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Immaginare l’etica per una nuova convivenza civile
Giornata mondiale della filosofia, 21 novembre 2013
A tutti i miei studenti e studentesse del Liceo Scientifico G. Galilei di Ancona che scoprono la gioiosa
fatica del comune pensare con infinita gratitudine
Introduzione
La profezia del deserto . sui canti di Mario Luzi
Dimettete la vostra alterigia
sorelle di opulenza
gemelle di dominanza,
cessate di torreggiare
nel lutto e nel compianto
dopo il crollo e la voragine,
dopo lo scempio.
Vi ha una fede sanguinosa
in un attimo
ridotte a niente.
Sia umile e dolente,
non sia furibondo
lo strazio dell’ecatombe.
Si sono mescolati
in quella frenesia di morte
dell’estremo affronto i sangui,
l’arabo, l’ebreo,
il cristiano, l’indio.
E ora vi richiamerà
qualcuno ai vostri fasti.
2
Risorgete, risorgete,
non più torri, ma steli,
gigli di preghiera.
Avvenga per desiderio
di pace. Di pace vera.
Mario Luzi,11 settembre
Ancora una volta, riprendendo una consuetudine, saranno questi limpidi versi di
Luzi, tanto luminosi e rivelativi, quanto dolentemente chini sulle ferite della civiltà
d’Occidente, a tracciare un percorso filosofico. Del resto, il mundus imaginalis caro
ai filosofi, dai tempi di Averroè, si addensa con una forza teoretica davvero
significativa a disegnare il possibile come paradigma sempre nuovo e sempre più
vero di abitare il mondo.
E questa possibilità nella quale, per parafrasare Emily Dickinson, abitiamo non può
che spingerci ad auscultare, nuovi rabdomanti, i sussulti della storia fino a ritesserne
in profetica memoria la trama, risalendo a volte attraverso correnti contrarie, le sue
contraddizioni, in cerca di un riscatto specie per quei grappoli d’umanità che hanno
giocato la vita per poterci ridare la forza e la gioia di una libera parola. Ecco dunque
spiegata la connessione fra immaginazione ed etica.
Vi è però un’altra cifra interpretabile a nostro avviso attraverso l’arte, e non solo
per cogliere la profezia heideggeriana, ma anche per ritrovare la cifra del nostro
esserci storico. Si tratta del celebre Angelus Novus di Paul Klee1 così come lo
descrive Benjamin:
1 Si veda il bellissimo saggio di Walter Benjamin nell’opera omonima, trad. it.. di R. Solmi, Einaudi, Torino 1986,p80.
3
«c’è un quadro di Klee che si intitola Angelus Novus. Vi si trova un angelo che sembra in atto di
allontanarsi da qualcosa su cui fissa la sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali
distese. L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci
appare una catena di eventi, egli vede solo una catastrofe, che accumula senza tregua rovine su
rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre
l’infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso, che si è impigliata nelle sua ali, ed è così forte che
egli non può più chiuderle»
Una metafora più pregnante non può esservi. l’etica necessita di questa vis
imaginandi che permette alla possibilità di riscattare il reale, e forse in questo senso
“destare i morti”, convocando nel mondo comune di una cittadinanza universale e
sempre istituenda tutta l’umanità, in una pura diacronia che lega memoria e futuro,
che fa del passato la forza che sospinge il futuro.
In tal senso non si tratta solo di un codice da rivivificare quanto di una nuova
matrice del convivere dove l’invenzione sancisca il leit motiv della civitas hominum
capace di impedire la raffinata barbarie della manipolazione
§1: Analogia agendi: Kant e il luogo stellare dell’ethos
Ogni speranza si riferisce infatti alla felicità e sta rispetto al pratico e alla legge morale proprio nello stesso
rapporto in cui il sapere e la legge naturale stanno rispetto alla conoscenza teoretica delle cose. La speranza
giunge infine all’inferenza che qualcosa è poiché qualcosa deve accadere
(Kant, Critica della Ragione Pura)
E’ indubbio che l’etica voglia formulare una risposta eudaimonistica: il bene della
vita e le sue ragioni attiene a quanto l’uomo possa e debba essere felice, come
recita anche la Costituzione di una delle prime democrazie occidentali; questa stessa
felicità, comunque, implica che l’uomo sappia ravvisare nel suo simile la stessa
istanza che lo richiama ad una conseguita dignità per la quale non possa e non
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debba provare gioia che non sia anche d’altri (D. M. Turoldo). Ecco perché Kant lega
l’ inferenza della speranza ed il suo accadere a quell’uomo divino in noi che, in
questo senso, non corrisponde più solo all’astratta funzione trascendentale della
gnoseologia ma giunge ad incarnare quella vocazione al superamento che rende
l’uomo più se stesso mentre ritrova in sé ogni umanità possibile. Non sembra
azzardato il paragone con Capitini e la sua idea della compresenza dei morti e dei
viventi. Tuttavia, ancora una volta, quest’uomo, ipostasi di ogni umanità non è
frutto di una deduzione avulsa dalla vita, ma esistenza incarnata e forse singolare
capace di creare, agendo, un nuovo inizio. E’ quasi retorico evidenziare quanto, per
questo, Hannah Arendt senta di dovere a Kant. In ogni caso risulta altrettanto
necessario sottolineare che è proprio in questo filamento di creata fibra che il
mondo può assumere un nuovo sembiante. E’ dunque qui il coraggio
dell’universalità che fa di una semplice azione umana, quasi quotidiana nel suo
svolgersi la custodia dell’arcano di un’eterogenesi dei fini destinata a segnare nuove
costellazioni di senso.
Non può suonare estraneo leggere queste severe e limpide righe di Immanuel
Kant attraverso quelle più rapsodiche, ma ciò non dimeno pregne di senso e
progettualità di Etty Hillesum, così libere e luminose in una cattività tanto oscura e
antiumana come quella di Auschwitz dove la giovane intellettuale ebrea volle morire
andando a fare la volontaria:
la vita e la morte, il dolore e la gioia, le vesciche ai piedi estenuati dal camminare e il gelsomino
dentro la casa, le persecuzioni, le innumerevoli atrocità, tutto, tutto è in me come un unico
potente insieme, e, come tale lo accetto e comincio a capirlo sempre meglio»2
Ecco dunque decifrato il senso di un cielo stellato sopra di me, quasi codice
ermeneutico di una trascendenza che costituisce la vita umana dal di dentro, quasi
2 E.Hillesum, De nagelaten geschriften von Etty Hillesum, trad. it. Di C. Passati e T. Montone, Diario, Adelphi, Milano
20012 p 145
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che il suso stesso cogito inevitabilmente incarnato sia brisé, ferito, interrotto ed
attraversato da una discontinuità feconda che è la stessa azione capace di entrare
nel mondo con una tale libertà responsabile da scuoterlo e rinnovarlo nelle sue
fondamenta, perché ,infine, in un mondo ove tutti mentono, chi dice la verità, lo
sappia o no ha cominciato ad agire.
Forse anche in Kant l’etica, per quanto universale, non è certo un’etica del generale:
la sua idea di sussunzione dice di una singolarità che, affacciandosi al mondo, è
capace di sospendere con la sua novità il consueto e l’usato. Quella pretesa
universalità dell’azione dice ogni volta di un’umanità intera che prende forma
nell’azione, se è vero che agire è anche sempre plasmare se stesso e cambiare.
Leggere in questo modo Kant implica poter dare una nuova vita d un’istanza morale
finalmente libera dalle catture formalistiche: se l’intenzione sostanzia il contenuto
dell’azione ciò significa che quest’ultima non è solo un’oggettivazione codificata ma
l’invenzione di volta in volta di un’umanità possibile.
In tal senso appare molto bella la lettera che la poetessa Ingeborg Bachmann
indirizza alla filosofa Hannah Arendt:
«Non ho mai dubitato che ci dovesse essere qualcuno come lei, ma ora lei è realmente e la mia gioia
straordinaria per questo durerà sempre»3
Questo esserci declinato in una irripetibile unicità lascia inferire, nel senso di una
ipotiposi, la speranza di un mondo sempre in gestazione, dove basta una sola
individualità che aderisca totalmente ad un impegno progettuale per interrompere il
carattere routinario della vita4 e aprire un orizzonte di riserva critica e di senso
totalmente nuovo ed inedito.
3 Lettera di . Bachman a Hannah Arendt, in L. Boella,Le imperdonabili, Mimesiis, Milano 2013
4 Usiamo questo termine secondo l’intenzione heideggeriana come si può ravvisare in Sein und Zeit, ma anche
secondo quel significato di mondo amministrato (Verwaltete Welt) di cui parla la Scuola di Francoforte nel quale lo stesso ethos è piegato alle esigenze manipolatrici
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La legge morale dentro di me scrive Kant in modo inequivocabile, quasi a dire che
l’umanità è sempre molto di più della somma dei suoi gesti, trascende sempre i suoi
atti, anzi fa di essi la misura del suo superarsi e la coscienza che essendo dotata di
memoria, non può che essere capace di futuro.
Tuttavia tale legge interiore si esplica come misura di una giustizia che, pur
riguardando la terra, cerca di aprirvi un’istanza escatologica. Per questo motivo,
com’è stato rilevato, il debito di Kant con un certo messianismo ebraico può essere
evinto proprio per il fatto che la radice di questa legislazione universale traguarda in
un qui ed ora pronto a farsi kairos, futuro che già presente, spinge da sempre
attraverso le pieghe del passato.
§2Il valore etico della partecipazione (Agnes Heller e l'umanesimo marxista)
…Ma quale che sia devo nuotare verso il miglior mondo morale possibile
(A. Heller, Filosofia morale)
La filosofia di Agnes Heller, così come la sua figura, suscita un certo fascino, specie in
un momento come questo ove la questione antropologica si fa più cogente recando
le implicazioni proprie di un’intersoggettività sempre istituente una comunità civile.
In effetti, la sua filosofia che prende le mosse da Lukacs e risente di istanze marxiste
si presenta come una possibile elaborazione di un progetto umanistico che
arricchisce e completa il marxismo dotandolo di quella componente ontologica
fenomenologica ad un tempo che vuole indagare l’uomo quotidiano. . Per questo si
può parlare di un ritorno ad un marxismo umanistico
Agnes Heller ritiene fondamentale il bisogno di un’etica che diventa coscienza del
valore civico delle azioni umane, che attraverso e sostanzia tanto il lavoro quanto
l’esercizio della libertà. Tutto questo giustifica e legittima ad abundantiam la
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necessità di un’etica, intesa come esercizio nel quale gli uomini cambino se stessi
mentre cambiano il mondo. Esprimere tale ethos come un’implicazione profonda fra
bisogni e valori non può non avere a che fare con quella vis philosophica che, pur
essendo peculiare forma di bios politkos proprio degli uomini liberi, ciò nonostante
attiene oggi più che mai ad una comunità civile che continui a cercare uno spazio di
sempre maggiore umanizzazione lottando contro tutto ciò che costringe l’uomo ad
un’esistenza alienata. Da questo punto di vista anche la sfera economica del
bisogno deve poter divenire istanza di tale processo di emancipazione.. La
condizione che Agnes Heller pone è, pertanto, quella di un aggancio all’umanità
come valore trascendentale senza cui non sarebbe possibile quella comunicazione
libera dal dominio su cui deve innervarsi questo bios theoretikos capace di essere
ideale regolativo della società sempre istituenda. Anche in questo caso, la sua voce
femminile declina una legge ospitale, forse non ancora mai elaborata perché sempre
possibile, in un futuro che spinge attraverso il passato e dice della sua gestazione,
recuperando la coscienza di una dignità umana che, in quanto principio pre-politico,
è anche al di sopra dell’alienazione economica quale la vuole il marxismo, dato che il
declinare l’ethos solo nell’ambito dell’homo oeconomicus è, all’avviso della Heller,
una sorta di reductio, mentre la sua vocazione indubbiamente umanistica le fa
ritenere che l’etica vada immaginata attraverso i compiti che l’uomo si dà per
reinventare il mondo.
Il pensiero helleriano che ravvisa nell’ambito della teoria dei sentimenti il profilo
sempre da re—inventare del mondo come spazio comune sembra in assonanza con
questa spettacolare lirica di Rainer Maria Rilke.
« Un solo spazio compenetra ogni essere /spazio interiore del mondo. Uccelli taciti ci attraversano. /OH io che voglio crescere/guardo fuori ed in me eco cresce l'albero.
Io sono in ansia e in me sorge la casa./ Cerco riparo ed ecco in me il riparo/. L'Amato io divenni e su me la bella immagine del mondo posa e si libera in lacrime»5
5 R. M. Rilke, Quasi ogni cosa al contatto si tende, cit. in . L. Boella, Le imperdonabili, Mimesis , Milano 2013
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Piace pensare all’etica come questo spazio interiore del mondo dove la
singolarità porta dentro di se la cura, quella Sorge di sapore heideggeriano che,
tuttavia, viene stemperata dalla sua gravità dell’essere per la morte diventando,
essa stessa, nuovo spazio in cui le stesse cose e gli uomini sono immaginati in una
comunione affatto nuova. Forse, per questo, l’etica helleriana ha a che fare con i
sentimenti e con i valori che divengono cifre ermeneutiche per orientarsi ad
immaginare il possibile.
§3: Antigone:la pietas cuore della legge
Antigone è una figura emblematica di quanto sia fondamentale la presenza di un
principio creativo a stemperare la morta lettera della legge codificata. Antesignana
di un’idea secondo cui solo lo spirito dà vita, ella si pone contro la legge (nomos) dei
padri, indicando nella propria libera coscienza l’istanza di una nuova modalità
dell’agire. Modello della vera prossimità che sottintende un agire responsabile pur
nella coscienza di trovarsi dinanzi ad una vita colpevole, Antigone sottolinea in
primis quella pietas per cui si può davvero dire nihil humani mihi alienum puto
(Terenzio) e per cui è la vita umana, che nella sua dignità è ineluttabilmente prima
dell’innocenza e della colpa, deve venir garantita.
Le pagine di Hegel su Antigone non possono non essere citate come esempio di
un’immaginazione etica dialettica e forse tragica che però permette di ravvisare nel
mondo comune la concrezione di una coscienza davvero civile. Nella sezione della
Fenomenologia dello Spirito, Hegel evidenzia in Antigone il movimento della
coscienza che interrompe l’opera della natura e sottrae il consanguineo alla
distruzione6. L’istanza della coscienza rappresenta il superamento (Aufhebugn)
dell’istanza del sangue e della terra, in quanto esse debbono venire tolte e superate
6 Fenomenologia dello Spirito 2, p12
9
in un’altezza superiore dell’essere umano che incarna lo ius divino non codificato.
Per questo motivo Antigone incarna:
«la perfetta legge divina o la positiva azione etica verso il singolo;
Qui Hegel sembra mettere in evidenza che l’eticità, nella sua universalità non è
vuota astrazione che nega i ditti fondamentali del singolo, né tanto meno si esplica
come opposizione concettuale ad una componente del tutto terrena della
singolarità, bensì essa non può non prendere le forme da quella mediazione nel
cuore stesso della coscienza che accorda l’universalità con la singolarità in virtù di
una nuova rivelazione della sua dignità. Di conseguenza:
« ogni altra relazione verso di lui, la quale non resti all’amore ma sia etica, appartiene alla legge
umana ed ha il significato negativo di elevare il singolo al di sopra dell’inclusione nella comunità
naturale alla quale, esso, come effettuale appartiene»7
Tale cifra di negatività implica all’avviso di Hegel che il singolo non può sic et
simpliciter essere tolto /dedotto nell’ambito di uno ius sanguinis solo giuridica, e
con essa dialettizabile: si tratta, invece di scorgere in lui la sua portata universale, sia
che venga re-inserito in una comunità, probabilmente la sua, sia che venga
contemplato nella sua inoggettivabile umanità8. Emerge un’etica del concreto, che
davvero rende onore ad Hegel la cui universalità si esplica in itinere, assumendo un
carattere procedurale. Il nomos non è mera astrazione, non si rapprende e codifica
in prescrizioni di sangue e terra, ma è composizione armoniosa che reinventa un
ordine umano sempre più degno dell’uomo. L’ordine della pietas che, in questo
senso è ineluttabilmente sovversivo, dis-ordina ciò che è rigidamente scritto per
offrire la possibilità di una nuova scrittura viva che, secondo quanto ha dichiarato
7 G. W. F. Hegel, Phenomenologie des Geistes, trad. it. Di E. DeNnegri, Fenomenologia DELLO Spirito, La Nuova italia,
Firenze 1960, p, 13 8 Queste pagine per quanto difficili e complesse sanno aprire prospettive interessanti e quanto mai attuali, basti
pensare agli ultimi accadimenti di Lampedusa
10
Albert Camus nel discorso per la recezione del Nobel per la letteratura, deve volgersi
a chi subisce la storia.
Nonostante la sua ardua pagina, Hegel ingiunge questa possibilità che viene
contrassegnata come il tragico dell’azione, ma che mostra tutta la potenza di
un’eticità sororale, etica della responsabilità per eccellenza che interrompe legami
di sangue e mostra la condizione autentica della storia nel suo spazio ospitale.
Conclusione:
Osare l’insperabile
L’aggettivo insperabile, tratto dal titolo di un’opera di un fenomenologo
importante come J. L Chretien9 vuol essere segno di un’eccedenza, eccedenza del
tempo ed eccedenza dello spazio, quello nel quale l’umanità nella sua dimensione
storica impara continuamente che deve trascendersi.
Dunque immaginare l’etica significa dar parole all’eccedenza, e forse proprio per
questo aveva ragione Immanuel Kant quando cercava una vocazione morale alla
bellezza nella legge dentro di me. Non solo l’etica è la stessa misura /dismisura che
ci rende capaci di una conoscenza di noi stessi solo nell’intenzionalità dell’azione,
ma essa è anche ciò che ci fa prendere atto del nostro esserci.
Mirabilmente descrive Chretien questa cifra filosofica che assume via via un
carattere fondamentale:
«Tale è il sovrappiù che rimane sempre il sovrappiù, che Platone ha potuto spiegare
esclusivamente attraverso la nostra “comunione intellettuale con l’origine di tutti gli esseri»10
9 J. L. Chretien, L’inoubliable et l’inessperé, trad. it. E cura di D. Iannotta, L’indimenticabile e l’insperato, Cittadella
Edtirice, Assisi 2008 10
Ivi,p.48.
11
L’idea del sovrappiù ci dice non solo di un’umanità che sempre ha da nascere, ma
anche di un’etica della libertà che deve essere ri-fondata a partire dall’origine
comune, ma anche ricercando quella stessa comune origine nelle opere che l’uomo
ha lasciato come segno di una dignità intangibile, nei segni dell’arte e della poetica,
nell’anelito ad una civiltà capace di garantire un nuovo tempo, scandito non solo nei
ritmi della macchina, ma attraverso quella dimensione ek-statica dell’essere che
esige di ridare il giusto valore alla vita ma a anche all’azione umana.
Ed è ancora la suggestiva voce di Chretien ad ammonirci che:
«La fedeltà stessa rimpiazza i propri atti ad ogni istante. Noi non smettiamo di ringiovanire, non
per diventare più giovani di quanto fossimo, ma per rimanere gli stessi»11
Che significa, dunque rimanere gli stessi, se non recuperare quell’humanitas che è
misura delle cose e del reale,non nel senso di appiattimento degli orizzonti
sull’ordine dell’uti e del consumo che inghiottono il tempo in un disperante oblio,
ma nella coscienza di un’apertura di prospettive che ripensa la comunione
dell’uomo con le cose, o forse, per usare il linguaggio del giovane Marx il sogno di
una cosa, secondo la radice latina della realtà, ovvero res.
Forse da questo punto di vista l’etica deve avere la declinazione dell’invenio, non
solo in quanto apporto di qualcosa che non esisteva, ma anche come
contemplazione di un ordine differente che si fa incontro come un evento di senso
al pensiero a partire dall’inferenza della speranza che collega la stessa vis
philosophica al progetto di un’umanità universale cui si dà via via forma in ogni
azione, proprio secondo quanto fa la nobile figura di Antigone. E poiché
l’immaginazione etica implica un futuro che rimanda all’origine, come non
concludere con la suggestiva osservazione di Seneca:
11 Ivi,p51