+ All Categories
Home > Documents > fatica del comune pensare con infinita gratitudine

fatica del comune pensare con infinita gratitudine

Date post: 24-Feb-2023
Category:
Upload: independent
View: 0 times
Download: 0 times
Share this document with a friend
12
1 Immaginare l’etica per una nuova convivenza civile Giornata mondiale della filosofia, 21 novembre 2013 A tutti i miei studenti e studentesse del Liceo Scientifico G. Galilei di Ancona che scoprono la gioiosa fatica del comune pensare con infinita gratitudine Introduzione La profezia del deserto . sui canti di Mario Luzi Dimettete la vostra alterigia sorelle di opulenza gemelle di dominanza, cessate di torreggiare nel lutto e nel compianto dopo il crollo e la voragine, dopo lo scempio. Vi ha una fede sanguinosa in un attimo ridotte a niente. Sia umile e dolente, non sia furibondo lo strazio dell’ecatombe. Si sono mescolati in quella frenesia di morte dell’estremo affronto i sangui, l’arabo, l’ebreo, il cristiano, l’indio. E ora vi richiamerà qualcuno ai vostri fasti.
Transcript

1

Immaginare l’etica per una nuova convivenza civile

Giornata mondiale della filosofia, 21 novembre 2013

A tutti i miei studenti e studentesse del Liceo Scientifico G. Galilei di Ancona che scoprono la gioiosa

fatica del comune pensare con infinita gratitudine

Introduzione

La profezia del deserto . sui canti di Mario Luzi

Dimettete la vostra alterigia

sorelle di opulenza

gemelle di dominanza,

cessate di torreggiare

nel lutto e nel compianto

dopo il crollo e la voragine,

dopo lo scempio.

Vi ha una fede sanguinosa

in un attimo

ridotte a niente.

Sia umile e dolente,

non sia furibondo

lo strazio dell’ecatombe.

Si sono mescolati

in quella frenesia di morte

dell’estremo affronto i sangui,

l’arabo, l’ebreo,

il cristiano, l’indio.

E ora vi richiamerà

qualcuno ai vostri fasti.

2

Risorgete, risorgete,

non più torri, ma steli,

gigli di preghiera.

Avvenga per desiderio

di pace. Di pace vera.

Mario Luzi,11 settembre

Ancora una volta, riprendendo una consuetudine, saranno questi limpidi versi di

Luzi, tanto luminosi e rivelativi, quanto dolentemente chini sulle ferite della civiltà

d’Occidente, a tracciare un percorso filosofico. Del resto, il mundus imaginalis caro

ai filosofi, dai tempi di Averroè, si addensa con una forza teoretica davvero

significativa a disegnare il possibile come paradigma sempre nuovo e sempre più

vero di abitare il mondo.

E questa possibilità nella quale, per parafrasare Emily Dickinson, abitiamo non può

che spingerci ad auscultare, nuovi rabdomanti, i sussulti della storia fino a ritesserne

in profetica memoria la trama, risalendo a volte attraverso correnti contrarie, le sue

contraddizioni, in cerca di un riscatto specie per quei grappoli d’umanità che hanno

giocato la vita per poterci ridare la forza e la gioia di una libera parola. Ecco dunque

spiegata la connessione fra immaginazione ed etica.

Vi è però un’altra cifra interpretabile a nostro avviso attraverso l’arte, e non solo

per cogliere la profezia heideggeriana, ma anche per ritrovare la cifra del nostro

esserci storico. Si tratta del celebre Angelus Novus di Paul Klee1 così come lo

descrive Benjamin:

1 Si veda il bellissimo saggio di Walter Benjamin nell’opera omonima, trad. it.. di R. Solmi, Einaudi, Torino 1986,p80.

3

«c’è un quadro di Klee che si intitola Angelus Novus. Vi si trova un angelo che sembra in atto di

allontanarsi da qualcosa su cui fissa la sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali

distese. L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci

appare una catena di eventi, egli vede solo una catastrofe, che accumula senza tregua rovine su

rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre

l’infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso, che si è impigliata nelle sua ali, ed è così forte che

egli non può più chiuderle»

Una metafora più pregnante non può esservi. l’etica necessita di questa vis

imaginandi che permette alla possibilità di riscattare il reale, e forse in questo senso

“destare i morti”, convocando nel mondo comune di una cittadinanza universale e

sempre istituenda tutta l’umanità, in una pura diacronia che lega memoria e futuro,

che fa del passato la forza che sospinge il futuro.

In tal senso non si tratta solo di un codice da rivivificare quanto di una nuova

matrice del convivere dove l’invenzione sancisca il leit motiv della civitas hominum

capace di impedire la raffinata barbarie della manipolazione

§1: Analogia agendi: Kant e il luogo stellare dell’ethos

Ogni speranza si riferisce infatti alla felicità e sta rispetto al pratico e alla legge morale proprio nello stesso

rapporto in cui il sapere e la legge naturale stanno rispetto alla conoscenza teoretica delle cose. La speranza

giunge infine all’inferenza che qualcosa è poiché qualcosa deve accadere

(Kant, Critica della Ragione Pura)

E’ indubbio che l’etica voglia formulare una risposta eudaimonistica: il bene della

vita e le sue ragioni attiene a quanto l’uomo possa e debba essere felice, come

recita anche la Costituzione di una delle prime democrazie occidentali; questa stessa

felicità, comunque, implica che l’uomo sappia ravvisare nel suo simile la stessa

istanza che lo richiama ad una conseguita dignità per la quale non possa e non

4

debba provare gioia che non sia anche d’altri (D. M. Turoldo). Ecco perché Kant lega

l’ inferenza della speranza ed il suo accadere a quell’uomo divino in noi che, in

questo senso, non corrisponde più solo all’astratta funzione trascendentale della

gnoseologia ma giunge ad incarnare quella vocazione al superamento che rende

l’uomo più se stesso mentre ritrova in sé ogni umanità possibile. Non sembra

azzardato il paragone con Capitini e la sua idea della compresenza dei morti e dei

viventi. Tuttavia, ancora una volta, quest’uomo, ipostasi di ogni umanità non è

frutto di una deduzione avulsa dalla vita, ma esistenza incarnata e forse singolare

capace di creare, agendo, un nuovo inizio. E’ quasi retorico evidenziare quanto, per

questo, Hannah Arendt senta di dovere a Kant. In ogni caso risulta altrettanto

necessario sottolineare che è proprio in questo filamento di creata fibra che il

mondo può assumere un nuovo sembiante. E’ dunque qui il coraggio

dell’universalità che fa di una semplice azione umana, quasi quotidiana nel suo

svolgersi la custodia dell’arcano di un’eterogenesi dei fini destinata a segnare nuove

costellazioni di senso.

Non può suonare estraneo leggere queste severe e limpide righe di Immanuel

Kant attraverso quelle più rapsodiche, ma ciò non dimeno pregne di senso e

progettualità di Etty Hillesum, così libere e luminose in una cattività tanto oscura e

antiumana come quella di Auschwitz dove la giovane intellettuale ebrea volle morire

andando a fare la volontaria:

la vita e la morte, il dolore e la gioia, le vesciche ai piedi estenuati dal camminare e il gelsomino

dentro la casa, le persecuzioni, le innumerevoli atrocità, tutto, tutto è in me come un unico

potente insieme, e, come tale lo accetto e comincio a capirlo sempre meglio»2

Ecco dunque decifrato il senso di un cielo stellato sopra di me, quasi codice

ermeneutico di una trascendenza che costituisce la vita umana dal di dentro, quasi

2 E.Hillesum, De nagelaten geschriften von Etty Hillesum, trad. it. Di C. Passati e T. Montone, Diario, Adelphi, Milano

20012 p 145

5

che il suso stesso cogito inevitabilmente incarnato sia brisé, ferito, interrotto ed

attraversato da una discontinuità feconda che è la stessa azione capace di entrare

nel mondo con una tale libertà responsabile da scuoterlo e rinnovarlo nelle sue

fondamenta, perché ,infine, in un mondo ove tutti mentono, chi dice la verità, lo

sappia o no ha cominciato ad agire.

Forse anche in Kant l’etica, per quanto universale, non è certo un’etica del generale:

la sua idea di sussunzione dice di una singolarità che, affacciandosi al mondo, è

capace di sospendere con la sua novità il consueto e l’usato. Quella pretesa

universalità dell’azione dice ogni volta di un’umanità intera che prende forma

nell’azione, se è vero che agire è anche sempre plasmare se stesso e cambiare.

Leggere in questo modo Kant implica poter dare una nuova vita d un’istanza morale

finalmente libera dalle catture formalistiche: se l’intenzione sostanzia il contenuto

dell’azione ciò significa che quest’ultima non è solo un’oggettivazione codificata ma

l’invenzione di volta in volta di un’umanità possibile.

In tal senso appare molto bella la lettera che la poetessa Ingeborg Bachmann

indirizza alla filosofa Hannah Arendt:

«Non ho mai dubitato che ci dovesse essere qualcuno come lei, ma ora lei è realmente e la mia gioia

straordinaria per questo durerà sempre»3

Questo esserci declinato in una irripetibile unicità lascia inferire, nel senso di una

ipotiposi, la speranza di un mondo sempre in gestazione, dove basta una sola

individualità che aderisca totalmente ad un impegno progettuale per interrompere il

carattere routinario della vita4 e aprire un orizzonte di riserva critica e di senso

totalmente nuovo ed inedito.

3 Lettera di . Bachman a Hannah Arendt, in L. Boella,Le imperdonabili, Mimesiis, Milano 2013

4 Usiamo questo termine secondo l’intenzione heideggeriana come si può ravvisare in Sein und Zeit, ma anche

secondo quel significato di mondo amministrato (Verwaltete Welt) di cui parla la Scuola di Francoforte nel quale lo stesso ethos è piegato alle esigenze manipolatrici

6

La legge morale dentro di me scrive Kant in modo inequivocabile, quasi a dire che

l’umanità è sempre molto di più della somma dei suoi gesti, trascende sempre i suoi

atti, anzi fa di essi la misura del suo superarsi e la coscienza che essendo dotata di

memoria, non può che essere capace di futuro.

Tuttavia tale legge interiore si esplica come misura di una giustizia che, pur

riguardando la terra, cerca di aprirvi un’istanza escatologica. Per questo motivo,

com’è stato rilevato, il debito di Kant con un certo messianismo ebraico può essere

evinto proprio per il fatto che la radice di questa legislazione universale traguarda in

un qui ed ora pronto a farsi kairos, futuro che già presente, spinge da sempre

attraverso le pieghe del passato.

§2Il valore etico della partecipazione (Agnes Heller e l'umanesimo marxista)

…Ma quale che sia devo nuotare verso il miglior mondo morale possibile

(A. Heller, Filosofia morale)

La filosofia di Agnes Heller, così come la sua figura, suscita un certo fascino, specie in

un momento come questo ove la questione antropologica si fa più cogente recando

le implicazioni proprie di un’intersoggettività sempre istituente una comunità civile.

In effetti, la sua filosofia che prende le mosse da Lukacs e risente di istanze marxiste

si presenta come una possibile elaborazione di un progetto umanistico che

arricchisce e completa il marxismo dotandolo di quella componente ontologica

fenomenologica ad un tempo che vuole indagare l’uomo quotidiano. . Per questo si

può parlare di un ritorno ad un marxismo umanistico

Agnes Heller ritiene fondamentale il bisogno di un’etica che diventa coscienza del

valore civico delle azioni umane, che attraverso e sostanzia tanto il lavoro quanto

l’esercizio della libertà. Tutto questo giustifica e legittima ad abundantiam la

7

necessità di un’etica, intesa come esercizio nel quale gli uomini cambino se stessi

mentre cambiano il mondo. Esprimere tale ethos come un’implicazione profonda fra

bisogni e valori non può non avere a che fare con quella vis philosophica che, pur

essendo peculiare forma di bios politkos proprio degli uomini liberi, ciò nonostante

attiene oggi più che mai ad una comunità civile che continui a cercare uno spazio di

sempre maggiore umanizzazione lottando contro tutto ciò che costringe l’uomo ad

un’esistenza alienata. Da questo punto di vista anche la sfera economica del

bisogno deve poter divenire istanza di tale processo di emancipazione.. La

condizione che Agnes Heller pone è, pertanto, quella di un aggancio all’umanità

come valore trascendentale senza cui non sarebbe possibile quella comunicazione

libera dal dominio su cui deve innervarsi questo bios theoretikos capace di essere

ideale regolativo della società sempre istituenda. Anche in questo caso, la sua voce

femminile declina una legge ospitale, forse non ancora mai elaborata perché sempre

possibile, in un futuro che spinge attraverso il passato e dice della sua gestazione,

recuperando la coscienza di una dignità umana che, in quanto principio pre-politico,

è anche al di sopra dell’alienazione economica quale la vuole il marxismo, dato che il

declinare l’ethos solo nell’ambito dell’homo oeconomicus è, all’avviso della Heller,

una sorta di reductio, mentre la sua vocazione indubbiamente umanistica le fa

ritenere che l’etica vada immaginata attraverso i compiti che l’uomo si dà per

reinventare il mondo.

Il pensiero helleriano che ravvisa nell’ambito della teoria dei sentimenti il profilo

sempre da re—inventare del mondo come spazio comune sembra in assonanza con

questa spettacolare lirica di Rainer Maria Rilke.

« Un solo spazio compenetra ogni essere /spazio interiore del mondo. Uccelli taciti ci attraversano. /OH io che voglio crescere/guardo fuori ed in me eco cresce l'albero.

Io sono in ansia e in me sorge la casa./ Cerco riparo ed ecco in me il riparo/. L'Amato io divenni e su me la bella immagine del mondo posa e si libera in lacrime»5

5 R. M. Rilke, Quasi ogni cosa al contatto si tende, cit. in . L. Boella, Le imperdonabili, Mimesis , Milano 2013

8

Piace pensare all’etica come questo spazio interiore del mondo dove la

singolarità porta dentro di se la cura, quella Sorge di sapore heideggeriano che,

tuttavia, viene stemperata dalla sua gravità dell’essere per la morte diventando,

essa stessa, nuovo spazio in cui le stesse cose e gli uomini sono immaginati in una

comunione affatto nuova. Forse, per questo, l’etica helleriana ha a che fare con i

sentimenti e con i valori che divengono cifre ermeneutiche per orientarsi ad

immaginare il possibile.

§3: Antigone:la pietas cuore della legge

Antigone è una figura emblematica di quanto sia fondamentale la presenza di un

principio creativo a stemperare la morta lettera della legge codificata. Antesignana

di un’idea secondo cui solo lo spirito dà vita, ella si pone contro la legge (nomos) dei

padri, indicando nella propria libera coscienza l’istanza di una nuova modalità

dell’agire. Modello della vera prossimità che sottintende un agire responsabile pur

nella coscienza di trovarsi dinanzi ad una vita colpevole, Antigone sottolinea in

primis quella pietas per cui si può davvero dire nihil humani mihi alienum puto

(Terenzio) e per cui è la vita umana, che nella sua dignità è ineluttabilmente prima

dell’innocenza e della colpa, deve venir garantita.

Le pagine di Hegel su Antigone non possono non essere citate come esempio di

un’immaginazione etica dialettica e forse tragica che però permette di ravvisare nel

mondo comune la concrezione di una coscienza davvero civile. Nella sezione della

Fenomenologia dello Spirito, Hegel evidenzia in Antigone il movimento della

coscienza che interrompe l’opera della natura e sottrae il consanguineo alla

distruzione6. L’istanza della coscienza rappresenta il superamento (Aufhebugn)

dell’istanza del sangue e della terra, in quanto esse debbono venire tolte e superate

6 Fenomenologia dello Spirito 2, p12

9

in un’altezza superiore dell’essere umano che incarna lo ius divino non codificato.

Per questo motivo Antigone incarna:

«la perfetta legge divina o la positiva azione etica verso il singolo;

Qui Hegel sembra mettere in evidenza che l’eticità, nella sua universalità non è

vuota astrazione che nega i ditti fondamentali del singolo, né tanto meno si esplica

come opposizione concettuale ad una componente del tutto terrena della

singolarità, bensì essa non può non prendere le forme da quella mediazione nel

cuore stesso della coscienza che accorda l’universalità con la singolarità in virtù di

una nuova rivelazione della sua dignità. Di conseguenza:

« ogni altra relazione verso di lui, la quale non resti all’amore ma sia etica, appartiene alla legge

umana ed ha il significato negativo di elevare il singolo al di sopra dell’inclusione nella comunità

naturale alla quale, esso, come effettuale appartiene»7

Tale cifra di negatività implica all’avviso di Hegel che il singolo non può sic et

simpliciter essere tolto /dedotto nell’ambito di uno ius sanguinis solo giuridica, e

con essa dialettizabile: si tratta, invece di scorgere in lui la sua portata universale, sia

che venga re-inserito in una comunità, probabilmente la sua, sia che venga

contemplato nella sua inoggettivabile umanità8. Emerge un’etica del concreto, che

davvero rende onore ad Hegel la cui universalità si esplica in itinere, assumendo un

carattere procedurale. Il nomos non è mera astrazione, non si rapprende e codifica

in prescrizioni di sangue e terra, ma è composizione armoniosa che reinventa un

ordine umano sempre più degno dell’uomo. L’ordine della pietas che, in questo

senso è ineluttabilmente sovversivo, dis-ordina ciò che è rigidamente scritto per

offrire la possibilità di una nuova scrittura viva che, secondo quanto ha dichiarato

7 G. W. F. Hegel, Phenomenologie des Geistes, trad. it. Di E. DeNnegri, Fenomenologia DELLO Spirito, La Nuova italia,

Firenze 1960, p, 13 8 Queste pagine per quanto difficili e complesse sanno aprire prospettive interessanti e quanto mai attuali, basti

pensare agli ultimi accadimenti di Lampedusa

10

Albert Camus nel discorso per la recezione del Nobel per la letteratura, deve volgersi

a chi subisce la storia.

Nonostante la sua ardua pagina, Hegel ingiunge questa possibilità che viene

contrassegnata come il tragico dell’azione, ma che mostra tutta la potenza di

un’eticità sororale, etica della responsabilità per eccellenza che interrompe legami

di sangue e mostra la condizione autentica della storia nel suo spazio ospitale.

Conclusione:

Osare l’insperabile

L’aggettivo insperabile, tratto dal titolo di un’opera di un fenomenologo

importante come J. L Chretien9 vuol essere segno di un’eccedenza, eccedenza del

tempo ed eccedenza dello spazio, quello nel quale l’umanità nella sua dimensione

storica impara continuamente che deve trascendersi.

Dunque immaginare l’etica significa dar parole all’eccedenza, e forse proprio per

questo aveva ragione Immanuel Kant quando cercava una vocazione morale alla

bellezza nella legge dentro di me. Non solo l’etica è la stessa misura /dismisura che

ci rende capaci di una conoscenza di noi stessi solo nell’intenzionalità dell’azione,

ma essa è anche ciò che ci fa prendere atto del nostro esserci.

Mirabilmente descrive Chretien questa cifra filosofica che assume via via un

carattere fondamentale:

«Tale è il sovrappiù che rimane sempre il sovrappiù, che Platone ha potuto spiegare

esclusivamente attraverso la nostra “comunione intellettuale con l’origine di tutti gli esseri»10

9 J. L. Chretien, L’inoubliable et l’inessperé, trad. it. E cura di D. Iannotta, L’indimenticabile e l’insperato, Cittadella

Edtirice, Assisi 2008 10

Ivi,p.48.

11

L’idea del sovrappiù ci dice non solo di un’umanità che sempre ha da nascere, ma

anche di un’etica della libertà che deve essere ri-fondata a partire dall’origine

comune, ma anche ricercando quella stessa comune origine nelle opere che l’uomo

ha lasciato come segno di una dignità intangibile, nei segni dell’arte e della poetica,

nell’anelito ad una civiltà capace di garantire un nuovo tempo, scandito non solo nei

ritmi della macchina, ma attraverso quella dimensione ek-statica dell’essere che

esige di ridare il giusto valore alla vita ma a anche all’azione umana.

Ed è ancora la suggestiva voce di Chretien ad ammonirci che:

«La fedeltà stessa rimpiazza i propri atti ad ogni istante. Noi non smettiamo di ringiovanire, non

per diventare più giovani di quanto fossimo, ma per rimanere gli stessi»11

Che significa, dunque rimanere gli stessi, se non recuperare quell’humanitas che è

misura delle cose e del reale,non nel senso di appiattimento degli orizzonti

sull’ordine dell’uti e del consumo che inghiottono il tempo in un disperante oblio,

ma nella coscienza di un’apertura di prospettive che ripensa la comunione

dell’uomo con le cose, o forse, per usare il linguaggio del giovane Marx il sogno di

una cosa, secondo la radice latina della realtà, ovvero res.

Forse da questo punto di vista l’etica deve avere la declinazione dell’invenio, non

solo in quanto apporto di qualcosa che non esisteva, ma anche come

contemplazione di un ordine differente che si fa incontro come un evento di senso

al pensiero a partire dall’inferenza della speranza che collega la stessa vis

philosophica al progetto di un’umanità universale cui si dà via via forma in ogni

azione, proprio secondo quanto fa la nobile figura di Antigone. E poiché

l’immaginazione etica implica un futuro che rimanda all’origine, come non

concludere con la suggestiva osservazione di Seneca:

11 Ivi,p51

12

«Intelligo, LuciliI non emendare me tantum sed transfigurari, nec hoc promitto aut spero nihil in

me superesse quod mutandum sit»12

Paola Mancinelli

12

Seneca, Ad Lucilium, Libro I,6


Recommended