostre società globali ed informa-tiche, gli ruba sempre la scena. Così alcuni di loro, seppur talentuosi e forti, non hanno che locali nei quali identificarsi, stare, e transitare. Discoteche, pub, ristoranti, e viaggi. I viaggi per piacere o per studio sembrano ben rappresentarli quali meta-fora di senso. Non è un caso che gli Ostelli della Gioventù spopolino in tutta Europa. Ma quando stanno male? Quando l’ansia, gli attacchi di panico e la depressione invia loro sms dal profondo, chi li accoglie? Quando somatizzano una mancanza di appartenenza o di riconoscimento, o solamente incominciano a comprendere che l’esistenza è un mistero meraviglioso e duro all’interno del qua-le stare, a chi possono rivolgersi? Quale Ostello pensato per loro da un adulto gli potrebbe dare ospitalità, rincuorarli, ed accompagnarli nel cam-mino che devono necessariamente fare per diven-tare pienamente e responsabilmente essere umani maturi? Chiese, oratori, collegi, e cliniche sono pas-sati di moda. Gli ospedali e le comunità non sono una realtà facile da comunicare, né fanno rima con

sfIde educatIve

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un punto di “svista”: i ragazzi

amore e speranza; figurarsi con carità. L’unica è diventare noi adulti uno specchio e un luogo di relazioni possibili e salutari per i nostri ragazzi.

QuaNdo l’ascolto è uNa paRte della soluZIoNeDa un po’ di tempo ormai, una mia paziente, mi raccontava che trovava un po’ di pace solo imma-ginando di sistemarsi con il letto all’interno del mio studio. Messa di fronte all’evidenza che sembrava venisse in terapia solo per respirare l’armonia e la calma che uno studio ed un appartamento creati-vo le donavano, mi sono permesso di ironizzare:«Certo, sa cosa le dico, perché fermarsi a lei? Affitto un locale di alcune stanze, una per i ragazzi, una per le ragazze, più uno studio per me, due bagni, un salotto in comune per studiare e leggere, du-plico le chiavi per tutti e metto pure a disposizione uno psicologo un’ora al giorno per un colloquio individuale. Dimenticavo, un medico reperibile in caso di emergenza ed un adulto che controlli che non avvengano contatti promiscui ed il gioco è fatto vero? Aspetti, magari lo chiamo anche Ostello Terapeutico della gioventù, unendo così l’aspetto di soggiorno e quello di cura, e siamo a cavallo».Lei, 22 anni, guardandomi radiosa, mi ha risposto... «Perché no, sarebbe fantastico».

Il sIGNIfIcato delle paRole … ostello e teRapeutIcoL’Ostello Terapeutico, si propone come finalità pri-ma quella di essere una realtà nel campo della pre-venzione del disagio giovanile, fornendosi come spazio concreto a mezzo tra una casa moderna ed un luogo di tutela della salute psichica e rela-zionale. L’Ostello Terapeutico è un percorso. Una risposta possibile alle angosce che i giovani adulti sperimentano pensando al loro futuro. Il giovane

adulto, non si è perso, si sta solo cercando. Cerca un posto all’interno del mondo.

Ostello: la location, la cura nell’arredo, è stata studiata per restituire libertà e suscitare desiderio in chi vi entra. Desiderio di apportare il proprio personale contributo all’umanità. Questo nostro Ostello accoglie nella misura in cui un museo di arte contemporanea potrebbe gestire spazi e ca-mere dove si potrebbero tenere corsi di ogni tipo rivolti al benessere psico-fisico-spirituale. L’Ostel-lo è la cura.

Terapeutico: il terapeuta torna ad essere conce-pito come un compagno servitore. È terapeutico, mettersi al servizio di qualcuno ed accompagnarlo nel percorso che riterrà più utile per sé. Gli ope-ratori che gestiscono l’Ostello sono preparati per consigliare il percorso adatto ad ogni giovane fo-restiero che accoglieranno. Stress, ansia, depres-sione, attacchi di panico, ludopatie, compulsioni sociali, problematiche di coppia, verranno approc-ciate sia in maniera classica, con la psicoterapia, sia con tutte le altre attività inserite appositamente per prendersi cura della persona intera che si ri-volge all’Ostello. Arte terapia, danza, training au-togeno, narrazione del proprio romanzo familiare, momenti di preghiera e silenzio, osteopatia, rifles-sologia plantare, fino ad arrivare al dentista per i problemi legati alle ansie notturne e al conseguen-te bruxismo.

L’Ostello Terapeutico garantisce che ogni ragazzo pagherà in base alle proprie reali possibilità econo-miche. Il resto lo metterà una Fondazione Cristiana appositamente strutturata

Luca Arturi, [email protected]

esiste. Aiutatelo a crescere.

Quando Dio mi pensòArturi Luca Editore Intento, 2013 pagine 160, euro 14,00acquistabile dal sito www.otelloterapeutico.it

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accoGlIamocI

C’era una volta una certa tenden-za – falsa e ingannevole – che proclamava: «Separarsi è bello, divorziare tutto sommato rientra nelle possibilità della vita di cop-pia». A sostenere una tesi tanto fuorviante e bugiarda, danno-sa per le persone e altrettanto devastante per la società, erano soprattutto – soltanto pochissi-mo tempo fa – gli oltranzisti di

un certo radicalismo psico-so-ciale, sostenuti da larga parte di quell’intellighenzia mediatica che predicava il relativismo dei valori e il fai da te dell’etica. Ci sarebbe da indagare sugli effet-ti devastanti prodotti in tante co-scienze fragili da questa ignobile vulgata psico-sociale sull’amore e sul matrimonio che in pochi anni ha intaccato modi di pensare e di

separarsi è bello.sì. Forse. Anzi, no. La separazione apre la strada a grandi sofferenze, non soltanto personali. Anche nelle situazioni più difficili si può e si deve valutare sempre la possibilità di ricominciare insieme.

agire. Ideologie pericolose tra-vestite da verità fasulle che sono diventate convinzioni collettive e hanno fatto breccia ad ogni livel-lo. A diffondere, persuadere, rilan-ciare con puntuale regolarità gli assiomi più dirompenti sulla vita di coppia anche le redazioni dei giornali, soprattutto certi settima-nali femminili, capaci di trasfor-mare in proposte comunemente

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accettate, luoghi comuni senza reale fondamento. Leggendo la posta delle lettrici si incontravano risposte del tipo: «Quando le cose vanno male, meglio separarsi per il bene dei figli». Oppure: «Tronca subito quando ti accorgi di aver fatto la scelta sbagliata. Inutile tra-scinare una relazione che comin-cia a fare acqua».

Il BeNe deI fIGlIC’era una volta, abbiamo detto. Sì, perché oggi, anche questi te-orizzatori dei legami fragili, co-minciano a rivedere i loro sche-mi consunti. Se non è una vera e propria marcia indietro, poco ci manca. Eppure le statistiche del-le disgregazioni familiari sono sempre quelle, impressionanti nella loro progressiva e inarre-stabile crescita. Ci sono altri fat-tori però, altrettanto potenti e im-pressionanti, che hanno costret-to a riflettere anche i teorizzatori più accaniti dei legami deboli. In pochi mesi il numero di violen-ze e di reati anche molto gravi di cui si sono macchiati padri sepa-rati incapaci di accettare la loro nuova condizione, è cresciuta in modo esponenziale. In un clima di crescente insicurezza sociale, spesso aggravata dalle difficoltà economiche, lo sfaldamento di tante famiglie sta diventando un carico psicologico insopportabile. Da qui tensioni, insofferenze, de-litti familiari anche, che innescano, una serie di conseguenze sociali pesantissime da cui nessuno può sentirsi escluso.Eppure non da oggi appare evi-dente che ogni matrimonio che si lacera e va a pezzi porta con

sé dosi massicce di tensione, di stress, di dolore profondo, di smarrimento interiore. I reati sem-pre più gravi e numerosi compiu-ti da uomini incapaci di accettare le conseguenze della separazio-ne sono soltanto l’iceberg di una devastazione sommersa che do-vrebbe essere considerata emer-genza sociale a tutti gli effetti. So-prattutto quando ci sono bambini e ragazzi costretti a sopportare, prima e dopo la fine del matrimo-nio, le incomprensioni, le chiusu-re, le ripicche e purtroppo talvolta le violenze dei genitori. Chi se la sente, di fronte a questi episodi, di proclamare ancora che “separarsi è bello”. Chi può conti-nuare a sostenere per ragioni ide-ologiche la normalità o addirittura l’opportunità di un amore a tem-po determinato?

RIcomINcIaRe Ecco perché ora è necessario cor-rere ai ripari soprattutto sul pia-no culturale ma, soprattutto, sul fronte complesso e delicatissimo

della formazione delle coscienze. Occorre spiegare, dati e fatti alla mano, che al di là delle possibilità offerte dalla legge, divorziare non è una possibilità ordinaria. Dob-biamo avere il coraggio di affer-mare che separarsi e divorziare è un male, che spezzare un legame d’amore è un evento che apre la strada a grandi sofferenze, non solo personali. Dobbiamo dirci con franchezza che anche nelle situazioni più difficili si può e si deve valutare sempre la possibi-lità di ricominciare insieme. Ma per avviare questa grande ope-razione a vantaggio di tutti non basta la buona volontà. Servono strumenti legislativi, culturali, an-che pastorali, di cui ancora non disponiamo. Pensiamoci. Non è una battaglia confessionale, ma un obiettivo di valore sociale che si inquadra nella prospettiva del bene comune.

Luciano Moia, caporedattore Noi genitori&figli - Avvenire

[email protected]

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doveRose pRemessePrima di cominciare a parlare di Maria tutti dovremmo ave-re l’umiltà di rileggere con attenzione quanto scrive, a suo riguardo, il Concilio Vaticano II nel numero 67 della Lumen Gentium. I padri conciliari esortano, in modo chiaro ed in-discutibile, «tutti i figli della Chiesa, perché generosamente promuovano il culto, specialmente liturgico, verso la beata Vergine». Ma si affrettano ad invitare «caldamente i teologi e i predicatori della parola divina ad astenersi con ogni cura da qualsiasi falsa esagerazione, come pure da una eccessiva ristrettezza di mente nel considerare la singolare dignità della madre di Dio».Per avvicinarsi alla persona di Maria occorrono fede, senso della storia, equilibrio e molta prudenza e discrezione. Anche una grande devota mariana, quale è stata Teresa di Lisieux, ci ammonisce che «non si dovrebbe consentire che in chiesa si raccontino cose inverosimili su Maria. Una predica sulla santa Vergine, per portare frutto, dovrebbe mostrare la sua vera vita, quella che ci lascia intravedere il vangelo, non una vita immaginata».Il biblista Alberto Maggi ci mette in guardia sul fatto che «per molti sembra quasi che della madre di Gesù si possa dire qualunque cosa purché serva ad esaltarla, ma a forza di dire che “di Maria non si dice mai abbastanza”, manca forse il pu-dore di tacere».Ancora la Lumen Gentium, sempre al numero 67, ci ricorda che «la devozione non consiste né in uno sterile e passeggero sentimento, né in una vana credulità, ma procede dalla fede vera, dalla quale siamo spinti all’imitazione delle sue virtù».Uno dei più assidui devoti della Vergine, padre Massimiliano Kolbe, così sintetizza il suo amore: «Avvicinarmi a lei, sentir-mi simile a lei, permettere che ella prenda possesso del mio cuore, che ella viva ed operi per mezzo mio».

l’assoRdaNte sIleNZIo del Nuovo testameNtoChi va a ricercare tracce di Maria nel Nuovo Testamento resta profondamente deluso. Tra gli autori sacri sembra esistere la congiura del silenzio. Paolo, che pure è quanto mai grafoma-

la signora mariamadre di dio

IN cammINo coN maRIa

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ne nello scrivere, si limita ad un semplice accenno indiretto nella lettera ai Galati (4,4) quando precisa che Gesù è «nato da donna». Nelle lettere di Giovanni, di Giacomo, di Pietro e di Giuda il silenzio regna sovrano. Solo nei Vangeli e negli Atti degli Apostoli si possono riscontrare alcuni accenni. Questo perché la fede della Chiesa delle origini non è incentrata sulla figura di Maria, ma su quella di Gesù. Solo amando e cono-scendo il Figlio si arriva a scoprire la Madre.Ribadisce Maggi non «ad Jesum per Mariam», ma «ad Mariam per Jesum», a Maria attraverso Gesù. Per avvicinarci in modo corretto all’affascinante figura della Vergine forse anche per noi, come per l’indimenticabile don Tonino Bello, è necessa-rio togliere dal capo di Maria le innumerevoli aureole, fatte di sterile sentimentalismo che l’appesantiscono, per poterla con-templare in tutta la sua bellezza di donna comune e di madre esemplare, eccezionale non per i suoi innumerevoli privilegi, ma per la continua dedizione e per l’incrollabile fede, che ne-anche la morte fa venire meno, nel suo Figlio.Tre mesi fa è stato pubblicato un libro di Corrado Augias e di Marco Vannini dal titolo Inchiesta su Maria. Il sottotitolo è al vetriolo e provocante: “La storia vera della fanciulla che divenne mito”. Inaccettabile è la saccenteria sottesa a questa affermazione. È vero, però, che troppi devoti hanno contribu-ito a rendere un tale giudizio verosimile con le loro asserzioni perentorie e bislacche frutto di un fideismo acritico.Troppo spesso si sente dire: «L’ha detto Maria!». Naturalmente le parole mariane non vengono desunte dalla Scrittura, ma dalle troppe apparizioni della Vergine. La Maria evangelica è terribilmente sobria di parole, mentre quella di certe appari-zioni è eccessivamente verbosa. Penso che sia molto impor-tante per ognuno di noi impegnarci seriamente a togliere la figura della Madre di Dio dalle spire di un devozionalismo soffocante ed avvolgente per restituirla al mondo della vera fede impregnata di Parola di Dio e di autentica conversione.Chi è veramente Maria? Cosa possiamo sapere di Lei attin-gendo alla storia ed alla Scrittura? A quali fonti possiamo at-tingere per agevolare la nostra conoscenza su di Lei? Quali errori dobbiamo evitare per non ridurla a semplice mito? Sono solo alcuni interrogativi a cui tenteremo umilmente di dare risposta nei prossimi incontri.

Bernardina Do [email protected]

la devozione non consiste ne in uno sterile e passeggero sentimento, ne in una vana credulità. (lg 67)

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ario

bog

ani

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espeRIeNZe

Nel calcio rabbioso di oggi, in cui ci si scanna per essere specia-li, abita un signore che vorrebbe tanto conservarsi normale, pur allenando nientemeno la Nazio-nale. Si chiama Cesare Prandelli. «Il calcio ha paura della normalità – ci racconta guardando lontano in una serata di fine ottobre nel chiostro della Basilica di Sant’An-drea a Vercelli, dove sta per riti-rare il Premio Piola per le qualità morali ed etiche espresse sia in campo che nel ruolo di allenatore -. È un mondo malato: va velo-ce, brucia emozioni e sentimenti. Ogni obiettivo viene subito sca-valcato da un altro. Da persone sane di mente, la sfida è lavora-re senza farsi troppo contagiare».

Un uomo di fede che ha cono-sciuto più di altri il dolore, Pran-delli: i Salesiani lo hanno scelto come testimonial della campagna di comunicazione sociale “La par-tita educativa” voluta dal Centro Nazionale Opere Salesiane per lo Sport (CNOS Sport) e patrocinata dal CONI e dalla CEI; in una realtà sempre più spesso dominata da violenza, individualismo, inganno e sfruttamento, i Salesiani voglio-no così proporre e realizzare un modello diverso di vita sportiva mettendo in rete tutte le realtà ec-clesiali e civili italiane (associazio-ni, polisportive, oratori, palestre, atleti) che già praticano un mo-dello positivo. Che caratteristiche deve avere un ragazzo, oltre a un

sportin “rete”comedon Bosco

immenso talento, per trasformar-si in campione? Innanzitutto, non deve avere paura di vincere: qua-lunque sia lo sport, al vero vin-cente nel momento decisivo non tremano le gambe. Poi deve avere tenacia: le vittorie si costruisco-no, con determinazione e lavoro. Infine, deve avere il senso dell’u-morismo: niente di peggio di non saper ridere delle proprie fortune (o sfortune). «Lo sport non è la soluzione ai problemi educativi o sociali – spiega il Ct azzurro -, ma può essere strumento per veico-lare valori essenziali della com-petizione e della pratica sportiva: lealtà, abnegazione, voglia di stare insieme e benessere psico-fisico».

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peR esseRe cRedIBIlI BIsoGNa esseRe se stessIL’incontro tra Prandelli e don Bo-sco è servito? «Don Bosco mi ha insegnato a puntare sui giovani. Il metro con cui si valuta un cal-ciatore oggi troppo spesso non è l’età ma lo stipendio. Guadagni tanto e devi rendere in proporzio-ne. Ma non è giusto. Il buon alle-natore deve usare il buon senso. Sapere ascoltare l’altro è una virtù che ciascuno individuo possiede e che chiunque si trovi a gestire risorse umane, come una squadra di calcio o degli atleti individuali dovrebbe praticare con costanza e umiltà». Inizi alla Cremonese, poi la serie A con l’Atalanta, il calcio e la panchina, Prandelli ha visto ragazzi di talento bruciarsi nell’in-gannevole luccichio di una rapida fama, con denaro facile in tasca, senza aver provato l’aspro e sa-lutare sapore della conquista. C’è chi ha fatto una brutta fine, c’è chi si è adattato a una mediocrità of-fensiva per i mezzi di cui la natura lo aveva dotato: l’allenatore della Nazionale non ha conosciuto un solo campione che non lo fosse anche di testa. Il talento senza il

sostegno del cervello perde il suo valore. E questo da allenatori si può insegnare: «Per essere credi-bile devi essere te stesso. Alcuni allenatori diventano per i ragazzi un riferimento dal punto di vista tattico e tecnico: sono maestri che trasmettono conoscenze». C’è di mezzo un’idea di vita, non solo il calcio: «Chiedo a tutti di arrivare al campo con la voglia di imparare qualcosa. E non è sempre ovvio per giocatori che hanno già fatto esperienze e credono di aver rag-giunto certezze. Ma solo metten-dosi in discussione si cresce come calciatori e come persone».

cHI è campIoNeE il campione secondo Prandelli si vede almeno altrettanto fuori dalle righe bianche che delimita-no il suo campo: «Un campione

ha spessore, unisce a qualità tec-niche straordinarie doti di aggre-gazione. È un leader, magari si-lenzioso, e resta tale nel tempo. Con i giocatori dalla forte perso-nalità, bisogna continuare invece a cercare la chiave. Con pazien-za». Lo sport è amico: ti risponde, ti asseconda, ti aiuta. L’allenatore dell’Italia lo sa. E l’oratorio riempie d’aria fresca i polmoni di chi negli stadi ha visto di tutto: in campo nessuno ha un’età in cui si pos-sa rivendicare un ruolo, tutti fan-no tutto, e l’importante è divertir-si. Ragazzi, imparate al meglio le lezioni che lo sport sa dare per crescere meglio, sembra gridare Prandelli. E dal prossimo 12 giu-gno lo urlerà anche ai Mondiali di calcio che si apriranno in Brasile. Potrebbe essere quella l’occasione per realizzare il sogno di visitare l’opera Salesiana nel quartiere Ja-carezinho, una delle più grandi fa-velas di Rio. Ricordare ai ragazzini di strada e soprattutto a se stesso di festeggiare i trionfi non come chi quando fa gol tira calci alle bandierine del corner. Ma come chi cerca il compagno che gli ha passato il pallone e lo ringrazia con un abbraccio. Per non dimen-ticare mai che il calcio, come la vita, è un gioco di squadra.

Andrea Caglieris, Giornalista Rai,Segretario Ordine Giornalisti Piemonte

[email protected] Prandelli ritira il premio Piola dalle mani di Paola, figlia del famoso Silvio Piola.

www.salesianiperlosport.org

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Un’ostensione “straordinaria” nel suo significato e nelle sue intenzioni: l’ha annunciata mons. Cesare Nosiglia, Custode pontificio della Sindone, merco-ledì 4 dicembre 2013 nel palazzo del Seminario, a due passi dal Duomo dove il Telo è custodito. Si terrà nella primavera – estate del 2015, in un pe-riodo ancora da stabilire; durerà circa 45 giorni; e quasi certamente vedrà la visita di Papa Francesco: nella lettera che la Segreteria di Stato ha inviato a Nosiglia per confermare l’ostensione si dice infatti che il Papa ha espresso il desiderio di essere pre-sente, riservandosi però di precisare le date. Fran-cesco infatti intende essere a Torino per venerare don Bosco nel secondo centenario della nascita: e le celebrazioni del giubileo salesiano si terranno lungo l’arco del 2015, per concludersi il 15 agosto (giorno della nascita del santo).

Il sIGNIfIcatoL’ostensione, per Nosiglia, vuole essere prima di tutto un segnale forte di speranza, religioso ma anche civile. Torino e il suo territorio sono provati da una lunga crisi economica che sta producen-do, sempre più vistosamente, difficoltà sociali pe-santi. Il “sistema” della città è impegnato a reagire,

a costruire un futuro di cui però è ancora difficile scorgere i contorni. Ma l’impegno della Chiesa a fianco della comunità civile è fuori discussione: anche per questo alla presentazione dell’ostensio-ne erano presenti il sindaco Fassino, il presidente della Regione Piemonte Cota, e insieme con loro le più alte cariche della Magistratura e delle For-ze armate, il direttore della Soprintendenza per i Beni Culturali (un partner indispensabile, per gesti-re la logistica intorno al Duomo). C’erano anche i rappresentanti delle principali fondazioni bancarie (San Paolo, CRT), che già in passato hanno soste-nuto le ostensioni.

I voloNtaRIA tutti – istituzioni, cittadini – l’arcivescovo ha chiesto di continuare a mostrare la grande «vo-glia di accoglienza» che la città ha dimostrato nei

la sindone

cHIesa vIva

gennAio-FebbrAio 2014

47

sarà un coordinamento e uno scambio recipro-co di informazioni e servizi, auspica l’arcivescovo. Chiarendo anche, però, che gli eventi vanno tenuti distinti, perché ciascuno ha un significato proprio. Così come distinte saranno le altre manifestazio-ni previste in quel periodo, dal Salone del Libro a Torino all’Expo mondiale a Milano.Così si “riparte”, a distanza ravvicinata dall’ultima ostensione (2010) e con molto entusiasmo: l’arci-vescovo ha parlato, nonostante le attuali preoccu-pazioni di speranza. Tutte le informazioni, a comin-ciare dall’annuncio di Nosiglia, sono disponibili sul sito ufficiale www.sindone.org.

Marco [email protected]

nel Bicentenario di don Boscoconfronti dei pellegrini delle ostensioni o in altre importanti occasioni, come le Olimpiadi invernali del 2006. Sono i volontari i primi “protagonisti” di questa macchina organizzativa; e sono i volontari (non solo quelli della Sindone, ma anche di tutti i servizi collegati) l’”interfaccia” dei visitatori con la città. L’organizzazione dell’ostensione dovrà essere comunque sobria, per dare un segnale concreto di austerità.L’arcivescovo di Torino ha ricordato che il signifi-cato primario della Sindone, e del pellegrinaggio, è di venerare un’immagine che, pur essendo “len-zuolo della morte” richiama con forza ai credenti il mistero della vita, che con la risurrezione del Cristo sconfigge per sempre la morte. È questa la grande speranza cui siamo chiamati.Per altro l’ostensione si tiene in occasione del giu-bileo salesiano: con le celebrazioni di Valdocco ci

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cHIesa vIva

Chissà. Forse qualche nostro lettore ricorda anco-ra una canzone, sigla di una trasmissione tivù (e di un film) in voga a fine anni Cinquanta. Cantata da Mario Riva, aveva come ritornello: «Domenica è sempre domenica / si sveglia la città con le cam-pane. / Al primo din-don del Gianicolo / Sant’An-gelo risponde din-don-dan». Oggi, le campane si sentono meno. Forse perché sostituite da altopar-lanti. Forse per il minor appeal religioso. Forse per i richiami delle “sirene” delle nuove “cattedrali”: i centri commerciali, aperti dall’alba a notte inoltra-ta, anche il sabato e la domenica. E a chi si ada-gia sul melanconico (ed inutile) «ai miei tempi non c’era questa frenesia», qualcuno ribatte che quegli orari permettono di creare nuovi posti di lavoro e di andare incontro alle esigenze di chi può acqui-stare “soltanto” nelle ore libere dal lavoro (se no, quando potrebbe spendere?). Quasi che i dipen-denti dei centri commerciali non abbiano, anche loro, l’esigenza di fare acquisti... Quanto è reale, dunque, il bisogno di avere negozi aperti anche la domenica? E quanto siamo disposti a pagare in termini personali, familiari e sociali in cambio di questa comodità?

faR festa INsIemeNon stiamo ad approfondire che nel racconto bi-blico della creazione Dio si riposò il settimo gior-no (Gn 2, 2-3). Né che quasi tutti i popoli antichi

dopo sei giorni di lavoro ne avevano uno di fe-sta: per i romani era il “dies solis”, denominazione conservata nell’odierna lingua inglese, Sunday, e tedesca, Sonntag. Basterebbe ricordare che «l’istituzione del giorno del Signore contribuisce a dare a tutti la possibilità di godere di sufficiente riposo e tempo libero che permetta loro di curare la vita familiare, culturale, sociale e religiosa» (Catechismo della Chiesa Cat-tolica, n. 2184). Va da sé che l’eventuale giorno di riposo “a rotazione” non favorisce questi rapporti. Non a caso, nella Lettera apostolica Dies Domi-ni del 31 maggio 1998, il papa (e prossimo san-to) Giovanni Paolo II annotava, tra l’altro, che «la domenica cristiana è un autentico “far festa”, un giorno da Dio donato all’uomo per la sua piena crescita umana e spirituale» (n. 58) e che «attra-verso il riposo domenicale, le preoccupazioni e i compiti quotidiani possono ritrovare la loro giu-sta dimensione: le cose materiali per le quali ci

domenica non è più domenicaAumentano i centri commerciali e i negozi aperti anche nei giorni festivi. È un’esigenza reale? La proposta di una lettrice di Livigno.

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agitiamo lasciano posto ai valori dello spirito; le persone con le quali viviamo riprendono, nell’in-contro e nel dialogo più pacato, il loro vero volto. Le stesse bellezze della natura – troppe volte sciu-pate da una logica di dominio che si ritorce contro l’uomo – possono essere riscoperte e profonda-mente gustate» (n. 67). E non è neppure un caso se lo scorso novembre, papa Francesco ha telefo-nato a un ragazzino di Dese (Venezia) che gli ave-va scritto lamentandosi perché ogni domenica lui resta solo con i nonni, dato che i genitori devono andare a lavorare anche in quel giorno. E il papa ha parlato anche con il papà, rappresentante del gruppo Domenica No Grazie, impegnato contro il lavoro festivo.

oGGettI o affettI?Certo, dal lunedì al venerdì siamo abituati a rincor-rere l’orologio “frammentato” tra scuola dei figli-lavoro-palestra- fornelli-lavatrice-eccetera. Così, il

sabato e la domenica ci possono sembrare giorni ideali per girare con calma tra gli scaffali dei ne-gozi e dei supermercati. Ma non confondiamo la spesa, magari genitori e figli insieme, con la gioia del gioco, il dialogo, la confidenza...A questo punto, senza tornare “ai miei tempi”, è possibile un’alternativa? Una proposta arriva da una nostra lettrice, Maria Cusini. È una commer-ciante di Livigno (Sondrio), località frequentatissi-ma per la natura intatta, per le piste di sci e perché zona extra-doganale (con elevati sgravi fiscali, dalla benzina ai computer, o alle pellicce), a pochi chilo-metri dal confine svizzero.Ebbene, lei propone: da lunedì a venerdì, i nego-zi dovrebbero essere aperti con orario regolare; il sabato, con orario continuato sino alle 18; la domenica, giorno di chiusura settimanale (esclusi, ovviamente, ristoranti, alberghi e qualche negozio di alimentari). E aggiunge: «Questa mia proposta potrebbe risultare assurda e impraticabile, ma in realtà non è così: infatti, molte realtà a noi vicine già applicano questo sistema. Si vedano, ad esem-pio, St. Moritz, Davòs e Lugano. Queste località sono molto note, non si trovano certo sulla Luna! Molti miei compaesani credono che attuando la chiusura domenicale, calerebbe troppo il lavoro. Secondo la mia umile opinione ciò non accadreb-be». Proprio come non accade nelle famose loca-lità svizzere da lei citate. Aggiunge: «Applicando la chiusura domenicale, eviteremmo di creare caos e disservizi dovuti alla chiusura settimanale a rota-zione e avremmo un unico giorno di riposo setti-manale, uguale per tutti: la domenica». E conclu-de: «Profumi, cellulari, gioielli non sono ossigeno! Il vero ossigeno per noi sarebbe poter passare la domenica con le nostre famiglie, con i nostri cari e per chi vuole, con Dio».

a cura di Lorenzo [email protected]

che cosa ne pensano i lettori su questo argomento? scrivete a [email protected] su uno dei prossimi numeri pubblicheremo una sintesi delle vostre opinioni.

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«Che cosa faresti se ti dicessero che oggi devi mo-rire?» La domanda spaventa i miei piccoli uditori, come all’epoca aveva spaventato i ragazzi dell’o-ratorio di don Bosco. Non tutti però.Il giovane Domenico Savio, senza scomporsi, aveva risposto che avrebbe continuato tranquillamente a giocare.E lo aveva fatto. «Doveva essere proprio un bel gioco!» commenta Andrea. Sì, era un bel gioco: uno dei tanti che si facevano nei cortili di Valdoc-co. Uno di quelli in cui il piccolo astigiano faceva consistere l’allegria della santità.Domenico pensava con serenità alla morte e non la temeva perché l’unica cosa che gli faceva vera-mente paura era il peccato. E la sua allegria non nasceva da un atteggiamento superficiale e spen-sierato, ma dal sentirsi in pace con Dio, con se stesso e con gli altri. «Allora basta non essere in guerra!» esclama Matteo. «Non basta. Quel tipo di pace si possiede solo quando si vive costante-mente alla presenza di Dio, sentendolo realmente vicino, come un buon Padre. Il concetto è difficile;

mi fanno notare che Domenico Savio era già nato santo mentre noi»...«Noi siamo in cammino verso la santità», ripren-do. E Dio non ci chiede cose impossibili; non pre-tende il martirio. Ci chiede soltanto di compiere la sua volontà, di amarlo, di amarci come fratelli (ma non come quelli che bisticciano continuamente), di non fare il male e di perdonare quello ricevuto. E ancora, come insegna Madre Mazzarello, non fare mai pace con i propri difetti. Tutto questo ci dà la serenità interiore, la capacità di vivere ogni momento, anche i più tristi, con il sorriso, perché sappiamo di non essere mai abbandonati.Nel vivace uditorio persistono dubbi e problemi che affronteremo cammin facendo.Ma ecco la botta finale... Me la sono proprio cer-cata e in fondo me l’aspettavo. È quasi un coro che mi interroga in modo perentorio: «Ma tu, dicci la verità, a quella domanda avresti il coraggio di ri-spondere come Domenico Savio?»

Anna Maria Musso [email protected]

Il progetto educativo della santità è ancora attuale? Si nasce o si diventa santi?

che cosa faresti se...

In caso di MANCATO RECAPITO inviare a: TORINO CMP NORD per la restituzione al mittente: C.M.S. Via Maria Ausiliatrice 32 – 10152 Torino, il quale si impegna a pagare la relativa tassa.

Conferenza Episcopale ItalianaUfficio Nazionale per

la pastorale della salute

Giotto, Crocifisso S. Maria Novella, Firenze

Proprietà del Fondo edilizia di culto del Ministero dell’Interno

Foto di Nicolò Orsi Battaglini

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