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Rivista Nr 207

Date post: 30-Nov-2015
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LA MAGISTRATURA ED IL FUTURO DEL DIRITTO DEL LAVORO MILANO 12.06.2012 - ATTI DEL CONVEGNO PROMOSSO DALL’ASSOCIAZIONE ROMANO CANOSA PER GLI STUDI STORICI P.I. Spa – Spedizione in abbonamento postale, Art.1, comma 1 – D.L. 353/2003 (convert. in L. 27.02.2004 N° 46) Art.1, DCB Varese - ISSN 0391-3600 GENNAIO - FEBBRAIO 2013 UN ALBERO DEVE CRESCERE Un seme dobbiamo piantare compagni sotto queste valvole, queste tubazioni. Un albero grande deve crescere subito con grossi rami potenti nidi. Cercate, cerchiamo tra le nostre labbra morse dall’amarezza dall’insulto. Non dobbiamo aspettare, tergiversare. Molti alberi devono ergersi al cielo presto con enormi dimensioni profondi capovolgimenti. Molte vite attendono confinate nei tuguri delle loro anime. Oggi stesso compagni, dobbiamo sotterrare quel seme. Oggi stesso comincerà a crescere. Oggi stesso comincerà a rodere a travolgere la sofferenza, la sopraffazione. Ferruccio BRUGNARO (da Un pugno di sole, ed. Zambon Verlag, 2011) 207 Foto di Isabella Colonnello in Dove era la fabbrica, Milano 1987 - Montedison, Linate (MI) copertina 207_copertina 14/06/13 10.22 Pagina 1
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Page 1: Rivista Nr 207

LA MAGISTRATURA ED IL FUTURO DEL DIRITTO DEL LAVORO

MILANO 12.06.2012 - ATTI DEL CONVEGNO PROMOSSO

DALL’ASSOCIAZIONE ROMANO CANOSA PER GLI STUDI STORICI

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UN ALBERO DEVE CRESCERE

Un seme dobbiamo piantarecompagni

sotto queste valvole, queste tubazioni.Un albero grande deve crescere subito

con grossi ramipotenti nidi.

Cercate, cerchiamo tra le nostre labbramorse dall’amarezzadall’insulto.

Non dobbiamo aspettare, tergiversare.Molti alberi devono ergersi

al cielo prestocon enormi dimensioniprofondi capovolgimenti.

Molte vite attendono confinatenei tuguridelle loro anime.

Oggi stesso compagni, dobbiamo sotterrarequel seme.

Oggi stesso comincerà a crescere.Oggi stesso comincerà a roderea travolgere la sofferenza, la sopraffazione.

Ferruccio BRUGNARO(da Un pugno di sole, ed. Zambon Verlag, 2011)

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Foto di Isabella Colonnello in Dove era la fabbrica, Milano 1987 - Montedison, Linate (MI)

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Sede Nazionale Via Venezian, 1 - 20133 Milano - Sede Amministrativa Via dei Carracci, 2 - 20149 Milano

COMITATO DI REDAZIONE: Fulvio AURORA(direttore responsabile), Lino BALZA, AngeloBARACCA, Cesare BERMANI, Ga briella BERTINI,Roberto BIANCHI, Sergio BOLOGNA, Marco CAL-DIROLI, Roberto CARRARA, Germano CASSINA,Carla CA VAGNA, Gianni CAVINATO, Maria LuisaCLEMENTI, Elisabetta COSANDEY, AngeloCOVA, Fernando D’ANGELO, Rino ERMINI,Giorgio FORTI, Giorgio GALLEANO, Pietro e SaraGALLI (grafici), Maurizio LOSCHI, Luigi MARA(direttore), Dario MIEDICO, Marcello PALAGI,Barbara PERRONE, Roberto POLILLO, MaurizioPORTALURI, Chiara SAS SO, Matteo SPREAFICO,Vito TOTIRE, Laura VALSECCHI, Bruno VITALE.INOLTRE COLLABORANO A QUESTA RIVISTA:Carlo ALBERGANTI, Giorgio ALBERTINALE,Beppe BANCHI, Giuseppe BLANCO, MarioBRAGA, Ferruccio BRUGNARO, Paolo BULETTI,Roberto CARMINATI, Marco CERIANI, Massimo

COZZA, Michele DE PASQUALE, Rossana DET-TORI, Elisabetta DONINI, Antonino DRAGO, Gior -gio DUCA, Walter FOSSATI, Cristina FRANCE-SCHI, Lidia FRANCESCHI, Ida GALLI, ValerioGENNARO, Patrizia GENTILINI, Liliana GHILAR-DI, Ma ria Grazia GIANNICHEDDA, Claudio GIOR-NO, Pietro GRILLAI, Giuseppe MARAZZINI,Maurizio MARCHI, Gilberto MARI, Gianni MAT-TIOLI, Bruno MEDICI, Claudio MEZZANZANICA,Alfredo MORABIA, Corrado MONTEFALCHESI,Celestino PANIZZA, Pietro PEROTTI, Agosti noPIRELLA, Aris REBELLATO, Giuseppe REZZA,Franco RIGOSI, Marino RUZZENENTI, AldoSACHERO, Nicola SCHINAIA, Anna SEGRE,Giovanni SERRAVALLE, Claudia SORLINI, GianniTAMINO, Flavia TRIOZZI, Bruno THIEME, EnzoTIEZZI, Lu ca TRENTINI, Attilio ZINELLI. IMPA-GINAZIONE: Stefano DEBBIA, An drea PRAVET-TONI.

5 per 1000E' possibile versare nella prossima dichiarazionedei redditi il 5 per mille dell'IRPEF all'Associazione“Medicina Democratica - Movimento di Lotta perla Salute O.N.L.U.S.”, in breve “MedicinaDemocratica – O.N.L.U.S.”. Come è noto, si trattadi un’associazione autogestita che opera senza finidi lucro attraverso il lavoro volontario e gratuito e lesottoscrizioni dei suoi associati e simpatizzanti, chenon ha mai goduto e che non gode di finanziamen-ti nè diretti nè indiretti da parte di chicchessia. Pertanto, se ne condividete l’operato e intendetesostenere le sue iniziative per affermare la Salute, laSicurezza e l’Ambiente salubre in fabbrica, cosìcome in ogni dove della società, nel rigoroso rispet-to dei Diritti Umani e contro ogni forma di esclu-sione, emarginazione, discriminazione e razzismo,Vi chiediamo di indicare il numero di CodiceFiscale 97349700159 dell’Associazione “MedicinaDemocratica - Movimento di Lotta per la SaluteO.N.L.U.S.”. N.B. Si ricorda che la scelta del 5 per mille nonsostituisce quella dell'8 per mille (dedicata, peresempio, al culto): le opzioni 5 per mille e 8 permille si possono esprimere entrambe.

BIMESTRALEN° 207 gennaio-febbraio-2013

Autorizzazione del Tribunaledi Milano n° 23

del 19 gennaio 1977

Iscritta al RegistroNazionale della Stampa

(Legge 58/81 n. 416, art. 11) il30 ottobre 1985

al n° 8368317, foglio 657ISSN 0391-3600

EDIZIONE:Medicina Democratica

movimento di lottaper la salute - O.n.l.u.s.

Tel. 02-4984678Fax 02-48014680

20100 Milano

REDAZIONE:e-mail:

[email protected] 0331-501792

Via Roma, 221053 - Castellanza (VA)

PER SOTTOSCRIZIONEdella quota associativa annua:

ordinaria €. 35,00sostenitrice €. 55,00

e per le DONAZIONI bonifico bancario

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presso la Banca Popolare diMilano, oppure con bollettino

postale sul c/c 12191201 intestato a“Medicina Democratica –

O.N.L.U.S.”, Milano, Via deiCarracci 2, c.p. 814, 20100

indicando la causale.

Spedizione postaleSTAMPA:

GRAPHITI S.r.l.Via Newton, 1220016 Pero (MI)

Foto di Isabella Colonnello in Dove era la fabbrica, Milano 1987 - Alfa Romeo, Portello - Milano

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Medicina Democratica numero 207 gennaio / febbraio 2013

La magistratura ed il futuro del diritto del lavoro, convegno promosso dall’Associazione Romano Canosa per gli studi storici, il 12 giugno 2012 - Milano, Società Umanitaria

INTRODUZIONEDIRITTO E STORIA-STORIA E DIRITTONel prendere la parola in questo contesto,vale a dire fra operatori del diritto autorevo-li ed autorevolissimi, non nascondo uncerto imbarazzo e persino una sorta dipudore, perché io non sono un giurista enon sono neanche uno storico del diritto insenso stretto. Forse si potrebbe dire che sonouno storico sociale, per usare una di quelleetichette che a volte sono un po’ fuorvianti.Credo però che sia quanto mai opportuno -non soltanto per gli storici, ma anche, più ingenerale, per chi voglia capire com’è fattoquesto Paese - occuparsi di diritto e dellastoria del diritto. Questa considerazionepoggia su due caratteristiche dell’Italia: unadi lungo periodo e l’altra più recente. Quelladi lungo periodo, senza evocare la crucialitàdel diritto romano per l’identità giuridicaeuropea e restando alla storia post-unitaria,rinvia all’esistenza di costellazione di figureappartenenti all’universo del diritto - avvo-cati, magistrati, grands commis de l’Etat,esponenti della pubblica amministrazione,parlamentari, uomini di governo - che costi-tuiscono un tassello fondamentale delleclassi dirigenti italiane. In altri termini, ildiritto - e il personale collegato a questosapere - ha espresso in Italia il nerbo dellaclasse dirigente, tant’è vero che ancora oggiè possibile rilevarne la persistenza nelle isti-tuzioni nazionali e locali. Bisogna precisareche si tratta per lo più di uomini, perché ledonne, com’è noto, sono state lungamentepenalizzate nell’accesso ai diritti e anche aldiritto all’istruzione. Confrontarsi quindicon questa costellazione di figure vuol direriuscire a capire un po’ meglio la storia ita-liana postunitaria.Esiste poi una ragione di più breve durata,

che riguarda vicende più recenti. È del tuttoevidente che negli ultimi venti-venticinqueanni il rapporto fra la giustizia e la politica,intendendo con questi termini due poteridello Stato, ha toccato delle temperatureincandescenti ed ha fortemente condiziona-to la vita del Paese. Forse si potrebbe retro-datare la periodizzazione alla stagione delterrorismo. In ogni caso, mi pare si possadire con ragionevole sicurezza che la storiadel tempo presente, ovvero la storia che ciha prodotto, dovrà necessariamente scende-re a fondo in questa riarticolazione tra giu-stizia e politica, sulle sue ragioni e suglieffetti.

ROMANO CANOSAQuindi diritto e storia, storia e diritto. InItalia sono pochissime le personalità chehanno sintetizzato in una stessa esperienzabiografica questi due campi, vale a dire l’im-pegno professionale all’interno del diritto equello ad alta professionalità nella ricercastorica. O viceversa. Romano Canosa è unadi queste. Tutta la sua biografia si snodaattraverso un’attività costante fra il tribunalee l’archivio, per usare due metafore. Canosaproviene da Ortona, un paesino abruzzese,dove ha origine alla metà degli anni ’30. Èun migrante. Nel dopoguerra lascia la pro-vincia per compiere gli studi universitari aRoma. Si laurea in legge e nei primi anniSessanta vince il concorso per entrare inmagistratura. È destinato nella procura diMilano. Qui, alla fine del decennio, decidedi entrare in Magistratura Democratica, lacorrente sorta da qualche anno con l’inten-zione di rinnovare la cultura giuridica delPaese, richiamandosi alla Costituzione.Quasi contemporaneamente comincia adoccuparsi delle cause di lavoro.

*Ricercatore di sto-ria contemporaneapresso l’Universitàdegli Studi diModena e ReggioEmilia.

Atti 1

La Magistratura e il futurodel diritto del lavoro

di Andrea RAPINI*

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Medicina Democratica numero 207 gennaio / febbraio 2013

Nel ventennio successivo, lungo tutti glianni ’70 e poi gran parte degli anni ’80,Romano Canosa è uno dei principali artefi-ci sia della costruzione di MagistraturaDemocratica, dei suoi orientamenti e delsuo peso nel discorso pubblico, sia dell’in-novazione della cultura giuridica italiana,in particolar modo giuslavoristica, in virtùdelle sue sentenze.(1) Nei primi anni Novanta, egli si allontanaprogressivamente dall’associazione che hacontribuito a rendere incisiva ed autorevo-le. Matura, in questo frangente, un males-sere nei confronti delle prese di posizionedella sua corrente ed anche verso alcuneprassi. A me pare che siano sostanzial-mente due i nodi su cui si consuma uncerto dissapore: il concetto di garantismo eil rapporto fra Magistratura Democratica eil sistema politico. Su questi due nodi,Canosa percepisce un allontanamentodella corrente rispetto alle posizioni origi-narie. Un allontanamento visibile – cosìcrede - in un certo collateralismo con glieredi del Pci e nell’uso disinvolto della car-cerazione preventiva (2). Su questi temi laricerca storica dovrà esercitarsi con mag-giore ponderazione e con l’ausilio di altrefonti. Parallelamente all’attività giuridica, Canosasi dedica alla ricerca storica a cominciaredalla metà degli anni Settanta. Il suo primolibro esce nel 1974 per un editore impor-tante: La Magistratura in Italia dal 1945 adoggi (3). L’ultimo nel 2010 per l’editoreabruzzese Menabò: Storia dell’Abruzzo inetà giolittiana: 1900-1918 (4). In tale arco cro-nologico, egli pubblica circa sessanta mono-grafie per alcuni tra i principali editori italia-ni - Mulino, Feltrinelli, Einaudi, Baldini &Castoldi - senza contare le partecipazioni adopere collettanee, gli interventi su riviste dipolitica e cultura o giuridiche (5). In altri ter-mini, Canosa mette in campo una capacitàdi lavoro - spesso di archivio - e di scritturaimpressionante. L’osservazione è tanto piùpregnante quanto più si tenga presente chela ricerca storica d’archivio è quanto maifaticosa e richiede dei tempi lunghi e lun-ghissimi. Volendo calcolare la produttivitàmedia del giudice-storico, si può affermareche tra il 1974 e il 2010 è come se produ-cesse più di un libro e mezzo l’anno.

L’ARCHIVIO E IL TRIBUNALETra l’archivio e il tribunale, o fuori dimetafora, tra l’attività di giudice e quella distorico, esiste un rapporto molto stretto.Canosa, infatti, circoscrive nel campo dellastoriografia degli oggetti di ricerca che rin-viano a questioni presenti nella sua testa enella sua pratica di giudice: le istituzionitotali, il carcere, la fabbrica, il manicomio, ladevianza sociale, i dispositivi di assoggetta-mento, l’inquisizione. Peraltro, tali temisono dissodati entro una periodizzazionecosì estesa da abbracciare sia l’età modernasia l’età contemporanea: una durata, quindi,ampissima, che è difficile riuscire a domi-nare. Come nel caso dell’attività di giudice,anche questo versante della biografia diCanosa dovrà essere oggetto di una riflessio-ne più ponderata, volta a valutare il contri-buto che egli dà al rinnovamento della sto-riografia italiana, specialmente tra anniSettanta e Ottanta. In questo periodo, infatti,Canosa contribuisce ad innovare le prospet-tive di studio, praticando autonomamente,secondo le sue inclinazioni e curiosità, lanuova storiasociale che arriva dalla Francia,dalla Germania, dall’Inghilterra ed innervala cultura storiografica italiana, ibridandosicon tradizioni nazionali. Canosa pur nonessendo uno storico di professione, vale adire deputato istituzionalmente alla ricercastorica, partecipa a questa circolazione delleidee.

UN’ASSOCIAZIONEAlla figura di Romano Canosa è stata dedi-cata un’associazione: Associazione RomanoCanosa per gli Studi Storici. È nata l’annosuccessivo alla morte del giudice - nel 2011- ed è stata messa in piedi da un gruppo dipersone che hanno avuto la fortuna, in modidiversi, di conoscerlo fra Ortona e Milano.Isabella Colonnello, la moglie, è una dellefondatrici. Poi ci sono Laura Hoesch,Rosanna Santaniello, Amedeo Santosuosso,l’editore ortonese Gaetano Basti, il geografoFranco Farinelli, il sottoscritto. L’obiettivo di questa associazione è duplice:da una parte, valorizzare le opere e la perso-nalità di Canosa, promuovendo anche ricer-che sulla sua sfaccettata biografia. Questa,per le caratteristiche cui si è accennato, con-sente di accedere direttamente alle princi-

2 Atti La magistratura ed il futuro del diritto del lavoro, convegno promosso dall’Associazione Romano Canosa per gli studi storici, il 12 giugno 2012 - Milano, Società Umanitaria

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pali questioni politiche e giuridiche degliultimi trenta anni e ad alcuni grandi proble-mi del dibattito storiografico. D’altro canto,l’Associazione intende impegnarsi nell’or-ganizzazione della cultura attraverso incon-tri, seminari, convegni su tematiche sullequali il giudice ha posato la sua attenzione.Mi pare, questo, un modo per riattivare ilsuo cantiere, scegliendo con perizia letematiche sollecitate dal presente, ovverostando attenti ad individuare le tematicheche, lungi dal trasmettere una sensazione“archeologica”, abbiano la capacità di par-lare direttamente al mondo attuale e ci aiu-tino a ragionare sulle rotte intraprese comecomunità. Ecco perché l’argomento di que-sto seminario è il diritto del lavoro.

UN TITOLO INATTUALEIl titolo del seminario è Il futuro del dirit-to del lavoro. Tuttavia, gli interventi diGiovanni Focardi, Antonio Ianniello e LuigiMara sono situati pesantemente nella storia.Esiste un’apparente contraddizione: si parladi futuro, volgendo le spalle indietro. Forsesi può più correttamente parlare di unapostura inattuale. Da circa venti-venticin-que anni, infatti, l’esperienza della tempora-lità degli occidentali, vale a dire il modo diarticolare il passato, il presente, il futuro, ècambiata radicalmente. Mentre per secoli siè guardato al passato alla ricerca di arnesiculturali ed un’attrezzatura esperienzialeper proiettarsi in avanti, nella convinzioneche il futuro fosse davvero dietro le spalle,oggi questa concatenazione si è interrotta.La crisi del futuro o, altrimenti, la fatica ad

immaginare il futuro e a programmarlo ra-zionalmente sia sul piano individuale sia suquello collettivo delle politiche di governodella società, è il pendant di una crisi delpassato e dei suoi saperi, schiacciati nelladimensione tutta presentista del mondo glo-bale e dei suoi flussi just in time (6). Chilavora nell’accademia conosce il riflesso diqueste trasformazioni sul piano del con-fronto tra saperi e sa quanto il sapere storicosia ormai diventato subalterno a quelli tec-nico-aziendalistici. Ciononostante, questagiornata sceglie consapevolmente di assu-mere una postura inattuale nella convinzio-ne che sia ancora utile scavare nel passatoper guardare al futuro, interpretando il pre-sente come storia, ovvero come una stratifi-cazione mai necessaria delle scelte presedagli attori sociali e politici che ci hannopreceduto. Ecco allora una riflessione sucos’è stato il diritto del lavoro per capire see come sta cambiando e in quale direzioneva e, soprattutto, se sia auspicabile percorre-re questa direzione alla luce delle ragioni sucui è sorto il diritto del lavoro: la difesa delcontraente più debole. Non è un caso, allora, se sia proprio ilCoordinamento delle lavoratrici e dei lavo-ratori della Montedison di Castellanza adaver desiderato questo incontro e ad averloreso possibile. È del tutto evidente che sianoquesti soggetti a vivere i più pesanti con-traccolpi dello sfarinamento del diritto dellavoro edificato dopo il Sessantotto in Italia.Questa discussione, in fin dei conti, meritadi essere dedicata a loro. Ed è proprio ilminimo che si possa fare (7).

Atti 3La magistratura ed il futuro del diritto del lavoro, convegno promosso dall’Associazione Romano Canosa per gli studi storici, il 12 giugno 2012 - Milano, Società Umanitaria

NOTE: 1. Si veda l’intervento di Antonio Ianniello chescende nel dettaglio.2. Romano Canosa, Dalla classe alla corpora-zione. Lo strano cammino di MagistraturaDemocratica, inedito, reperibile in http://www.romanocanosa.it/itweb/dalla-classe-alla-corporazione.html.3. Romano Canosa, Pietro Federico, La magi-stratura in Italia dal 1945 a oggi, Il Mulino,Bologna 1974.4. Romano Canosa, Storia dell’Abruzzo in età

giolittiana: 1900-1918, D’Abruzzo EdizioniMenabò, Ortona 2010.5. http://www.romanocanosa.it/itweb/bibliogra-fia.html.6. François Hartog, Regimi di storicità.Presentismo ed esperienze del tempo, Palermo,Sellerio, 2007.7. Un ringraziamento va all’Ordine degli avvo-cati di Milano, alla Fondazione Luigi Michelettidi Brescia e a Medicina Democratica per aversostenuto l’incontro e partecipato ai suoi lavori.

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Medicina Democratica numero 207 gennaio / febbraio 2013

La magistratura ed il futuro del diritto del lavoro, convegno promosso dall’Associazione Romano Canosa per gli studi storici, il 12 giugno 2012 - Milano, Società Umanitaria

INTRODUZIONEDIRITTO E STORIA-STORIA E DIRITTONel prendere la parola in questo contesto,vale a dire fra operatori del diritto autorevo-li ed autorevolissimi, non nascondo uncerto imbarazzo e persino una sorta dipudore, perché io non sono un giurista enon sono neanche uno storico del diritto insenso stretto. Forse si potrebbe dire che sonouno storico sociale, per usare una di quelleetichette che a volte sono un po’ fuorvianti.Credo però che sia quanto mai opportuno -non soltanto per gli storici, ma anche, più ingenerale, per chi voglia capire com’è fattoquesto Paese - occuparsi di diritto e dellastoria del diritto. Questa considerazionepoggia su due caratteristiche dell’Italia: unadi lungo periodo e l’altra più recente. Quelladi lungo periodo, senza evocare la crucialitàdel diritto romano per l’identità giuridicaeuropea e restando alla storia post-unitaria,rinvia all’esistenza di costellazione di figureappartenenti all’universo del diritto - avvo-cati, magistrati, grands commis de l’Etat,esponenti della pubblica amministrazione,parlamentari, uomini di governo - che costi-tuiscono un tassello fondamentale delleclassi dirigenti italiane. In altri termini, ildiritto - e il personale collegato a questosapere - ha espresso in Italia il nerbo dellaclasse dirigente, tant’è vero che ancora oggiè possibile rilevarne la persistenza nelle isti-tuzioni nazionali e locali. Bisogna precisareche si tratta per lo più di uomini, perché ledonne, com’è noto, sono state lungamentepenalizzate nell’accesso ai diritti e anche aldiritto all’istruzione. Confrontarsi quindicon questa costellazione di figure vuol direriuscire a capire un po’ meglio la storia ita-liana postunitaria.Esiste poi una ragione di più breve durata,

che riguarda vicende più recenti. È del tuttoevidente che negli ultimi venti-venticinqueanni il rapporto fra la giustizia e la politica,intendendo con questi termini due poteridello Stato, ha toccato delle temperatureincandescenti ed ha fortemente condiziona-to la vita del Paese. Forse si potrebbe retro-datare la periodizzazione alla stagione delterrorismo. In ogni caso, mi pare si possadire con ragionevole sicurezza che la storiadel tempo presente, ovvero la storia che ciha prodotto, dovrà necessariamente scende-re a fondo in questa riarticolazione tra giu-stizia e politica, sulle sue ragioni e suglieffetti.

ROMANO CANOSAQuindi diritto e storia, storia e diritto. InItalia sono pochissime le personalità chehanno sintetizzato in una stessa esperienzabiografica questi due campi, vale a dire l’im-pegno professionale all’interno del diritto equello ad alta professionalità nella ricercastorica. O viceversa. Romano Canosa è unadi queste. Tutta la sua biografia si snodaattraverso un’attività costante fra il tribunalee l’archivio, per usare due metafore. Canosaproviene da Ortona, un paesino abruzzese,dove ha origine alla metà degli anni ’30. Èun migrante. Nel dopoguerra lascia la pro-vincia per compiere gli studi universitari aRoma. Si laurea in legge e nei primi anniSessanta vince il concorso per entrare inmagistratura. È destinato nella procura diMilano. Qui, alla fine del decennio, decidedi entrare in Magistratura Democratica, lacorrente sorta da qualche anno con l’inten-zione di rinnovare la cultura giuridica delPaese, richiamandosi alla Costituzione.Quasi contemporaneamente comincia adoccuparsi delle cause di lavoro.

*Ricercatore di sto-ria contemporaneapresso l’Universitàdegli Studi diModena e ReggioEmilia.

Atti 1

La Magistratura e il futurodel diritto del lavoro

di Andrea RAPINI*

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Nel ventennio successivo, lungo tutti glianni ’70 e poi gran parte degli anni ’80,Romano Canosa è uno dei principali artefi-ci sia della costruzione di MagistraturaDemocratica, dei suoi orientamenti e delsuo peso nel discorso pubblico, sia dell’in-novazione della cultura giuridica italiana,in particolar modo giuslavoristica, in virtùdelle sue sentenze.(1) Nei primi anni Novanta, egli si allontanaprogressivamente dall’associazione che hacontribuito a rendere incisiva ed autorevo-le. Matura, in questo frangente, un males-sere nei confronti delle prese di posizionedella sua corrente ed anche verso alcuneprassi. A me pare che siano sostanzial-mente due i nodi su cui si consuma uncerto dissapore: il concetto di garantismo eil rapporto fra Magistratura Democratica eil sistema politico. Su questi due nodi,Canosa percepisce un allontanamentodella corrente rispetto alle posizioni origi-narie. Un allontanamento visibile – cosìcrede - in un certo collateralismo con glieredi del Pci e nell’uso disinvolto della car-cerazione preventiva (2). Su questi temi laricerca storica dovrà esercitarsi con mag-giore ponderazione e con l’ausilio di altrefonti. Parallelamente all’attività giuridica, Canosasi dedica alla ricerca storica a cominciaredalla metà degli anni Settanta. Il suo primolibro esce nel 1974 per un editore impor-tante: La Magistratura in Italia dal 1945 adoggi (3). L’ultimo nel 2010 per l’editoreabruzzese Menabò: Storia dell’Abruzzo inetà giolittiana: 1900-1918 (4). In tale arco cro-nologico, egli pubblica circa sessanta mono-grafie per alcuni tra i principali editori italia-ni - Mulino, Feltrinelli, Einaudi, Baldini &Castoldi - senza contare le partecipazioni adopere collettanee, gli interventi su riviste dipolitica e cultura o giuridiche (5). In altri ter-mini, Canosa mette in campo una capacitàdi lavoro - spesso di archivio - e di scritturaimpressionante. L’osservazione è tanto piùpregnante quanto più si tenga presente chela ricerca storica d’archivio è quanto maifaticosa e richiede dei tempi lunghi e lun-ghissimi. Volendo calcolare la produttivitàmedia del giudice-storico, si può affermareche tra il 1974 e il 2010 è come se produ-cesse più di un libro e mezzo l’anno.

L’ARCHIVIO E IL TRIBUNALETra l’archivio e il tribunale, o fuori dimetafora, tra l’attività di giudice e quella distorico, esiste un rapporto molto stretto.Canosa, infatti, circoscrive nel campo dellastoriografia degli oggetti di ricerca che rin-viano a questioni presenti nella sua testa enella sua pratica di giudice: le istituzionitotali, il carcere, la fabbrica, il manicomio, ladevianza sociale, i dispositivi di assoggetta-mento, l’inquisizione. Peraltro, tali temisono dissodati entro una periodizzazionecosì estesa da abbracciare sia l’età modernasia l’età contemporanea: una durata, quindi,ampissima, che è difficile riuscire a domi-nare. Come nel caso dell’attività di giudice,anche questo versante della biografia diCanosa dovrà essere oggetto di una riflessio-ne più ponderata, volta a valutare il contri-buto che egli dà al rinnovamento della sto-riografia italiana, specialmente tra anniSettanta e Ottanta. In questo periodo, infatti,Canosa contribuisce ad innovare le prospet-tive di studio, praticando autonomamente,secondo le sue inclinazioni e curiosità, lanuova storiasociale che arriva dalla Francia,dalla Germania, dall’Inghilterra ed innervala cultura storiografica italiana, ibridandosicon tradizioni nazionali. Canosa pur nonessendo uno storico di professione, vale adire deputato istituzionalmente alla ricercastorica, partecipa a questa circolazione delleidee.

UN’ASSOCIAZIONEAlla figura di Romano Canosa è stata dedi-cata un’associazione: Associazione RomanoCanosa per gli Studi Storici. È nata l’annosuccessivo alla morte del giudice - nel 2011- ed è stata messa in piedi da un gruppo dipersone che hanno avuto la fortuna, in modidiversi, di conoscerlo fra Ortona e Milano.Isabella Colonnello, la moglie, è una dellefondatrici. Poi ci sono Laura Hoesch,Rosanna Santaniello, Amedeo Santosuosso,l’editore ortonese Gaetano Basti, il geografoFranco Farinelli, il sottoscritto. L’obiettivo di questa associazione è duplice:da una parte, valorizzare le opere e la perso-nalità di Canosa, promuovendo anche ricer-che sulla sua sfaccettata biografia. Questa,per le caratteristiche cui si è accennato, con-sente di accedere direttamente alle princi-

2 Atti La magistratura ed il futuro del diritto del lavoro, convegno promosso dall’Associazione Romano Canosa per gli studi storici, il 12 giugno 2012 - Milano, Società Umanitaria

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Medicina Democratica numero 207 gennaio / febbraio 2013

pali questioni politiche e giuridiche degliultimi trenta anni e ad alcuni grandi proble-mi del dibattito storiografico. D’altro canto,l’Associazione intende impegnarsi nell’or-ganizzazione della cultura attraverso incon-tri, seminari, convegni su tematiche sullequali il giudice ha posato la sua attenzione.Mi pare, questo, un modo per riattivare ilsuo cantiere, scegliendo con perizia letematiche sollecitate dal presente, ovverostando attenti ad individuare le tematicheche, lungi dal trasmettere una sensazione“archeologica”, abbiano la capacità di par-lare direttamente al mondo attuale e ci aiu-tino a ragionare sulle rotte intraprese comecomunità. Ecco perché l’argomento di que-sto seminario è il diritto del lavoro.

UN TITOLO INATTUALEIl titolo del seminario è Il futuro del dirit-to del lavoro. Tuttavia, gli interventi diGiovanni Focardi, Antonio Ianniello e LuigiMara sono situati pesantemente nella storia.Esiste un’apparente contraddizione: si parladi futuro, volgendo le spalle indietro. Forsesi può più correttamente parlare di unapostura inattuale. Da circa venti-venticin-que anni, infatti, l’esperienza della tempora-lità degli occidentali, vale a dire il modo diarticolare il passato, il presente, il futuro, ècambiata radicalmente. Mentre per secoli siè guardato al passato alla ricerca di arnesiculturali ed un’attrezzatura esperienzialeper proiettarsi in avanti, nella convinzioneche il futuro fosse davvero dietro le spalle,oggi questa concatenazione si è interrotta.La crisi del futuro o, altrimenti, la fatica ad

immaginare il futuro e a programmarlo ra-zionalmente sia sul piano individuale sia suquello collettivo delle politiche di governodella società, è il pendant di una crisi delpassato e dei suoi saperi, schiacciati nelladimensione tutta presentista del mondo glo-bale e dei suoi flussi just in time (6). Chilavora nell’accademia conosce il riflesso diqueste trasformazioni sul piano del con-fronto tra saperi e sa quanto il sapere storicosia ormai diventato subalterno a quelli tec-nico-aziendalistici. Ciononostante, questagiornata sceglie consapevolmente di assu-mere una postura inattuale nella convinzio-ne che sia ancora utile scavare nel passatoper guardare al futuro, interpretando il pre-sente come storia, ovvero come una stratifi-cazione mai necessaria delle scelte presedagli attori sociali e politici che ci hannopreceduto. Ecco allora una riflessione sucos’è stato il diritto del lavoro per capire see come sta cambiando e in quale direzioneva e, soprattutto, se sia auspicabile percorre-re questa direzione alla luce delle ragioni sucui è sorto il diritto del lavoro: la difesa delcontraente più debole. Non è un caso, allora, se sia proprio ilCoordinamento delle lavoratrici e dei lavo-ratori della Montedison di Castellanza adaver desiderato questo incontro e ad averloreso possibile. È del tutto evidente che sianoquesti soggetti a vivere i più pesanti con-traccolpi dello sfarinamento del diritto dellavoro edificato dopo il Sessantotto in Italia.Questa discussione, in fin dei conti, meritadi essere dedicata a loro. Ed è proprio ilminimo che si possa fare (7).

Atti 3La magistratura ed il futuro del diritto del lavoro, convegno promosso dall’Associazione Romano Canosa per gli studi storici, il 12 giugno 2012 - Milano, Società Umanitaria

NOTE: 1. Si veda l’intervento di Antonio Ianniello chescende nel dettaglio.2. Romano Canosa, Dalla classe alla corpora-zione. Lo strano cammino di MagistraturaDemocratica, inedito, reperibile in http://www.romanocanosa.it/itweb/dalla-classe-alla-corporazione.html.3. Romano Canosa, Pietro Federico, La magi-stratura in Italia dal 1945 a oggi, Il Mulino,Bologna 1974.4. Romano Canosa, Storia dell’Abruzzo in età

giolittiana: 1900-1918, D’Abruzzo EdizioniMenabò, Ortona 2010.5. http://www.romanocanosa.it/itweb/bibliogra-fia.html.6. François Hartog, Regimi di storicità.Presentismo ed esperienze del tempo, Palermo,Sellerio, 2007.7. Un ringraziamento va all’Ordine degli avvo-cati di Milano, alla Fondazione Luigi Michelettidi Brescia e a Medicina Democratica per aversostenuto l’incontro e partecipato ai suoi lavori.

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SSoommmmaarriioo

Medicina Democratica numero 207 gennaio / febbraio 20134 sommario

La Magistratura e il futuro del diritto del lavorodi Andrea RAPINI 1

Romano Canosa, il magistrato e lo storico,biografia a cura della omonima Associazione per gli studi storici 5

In ricordo di Romano Canosadi Amedeo SANTOSUOSSO 7

(Auto)rappresentazioni di settori della magistraturatra Stato e società, 1945 – 1992di Giovanni FOCARDI 10

Il ruolo della Pretura del Lavoro di Milano nell’elaborazione di una giurisprudenza ancorata alla Costituzione per la promozionedella dignità e dei diritti dei lavoratori di Antonio IANNIELLO 25

Il ruolo di Romano Canosa per il diritto del lavoro viventedi Salvatore TRIFIRO’ 34

Magistratura e società.Gli anni ’70.Dal ’68 e dall’autunno caldo del ’69 alla strategia della tensione e al terrorismo di Edmondo BRUTI LIBERATI 39

Il diritto del lavoro non può essere consideratoavulso dal contesto generale del dirittodi Giuseppe PELAZZA 45

Romano Canosa e la giurisprudenza del lavorodell’inizio degli anni ‘70di Gilberto VITALE 49

Diritto al lavoro e diritto alla salute: evoluzione e regressione.Il contributo di Romano Canosadi Luigi MARA 53

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La magistratura ed il futuro del diritto del lavoro, convegno promosso dall’Associazione Romano Canosa per gli studi storici, il 12 giugno 2012 - Milano, Società Umanitaria

IL MAGISTRATORomano Canosa nasce il 6 agosto 1935 aOrtona. Si iscrive a Legge a Roma dove,ospite della Casa dello studente, fa le primeesperienze di “conflitto” sociale nell’am-biente universitario. Come egli scrive: “LaCasa dello studente a Roma era allora unostrano posto dove confluivano da tutto ilMeridione gli studenti con le medie moltoalte. L’ambiente era un misto di pazzia, digenialità e di disperazione che non ha maismesso di stupirmi. Intellettuali già sradica-ti, figli della piccola e piccolissima borghe-sia meridionale, megalomani in cerca di undestino (che solo poche volte avrebberoavuto), sgobboni che studiavano dalla mat-tina alla sera senza uscire dalla stanza,ignorando tutto quello che non era scrittonei libri, esponenti di grandi famiglie (vi eraanche un Berlinguer).” (da “Storia di un pre-tore”, Einaudi, 1978, pag.4). Si laurea nel1957 con una tesi di diritto civile con il prof.Emilio Betti. Dopo quattro anni di esperien-ze in studi professionali romani, nel 1961vince il concorso per la magistratura e vieneinvitato a presentarsi alla pretura di Milano.Si rende subito conto delle piaghe che afflig-gono la giustizia italiana: burocratismo, len-tezza, chiusura culturale della dirigenza eclassismo. Nel 1963 gli vengono affidate “le funzioni”e cioè le prime cause da decidere in primapersona. Si iscrive alla AssociazioneNazionale Magistrati e aderisce in un primomomento alla corrente moderata di TerzoPotere che lascia nel 1969 per aderire aMagistratura Democratica divenendoneuno dei protagonisti. Nel 1970 viene asse-gnato alla Sezione Lavoro della pretura diMilano e, con l’approvazione nel 1970 delloStatuto dei Lavoratori, è giudice in una serie

di casi dove le sue sentenze, magistrali erivoluzionarie, che associavano il rigoredella norma alla tutela dei lavoratori, diven-nero fondanti di una nuova cultura dellecause di lavoro. Da allora fino alla fine dellasua carriera Romano Canosa conduce unasistematica azione critica del sistema “giu-stizia” in Italia. Di questa battaglia restanovivissimi documenti nei suoi libri: “LaPolizia in Italia dal 1945 ad oggi” (1976);“Diritto e Rivoluzione” (1977); “Il giudice ela donna” (1978); insieme a Pietro Federico“La Magistratura in Italia dal 1945 ad oggi”(1974); “Storia della Magistratura in Italia:da piazza Fontana a Mani Pulite” (1996).Di particolare interesse il resoconto autobio-grafico del 1978, “Storia di un pretore”: unavissuta cronaca coraggiosa e appassionatadella vita e dei conflitti nella magistraturaitaliana negli anni caldi delle lotte sindacalie del 1968. Preziosi documenti per la com-prensione delle vicende della Magistraturaitaliana negli anni ‘70, ‘80, anche i suoi scrit-ti in “Critica del diritto”, nei “Quaderni pia-

*Biografia a curadell’AssociazioneRomano Canosa pergli studi storici.

biografia 5

Romano Canosa, il magistrato e lo storico*

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centini” e in “Sapere” (cfr bibliografiahttp://www.romanocanosa.it/itweb/biblio-grafia.html). Romano lascia la Magistratura nel 2005 e sidedica completamente alla passione deisuoi studi storici. La sua indipendenza digiudizio e la sua libertà di pensiero nehanno fatto un simbolo di coraggio civile edi coerenza etica che resta, oltre al monu-mento di opere storiche, il suo legato piùprezioso.

LO STORICOFin dagli anni Settanta Romano Canosa scri-ve di giudici, diritto, formazione della legge,iniziando con il libro La magistratura inItalia dal 1945 ad oggi (Il Mulino, Bologna,1974). Collabora contemporaneamente alleriviste Quaderni Piacentini, Il Mulino,Quale Giustizia, Critica del diritto, Politicadel Diritto, Magistratura Democratica, Laquestione criminale ed altre ancora. In que-sto periodo i temi centrali del suo lavorosono dedicati alla legislazione sull’aborto,alle sanzioni contro il fascismo, ai diritti delsoldato.Nel 1978 esce per Einaudi Storia di un pre-tore esemplare racconto della sua esperien-za giudiziaria che indusse molti giovani adentrare in magistratura. Un diario coraggio-so, avvincente, ricco di passione umana epolitica che, oltre al quotidiano lavoro di ungiudice, narra il movimento di MagistraturaDemocratica attraverso i problemi e la crisidella società italiana del tempo: i licenzia-menti, la chiusura delle fabbriche, la con-dizione dei lavoratori, i comportamentipadronali. Nel 1976 esce, per i tipi di IlMulino, La polizia in Italia dal 1945 a oggi.Frequenta il gruppo di Medicina Demo-cratica e scrive una Storia del manicomioin Italia dall’unità ad oggi (Feltrinelli,Milano,1979). Negli anni Ottanta Canosasi occupa ancora di magistrati ma spostan-dosi molto indietro nel tempo. Insieme adAmedeo Santosuosso scrive nel 1981 perFeltrinelli Magistrati, anarchici e socialistialla fine dell’Ottocento in Italia e nel 1983,per l’editore romano Sapere 2000, pubblicaTempo di peste: magistrati ed untori nel1630 a Milano. In un movimento di andatae ritorno nel tempo, i suoi interessi si spin-

gono sempre più verso la storia sociale,quella delle istituzioni totali, della devian-za e della sessualità (cfr. bibliografia). E’ in questi anni che inizia una Storiadell’Inquisizione in Italia dalla metà delCinquecento alla fine del Settecento (Sapere2000, Roma,1986) in cinque volumi checompleterà nel 1990. Lo studio del Seicentodiventa sempre più dominante nel suo lavo-ro di storico come anche la frequentazionedegli archivi spagnoli che saranno una suameta ricorrente per gli anni a venire.Questa apertura verso l’Età Moderna portaRomano, negli anni Novanta, ad interessar-si alla storia di Milano ed alla sua grandez-za e miseria nell’Italia spagnola, alla storiadel Mediterraneo nel Seicento come anchea quella dei banchieri genovesi e sovranispagnoli fra Cinquecento e Seicento, aLepanto e alla Lega santa contro i turchi edalla storia dei Farnese. Ma non trascura inquesti anni temi più attuali. Pubblica unaseconda Storia della magistratura inItalia da piazza Fontana a Mani pulite(Baldini e Castoldi, Milano,1996), unaStoria della criminalità in Italia: 1845-1945 (Einaudi,Torino,1991) ed una Storiadell’epurazione in Italia: le sanzioni con-tro il fascismo 1943-1948 (Baldini eCastoldi, Milano, 1999).Questo instancabile storico, dalla incredibi-le mole di lavoro sempre realizzato su unfaticoso scavo di archivio, (70 volumi pub-blicati), continua negli anni Duemila adaffrontare due nuovi percorsi che siintrecciano fino al 2010. Sono: La storiadell’Abruzzo, dedicata alla sua terra, insedici volumi, che vanno dal Cinquecentoal Novecento, pubblicati con la casa editriceortonese Menabò e la storia del fascismo: Iservizi segreti del Duce, nel 2000, La vocedel duce: l’agenzia Stefani, nel 2002,Graziani: il maresciallo d’Italia nel 2004, Acaccia di ebrei: Mussolini, Preziosi e l’anti-semitismo fascista, nel 2006, Mussolini eFranco: amici alleati, rivali, nel 2008,Farinacci: il superfascista nel 2010, tuttipubblicati con la casa editrice Mondadori.Infine il suo penultimo libro: Pacelli: guerracivile spagnola e nazismo (Sapere 2000,Roma, 2009). Romano Canosa muore aOrtona il 7 agosto 2010.

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Romano ci ha lasciato, in silenzio e inpunta di piedi, da quella persona discreta enon amante delle forme inutili e dellamondanità che era. Così ha vissuto gli ulti-mi mesi della malattia, con il conforto dipochi eletti amici e con la cura premurosa,instancabile e amorevole della sua Isabella,la compagna della sua intera vita, che solochi ha conosciuto Romano oltre le esterio-rità può sapere quanto egli abbia semprerispettato e amato.

ROMANO IL GIUDICENegli ultimi anni ha firmato i suoi libridefinendoli semplicemente come storico, estorico di sicuro era. Romano è stato e hacontinuato a essere, anche dopo essersiritirato in pensione, un giudice, un giudicedeluso dai giudici italiani, ma profonda-mente legato a quella che è stata la sua pro-fessione di un’intera vita. Non credo che il non definirsi giudicefosse frutto di oblio o di disconoscimentodella sua vita professionale. Era piuttostofrutto di delusione, una delusione che talo-ra sfiorava il risentimento doloroso e, inqualche momento, quasi astioso, comequello di chi ha una ferita aperta. In uno dei nostri ultimi incontri mi avevaanche espresso il rammarico per non averefatto di più per la magistratura italiana. MaRomano aveva fatto tanto. “Volevamo fare di ogni giudice italiano ungiudice del livello di quelli della CorteSuprema americana, e invece...”, e giù cri-tiche pesantissime verso chi (i giudici ita-liani!), pur godendo di un livello di garan-zie, di autonomia e indipendenza che forsenon ha pari al mondo, aveva atteggiamenti(non dico corrotti) ma anche solo servili oconformisti, verso chicchessia, superiori,

potenti ministeri, partiti, sindacati ...Memorabili le sue battaglie contro quellicon “la tessera in tasca” ... Quando, una ventina di anni fa, ha smessodi partecipare attivamente alla vita associa-tiva nella magistratura, un pò di personemiopi, che intanto curavano le loro carrie-re dentro e fuori la magistratura, hannotirato un respiro di sollievo. Si sono sentitial riparo delle sue critiche corrosive e, talo-ra, annichilenti. E lo hanno ignorato. E cosìè accaduto che un giudice di levatura e diorizzonti culturali fuori dal comune, comeRomano era, sia oggi sostanzialmente sco-nosciuto alle nuove generazioni. E questo èun torto nei confronti di Romano e, certa-mente di più, verso la magistratura italia-na.

ROMANO IL GIURISTATalora amava dire: “Ma cosa fai? Ti metti afare il giurista adesso?” Lui, giurista finis-simo e lungimirante, aveva in odio il for-malismo conformista e gretto, il bel ragio-namento giuridico fine a se stesso, la nonattenzione verso il mondo, verso le ingiu-stizie, la non apertura verso una prospetti-va più ampia, più alta. Giudice del lavoro, aveva in antipatia,qualsiasi ingiustizia e furbizia, da chiun-que venisse, anche dai lavoratori: “i lavo-ratori sono dei ... [poco di buono]”, dicevae subito dopo aggiungeva “solo i datori dilavoro sanno essere peggio”. Era una dellefrasi paradossali che amava ripetere, fruttodi una visione profonda e disincantata sulmondo, che però non gli impediva di esse-re profondamente mobilitato contro leingiustizie, le disuguaglianze, le sopraffa-zioni.Aveva la capacità straordinaria (uno dei

*Magistarto pressola Corte d’Appellodi Milano, SezioneCivile.Intervento in ricordodi Romano Canosadurante la cerimo-nia funebre del 9agosto 2010 .

7

In ricordo di RomanoCanosa

di Amedeo SANTOSUOSSO*

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principali insegnamenti che da lui ho rice-vuto) di cogliere, anche nella più piccolavicenda di lavoro e di vita, la scintilla chela animava, quasi il riflesso di una norma odi un principio superiore, che, in quantotali, erano suscettibili di applicazione uni-versale. Chi accusava Romano di partigianeriamostrava (e, se lo fa oggi, ancora mostra)solo ignoranza e incapacità di cogliere que-sta sua straordinaria sensibilità teorica, cul-turale e umana.

I LIBRI: LA SUA FINESTRA SULMONDOHo scritto con Romano il mio primo libro.Io trentenne e lui quarantacinquenne, giàmolto noto e affermato. Fu un’emozione eun impegno enorme. Non dimenticherò mai l’estate del 1980,passata a ricercare e scrivere, sempre con iltimore del giudizio di Romano. Andòbene. Ho appreso da lui alcuni fondamentalietici e culturali di cui gli sarò sempre grato:paga sempre i tuoi debiti culturali, non faremai affermazioni di cui non hai la certezzadocumentaria, non temere il lavoro deglialtri e non essere invidioso, ai la tua parte,“c’è posto per tutti” amava ripetere, e altroancora...

Si. Romano amava il mondo, e i libri eranola sua finestra sul mondo. Era insaziabil-mente attento alle dinamiche umane, allemiserie e alle passioni che agitano l’animoumano. Negli ultimi anni era un po’ preoccupatodalle cose nuove del mondo, e di questotante volte abbiamo parlato. Mi diceva, coninteresse, ma avvertendomi di quello checonsiderava un rischio: “Si, Amedeo, matu sei troppo a favore di queste cose discienza...” Il suo era un misto di interesse e di timore.Lui, che da sempre era stato attento al rap-porto tra scienza, medicina, psichiatria ediritto, scrivendo testi assai importanti(con Romano io avevo scoperto la frenia-tria ottocentesca!), aveva negli ultimi anniprestato la sua attenzione soprattutto versole dinamiche del mondo di lunga durata.Aveva una vorace curiosità verso le cose

umane, che osservava come da un foro,costituito dai suoi studi e dai suoi libri. Ilibri erano il suo mezzo di comunicazionecon la vita, quasi che la presa diretta potes-se essere troppo forte o limitare la sualibertà.

Non tollerava la storia come ideologia(ogni storico è privatamente disposto ariconoscere che la storia, specie quella con-temporanea, è affetta da un alto tasso diideologia, di partito preso, di asservimentoa una tesi politica, che la rende poco credi-bile). La sua risposta era un aggancio rigo-rosissimo al dato documentario, comereperibile negli archivi, che negli ultimidecenni ha frequentato in Italia e Spagnacon una regolarità e un impegno crescenti. Alla vacuità e arbitrarietà di certi raccontistorici Romano ha preferito l’esposizioneaustera, talora spoglia, del materiale docu-mentario, delle fonti archivistiche. Ne èrisultato uno stile asciutto, senza conces-sioni alle mode culturali, che talora gli sto-rici dell’accademia (senza citarlo) glihanno rimproverato, ma che gli editori,anche importanti, hanno apprezzato con lapubblicazione di suoi numerosi libri.

Gli studi sul suo Abruzzo sono stati unritorno a casa, ricercato e ricostruito conpassione, passo dopo passo. L’accoglienza della sua terra lo gratificava,mentre continuava quello che era essen-zialmente un suo percorso interiore.Anche in questo caso il ritorno a elementifondamentali della vita locale è stato daRomano collegato a dinamiche storiche epolitiche più ampie. Era il suo tratto fon-damentale.

ROMANO: UN CARATTERE DIFFICILE Romano amava provocare e ci riusciva damaestro. Lo faceva con un gusto pari alla cecità dichi prendeva alla lettera le sue provocazio-ni. Tutti, prima o poi, ci siamo caduti. Ma,alla lunga, abbiamo dovuto il più dellevolte riconoscere che, oltre i paradossiimmediati che amava presentare, vi era unnocciolo di verità, di insofferenza allemode, ai luoghi comuni, al politicamentecorretto. Un invito a pensare in modo libe-

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ro e autonomo.Amava mostrarsi autosufficiente, e larga-mente lo era, ma soffriva, credo più diquanto si pensasse, delle incomprensionidegli amici, dei colleghi, degli editori, dellacecità dell’accademia e, talora, del mondodella cultura. Romano ci lascia un patrimonio enorme distudi e ricerche, dove spesso ha avuto ilruolo di chi dissoda un terreno ostile onegletto, che meriterebbe di essereapprofondito e proseguito. Speriamo checiò accada.

“Ma che fai? Ti vuoi intristire adesso? ”Era una delle sue frasi dei momenti diffici-li, quando vi era quanlcosa di serio, e nonrisolvibile, da fronteggiare. Siamo tutti molto tristi per la morte diRomano, ma è come se la sua voce echeg-giasse, qui ora, e, pur nell’apprezzare l’af-fetto e la vicinanza nostri a lui e a Isabella,ci invitasse a vivere intensamente, comelui amava.

Ortona, 9 agosto 2010. Chiesa di Santa Maria in Constantinopoli.

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(Auto)rappresentazioni disettori della magistratura traStato e società, 1945 - 1992

di Giovanni FOCARDI*

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PREMESSAIn questo saggio analizzerò alcuni aspettidella storia della magistratura italiana o,meglio, di alcuni gruppi di magistrati. Il tito-lo “Tra Stato e società” allude al ruolo rico-perto dalla magistratura dentro le istituzionistatuali, al suo rapporto nei confronti dellestesse istituzioni, cioè verso gli altri poteridello Stato, in particolare quello politico (1).“Società” nel senso che accenno a comealcuni magistrati si siano percepiti e in chemodo si siano mostrati, a quale immagineabbiano fatto riferimento quando si rappor-tavano all’opinione pubblica; e così l’aspet-to speculare, ovvero come la società “civile”tramite alcuni media (la stampa, ad esem-pio) abbia considerato e tratteggiato la magi-stratura e i magistrati.Il tema potrebbe essere affrontato con altrefonti quali, in primis, le sentenze e le rivistedegli stessi magistrati che, in secundis, sonospesso i documenti (insieme alle interviste,e agli atti dei convegni delle varie correnti eassociazioni dei magistrati) utilizzati dagiornalisti e studiosi per informare l’opinio-ne pubblica di ciò che stava accadendo.Svilupperò l’intervento per temi, in unaquasi sempre lineare successione cronologi-ca, facendo alcuni esempi tratti dalla realtàgiudiziaria milanese, che risulta sovraespo-sta rispetto al resto del paese: con l’auspicioche tale distorsione prospettica non alteri ilsenso generale di questa descrizione.

1. - EPPUR SI MUOVE: LA MAGISTRA-TURA NELL’ITALIA REPUBBLICANADopo un quindicennio di apparente stasi,dovuto al periodo di “inattuazione dellaCostituzione” e al cosiddetto “ostruzioni-smo di maggioranza” (2), alla fine degli anni’50 il mondo della magistratura si muove in

concomitanza con i cambiamenti in attonella società italiana che si trasforma dapaese agricolo a paese industriale e con unsostenuto sviluppo del terziario; vi sonoflussi migratori dalle campagne alle città, epersistono forti differenze e contrasti cultu-rali e sociali tra questi due mondi.Negli anni ’50 un osservatore dell’ammini-strazione della giustizia in giro per l’Italiatroverebbe, rispetto agli anni ’30, che difronte a una cornice del tutto diversa (laCostituzione repubblicana sancisce e rico-nosce il ruolo autonomo della magistratura),il quadro è cambiato poco nelle prassi quo-tidiane; dentro i palazzi di giustizia, tra imagistrati e nelle aule di tribunale; i codicidella “nuova” Italia sono quelli degli anni’30 leggermente ripuliti e corretti; così comepoco o nulla c’è di diverso fuori, tra l’ordinegiudiziario e le altre istituzioni, il governo eil suo guardasigilli anzi tutto (3).Sottolineo “ordine”, ma potrei dire “poteregiudiziario” visto il riconoscimento interve-nuto nel testo costituzionale; tuttavia è piùgiusto dire che il “potere” è tale verso l’in-terno, tra i magistrati stessi costretti in preci-si rapporti gerarchici al cui vertice sono igiudici della Cassazione, e non tanto versol’esterno, nei confronti degli altri poteri, illegislativo e l’esecutivo. Già dai tempi delloStatuto albertino la magistratura è un potere“intrinseco” ed è in tal senso una parte, unacomponente del potere politico. Napoleoneavrebbe sentenziato che “l’intendenzasegue”; e nonostante un vivace ed efferve-scente associazionismo giudiziario, dopo il1945, è difficile trovare tracce di una magi-stratura non in linea con i disegni politiciperseguiti dai governi centristi.Facciamo un rapido passo indietro neltempo e poi torniamo agli anni ’60.

*Ricercatore di sto-ria contemporanea,Dipartimento di sto-

ria, geografia e delmondo antico

(Dissgea), Universitàdegli Studi di

Padova.

10 Atti La magistratura ed il futuro del diritto del lavoro, convegno promosso dall’Associazione Romano Canosa per gli studi storici, il 12 giugno 2012 - Milano, Società Umanitaria

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Ai primi del ’900 un magistrato aveva scrit-to: “Il pubblico nella sua grande maggioran-za esige dal magistrato né più né meno diquello che esige dal prete: Segreto, Castità eMortificazione della carne” (4). Mentre ilfascismo aveva portato, o ridotto, la magi-stratura ad essere “la fedele, silenziosa, ope-rosa, custode del Regime” (5), peraltro insie-me a tutti gli altri settori della pubblicaamministrazione. Diverse immagini mostra-no la politicizzazione dei militi della giusti-zia alla fine degli anni ’30, come quella diun raduno per inaugurare il nuovo palazzodi giustizia a Messina che vede schieratiparecchi magistrati quasi tutti con la divisadella Milizia volontaria di sicurezza nazio-nale; in un’altra, in occasione di un ritrovodi autorità “civili” a Chieti, si vedono pode-stà, questore, prefetto, federale e procuratoredel re, anche qui tutti in divisa della Milizia(6). Fotografie che ricordano la vicinanzadel magistrato agli altri funzionari civili,amministrativi e politici, dando un sensopratico alla nota espressione di “fascistizza-zione da parata”.A fronte di una sostanziale continuità delpersonale dei magistrati, di codici, leggi,prassi, abbiamo la rottura radicale della cor-nice in cui si inserisce tutto ciò: fine dellamonarchia e della dittatura, e inizio dellarepubblica e della democrazia. A questa cor-risponde un cambio netto nell’immagineche si dà in pubblico: dopo il 1945 e finoagli anni ’60 e oltre, il magistrato è ancora (odi nuovo) descritto come un sacerdote, unfrate, un monaco: si è parlato di “logicasacerdotale” per descrivere l’habitus delmagistrato, che assume il ruolo di un “giu-dice in perfetta sintonia con il modello delsacerdote (cattolico)” (7).Il sacerdote di Temi è il titolo di un volumescritto da un giudice proprio nel 1945, in cuisi elencano le qualità che deve possedere unbuon giudice (8): anzi tutto il luogo in cuigiudica è un tempio; “la funzione del giudi-care” è detta “divina”; la carriera del magi-strato è come quella del sacerdozio e si sce-glie per vocazione “con l’amore con cui si civota ad una missione”; tra le virtù, le prin-cipali sono la sapienza e il timor di Dio.Queste qualità si devono chiaramente riflet-tere nel comportamento fuori dall’ufficio ein privato, tra le quali evitare la “partigiane-

ria”, il parteggiare per questo o quel partito.Tutto ciò è funzionale a far dimenticare leimmagini dei magistrati in camicia nera nelventennio, a rimuovere le compromissionidel mondo giudiziario nei confronti delladittatura e, anzi, ad avvicinare stili e lin-guaggi della magistratura al modello – cheviene da lontano – allora “vincente” del reli-gioso-sacerdote (9).Nella realtà, negli anni ‘50 - ‘60 i giudici con-tinuano a vivere in una condizione esisten-ziale assai lontana da quella auto-rappre-sentazione: esemplare il Diario di un giudi-ce di Dante Troisi, magistrato che racconta

nel 1955 la sua esperienza di giudice di tri-bunale a Cassino in un romanzo, anzidescrive la sua crisi di coscienza e la suasolitudine nella “missione” che svolge.Troisi viene condannato dalla stessa magi-stratura (non c’era il Consiglio superioredella magistratura - da ora Csm - ma la Cortedisciplinare della Cassazione) alla censuraper vilipendio (“per danneggiamenti e offe-se al prestigio della magistratura”), per ilritratto angosciato e meschino che fa delmondo degli operatori del diritto, in parti-colare di una magistratura pusillanime, pre-potente coi deboli, di classe, ossequiosarispetto ai padroni, parziale, burocratica, eper nulla in linea con i valori fissati dallaCostituzione repubblicana. Il ritratto del“magistrato-sacerdote”, così caro alla mag-gioranza dei magistrati (ma non agli avvoca-ti), ne esce a pezzi (10).

2 . - CONTINUITÀ: LO SCONTRO CONLA COSTITUZIONECome data spartiacque per la magistratura siindica l’avvio del funzionamento della

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Corte costituzionale e del Csm (1956 e 1959)per indicare i prodromi di questa nuovafase, segnata dalla perdita del predominiofino allora totale dei magistrati dellaCassazione sul resto del corpo (11).Aggiungerei una terza data concernente unmagistrato assai particolare, il 1961; primaperò vorrei soffermarmi sulle motivazionidella scelta di chi entrava nell’ordine giudi-ziario.Sono anni in cui la scelta di entrare in magi-stratura è spesso dovuta al fatto che nelMezzogiorno è uno dei pochi “lavori ‘intel-lettuali’ decenti” che si possono trovare; giàdall’inizio del ’900 l’amministrazione pub-blica è luogo di assorbimento lavorativosoprattutto dei giovani provenienti dalleisole e dal Sud, non solo di estrazione socia-le borghese, ma anche usciti dai ceti picco-lo-borghesi e da quelli popolari (12). Il gio-vane Romano Canosa che si laurea venti-duenne nel 1957 in diritto civile, trova subi-to impiego in uno studio legale di Roma, poiin un secondo dove resterà per alcuni anni.Dopo aver superato e vinto il concorso entrain magistratura a Milano nell’ottobre 1961.Che tipo di magistrati Canosa si trova difronte nel 1961?Quando si parla di magistratura in Italia, èbene ricordare sempre il peso del passato,gli ordinamenti giudiziari precedenti (dal1865 al 1923 al 1941) che si sono stratificatinonostante i differenti regimi politici (lacontinuità è definita la caratteristica più rile-vante nella storia della magistratura italiana(13)).Nel 1961 muore l’ottantenne GaetanoAzzariti, presidente in carica della Consulta;è un anno che assumo come cesura di unmodello di magistratura (e di magistrati) chesi è auto-rappresentata come “sacerdotale”,perché indifferente ai diversi regimi politiciavuti nella prima metà del XX secolo.Azzariti è stato il simbolo di una continuitàrivendicata dagli stessi magistrati che trava-lica i cambiamenti di regime (14).Cento anni dopo l’unificazione muore que-sto magistrato, incarnazione del fenomenodella «continuità dello Stato», un «tecnico»che ha servito lo Stato ininterrottamente dal1905: ma quale Stato? Tutti e nessuno, unoStato senza aggettivi, senza specificazioni.Infatti, come capo dell’ufficio legislativo del

ministero dal 1927, Azzariti collabora inmaniera rilevante alla redazione dei varicodici fascisti fino al 1943 e ricopre incari-chi quanto meno compromettenti e disdice-voli, come quello nel 1939-42 di presidentedel Tribunale della razza.Grazie a questo magistrato, un raffinato giu-rista, e a un gruppetto di pochi altri suoi col-leghi, la magistratura era riuscita a trapassa-re con poche scosse il periodo di rilevanticambiamenti dopo il 1945 (si pensi agli arti-coli della Costituzione sull’ordine giudizia-rio) approdando quasi del tutto intatta nelnuovo regime democratico (15); però didemocratico, tra le sue fila, nei suoi ranghi,c’era davvero ben poca traccia.Nei primi anni ’60, con l’apertura di unanuova stagione politica (l’arrivo dei socialistinell’area governativa), i principi della Costi-tuzione iniziano con fatica a entrare “den-tro” la magistratura che, a sua volta, cam-bia identità con la nascita delle correnti el’ingresso di una nuova generazione dimagistrati (cresciuta e istruita nellaRepubblica, più sensibile ai valori dellaCostituzione) tra cui, dal 1965, le donne(16). Nella seconda metà degli anni ’60 siinizia a parlare di “uso alternativo del dirit-to”, si discute di diritti di libertà e di dirittisociali cioè – parafrasando Massimo SeveroGiannini – gli apparati dello Stato (dall’am-ministrazione pubblica alla magistratura)iniziano a essere “pluriclasse”, e non più enon solo “monoclasse”; vale a dire che ilmaschio adulto, proprietario e borghesenon è più l’unico soggetto, o il principale,di riferimento dell’universo normativodel Parlamento (17).Nella società e ai vertici delle amministra-zioni statali arrivano le donne, non solo inmagistratura (ma anche nella carriera diplo-matica, in quella prefettorale), e col 1968arrivano i giovani.La distinzione tra Stato e Chiesa (cattolica)muove alcuni lenti passi (rispetto a que-st’ultima gran parte della società era giàscappata, come dimostrerà nel referendumdel 1974 sul divorzio).La gerarchia interna viene allentata grazie alriconoscimento effettivo dell’art. 107 Cost.,per cui i magistrati si distinguono per ladiversità delle funzioni, e di conseguenza lacarriera cambia (18).

Medicina Democratica numero 207 gennaio / febbraio 201312 Atti La magistratura ed il futuro del diritto del lavoro, convegno promosso dall’Associazione Romano Canosa per gli studi storici, il 12 giugno 2012 - Milano, Società Umanitaria

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3. - FRATTURE: LE CORRENTI E L’IN-GRESSO DI UNA NUOVA GENERAZIO-NE DI MAGISTRATIRiflesso di questo allargamento di valorisocio-culturali, e di riconoscimento esplici-to di un ruolo anche “politico” della giuri-sdizione è la nascita e lo sviluppo delle cor-renti in magistratura (19).La politicizzazione in senso lato dei magi-strati (fenomeno non solo italiano) è conna-turata fin dalle origini del processo unitario,quando a capo delle cinque Corti di cassa-zione allora esistenti e di alcune tra le prin-cipali corti di appello e delle procure gene-rali c’erano spesso dei magistrati senatori, el’osmosi tra élites dei magistrati ed élitespolitiche era un fenomeno normale, assaifrequente e diffuso; così come, dopo il 1874,a capo dei singoli consigli degli Ordini degliavvocati c’erano dei deputati, in quantoavvocati e notabili (20).Che poi, allora come oggi, qualcuno credache la giurisdizione sia una funzione politi-camente neutrale, è pacifico (21): pure tra glistorici, ci sono quelli che credono di essereimparziali, oggettivi e neutrali.Nei primi anni ’60, il sistema proporzionalein vigore nell’ambito parlamentare si esten-de in maniera più o meno esplicita anchenella magistratura – così come nei duenuovi organi varati da poco: la Corte costi-tuzionale e il Csm – diffondendosi nella suaAssociazione nazionale dei magistrati, illoro sindacato.A proposito di correnti nella magistratura,credo che la loro funzione, il ruolo svoltonel corso dei decenni (e soprattutto neiprimi 15-20 anni della loro presenza) vedaprevalere le pagine “chiare” su quelle“scure” (22). Detto ciò, le sole battaglie perattuare la Costituzione sono – a mio parere– decisive per far pendere il piatto dellabilancia in senso positivo, così come seosserviamo lo stato della giurisprudenza edella dottrina della fine degli anni ’50,rispetto a quello di 20 anni dopo. Si parla di “eretici” e di “iconoclasti”, rife-rendosi agli esponenti di MagistraturaDemocratica (MD), e non è un caso. Si potrebbe dire anche così: MagistraturaDemocratica volle far uscire il magistratodagli uffici giudiziari, dalle aule dei tribuna-li per portarlo nelle strade e nelle piazze

della società di allora, nel vivo delle trasfor-mazioni culturali, economiche e sociali diquegli anni, a contatto diretto con gli uomi-ni e le donne; in sostanza MD ebbe un atteg-giamento politico, volle affiancarsi alla poli-tica, dal lato o vicino ai partiti socialista ecomunista di allora. E ci riuscì e, più volte,costrinse le altre correnti a inseguireMagistratura Democratica stessa in quei“luoghi” (23).

4. - IN PUBBLICO: LA ZANZARAIntanto proprio Milano è la sede di un casoche simboleggia il ritardo della cultura costi-

tuzionale nel milieu giudiziario, un ritardodi formazione culturale, non soltanto giuri-dica ma più ampia, quasi a livello di educa-zione civica. Mi riferisco alla vicenda delLiceo Parini e della “Zanzara” nel 1966. Ungiornaletto scolastico riporta una miniinchiesta dal titolo Un dibattito sulla posi-zione della donna nella nostra società, cer-cando di esaminare i problemi del matri-monio, del lavoro femminile e del sesso(autori tre studenti) condotta tra compagni ecompagne: sono 9 ragazze che rispondonosu cosa pensano rispetto alla famiglia, allamorale e ai rapporti sessuali prima delmatrimonio, all’epoca un vero e propriotabù (24). Così i tre redattori, il preside delliceo Parini e il tipografo sono denunciatiper il reato di pubblicazione oscena destina-ta ai fanciulli e agli adolescenti, e per stam-pa clandestina (anche se il giornale era a cir-colazione interna).Tra i vari giornalisti, Camilla Cederna segueil processo e ne denuncia le arcaiche proce-dure in due articoli (25), sottolineando leincongruenze e le illegalità nell’arresto,

Medicina Democratica numero 207 gennaio / febbraio 2013Atti 13La magistratura ed il futuro del diritto del lavoro, convegno promosso dall’Associazione Romano Canosa per gli studi storici, il 12 giugno 2012 - Milano, Società Umanitaria

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nella detenzione, nella richiesta delle ispe-zioni corporali e soprattutto nell’incrimina-zione sulla base di una legge fascista (pub-blicazione di stampa oscena) in contrastocon i principi della stessa Costituzione (26).Questo processo, per la giornalista, è l’em-blema della falsità e dell’oscurantismo dellasocietà e delle leggi italiane. Cederna tratteg-gia l’immagine di una società attenta solo alperbenismo perché tesa a difendere pregiu-dizi e privilegi, anche contro i suoi stessifigli. Un’Italia divisa di cui dà conto la cro-naca del processo, dove ci si accorge “che inaula stavano cozzando due mentalità, duetipi di educazione, due modi di concepire lamorale e la vita, insomma due Italie eranodi fronte una all’altra”. Un processo chedenota la presenza di due culture anchedentro la magistratura, con lo “scontro” tral’ex partigiano e presidente del tribunaleLuigi Bianchi d’Espinosa (1911), “rappre-sentante l’indirizzo più moderno dellamagistratura ed estremamente sensibile allospirito della Costituzione”, una sorta di stel-la polare a cui tendere, e il pubblico mini-stero Oscar Lanzi (1915) “definitosi da sé ilrappresentante di un’era superata, appas-sionato parlatore e grande attore involonta-rio”, esponente di quella visione corporati-va e sacerdotale (27).Una parte dell’avvocatura è su altre posizio-ni giuridiche, culturali, morali e civiche: èpiù differenziata al suo interno, tra i suoiiscritti, ed è in generale più aperta, piùdemocratica, più in sintonia con i principidella Costituzione e più vicina al climasociale dell’epoca.La vicenda ha contraccolpi dentro e fuori ilmondo giudiziario. La risonanza mediaticasuscita la protesta dei 33 membri dell’Anm(delle varie correnti) contrari al fatto che sipossa discutere così in profondità in pubbli-co attraverso i mass-media l’operato deimagistrati; tutto ciò è considerato una criti-ca inammissibile, di chi ritiene l’ordine giu-diziario qualcosa di simile a un’istituzionesacra che non si può né si deve criticare,pena finire sotto processo per vilipendio.Come accade a diversi giornalisti che sioccupano del caso.Lo “scandalo di tipo borbonico” – nelleparole del vice presidente del Consiglio deiministri, il socialista Pietro Nenni – ha por-

tato alla superficie i cambiamenti nel costu-me degli italiani (messi in moto dai feno-meni socio-economici legati alla moderniz-zazione del paese): di lì a poco il 1968 avreb-be in parte cambiato queste e altre forme delcostume nostrano.

5. - LA DISCUSSIONE DELLA “MESSA”In Italia il 1968 è in realtà il 1968-1969, ilvero anno di accelerazione del cambiamen-to nei costumi e nei comportamenti dellepersone nella società.Nelle cattedrali della “Giustizia” i sommisacerdoti o, meglio, i cardinali in toga conl’ermellino si palesano durante quella sacrafunzione che è l’inaugurazione dell’annogiudiziario; i discorsi tenuti in queste occa-sioni sono come uno specchio di quel chebolle nel mondo della giustizia (sono fre-quenti e affiorano i contrasti tra magistratu-ra e avvocatura, con quest’ultima insoffe-rente per i controlli della prima (28)) e tra glistessi magistrati. Nei palazzi di giustizia arri-vano le prime forme sostanziali di indipen-denza sia verso l’esterno (il governo) sia nel-l’organizzazione interna, superando i limitiprevisti dall’ordinamento giudiziario del1941. La messa in discussione delle inaugu-razioni dell’anno giudiziario (con le contro-inaugurazioni apparse, non a caso, nel gen-naio 1969, e fatte da una parte minoritariadegli stessi magistrati insieme agli avvocati)sono il riflesso delle modifiche che stannoportando all’abolizione della carriera e auna sostanziale progressione “a ruoliaperti” (dalla legge Breganze del 1966 aquella del 1973). Numerose critiche punteg-giano le contro-inaugurazioni del 1971 e del1972 (dove prendono la parola avvocati edocenti, studenti e operai), mentre si conti-nua a porre la questione dell’indipendenzainterna, sempre più in primo piano con lastagione che vede protagonisti i cosiddetti“pretori d’assalto” (e con le ripetute accuseda parte di procuratori generali e Csm neiconfronti di questi “giovani” magistrati) chein realtà chiedono soltanto di adeguare allaCostituzione alcune norme dei codici rima-sti fascisti come, per esempio, quelle deltesto unico di pubblica sicurezza (29).

6. - RIFORME E ATTENTATIGli anni ’70 portano nuove sfide ai magi-

Medicina Democratica numero 207 gennaio / febbraio 201314 Atti La magistratura ed il futuro del diritto del lavoro, convegno promosso dall’Associazione Romano Canosa per gli studi storici, il 12 giugno 2012 - Milano, Società Umanitaria

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strati, chiamati ad affiancare e talora a sup-plire - in alcuni frangenti - la classe politicain un paese in cui si sviluppano, quasi inparallelo, cruciali riforme (lo Statuto deilavoratori e il nuovo processo del lavoro, ilvaro delle regioni e poi del servizio sanitarionazionale, il divorzio e poi il nuovo dirittodi famiglia) e sanguinosi attentati, tra cuiquelli compiuti dalla criminalità organizza-ta a cui si aggiungono quelli dei gruppiarmati (criminali “rossi” e “neri”) controesponenti della magistratura (24 assassinatidal 1971 al 1992).Dopo l’autunno “caldo” con importanti efrequenti scioperi e contestazioni, si arrivaal 12 dicembre 1969 con la prima strage,anche “di Stato”, quella di Piazza Fontana.Questo doppio binario di eventi – riforme eattentati – rende tale periodo ben diverso daquelli precedenti; la cesura è radicale enetta, anche perché nel 1973 inizia unperiodo di forte crisi economica come nonsi vedeva dagli anni della guerra.Continuano le polemiche in tema “di inter-pretazione evolutiva della legge”, ovveronon essendoci ancora norme di legge (man-cando gli “adeguamenti legislativi”), unaparte dei giudici (quelli di MD, in primis) siauto-incarica di interpretare le leggi (e quan-do non ci sono, si fa promotrice per farlevarare) mentre un’altra parte è contraria aquesta prassi sostenendo che così facendo“si politicizzano” le sentenze (30).È vero che da un lato c’è una determinatafunzione da parte della magistratura diinterpretazione delle leggi; è nelle cose, talefunzione viene ammessa e non se ne sonodati limiti certi, cioè a fronte degli eventuali“eccessi nell’interpretazione evolutiva dellalegge”, ci si accorge che non c’era una fron-tiera invalicabile (così ai conflitti tra leggiordinarie e Costituzione, prima, e traCassazione e Corte costituzionale, poi). Piùche col governo, gli scontri sono colVaticano, con le forze armate e coi tribunalimilitari, con la polizia: si parla di interpreta-zione “evolutiva” e di interpretazione “crea-tiva”. Come ha scritto Francesca Tacchi, l’al-lora pretore di Milano Livia Pomodoro,intervenendo al primo congresso delledonne magistrato nell’ottobre 1970, invita lecolleghe a impegnarsi per una «giustizia piùumana e corrispondente alle esigenze della

società contemporanea». Le magistratedevono impegnarsi – continua Pomodoro -per «superare il ritardo nell’attuazione deivalori scaturiti dalla Resistenza e consacra-ti nella Costituzione», senza chiudersi«nella torre d’avorio di un agnostico tecnici-smo», proponendo una «interpretazioneevolutiva» del diritto che risponda alle esi-genze della «certezza giuridica». Gli obietti-vi sono dunque: “rinnovare l’ordinamento,riformare le procedure (mettendo al primoposto la difesa dei non abbienti) e i codici, lecui norme dovevano diventare espressionedi «giustizia sostanziale»”, operazioni da

fare dentro l’ANM (31).Lo Statuto dei lavoratori del 1970 è unmomento decisivo per orientare il modo diessere giudice in diversi magistrati; si allar-ga il raggio di azione della magistraturadiffondendosi in nuovi ambiti (sui problemiambientali (32)), così come diventa centralela questione dell’indipendenza interna.Sono anni in cui la giustizia vive un vero eproprio scontro interno, di “tensioni” e di“conflitti” (33), la cui immagine principalerimanda a quei pretori attaccati e messi sottoinchiesta più volte dai propri superiori per-ché le loro sentenze sono troppo spessofavorevoli a ricorrenti (o imputati) prove-nienti dalla classe operaia (34).Nell’agosto del 1971 inizia una vicendadestinata a durare per diversi anni: si trattadell’indagine sulle schedature sul personalefatte dalla Fiat negli ultimi 20 anni su circa350.000 lavoratori (e non solo, perché sonoschedate persone che mai erano state dipen-denti dell’azienda torinese), di per se moral-mente indecenti e con la nuova legge invigore, illegali.

Medicina Democratica numero 207 gennaio / febbraio 2013Atti 15La magistratura ed il futuro del diritto del lavoro, convegno promosso dall’Associazione Romano Canosa per gli studi storici, il 12 giugno 2012 - Milano, Società Umanitaria

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L’avvocata penalista Bianca Guidetti Serraha narrato con dovizia di particolari la “cro-naca” del processo, spostato da Torino aNapoli, e che si conclude anni dopo (1978)con la condanna dell’industria torinese (35).È ancora oggi utile rileggersi questo libro percapire quale era “il sistema di governo dellerelazioni industriali” in vigore negli annidel boom economico, e il clima di compli-cità che una grande azienda intesse/va conle istituzioni locali e con gli esponenti delleforze dell’ordine (36). Per approntare quel-l’imponente numero di schede ci voglionodecine se non centinaia di compilatori; sepensiamo al film “Le vite degli altri” (2006)ci possiamo fare un’idea realistica di quantofosse diffuso il coinvolgimento di altre per-sone (per inciso oggi, mutatis mutandis, sidirebbe che pratiche simili stiano avvenen-do alla luce del sole nella stessa azienda).

7. - AL CENTRO DEL MIRINODopo il 1968, la magistratura diventa un’os-servata ancor più speciale da parte delleforze dell’ordine: le sue correnti, le associa-zioni e i gruppi di operatori del diritto chegravitano attorno al mondo giudiziario sono“normalmente” schedati; abbiamo una seriedi “relazioni di polizia” in cui si descrivonole riunioni e le assemblee tenute dai magi-strati che, come altre associazioni e movi-menti, sono “attenzionate” e di cui si tengo-no fascicoli e faldoni per sapere chi ne faparte, chi sono i quadri dirigenti, chi le fre-quenta, cosa propugnano e cosa rivendica-no nelle riunioni, nei convegni e nei con-gressi, e così via. Ci si può immaginarequando nel gennaio 1969 iniziano le controinaugurazioni di avvocati e magistrati.Quel che accade dopo la strage di PiazzaFontana si ripeterà in maniera sempre piùdiffusa per tutti gli anni ‘70. Una parte deiservizi segreti (ma anche settori dell’Arma edella Polizia di Stato) non ha fiducia nelleProcure e non collabora con loro; i sospettidi questa mancanza di relazioni fiduciariesono stati spesso riscontrati, come attestanole cronache del tempo sulla stampa. Daqualche anno sono disponibili altre testimo-nianze che rafforzano questa tesi: ne hannoparlato su fronti quasi opposti, ad esempio,l’ex vice capo del controspionaggio del Sid(Servizio informazioni difesa, il servizio

segreto militare) negli anni ’70 generaleGian Adelio Maletti e, tra i magistrati, l’at-tuale procuratore generale della Repubblicadi Venezia Pietro Calogero.Ecco cosa ha riferito Maletti a proposito deirapporti che “non” aveva all’epoca con lamagistratura, ovvero le informazioni nonpassate su alcuni sospetti ricercati dagliinquirenti; nel caso in questione si trattavadi un membro neofascista veneto del grup-po di Ordine Nuovo, che era un informato-re fino al 1975 dei servizi:

Domanda. Lei, quando le ricevette, passòqueste informazioni alla magistratura?Risposta. Non si può informare la magistra-tura così, tutto d’un botto. […] Il Servizioinformazioni ha il compito, tra l’altro, dinon precipitare le cose: più le lascia svilup-pare, tenendole d’occhio, più efficace è lasua opera. Quindi, come facevamo noi asegnalare queste cose? Le segnalavamo,certo, ma quando avevano assunto piùcorpo. E comunque non alla magistratura,perché il contatto tra Sid e magistratura,all’epoca [n.d.a., primi anni ’70], era pratica-mente nullo.D. In che senso, scusi?R. Io non avevo alcun dovere nei confrontidei magistrati: non dipendevo da loro, e nondovevo riferire nulla.D. Si spieghi bene.R. Era un dato di fatto: il Sid lavorava in unapropria capsula. La magistratura stava all’e-sterno. Tra i vari organi dello Stato c’eraall’epoca una sorta di diffidenza. La giusti-zia, del resto, poteva rappresentare un osta-colo alla nostra libertà d’azione (37).

Ci si può fare un’idea di quanti significatiavesse l’espressione “corpi separati”.Maletti nel corso dell’intervista ricorda altreoccasioni di non collaborazione (38).In una recente testimonianza Calogero hadichiarato che la “strategia della tensione”portata avanti dai neofascisti di “OrdineNuovo” era voluta anche dal Sid (questi ulti-mi, intralciando le indagini, permisero lafuga all’estero di sospettati, come GuidoGiannettini); inoltre, Calogero ipotizza cheuna parte dei servizi sia stata deviata, in par-ticolare una parte della polizia ovverodell’Ufficio affari riservati (guidato da F.U.

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D’Amato) (39). Lui stesso sostiene di averincontrato parecchie difficoltà per via deidepistaggi del Sismi (quando stava indagan-do su Autonomia operaia e sulle Br dopo il1975) che hanno impedito alla magistraturadi fare chiarezza.Oggi, riflettendo sulla mancata condannadegli autori della strage di Piazza Fontana,mi auguro che almeno il giudizio storico nepossa affermare la verità e sottolineare ilpeso che ebbero pezzi deviati dei servizisegreti, che offrirono copertura all’eversio-ne, di qualsiasi stampo.Aprire gli “armadi”, cioè gli archivi dei ser-vizi segreti è l’appello del pg Calogero, erimuoverne il segreto di Stato (40). Vaaggiunto che una parte delle difficoltàincontrate era dovuta alla complicità di set-tori delle stessa magistratura, dal cosiddetto“porto delle nebbie”, a seconda dei casi il“palazzaccio” sede della Cassazione o lasede del Tribunale di Roma a piazzaleClodio. Gli spostamenti di vari processiverso sedi lontane facevano parte di questeambiguità - per non dire peggio - nel com-portamento di alcuni dei vertici giudiziari(41).Intanto nel 1971 c’è a Palermo l’omicidiodel magistrato Pietro Scaglione; nel 1975 aLamezia Terme viene ucciso FrancescoFerlaino. Prima, nel 1974, c’è “l’inaudito”sequestro Sossi a Genova (42), e nel 1976 c’èl’omicidio di Francesco Coco sempre aGenova da parte delle Brigate Rosse. Unmese dopo a Roma è assassinato VittorioOccorsio da parte di Ordine Nuovo. “Rossi”e “neri” si affiancano alla mafia e alle altreorganizzazioni criminali nella caccia almagistrato.Ci sono decine, centinaia di documenti(all’Acs a Roma) non più e non solo suimagistrati, osservati speciali, quasi spiatidalle forze dell’ordine ma, via via che ci siinoltra nel decennio, sorvegliati e sempre dipiù scortati, seguiti per scopi cautelari. Equindi ai convegni e ai congressi da loroorganizzati si mobilitano interi corpi milita-ri per evitare che altri siano colpiti; e sap-piamo che non si riuscì, o non si volle, pro-teggerli fino in fondo.Infatti si continuavano ad ammazzare imagistrati. Dopo i primi 4 omicidi, avvenu-ti in Sicilia, Calabria, Liguria e Lazio, l’Italia

intera diventava un fronte di combattimen-to per i giudici che subiscono perdite dolo-rose: 3 nel 1978, 2 nel 1979, 4 nel 1980. Nel1983 un’auto bomba a Palermo uccideRocco Chinnici. Le motivazioni sono le piùdiverse, e sarebbe improprio accomunare idelitti delle formazioni politiche eversivecon quelli della criminalità organizzata; soloche qui ci occupiamo dei magistrati, e intutti questi casi i bersagli sono gli stessi (43).Abbiamo una duplice immagine, non deltutto messa a fuoco proprio perché le duelenti di osservazione sono collocate non unaa fianco dell’altra ma in posizioni opposte:

da un lato i magistrati sono spiati perchénon ci si fida di loro, dall’altro si cerca diproteggerli, con scarsi risultati visto le per-dite, pesanti, che si accumulano nel corsodegli anni.Anche altri operatori del diritto sono ogget-to di minacce e di agguati: l’avvocato FulvioCroce a Torino, designato difensore d’ufficioperché presidente del Consiglio dell’Ordinetorinese ad assistere gli imputati delle BR(che rifiutano la difesa), è assassinato nell’a-prile del 1977 e l’avv. Giorgio Ambrosoli èucciso “l’11 luglio 1979 sotto il piombomafioso” e il mandante è Michele Sindona(44).Questo clima pesante, che prosegue tra lestragi del 1974 (Brescia e Italicus) a quelle diBologna del 1980 e del rapido 904 del 1984ha delle conseguenze rispetto ai disegni diriforma nell’ambito giudiziario fino ad allo-ra di segno garantista. Di fronte a un’opinio-ne pubblica smarrita e sovente intimorita,proprio dal 1974 inizia la legislazione cosid-detta di emergenza: leggi che riducono lelibertà dei singoli cittadini, mentre aumen-

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tano i termini della carcerazione preventivae si ampliano i poteri delle forze di polizia.Una parola conclusiva non c’è ancorarispetto a questa stagione. Nonostante l’im-pegno da parte di molti operatori della giu-stizia quasi mai si è riusciti ad accertare alivello giudiziario gli autori (materiali emandanti) di quasi tutte le stragi avvenutedal 1969 al 1984. I magistrati stessi si ferma-no, per così dire, a un livello che intendoriassumere con la citazione di un importan-te avvocato e giurista, Francesco Carnelutti:Per quanto il giudice sia un uomo anche luie come tale possa sbagliare, bisogna fingereche sia quegli che non sbaglia; ma questosignifica considerarlo di più di un uomo;come può essere infallibile se è, solamenteun uomo? Bisogna dunque ricorrere a unafinzione, che i romani hanno riconosciutocon queste parole famose e penose: res iudi-cata pro veritate habetur; il giudizio del giu-dice vale come verità. E i giuristi medievalihanno soggiunto: res iudicata facit de albonigrum; il giudizio del giudice muta il bian-co in nero (45).Ecco perché a mio parere non si possonoaccettare le conclusioni a cui sono giuntiprocessi e inchieste giudiziarie di quella dif-ficile stagione. Per chi studia la storia con-temporanea, quelle non sono che una dellepossibili “verità” e, spesso, nonostante isigilli dell’ufficialità del procedimento dacui scaturiscono, non sono affatto la più pro-babile. Preferisco dire che dobbiamo rico-struire i fatti interpretandoli per avvicinarciil più possibile a una delle probabili“verità”. Quindi non “la” verità, ma unaricostruzione, sempre meno parziale, che cipare dotata di senso e che definirei con lefamose parole di un’intellettuale che cerca“di seguire tutto ciò che succede, di cono-scere tutto ciò che se ne scrive, di immagi-nare tutto ciò che non si sa o che si tace”;che provava a coordinare “fatti anche lonta-ni”, a rimettere “insieme i pezzi disorganiz-zati e frammentari di un intero coerentequadro politico” e a ristabilire “la logica làdove sembrano regnare l’arbitrarietà, la fol-lia e il mistero”. È il 1974 quando P.P.Pasolini scrive questo articolo.

8. - LE DONNE NEL TEMPIOAvevo detto che nel 1965 appaiono le prime

donne che hanno vinto il concorso banditonel 1963: sono 8. In realtà quella fu una fasepioneristica mentre la vera partenza cisarebbe stata anni dopo, come ci diconoquesti dati: la presenza femminile in magi-stratura non supera il 3% nel 1971 e arrivaal 10,3 nel 1981, che in numeri assolutisignifica 207 su 6999 e 708 su 6812. Unaconferma ci viene se guardiamo alle altremagistrature: alla Corte dei conti nel 1975 cisono 6 referendarie, mentre al Consiglio diStato le prime due donne arrivano nel 1981.Col boom negli anni ’80 delle iscritte e poilaureate a giurisprudenza, si passa il 17%nel 1988 arrivando al 34,3%, ovvero a 2986magistrate su 8704 nel 2000 (46). E oggisiamo intorno al 50%.E buona parte delle donne magistrate sioccupano di minori e nei ruoli di sorve-glianza o di diritto di famiglia. Negli annidell’emancipazione, “l’incontro” tra femmi-niste e giuriste “avvenne all’insegna di reci-proche diffidenze, aporie, ripensamenti”(47).Proprio Milano vedeva nei suoi uffici giudi-ziari circa un terzo di tutte le magistrate inservizio in Italia, anni in cui si riflettevasulla “differenza” e la “separatezza”, dibat-tendo temi come il nuovo diritto di famiglia(1975); nonostante la riforma, i cambiamen-ti culturali impiegano più tempo a sedi-mentarsi rispetto a un dato normativo che –nel momento in cui è varato – può modifi-care di senso un comportamento dall’oggi aldomani (l’abrogazione delle norme punitivedel vecchio Codice Rocco sull’aborto, lega-lizzato nel 1978 e confermato in un referen-dum del 1981). Al centro delle discussionisi trovano il diritto del lavoro (la questionedella parità delle retribuzioni) e, in partico-lare, il diritto penale con le sue norme cul-turalmente sessiste e giuridicamente arcai-che come, per esempio, il delitto d’onore(art. 587, abrogato nel 1981) e lo stupro con-siderato un delitto contro la morale e noncontro la persona; quest’ultimo era stato alcentro di un famoso e lontano processo nel1965: richiesta più volte, per lunghi anni,attraverso vari rinvii, tale legge è arrivataquasi fuori tempo massimo soltanto nel1996 (48).Ecco, l’immagine del magistrato, e dellamagistrata, risente di questa situazione nella

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misura in cui le donne in magistratura (eanche nell’avvocatura) hanno portato il lorodoppio carico (familiare e professionale)con tutte le sue problematiche nella citta-della della giustizia che, prima, si facevaquasi vanto di essere estranea, indenne, nontoccata dalle questioni della vita privata deimagistrati maschi (49). Chiaramente non eracosì, ed era comunque un’auto-rappresenta-zione funzionale a quella logica sacerdotaledi cui si diceva all’inizio; se i magistratierano come i sacerdoti, così non potevanoessere distratti dalle loro questioni private,familiari compresi.Sono però anche gli anni in cui - dopo circaun secolo – saltano i rapporti tra numero dimagistrati, numero di avvocati e numero diaffari trattati: gli avvocati “esplodono”numericamente. I magistrati negli anni ’30erano circa 4.000 a fronte di 30.000 avvoca-ti; nel 1981 6800 e 43.500, mentre negli ulti-mi anni circa 10.000 mila giudici fronteg-giano malamente circa 180/200.000 avvoca-ti. Come dire che in 30 anni gli uni sonoaumentati del 30% e gli altri di almeno il400/500% (per altro dobbiamo ricordareche una volta per gli affari minori c’erano igiudici conciliatori, mentre oggi abbiamo igiudici di pace ma, la sostanza del dislivel-lo numerico - tra relativo aumento di magi-strati e superaumento o iperinflazione diavvocati - resta comunque assai elevata).

9. - IL “SUPPLENTE” DELLA POLITICA.SOTTO LA TOGA TUTTO È CAMBIATONegli anni ’80 la trasformazione dellamagistratura si va completando; da retro-guardia e corpo “separato” - in cui era fun-zionale l’auto-rappresentazione del magi-strato come il “sacerdote di Temi”, un purotecnico del diritto -, a protagonista inseritoin una posizione inedita nella società, piùvolte contestata come dimostrano i ricor-renti contrasti dentro l’ordine giudiziario,le altalenanti vicende dei rapporti con l’av-vocatura e le sempre più frequenti polemi-che con una parte della classe politica (50).Una copertina del periodico “La magistra-tura” del 1979 ci spiega come i magistrati siconsiderino, come si vedano rispetto allevarie emergenze che lo Stato sta attraversan-do. Su ogni angolo della copertina c’è unapiccola fotografia: “ambiente” con due per-

sone che indossano una maschera antigas,“casa” con un edificio in costruzione,“droga” con una siringa in primo piano e“conflitti sociali” con un fotogramma di uncomizio di una manifestazione di lavoratoriforse in sciopero e o in lotta. Al centro c’èdisegnata la sagoma di un solo magistrato,un singolo, mentre la didascalia alla baserecita “nodi politici non giudiziari”: piùvolte i magistrati sono lasciati da soli a fron-teggiare queste crisi. La politica è la grandeassente, e l’esecutivo talvolta li contrasta,mentre i vertici degli apparati delle forzedell’ordine non collaborano e, infine, le

leggi di riforma latitano.È altrettanto vero che in quegli anni si vannoformando i pool, piccoli gruppi di magistra-ti della stessa procura o ufficio, o di diffe-renti procure con diverse competenze terri-toriali che lavorano a stretto contatto l’unocon l’altro; ma il segno distintivo maggiore,da loro vissuto come reale, è quello dellasolitudine. Dopo anni di contrasti, e sanzio-ni disciplinari, dentro il loro Corpo sonoaccettate la pluralità delle posizioni in mate-ria di opinione politica, e infatti siamo nelperiodo del “compromesso storico”, quan-do si riavvicinano le varie correnti (51).In generale, tra gli anni ’70 e gli anni ’80,nonostante lo scandalo della P2 (in cuierano coinvolti diversi magistrati di altolivello) (52), la magistratura acquisisceinfluenza all’esterno dell’ordine e riesce aincidere più di prima sulle politiche di rifor-ma della giustizia.Guido Melis ha parlato di “potere esterno”in aumento per via del ruolo svolto daimagistrati nella lotta al terrorismo (creazio-ne dei pool, le vittime avute nelle proprie

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fila, la gestione dei “pentiti”, la capacità dicelebrare i processi nonostante il clima diperenne tensione nel paese) e nella lotta allacriminalità organizzata. In quest’ultimo casoil ruolo di supplenza della magistraturarispetto al potere politico, talvolta restio aseguire gli stessi magistrati (perché in piùcasi è arruolato tra le fila della criminalità),determina una sovra-esposizione, la “primafila” (in tutti i sensi) proprio alla magistratu-ra, che acquisisce così un peso cruciale tra lenostre istituzioni (53).Non c’è più soltanto la classica scena delprocesso che si svolge nelle aule, special-mente in quelle di Corte d’assise, vero teatrogià nell’800 di memorabili arringhe a cuipossiamo rifarci per avere un’idea della for-tuna nell’opinione pubblica di simili “even-ti” (54). Già dagli anni ’70 si aggiungono lecrude immagini degli omicidi con i cadave-ri, riversi nelle auto, o per strada, con l’e-sposizione dei corpi che punteggiano leprime pagine di quotidiani e periodici. Congli anni ’80 i mass media cercano notizie diciò che avviene all’interno degli uffici giudi-ziari, sul loro funzionamento, sui maneggiintorno alle nomine per i posti direttivi cheavvengono al Csm, il vero “padrone” deigiudici (il “concistoro” della magistratura,luogo in cui si determinano le carriere).Quello del magistrato-sacerdote è unmodello quasi “perenne”, almeno nellaforma, nell’apparire esteriore, mentre èdiverso nella sostanza, all’interno, che entrain crisi sia per la presenza delle donne (real-mente accettata forse negli ultimi 20 anni)sia per la trasformazione pubblica indottadai media (si pensi ai primi processi tra-smessi in diretta televisiva): molto è cam-biato nel suo rapporto verso la società everso lo Stato. Se una volta i magistrati par-lavano quasi soltanto attraverso le loro sen-tenze, negli anni ’80 entrano nella sfera pub-blica e sempre di più si mostrano, appaionosotto i riflettori e parlano con interviste, rila-sciano dichiarazioni, scrivono libri sulleproprie esperienze (questa tipologia pare inaumento). Ed è bene ricordare che in politi-ca, da senatori e deputati, alcuni di loro cisono sempre stati.I magistrati sono diventati i custodi, e “le”custodi, delle regole della società e gli arbi-tri tra le istituzioni dello Stato; ha successo

una trasmissione come “Un giorno in pretu-ra” (1988) che ripropone l’immagine delmagistrato sacerdote super partes, un paterfamilias pieno di buon senso, sempre paca-to, quasi ascetico nel suo eloquio. Si potreb-be dire che per un giorno all’anno i magi-strati continuano a mostrarsi come sacerdo-ti, cioè nell’occasione di apertura dell’annogiudiziario.Si arriva così al tornante che è quasi unacesura della fine degli ’80 e dei primi anni’90.Mentre al sud si continua a essere ammaz-zati (1988 Alberto Giacomelli e AntoninoSaetta; 1990 il giudice “ragazzino” RosarioLivatino; 1991, Antonino Scopelliti; 1992 lestragi di Capaci e di via D’Amelio), nel 1989è entrato in vigore il nuovo codice di proce-dura penale (per cui, ad esempio, il pm puòindagare senza avvertire l’indagato, e la poli-zia giudiziaria è alle sue dirette dipendenze,come previsto dalla Costituzione fino allorainattuata su questo punto).Ancor più cruciale, si apre una nuova sta-gione di politica internazionale con l’unifi-cazione delle due Germanie, 1989, e poi lafine dell’Urss, 1991. Sulla scena interna,dopo il referendum sulla preferenza unicain materia di scelta dei candidati alle elezio-ni, inizia a cambiare il sistema elettorale.Nel 1992 l’inchiesta “Mani pulite” avvia ilcrollo di credibilità di un’intera classe poli-tica e Tangentopoli introduce alla crisi eco-nomica che porta all’uscita dal Sistemamonetario europeo e alla svalutazione dellalira; l’anno dopo, 1993, ci sono 150 parla-mentari indagati, è abrogato il finanziamen-to pubblico ai partiti e modificata la leggeelettorale in senso maggioritario (tra gli altri,è arrestato il presidente del tribunale mila-nese Diego Curtò per corruzione, reo con-fesso).

Per concludere questo articolo, in cui sisono schematizzate e riassunte forse inmaniera troppo semplicistica tutta una seriedi posizioni, sensibilità, gruppi, di magistra-ti, facciamo ricorso a due famosi detti; nonc’è più il muro di Berlino, ma ci sarà pursempre un giudice a Berlino e, se è vero chela storia si ripete, e la prima volta è una tra-gedia, allora siamo oggi forse di fronte allafarsa?

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NOTE1 Ringrazio Francesca Tacchi per le sue osserva-zioni a una stesura preliminare di questo saggio,e Giancarlo Scarpari per alcuni scambi di opi-nioni sul tema qui trattato. Resta inteso che diquanto scritto è responsabile solo l’autore.2. G. Neppi Modona, La magistratura dallaLiberazione agli anni cinquanta. Il difficile cam-mino verso l’indipendenza, in Storia dell’Italiarepubblicana, Torino, Einaudi, 1997, vol. III, t. 2,pp. 81-137.3. E. Bruti Liberati, La magistratura dall’attua-zione della Costituzione agli anni novanta, inStoria dell’Italia, cit., pp. 139-237.4. Gemma Di Va, Memorie di un procuratore delre, Torino, Carlo Pasta-Libraio editore, 1909, p.153.5. G. Focardi, Magistratura e fascismo.L’amministrazione della giustizia in Veneto,1920-1945, Venezia, Ivsrec - Marsilio, 2012, p.293.6. Fotografia n. 42, in La giustizia a Messina. Isessant’anni di Palazzo Piacentini, a cura diRocco Sisci, Messina, Edas, 1989, p. 123;Archivio centrale dello Stato, Ministero di graziae giustizia, magistrati, fascicoli personali, 3° ver-samento, fasc. 67671.7. M. Luminati, Linguaggi e stili della magistra-tura italiana nel secondo dopoguerra, inL’impiegato allo specchio, a cura di A. Varni e G.Melis, Torino, Rosenberg&Sellier, 2002, pp. 297-326.8. G. Raffaelli, Il sacerdote di Temi, Milano,Gentile, 1945; in realtà le “qualità” descritte daRaffaelli erano presenti in parte già dalla fine delperiodo liberale, riflesso dell’avvicinamentocostante della classe politica laica “liberale” aquella dei cattolici che si stava affacciando sullascena pubblica (si ricordi il così detto “pattoGentiloni”).9. Sui valori attribuiti alla “apoliticità” e alla“asindacalità” nel dopoguerra, vedi E. Mo-riondo, L’ideologia della magistratura italia-na, prefazione di R. Treves, Bari, Laterza,1967, pp. 113-123.10. D. Troisi̧ Diario di un giudice, Torino,Einaudi, 1955; A. Galante Garrone, Il mite giaco-bino, Roma, Donzelli, 1994, pp. 38 ss. 11. A. Pizzorusso, L’organizzazione della giusti-zia in Italia. La magistratura nel sistema politicoe istituzionale, Torino, Einaudi, 1985.12. All’epoca frequentare le lezioni universitarieera un’opzione, non vigeva alcun obbligo, ancheperché erano spesso lezioni noiose, tenute dadocenti quasi sempre ex fascisti e democristiani(ad esempio a Roma A. Asquini, G. Del Vecchio,l’ex guardasigilli degli anni ’30 P. De Francisci,

G. Ambrosini, i futuri presidenti Segni e Leone);professori che nei loro corsi non parlavano maidella Costituzione eccetto qualcuno (Jemolo,Calasso): R. Canosa, Storia di un pretore, Torino,Einaudi, 1978, pp. 5-9.13. R. Canosa, Pietro Federico, La magistraturain Italia dal 1945 a oggi, Bologna, il Mulino,1974, p. 7. Questo volume mi pare indicativo delmodo di procedere da parte di Canosa: nei suoilavori era spesso influenzato da ciò che stavaaccadendo in presa diretta intorno a lui, era untestimone molto attento alla cronaca e capace –grazie agli studi e alle letture di ampio respirocontinuate per tutti gli anni ’60 – di scrivere librie articoli sui temi della giustizia e della magi-stratura di taglio storiografico.14. Nato nel 1881 Azzariti entra in magistraturanel 1905 ed è stimato fin dagli esordi da VittorioScialoja e da Ludovico Mortara; diventa unostretto collaboratore del guardasigilli V.E. Orlan-do nel 1907 - 1908, rimanendo poi in servizio aldicastero. Dal 1920 è all’Ufficio legislativo, dal1927 ne è il responsabile, guardasigilli AlfredoRocco, e dove rimane fino al 1949, eccetto laparentesi 1943-1944 quando diventa guardasi-gilli nel governo Badoglio. Membro dal 1955della Corte costituzionale è infine presidentedella stessa dal 1957; un protagonista del mondogiudiziario da Giolitti a Gronchi (G. Focardi, Imagistrati tra la RSI e l’epurazione, in Istituto perla storia del movimento di liberazione nelleMarche Alto Piceno – Fermo, Violenza, tragediae memoria della Repubblica Sociale Italiana,Atti del Convegno nazionale di studi di Fermo,3-5 marzo 2005, a cura di S. Bugiardini, Roma,Carocci, 2006, pp. 309-325).15. U. Allegretti, Interlocutori dell’Assembleacostituente, con appendice documentaria, inAlle origini della Costituzione, a cura di S.Rodotà, Bologna, il Mulino, 1998.Sempre degli stessi anni è la rivalutazione delleretribuzioni che garantisce un prestigio sociale, oun più che “dignitoso decoro” (per usare paroleallora in voga) anche ai magistrati più giovani econ meno anzianità di carriera.16. S. Senese, La vicenda culturale e politica diMagistratura democratica, in Giudici e democra-zia. La magistratura progressista nel mutamentoistituzionale, a cura di N. Rossi, Milano, Angeli,1994.17. Inoltre nel 1963 si hanno l’abolizione delconcorso per titoli per la Corte d’appello e per laCassazione, e le promozioni automatiche in baseall’anzianità. Guido Melis ricorda che si passa ai“ruoli aperti” e dopo 28 anni quasi tutti possonoavere la retribuzione di un magistrato di

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Cassazione, mentre prima erano pochi, circal’1% quelli che potevano raggiungere un similetrattamento (G. Melis, Il potere dei giudici e lalatitanza della politica, in “Passato e presente”,n. 85, 2012, p. 10).18. Un tema che da solo potrebbe riempire unconvegno lungo una settimana, e che qui si ridu-ce a qualche rigo.19. F. Tacchi, Gli avvocati italiani dall’Unità allaRepubblica, Bologna, il Mulino, 2002.20. Romano Ricciotti sostiene che la corrente diMagistratura indipendente non ha un’ideologiae, anzi, “rifiuta le ideologie, ma ha idee”; e poiafferma che il giudice deve “essere fedele allalegge, pur muovendosi nella discrezionalità del-l’interpretazione, e non disapplicare la legge conil pretesto dell’interpretazione” (Id., Sotto quelletoghe. Le radici delle correnti nella magistratura,Lamezia Terme, Edizioni Settecolori, 2007, p.116).21. A quasi 50 anni di distanza dalla nascita diMagistratura democratica, la più importante trale correnti (e la più discussa e studiata), rispettoai propositi iniziali ci pare di rilevare che le variecorrenti abbiano finito per assumere soprattuttoquello dell’esplicita azione corporativa dilobbying nel promuovere i propri iscritti versusquelli di altre correnti per le nomine ai postidirettivi degli uffici giudiziari. In pratica, le cor-renti sono diventate gruppi di pressione dentroil Csm per far eleggere i propri iscritti, compor-tandosi in ciò né più né meno come i partiti e isindacati.22. Passando negli anni ’90 dal sistema propor-zionale a quello maggioritario, tutta l’ammini-strazione dello Stato compresa la magistraturaha risentito di questo cambiamento, concretizza-tosi in un non codificato spoils system, accen-tuando i tratti che rendono più scopertamente“politico” il modo di agire delle correnti. Ciòdetto, a scanso di equivoci visti i tempi cheviviamo, è stata la politica a invadere spessoimpropriamente il campo giuridico, e con menofrequenza è avvenuto il contrario.23. Nell’inchiesta emergono le opinioni di alcu-ne studentesse del liceo sull’educazione sessua-le e sul loro futuro ruolo nella società.L’Associazione cattolica Gioventù Studentescaprotesta per l’oscenità dell’argomento e perchéle intervistate sono minorenni.24. C. Cederna, I Borbone di Milano,“L’Espresso”, n. 13, 27 marzo 1966; Id., Le con-cezioni morali del pubblico ministero al proces-so della “Zanzara”: Da Verona sotto la toga,“L’Espresso”, n. 15, 10 aprile 1966. Sulla giorna-lista cfr. Silvia Pasqualotto, Camilla Cederna. Ilprezzo di una coerenza polemica, tesi di laureamagistrale discussa all’Università degli studi di

Padova, a.a. 2011-2012.25. G. Crainz, Il paese mancato. Dal miracoloeconomico agli anni ottanta, Roma, Donzelli,2003, p. 205.26. Era un comportamento che la “politica diControriforma della Procura di Milano” avevamostrato in altre occasioni censurando film eopere teatrali (secondo punti di vista e valoriintegralmente cattolici), e assumendo atteggia-menti di estrema durezza verso le manifestazio-ni sindacali. Cederna ricorda pure le arringhedegli avvocati difensori in modo mirabile, in cui“mentre fremeva la spazzola ostinata diDall’Ora, o il naso rostrato di Pisapia, mentres’accendeva il pallore di Smuraglia, s’agitavanole belle mani minute di Delitala, tuonava Sbisàe parlava invece come in un salotto l’avvocatoCrespi dalla stempiatura elegante”.27. Si assiste alla sfiducia crescente rispettoall’amministrazione della giustizia e, quindi, allaprogressiva fuga dalla giustizia verso altre formedi tutela dei diritti, così come all’aumento deitempi ovvero alla lentezza nell’istruire e nel fini-re i processi (F. Tacchi, Rapporti professionali econflitti politici tra avvocatura e magistraturanell’Italia unita, ricerca non pubblicata condottanel 2003-2007 nell’ambito del progetto commis-sionato dal Csm e dal Centro nazionale di pre-venzione e difesa sociale, coordinato daVincenzo Ferrari, su cui cfr. Id., L’amministra-zione della giustizia nell’Italia del 2000, in“Sociologia del diritto”, 2012, n. 3, pp. 173-196,qui p. 190. Ringrazio l’autrice per avermi fattoleggere il suo scritto).28. Alla fine del 1969 avviene una scissione inMD: i riformisti moderati (alcuni dei quali viciniall’area socialista, come Beria) attenti a moder-nizzare soltanto l’ordinamento giudiziario, esco-no dalla corrente lasciandola in mano ai riformi-sti radicali (vicini alla nuova sinistra) che voglio-no “trattare pienamente la giustizia come fattointrinsecamente politico, di conseguenza adot-tando metodi d’intervento culturale e politiconuovi, dentro e fuori la magistratura. […] Il chevoleva dire ormai schierarsi, senza timidezze”(Palombarini, Viglietta, La costituzione e i diritti.Una storia italiana, cit., pp. 72-73).28. M. Capurso, I giudici e le recenti polemichein tema di interpretazione evolutiva della legge,in “Studi parlamentari e di politica costituzio-nale”, n. 18. 1972, pp. 5-17.29. F. Tacchi, Eva Togata. Donne e professionigiuridiche in Italia dall’Unità a oggi, prefazionedi R. Sanlorenzo, Torino, Utet, 2009, pp. 168-169.30. Già nel 1970 un pretore di Genova AdrianoSansa vieta la balneazione in un tratto di mareper l’inquinamento. E negli anni seguenti più

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volte i “pretori d’assalto” saranno chiamati adifendere l’ambiente dai disastri causati dall’uo-mo (come a Seveso), ad avviare procedimentigiudiziari contro importanti imprese, lo “scan-dalo petroli”, a perseguire numerosi casi di cor-ruzione e concussione, poi spesso insabbiati dailivelli più alti dell’ordine giudiziario.33. G. Freddi, Tensioni e conflitto nella magi-stratura. Un’analisi istituzionale dal dopoguerraal 1968, Roma-Bari, Laterza, 1977.34. E che vede Romano Canosa in prima fila:“Romano esprimeva con rigore, con intelligen-za, con puntuale attenzione e con il suo difficilecarattere il cambiamento da noi ricercato. Illuogo del nostro impegno era la giustizia e, attra-verso questa, la società. Cercavamo di fare inmodo che giustizia e società divenissero le duefacce della stessa medaglia per esprimere i fon-damentali principi dell’uguaglianza, dell’indi-pendenza, del rigore”. Conosciutolo alla metàdegli anni ’60, l’avvocata Laura Hoesch ha cosìricordato quella unione di intenti tra alcuniavvocati e alcuni magistrati (http://www.punto-rosso.it/images/saperi/canosa.pdf; ultima con-sultazione 5 marzo 2013).35. B. Guidetti Serra, Le schedature Fiat.Cronaca di un processo e altre cronache, prefa-zione di S. Rodotà, Torino, Rosenberg&Sellier,1984; ed è la prima volta che i sindacati si costi-tuiscono parte civile in difesa di un’intera cate-goria di lavoratori.Tutto ciò non è una prerogativa del settore pri-vato, al contrario; la decisione di sanzionarecomportamenti commessi dagli impiegati pub-blici fuori dagli uffici è capitata più volte nelcorso della storia repubblicana (M. Rusciano,L’impiego pubblico in Italia, Bologna, il Mulino,1978). Anche la burocrazia statale è rimastaestranea per lungo tempo ai principi dellaCostituzione applicando il testo unico del 1923ben oltre la promulgazione di quello del 1957negli anni ’60 e ’70 sanzionando e licenziando ilpersonale pubblico in base alla vita privata e alleloro opinioni, con l’avallo del Consiglio di Stato(G. Focardi, Storia dei progetti di riforma dellapubblica amministrazione: Francia e Italia 1943-1948, Bologna, Bup, 2004, pp. 328 e 345).36. B. Guidetti Serra, con S. Mobiglia, Bianca larossa, Torino, Einaudi, 2009, p. 186.37. Andrea Sceresini, Nicola Palma, Maria ElenaScandaliato, Piazza Fontana, noi sapevamo.Golpe e stragi di Stato. Le verità del generaleMaletti, Roma, Aliberti editore, 2010, pp. 92-93(e anche pp. 112, 115).38. “L’ho già detto: tra il Sid e la magistraturanon c’era alcun tipo di rapporto, non a queitempi” (Ivi, p. 128). Lo stesso problema, la man-cata collaborazione del Sid con i magistrati, è

riportato da M. Franzinelli e P.P. Poggio, Storia diun giudice italiano. Vita di Adolfo Beria diArgentine, Milano, Rizzoli, 2004, pp. 198-199,219-220.39. P. Calogero, “Lo Stato e il terrorismo”, semi-nario tenuto il 18.04.2012 a Padova; e gli artico-li sui quotidiani “Il Gazzettino” (p. XXX) e “IlMattino” (p. 45) del 19.04.2012 con stralci dellesue dichiarazioni. Magistrato dal 1967, fino al1983 si è occupato di terrorismo, prima a Trevisonei confronti dei neofascisti, poi a Padova versogruppi quali Autonomia Operaia e Br.40. Simili affermazioni si trovano in P. Calogero,La testimonianza, intervista a cura di S.Giralucci, in C. Fumian, P. Calogero, M. Sartori,Terrore rosso, dall’autonomia al partito armato,Roma, Laterza, 2010, pp. 152-157.41. Canosa scrive di “migrazioni” dei processiverso sud: Id., Storia della magistratura in Italia.Da Piazza Fontana a Mani Pulite, Milano,Baldini&Castoldi, 1996, pp. 31-39.42. Il periodico dell’Anm titola “Inaudito atten-tato all’ordine giudiziario ed allo Stato”, in “Lamagistratura”, marzo-aprile 1974, a. XXVIII, n.3-4, p. 1.43. Franzinelli e Poggio evidenziano come il“Centro nazionale di prevenzione e difesa socia-le”, creato da Beria a Milano nel 1948, paghi unpesante tributo di sangue con le uccisioni diquattro dei suoi collaboratori, per mano di terro-risti di sinistra: Girolamo Tartaglione, EmilioAlessandrini, Girolamo Minervini e Guido Galli.Inoltre ricordano alcuni articoli di Beria sulvuoto istituzionale e sulla solitudine dei magi-strati, che si occupavano di indagini sul terrori-smo e la lotta armata, lasciati soli e senza prote-zione (Storia di un giudice italiano, cit., pp. 223,227-228).44. F. Tacchi, Dalla Repubblica Cisalpina allaRepubblica Italiana, in Avvocati a Milano. Seisecoli di storia, a cura di A. Gigli Marchetti, A.Riosa, F. Tacchi, con la collaborazione di P.Caccia, M. Unia, Milano, Skira, 2004, p. 131 (enel 1977 un alto magistrato, Carmelo Spagnuolo,era andato fino a New York a testimoniare a favo-re di Sindona).45. F. Carnelutti, Vita di avvocato. Mio fratelloDaniele. In difesa di uno sconosciuto, a cura diF. Cipriani, Milano, Giuffrè, 2006, p. 48.46. G. Focardi, Alla conquista della “giustizia”:le magistrate, in Donne e professioni nell’Italiadel novecento, a cura di G. Vicarelli, Bologna, ilMulino, 2006, pp. 211-212.47. Tacchi, Eva Togata, cit., p. 172; L. Hoesch, Il“femminismo” entra in tribunale, in Avvocati aMilano, cit., pp. 203-204; N. Gandus, Organiz-zazione degli uffici ed esercizio delle funzionigiurisdizionali: essere donna fa differenza?, rela-

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zione al convegno organizzato da MD su“Magistratura e differenza di genere” (Milano,17 aprile 2004), “md”, n. 2, 2009(http://old.magistraturademocratica.it/platform/2007/07/16/organizzazione-degli-uffici-ed-eser-cizio-delle-funzioni-giurisdizionali-essere-donna-fa; ultima consultazione 5 marzo 2013).48. Tacchi, Eva Togata, cit., pp. 161-194.49. R. Canosa, Il giudice e la donna.Cento anni di sentenze sulla condizione fem-minile in Italia, Milano, Mazzotta, 1978, unlibro che ha rappresentato a lungo, anche pergli storici, una lettura obbligata sull’argomen-to (vista la scarsità di studi all’epoca di storiadelle donne e di storia di genere), grazie all’a-nalisi di lungo periodo e alla presenza dimolti documenti e citazioni tratte dalle sen-tenze.50. Con protagonisti come l’allora presidente delConsiglio dei ministri Bettino Craxi (1983-1987),

e il presidente della Repubblica FrancescoCossiga (1985-1992).51. Luminati, Linguaggi e stili della magistratu-ra, cit. p. 310.52. R. Canosa, Storia della magistratura in Italia,cit., pp. 113-120.53. Melis, Il potere dei giudici e la latitanza dellapolitica, cit., p. 11. Tutto sommato, la magistra-tura ha saputo uscire dalle emergenze degli anni‘70 - ‘80, non così l’amministrazione della giu-stizia, a causa di mancate riforme organizzativee funzionali che però sono debitrici – di nuovo– dell’assenza di riforme del legislatore, e dellapolitica.54. Con tanto di periodici illustrati, come “Igrandi processi illustrati”, “Il corriere illustratodei processi celebri”: cfr. P. Caccia, “Giustizia siafatta: e giustizia sia”. Giustizia e avvocati nellaletteratura popolare milanese, in Avvocati aMilano, cit. pp. 179-189.

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La magistratura ed il futuro del diritto del lavoro, convegno promosso dall’Associazione Romano Canosa per gli studi storici, il 12 giugno 2012 - Milano, Società Umanitaria

Questo incontro rappresenta per me anchel’occasione per ricordare quello che RomanoCanosa ha rappresentato nella formazionedi un diritto giurisprudenziale del lavoro,vale a dire quanto alla interpretazione eapplicazione di tale diritto, orientate a pro-muovere l’effettiva emancipazione e ilpieno sviluppo della persona e della dignitàdel soggetto lavoratore. Anche in tale conte-sto; soprattutto all’interno dei luoghi dilavoro.Si tratta di una azione sviluppata daRomano Canosa, in primo luogo nel perio-do, diciamo così, “eroico”dei primi anni ’70del secolo scorso, quando, in collegamentocon un gruppo ristretto di giudici, andavavalorizzando, con le proprie sentenze, prin-cipi e regole che spesso potevano apparirerivoluzionarie, ma elaborate con un sicuroancoraggio alla nuova Costituzione repub-blicana e alla nuova legislazione del lavoro.Un’azione proseguita anche successiva-mente, quando le esigenze dei processi ditrasformazione produttiva avviati già a par-tire dalla seconda metà degli anni ’70 impo-sero una attenuazione dei diritti indisponi-bili dei lavoratori, Romano Canosa fu sem-pre l’ispiratore e forza trainante, con la suapersonalità coinvolgente, di idee innovativeall’interno dell’allora Pretura del lavoro diMilano, in sede di controllo di legalità di taliprocessi, ove incidenti su diritti dei lavora-tori e in funzione di tutela della parte piùdebole del rapporto di lavoro.A cavallo tra gli anni ’60 e ’70 del secolo

scorso, la Pretura del lavoro di Milano eravenuta assumendo in Italia una posizione dileadership nella promozione e difesa delladignità e dei diritti dei lavoratori nei luoghidi lavoro, posizione che poi ha mantenutoper molti anni e della quale sono stati parte-cipi molti degli uffici giudiziari del lavoroitaliani, soprattutto del nord.In quegli anni si sviluppa infatti un fenome-no di rottura del quadro di sostanziale sud-ditanza del lavoro subordinato, con la parte-cipazione operaia ai movimenti del ’68-70,che si sviluppano anche all’interno dei luo-ghi di lavoro in forme di lotta inedite, in unclima di profondo rinnovamento dellasocietà, sollecitato anche da analoghi movi-menti sviluppatisi in altri Paesi.Il movimento è preceduto, accompagnato eseguito dall’approvazione di leggi che asse-condano queste istanze di riscatto e di tute-la, tra le quali spicca la legge n. 300 del 1970,contenente il c.c. Statuto dei lavoratori.Con questa legge vengono affermati, poten-ziati e difesi la libertà e i più importanti dirit-ti dei lavoratori in azienda:- in materia di licenziamento (il famoso art.18 che prevede una tutela più pregnantecontro i licenziamenti illegittimi, realizzataattraverso la reintegrazione del lavoratorelicenziato in maniera ingiustificata); - in materia di mansioni e di trasferimenti(l’art. 13 dello statuto, che impedisce infattimutamenti peggiorativi di mansioni e con-diziona la legittimità del trasferimento adobiettive esigenze tecniche, organizzative e

*Magistrato pressola Corte Suprema diCassazione, SezioneLavoro.

Atti 25

Il ruolo della Pretura delLavoro di Milano nell’elabo-razione di una giurisprudenzaancorata alla Costituzioneper la promozione delladignità e dei diritti dei lavoratori di Antonio IANNIELLO*

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produttive); - in materia di sanzioni disciplinari (con laprevisione della necessaria tipicizzazionedegli illeciti e delle sanzioni disciplinari ela procedimentalizzazione dell’iter di irro-gazione delle sanzioni, in funzione dellagaranzia del contraddittorio) etc.Inoltre lo statuto delimita l’ambito del pote-re imprenditoriale in materia di controllidell’attività lavorativa e della malattia a tute-la della dignità dei lavoratori e delle lavora-trici, predispone misure per assicurarne lalibertà di espressione delle idee, per la tute-la della salute e dell’integrità fisica deglistessi, poi sviluppate in veri e propri testiunici, fa divieto di indagini sulle loro opi-nioni e su fatti estranei alla valutazione del-l’attitudine professionale del lavoratore.Infine promuove la presenza del sindacatoin fabbrica, al quale attribuisce una serie didiritti e prerogative che consentano l’ade-guato svolgersi della sua azione a sostegnodei diritti dei lavoratori.E’ in questo quadro di riferimento che sisviluppa l’applicazione giurisprudenzialedelle nuove leggi sul lavoro, nella quale èsubito evidente appunto l’attivismo dellaPretura di Milano nell’assecondare il pro-cesso tendente a riequilibrare i rapporti diforza all’interno dei luoghi di lavoro dallaposizione di notevole squilibrio in cui sitrovavano a vantaggio dell’impresa. Non fu una operazione indolore, perchémolti imprenditori reagirono al processoinnescato dai movimenti accennati e favori-to dallo Statuto, tentando di ridimensionar-ne la portata innovativa, negando la possibi-lità di cittadinanza all’interno dei luoghi dilavoro ai diritti e alle libertà da esso affer-mati e potenziati, denunciandone la portataeversiva e distruttiva della crescita e conessa del benessere economico raggiunto.E’ in questa attività di sostegno della caricainnovatrice dello Statuto e di contrasto, innome delle nuove leggi, alla reazioneimprenditoriale di allora che la storia dellapretura del lavoro di Milano si intreccia conquella di Romano Canosa, giunto alla relati-va sezione, a partire dal 1969-70 dopo unapoco interessante esperienza in sezioni diminore impatto sociale.Si forma infatti in quegli anni all’internodella sezione un gruppo omogeneo di magi-

strati decisamente orientati a favorire l’e-mancipazione del mondo del lavoro nell’ot-tica promozionale della dignità dello stessoe della rimozione degli ostacoli di fatto esi-stenti al suo riscatto sociale, secondo l’indi-cazione proveniente, in proposito, dallastessa Costituzione repubblicana (art. 3,secondo comma Cost.).E’ l’uso alternativo del diritto, secondo laformula usata da Magistratura Democraticadi cui Romano Canosa sarà in quegli anniuno dei principali artefici, uso che nelcampo del lavoro umano trova un settore dielezione, nella rigorosa applicazione delnuovo diritto per il superamento di anticheingiustizie, con parole d’ordine che evocanoprincipi costituzionali.Si tratta dell’opera in cui fu impegnata tuttala Pretura anche e soprattutto per effettodella personalità trainante di Romano; un’o-pera che, depurata di alcuni eccessi chescontano l’entusiasmo dei tempi, riveleràspesso una capacità di tenuta nel tempo, tra-ducendosi nell’affermazione di principi diciviltà, sovente fatti propri e sviluppati dallegislatore successivo e comunque tuttorapatrimonio della giurisprudenza italiana.Gli esempi sono numerosi.A partire proprio dal tanto citato e travisatoepisodio boccaccesco del garzone di salu-meria licenziato in tronco (senza preavviso)perché se la faceva con la moglie del datoredi lavoro.Una pubblicistica in cerca di scoop parlò discandalosa sentenza di reintegrazione delgarzone nella salumeria, con tutte le comi-che implicazioni che ciò evoca, mentre,date le dimensioni dell’impresa, si trattava,secondo la disciplina vigente, solo del dirit-to del lavoratore licenziato all’indennitàsostitutiva del preavviso.La sentenza di Canosa conteneva viceversal’affermazione di un principio di evidenteciviltà e ragionevolezza, il quale infatti èdivenuto indiscutibile patrimonio comune:quello della indifferenza tendenziale dellavita privata del lavoratore sul piano dellacorrettezza e della continuità del rapporto dilavoro.Salva naturalmente l’ipotesi in cui gli episo-di di questa vita privata incidano sulle man-sioni affidate al lavoratore e sull’oggettivaaspettativa di corretto svolgimento delle

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stesse (come sarebbe, ad es. il caso del cas-siere di banca che nella vita privata vienecondannato per furto a danni di un terzo; odell’infermiere di ospedale che spacciadroga, etc.). (cfr., ad es. Cass. 12 settembre2000 n. 11986).Un altro esempio di questa capacità di tenu-ta della giurisprudenza di allora è rappre-sentato dalla regola del licenziamento comeestrema ratio, elaborata con la rigorosa appli-cazione da parte della Pretura di Milanodelle indicazioni provenienti dalla legge edalla coscienza sociale e che trova ancor oggile sue espressioni più significative: a) anzitutto nella diffusa affermazione del-l’obbligo di recupero del lavoratore in altricompiti quando non sia più idoneo a svol-gere i precedenti o quando questi ultimisiano stati soppressi (vedi, ad es. Cass. 26marzo 2010 n. 7381), b) poi nella rigorosa valutazione dei profilisoggettivi e oggettivi della inadempienza ingrado di dare luogo ad un licenziamentopiuttosto che ad una sanzione conservativae che deve comunque essere notevole egrave (cfr. ad es. Cass. 26 aprile 2012 n.6498, o 23 febbraio 2012 n. 2720 o 7 aprile2011 n. 7948), c) infine, nell’affermazione, anche di recen-te ribadita dalla cassazione, che, pur nelrispetto della libertà dell’imprenditore inordine alle dimensioni aziendali, la riduzio-ne di personale non potrebbe essere ispirataal puro intento di un incremento del profittoeconomico (ad es., anche recentemente, cfr.Cass. 23 febbraio 2012 n. 2712 o 8 febbraio2011 n. 3040, che trova il suo precedente inalcune pronunce di Romano Canosa o daaltri giudici della pretura in materia di licen-ziamento per ragioni economiche). Un altro settore di intervento che ha poivisto consolidarsi i relativi principi, anchead opera della Corte costituzionale, riguardail licenziamento disciplinare: qui, data lanatura punitiva del licenziamento, partico-larmente importante è stato il tema dellaapplicabilità delle garanzie procedimentalipreviste dallo Statuto in materia di sanzionidisciplinari, soprattutto quanto alla preven-tiva contestazione degli addebiti e alla pos-sibilità di difesa per il lavoratore.Lo Statuto del 1970 prevedeva tali garanziegenericamente per le sanzioni disciplinari,

ma veniva prevalentemente interpretatocome riferito esclusivamente alle sanzioniconservative.Fu merito della Pretura di Milano denun-ciare ripetutamente l’assurdità, sul pianologico oltre che giuridico, di una tale diffe-renziazione: la maggiore sanzione privatapossibile veniva trattata, contro ogni logi-ca, in maniera meno garantista di quelleminori.L’orientamento inclusivo non incontrò ini-zialmente il favore della Corte di cassazione,fino a che intervenne la stessa Corte costitu-zionale con una sentenza storica (30 novem-

bre 1982 n. 204), frutto della penna del Prof.Andrioli, che, in maniera tranchant, denun-ciò l’assurdità e quindi la contrarietà all’art.3 della Cost., della distinzione, secondoquanto poi ribadito anche con riguardo ailicenziamenti per motivi disciplinari inti-mati da datori di lavoro con meno di 16dipendenti (Corte cost. 25 luglio 1989 n.427).Per cui ora anche la cassazione afferma, siapure con qualche distinguo quanto all’ap-plicazione del primo comma (Cass. 21luglio 2004 n. 13526), l’applicabilità allicenziamento dell’art. 7 S.L., quantomenocon riguardo alla preventiva contestazionedegli addebiti e alla concessione di un ter-mine a difesa dell’incolpato (ad es. Cass. 17gennaio 2011 n. 897), regola poi estesaanche alla categoria dei dirigenti (Cass. S.U.30 marzo 2007 n. 7880). E ancora: la legge di tutela dai licenziamen-ti ingiustificati contiene una norma cheesclude dal proprio ambito sia i licenzia-menti per i dirigenti che i licenziamenti col-lettivi per riduzione del personale.

Atti 27La magistratura ed il futuro del diritto del lavoro, convegno promosso dall’Associazione Romano Canosa per gli studi storici, il 12 giugno 2012 - Milano, Società Umanitaria

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Per il primo, Romano Canosa elaborò la teo-ria, tuttora affermata anche dalla Cassazione(Cass. S.U. n. 7880/07, cit.), della necessariadistinzione, sul primo piano, tra dirigentiveri e pseudo dirigenti, la cui forza contrat-tuale di fronte al datore di lavoro non è dis-simile da quella di un impiegato direttivo:solo per i primi vale pertanto l’esclusionedalla tutela, mentre per gli pseudo-dirigentiriprende vigore la regola generale della sot-toposizione del relativo licenziamento airigorosi limiti fissati dalla legge. Quanto al licenziamento collettivo, la disci-plina inizialmente applicabile fu individua-ta negli accordi interconfederali esistenti inmateria (quello del 20 dicembre 1950 resoefficace erga omnescol D.P.R. 14 luglio 1960n. 1019, in attuazione della legge n. 741 del1959 e quello del 5 maggio 1965), che pre-vedevano procedure conciliative e stabiliva-no i criteri di scelta da seguire in concorsotra di loro e in maniera trasparente per l’in-dividuazione dei lavoratori da licenziare.In particolare, mentre la qualificazione stes-sa di licenziamento collettivo veniva cau-salmente ancorata ad una situazione di crisio alla necessità di processi di riorganizza-zione produttiva, che imponessero unariduzione di personale per adeguarsi allasituazione di mercato, l’attenzione che i giu-dici di merito dedicarono alla rigorosaosservanza dei criteri di scelta stabiliti dallacontrattazione collettiva individuava unosnodo centrale della materia, per la intuibi-le tentazione dell’impresa di liberarsi, conl’occasione, di personale scomodo o menoproduttivo.L’importanza dell’argomento venne coltaanche dalla cassazione, che in particolareaffermò la necessaria concorrenza dei crite-ri di scelta seguiti dall’impresa e la loro tra-sparenza, in primo luogo in direzione deilavoratori e dei loro sindacati (cfr. ad es.Cass. 14 dicembre 1990 n. 11885 o 12 ago-sto 1982 n. 4589).La materia è stata infine oggetto di esplicita,articolata disciplina di legge (L. 23 luglio1991 n. 223), che in attuazione della norma-tiva comunitaria, prevede che debba essereseguita una complessa procedura che vedepartecipi i sindacati, coi quali è altresì pos-sibile individuare criteri di scelta diversi daquelli di legge. La violazione della procedu-

ra o nell’applicazione dei criteri di scelta erasanzionata dalla legge con l’inefficacia o conla invalidità del licenziamento.Un altro settore di intervento incisivo dellagiurisprudenza fu in materia di contratti atermine, che nel passato remoto, primadella legge del 1962, complice la vaghezzadella disciplina di legge, era stata oggetto dinotevoli e diffusi abusi.Fu compito della giurisprudenza di queglianni il controllo della più rigorosa applica-zione della nuova legge sui contratti a ter-mine (L. n. 230 del 1962), allora orientata,per contrastare le precedenti tendenze, aduna tassativa delimitazione delle ipotesi dilegittima apposizione di un termine finale alcontratto di lavoro.Con soluzioni riprese anche dalla Cassazio-ne nei casi, per la verità sempre più rari neltempo, in cui l’oggetto del giudizio è un con-tratto a termine stipulato a norma della leggen. 230/1962 (cfr., ad es., in materia di sosti-tuzione di personale in ferie, Cass. 12 marzo1986 n. 1671 o in materia di assunzioni atermine per specifici spettacoli, Cass. 11aprile 2006 n. 8385).E ancora, mi piace ricordare l’uso del proce-dimento cautelare d’urgenza di cui all’art.700 c.p.c., per molto tempo ritenuto funzio-nale alla sola difesa della proprietà o deidiritti della persona. Questo procedimento consente normal-mente di risolvere temporaneamente la con-troversia in pochi giorni, salvo miglioreapprofondimento nel giudizio di merito dacelebrare successivamente, con l’ulteriorevantaggio di trasferire il rischio della duratadel giudizio ordinario sulla parte che“appare” avere torto. Negli anni ’70 del secolo scorso l’uso delprocedimento di urgenza viene definitiva-mente esteso a difesa di molti dei diritti dellavoratore, quelli caratterizzati dalla sicuradeteriorabilità in ragione del trascorrere deltempo; casi in cui la tardiva affermazionedegli stessi sarebbe infatti inutile o moltomeno utile: il licenziamento, il trasferimen-to, la dequalificazione, ma anche, al limite,la retribuzione, per la sua funzione disostentamento del lavoratore e della suafamiglia al fine di assicurare loro una vitalibera e dignitosa, come recita l’art. 36 Cost..Infine, un altro tra i tanti esempi di giuri-

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sprudenza, diciamo così, alternativa e disostegno della Pretura di Milano, peraltropoi in buona parte consolidatasi in principicondivisi, si sviluppò in materia di dirittisindacali e di sciopero.Mi riferisco in particolare al superamentodella teoria della necessaria equivalenza deidanni nella valutazione della legittimità omeno di uno sciopero, soprattutto a propo-sito delle nuove forme di lotta, quale lo scio-pero articolato o a singhiozzo, lo sciopero ascacchiera o quello del cottimo. In proposito, infatti, una parte della dottri-na e giurisprudenza sosteneva che lo scio-pero, per essere legittimo, non avrebbedovuto arrecare all’impresa un dannomaggiore di quello che arrecava ai lavora-tori. Per questa via, si introducevano sur-rettiziamente limitazioni non previstedalla legge in una materia, quella dellosciopero, oggetto di una tutela privilegiatanella Costituzione, quale mezzo di eman-cipazione dei lavoratori. Si trattava di un tentativo di ridimensiona-mento, del quale, infine, anche la Corte dicassazione (cfr., ad es., Cass. 24 gennaio1981 n. 568 o 30 gennaio 1980 n. 711) rivelòil carattere elusivo di un diritto fondamen-tale, al di fuori dell’ipotesi in cui l’eserciziodello sciopero possa costituire lesione dibeni di pari o superiore rilievo nella Cartacostituzionale, quali la vita, la salute, ladignità e, semmai, non la produttività, ma lastessa capacità produttiva dell’impresa.Bilanciamento di diritti di pari dignità costi-tuzionale che è stato poi all’origine delladisciplina dello sciopero nei pubblici servi-zi essenziali (L. 12 giugno 1990 n. 146).Altrettanto efficaci furono gli interventi disostegno dei vecchi e nuovi soggetti sinda-cali nella loro azione all’interno delle impre-se: dalla legittimazione alla costituzione dirappresentanze sindacali aziendali ancheall’interno di una associazione sindacale deidatori di lavoro, all’uso del rapido ed effica-ce strumento di cui all’art. 28 S.L. per repri-mere condotte antisindacali. Una cautela maggiore veniva osservata,anche da Romano Canosa, di fronte ai feno-meni di ridimensionamento o chiusura diaziende, in quanto questo era valutato comeun terreno infido per un giudice, pocoesperto di gestione aziendale. E tuttavia

Canosa non esitava a coinvolgere esperti digestione aziendale ove da significativi indiziemergesse la possibilità che, con la minacciadi chiusura, fossero state in realtà poste inessere manovre per fiaccare le lotte in azien-da o per liberarsi di personale scomodo.Nella materia della esecuzione degli obbli-ghi di fare infungibile e in particolare del-l’obbligo di reintegrazione del lavoratoreillegittimamente licenziato in azienda, itentativi della dottrina e della giurispru-denza, anche di Milano per assicurare unatutela effettiva non hanno invece avuto(salvo la possibilità di utilizzare il ricorsoper condotta antisindacale, ove ne ricorra-

no i presupposti, col relativo sostegno diuna sanzione penale) risultati soddisfacenti,come la recente vicenda dei tre operai dellaFiat di Melfi reintegrati dai giudici di meri-to sta lì a dimostrare.In proposito, la via più radicale è stata quel-la di nominare un sostituto dell’imprendito-re per dare esecuzione all’ordine; ma poichéquesta sostituzione non può che essere tem-poranea, la misura, oltre che non previstaspecificatamente e in maniera efficace dalcodice di rito, si è rivelata per lo più inuti-le.La Pretura di Milano aveva seguito ancheuna via intermedia, coinvolgendo, comericorda Romano Canosa nel suo libro“Storia di un pretore”, anche l’allora pretoredirigente De Falco: distinguendo nel com-plessivo obbligo di reintegrazione alcuniaspetti fungibili (relativi alla entrata inazienda, alla collocazione del lavoratore incorrispondenza del proprio posto di lavoro,all’esercizio delle libertà sindacali all’inter-no, etc.), aveva ipotizzato la possibilità diesecuzione coattiva di questi componenti

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dell’obbligo, da utilizzare anche quale stru-mento di pressione all’adempimento; ma laprassi non ha avuto un gran seguito.Una parte della dottrina aveva anche ipotiz-zato la possibilità di misure coercitive indi-rette, volte a favorire l’adempimento spon-taneo dell’obbligo di reintegrazione, ravvi-sandole nelle sanzioni penali per i reati dicui all’art. 388 c.p. o 650 c.p., ma laCassazione penale non ha seguito questavia. Infine, dopo che per molti anni il dibattitosulle possibilità di disincentivare l’inadem-pimento di obblighi di fare infungibile o dinon fare e quindi favorirne l’adempimentospontaneo attraverso misure coercitive indi-rette si era sviluppato ampiamente in Italia,col richiamo alle esperienze europee (l’a-streinte del diritto francese), finalmente illegislatore del 2009 (legge 18 giugno 2009 n.69) ha introdotto con l’art. 49 una nuovanorma del codice di rito, l’art. 614-bis c.p.c.che prevede che il giudice, pronunciandouna condanna ad obblighi siffatti, possa sta-bilire, su istanza di parte, le somme dovuteper ogni ritardo nell’esecuzione del provve-dimento. Tuttavia, guarda caso, questa disciplina,che opportunamente graduata nel tempopotrebbe rappresentare una potente spintaall’adempimento degli obblighi di questotipo, è dichiarata non applicabile alle con-troversie di lavoro subordinato e parasu-bordinato (anche se, per quanto riguarda laspinta all’esecuzione dell’obbligo di reinte-grazione dopo l’annullamento di un licen-ziamento, una misura in qualche modoequivalente potrebbe essere quella di cui aldecimo comma dell’art. 18 S.L., comerecentemente ritenuto dalla cassazione –sent. 18 giugno 2012 n. 9965 - in un caso incui l’imprenditore si era limitato a ripristi-nare unicamente l’erogazione della retribu-zione). Gli interventi della pretura del lavoro diquegli anni che ho ricordato, insieme amolti altri di sostanziale sistemazione giuri-sprudenziale del diritto del lavoro non furo-no indolori neppure per i loro artefici: bastiinfatti qui ricordare i tentativi di trasferi-mento di Romano Canosa e di altri pretoridel lavoro milanesi dalla sezione lavoro allapiù “tranquilla” sezione che si occupava di

incidenti stradali.Oppure il procedimento disciplinare avvia-to nei primi anni ’70 nei confronti di Canosae di altri due giudici della sezione, accusatigenericamente di riformismo, conclusosipoi con una assoluzione piena da parte delCSM. O infine quello avviato contro il pre-tore Francesco Cecconi, reo di aver tolleratola presenza massiccia degli operai ad unaudienza che, direttamente o indirettamente,li riguardava. Anche dopo e molto dopo il periodo “eroi-co” della giurisprudenza del lavoro, conuna legislazione più orientata a sostenerel’impresa che il lavoro, non mancarono leoccasioni per riaffermare diritti e imporreregole di condotta per la loro tutela effettiva.Testimoniando della situazione della sezio-ne del lavoro milanese, posso dire che anco-ra una volta, nei momenti in cui si affaccia-vano problematiche nuove, coinvolgentidiritti fondamentali, l’ispiratore delle solu-zioni più appropriate fu sempre RomanoCanosa, pur nel disincanto e buona dose diamarezza che hanno caratterizzato gli ultimianni della sua attività giudiziaria. Accanto ad alcuni dei casi già citati, ricordoad es. gli interventi in materia di cassa inte-grazione guadagni, che era diventata l’anti-camera del licenziamento per i lavoratoriche incappavano nella relativa sospensionedal lavoro, spesso scelti tra i meno produtti-vi e magari tra i più svantaggiati.Fu proprio su impulso delle idee diRomano Canosa che la giustizia del lavoroelaborò la teoria della presenza di limitiinterni nella scelta, di oggettiva coerenzacon la c.d. causa integrabile e soprattuttoimpose come regola generale quella dellarotazione, quanto alla sospensione, del per-sonale con professionalità equivalente; limi-ti e regole transitati poi nella legge che nel1991 disciplinò in maniera innovativa l’isti-tuto della cassa integrazione guadagnistraordinaria (v. artt. 1-3 della L. n. 223 del1991).Ricordo ancora, per finire e sempre a titolodi esempio, l’impasse che si era determina-ta nell’effettivo avvio del riconoscimentodella categoria dei quadri (creata dalla legge1° maggio 1985 n. 190 accanto a quella dioperai, impiegati e dirigenti) a causa delritardo nell’approvazione di contratti collet-

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tivi che avrebbero dovuto stabilirne i requi-siti di appartenenza, secondo la legge mede-sima.Molti impiegati in posizione di responsabi-lità scalpitavano per accelerare i tempi diuna trattativa che evidentemente nonincontrava il pieno favore delle imprese.Fu allora che, per superare lo stallo,Romano Canosa, sulla scia di una operazio-ne ermeneutica già effettuata per la categoriadei dirigenti, affermò che i connotati dellacategoria dei quadri sono già presenti nelladefinizione contenuta nella legge (tesi poiseguita da Cass. 27 febbraio 1995 n. 2246) eche la contrattazione poteva semmai, quan-do fosse intervenuta, specificarli meglio inrapporto ai singoli rami produttivi e allecaratteristiche dell’impresa. Ma è forse il tempo di fermarmi con gliesempi del passato, saltando a piè pari ainostri giorni, dopo che un processo di tra-sformazione continua degli assetti economi-ci e produttivi del Paese, a partire dall’ulti-ma parte degli anni ’70 e tuttora attivo, hadeterminato nel tempo lo spostamento del-l’attenzione e dell’interesse del legislatoredalla rigorosa tutela dei diritti dei lavoratorial mondo delle imprese, attraverso politichedi sostegno alla crescita, in un quadro ten-denziale di progressivo mutamento nell’e-quilibrio dei rapporti di forza tra impresa elavoro.Concluderei con una breve panoramica inordine al più recente esito di questo proces-so, rappresentato dalla riforma del mercatodel lavoro da poco varata dal governo tecni-co e dal parlamento e presentata come rifor-ma epocale.La sua dichiarata “filosofia” è quella enun-ciata nel primo articolo del disegno di leggen. 3249 recentemente approvato dal Senato(successivamente divenuto primo commadell’art. 1 della legge 28 giugno 2012 n. 92),che indica tra le principali finalità persegui-te dalla riforma del mercato del lavoro, quel-le di: a) favorire lavori più stabili, col ribadi-re che il contratto dominante è quello dilavoro subordinato a tempo indeterminato;b) valorizzare il contratto di apprendistatocome modalità prevalente di ingresso deigiovani nel mondo del lavoro; c) redistribui-re più equamente le tutele dell’impiego,contrastando l’uso improprio della flessibi-

lità introdotta in taluni assetti contrattuali eadeguando peraltro ai tempi mutati la disci-plina dei licenziamenti; d) rendere più effi-ciente, coerente ed equo l’assetto degliammortizzatori sociali e delle politiche atti-ve del lavoro; e) promuovere una maggioreinclusione delle donne nella vita economi-ca; f) favorire nuove opportunità di impiegoo di tutela del reddito per gli ultra cinquan-tenni. Quanto al modo con cui vengonoperseguite le finalità indicate, alcuni aspet-ti appaiono moderatamente interessanti,come una qualche razionalizzazione dell’as-sociazione in partecipazione con apporto

lavorativo nonché del lavoro a progetto e diquello c.d. a partita IVA., che a determina-te condizioni si trasforma in lavoroco.co.co. o la delega al Governo per unarevisione della disciplina dei tirocini for-mativi, che mira a combatterne l’abuso.Ma è ancora troppo il lavoro precario, siaquello autonomo che quello subordinato. Aquest’ultimo riguardo, viene infatti ampliatala possibilità di ricorrere al contratto di lavo-ro a tempo determinato, sia pur parzialmen-te temperata dalla previsione di un contri-buto aggiuntivo, parzialmente restituibile incaso di trasformazione del rapporto a tempoindeterminato. Viene così introdotto un elemento forte-mente contraddittorio rispetto alla regoladel contratto di lavoro stabile come tipolo-gia dominante, con la previsione della pos-sibilità di stipulare con la medesima perso-na un primo contratto a termine, della dura-ta di dodici mesi, acausale, vale a dire svin-colato da specifiche esigenze di caratteretemporaneo, che, a voler pensar male (che,come ognuno sa, non si sbaglia), ha le carte

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in regola per diventare l’unica forma di con-tratto a termine e forse anche una diffusaforma di prova lunga in vista del possibiletransito verso il contratto a tempo indeter-minato, con tutti i condizionamenti che ciòcomporta per il lavoratore.Sul piano della disciplina in uscita, accantoalla articolata predisposizione di una tutelacontro le ricorrenti ipotesi di dimissioni inbianco del lavoratore o della lavoratrice,imposte all’atto stesso dell’assunzione,viene poi incrementata e articolata la flessi-bilità del sistema di tutele, riservando ladisciplina precedente (vale a dire, reintegra-zione con risarcimento danni pieno e possi-bile opzione del lavoratore verso l’indennitàsostitutiva della reintegrazione), anzituttoalla ipotesi di licenziamento nullo perchédiscriminatorio o con motivo illecito deter-minante, e poi in altre limitate ipotesi dinullità previste dalla legge, oltre al licenzia-mento orale. Si tratta in realtà di ipotesi residuali, ancheperché la prova della discriminazione edella illiceità, di per sé difficilissima, saràpraticamente impossibile, visto che vieneincoraggiata la mancata motivazione dellicenziamento, sanzionata infatti con lapenale economica più bassa (da 6 a 12 men-silità). Negli altri casi, la reintegrazione (con l’alter-nativa dell’indennità sostitutiva) è conserva-ta, in materia di licenziamento disciplinare,solo ove risulti giudizialmente che il fattocontestato non sussiste o che per tale fatto lacontrattazione collettiva o i codici discipli-nari prevedono solo una sanzione conserva-tiva; ma il risarcimento dei danni subiti dallicenziamento alla reintegrazione non puòsuperare le 12 mensilità.In materia di licenziamento per giustificatomotivo oggettivo, cioè nell’interesse dell’im-presa, la reintegrazione è prevista, oltre chenell’ipotesi in cui risulti ingiustificato quel-lo per inidoneità o per malattia, unicamentein caso di manifesta insussistenza del fattoposto a base del licenziamento, ipotesiaggettivazione quanto mai oscura.In ogni altro caso di licenziamento oggetti-vamente o soggettivamente ingiustificato,non proporzionato al fatto commesso, inti-mato senza la preventiva osservanza delcontraddittorio, etc., è prevista unicamente

una indennità risarcitoria, variamentemodulata. Una indennità risarcitoria, ma diimporto limitato si aggiunge anche alla rein-tegrazione negli altri casi (diversi dal licen-ziamento discriminatorio) in cui questa èprevista.Peraltro al lavoratore è data la possibilità dichiedere che venga accertata, anche in casodi difetto di motivazione del licenziamentoo di licenziamento per giustificato motivooggettivo, la diversa natura e l’ingiustifica-tezza dello stesso, ai fini dell’applicazionedella diversa tutela prevista. Ma tale possi-bilità, apprezzabile in via di principio,suscita una serie di dubbi quanto alla suapraticabilità, in molti casi depotenziata dallapossibile mancata comunicazione dei moti-vi di licenziamento.Infine anche al licenziamento collettivo,nullo, se orale, è viceversa applicabile, incaso di violazione del procedimento sinda-cale e pubblico, la sola sanzione indennita-ria, salvo il caso di violazione dei criteri discelta, nel qual caso è mantenuta la reinte-grazione, il risarcimento danni con massi-mo di 12 mensilità e la possibile indennitàsostitutiva della reintegrazione. In materia di impugnazione del licenzia-mento è poi previsto un procedimento spe-ciale, semplificato, molto strettamentecadenzato e all’espletamento del qualedevono essere riservati particolari giorni nelcalendario delle udienze. Il proposito diaccelerazione di questo processo si riveleràperaltro del tutto velleitario, se non verran-no incrementate le risorse umane da desti-nare ad esso. Come si vede, la riforma pensata per le tute-le contro il licenziamento illegittimo appareampiamente farraginosa, con molteplici dif-ferenziazioni non sempre perspicue ecomunque sicura causa di contenziosoaggiuntivo, di non facile applicazione e permolti versi ingiusta. Ingiusta per le differen-ze di trattamento che comporta tra lavorato-ri egualmente colpiti da una espulsioneingiustificata, ingiusta per aver svalutatoprincipi fondamentali di civiltà, come laregola del contraddittorio in materia di irro-gazione dei licenziamenti disciplinari,ingiusta per aver dimenticato l’importanzache aveva assunto la partecipazione sinda-cale nel procedimento che conduce al licen-

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ziamento collettivo, partecipazione che eradivenuta praticamente l’unico possibilecontrollo in materia.Non è del resto neppure facile rendersi sem-pre conto delle ragioni di questa attenuazio-ne delle tutele del lavoro. Se infatti sono per-fettamente immaginabili i possibili vantaggiconseguibili dalle imprese con la disciplinariferita al licenziamento per motivi econo-mici, non sono altrettanto chiare le ragioniper differenziare le tutele nel licenziamentodisciplinare, che appaiono piuttosto il fruttodi un ossequio rituale più che sostanzialealle richieste provenienti dall’Europa.La parte migliore della riforma è quella rela-tiva agli ammortizzatori sociali e alle politi-che attive del lavoro.Qui le tutele economiche contro la disoccu-pazione o nei confronti della sospensionetemporanea del rapporto di lavoro vengonotendenzialmente generalizzate rispetto alpassato e ampiamente razionalizzate, ancheimponendo la creazione di fondi di solida-rietà bilaterali o residuali per gli ambiti esclu-si dal sistema generale; inoltre viene stabiliz-zata anche una provvidenza economica infavore dei co.co.co., anche se tutto ciò costapoi in termini di ammontare e di periodi difruizione limitati di tale sostegno economi-co. E’ peraltro prevista la possibilità di inter-venti aggiuntivi in deroga, nel prossimo pro-babilmente difficile futuro (2013-2016).Vengono poi potenziate e meglio organizza-te le politiche attive di sostegno sia all’occu-pazione di soggetti in difficoltà sia al reim-piego di chi ha perduto il lavoro. E ciò attra-verso colloqui di orientamento, azioni diformazione e di offerte di nuovo impiego.Potenziando e incentivando i relativi servi-zi pubblici e privati.Luci ed ombre quindi nella riforma, ma mipare più ombre che luci.

Certo, se davvero il sostegno economico eall’occupazione e alla rioccupazione funzio-nasse appieno e ognuno potesse collocarsifacilmente al posto giusto e trovarne facil-mente un altro in caso di perdita del prece-dente, il problema del rapporto a tempoindeterminato e quello delle tutele dal licen-ziamento si ridurrebbero al necessariorispetto di pochi fondamentali principi diciviltà.Ma così non è; e non si sa se e quando potràessere così. Gli ostacoli sono molteplici e sono sotto gliocchi di tutti: anzitutto il problema di unascuola inefficiente sul piano della prepara-zione all’ingresso e alla mobilità all’internodel mondo del lavoro; e poi una ammini-strazione pubblica poco capace di guidare iprocessi di allocazione e riallocazione dellavoro umano e una presenza privata che, alriguardo, non ha una tradizione consolidataalle spalle. Infine la limitatezza delle risorseeconomiche da destinare al sistema.Su tutto pesa poi il momento attuale di crisi,che rinvia ad un futuro improbabile la pienaefficace attivazione delle politiche attive,che restano per ora un sogno, mentre nonsono un sogno le minori tutele contro illicenziamento ingiustificato, che funzione-ranno a pieno ritmo da subito, non appenail disegno di legge diventerà legge.Luci ed ombre, dicevo e ancora una volta lariforma sollecita una assunzione di ruolo daparte della magistratura del lavoro, di unruolo di razionalizzazione, attraverso unainterpretazione conforme ai valori costitu-zionali, primo fra tutti il valore lavoro, nellasua duplice connotazione: individuale, inquanto momento essenziale della espressio-ne della persona; e sociale, quale strumentodi partecipazione alla vita politica, econo-mica e sociale del Paese.

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Il ruolo di Romano Canosaper il diritto del lavoro vivente

di Salvatore TRIFIRO’*

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Nella scia di Rapini anche da parte mia unringraziamento ad Isabella Canosa che condedizione e passione ha organizzato questoconvegno, la cui riuscita è già dimostratadalla vostra numerosa presenza.Un ringraziamento altresì per avermi datol’onore di parteciparvi.La mia è una testimonianza. Un ricordo diciò che ha rappresentato Romano Canosaper il nostro diritto del lavoro; per il dirittodel lavoro vivente. E, a proposito di diritto vivente, qualcheparola per i più giovani: come si forma ildiritto del lavoro vivente?Il diritto del lavoro vivente nasce nello studiodell’avvocato. Viene il cliente, espone uncaso.L’avvocato qualifica quel fatto nell’ambito diuna fattispecie tipica. Se la fattispecie tipicanon esiste, ai fini della qualificazione delfatto si ricorre dapprima all’analogia, poi aiprincipi generali dell’ordinamento, ovveroai principi di cui alla nostra carta costituzio-nale.Quel caso poi, trasfuso in un ricorso, o in unatto di citazione, viene portato al vaglio delGiudice: in Tribunale. Il giudice potrà acco-gliere la qualificazione del fatto così comeprospettata dall’attore (la tesi) o potrà acco-gliere la qualificazione del fatto così comeprospettata dal convenuto, (anti tesi) e tra-sfonde poi il tutto in una sentenza (la sinte-si). Quella sentenza costituirà la base per laformazione progressiva della giurispruden-za sul punto.Dal Tribunale si passerà in Corte d’Appello,dalla Corte d’Appello alla Cassazione. Quelcaso definito con una decisione (la sentenza)ritornerà di nuovo sul tavolo dell’avvocato.Sarà un punto da cui ripartire; uno strumen-to per indirizzare il lavoro nell’impresa

secondo le regole del diritto vivente.Ma parliamo di Romano Canosa: giudice egiurista.La storia, la vita, la giurisprudenza, e ciò cheè stato Romano Canosa, ben si ricava dal diLui libro autobiografico: “Storia di un preto-re”. E’ una lettura importante per capire il con-cetto di “legalità” che ha ispirato la vita diRomano Canosa per la giustizia. Ed è bene qui partire dalla prefazione.Romano ricorda, al riguardo, il pensiero delfamoso storiografo svizzero-tedesco JacobBurckhardt, e così premette: “Ora il malesulla Terra è certamente un elemento dellagrande economia della storia universale:esso è la violenza, il diritto del più forte sulpiù debole … prolungato nell’umanità conl’assassinio e la rapina nelle epoche primiti-ve, con la cacciata o la distruzione o l’asser-vimento di razze più deboli, o di nazioni piùdeboli in seno alla stessa razza, e di forma-zioni statali più deboli, o di strati sociali piùdeboli insieme allo stesso Stato e allo stessopopolo …Ma dal fatto che dal male sia venuto il bene,dall’infelicità una felicità relativa, non segueassolutamente che il male e l’infelicità, daprincipio, non fossero ciò che furono. Ogniviolenza riuscita fu male e fu una calamità ocome minimo fu un esempio pericoloso. Mase fondò una potenza, l’umanità con instan-cabili sforzi cercò in seguito di trasformare lamera potenza in ordine e legalità; dispiegò lesue energie sane e cercò di rimediare allecondizioni determinate dalla violenza...”Ecco questa è l’ispirazione da cui si muovela “legalità” di Romano Canosa; che io quinon critico.Come dicevo poc’anzi la mia è una testimo-nianza di quella che è stata la “legalità” nel

*Avvocato del Forodi Milano.

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pensiero e nell’azione di Romano Canosanel suo percorso di Magistrato.L’occasione per mettere in pratica la “lega-lità” gliela offre, nel 1970, l’entrata in vigoredello Statuto dei Lavoratori. Dice Romano… si trattava di “una buonalegge riformatrice… la quale proclamavatutta una serie di diritti dei lavoratori all’in-terno del luoghi di lavoro (diritto di assem-blea, diritto di professare il proprio credopolitico, diritto a controllare le condizioniigieniche in cui svolge il lavoro, etc.), irrobu-stiva, a favore dei dipendenti, i meccanismidi protezione contro i licenziamenti illegitti-mi (accanto al risarcimento, la nuova leggeprevedeva la reintegrazione nel posto dilavoro, per ordine del giudice, dei lavorato-ri licenziati senza giusta causa) e infine attri-buiva al giudice il potere di accertare, suricorso dei sindacati, eventuali comporta-menti anti sindacali delle imprese (il famo-so art. 28).“Non si trattava, continua Canosa, di unalegge sovversiva, tant’è vero che era stataapprovata anche dal partito liberale.Consentiva, tuttavia, interventi giudiziaripiù penetranti che nel passato, in una situa-zione di grande conflittualità sociale, all’in-terno come all’esterno delle fabbriche.Esaudiva anche un desiderio, diffuso tra igiudici progressisti, di incidere in qualchemodo sul sociale, in funzione riequilibratri-ce delle ingiustizie e delle storture che peranni la classe operaia aveva dovuto subire”.I pretori dell’epoca, e fra essi Romano, appli-cavano lo statuto dei lavoratori in questospirito, con il senso di “legalità” di cuiCanosa è stato assertore. Al riguardoRomano ricorda che il comportamento giu-diziario dell’epoca dei cosiddetti Pretorid’assalto si è sempre mosso nel rispettodella legge, nel rispetto di quella legalità, dicui egli è stato assertore. Molti giudici - cosìancora Romano - trovarono subito che lalegge consentiva loro di fare quello cheavrebbero voluto fare anche in precedenza,ma che non avevano potuto fare: eliminarele situazioni di intollerabile fascismo azien-dale, attenuare le più stridenti situazioni diarbitrio anti operaio all’interno di piccole emedie aziende etc.. Il loro atteggiamentoverso lo statuto non fu tanto quello tradizio-nale di distacco e di neutralità tecnica bensì

di piena adesione alle sue norme. Una delle critiche che venivano mosse – èsempre Romano Canosa che parla, è che“ero anti padronale perché depositavo lesentenze dopo pochi giorni”.Romano è stato dunque antesignano diquella celerità della giustizia tante volte oggiinvocata come motore dell’economia nazio-nale e che lui, per primo, nel 1970 avevaposto in essere: depositando i provvedi-menti dopo tre giorni quando le cause, aquell’epoca, duravano fino all’una o alledue di notte; quando c’era una generalevoglia di rinnovamento; quando si volevaveramente incidere nella vita della societàcivile. Ricordo il primo incontro che ebbi conCanosa e in genere con i Pretori d’assalto.I Pretori d’assalto da un lato ed io “in trin-cea”.Si trattava, ed è un caso che è ricordato daRomano nella “Storia di un pretore”, delprimo ricorso ex art. 28 dello Statuto deiLavoratori che venne depositato. Forse ilprimo in Italia. Sicuramente il primo aMilano.Come ben sapete il procedimento di cuiall’art. 28 è quello in base al quale leOrganizzazioni Sindacali possono agire perottenere la condanna dell’azienda per com-portamento anti sindacale ed un provvedi-mento del giudice per fare cessare gli effettidel comportamento denunciato. Il ricorsovenne allora presentato alla Pretura diMilano dalla cosiddetta “triplice”: la Cgil,Cisl e Uil contro la Confederazione delCommercio. Si trattava di ciò: la Cgil, la Cisle la Uil avevano nominato dei propri rap-presentanti sindacali in seno all’oppostaConfederazione del Commercio, cosa cheovviamente era osteggiata dalla medesimaConfederazione perché si diceva veniva aledere l’autonomia della Confederazione. A quell’epoca io lavoravo nello Studio delprofessor Cesare Grassetti, uno fra i più gran-di avvocati del novecento. In questo Studiosi trattavano anche cause di lavoro. Non tra-disco nessun segreto professionale trattando-si di fatti che fanno ormai parte della storia.Venne in Studio il presidente della Confcom-mercio, seguito dal Segretario.Conoscendo la giurisprudenza non favore-vole del Dott. Canosa, si decise di presentare

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un esposto al Pretore del lavoro dirigente laPretura di Milano affinché invitasse il dottorCanosa ad astenersi. Romano racconta, infat-ti, nel suo libro che il Pretore dirigente lochiamò, invitandolo ad astenersi. Egli oppo-se un rifiuto e l’esposto venne rigettato. Nonsapendo che cosa fare decisi di affrontaredirettamente la situazione andando a parlarecon il Dott. Canosa. Andai a trovarlo nel suoufficio, in fondo ad un lungo corridoio alprimo piano. Mi fermai davanti alla portadella Sua stanza. La porta era chiusa.Davanti a me, la targa: Dott. Canosa, giudicedel Tribunale. A quell’epoca ero un giovaneavvocato e altrettanto giovane magistrato erail Dott. Canosa. Venivo da una Scuola cheaveva un grande rispetto per le Istituzioni ecosì per il Giudice, Dott. Canosa. Accennoad entrare: “Posso?”; “prego si accomodi”.Poiché non potevo insistere ancora sull’a-stensione gli dissi molto semplicemente:“dott. Canosa questo è un caso molto deli-cato. La prego di studiarlo con estremaattenzione”. Romano accennò ad un sorri-setto, poi disse “guardo tutto con attenzio-ne”. All’udienza discutemmo il ricorso. Ebbequalche perplessità sulla decisione da pren-dere come scritto nel suo libro. Alla finedispose la reintegrazione dei due rappresen-tanti sindacali e poi e se ne andò in vacanza.Tutte le sentenze di Canosa e tutti i suoiprovvedimenti hanno seguito quell’ispira-zione iniziale: quel suo concetto di“Legalità” che per lui significava proteggerele classi più deboli. Di fronte a Lui vennerotrattate le questioni più importanti chehanno fatto la storia del diritto del lavoro esindacale di quell’epoca e così le vicendedegli scioperi a singhiozzo, a scacchiera,dello sciopero bianco, quello della riduzionedei punti e così via.La tesi padronale era che lo sciopero eralegittimo solo se il datore di lavoro subiva undanno proporzionato alla astensione dell’at-tività lavorativa. Le sentenze di Canosa affer-mavano che questa tesi non era accettabileperché lo sciopero per sua natura deve ten-dere a creare il maggior danno possibile aldatore di lavoro con il minore danno per illavoratore. La conclusione fu che tutte quel-le forme di sciopero ritenute anomale daidatori di lavoro e dalle associazioni datoriali

vennero dichiarate legittime. Le sentenze del Dott. Canosa sul punto veni-vano regolarmente appellate. Dall’appello siandava in Cassazione. Quelle sentenzehanno tuttavia creato una breccia profonda:perché contrariamente a quanto si ritenevaprima, e contrariamente a quello che la giu-risprudenza aveva sempre sostenuto, intema di legittimità degli scioperi, laCassazione ha poi affermato il principio cheerano illegittimi solo gli scioperi che creava-no danno alla “produttività” e/o alla incolu-mità delle persone. Le relazioni che seguiranno tratteranno iprincipi di diritto affermati nelle sentenze diRomano Canosa. Si tratta di principi di dirit-to dirompenti per la giurisprudenza dell’e-poca e che hanno aperto la strada all’affer-mazione dei diritti e dei doveri nell’ambitodella comunità dell’impresa: dei lavoratori edei datori di lavoro.Percorrendo le vicende di quegli anni attra-verso la “Storia di un pretore” possiamointravedere nella giurisprudenza di Romanotre periodi. Il primo esaltante periodo che è andato daglianni ’70 agli anni ’80 circa e che ha visto iGiudici di allora muoversi sotto una spintaideologica innovatrice. Vi è stato poi unperiodo di riflessione fra gli anni ’80 e ’90.Infine quella spinta si affievolì fino ad esau-rirsi; anche perché, bisogna riconoscerlo, ilSindacato si è staccato dalla sua base. Sia leOO.SS., sia le Associazioni datoriali si sonoallontanate dalle fabbriche. Si è data la pre-valenza ai contratti nazionali piuttosto che aicontratti aziendali.Come racconta Romano: “al di là dei fattiche accadono o che possono accadere pre-vale da un po’ di tempo la più grigia routine,ogni mattina vado al palazzo di giustiziatratto le cause spesso insisto con le parti e gliavvocati affinché raggiungano accordi ami-chevoli, scrivo in modo sempre più succintole motivazioni delle sentenze, ogni tanto mitrovo senza clienti e passeggio nel corridoiodavanti alla mia stanza. Vedo che la miaattività è sempre più vicina a quella di unnotaio che a quella assai più stimolante digarante della libertà svolta fino a qualcheanno fa e, soprattutto nelle giornate piovose,sogno di improbabili fughe in terre piene disole e di sabbia”.

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La magistratura ed il futuro del diritto del lavoro, convegno promosso dall’Associazione Romano Canosa per gli studi storici, il 12 giugno 2012 - Milano, Società Umanitaria

PREMESSARingrazio innanzitutto gli organizzatori peravermi chiamato a prendere la parola inquesta iniziativa così interessante.L’intervento, in un incontro in memoria diRomano Canosa, da parte di chi, come me,non ha mai praticato le discipline lavoristi-che, penso possa trovare un senso nel rievo-care un percorso in magistratura, che si èarricchito, soprattutto nel decennio deglianni ’70, in un costante e vivace confrontocon Romano, anche, talora, su posizionidiverse. Ho ritenuto utile riprendere alcune riflessio-ni che ho svolto in uno scritto di qualcheanno addietro. (1) Ho pensato infatti chepotesse essere interessante ripercorreresoprattutto il decennio degli anni ’70 dalpunto di vista dell’esperienza dei magistratie questa è anche una rievocazione persona-le perché in quegli anni il percorso in magi-stratura di Romano e mio è stato in qualchemisura parallelo. Vado subito al contenuto.La vicenda sociale che dal movimento stu-dentesco del 1968 alle proteste operaie dell’“autunno caldo” del 1969 e alla bomba diPiazza Fontana scuote il paese e coinvolgela magistratura sotto un duplice profilo. Perun verso lo scontro sociale entra nelle auledi giustizia attraverso i processi penali chene derivano. Per altro verso il corpo deimagistrati, che ormai è uscito dalla “torred’avorio”, per usare un’espressione allora invoga, è chiamato a confrontarsi con lenovità che percorrono la società. La criticadelle istituzioni e la messa in discussione,ad ogni livello, del concetto di autorità,aspetti non secondari nel clima di quegli

anni, forniscono nuovo alimento all’impe-gno per la democratizzazione dell’apparatogiudiziario e contro il sistema della gerar-chia interna che aveva così fortementecaratterizzato il dibattito nell’AssociazioneNazionale Magistrati. Le rivendicazioni per i diritti di libertà ed idiritti sociali e del lavoro rimandano all’im-pegno per l’attuazione della Costituzione,bandiera assunta dall’Anm al congresso diGardone del 1965. Il pluralismo nella magi-stratura che ormai è dato acquisito non con-sente occultamenti. Anche i magistrati, inquanto cittadini, sono coinvolti sia chemostrino aperture ed interesse alle novità(talora con ingenuità ed anche errori e for-zature) sia che ne sottolineino gli aspettinegativi o le respingano in blocco (sceltapolitica anche questa, ovviamente, anche seasseritamente adottata in nome della “apoli-ticità”). In ogni caso, all’interno del comune riferi-mento alla Costituzione, è più che mai vivoil confronto tra chi privilegia un approccioliberale tradizionale e pone l’accento suidiritti classici di libertà (e di proprietà) e chiinsiste sulla novità dei diritti sociali.La riscoperta dell’art. 3 co.2 della Cost. “E’compito della Repubblica rimuovere gliostacoli di ordine economico e sociale che,limitando di fatto la libertà e l’eguaglianzadei cittadini, impediscono il pieno sviluppodella persona umana e l’effettiva partecipa-zione di tutti i lavoratori all’organizzazionepolitica, economica e sociale del Paese”porta a sottolineare il tema della effettivitàdei diritti, sia dei diritti sociali, sia dei clas-sici diritti di libertà.

*Procuratore dellaRepubblica diMilano.

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Magistratura e società.Gli anni ‘70. Dal ‘68 e dall’autunno caldodel ‘69 alla strategia dellatensione e al terrorismodi Edmondo BRUTI LIBERATI*

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Tra il ‘68 ed il ‘74 il nostro paese vive unastagione di espansione delle libertà e deidiritti, come ha osservato Rodotà. “partico-larmente nei due settori più sacrificati nelperiodo precedente, quelli dei diritti dilibertà e dei diritti del lavoro” e nel decen-nio degli anni ‘70 si verifica, “un addensa-mento di atti riformatori che non ha para-goni nella storia repubblicana: vengonoapprovate le leggi sul divorzio, sul referen-dum, sullo Statuto dei lavoratori, sull’attua-zione dell’ordinamento regionale, sui termi-ni massimi di carcerazione preventiva. Adesse in una stagione riformatrice che siestende per tutto il decennio, seguono leleggi sul diritto del difensore ad assistereall’interrogatorio dell’imputato, sulle lavo-ratrici madri e sugli asili nido (1971); sull’o-biezione di coscienza al servizio militare esull’ampliamento dei casi in cui è possibilela concessione della libertà provvisoria, lacosidetta “legge Valpreda” (1972); sul nuovoprocesso del lavoro e sulla protezione dellelavoratrici madri e disincentivazione dellavoro a domicilio (1973); sulla tutela dellesegretezza e della libertà delle comunicazio-ni e sulla delega al governo per la emana-zione del nuovo codice di procedura pena-le (1974); sul nuovo ordinamento peniten-ziario, sulla riforma del diritto di famiglia esulla fissazione a 18 anni della maggioreetà, con immediati effetti anche sulla com-posizione del corpo elettorale (1975); sullaparità tra uomo e donna in materia di lavo-ro e sulla disciplina dei suoli (1977); sull’in-terruzione della gravidanza, sulla chiusuradei manicomi (“legge Basaglia”) e sull’isti-tuzione del servizio sanitario nazionale(1978)”. (2)Rilevanti sono le conseguenze che in ordineal ruolo del giudice derivano da queste rifor-me, ma anche dalle mancate riforme in altrisettori. Il ‘69-‘70, a livello delle istituzioni, segnainsieme l’inizio di questa stagione riforma-trice e l’utilizzo degli apparati di polizia infunzione di repressione delle proteste ope-raie e studentesche; i processi penali che nenascono proiettano sulla magistratura tuttala problematica dello scontro sociale incorso. (3) La vicenda, che non può all’evi-denza essere risolta nelle aule penali, vienein qualche modo chiusa con la amnistia del

1970, formulata in termini molto ampi perricomprendervi le manifestazioni del movi-mento di protesta. (4)Il dibattito nella magistratura è vivace e tut-tavia permane lo spirito di costruttivo con-fronto che aveva caratterizzato il congressodi Gardone, mentre per altro verso il Csmeletto nel 1968 si muove in una prospettivainnovativa. L’attentato di Piazza Fontana a Milano del12 dicembre 1969, attentato che costituisceil momento culminante della strategia dellatensione già in atto, segna una cesura nelpaese e nella magistratura.Il clima di incertezza e di insicurezza segui-to alla strage e verosimilmente la crescentepressione di quei settori politici che non tol-leravano l’indirizzo assunto dall’Anm e dalCsm, spingono verso la crisi nell’Anm,con la rottura della giunta unitaria chereggeva l’associazione, la scissione delsettore più moderato all’interno di Magi-stratura Democratica. La prima metà degli anni ‘70 vede dunqueuno scontro durissimo all’interno dellamagistratura, con i settori più conservatoriche riassumono l’egemonia: di qui la ripre-sa di potere della struttura gerarchica inter-na e il tentativo di epurazione disciplinareverso il dissenso.Le indagini sulle stragi vedono in opera tuttigli strumenti (dalle assegnazioni mirate deicasi all’interno delle procure e degli ufficigiudicanti, alle avocazioni, ai conflitti dicompetenza, alle rimessioni) per bloccareogni possibile accertamento che arrivi allesempre più evidenti deviazioni negli appa-rati dello Stato. Lo stesso avviene per leindagini che investono punti sensibili dellapubblica amministrazione, del potere politi-co ed economico (dagli inquinamenti, aifondi neri alle frodi petrolifere). Le iniziative adottate da alcuni Presidenti dicorte di appello, in occasione della forma-zione delle tabelle annuali di composizionedegli uffici, di trasferire a funzioni diversegiudici (Romano Canosa era il principaleobiettivo), la cui giurisprudenza è sgradita,debbono passare ormai per la approvazionedel Csm.Il Consiglio, che deve far riferimento ai cri-teri più attenti al rispetto del principio delgiudice naturale introdotti nel 1968-‘69 e di

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cui sopra si è detto, non si sente di ratificareprovvedimenti così palesemente discrimi-natori e fondati su una pretesa di controllogerarchico delle scelte giurisprudenziali.Romano Canosa rimane al suo posto di pre-tore del lavoro.E’ in questi anni che si consolida il ruolodella Procura della Repubblica di Roma“porto delle nebbie”, secondo la efficaceespressione formulata da Stefano Rodotà. La polemica sull’interpretazione, sulla crea-tività della giurisprudenza, sulla funzione“politica” della magistratura, che sembravasuperata, riprende con virulenza e conaccenti così settari che fanno apparire laparte conservatrice della magistratura deltutto isolata rispetto alle acquisizioni ormaipacifiche anche nei settori tradizionalistidella dottrina giuridica italiana, pur cosìlegata al formalismo giuridico. Ma, nonostante la strategia della tensione, iprimi anni ‘70 sono gli anni di una straordi-naria vivacità della società civile, di unanuova attenzione dell’opinione pubblica alfunzionamento di tutti gli apparati e spe-cialmente della giustizia.A livello istituzionale è la stagione, comeabbiamo visto, di una serie di riforme, chesanzionano i cambiamenti profondi dellasocietà e attribuiscono sempre nuovi com-piti alla magistratura, la quale peraltro innon pochi casi con nuove interpretazioni enuove prassi ha in qualche modo aperto lavia al legislatore. I gruppi maggioritari nell’Anm si attardanoancora sul mito del “giudice bocca dellalegge”, ma è sotto gli occhi di tutti unanuova fase di mutamento del ruolo del giu-dice, più accelerata, più vorticosa e conmaggiore rilievo sulla scena politica rispettoalla fase della scoperta della Costituzione didieci anni prima. Si assiste ad “uno straordinario attivismodei magistrati, che, probabilmente per laprima volta nella storia d’Italia, hannocominciato ad esercitare la parte dei prota-gonisti in molte vicende la cui importanzatrascende considerevolmente la loro rile-vanza giudiziaria”. (5) Con intento polemi-co si parla di “pretori d’assalto” e di “sup-plenza” giudiziaria; ma la categoria dellasupplenza non è sufficiente per l’analisi diun fenomeno destinato a segnare per il futu-

ro l’assetto del giudiziario e con qualcheritardo rispetto alla evoluzione già in corsoin altri paesi. (6) Si tratta in realtà della“espansione, anzi della vera e propriaesplosione, del ruolo della giurisprudenzacome fattore di adattamento del diritto alleprofonde trasformazioni della nostra realtàsociale, trasformazioni senza precedenti ericche di collegamenti e convergenze inter-nazionali”. (7) A dispetto delle polemiche edelle lacerazioni nell’Anm (che pure lasce-ranno a lungo il segno) una parte crescentedella magistratura, ben al di là delle “frangepoliticizzate ed estremiste”, partecipa a que-

sto processo di adattamento del diritto alletrasformazioni della realtà sociale, si impe-gna a sostenere l‘applicazione delle riforme(8); infine entra sempre più spesso in con-trasto con la gerarchia interna, rifiuta laragion di stato, indaga sulle deviazioni nel-l’apparato dello Stato e nei servizi segreti ecerca faticosamente di fare luce sulle stragi.La stagione delle riforme vede i timori e lechiusure dei gruppi conservatori dellamagistratura (le posizione dell’Umi e dellacorrente di destra dell’Anm MagistraturaIndipendente tendono ad avvicinarsi) e rea-zioni spesso fuori misura, anche nei toni, inmolte delle relazioni dei Procuratori genera-li nelle cerimonie di inaugurazione dell’an-no giudiziario. (9) Peraltro una valutazioneche si estenda sull’arco del decennio e cheprenda in considerazione, al di là delle pole-miche, le linee giurisprudenziali e le prassiorganizzative fa emergere una magistraturanel complesso impegnata piuttosto a soste-nere le riforme che a lasciarle cadere. (10)L’elaborazione comune, nel lavoro quotidia-no nelle aule di giustizia, attraverso il con-

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NOTE1. Bruti Liberati E., La magistratura dall’attuazio-ne della Costituzione agli anni ‘90, in Storiadell’Italia repubblicana, Vol.3/II, Einaudi,Torino, 1997, pp. 141-240.2. S. Rodotà, Le libertà e diritti, cit, p. 356 e 358. 3. I sindacati in un appello al Presidente dellaRepubblica del 3 gennaio 1970 denuncianoun’ondata repressiva, che si traduce in innume-revoli denunce ed arresti. Vedi 14.000 denuncie:chi, dove, quando, come, perché, Stasind, Roma,1970; nonché Giangiulio Ambrosini- UgoSpagnoli, Rapporto sulla repressione, EditoriRiuniti, Roma, 1970. Le denuncie secondo i datiresi noti dal Ministero dell’interno sono 8396.4. L’art. 1 del dpr 22 maggio 1970 n. 282 fa rife-rimento a reati commessi “anche con finalitàpolitiche, a causa o in occasione d’agitazioni omanifestazioni sindacali e studentesche o di agi-tazioni e manifestazioni attinenti a problemi dellavoro, dell’occupazione, della casa, della sicu-rezza sociale ed infine in occasione ed a causadi manifestazioni ed agitazioni determinate daeventi di calamità naturali”. Vedi, sul significatodel provvedimento di clemenza, GiangiulioAmbrosini, Costituzione e società, in Storiad’Italia, Einaudi, Torino, 1973, p. 2039. 5. A. Pizzorusso, Introduzione a L’ordinamentogiudiziario cit. p. 36. Lo scritto è del 1974.6. D. Pulitanò, Supplenza giudiziaria e poteridello Stato, in Quaderni Costituzionali, n.1,1983, pp. 93 ss. La nozione di supplenza è

invece abbastanza adeguata a definire il ruolosvolto dal Csm, con particolare accentuazione apartire da quegli anni, attraverso la attività cosid-detta paranormativa, che si concreta in circolarie delibere di carattere generale volte a colmare levistose lacune derivanti dalla mancata organicariforma dell’ordinamento giudiziario. Forse anzisarebbe più corretto parlare di supplenza - dele-ga da parte del legislatore; ciò non toglie che pro-prio questo meritorio, e necessitato, ruolo svoltodal Consiglio, sia stato più volte nel corso deglianni oggetto di roventi polemiche. 7. Così descrive il fenomeno qualche anno dopoMauro Cappelletti nella Premessa del saggioGiudici legislatori?, Giuffré, Milano, 1984, p. 1.L’A. sottolinea che il suo studio comparativo“non è inteso a dimostrare la verità, banaleanche se infinite volte, in ogni epoca e con tantainesauribile perseveranza negata o nascosta,della creatività della giurisprudenza. Esso è inte-so a ricercare piuttosto le ragioni per le quali talecreatività è divenuta più necessaria e più accen-tuata nelle società contemporanee…” e ad ana-lizzare i problemi che il fenomeno pone “per lapreservazione di certe essenziali caratteristichedella attività giudiziale”(Ibid). Sull’espansionedel potere giudiziario vedi anche, E. BrutiLiberati, Potere e giustizia, in E. Bruti Liberati, A.Ceretti, A. Giasanti (a cura di), Governo dei giu-dici. La magistratura tra diritto e politica,Milano, Feltrinelli,1996, p.188 ss.

fronto tra diverse posizioni opera d’altrondecome rimedio al rischio di esasperato sog-gettivismo. (11)Della vivacità del confronto culturale neiprimi anni ‘70 dà testimonianza la rivista“Quale giustizia”, diretta da FedericoGovernatori e gestita da un gruppo di magi-strati che fanno riferimento a MagistraturaDemocratica (e tra questi Romano Canosaebbe un ruolo di primo piano).La rivista pubblicata a partire dall’inizio del1970 si presenta con caratteri innovativi:ampie rassegne di giurisprudenza di merito,collaborazione di avvocati e studiosi, infor-mazione tempestiva e documentata sui fattipiù rilevanti della magistratura e sulla “poli-tica del diritto” (per riprendere la testatadella rivista che sorge nello stesso torno ditempo). Uno spazio del tutto particolareviene riservato alla giustizia costituzionale epoi alla giustizia del lavoro. Ed è per questocomplesso di fattori che alla metà degli anni‘70 si può leggere di Quale giustizia che essa

“ha rappresentato un esempio forse unicoin Italia di rivista gestita prevalentementeda magistrati, ma capace di svolgere unafunzione culturale di rilievo generale,apprezzata anche al di fuori della corpora-zione”. (12)Non mancarono certamente (e difficilmenteavrebbe potuto essere altrimenti in anni dicosì rapidi mutamenti) forzature interpreta-tive e straripamenti nelle competenze riser-vate all’amministrazione, ma credo si possaconvenire con la valutazione di chi con rife-rimento ai grandi temi dell’accesso alla giu-stizia e degli interessi diffusi, della difesadell’ambiente e della protezione del consu-matore ha concluso che “grande protagoni-sta è stata la magistratura, sia civile, siapenale ed amministrativa, che ha svolto, incomplesso con risultati positivi, quellafunzione di supplenza che i vuoti norma-tivi inevitabilmente finivano per attri-buirle”. (13) In questo quadro si colloca ilcontributo di Romano Canosa.

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8. Anche la legge sull’aborto ha visto, nel com-plesso, la leale applicazione da parte della magi-stratura nonostante le pressioni della gerarchiaecclesiastica, in particolare sull’aborto delleminorenni; vedi il documento del Consiglio per-manente della Cei del 16 dicembre 1978: “Il giu-dice tutelare, a cui la legge non riconosce il dirit-to all’obiezione di coscienza, ma la cui decisio-ne non è soggetta a reclamo, è moralmente tenu-to a rifiutare il suo consenso, in quanto questo siconfigura come vera e propria autorizzazioneall’aborto e quindi come cooperazione ad esso”.9. Un’ampia rassegna sui discorsi dei procurato-ri generali per l’anno 1970 si trova in QuestioneGiustizia, n.3, 1970 p. 69 ss; n. 4, 1970, p. 52 ss;n. 5-6, 1970, p. 133 ss; vedi anche AntonioSantoni Rugiu-Milly Mostardini, I P.G.Linguaggio politica educazione nei discorsi deiProcuratori generali, Guaraldi Editore, Rimini,1973; Gaetano Insolera, La politica criminale neidiscorsi dei Procuratori generali (anno 1975), inLa questione criminale, 1975, p. 289 ss. 10. Occorre peraltro avvertire che ogni tentativodi ricostruzione storica del ruolo della magistra-tura in questo periodo, ed anche successiva-mente, deve fare i conti con la carenza di analisigenerali sulle tendenze giurisprudenziali in rap-porto all’evoluzione della società; non ha avutomolto seguito la strada aperta, nell’ambito dellacitata ricerca promossa dal Centro nazionale didifesa e prevenzione sociali, oltre che dal lavororetrospettivo, ma fondamentale anche dal puntovista metodologico di Guido Neppi Modona,Sciopero, potere poltico e magistratura,1870/1922, Laterza, Bari,1973, con i due volumi

Luigi Bianchi d’Espinosa. Maria Cristina Celoria,Edoardo Greco, Roberto Odorisio, GenerosoPetrella. Domenico Pulitanò, Valori socio-cultu-rali della giurisprudenza, Laterza, Bari, 1970 eFederico Governatori, Stato e cittadino in tribu-nale, Laterza, Bari, 1970. 11. Sulla difficile ricerca di un punto di equili-brio tra l’indipendenza del singolo giudice nelmomento interpretativo e la necessità di stabilitàe coerenza della giurisprudenza vedi oraVladimiro Zagrebelsky, Riflessioni in tema diordinamento giudiziario, in Questione Giustizia,1990, p. 261 ss.12. A. Pizzorusso, Introduzione a L’ordina-mento giudiziario, cit. p.37. Al di là di forzatu-re polemiche che talora emergono nei com-menti, le annate di Quale giustizia rimangonotuttora una delle fonti più ricche sulla giuri-sprudenza e sui concreti atteggiamenti dellamagistratura italiana negli anni ‘70. Le caratte-ristiche di “rottura” che hanno costituito il suc-cesso di Quale giustizia, ne segnano anche illimite e la rivista verso la fine degli anni ‘70,entra i crisi e finisce per cessare le pubblicazio-ni. Ma nel frattempo il panorama delle rivistegiuridiche italiane è fortemente cambiato; lagiurisprudenza di merito trova ampio spazio ecosì i temi di vita giudiziaria e di politica deldiritto. Una parte dei vecchi collaboratori diQuale giustizia darà poi vita, con una imposta-zione del tutto rinnovata, al trimestraleQuestione Giustizia, che, per la direzione diGiuseppe Borrè, è pubblicata a partire dal 1982.13. Vittorio Denti, Un progetto per la giustiziacivile, Bologna, il Mulino, 1982 pp. 13-14.

Medicina Democratica numero 207 gennaio / febbraio 2013Atti 41La magistratura ed il futuro dei diritti del lavoro, convegno promosso il 12 giugno 2012 - Milano, Società Umanitaria - dall’Associazione Luciano Canosa per gli studi storici

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Medicina Democratica numero 207 gennaio / febbraio 201342 La magistratura ed il futuro del diritto del lavoro, convegno promosso dall’Associazione Romano Canosa per gli studi storici, il 12 giugno 2012 - Milano, Società Umanitaria

Foto di Isabella Colonnello in Dove era la fabbrica, Milano 1987 - Alfa Romeo, Portello - Milano

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La magistratura ed il futuro del diritto del lavoro, convegno promosso dall’Associazione Romano Canosa per gli studi storici, il 12 giugno 2012 - Milano, Società Umanitaria

Salve, da che sono seduto qui e vedo la“scaletta” del mio intervento, che ho qui difronte, vedo anche il tempo che trascorreveloce, e, sempre con maggiore insistenza,mi viene in mente una bellissima battuta diRomano Canosa, in un frangente in cui iodovevo discutere una causa davanti a lui, elui invece intendeva rinviarla, non ricordoper quale motivo. Io gli feci presente “magiudice io son qui con la mia <scaletta>pronta” e lui mi disse “avvocato sa cosa falei con la sua <scaletta>? Se ne esce da que-sta stanza e ci si arrampica sopra”.Ecco forse sarebbe più opportuno, vista l’oratarda, se io prendessi la mia “scaletta”,uscissi dal salone e mi ci arrampicassisopra… Però non sarebbe corretto, e, consi-derato che sono qui apposta, due cose levoglio dire anch’io. E le voglio dire cercan-do di ricollegarmi a quello cui accennavaRapini, cioè la difficoltà di guardare verso ilfuturo (che, secondo me, non è certo un belfuturo), tenendo gli occhi e la testa voltatiall’indietro, verso il passato.Anche se non facile è un’operazionecomunque necessaria; e io voglio partire dauna prima considerazione, e cioè che ildiritto del lavoro non può essere considera-to avulso dal contesto generale del mondodel diritto, avulso, nelle sue dinamiche,dagli specifici aspetti del diritto penale, chesembrano muoversi ad uno stesso ritmo. C’ègià stato un accenno, da parte del procura-tore Bruti Liberati, a questa sintonia, nell’e-voluzione del diritto del lavoro, con lemodifiche del diritto penale. Infatti, primadella svolta della metà degli anni ’70, cioènel periodo della stagione d’oro, ci furonoanche, in penale, delle misure, se nondemocratiche, almeno di diminuzione dellaquantità di repressione. Già si è ricordata la

legge Valpreda; fu anche reintrodotto il dirit-to del fermato ad avere un difensore, e que-sto, significativamente e drammaticamente,poco tempo dopo, se non pochi giorni dopo,la “caduta” di Pinelli dalla finestra dellaQuestura di Milano. Era il tempo, quello, incui si introduceva lo Statuto dei Lavoratori,si riformava il processo del lavoro, c’era que-sta giurisprudenza che costruiva un dirittodel lavoro a tutela dei più deboli, schieran-dosi, alla luce dei principi costituzionali, afavore delle lotte dei lavoratori e delle lavo-ratrici, e c’erano anche mobilitazioni abro-gazioniste dei reati d’opinione e dei reatiassociativi. Quindi questa concordanza hasenz’altro un senso.Del resto proprio nella storia e nella produ-zione di scritti da parte di Romano Canosaritroviamo una sua estrema attenzione adaspetti che non sono collegati strettamenteal diritto del lavoro. Voglio rapidamenteesemplificare: ricordo un suo interessantis-simo saggio “Delitto politico: natura e sto-ria”, in un volume del 1984, che raccogliegli atti di un convegno svoltosi in quell’an-no, o anche il libro scritto con Santosuossodal titolo “Magistrati anarchici e socialistialla fine dell’Ottocento in Italia” o, ancora, -e qui sono coinvolti aspetti di filosofia deldiritto e concezioni di fondo sul ruolo delprocesso penale - la sua presentazione, sulnumero 1 di “Critica del Diritto” del 1974,del “Dibattito fra Michel Focault ed alcunimilitanti maoisti sulla giustizia popolare”.Vi era, dunque, un’attenzione di fondo suquesti legami; e, riprendendo il filo di que-sto nesso fra diritto penale e diritto del lavo-ro, deve essere sottolineato che, fino a che cisono modifiche in senso progressista sulpiano del diritto del lavoro e dei diritti socia-li in generale, lo Stato necessita di una

*Avvocato del Forodi Milano. Il testocostituisce la trascri-zione dell’interventoorale svoltodall’Autore alConvegno del 12giugno 2012.

Atti 43

Il diritto del lavoro non puòessere considerato avulsodal contesto generale delmondo del dirittodi Giuseppe PELAZZA*

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minore quantità di repressione, mentre nelmomento in cui si distruggono, si riduconoi livelli di garanzia, i livelli dei diritti ingenerale, i detentori del potere si organizza-no conseguentemente e preparano unamaggiore quantità di repressione.Proprio a questo proposito è significativa laconcordanza di tempi della svolta dellametà degli anni settanta che vede, dopo queitimidi segni di modifiche in senso demo-cratico, cui si è accennato, del diritto pena-le, un inizio (che poi, sarà senza fine) delpeggioramento della legislazione penale.Possiamo ricordare la legge Bartolomei,sulle armi, del 1974, che contiene anchenorme processuali che prevedono l’interro-gatorio di polizia, seppure in formale pre-senza del difensore; la legge Reale del 1975,che introduce una larga estensione dell’usolegittimo delle armi da parte delle forze del-l’ordine, e tutti ricordano i posti di blocco, ela quantità di omicidi effettuati in queglianni proprio ai posti di blocco, dopo la “gal-vanizzazione” delle forze di polizia operatada questa legge (che, fra l’altro, spostava lacompetenza, in relazione a questi fatti, dalleProcure della Repubblica alle ProcureGenerali); una successiva legge del 1978 (lan. 191 del 18 maggio), che introduce nuova-mente l’interrogatorio di polizia senzadifensore, e poi via, via, su, su, fino al decre-to Cossiga del ’79-’80, alla legge sui pentitidell’82, che pongono le basi di quello stra-volgimento del processo penale da processoche riguarda i fatti, a processo che riguardal’identità degli imputati, evocando così latematica della “colpa d’autore”, propriadella Germania nazista, e prefigurando lacostruzione del “diritto penale del nemico”,teoria tale che nel 2006 proprio QuestioneGiustizia, bimestrale di MagistraturaDemocratica, organizza un convegno dal-l’allarmato e allarmante titolo “Verso undiritto penale del nemico?”.Bene, proprio nelle precedenti relazioni si èaccennato a quale era stato, a partire dallametà degli anni 70, lo snaturamento, l’attac-co alla stabilità del rapporto del lavoro, por-tato avanti ben prima del decreto legislativodel 2001, attraverso le varie modifiche cheestendevano inizialmente la legittimità delcontratto a termine alle punte di più intensaattività, prima nel settore del commercio e

del terziario (L. n. 18/1978), poi, con la L. n.79/1983, a tutti quanti i settori, e quindi, conla L. n. 23/1987, consentivano il contratto atermine in tutte “le ipotesi individuate neicontratti collettivi di lavoro stipulati con isindacati nazionali o locali aderenti alleconfederazioni maggiormente rappresenta-tive sul piano nazionale”. Dal 1977, inoltre,aveva anche avuto inizio l’introduzione –con successive leggi – dei contratti di for-mazione lavoro, e con la L. 863/1984 erastato previsto il part-time, anche “verticale”,ossia “per periodi predeterminati nelcorso… dell’anno”, e quindi altra forma dilavoro precario….In parallelo era stato “attaccato” il salario.Ricordiamo la sentenza della Cassazionedel ’76 (la numero 1268 del 12 aprile) cherimette in vita la prescrizione dei crediti dilavoro, e che così, trasferisce una buonaquantità di reddito da parte dei lavoratori aidatori di lavoro; e poi la sterilizzazione dellascala mobile nella sua incidenza sull’inden-nità di anzianità, l’abolizione dell’indennitàdi anzianità e la sua sostituzione col moltopeggiorativo TFR e così via, fino all’aboli-zione della stessa scala mobile. E su questoterreno ci sono poi i successivi sviluppi, loabbiamo visto, con il pacchetto Treu, adesempio, con il lavoro interinale che diven-terà in seguito il contratto di somministra-zione, e via peggiorando.Abbiamo, insomma, assistito a un completosnaturamento di principi di fondo dellanostra società, e diversificati, e in più ambi-ti, sono stati gli aspetti che hanno connotatoquesta frantumazione dello Stato democra-tico. Pensiamo, anche soltanto, ai centri didetenzione temporanea per gli immigrati,che legano la privazione della libertà nonalla commissione di un qualche reato, maall’identità e alla nazionalità; pensiamo allacreazione di un diritto penale differenziato:ciò che non è reato per un cittadino dellaU.E. lo diventa, ad esempio il mancato pos-sesso di un documento di identità, per unostraniero.Allora bisogna cercare di capire dove si col-loca il punto di crisi che, probabilmenteanche a livello del nostro profondo, realizzaun radicale mutamento. Secondo me questopunto di crisi è nella rottura della CartaCostituzionale. La nostra “grundnorm”, la

44 Atti La magistratura ed il futuro del diritto del lavoro, convegno promosso dall’Associazione Romano Canosa per gli studi storici, il 12 giugno 2012 - Milano, Società Umanitaria

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nostra legge fondamentale è stata violata nelsuo articolo 11, che per i costituzionalisti ènorma che non può essere modificata nean-che con un procedimento di revisione costi-tuzionale, perché elemento fondativo dellanostra Repubblica, del nostro Ordinamento.Ebbene, la nostra Costituzione è stata rotta; èstata rotta nel ’91 con i bombardamentisull’Iraq, nel ’99, con il governo D’Alema,con i bombardamenti sulla RepubblicaFederale Jugoslava, con gli orrendi bombar-damenti sulla Rai-Tv di Belgrado, è statarotta nel 2001 con i bombardamenti, cheperdurano tutt’ora, sull’Afghanistan, nel2003 nuovamente in Iraq, nel 2011 in Libia.Ecco, tutto questo ci spiega che sul pianogiudiziario stiamo assistendo ad un passag-gio di fase proprio relativo all’organizzazio-ne dello Stato e della nostra società. E’ unasocietà che non ha più bisogno di media-zioni, è una società in cui ha vinto il partitodel mercato, e non c’è nessun altro partito aldi fuori del partito del mercato. Gli altri par-titi, al di fuori del partito del mercato, sonofungibili. Il partito del mercato ha bisogno di potere,di autorità, di comando, di forza e di con-trollo; quindi, in questo senso, anche in que-sto senso, vanno lette le misure che vengo-no adottate nella riforma Fornero, perché ilproblema della flessibilità in entrata e la fles-sibilità in uscita, è una questione di poterenon solo nel cosmo limitato del mondo dellavoro, ma nella realtà complessiva. Cioèdietro a queste mistificanti parole, già lodiceva Mara, del fare la riforma del mercatodel lavoro “peravviare un processo di inclu-sione di chi fino ad oggi non era garantito,così d’ora in poi sarà garantito, e riequili-breremo chi è garantito e chi non è garanti-to”, c’è ben altro, e col cavolo, se mi è con-sentita un’espressione poco accademica,che quell’enunciato è il reale obiettivo che sipone questo legislatore, obiettivo che, non acaso, si pone non soltanto il legislatore ita-liano, perché, in contemporanea, normesimili vengono introdotte in Spagna, inPortogallo, in Irlanda, perfino in Inghilterra,oltre che nella cara, vecchia, Grecia. E ciòperché c’è questo generale intendimento diintrodurre non norme inclusive ma normead escludendum. Questo, infatti, è il sensodel contratto a termine privo di causale, che

costituisce un lunghissimo periodo diprova, e proprio questo è il senso del licen-ziamento senza lo strumento della reinte-grazione. Così l’inserimento nel mondo dellavoro, senza più un collocamento che fun-zioni, perché anche il collocamento è statodistrutto (ci tocca rimpiangere Fanfani auto-re della legge del 1949, che assicurava l’av-viamento numerico e obbligatorio), avverràsenza più bisogno di schedature illegali,schedature che non hanno riguardato, fral’altro, solo Torino: ricordo che nel ’76-’77anche a Milano scoppiò tale questione, perl’Alfa Romeo, in seguito ad una denuncia

del comitato disoccupati organizzati. Venneinfatti individuata l’Agenzia “La Segreta”,che teneva non ricordo più quante migliaiadi fascicoli di assumendi o di assunti pressol’Alfa, dopo di che, in seguito alle ordinan-ze della Pretura Penale di Milano, riprese afunzionare il collocamento, e in Alfa Romeoentrarono giovani che non sarebbero maientrati, giovani non particolarmente affezio-nati al lavoro, non particolarmente omoge-nei rispetto ai valori predominanti, che peròavevano necessità di lavoro, necessità dinon essere emarginati, e anche desiderosi dilottare per cambiare il mondo. Ecco tuttoquesto non ci sarà più. Tutto questo non cisarà più perché quello che si vuole - a livel-lo di sistema - è l’esclusione. Alla fine delcontratto a termine acausale chi non saràconfermato? Non saranno confermati i sog-getti che hanno dimostrato di essere deboli,che si ammalano spesso, che sono soggettiad infortuni, le donne che hanno una ten-denza a partorire, i soggetti che non sono inlinea con gli orientamenti ideologici deldatore di lavoro o dei manager e dell’ufficio

Atti 45La magistratura ed il futuro del diritto del lavoro, convegno promosso dall’Associazione Romano Canosa per gli studi storici, il 12 giugno 2012 - Milano, Società Umanitaria

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POSTILLA al momento della revisione della tra-scrizione.

A proposito della esclusione, della “messa albando”, va sottolineato che il comma 58 dell’art.2 (“Ammortizzatori sociali”) della LeggeFornero dispone che per i condannati per asso-ciazione con finalità di eversione venga disposta “la sanzione accessoria della revoca delle

seguenti prestazioni comunque denominate inbase alla legislazione vigente, di cui il condan-nato sia eventualmente titolare: indennità didisoccupazione, assegno sociale, pensionesociale e pensione per gli invalidi civili”. Non c’è bisogno di commento.

personale, e questo comporta l’esclusione dichi è diverso rispetto al pensiero unico, cheè diventato dominante.E, e ancora una volta, il legame, il pendant,fra diritto del lavoro e diritto penale, sidispiega, perché lo Stato prepara la suastrumentazione per “tenere a bada” e“tenere a posto” quelli che saranno esclu-si.Si continua a dissertare di emergenza carce-re: “uno schifo”, tutti dicono, “la civiltà diuno stato si misura da come stanno le suecarceri” e nulla cambia; l’unica cosa checambia è che si progetta la costruzione dinuove carceri, che aumentano le misurecustodiali non carcerarie, e che aumenta laquantità di controllati.Sul piano giudiziario c’è un proliferare diimputazioni legate alla forma evanescentedel reato associativo, che sfugge al principiodi tassatività che la Costituzione inveceimporrebbe, e connotate da una dilatazionedel concorso morale, che – in sostanza -punisce il reato di presenza (vedi le manife-stazioni no-Tav).E allora di fronte a questa dissoluzione delloStato democratico, io penso che, bene omale, sussista comunque un cono di luce,certamente non risolutivo di tutto, ma cheha ancora un suo senso, un suo significato,ed è il cono di luce della Costituzione, cheCanosa in un articolo del ’72, sul numero3/4 di “Politica del Diritto”, dipinge come“avente natura schizofrenica” perché“mostra come l’intervento su certi assetti

tradizionali di potere possa avvenire nonpiù soltanto attraverso interferenze esterneal complesso normativo ed alla attività giu-diziaria… ma sia stato, sotto certi aspetti,<<interiorizzato>>, reso cioè possibile nel-l’ambito stesso della normale attività appli-cativa della legge. Dalle norme sulla pro-prietà a quelle sulla gestione delle imprese,dalle norme sull’uguaglianza a quelle sullavoro, ognuno dei diritti tipici di un assettoborghese di rapporti proprietari si è visto cir-condato di limiti. L’esistenza di questi, nonche consentire, impone al giurista di vigila-re sul loro rigoroso rispetto”. Ecco, questovigilare, nonostante tutto, sul rigorosorispetto di quella Costituzione, che ha tutti ilimiti che ha, ma che è ancora in vigore, è frai nostri compiti.E, a questo proposito, ma anche più in gene-rale, penso che si possa richiamare sì il pes-simismo della ragione, ma anche l’ottimi-smo della volontà.Anche perché questo ottimismo dellavolontà non è disgiunto dalla valutazioneche, pur con quello che ci sta succedendointorno, e che è la dissoluzione di questaforma di Stato, i detentori del potere, inrealtà, non sanno più che pesci pigliare.E allora da questa frantumazione forsepotranno nascere delle buone cose.Ricordo un tale che indossava sempre unacamiciona, senza cravatta, e che diceva “c’ègran disordine sotto il cielo, la situazione èeccellente”. Forse potrebbe essere anchecosì.

Medicina Democratica numero 207 gennaio / febbraio 201346 Atti La magistratura ed il futuro del diritto del lavoro, convegno promosso dall’Associazione Romano Canosa per gli studi storici, il 12 giugno 2012 - Milano, Società Umanitaria

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La magistratura ed il futuro del diritto del lavoro, convegno promosso dall’Associazione Romano Canosa per gli studi storici, il 12 giugno 2012 - Milano, Società Umanitaria

Buona sera, io vorrei proporvi di riportare lo sguardosu un punto un po’ più limitato e preciso,e cioè di nuovo su Romano Canosa e sullagiurisprudenza del lavoro dell’inizio deglianni ’70, partendo magari da un libromolto accattivante di Romano Canosa cheè ‘Storia di un pretore’ (Einaudi 1978),dove lui fa un’opera di costruzione storicae anche un po’ di autobiografia, di storiapersonale; quindi ci sono tante cose chevengono fuori dalla lettura di questo libro. Nel 1975 si colloca la svolta nell’attività diRomano: all’attività di pretore lui affiancaun appassionato impegno nella direzionedella storia, della scrittura di libri, e sap-piamo quanti libri di storia sono nati da lì.Ma perché questa svolta nel 1975 ? Lo rac-conta Romano nel suo libro, e dice: c’eranodella difficoltà alla Sezione Lavoro in quel-l’epoca, tante sentenze nostre erano stateannullate, c’era poco di politico nel lavoroche arrivava, non c’erano più questioni dirilievo, era cambiato l’atteggiamento delsindacato; insomma ci trovavamo nellapiù grigia routine, mi sembrava di svolgereun’attività “vicina a quella di un notaio diseconda classe”. Prima eravamo garanti delle libertà in fab-brica, adesso c’era questa situazione moltodeprimente. Prima era diversa la situazio-ne, racconta Romano nel suo libro: neiprimi anni ’70 c’era stata questa appassio-nante attività di giurisprudenza del lavoroinnovativa, si era attuato lo Statuto deiLavoratori con rigorosa applicazione dellalegge, nella misura più ampia consentitadalle sue norme, e si erano ottenuti risulta-ti straordinari di garanzia delle libertà nellefabbriche: si era assicurata l’effettiva reinte-grazione dei licenziati nel posto di lavoro,

si era applicato l’articolo 9 dello Statutodei Lavoratori sulla salute in fabbrica; manon solo lo Statuto dei Lavoratori, perchéera stata data applicazione anche ad altrenorme che vanno oltre lo Statuto deiLavoratori, che risalgono anche allaCostituzione, per esempio il diritto disciopero.La giurisprudenza di quel periodo sul dirit-to di sciopero è di estremo interesse e digrande apertura, si sono garantite altreforme di diritto di sciopero rispetto a quel-lo classico: lo sciopero articolato, lo scio-pero del cottimo, si sono risolti casi emble-matici come quello della sospensione dioperai in cassa integrazione da partedell’Alfa Romeo. C’è qui una sentenza chevale la pena di ricordare di RomanoCanosa, del 28 febbraio del ’72; è una sen-tenza ammirevole, contrariamente all’abi-tudine di Romano, che era stringatissimonelle motivazioni, qui ci sono 45 pagine diuna motivazione estremamente dotta, eru-dita, approfondita, che affronta tutti i pro-blemi della struttura del rapporto di lavo-ro, del potere del datore di lavoro disospendere i lavoratori, e poi un’analisiacutissima dei meccanismi della cassaintegrazione, ed è una sentenza che diederagione ai lavoratori che erano stati sospe-si a causa di uno sciopero a monte nellacatena di montaggio, e sono stati natural-mente risarciti e reintegrati nelle loro spet-tanze. Questa sentenza fu poi confermataanche dalla Corte di appello di Milano. Ricordo questo episodio per dire che nonc’era solo lo Statuto dei Lavoratori, c’eratutta un’esplorazione delle norme cheriguardano il lavoro e la loro applicazioneorientata. Ma orientata a che cosa ? orien-tata a una rigorosa applicazione della legge

*Avvocato del Forodi Milano. Il testocostituisce la trascri-zione dell’interventoorale svoltodall’Autore alConvegno del 12giugno 2012.

Atti 47

Romano Canosa e la giurisprudenza del lavorodell’inizio degli anni ‘70

di Gilberto VITALE*

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intendendo per legge tutta la legge, anchela Costituzione e anche il principio dieguaglianza che fa parte della legge perchésta scritto nella Costituzione. E venivarispettato, in questa giurisprudenza, unimperativo categorico: salvaguardare ilruolo di indipendenza, neutralità e impar-zialità del giudice; a questo, Romano, cheera un magistrato rigorosissimo, ha sempreuniformato la sua attività e così anche glialtri giudici della Sezione, anche se, osser-va Romano nel suo libro che ho citato, èovvio che in una “situazione contraddi-stinta da uno squilibrio naturale e insop-primibile tra le due parti, a vantaggio diuna di esse”, come il rapporto di lavorosubordinato, “un controllo penetrante sulcomportamento della parte avvantaggiataè il meno che si possa pretendere per esse-re veramente neutrali e imparziali”. Anchequi siamo nell’interpretazione rigorosadella legge, perché è la pura e sempliceapplicazione del principio di eguaglianzain una situazione disuguale: tutta la giuri-sprudenza e la Corte Costituzionale inse-gnano proprio questo. E insieme, diceRomano, l’attenzione per i “poveri cristi”che si trovano a fronteggiare la giustizia el’esigenza di ridurre il potere padronale infabbrica, che era eccessivo e incontrollato,richiedono di estrarre dalle istituzioni lamaggior quantità di democrazia possibile. Ecco, se questo è il quadro dell’attività giu-risdizionale di Romano Canosa e dei suoicolleghi della Sezione Lavoro nei primianni ’70, ecco consentitemi di associarmi aquello che ha detto Bruti Liberati poco fa,esprimere un disagio per quell’espressioneun po’ spregiativa che viene usata un po’troppo comunemente, “pretori d’assalto”:ma qui nessuno assaliva nulla, erano giu-dici straordinariamente rigorosi nella loroattività giurisdizionale, erano assoluta-mente fedeli al loro còmpito istituzionale,non sono quasi mai, può sempre accadere,non sono quasi mai andati oltre i limitidella loro funzione e della legge che dove-vano applicare. Semmai giudici d’assalto,io direi, possono più appropriatamenteessere considerati quei giudici che poi coninterpretazioni a volte stravaganti e disin-volte hanno cercato di neutralizzare la giu-risprudenza della Sezione Lavoro di

Milano: quelli sì erano giudici d’assalto.Questa era dunque la situazione prima del’75, fino alla crisi della Sezione Lavoro nel1975.E qui vorrei proporvi un piccolo approfon-dimento su cosa è successo prima e dopoquesta data. Perché si parla del “periodoeroico della giurisprudenza del lavoro” neiprimi anni ’70 (IANNIELLO), di “stagioned’oro della sezione lavoro”, così la defini-sce Romano Canosa nel suo libro, e sembraquasi che questa fortuita combinazionedell’esistenza di un gruppo di giudici moti-vati, impegnati, e dell’entrata in vigoredello Statuto dei Lavoratori abbia determi-nato questa isola felice nella giurispruden-za. Io credo che questa un po’ favolisticarappresentazione sia insufficiente e meritiqualche approfondimento: come e perchéè successo che nei primi anni ’70 si sia for-mata quella giurisprudenza così avanzata ?Forse uno spiraglio per andare un po’ piùa fondo ce lo dà lo stesso libro di Romanoche parla in numerosi punti del ruolo cheha avuto allora, in quell’epoca, un certogruppo di avvocati che si chiamava con unnome un po’ ampolloso - Comitato di dife-sa e lotta contro la repressione - e fu atti-vissimo nelle prime applicazioni delloStatuto dei Lavoratori. Romano Canosa nelsuo libro ne parla con approvazione, e conapprezzamento per la qualità dei suoiinterventi. Effettivamente molte delleapplicazioni esemplari dello Statuto deiLavoratori nei primi anni in cui fu in vigo-re furono patrocinate da questo Comitato; eperò osserviamo che il Comitato non avevanessun entusiasmo per lo Statuto deiLavoratori, anzi non aveva nessuna illusio-ne in generale né sulla natura e sul ruolodelle leggi formali né sull’utilità di farricorso agli strumenti legali e processuali.Sullo Statuto dei Lavoratori quel Comitatopubblicò, pochi mesi dopo l’entrata invigore dello Statuto, un saggetto, pubblica-to sui Quaderni Piacentini nel novembre1970, che si intitolava, e il titolo è signifi-cativo, “Uno ‘Statuto’ per padroni e sinda-cati”, ed era una critica implacabile sututte le contraddizioni di questa legge,sulle diseguaglianze che essa cristallizza-va, per esempio, fra la libertà di licenziarenelle aziende piccole e i limiti ai licenzia-

48 Atti La magistratura ed il futuro del diritto del lavoro, convegno promosso dall’Associazione Romano Canosa per gli studi storici, il 12 giugno 2012 - Milano, Società Umanitaria

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menti delle aziende grandi, sulle disugua-glianze nell’accesso a certe tutele comel’articolo 28 dello Statuto dei Lavoratoririservato alle maggiori organizzazioni sin-dacali nazionali; quindi c’era un giudizioduramente critico sui contenuti delloStatuto dei Lavoratori. Eppure, il Comitatosi attivò per le sue più significative inizialiapplicazioni. Era una contraddizione, oforse no: Romano Canosa era in dissensorispetto a quelle valutazioni del Comitatosullo Statuto dei Lavoratori e diceva: voisiete in contraddizione perché lo criticatema poi lo applicate, ne chiedete l’applica-zione. In realtà io credo che contraddizio-ne non vi fosse, e credo che si possa capir-lo dalle spiegazioni, dalle teorizzazioni delComitato, che era, diciamo, ideologica-mente collegato alla sinistra extraparla-mentare e alle organizzazioni di fabbricadella sinistra sindacale, o anche fuori dallafabbrica, come i Comitati di base e le‘assemblee autonome’, c’era quindi un col-legamento ideologico con quest’area dellacultura politica di sinistra. Diceva ilComitato: è utile, è possibile applicare leleggi, ma con un’avvertenza fondamentale:“la misura delle libertà democratiche nonè segnata dalla Costituzione ma dalla forzadella lotta popolare, che deve costante-mente rinnovarsi per difenderle”. Questaera un po’ la parola d’ordine, l’impostazio-ne ideologica di questo Comitato, che hafunzionato in quegli anni perché tutte leiniziative processuali del Comitato di dife-sa e di lotta contro la repressione portatealla Sezione Lavoro di Milano e in altresedi avevano questa caratteristica: c’era unfortissimo appoggio degli operai di fabbri-ca e delle loro organizzazioni.Ricordiamoci che erano gli anni seguiti al’68, quindi era ancor viva, ancora aperta lastagione delle lotte studentesche, operaie epopolari nate nel ’68, era un periodo digrandi tensioni ma anche di grande fidu-cia, di grandi speranze e di fortissime lottenelle fabbriche. Tantissime sono le appli-cazioni che furono fatte allora delle normedelle leggi sul lavoro, e dello Statuto deiLavoratori in particolare, ricordo un casosolo che è quello dell’articolo 9 sulla tuteladella salute in fabbrica, e Romano Canosanel suo libro ricorda il caso delle Cartiere

Binda, ma oltre alle Cartiere Binda fu pro-posto un ricorso secondo quell’articoloanche all’Alfa Romeo di Arese, in partico-lare al reparto fonderia, e qui ci fu un prov-vedimento d’urgenza del pretore AntonioBellocchio, non era Canosa in questo caso,che consentì l’ingresso in fabbrica dellerappresentanze nominate ai sensi dell’arti-colo 9, erano rappresentanze formate daavvocati, ingegneri e medici e lì nacqueun’inchiesta molto approfondita sullanocività nell’Alfa Romeo di Arese e in par-ticolare nel reparto fonderia, un’inchiestadi estremo interesse, un’iniziativa che

portò a risultati straordinari di protezionedella salute, di miglioramento delle misu-re di tutela, con una partecipazione operaiaintensa, esemplare e molto emozionante.Questo provvedimento del dott. Bellocchiofu poi confermato dal Tribunale di Milano il22 aprile 1974, il quale riconobbe che l’ar-ticolo 9 dava diritto ai lavoratori di orga-nizzarsi anche spontaneamente, anchefuori dalle organizzazioni sindacali, e orga-nizzare in questo modo il controllo dellatutela della salute nei loro reparti. Andòmale poi, alla fine, perché la Corted’Appello di Milano il 18 novembre 1975annullò tutto e disse che non è vero nien-te, che le rappresentanze dell’articolo 9sono solo le commissioni interne, i comi-tati paritetici intersindacali, quindi pratica-mente svuotò la norma del suo reale signi-ficato. Nessuno però ha mai chiamato laCorte di Appello di Milano “Corte d’assal-to”, come sarebbe stato giusto perchéhanno duramente assalito una norma ehanno chiuso degli spazi. Difatti l’espe-rienza all’Alfa Romeo di Arese fu positiva

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per i risultati raggiunti, ma da allora in poile applicazioni dell’art. 9 furono sempremeno, pochissime se ne ricordano, non soquante ne ricordate voi operatori del dirit-to del lavoro. Questo per dire chi sono igiudici d’assalto. Allora un’ultima riflessione su quello chequesta esperienza può insegnare anche perl’oggi. L’importanza della mobilitazione,dell’appoggio delle lotte popolari per otte-nere l’applicazione delle leggi e anche lapossibilità di tutelarsi nel giudizio e nelprocesso: le leggi non bastano, ci vuoleanche quello che diceva il Comitato, la“forza della lotta popolare che deve costan-temente rinnovarsi” per la difesa dellelibertà. Ma le leggi sono necessarie, civogliono e sono strumenti fondamentali,devono esserci entrambi, la legge e il soste-gno della lotta popolare. Quando la normadi legge di garanzia manca o viene cancella-ta gli spazi di libertà si chiudono. Da allora,dal ’75 in poi, voi lo sapete tutti, c’è stata unalunga catena di cancellazioni di leggi digaranzia, ne ricordo solo pochissime, lascala mobile fu abolita nel 1985 e da alloratutti sappiamo quale enorme divaricazionesi è creata fra le retribuzioni dei subordina-ti e delle classi agiate; la legge del ’62 sullavoro a tempo determinato fu abolita nel2001, e da allora nacque e crebbe questo pre-cariato feroce che è uno dei drammi dellasocietà del nostro tempo; la legge del ’60 chevietava l’intermediazione e l’interposizionedelle prestazioni di lavoro fu abolita nel2003, e da allora iniziò la stagione deisubappalti selvaggi della mano d’opera equindi anche del degrado delle condizionidi lavoro della mano d’opera in appalto. Oraè il turno dell’articolo 18 dello Statuto deiLavoratori, e vediamo sotto i nostri occhi latruffaldina etichetta di riforma del mercatodel lavoro che danno a questa riforma che

nulla ha a che fare con il mercato e tutto haa che fare con la cancellazione dei diritti, evediamo la vergognosa menzogna dellamanutenzione della norma quando sappia-mo che manutenzione vuol dire rendereoperante, rendere meglio operante un mec-canismo, mentre qui il meccanismo lo stan-no semplicemente paralizzando, stannoquindi con l’articolo 18 cancellando le tute-le contro i licenziamenti illegittimi e questovorrà dire una chiusura, lo ricordava Mara,di spazi di libertà di tutti i tipi nei luoghi dilavoro e nella società. Ogni volta che si sonocancellate queste norme si è detto che si eraaccettato, si era dovuto accettare un com-promesso. Quindi se vogliamo trarre uninsegnamento da questa storia è che inmateria di diritti fondamentali e di tuteladelle libertà nessun compromesso è accetta-bile, ogni compromesso è illecito perchésignifica, sempre, chiusura e rinuncia e per-dite di spazi di libertà. Adesso il quadro èpessimo perché lo smantellamento dellalegislazione del lavoro di garanzia è andatomolto avanti. Il futuro del diritto del lavoro,dice il tema del convegno: il futuro del dirit-to del lavoro sembra molto oscuro, peròforse si può non perdere la speranza cheappunto con la lotta popolare in difesa dellelibertà si possano riconquistare questi spazi,e spero che anche gli operatori del diritto dellavoro siano attivi in questa difesa dellelibertà perché io non credo che sia una granprospettiva per il futuro del diritto del lavo-ro questo andare verso un futuro che signi-fica in realtà tornare a sessant’anni fa eanche più, cancellare tutta una legislazione,che era garanzia di libertà e di civiltà neirapporti di lavoro, nei rapporti sociali.Allora questa è la speranza che ci rimane, edè la speranza che ci sia un orizzonte ancoraaperto alla difesa degli spazi di libertà.Grazie

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La magistratura ed il futuro del diritto del lavoro, convegno promosso dall’Associazione Romano Canosa per gli studi storici, il 12 giugno 2012 - Milano, Società Umanitaria

Nell’affrontare questa tematica risulta inte-ressante focalizzare subito il pensiero diRomano Canosa sullo Statuto dei Dirittidelle Lavoratrici e dei Lavoratori, richia-mando passi di un Suo scritto di due annisuccessivo alla promulgazione della L. 20maggio 1970, n° 300, e precisamente:<<E’ a tutti noto che è con lo Statuto deilavoratori che per la prima volta si è avutoun intervento legislativo di una certaampiezza che ha investito non le vicendedel rapporto di lavoro esterne al processoproduttivo, ma, entro certi limiti, anchequelle interne. …Ormai lo Statuto è in vigore da due anni edio ritengo che, nello scontro tra extraparla-mentari e “parlamentari” avessero ragionequesti ultimi: in effetti lo Statuto non haaffatto ingabbiato le lotte che si sono svoltein fabbrica e ciò è tanto vero che anchecoloro che si muovono a sinistra dei sinda-cati hanno spesso utilizzato molte delle suenorme. (…)L’art. 9 dello Statuto dei lavoratori prevedeche i lavoratori, mediante loro rappresen-tanze, abbiano il diritto di controllare l’ap-plicazione delle norme per la prevenzionedegli infortuni e delle malattie professiona-li e promuovere la ricerca, la elaborazionee l’attuazione di tutte le misure idonee atutelare la loro salute e la loro integrità fisi-ca.Questo è un punto importantissimo perchéquesto tipo di controllo finora era stato sem-pre affidato ad organi burocratici, imparzia-li in teoria, di fatto egemonizzati dal padro-nato (si pensi, ad esempio, all’ENPI, il quale,in base alla sua legge istitutiva, può interve-nire solo su richiesta della azienda).La norma dell’art. 9 rappresenta, pertanto,una grossa rottura del sistema vigente.

Quale è stato l’uso da parte del sindacato?A Milano sono state proposte soltanto duecause di questo tipo, uno riguarda l’am-biente di lavoro alla cartiera Binda, l’altrol’Alfa Romeo ed entrambe queste cause, chesi sono risolte in senso positivo per i ricor-renti, sono state gestite dal comitato di dife-sa e di lotta contro la repressione.Ora io mi rifiuto di pensare, come sarei por-tato a fare se considerassi soltanto il com-portamento del sindacato, che gli ambientidi lavoro a Milano, una città che ha moltis-sime officine, moltissime aziende, sianoinattaccabili sotto il profilo della ”salute”,vale a dire che dappertutto siano statiapprestati mezzi per impedire gli infortuni,le malattie professionali, ecc.>> (RomanoCanosa, La gestione dello Statuto dei lavo-ratori, Politica del Diritto, agosto 1972, pagg.357 e 360). Non vi è dubbio che la premessa fonda-mentale per affermare i diritti al lavoro e allasalute è costituita dalla partecipazione edalla lotta dei diretti interessati, le lavoratri-ci ed i lavoratori in fabbrica (e la popolazio-ne autoorganizzata sul territorio). In altri ter-mini, il conflitto sociale è inscritto nelle ini-ziative tese a conseguire tali diritti, sia alivello legislativo che in ogni realtà data:senza tacere che la Classe Operaia è semprestata troppo “pensata” da chi ha finito persorprendersi di trovarla così vigorosamente,originalmente, lucidamente “pensante” sulfinire degli anni ’60.Nelle presenti note si affrontano fatti salien-ti sul piano socio-legislativo con particolareriferimento agli anni ’60 e ‘80 in relazioneall’evoluzione e alla successiva regressionedi tali diritti, focalizzando tale processoanche attraverso le lucide riflessioni giuridi-che di Romano Canosa, un sicuro interprete

*MedicinaDemocraticaMovimento di Lottaper la Salute.

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Diritto al lavoro e dirittoalla salute: evoluzione eregressione. Il contributodi Romano Canosadi Luigi MARA*

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e protagonista dell’evoluzione del Dirittodel Lavoro in armonia con il dettato costitu-zionale.

Senza fare la storia, ci si limiterà a svolgerealcune considerazioni sulle seguenti temati-che: J)- Le lotte operaie dalla difesa (1948 –1962) alla conquista dei diritti, al lavoro, allasalute, all’affermazione dei diritti umani(1963 – 1977); JJ) – Le lotte operaie e stu-dentesche della fine degli anni ’60 dannovita a molteplici movimenti nella società: lanascita di “Medicina Democratica Movi-mento di Lotta per la Salute”; JJJ) - Dallalegge 15 luglio 1966 n. 604 sulla “giustifica-tezza del licenziamento individuale” allapromulgazione della legge n. 300 del 20maggio 1970 – Statuto dei Diritti delleLavoratrici e dei Lavoratori; JJJJ) - Il c.d.Diritto del Lavoro dell’emergenza (1978 –anni ’80); JJJJJ) - Dalla L. n. 1369/1960 suldivieto di - (mere prestazioni di lavoro) -appalto di manodopera a quella sull’affittodi manodopera (il “caporalato” legalizzato;D.lgs. n. 276/2003); JJJJJJ) - Dalla destruttu-razione dello Statuto alla negazione deidiritti delle lavoratrici e dei lavoratori; dallacosiddetta “manutenzione” dell’art. 18dello Statuto all’eliminazione del controllodi legalità in fabbrica sull’operato del padro-ne o datore che dir si voglia (così come inogni altro luogo di lavoro), alla libertà dilicenziare senza “giusta causa”; JJJJJJJ) - Lamancata tutela del diritto al lavoro, premes-sa per la negazione di ogni diritto in fabbri-ca (e nella società!) e, in primis, il diritto allasalute, alla sicurezza del e nel lavoro, non-ché per la violazione della dignità, della per-sonalità e della soggettività della lavoratricee del lavoratore: una regressione dellademocrazia dalla fabbrica alla società.

1. - NOTE SULLA EVOLUZIONE E LAREGRESSIONE DEL DIRITTO DELLAVOROUn significativo sviluppo della legislazionedel lavoro è coinciso con la Costituzionerepubblicana, approvata il 22.12.1947 edentrata in vigore il 1° gennaio 1948, che allavisione corporativistica dello stato fascista(cui è ispirato il codice civile del 1942) sosti-tuisce quella democratica e sociale, fondan-do la Repubblica sul lavoro (art. 1 Cost.).

Secondo alcuni giuristi inizierebbe così unanuova stagione del diritto del lavoro qua-lificata come fase della costituzionalizza-zione, contrassegnata dalla novità di affian-care al tradizionale obiettivo della tuteladella posizione contrattualmente debolequello della tutela della libertà e delladignità sociale della lavoratrice e del lavora-tore.La caratterizzazione maggiore di tale svilup-po è rappresentata dalla cd. Lettura costitu-zionale della materia del diritto del lavoro,effettuata cioè alla luce dei principi costitu-zionali che segnano i limiti e le direttiveentro cui il conflitto tra gli opposti interessidella produzione e dell’eguaglianza, libertàe dignità delle lavoratrici e dei lavoratoridebbono trovare soluzione.Non va taciuto che questo è il periodo (fineanni ’40 – inoltrata metà anni ’60) nel qualesi avvia la ricostruzione post-bellica delpaese, che sfocerà nel cd. boom economico,ma è anche quello caratterizzato nelle fab-briche da una violenta, discriminatoria eselettiva repressione padronale con nume-rosissimi licenziamenti di lavoratrici e lavo-ratori, la cui unica colpa era quella di avermilitato nelle fila della Resistenza e/o diaver fatto riferimento ai partiti della sinistra(P.C.I., P.S.I.) e/o di essere iscritti ai sindaca-ti di categoria della C.G.I.L..Per tutti valga la gestione antioperaia e anti-sindacale condotta nei confronti dei lavora-tori aderenti alla FIOM, pianificata e attuatada Valletta negli stabilimenti FIAT con ilsostegno della proprietà (la famigliaAgnelli), nonché per esplicita richiesta del-l’amministrazione americana, e segnata-mente dell’ambasciatrice USA Clara Luce(1): una odiosa e vergognosa contropartitapolitica data dall’azienda in cambio di com-messe economiche americane.(2)Non è oggetto di queste note l’analisi (deifatti) relativa alla pesante discriminazione erepressione condotta nelle fabbriche dalpadronato (e dal governo) tra le fila delmovimento operaio dal 1948 sino alla pro-mulgazione dello Statuto dei Diritti deiLavoratori, che sancisce l’affermazione delprincipio della <<giusta causa>> nella riso-luzione del rapporto di lavoro (analisi cheperaltro sarebbe utile condurre con il dovu-to rigore). Qui ci si limita a ricordare alcuni

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dati macroscopici che hanno caratterizzatoquesto periodo storico. Anche se non esisto-no cifre ufficiali sicure sulla discriminazio-ne politica e sindacale attuata nelle fabbri-che italiane in tale periodo, “i casi di licen-ziamento per rappresaglia furono non menodi 40.000, ai quali si devono aggiungere gliepisodi, difficilmente quantificabili, didimissioni <<volontarie>> determinate dalclima di pressione e di ricatto, per non par-lare dei trasferimenti punitivi e degli ostaco-li frapposti al normale svolgimento delle car-riere professionali degli operai e dei tecnicisospetti di <<non collaborazione>>”. (3) Fu uno scontro di classe durissimo, com-battuto da parte degli industriali senzarisparmio di colpi, con l’appoggio determi-nante dell’intervento repressivo dello Statoche ebbe come protagonisti di volta in voltagli organi prefettizi, le forze di polizia e lastessa magistratura e che faceva espressoriferimento alla disciplina limitativa dellelibertà civili e sindacali contenuta nel TestoUnico fascista di Pubblica sicurezza del1931. (4)A questa offensiva il movimento operaio,politico e sindacale, seppe opporre una resi-stenza tenace e anche duttile. Ma dalloscontro uscì con le ossa rotte e con molteferite. Tuttavia sarebbe ingiusto ignorare osottovalutare l’importanza che quella resi-stenza ebbe per la tenuta complessiva dellademocrazia in Italia, o dimenticare che <<lagrande lezione di tenacia, modestia e coe-renza>> di un’avanguardia rimasta perlungo tempo drammaticamente isolatacostituì <<il riferimento della riscossa ope-raia che si incominciò a sviluppare fra il ’62e il ‘68>>. (5)“I lavoratori licenziati per rappresaglia por-tarono di quella lotta il peso più duro, anchein termini umani e personali. Non bisognadimenticare che di solito il licenziamentoera preceduto da un crescendo di angherie,di umilianti violazioni della libertà e delladignità personali (assegnazioni a mansionidequalificate, perquisizioni, pedinamenti,intimidazioni alle famiglie).”(6) In questoclima di cupa repressione antioperaia, nonva taciuto che la sconfitta della FIOM nelleelezioni del 1955 per il rinnovo dellaCommissione Interna negli stabilimenti Fiatdi Torino è stata preceduta, in pochi anni,

dal licenziamento di ben 2000 suoi quadrisindacali di fabbrica. Si tratta di fenomeniimponenti, sulle cui dimensioni non si èriflettuto abbastanza, ed essi sono una spiadell’acutezza dei conflitti sociali che hannoaccompagnato e in parte plasmato leprofonde trasformazioni intervenute nellarealtà sociale del paese. (Per quanto qui sommariamente accennato,si è usato il condizionale a proposito dellasuddetta “nuova stagione del diritto dellavoro”, che sarebbe iniziata con la promul-gazione della Costituzione repubblicana).

In proposito, va ancora ricordato che conl’entrata in vigore della Costituzione repub-blicana, la prima produzione legislativa inmateria di lavoro assolve principalmente aduna funzione di integrazione della discipli-na codicistica, essenzialmente al fine di per-fezionare il sistema di tutela minimale degliinteressi della lavoratrice e del lavoratorecome soggetti contrattualmente deboli. Siiscrivono in tale ambito le leggi sul colloca-mento (L. n° 264/1949), sul divieto di appal-to di manodopera (L. n° 1369/1960) di cuidiremo oltre, sul contratto di lavoro atempo determinato (L. n° 230/1962), suirapporti speciali di lavoro: apprendistato(L. n° 25/1955), lavoro domestico (L. n°339/1959), e sul lavoro a domicilio (L. n°264/1958). Va pure detto, che, successivamente allapromulgazione della Costituzione, l’evolu-zione del diritto del lavoro si è sviluppatalungo linee di tendenza diverse, fortementecondizionate dallo sviluppo delle lotte ope-raie e sociali e dal conseguente mutamentodelle condizioni di lavoro, sociali, economi-

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che e politiche - [non va neppure taciuto chein questo periodo, molte volte, le lotte ope-raie e contadine sono state brutalmenterepresse dai corpi di Polizia con morti e feri-ti (le città di Modena, Reggio Emilia,Genova, Avola e Battipaglia stanno lì a ricor-darcelo, per restare ad alcune delle realtàpiù tristemente note; a tacere della strage diPortella della Ginestra e dei suoi mandantipolitici), ma tali lotte hanno anche determi-nato fatti politici rilevanti come la sconfittadel governo Tambroni, ovvero del pattoscellerato DC – MSI (1960) e favorito la suc-cessiva nascita del primo governo di centro-sinistra (1962)].Si sono richiamati alla memoria alcuni fattistorici per meglio comprendere le difficoltàed i ritardi incontrati nell’applicazione dellatutela dei diritti e degli interessi delle lavo-ratrici e dei lavoratori sulla base dei princi-pi costituzionali; infatti, la loro pratica e par-ziale attuazione è avvenuta con molto ritar-do e con interventi legislativi settoriali e nonorganici.Fra le cause di tali ritardi si annovera purel’ostilità (a tacer d’altro!) nell’applicazionedel dettato costituzionale da parte (di molti)del ceto dei giuristi. Sul punto sono illumi-nanti le parole di Romano Canosa (7): <<LaCostituzione del 1948 non è, invero, un testonormativo puramente liberale, ma contienetracce evidenti della volontà dei costituentidi sorpassare la nozione tradizionale dimolti degli istituti fondamentali verso formepiù “aperte”, nelle quali alcune delle esi-genze delle classi “subalterne” potesserotrovare previsione e protezione.La natura “schizofrenica” della Costituzionevigente mostra come l’intervento su certiassetti tradizionali di potere possa avvenirenon più soltanto attraverso interferenzeesterne al complesso normativo ed alla atti-vità giudiziaria (secondo lo schema webe-riano), ma sia stato, sotto certi aspetti, “inte-riorizzato”, reso cioè possibile nell’ambitostesso della normale attività applicativadella legge.Dalle norme sulla proprietà a quelle sullagestione delle imprese, dalle norme sullaeguaglianza a quelle sul lavoro, ognunodei diritti tipici di un assetto borghese dirapporti proprietari si è visto circondato dilimiti.

L’esistenza di questi, non che consentire,impone al giurista di vigilare sul loro rigoro-so rispetto, affinché, in piena conformitàalla lettera ed allo spirito della Carta costi-tuzionale, gli interessi di una amplissimaparte della comunità nazionale che si espri-mono proprio in quei “limiti” non sianooggetto di prevaricazione. (8)La “pericolosità” della Costituzione del1948 era stata, del resto, ben compresa dalceto dei giuristi, i quali, con la suddivisionedelle sue norme in diversi tipi e la negazio-ne del carattere della imperatività alla mag-gior parte di esso, avevano potuto tranquil-lamente continuare a muoversi sul terreno aloro più caro delle vecchie leggi (che questefossero state per la maggior parte emanatedurante il periodo fascista era una circo-stanza marginale per un ceto per cui la“forma” della emanazione, il tipo dellaredazione, le regole interpretative sono tuttoed il contenuto è nulla).Così facendo, certi interessi che i costituen-ti, sia pure in forma negativa, avevano giu-ridicizzato, erano stati espunti dall’ordina-mento ed affidati di nuovo a portavoci“esterni” al mondo del diritto, ogni inter-vento dei quali, ovviamente, era destinato avenir denunciato come inammissibile inter-ferenza nella “corretta” applicazione dellagiustizia. (9)>>Nella seconda metà degli anni ’60 la legisla-zione del lavoro si è poi tradotta in unadisciplina inderogabile, che, in una certamisura, ha posto dei limiti ai poteri padro-nali con un primo risultato legislativo costi-tuito dalla promulgazione della legge n°604/1966 sui licenziamenti individuali, cheha introdotto il limite del giustificato moti-vo al licenziamento. Questa tendenza tro-verà piena espressione con l’ulteriore svi-luppo delle lotte operaie, segnatamentequelle che caratterizzarono l’autunno caldodel 1969, che porteranno alla conquistadella Legge 20 maggio 1970 n° 300 (Statutodei Diritti delle Lavoratrici e del Lavoratori).In questa fase il lavoratore non viene piùconsiderato come singolo contraente debo-le, ma come soggetto inserito in un rapportodi produzione ed appartenente ad una cate-goria sociale meritevole di tutela, con unaestensione quindi della tutela alla dignità elibertà dei lavoratori e delle lavoratrici con-

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tro le discriminazioni e per una parità ditrattamento. Infatti, lo Statuto ha dato attua-zione in una misura significativa - (pur conlimiti) - ai principi costituzionali afferman-do i diritti individuali e sociali dei lavorato-ri all’interno delle organizzazioni produtti-ve. Infatti, “è con lo Statuto dei lavoratoriche per la prima volta si è avuto un inter-vento legislativo di una certa ampiezza cheha investito non le vicende del rapporto dilavoro esterne al processo produttivo, ma,entro certi limiti, anche quelle interne. (10)”“Lo Statuto è stato uno strumento legislati-vo nuovo, diversissimo da tutta la legisla-zione preesistente: si è trattato di una leggeapprovata sull’onda del movimento e inessa sono stati trasfusi parecchi degli obiet-tivi perseguiti e parzialmente conseguitidalle lotte operaie del 1968-’69. Questostrumento è stato molto importante perdue ragioni: primo, perché ha consentitointerventi giudiziari che in base alle vecchieleggi non erano previsti (si pensi, ad esem-pio, alla repressione dell’attività antisinda-cale e alla rapidissima procedura al riguar-do prevista dall’art. 28); secondo, in quantoha aperto un’ampia falla all’interno del-l’amministrazione giudiziaria e del compor-tamento tradizionale dei giudici, costrin-gendo gli stessi, per la prima volta, a guar-dare in faccia i rapporti esistenti nella fab-brica, al di là di ogni schematizzazione nor-mativa, e a tener conto di quella realtà nelleloro sentenze. (11)”In questa linea di tendenza, che possiamodefinire di legislazione promozionale, siinseriscono anche la riforma del processodel lavoro (L. n° 533/1973) e la legge sullaparità uomo-donna (L. n° 903/1977), diret-te con strumenti di tutela differenziata edantidiscriminatoria al medesimo obiettivodi reagire allo stato di sottoprotezione socia-le delle lavoratrici e dei lavoratori.Ponendo mente all’attualità del dibattitosull’art. 18 dello Statuto e all’ordine di rein-tegra nel posto di lavoro del lavoratorelicenziato senza giusta causa, risulta di par-ticolare interesse quanto scrive RomanoCanosa, in risposta alle critiche portate dasettori della sinistra non istituzionale circala tendenza alla <<monetizzazione>> dialcune istanze fondamentali dei lavoratoridella legge n° 533/1973, e precisamente:

“… Indubbiamente la legge sotto questoaspetto presenta una carenza assai grave:quella di non prevedere e regolare compiu-tamente la reintegrazione forzata del lavo-ratore illegittimamente licenziato, qualora ildatore di lavoro rifiuti di ottemperare all’or-dine del giudice. Indubbiamente, come èstato ritenuto in alcuni giudicati, questorisultato può essere ottenuto anche in basealle norme oggi esistenti, ma, stante il con-trasto giurisprudenziale esistente al riguar-do, sarebbe stato molto importante che lanuova legge processuale regolasse esplicita-mente questo aspetto del processo esecutivo

in materia di lavoro. Ciò posto, tuttavia, nonsembra che ricorrano altri esempi di unascelta <<monetizzatrice>> al cospetto dialternative diverse: la provvisoria esecuzio-ne in primo grado in tema di licenziamentoera già prevista nello Statuto dei Diritti delleLavoratrici e dei Lavoratori; non si vede per-ciò che altro avrebbe potuto fare la legge senon estenderla anche alle sentenze di con-danne al pagamento di somme di danaro.Inoltre la possibilità di pronunciare ordi-nanze esecutive ai sensi dell’art. 423 c.p.c.,non costituisce la espressione di un privile-giamento di questo tipo di vertenze, rispettoalle cause di licenziamento, in quanto perqueste ultime la ormai accettazione dellaprocedura di cui all’art. 700 c.p.c., che dovràcontinuare ad essere utilizzata anche sottol’imperio della nuova legge, rendeva tuttosommato abbastanza superfluo un esplicitointervento del legislatore in materia.Né vale contrapporre lo Statuto dei Dirittidei Lavoratori alla nuova legge sul processo,affermando che, mentre il primo incidevarealmente sui problemi dei rapporti di lavo-

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ro, la stessa cosa non si può dire dellaseconda.Lo Statuto, infatti, come ogni legge sostan-ziale, ha dei settori di operatività (quellodella vita di fabbrica) che ad una legge pro-cessuale sono istituzionalmente interdetti;dove questi esistevano – e sempre con lagrave eccezione già indicata – la nuovalegge è intervenuta: si pensi ad esempio allaesplicita previsione della possibilità di fareudienza in fabbrica. (…) La nuova legge vavalutata per quello che è: un buon testoriformatore, anche se di <<peso>> indub-biamente minore dello Statuto dei lavorato-ri, e questo – lo si ripete – per la sua stessanatura di legge processuale. (12)” Al riguardo, va pure sottolineato che questalegge consente sia una notevole abbrevia-zione del tempo necessario alle lavoratricied ai lavoratori per ottenere le loro spettan-ze, sia l’accelerazione dei processi in temadi licenziamenti, sia la dilatazione dei pote-ri di indagine del giudice al di là degli sche-mi privatistici tradizionali, nonché l’effettopositivo, di stimolo, nei confronti di tutti igiudici italiani: “tutti fatti positivi sui quali –afferma Romano Canosa – il giudizio, dasinistra, da qualunque settore della sinistra,dovrebbe essere positivo. (13)”

2. - DIRITTO DEL LAVORO DELLA CRISI(O DELL’EMERGENZA)La seconda metà degli anni ’70 è stata carat-terizzata dalla recessione economica e dallamodificazione del sistema produttivo, inquesti anni sindacati, padronato e governihanno operato in sintonia, come un soluomo, per imporre la riduzione del costodel lavoro attraverso la c.d. politica dei red-diti. Infatti, in questa fase vengono attuatirilevanti interventi legislativi tra i quali sisegnalano le leggi sull’occupazione giovani-le (L. 285/1977), sulla istituzione della CassaIntegrazione Guadagni (L. 164/1975 e L.427/1977), sul contenimento del costo dellavoro (accordo trilaterale del 22 gennaio1983 ed il protocollo d’intesa del 14 febbraio1984, nonché la L. 38/1986 sulla riformadell’indennità di contingenza).

Schematizzando, si può dire che fino al1975 il modello di intervento statale nei set-tori del diritto pubblico dell’economia e del

diritto del lavoro vero e proprio era così arti-colato: da un lato un’ampia serie di inter-venti a favore del capitale (crediti agevolati,crediti a fondo perduto, cassa integrazione,etc.), dall’altro interventi garantistici a favo-re delle lavoratrici e dei lavoratori, diretti adimpedire licenziamenti ingiustificati, adassicurare alcuni diritti della persona ancheall’interno delle aziende. (14)A questi interventi legislativi statali concor-revano anche gli interventi della contratta-zione sindacale collettiva, generalmentediretti a migliorare le condizioni delle lavo-ratrici e dei lavoratori dipendenti.Le ultime manifestazioni di questa linea,cioè quella di accordare <<vantaggi>> adentrambe le parti contraenti, può essere fis-sata al gennaio 1975, ovvero all’accordo(non privo di ambiguità) tra la FederazioneCGIL – CISL – UIL e la Confindustria sullagaranzia del salario e sulla indennità di con-tingenza.L’accordo viene trasfuso, anche se non inte-gralmente, nella legge n° 148 del 7 giugno1975, a conferma del metodo, oramai affer-matosi, di una legislazione del lavoro stret-tamente connessa con la contrattazione col-lettiva.“Sono gli ultimi fuochi di una linea garanti-stica da un lato, migliorativa delle condizio-ni dei lavoratori dall’altro, nella quale nonmostra di credere più nessuno (o quasi). Apartire dal 1976, il modello di interventolegislativo e collettivo nel settore viene difatto assoggettato ad una inversione radica-le: mentre gli interventi statali in favore delcapitale continuano, quelli in favore deilavoratori cessano o sono sostituiti da inter-venti anch’essi a favore del capitale, contotale rovesciamento del sistema binarioseguito in precedenza.Cominciamo da questi ultimi. L’inizio dellasvolta può essere collocato alla fine del 1976quando, prima con un decreto-legge (11ottobre 1976 n° 699), e poi con la relativalegge di conversione (10 dicembre 1976 n°797) è stato bloccato il pagamento dellaindennità di contingenza nelle retribuzionisuperiori a un certo livello e in suo luogo èstata imposta l’accettazione di buoni deltesoro non negoziabili.Di fatto la legge si muoveva ai limiti dellaCostituzione … diminuendo d’imperio la

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retribuzione di una ampia fascia di lavora-tori subordinati (il livello di retribuzionerichiesto era infatti assai basso) ed operan-do di fatto una sorta di imposizione forzo-sa soltanto su una fascia di cittadini (lavo-ratori subordinati), mentre ne venivanoescluse altre con maggiore capacità contri-butiva (professionisti, commercianti, indu-striali).” (15) Alla formazione di questa(politica) legislazione statale tesa alla ridu-zione delle retribuzioni concorrono anchele fonti non legislative del diritto, ovverogli accordi fra sindacati e imprese(Confindustria). In proposito, si ricordal’accordo emblematico del 26 gennaio1977 tra la Confindustria e la FederazioneCGIL-CISL-UIL sul costo del lavoro.L’accordo riguardava l’indennità di anzia-nità, universalmente considerata comeparte della retribuzione, e stabiliva che essad’ora in poi avrebbe dovuto calcolarsi<<con esclusione, a partire dal 1° febbraio1977, di quanto dovuto come aumenti diindennità di contingenza o emolumenti dianaloga natura, scattati posteriormente al31.01.1977>>. L’accordo fu accompagnato da due dichia-razioni: quella della Confindustria chedichiarò: <<le parti sociali hanno concorda-to sul fatto che dall’accordo raggiunto emer-ge una chiara volontà di mutamento dellerelazioni industriali, con riflessi positivi suun utilizzo più flessibile degli impianti pro-duttivi e concreti effetti riduttivi del salariodifferito.>>; quella del sindacato, che, a suavolta, affermò: <<Prima della trattativa incorso e con il presente accordo, il contribu-to in questo senso del sindacato è stato ed èdi notevole peso, pienamente responsabile econclusivo a riguardo del costo del lavoro.Le disponibilità offerte dal sindacato sonodi indiscutibile importanza (…) Uno sforzocosì impegnativo dei lavoratori e del sinda-cato deve essere accompagnato da unimpegno degli imprenditori e del governoper affrontare la crisi dal lato dell’inflazionee da quello della ripresa economica e pro-duttiva. Sono questi obiettivi che con chia-rezza il movimento sindacale nella suaautonomia propone come scelta di fondodell’azione dei lavoratori. (16)>>Purtroppo, questo accordo rappresenta l’ini-zio di una resa sindacale senza fine agli inte-

ressi di un padronato vorace e inaffidabile,le cui negative conseguenze si rifletterannopesantemente sulle lavoratrici e sui lavora-tori negli anni a venire fino ai nostri giorni.I lavoratori da tale accordo riceveranno soloaria fritta in cambio di generose concessionifatte alla controparte confindustriale.Infatti, erano passati solo alcuni giorni quan-do il governo, forte dell’accordo intervenutotra le parti, emetteva un decreto-legge (1°febbraio 1977 n° 12) contenente norme perl’applicazione dell’indennità di contingen-za.Il decreto faceva propria l’esclusione dal cal-

colo dell’indennità di anzianità degliaumenti di contingenza scattati posterior-mente al 31 gennaio 1977; stabiliva inoltrenel suo art. 2 che, a partire dal 1° febbraio1977, tutti i miglioramenti retributivi pereffetto di variazione del costo della vita o dialtre norme di indicizzazione non avrebbe-ro potuto più essere corrisposti in misurasuperiore a quella stabilita dagli accordiinterconfederali operanti nel settore dell’in-dustria alla data di entrata in vigore deldecreto (in pratica la contingenza venivaunificata per tutte le categorie su quella del-l’industria). (17)Il successivo art. 3 dichiarava esplicitamen-te che le <<somme non più dovute ai lavo-ratori per effetto delle disposizioni di cuiall’articolo precedente saranno devolutealla riduzione dei costi aziendali o allacopertura di oneri pubblici>>. In proposito,Romano Canosa segnalava che si trattava di“una prassi del tutto insolita per una leggeindicare in un apposito articolo i fini politi-ci perseguiti con la legge stessa: era comun-que un parlare assai chiaro che non nascon-

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deva, anzi proclamava esplicitamente, chedi riduzione del salario si trattava e che que-sta riduzione era stata disposta a beneficiodelle imprese”, e aggiungeva:“Evidentemente la cosa non era piaciutamolto alle sinistre (le cose si fanno manon si dicono), ragion per cui nella leggedi conversione del decreto (31 marzo1977 n° 91) l’art. 3 veniva soppresso.All’atto della conversione inoltre venivasoppresso anche l’art. 5 del decretosecondo il quale il decreto stesso sarebberestato in vigore fino al 31 gennaio 1979.La riduzione programmata della retribu-zione diveniva così definitiva. (18)Le conseguenze di queste norme sono dinotevole rilievo, anche sul piano giuridico.I sindacati con il predetto accordo del 26gennaio 1977 avevano già concesso quasitutto <<per un verso offrendo di ridurreautonomamente l’intensità della protezionecontrattuale con riguardo agli effetti ano-mali della scala mobile, per altro verso sug-gerendo al legislatore un intervento ridutti-vo della protezione legale in materia diindennità di anzianità, tale peraltro da noncomportare di per sé (…) una invasione del-l’area contrattuale>> (19), mirando tuttavianel contempo a salvare l’autonomia sinda-cale, sul piano formale. Viceversa, il decretoandava diritto allo scopo pervenendo a unrisultato espropriativo dell’autonomia con-trattuale, stabilendo la non migliorabilitàdella disciplina legislativa, sottraendo cosìalla autonomia sindacale il governo dellaretribuzione del rapporto di lavoro, sia neisuoi aspetti qualitativi, che quantitativi,nonché stabilendo autoritativamente i limi-ti massimi della dinamica salariale. (20)Romano Canosa osserva(va) che il divieto diderogabilità in melius (e cioè a favore dellelavoratrici e dei lavoratori qualora il padro-nato fosse stato d’accordo) costituiva unevento del tutto anomalo e sconvolgente peril diritto del lavoro, nel quale questo tipo diderogabilità era da molto tempo riconosciu-to per pacifico.“Se si tiene presente che nello stesso perio-do si era tentato di colpire (la manovra erapoi rientrata) anche la contrattazione inte-grativa aziendale, penalizzando gli impren-ditori che avessero concesso aumenti collet-tivi, ci si rende conto come l’obiettivo perse-

guito, in una sorta di gioco delle parti, dalgoverno, dai sindacati e dalla Confindustriaera quello di bloccare od ostacolare ogniaumento collettivo delle retribuzioni chenon fosse stato precedentemente accertatocome compatibile con le esigenze del raffor-zamento del capitale da tutti e tre gli inter-locutori, ognuno riservandosi un diritto diveto, tutti per il resto lasciando mano liberaagli aumenti <<di merito>> concessi discre-zionalmente dalle direzioni aziendali. Il chedimostra ancora una volta come non fossela <<giungla retributiva>> che si voleva col-pire, bensì soltanto gli <<automatismi>>nell’incremento della retribuzione, reintro-ducendo anche qui una libertà assoluta afavore delle aziende.Gli <<automatismi>> in materia di retribu-zione e di carriera diventano in questoperiodo, per il governo, per il sindacato eper gli industriali concordi tra loro una dellecause di fondo della <<crisi>>, alla stessastregua dei limiti della <<mobilità>> e del-l’assenteismo.” (21)Va ancora sottolineato che nell’articolo 3dell’accordo Confindustria-sindacati del 26gennaio 1977 si leggeva: <<le parti concor-dano, in riferimento alla proposta di leggecontenente disposizioni in materia di giornifestivi, attualmente all’esame del parlamen-to, che le aziende potranno disporre perl’anno 1977 che siano lavorate, senza riposicompensativi, le cinque festività religiosesoppresse e le due festività nazionali spo-state alla domenica.>> La legge in questio-ne era la n° 54 che sarebbe stata approvata il5 marzo 1977, la quale stabiliva che alcunigiorni (in tutto sette) cessavano di esserefestivi, con il conseguente aumento dell’ora-rio di lavoro su base annua. Inoltre, il 3dicembre 1977 veniva emesso il decreto n°876 sul contratto a termine, convertito nellaL. 3 febbraio 1978 n° 18 che allargava le pos-sibilità di ricorso a questo tipo di assunzio-ne nel settore del commercio e del turismo,in precedenza esclusi. La discussione parlamentare che ha accom-pagnato l’approvazione di questo decreto-legge mostra che in realtà esso sia stato vistocome un primo passo verso l’auspicata ela-sticizzazione della forza lavoro. Del restouna estensione della tipologia del contrattodi lavoro a termine si era già avuta con la

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legge n° 285 del 1 giugno 1977 sull’occupa-zione giovanile, in base alla quale le assun-zioni <<incentivate>> non possono supera-re la durata di un anno e non sono rinnova-bili.In altri termini, qui si è insistito nel richia-mare interventi e modifiche legislative inpejus introdotti nel sistema del diritto dellavoro focalizzando, di volta in volta, le luci-de riflessioni giuridiche di Romano Canosa.Viceversa, se si passa dal diritto del lavoroalla branca del diritto pubblico dell’econo-mia, rappresentata dagli interventi in favoredelle industrie, si nota una linea di ininter-rotta continuità rispetto al passato. In questadirezione si colloca la legge n° 675 del 12agosto 1977, che contiene i <<provvedi-menti per il coordinamento della politicaindustriale, la ristrutturazione, la riconver-sione e lo sviluppo del settore>>. La legge,fra l’altro, all’art. 3 istituiva un Fondo pressoil CIPI (Comitato di ministri per il coordina-mento della politica industriale) con ammi-nistrazione autonoma e gestione fuori bilan-cio, destinato alla concessione di agevola-zioni finanziarie alle imprese manifatturiereed estrattive che realizzino <<sul territorionazionale progetti di ristrutturazione e diriconversione conformi ai programmi fina-lizzati>> previsti dal precedente art. 2. Conle disponibilità di questo Fondo possonoessere concesse agevolazioni finanziarie divario tipo (mutui agevolati, contributi sugliinteressi per finanziamenti deliberati da isti-tuti di credito a medio termine, contributipluriennali alle imprese sull’emissione diobbligazioni, etc.). Inoltre, la legge presentaanche una novità, rispetto a quelle analoghedegli anni precedenti: infatti all’art. 22 eseguenti si prevede l’istituzione di una com-missione per favorire la mobilità dellamanodopera e di un relativo fondo destina-to a corrispondere un’indennità (<<inden-nità di nuova sistemazione>>) ai lavoratoriche accettino un lavoro in una località adoltre 50 chilometri di distanza dal comunedi residenza.Il 29 dicembre 1977 viene emesso il decre-to-legge n° 947, convertito nella legge 27 feb-braio 1978 n° 44, che ha disposto interventiin favore delle imprese in difficoltà per con-sentire la loro continuazione produttiva.Infine, con decreto-legge 14 aprile 1978 n°

110 sono stati emanati provvedimentiurgenti per far fronte alle esigenze dellesocietà già inquadrate nel gruppo EGAM.La linea seguita dalle Confederazioni CGIL– CISL – UIL sul piano nazionale è stataattuata anche a livello aziendale. Infatti, inquesti anni vengono sottoscritti alcuniaccordi sindacato-impresa nei quali i desti-ni di migliaia di rapporti individuali di lavo-ro vengono cogestiti dalle due parti spessoal limite del Codice Civile. In proposito, siricordano i casi Innocenti ed Unidal diMilano.Nel primo caso il sindacato ha accettato sia

la <<interruzione>> di tutti i rapporti dilavoro preesistenti con la <<vecchia>>società Innocenti sia la <<contrattazione diaccordi aziendali che prevedano impegni dilavoro individuali non inferiori a quelli inatto presso l’industria concorrente>> delsettore, il che in pratica ha significato unnetto peggioramento delle condizioni deilavoratori i quali dalla precedente gestioneerano riusciti a ottenere un trattamentomigliore di quello fatto nell’industria<<concorrente>> (leggi altre aziende auto-mobilistiche) sotto il profilo delle pause, deicarichi e ritmi di lavoro, etc.Anche all’Unidal si è ripetuto il medesimofenomeno. Anche in questo caso il sindaca-to ha accettato l’espulsione di un grannumero di lavoratrici e lavoratori, muoven-dosi al limite del Codice Civile [infatti laclausola finale dell’accordo dispone: <<Leparti si danno atto che, in tutti i casi consi-derati nel presente accordo non potràcomunque trovare applicazione la previsio-ne di cui all’art. 2112 c.c.. A tal fine i lavo-ratori che accetteranno i nuovi posti di lavo-

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ro nell’ambito delle procedure di colloca-mento provvederanno nel corso del proce-dimento di assunzione a risolvere il rappor-to con la società Unidal. Con la sottoscri-zione di verbali individuali ai sensi e pergli effetti della legge n° 533/1973 si daràatto della intervenuta risoluzione del rap-porto di lavoro, salva restando la riservadel lavoratore su eventuali diritti e pretesematurati nei confronti della società Unidalche dovranno quindi essere fatti valereesclusivamente nei confronti della predet-ta società>>]. Al di là delle roboantidichiarazioni sindacali tese ad accreditarela bontà di tali accordi come una sceltapositiva in difesa dell’occupazione, nonv’è chi non veda il fatto che - (le aziende inquestione non esistono più da decenni) – il<<diritto creato>> sulla base di questiaccordi è un diritto che offre alle nuovegestioni aziendali vantaggi che alle stessenon sarebbero spettati in base alla legisla-zione esistente, a tal punto da richiedere, a<<sostegno>> dell’accordo, la emanazionedi una legge ad hoc. Per esempio, nellavicenda Unidal con la costituzione dellanuova società Sidalm, nonostante l’esplici-to riferimento nell’accordo alla non opera-tività dell’art. 2112 c.c., nulla avrebbe potu-to impedire alle lavoratrici ed ai lavoratori,una volta assunti dalla nuova società, dirivendicare la continuità (ben reale edinnegabile) del nuovo rapporto di lavorocon quello precedentemente intercorsocon la società Unidal. Per evitare questoeffetto, è stata emanata una lex singularis,il decreto-legge 30 marzo 1978 n° 80, il cuiarticolo 1 dispone: <<Limitatamente al qua-driennio di cui all’art. 3, primo comma,della legge 12 agosto 1977 n° 675, la dichia-razione dello stato di crisi aziendale previ-sta dall’art. 2, quinto comma lettera c,della legge suindicata, opera gli stessieffetti della disdetta indicata nell’art.2112, primo comma del Codice civile, neiconfronti dei lavoratori che, in conseguen-za del trasferimento di azienda, sonoassunti alle dipendenze dell’acquiren-te.>> (22) Non c’è dubbio che si tratta di un emblema-tico esempio di una legislazione che si col-loca a pieno titolo nell’ambito del cd. dirittodel lavoro dell’emergenza.

3. - LA DELEGIFICAZIONE DEGLIANNI ’80 E LA DEREGOLAMENTAZIO-NE DEGLI ANNI ‘90Una fase propria degli anni ’80 è rappresen-tata dalla delegificazione, caratterizzatadalla tendenza di rinviare alla contrattazio-ne collettiva la determinazione di una“disciplina protettiva” non più rigida, maflessibile, con ammissione di deroghe aiprecetti normativi imperativi con i conse-guenti effetti negativi sulle condizioni dilavoro e di vita delle lavoratrici e dei lavora-tori. Infatti, attraverso questa via viene dataalla fonte negoziale collettiva-sindacale unafunzione di disciplina. Per esempio, in tale direzione si collocanogli interventi legislativi sulla limitazione deldiritto di sciopero nei servizi pubblici (L. n°146/1990).Non va taciuto che questo modello politico,sostenuto dalle Confederazioni CGIL – CISL– UIL, risponde(va) alle esigenze dell’im-presa ed impone(va) alle lavoratrici e ailavoratori di “adattarsi” alla flessibilità orga-nizzativa aziendale, subendo così i relatividanni in termini di riduzione delle loro tute-le individuali e collettive. Tutto questoviene spacciato come una più generale fun-zione di governo dell’economia diretta alperseguimento di obiettivi di politica indu-striale e di politica dei redditi, da realizzarsiattraverso la cosiddetta concertazione trapubblici poteri e parti sociali. Risultato: inquesti anni, e ancor più in quelli successivi,avviene un progressivo peggioramento dellecondizioni di lavoro e di vita dei lavoratori,con il trasferimento di importanti quote direddito dal lavoro a favore del capitale edella rendita parassitaria.La politica dei redditi attuata attraverso la cd.concertazione da parte delle ConfederazioniCGIL–CISL-UIL si rifletterà, quasi superfluoricordarlo, negativamente anche sui rinnovicontrattuali del 1983. A quest’ultimo riguar-do sono illuminanti le lucide parole diRomano Canosa: <<…Corrado Perna, dopoaver sottolineato come quella appena con-clusa sia stata “una fra le più difficili stagio-ni contrattuali” del dopoguerra ed aver indi-cato la necessità di un “ripensamento” sullacontrattazione in generale e sui modellicontrattuali nati dalla rottura del 1968-1969, conclude nel senso che, nonostante

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tutto, “il sindacato, col rinnovo dei contrat-ti, è riuscito a riaffermarre il suo potere dicontrattazione a fronte di una linea padro-nale tesa apertamente a cancellarlo”>>.[Ad analoghe conclusioni giunse A.Bellocchio, segretario regionale della CGILlombarda]. E così prosegue Canosa: <<Il(Loro) giudizio quindi – pur filtrato attraver-so molte riserve – è sostanzialmente positi-vo. Ed invece, se si vuole essere “amici più dellaverità che di Platone”, esso non può nonessere negativo.Indubbiamente il “diritto” alla contrattazio-ne è stato salvato. E quindi il sindacatoancora una volta “legittimato” ad agirecome portatore di interessi collettivi.Ma, se da questo riconoscimento di unasorta di “personalità politico-giuridica” chein sé e per sé vuol dire poco o nulla (e che,per la verità, nessuno ha mai messo in dub-bio) passiamo ai risultati che questo sogget-to collettivo così “riconosciuto” è riuscito aconseguire a vantaggio dei suoi iscritti,motivi per essere soddisfatti non ce ne sonomolti.Nei contratti del 1983, se si prescinde daimodesti aumenti salariali, tutte le innova-zioni sono costituite da clausole che modifi-cano in favore dei datori di lavoro, le situa-zioni preesistenti. Così, in materia di orariodi lavoro, la riduzione di ore annue, già delresto prevista nell’accordo Scotti del 1983 e,per alcuni settori addirittura da alcuni con-tratti del 1979, è accompagnata da tali etante condizioni e bilanciata da tante con-cessioni alla controparte padronale alpunto da ridursi di fatto ad un “risarcimen-to”, neppure integrale, per i vantaggi conse-guiti dalle imprese.Si tratta infatti di una “riduzione” sui gene-ris che può essere goduta soltanto in formadi “permessi” e nella quale rientrano inqualche caso anche le festività soppresse!In cambio di essa, il padronato ha ottenutopiù straordinari ed una consistente flessibi-lità nell’impiego della mano d’opera.La determinazione della durata normaledell’orario di lavoro non più in relazionealla sua effettiva prestazione giornaliera,ma su base di medie plurisettimanali, con-sente infatti alle imprese margini di flessibi-lità nel rapporto tra prestazioni lavorative

ed esigenze produttive del tutto ignote,almeno per il passato recente, al modelloitaliano di relazioni industriali.Non solo. In alcuni settori che già nei con-tratti del 1979 avevano ottenuto una ridu-zione di orario, il sindacato ha “rinunciato”alla riduzione di orario in questione aldicembre 1985!Nel settore delle assenze per malattia, laintroduzione di fasce orarie di permanenzaobbligatoria in casa per il lavoratore indi-sposto, quale che sia il tipo di malattia,costituisce una non piccola concessione daparte sindacale alle ricorrenti accuse di

assenteismo rivolte ai lavoratori dalla partepadronale.Infine, molti dei contratti dell’83, sulle ormedell’accordo Scotti, prevedono variegateforme di “contrattazione” permanente, dimediazioni bilaterali, di procedure concilia-tive, al fine di evitare forme di “microcon-flittualità ed escludere, come si esprime ilcontratto metalmeccanici Intersid-Asap, il“ricorso intempestivo ad azioni dirette, sottoqualsiasi forma poste in essere”.Il termine “azioni dirette” ( …) sta ad indi-care il … ricorso alla magistratura da partedei lavoratori che, eventualmente lesi neiloro diritti dalla contrattazione al ribasso diquesti anni, intendano far valere questidiritti nel modo normale, consentito a tutti icittadini, vale a dire presentando domandaai tribunali.Una possibilità del genere evidentementenon deve essere vista con molta simpatiadai rappresentanti dei lavoratori, né daquelli delle imprese, se sono apprestate,spesso con grande pressappochismo tecni-co, barriere protettive a difesa dei prodotti

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della contrattazione collettiva.I contratti del 1983, non avari di concessio-ni al padronato, poco o nulla dicono inve-ce sulle ristrutturazioni aziendali e sulleconsistenti riduzioni di personale che quasisempre le accompagnano. (…)La circostanza che sia il sindacato ad “otte-nere” nella stragrande maggioranza dei casil’intervento della Cassa trasforma quello chein altri paesi è un diritto dei lavoratori disoc-cupati, nel “frutto di una lotta…” infatti sedovesse cessare la possibilità di sbandierarela concessione della integrazione salarialecome frutto di un “decisivo” intervento delsindacato, che cosa resterebbe a quest’ulti-mo – rebus sic stantibus in materia di politi-che rivendicative – da offrire al “popolo” deisuoi rappresentati?>>. (23)

E si potrebbe continuare nell’enumerare i“frutti” - (avvelenati) – di tale contrattazionecollettiva attuata dalle Confederazioni CGIL– CISL – UIL attraverso la c.d. concertazio-ne, con la determinazione di una “discipli-na” del lavoro non più rigida, ma flessibile,con ammissione di deroghe ai precetti nor-mativi imperativi con i conseguenti effettinegativi sulle condizioni di lavoro e di vitadelle lavoratrici e dei lavoratori. Si tratta diuna delle “tappe” le cui risultanze concor-rono alla formazione del cd. diritto del lavo-ro dell’emergenza: una vera e propria regres-sione del diritto del lavoro iniziata a metàdegli anni ’70, e via via consolidatasi neltempo. Infatti, i successivi anni ’90 sarannosempre più caratterizzati dalla flessibilità edalla riduzione delle tutele nel rapporto dilavoro, nonchè da una spiccata deregola-mentazione della legislazione del lavoro.In proposito, di seguito ci si limita a ricor-dare alcuni interventi in tale direzione.Infatti, l’Accordo del luglio 1993 è caratte-rizzato dalla tendenza all’adeguamentodella disciplina del mercato del lavoro nelsegno della flessibilità, e nello stesso vienededicato un apposito capitolo relativo allagestione delle crisi occupazionali, alla for-mazione professionale ed alla riattivazionedel mercato del lavoro.A quest’ultimo riguardo, superfluo sottoli-neare che si tratta di iniziative miseramentefallite; anzi, possiamo dire che le stessehanno svolto una “funzione di catalisi” per

il processo di deindustrializzazione delPaese, tuttora in atto.In questi anni va pure segnalata la promul-gazione della legge n° 421/1992, con laquale si è attuata la c.d. privatizzazione delpubblico impiego, ovvero si è estesa la disci-plina civilistica al pubblico impiego, conl’obiettivo di armonizzarne la disciplina conquella del lavoro privato.Anche il protocollo d’intesa (denominato<<Patto per il lavoro>>) siglato il 24.09.1996da imprese, governo e sindacati, così comeil citato accordo del 1993, non ha avuto suc-cesso.Basti pensare che, attraverso questi Patti,Governo, CGIL – CISL – UIL e Confindustriasi prefiggevano (a parole!) di promuoverel’occupazione, soprattutto nel Mezzogiorno,mentre nei fatti non vedevano (o non vole-vano vedere!) che nel paese era in atto unapolitica irresponsabile (a tacer d’altro!) dideindustrializzazione con la svendita e/o ladismissione di società operanti in settoristrategici, e tutto questo avveniva con lacontestuale chiusura (o la drastica riduzio-ne) dei pochi centri di ricerca industrialeesistenti nel Paese; ciò ha portato alla deser-tificazione industriale di intere regioni, pertutte valga la Sardegna. – [A tacere dellostato vergognoso nel quale versava e versa lascuola e, segnatamente, l’università, sia intermini di strutture, mezzi, servizi e perso-nale per consentire lo svolgimento delladidattica e della ricerca all’altezza dei biso-gni degli studenti e, più in generale, dellapopolazione. Viceversa, al di là delle lode-voli eccezioni, l’edilizia scolastica è fati-scente ed insicura, la ricerca universitaria,sia quella fondamentale che applicata, giàscarsa ed inadeguata è stata ridotta al lumi-cino per mancanza di mezzi, di personale edi progetti di ampio respiro e di pubblicautilità nei diversi settori: dalla salute al risa-namento dei diversi comparti dell’ambiente(aria, acque superficiali e di falda, suolo esottosuolo) alla prevenzione dei rischi lavo-rativi ed extra-lavorativi, dall’innovazionenell’industria e nell’agricoltura alla promo-zione di un programma energetico naziona-le fondato sullo sviluppo delle fonti rinno-vabili, dal riassetto idrogeologico del territo-rio alla riqualificazione urbanistica delleperiferie delle grandi città, etc.. In altri ter-

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mini, si è assistito a un deliberato stato diabbandono della scuola pubblica di ogniordine e grado dovuto all’assenza di unaappropriata politica in grado di dare pro-spettive e soluzioni ai bisogni della popola-zione e alle necessità del paese, nonché dirispondere alle sacrosante domande deglistudenti in tema di didattica, formazionepermanente e promozione di nuove genera-zioni di ricercatori e tecnici nelle diversediscipline].Gli strumenti d’azione privilegiati dal citatoaccordo del 1996 sull’occupazione prevede-vano la <<formazione professionale>>, masoprattutto l’impegno del governo e delleparti sociali verso la flessibilità della forzalavoro ed un uso mirato della leva fiscalecome strumento per la nascita di nuovaimprenditoria giovanile.A differenza degli altri obiettivi (falliti) pre-visti dal Patto per il lavoro, quello della fles-sibilità viene perseguito attraverso una pro-gressiva ma inesorabile deregulation delmercato del lavoro, attuata soprattutto conla L. 28.11.1996, n° 608 sull’assunzione diret-ta nominativa, con la L. 24.06.1997, n° 196 didisciplina del lavoro interinale, di riformadell’orario di lavoro e di alcune fattispeciecontrattuali, e con il D.Lgs. 25.12.1997, n° 469di riforma del collocamento. A quest’ultimoriguardo, istituzionalizzando fenomeni(agenzie private di selezione del personalee contatti diretti tra datori e lavoratori)ampiamente diffusi nella prassi; al riguardo,il legislatore ha inteso lasciare ampi marginioperativi all’iniziativa privata, trasferendocompiti in materia a Regioni ed Enti locali eriservando agli organismi pubblici un ruolodi vigilanza e di politica del lavoro.Anche con l’accordo interconfederale deldicembre 1998 (cd. <<Patto per lo sviluppoe l’occupazione>>) sono fissati i punti poiassunti dal governo come obiettivi del pro-prio intervento, cui è seguito un primoriscontro con la L. 17.05.1999, n° 144, chedetta i criteri importanti di riforme nelcampo del lavoro: riforma degli ammortiz-zatori sociali e degli incentivi all’occupazio-ne, riforma dell’assicurazione obbligatoriacontro gli infortuni sul lavoro e le malattieprofessionali, cartolarizzazione del tratta-mento di fine rapporto e decollo della pre-videnza complementare, etc..

4. - LA ROTTURA DELLA CONCERTA-ZIONE SINDACALE DEGLI ANNI 2000E LA “RIFORMA” DEL MERCATO DELLAVOROPreliminarmente, va osservato che buonaparte degli obiettivi oggetto della concerta-zione collettiva sindacale attuata nel prece-dente decennio si sono tradotti nei provve-dimenti legislativi varati tra la fine del 1999e l’anno 2001, accomunati nell’ampio ruoloregolamentare riconosciuto all’autonomiacollettiva e da una minore rigidità delladisciplina di legge: tra essi rivestono parti-colare importanza il D.Lgs. 26.11.1999, n°

532 in materia di lavoro notturno, ilD.Lgs. 25.02.2000, n° 61, di riforma delrapporto di lavoro a tempo parziale e ilD.Lgs. 06.09.2001, n° 368 di riforma delrapporto di lavoro a tempo indetermina-to. Inoltre, per quanto di interesse nellepresenti note, va ricordata la riformadella disciplina dello sciopero nei servizipubblici essenziali (L. n° 146/1990) ope-rata con la legge 11.04.2000, n° 83.I primi anni di questo secolo sono caratte-rizzati da significativi cambiamenti: infattila nuova maggioranza di destra insediatasinel 2001 interrompe la prassi della cd. con-certazione dalla quale originavano gli accor-di trilaterali tra governo, sindacati eConfindustria, per instaurare il cd. metododel dialogo sociale.Nei fatti, attraverso quest’ultimo il governoBerlusconi ha perseguito anche l’obiettivodi marginalizzare la CGIL, la maggiore con-federazione sindacale nella quale alcuniimportanti sindacati di categoria, per esem-pio, la FIOM, il sindacato dei metalmecca-nici, si oppongono da tempo al liberismo

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politico-economico, nonchè alla cancel-lazione dei diritti delle lavoratrici e deilavoratori. Infatti, l’attacco del governoBerlusconi all’articolo 18 dello Statutodei Lavoratori, nonostante l’aiuto parla-mentare proveniente anche da esponentidel PDS/PD di cui si dirà, fallirà a seguitodell’estesa e imponente mobilitazione elotta promossa dalla CGIL durante lasegreteria di Sergio Cofferati.Nello stesso periodo il governo, avendoinformalmente già acquisito l’assenso dellaCISL e della UIL, propone alle tre confede-razioni sindacali la sottoscrizione del c.d.Patto per l’Italia (2002), che, infatti, vienepuntualmente sottoscritto da CISL e UIL,ma non dalla CGIL.Sulla base delle anzidette premesse il gover-no vara la legge delega n° 30 del 14.02.2003di “riforma” del mercato del lavoro (segnataperaltro dal terribile assassinio terroristicodel Prof. Biagi, autore del Libro Bianco cuiappare ispirata questa legge).Rispetto alla preesistente legislazione dellavoro, la legge n° 30/2003 rappresentauna rilevante (regressione) modificazionedella disciplina del lavoro con la quale, aldi là delle strumentali dichiarazioni di cir-costanza dei suoi estimatori (Governo,Confindustria, CISL, UIL, vasti settori delcentro-sinistra e della stessa CGIL), si can-cellano diritti fondamentali conquistatidalle lavoratrici e dai lavoratori condecenni di lotte nel secondo dopoguerra.Infatti, con la L. n° 30/2003, nei fatti si isti-tuzionalizza il lavoro precario.Questa “riforma” viene poi attuata con ilD.Lgs. 10.09.2003 n° 276, che interviene sumolteplici punti della disciplina vigente,sia relativamente al mercato, con una nuovadisciplina della mediazione e intermedia-zione del rapporto di lavoro, sia relativa-mente ai c.d. rapporti di lavoro speciali,cambiando le fattispecie già esistenti e intro-ducendo nuove tipologie contrattuali,dichiarando strumentalmente da parte delgoverno (e non solo di esso!) che tutto que-sto serviva per regolarizzare forme di lavorosommerso e per ampliare la possibilità dientrare o restare nel mercato del lavoro.Il risultato di questa negativa politica dellavoro è il seguente: nel 2003 il lavoro som-merso e in nero interessava circa il 20% del-

l’economia italiana, dopo circa 10 anni que-sta percentuale è salita al 30%, mentre nellostesso periodo la disoccupazione è più cheraddoppiata; inoltre, nel 2012 la disoccupa-zione giovanile è pari al 35% (al momentodella stampa di questi atti la percentuale èsalita al 39%), la più alta percentuale inEuropa!E non ci si venga a raccontare che tutto que-sto è stato determinato dalla cosiddetta crisifinanziaria internazionale (crisi peraltronegata in l’Italia dal governo fino a 10 mesifa), perché essa non cade dal cielo e, comun-que, interessa anche altri paesi a noi prossi-mi come, per esempio, la Francia e laGermania, dove la situazione e ben diversa.A tutto ciò aggiungasi che i salari italiani,eccezion fatta per il Portogallo, sono i piùbassi d’Europa e, che, nello stesso periodo,una rilevante quota del reddito dal lavoro èstata trasferita a favore del capitale e dellarendita.

5. – LA DESTRUTTURAZIONE DELLOSTATUTO E LA COSIDDETTA “MANU-TENZIONE” DELL’ARTICOLO 18Governo e Confindustria nel primo triennio2001-2003, dopo aver fallito l’attacco direttoteso ad abolire l’art. 18 (il cuore delloStatuto!), hanno proseguito nel loro intento,scegliendo una via più lunga e tortuosa perraggiungere il medesimo obiettivo ai dannidelle lavoratrici e dei lavoratori.Infatti, con l’introduzione della L. n° 30/2003e l’emanazione per la sua attuazione delD.Lgs 10 settembre 2003, n° 276 (che constadi ben 86 articoli), il governo, in sintoniacon la Confindustria, ha intrapreso una seriedi interventi - (i cui passaggi qui non vengo-no ripresi per non appesantire oltre questenote) - finalizzati a destrutturare lo Statuto,aggirarne le sue norme e privare le lavoratri-ci ed i lavoratori dei loro diritti attraversol’imposizione di ben 47 tipologie di contrat-ti di lavoro: una vera e propria giungla con-trattuale tesa a perpetuare la precarietà dellavoro.Ma tutto questo non basta a un padronato,vorace e reazionario, incapace di concepirerapporti di lavoro rispettosi della dignità,della personalità, della soggettività e deidiritti umani di ogni lavoratrice e lavoratore,nonché - (per restare all’oggetto di queste

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note) - la democrazia nei luoghi di lavoro.Da qui la martellante campagna mediaticaintensificata dall’attuale governo (non elettoe spacciato per tecnico), condotta con ilsostegno di una classe politica imbelle e diun giornalismo prono ai voleri del palazzo(le lodevoli eccezioni confermano la regola)e, segnatamente, della Confindustria chepersegue l’obiettivo politico di cancellare idiritti di tutti i lavoratori, per restaurare infabbrica, e in ogni altro luogo di lavoro, ilcomando gerarchico ante 1968-1969.

Non si pensi a forzature!Marchionne ha avuto “illustri” predecesso-ri.In proposito, uno spaccato di questa aggres-sività padronale è ben rappresentato dalledichiarazioni rilasciate a metà degli anni ’80dal prof. Felice Mortillaro, allora consiglieredelegato di Federmeccanica, l’associazionedelle aziende metalmeccaniche italiane delsettore privato, che, di fronte ad una sceltaplatea, composta da una cinquantina di diri-genti di azienda, ha affermato: “Nelle fabbri-che italiane è stato finalmente reintrodottoquel sano strumento psicologico che è lapaura”. E, andando oltre, questo paladinodel padronato italiano, rincarava la dose:“Le epidemie furono provvidenziali pergarantire lo sviluppo della nascente rivolu-zione industriale. La peste ha eliminato ipiù deboli…”. (24) Ponendo mente che lamoderna peste, oggi come allora, è la disoc-cupazione e che le epidemie italiane sono(state) gli accordi sindacali FIAT (1980),Montedison (1981), Alfa Romeo (1982) e viavia quelli che sono seguiti, con i quali dallefabbriche (e non solo da esse!) sono stati/eespulsi/e a migliaia e migliaia uomini edonne ammalati/e, anziani, nonché coloroche si erano impegnati/e sindacalmente epoliticamente per affermare i diritti sancitidalla Carta Costituzionale e dallo Statuto deiDiritti dei Lavoratori e delle Lavoratrici e, inprimis, i diritti sindacali, al lavoro e allasalute, ci si rende conto del sinistro signifi-cato che il padronato dava e dà a “quel sanostrumento psicologico che è la paura”. Sepossibile, ciò è ancor più grave perché èavvenuto e avviene con il pratico consensodelle organizzazioni sindacali, le eccezioniconfermano la regola. (Uno spaccato di que-

sta repressione e discriminazione padronaleattuate contro le lavoratrici ed i lavoratoriattraverso gli accordi sindacali si può rica-vare dalla lettura del Quaderno monografi-co n° 1 della rivista di Diritto “Lavoro ‘80”,che affronta il “Caso Alfa Romeo: sindacatoe diritti individuali”, Milano 1982).

A ulteriore conferma, valgono più di tanteparole i recenti comportamenti dei vertici didue società: quello della Fiat di Termoli equello della Vodafone del call center diRoma.Nel primo caso, agli operai iscritti alla FIOM

sono stati tagliati in busta paga 250 eurorispetto ai lavoratori iscritti ad altri sindaca-ti. A Termoli, la società Fiat Powertrain erastata condannata, lo scorso mese di aprile,per comportamento antisindacale. Infatti, ilgiudice del Tribunale di Larino aveva accol-to il ricorso della FIOM, alla quale non erastato permesso di partecipare alle elezionidelle rappresentanze sindacali in azienda il19 e il 20 aprile 2012, e aveva disposto cheagli iscritti FIOM non andasse applicato ilcontratto separato siglato dall’azienda coni soli sindacati metalmeccanici FIM-CISL eUILM-UIL, essendo ancora valido (comesosteneva la FIOM) quello unitario firmatonel 2008.Per tutta risposta, la direzione Fiat, calpe-stando leggi e contratti, ha deciso nei con-fronti dei lavoratori iscritti alla FIOM diannullare in busta paga le maggiorazioniretributive derivanti dal contratto, ivi com-prese le integrazioni previste dai vecchicontratti aziendali. Pertanto, agli iscritti allaFIOM-CGIL, che sono 280 su 2100 dipen-denti, verranno corrisposti solo i minimi

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previsti dal contratto nazionale.Non v’è chi non veda che si tratta di unignobile ricatto economico (e non solo diesso!) nei confronti dei lavoratori che, condignità, hanno riconfermato la loro iscri-zione alla FIOM, il sindacato metalmecca-nico che non ha sottoscritto l’accordo“capestro” imposto da Marchionne allaFiat di Pomigliano, e, proprio per questo,è stato impedito a questo sindacato di par-tecipare alle elezioni in fabbrica per il rin-novo delle Rappresentanze SindacaliAziendali (RSA). Comunque, nei giornidelle elezioni (19-20 aprile 2012) gli iscrittialla FIOM-CGIL hanno allestito dei ban-chetti ai cancelli dello stabilimento, invitan-do i lavoratori e le lavoratrici a votare pres-so questo seggio elettorale alternativo.La lista FIOM ha così avuto 713 voti, il 33%dei dipendenti, che però dentro la fabbricanon avranno alcuna rappresentanza! A tacer d’altro, si tratta di una odiosa e pale-se violazione dell’articolo 14 dello Statutoche, sul “Diritto di associazione e di atti-vità sindacale”, stabilisce <<Il diritto dicostituire associazioni sindacali, di aderir-vi e di svolgere attività sindacale, è garan-tito a tutti i lavoratori all’interno dei luoghidi lavoro.>>Sul punto, va osservato che questo chiaris-simo articolo di legge viene scientementeignorato dai sostenitori – (governo, politici,giornalisti, Confindustria, nonchè da CISL eUIL) – di tale accordo separato imposto daMarchionne negli stabilimenti del gruppoFiat.Alla faccia delle più elementari norme diconvivenza civile e di democrazia!

Nel secondo caso, i 33 lavoratori di call cen-ter della società Comdata Careche il 20 gen-naio 2012 hanno ottenuto dal Tribunale diRoma una sentenza favorevole nella quale èstato sancito il loro diritto ad essere reinte-grati nella società Vodafone (dalla quale nel2007 erano stati esternalizzati nell’anzidettasocietà Comdata assieme ad altri/e 900dipendenti), ma invano.Infatti, nonostante la sentenza sia esecutivala società Vodafone, difesa nel ricorso dallostudio degli avvocati Ichino-Brugnatelli,non li ha riammessi al lavoro, ma solo postia libro paga, per poi inserirli immediata-

mente tra il personale in mobilità per “esu-bero strutturale”!Un chiaro avvertimento verso gli altri centolavoratori che avevano seguito la stessa stra-da promuovendo un analogo ricorso avantiil Giudice del Lavoro e che ora, in parte, lohanno ritirato “scegliendo” di restare alledipendenze della società Comdata Care, peril timore di finire fra il personale in mobilitàper “esubero strutturale”. Questa vicendarivela anche altri aspetti poco edificanti, inquanto la cessione avvenuta nel 2007 - (perla quale nella sentenza si evidenzia che “l’o-perazione avrebbe celato una mera esterna-lizzazione di manodopera eccessivamentecostosa e sgradita”) - era stata avallata daisindacati CGIL-CISL-UIL, nonostante i lavo-ratori li avessero diffidati dal sottoscriveretale accordo nei loro confronti. Infatti, granparte dei lavoratori esternalizzati aderivanoai Cobas, che si erano opposti a tale esterna-lizzazione. Al di là delle dichiarazioni tranquillizzantiche quotidianamente vengono propinatealla pubblica opinione, queste (e si potreb-bero fare altri esempi) sono le realtà che lelavoratrici ed i lavoratori vivono sulla pro-pria pelle.

SUI “MANUTENTORI” DELL’ARTICOLO18 DELLO STATUTOPreliminarmente, va osservato che con ladepenalizzazione del falso in bilancio ilpadronato non è più sottoposto a un realecontrollo di legalità nella gestione dellesocietà e, segnatamente, sotto il profilo eco-nomico-finanziario. E tutto questo nono-stante che, quotidianamente, le cronache siincarichino di segnalare scandali e dilagan-ti fenomeni di corruzione nel paese.Con la cosiddetta “manutenzione” (25) del-l’art. 18 dello Statuto - (come sanno tutti,nella realtà si tratta dell’abrogazione dellanorma che prescrive la reintegrazione nelposto di lavoro della lavoratrice o del lavo-ratore licenziato senza giusta causa) - ilpadronato persegue anche l’obiettivo di eli-minare il controllo di legalità sul propriooperato in fabbrica.Un punto sul quale molti, troppi, taccionocolpevolmente.Verrebbe da dire: in un paese ove regna l’il-legalità, il padronato (e il suo governo) non

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può tollerare alcun controllo di legalità,men che meno in fabbrica!Altro che rilancio dell’economia e dell’oc-cupazione, giovanile e non, con la cosiddet-ta riforma del mercato del lavoro.Sull’assenza di una reale opposizione poli-tica di fronte all’attacco ai diritti fondamen-tali delle lavoratrici e dei lavoratori preferi-sco non dire. La verità è che l’attacco ai diritti fondamen-tali delle lavoratrici e dei lavoratori (e nonsolo di essi!) viene da lontano e i suoi fauto-ri allignano da tempo anche tra le fila delleforze politiche che si dichiarano di sinistra(o di centro-sinistra) e che vorrebbero fareriferimento alla classe operaia: oggi, ipocri-tamente, quegli stessi esponenti si straccia-no le vesti di fronte alla pratica abrogazionedell’articolo 18, il cuore dello Statuto.Per questo, per un elementare bisogno ditrasparenza va ricordato anche in questasede, quali sono da tempo le posizioni di taliesponenti sull’articolo 18, per limitarci altema che qui ci occupa. Infatti, nel devastato panorama sociale e cul-turale, ancor prima che politico, nel qualeversa da anni il paese, come se nulla fosse,c’è chi, come il senatore Ichino e l’onorevo-le Bersani, non ancora sazi dei milioni dilavoratrici e lavoratori costrette/i a una cro-nica precarietà del lavoro (e dell’esistenza!)(26), afferma che in Italia serve “la flexsecu-rity – che, se applicata, risolverebbe granparte dei problemi connessi alla mancanzadi garanzie per il lavoratore, all’immobili-smo generato dall’applicazione non corret-ta degli ammortizzatori sociali, alla scarsaflessibilità del mercato e a tutti quegliaspetti che caratterizzano le Politiche delLavoro nella nostra Nazione.” E, proseguo-no - in un comunicato del 15.05.2009 - gliestimatori delle inaccettabili proposte deidue parlamentari: “Il Convegno si è tenu-to nella splendida cornice del PalazzoBologna - (Roma, 14.05.2009, Senato dellaRepubblica, ndr.) - in un’elegante sala tuttaesaurita da uditori interessati e partecipi.Molti gli spunti di riflessione.... Il PD devecaratterizzarsi come il partito del lavoro,favorendo una specie di patto tra i lavorato-ri e gli imprenditori, in uno scambio reci-proco di diritti e doveri. Uno scambio basa-to sui seguenti […] “punti salienti:

- l’adozione per i rapporti dipendenti di ununico contratto a tempo indeterminato;- periodo di prova di 6 mesi;- dopo il periodo di prova si applica la pro-tezione dell’art. 18 con l’unica eccezione deilicenziamenti per motivi economici ed orga-nizzativi;- in caso di licenziamento per motivi econo-mici ed organizzativi il lavoratore riceve uncongruo indennizzo; si attiva la cosiddettaassicurazione di disoccupazione […]- applicabilità del nuovo modello solo ainuovi contratti.” (27)Non v’è chi non veda che si tratta delle (ana-

loghe) proposte del governo Monti almomento del suo insediamento, che, stradafacendo, ha esteso il predetto modello nonsolo ai nuovi contratti, ma a tutti i contrattidi lavoro esistenti come ha avuto modo direplicare energicamente il Presidente delConsiglio alle recenti lamentele dellaConfindustria in merito alla c.d. riformadel lavoro.Pertanto, va detto a chiare lettere che propo-ste così oscene sono finalizzate a cancellaredel tutto ogni protezione e diritto della lavo-ratrice e del lavoratore e, segnatamente,quelli sanciti dall’art. 18 dello Statuto: chisarà mai quel padrone che licenzierà senzainvocare i “motivi economici ed organiz-zativi” ? (!).Non a caso tali proposte sono inaccettabiliper chi lavora, ma trovano il plauso dellaConfindustria e del governo delle destre, e,non a caso, il relatore di una simile propo-sta di legge è il senatore Ichino che già nel2002 aveva presentato una proposta dilegge, assieme ai suoi colleghi di partito,Michele Salvati e Franco Debenedetti, per

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monetizzare i licenziamenti e abolire legaranzie dell’art. 18 dello Statuto.Sul punto, ogni ulteriore commento ciappare superfluo.

Che dire poi dei maldestri tentativi mediati-ci tesi a convincere l’opinione pubblica, e,segnatamente, le lavoratrici ed i lavoratoridella “bontà” taumaturgica di tale iniziativaammantata di strumentali pseudo-giustifi-cazioni (“per il rilancio dell’occupazionegiovanile e non”, “per rendere dinamico ilmercato del lavoro”, “per consentire lo svi-luppo economico del sistema e la sua com-petitività”, “per aumentare il PIL”, “persuperare le divisioni di trattamento fra lavo-ratori con contratto a tempo indeterminato,per i quali vige lo Statuto, rispetto a quellicon i più diversi contratti a tempo determi-nato per i quali lo Statuto non vige”, “perattrarre gli investimenti stranieri”, etc. etc.),ove la parola licenziamento non viene maipronunciata?La cruda verità è che con la c.d. riforma delmercato del lavoro, approvata in fretta efuria con il voto di fiducia del Senato il 31maggio u.s. (231 voti favorevoli, compresoquello di Monti, e 33 voti contrari), l’art. 18dello Statuto dei Diritti dei Lavoratori è statoviolentato: quella che chiamano flessibi-lità in uscita si traduce nel linguaggiocomune in libertà di licenziamento.Quella che chiamano flessibilità in entra-ta non è altro che precarietà, estesa daigiovani a tutte la fasce d’età. Per i giovani,trovare un posto di lavoro (ma anche per chigiovane non lo è più) è un’impresa titanica;infatti, oltre alla crisi economica, quellaoccupazionale è stata ancor più aggravatadall’allungamento dell’età pensionabile,ormai portata senza colpo ferire sulla sogliadei 70 anni!I sindacati (ad eccezione della FIOM e deisindacati di base) erano in tutt’altre faccen-de affaccendati!Chi scrive continua a considerare le condi-zioni di lavoro in fabbrica (si legga ogniluogo di lavoro) come il termometro delgrado di civiltà di un paese: la mancata tute-la del diritto al lavoro rappresenta la pre-messa per la negazione di ogni diritto in fab-brica (e nella società!) e, in primis, il dirittoalla salute, alla sicurezza del e nel lavoro,

nonché la violazione della dignità, dellapersonalità e della soggettività della lavora-trice e del lavoratore: una regressione dellademocrazia dalla fabbrica alla società.

SULLA REGRESSIONE DEL DIRITTODEL LAVOROFermo quanto precede, per cogliere appienola progressiva erosione (o per meglio dire lademolizione e lo stravolgimento) dellenorme del Diritto del Lavoro operata a favo-re del capitale a partire dagli ultimi anni ’70,risulta di un certo interesse confrontarequanto veniva sancito nella L. 23 ottobre1960, n° 1369 – [“Divieto di interposizionenelle prestazioni di lavoro e nuova disci-plina dell’impiego di mano d’opera negliappalti di opere e servizi”, art. 1:- <<E’ vietato all’imprenditore di affidare inappalto o in subappalto o in qualsiasi altraforma, anche a società cooperative, l’esecu-zione di mere prestazioni di lavoro median-te impiego di manodopera assunta e retri-buita dall’appaltatore o dall’intermediario,qualunque sia la natura dell’opera o del ser-vizio cui le prestazioni si riferiscono.- E’ altresì vietato all’imprenditore di affida-re ad intermediari, siano questi dipendenti,terzi o società anche se cooperative, lavorida eseguirsi a cottimo da prestatori di opereassunti e retribuiti da tali intermediari.- E’ considerato appalto di mere prestazionidi lavoro ogni forma di appalto o subappal-to, anche per esecuzione di opere o servizi,ove l’appaltatore impieghi capitali, macchi-ne ed attrezzature fornite dall’appaltante,quand’anche per il loro uso venga corrispo-sto un compenso all’appaltante.- Le disposizioni dei precedenti commi siapplicano altresì alle aziende dello Stato edagli enti pubblici, anche se gestiti in formaautonoma, salvo quanto disposto dal suc-cessivo art. 8.- I prestatori di lavoro, occupati in violazio-ne dei divieti posti nel presente articolo,sono considerati, a tutti gli effetti, alle dipen-denze dell’imprenditore che effettivamenteabbia utilizzato le loro prestazioni.>>] – conquanto formulato nel disegno di legge colle-gato alla Finanziaria 2002 contenente la“Delega al Governo in materia di mercatodel lavoro”; ovvero una svolta decisiva (eregressiva!) nella storia del diritto del lavoro.

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Infatti, con questa Legge Delega l’interodiritto del lavoro viene stravolto: dalla tute-la si passa all’istituzionalizzazione della pre-carizzazione. Inoltre, il rapporto di lavoroche era stato privilegiato dall’ordinamento(quello a tempo indeterminato) diviene l’ec-cezione, mentre la regola è rappresentata dallavoro precario e privo di garanzie di man-tenimento.Il lavoro della donna e dell’uomo viene trat-tato alla stregua di una merce che si cede, siaffitta, si chiama di volta in volta solo quan-do serve, si “somministra”.Si cancellano norme fondamentali - (es.come la citata L. 23 ottobre 1960, n° 1369,sul divieto di intermediazione di mano d’o-pera) - che imponevano principi elementaridi civiltà, introducendo come normale, enon più solo come temporaneo, il ricorsoall’affitto di persone. (Sul punto, si rimandaa quanto previsto nella L. 14 febbraio 2003,n° 30 e al D.Lgs. n° 276/2003 per la suaattuazione). In sostanza, per limitarci all’abrogazionedella L. n° 1369/1960 il lavoratore (con lesue prestazioni lavorative) diviene unamerce liberamente commerciabile (il con-tratto di somministrazione infatti è statopensato e viene normalmente utilizzato perla fornitura periodica di beni o servizi),mentre si riconosce la liceità del trarre pro-fitto dal lavoro altrui, attraverso una vera epropria attività di interposizione, che nonsarà necessariamente temporanea, comeavviene per il lavoro interinale, ma addirit-tura teoricamente permanente.Un principio cardine del nostro ordinamen-to, secondo il quale nessuno deve esercitarea scopo di lucro un’attività il cui oggetto siasolo quello di far lavorare qualcuno alledipendenze di qualcun altro, viene cosìsmantellato e sostituito con il suo opposto.E siccome l’interposizione è brutta a dirsi, sipreferisce chiamarla somministrazione.Nasce così per via legislativa una nuova pro-fessione: quella di commerciante in lavoroaltrui.Da un punto di vista generale, va ancoraosservato che con il D.Lgs. n° 276/2003 (diattuazione della L. n° 30/2003) governo epadronato hanno puntato a creare il merca-to del lavoro più flessibile d’Europa (28),eppure in questo paese c’è ancora chi stra-

parla di rendere ulteriormente flessibile illavoro (degli altri)!

6. - SULLA NASCITA DI “MEDICINADEMOCRATICA MOVIMENTO DILOTTA PER LA SALUTE” E SULLAPROMOZIONE DELLA SALUTE INFABBRICA ATTRAVERSO L’ART. 9DELLO STATUTOSu queste tematiche, per non appesantireoltre queste note, ci si limiterà a qualchecenno.Le lotte operaie (e studentesche), soprattuttoquelle condotte nel biennio 1968-‘69, hanno

determinato la promulgazione dello Statutodei Diritti delle Lavoratrici e dei Lavoratori,uno strumento fondamentale assieme allamobilitazione ed alla lotta per affermarenei luoghi di lavoro i diritti sindacali equelli umani. In altri termini, si tratta dellapremessa indispensabile per attuare lapositiva trasformazione dell’organizzazio-ne del lavoro, nonché dei cicli e processiproduttivi, e cioè per realizzare migliori con-dizioni di lavoro (eliminazione dei rischi edelle nocività, bonifica degli ambienti dilavoro, riduzione dei ritmi e dei carichi dilavoro, eliminazione del lavoro a cottimo,etc. etc.) e di vita.Senza fare la storia, si ricorda che sempre inquegli anni i lavoratori e le lavoratrici sisono dotati di un nuovo e fondamentaleorganismo di partecipazione e rappresen-tanza diretta in fabbrica, il Consiglio diFabbrica [costituito dai delegati eletti suscheda bianca in ogni gruppo omogeneo dilavorazione (o di ufficio) da tutte/i le lavora-trici ed i lavoratori di una data realtà, iscrit-ti e non iscritti ai sindacati], attraverso il

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quale sviluppare la contrattazione con ladirezione aziendale (e non solo con essa).Inoltre, i lavoratori attraverso la partecipa-zione diretta alle iniziative sindacali hannosaputo elaborare in sintonia (a volte anchein contrasto) con i delegati del Consiglio diFabbrica (C.d.F.) piattaforme rivendicativeaziendali (e non solo queste): le stesse primadella loro presentazione alle direzioniaziendali attraverso il C.d.F. venivano dibat-tute, approvate o modificate/integrate (e avolte anche respinte) nelle assemblee di fab-brica da parte delle lavoratrici e dei lavora-tori. Va da sé che tali piattaforme rivendica-tive, pur con una certa mediazione fra lediverse istanze, contenevano richieste con-divise dai lavoratori interessati (ovviamentesi fa riferimento alle migliori esperienzematurate in quegli anni). Esperienze che hanno interessato decine (senon centinaia) di migliaia di realtà lavorati-ve in tutto il paese: tali rivendicazioni sin-dacali contenevano sempre le richieste perbonificare gli ambienti di lavoro e, quindi,per affermare la salute e l’ambiente salubrein fabbrica, ovvero per l’eliminazione dellanocività e del rischio con il netto rifiutodella loro monetizzazione.In questo contesto, le lotte operaie e studen-tesche hanno saputo dar vita a molteplicimovimenti nella società: è sull’onda di que-ste lotte e della domanda operaia di salute infabbrica, così come in ogni altro dove dellasocietà, che è nata Medicina Democraticaall’inizio degli anni ‘70.Un movimento che ha avuto tra i suoi fon-datori il Prof. Giulio A. Maccacaro, medicoe scienziato, direttore dell’Istituto diBiometria e Statistica Medica e Sanitariadell’Università Statale di Milano, un uomo(purtroppo, scomparso prematuramentenel gennaio 1977) di profonda umanità,impegnato socialmente a fianco della clas-se operaia e dei soggetti più deboli dellasocietà. (29) Per brevità, nei punti cheseguono si tracciano in modo sinteticoscopi, finalità e obiettivi di MedicinaDemocratica perseguiti e praticati ininter-rottamente da quattro decenni (il suo VIICongresso nazionale si è svolto dal 16 al 18febbraio 2012, presso l’aula magnadell’Università degli Studi di Milano), eprecisamente:

1. Fa parte della storia sociale, politica eculturale di questi quarant’anni l’associa-zione denominata “Medicina Democratica- Movimento di Lotta per la Salute“.All’inizio del 1970 era maturata, nei fatti,una singolare rivolta “contro quelle statichee sonnolenti interpretazioni dell’articolo 32,1° co. Cost., risolventesi, tutt’al più, in clas-sificazioni o in astratte categorie concettua-li”. (Montuschi, Rapporti etico-sociali,Commentario Zanichelli, 1976).

2. L’articolo 9 dello Statuto dei Diritti delleLavoratrici e dei Lavoratori “proiettava inuna dimensione collettiva, più articolata, esoprattutto credibile, quel diritto all’inte-grità psico-fisica e morale, già previsto alivello individuale, nell’articolo 2087 delCodice Civile” (peraltro inapplicato nellasua dimensione prevenzionale).Nei luoghi di lavoro molti avevano capitoche il diritto alla salute, delineato nell’onto-logia costituzionale, precedeva e non segui-va l’organizzazione dell’impresa. L’impresa, nel postulato costituzionale,doveva organizzarsi sulla salute, non sullasofferenza di chi lavora.

3. L’atto costitutivo di Medicina Democra-tica risale alla fine degli anni ’60 - primi anni‘70, mentre il suo Primo Congresso naziona-le si è tenuto a Bologna nei giorni 15 e 16maggio 1976.Non si pensò e non ci si pose l’obiettivo nédi fondare una corporazione né di ripetereuna rappresentanza sindacale, ma si volledar corpo e vita a un’aggregazione sponta-nea e autonoma di gruppi di operai/e e dipopolazione autoorganizzata sul territorio,assieme a tecnici, ricercatori e intellettualisul modello del “Centro per la Salute GiulioA. Maccacaro”, costituito da lavoratori elavoratrici chimici della Montedison diCastellanza (VA) e di altre fabbriche deidiversi settori merceologici, uniti nel rifiutodi scambiare i livelli di rischio con gliaumenti salariali. Il “Centro per la Salute Giulio A. Maccaca-ro” già allora si proponeva di svilupparemetodologie di intervento, in fabbrica suitemi della salute, della sicurezza e dell’am-biente, già sperimentate in anni di lavoro,nei molteplici campi della prevenzione dei

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rischi e delle nocività, della bonifica deicicli produttivi e dell’ambiente inquinatoall’interno come all’esterno dei luoghi dilavoro, con la partecipazione di migliaia dilavoratrici e di lavoratori appartenenti allepiccole, medie e grandi fabbriche italianenonché a settori dei servizi, dalle bancheagli ospedali.

Metodologie fondate sui principi: - della partecipazione diretta delle lavoratri-ci e dei lavoratori alle indagini in fabbrica edella popolazione autoorganizzata nel terri-torio;- dell’affermazione della soggettività ope-raia nella sua accezione più ampia e pre-gnante sia sul piano culturale che sindacalee tecnico-scientifico;- del rifiuto della monetizzazione dei rischie della nocività nei luoghi di lavoro cosìcome nel territorio;- del rifiuto della delega da parte del gruppooperaio di lavorazione omogeneo della pro-pria salute ai tecnici;- della non accettazione della cosiddettaneutralità della scienza e della tecnica edella oggettività dei cicli produttivi che daesse derivano;- della informazione e formazione perma-nente, attraverso il corretto rapporto fragruppo operaio omogeneo e tecnici sugliinnumerevoli temi della salute, della sicu-rezza, dell’ambiente salubre e dei dirittiumani.

Analoghi gruppi si erano costituiti in nume-rosi centri industriali come, per esempio,quelli di Aosta, Alessandria, Bari, Biella,Brindisi, Bologna, Firenze, Foggia, Foligno,Perugia, Genova, Lecce, Lecco, Mantova,Massa Carrara, Milano, Napoli, Novara-Pallanza Verbania, Nuoro, Padova, Palermo,Pavia, Pesaro, Pisa, Portici, Pinerolo, ReggioEmilia, Roma, Salerno, Savona, Torino,Trieste, Udine, Varese, Venezia.

4. Per la prima volta, per quanto è dato sape-re, si affermò e si volle rivendicare la “cen-tralità della lotta per la salute” nei luoghistessi dove << si realizzavano insieme e inmassimo grado la “concentrazione dellanocività e la spoliazione di questo bene pri-mario, quale estremo e preciso portato di

una scienza lungamente votatasi alla orga-nizzazione ‘scientifica’ del lavoro” >>.Nei luoghi stessi dove la “lotta collettiva perla salute, investiva il modo della produzio-ne e lo contestava proprio sul punto nodaledella sua falsa e deviata razionalità” (GiulioA. Maccacaro, Relazione introduttiva alPrimo Congresso nazionale di MedicinaDemocratica - Movimento di Lotta per laSalute). Una lotta collettiva per la salute, lasicurezza, l’ambiente salubre, i diritti umaniche contestava alla radice non solo comeprodurre ma anche cosa, per chi e dove pro-durre.

5. Da questo impegno si forma e con questefinalità si muove e opera Medicina Demo-cratica fin dall’inizio degli anni ‘70 affer-mando la positiva sussistenza di un dirittosoggettivo perfetto (alla salute), che nonpoteva rientrare nel sinàllagma contrattuale:la garanzia della salubrità dell’ambienteessendo un presupposto collocato all’ester-no di ogni singolo rapporto di lavoro. Diritto non negoziabile e, in tal senso, gene-ratore di un diritto intersoggettivo per ado-perare i termini usati da alcuni giuristi(Montuschi, sempre nel Commentario cita-to, e la rivista Quale Giustizia, nei fascicoli21/22 e 27/28, “La Nuova Italia”, 1974).

6. Al Congresso di Bologna, MedicinaDemocratica traccia dunque le linee cultu-rali e scientifiche ancor prima che politichedel suo programma:

- Tutelare attraverso azioni concrete, sulpiano delle istituzioni, il diritto alla salutedei cittadini, delle lavoratrici e dei lavorato-ri, dei pensionati, dei disoccupati e dellepersone deboli socialmente contro la loroemarginazione ed esclusione;- Intervenire, sul piano delle iniziative poli-tiche e giuridiche, ogni qualvolta questodiritto, nella sua più estesa accezione, vengaleso;- Promuovere l’affermazione di una politicadella prevenzione dei rischi e delle nocivitàall’interno come all’esterno dei luoghi dilavoro nonché della salute e medicina pub-blica;- Favorire l’incontro con istituzioni, gruppi,movimenti, leghe, comitati, associazioni,

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operanti per l’affermazione dei diritti allasalute, alla sicurezza, all’ambiente salubre,nonché per affermare i diritti umani, met-tendo a disposizione le proprie competenzee strutture, ogni volta ciò si renda necessa-rio.7. La qualità, la quantità e l’importanza pra-tica politica, sociale, culturale e tecnico-scientifica dell’Associazione sono docu-mentati dalla Rivista omonima pubblicata apartire dal 1975/76 dall’editrice La NuovaItalia, e, successivamente, in modo autoge-stito da “Medicina Democratica”.

DIRITTO AL LAVORO E DIRITTO ALLASALUTE, UN BINOMIO INSCINDIBILECome è facilmente intuibile, la precarietàdel rapporto di lavoro incide negativamentesia sulle generali condizioni di lavoro e divita delle lavoratrici e dei lavoratori, siasulla tutela della loro salute.Infatti, questi lavoratori sono stati - inaccet-tabilmente – privati dei diritti e delle neces-sarie tutele per il mantenimento del rispetti-vo posto di lavoro: ovvero sono stati privatidi un reale potere contrattuale nei confrontidell’azienda, pertanto, per restare al tema,non sono in grado di imporre alla stessaalcun intervento teso alla prevenzione deirischi e delle nocività presenti in una datarealtà lavorativa. In altri termini, il lavorato-re con contratto (precario) di lavoro a tempodeterminato è privo di forza contrattuale neiconfronti dell’impresa, dato che la stessapuò decidere in qualsiasi momento di nonrinnovargli il contratto di lavoro.Ad esempio (peraltro, situazione realistica),si consideri un lavoratore (giovane o anzia-no) che svolge lavori (precari) a tempo deter-minato e che, per necessità, è costretto acambiare di volta in volta la sede di lavoro,come potrà realisticamente acquisire lanecessaria informazione e formazione perprevenire gli specifici rischi lavorativi aiquali, suo malgrado, viene esposto nellediverse realtà lavorative? E quindi comepotrà tutelare la propria salute e dignità se èstato privato dei diritti e delle suddette tute-le? Non a caso i lavoratori precari (che da anniin Italia ammontano ad alcuni milioni dipersone) non hanno ancora sviluppato lottesignificative per la tutela della salute e la

sicurezza del e nel lavoro.E, purtroppo, il lavoro continua ad uccide-re... anche lentamente a causa dell’esposi-zione incontrollata a sostanze e agenti tossi-cancerogeni. Per tutti valga l’esposizionelavorativa all’amianto con la sua ininterrot-ta scia di morte, che generalmente giungedopo 20, 30, 40 e più anni dall’inizio dell’e-sposizione lavorativa alle fibre killer (le stra-gi di operai e popolazioni residenti nellezone limitrofe gli impianti esposti alle fibrekiller emesse dagli stabilimenti Eternit diCasale Monferrato, Cavagnolo, Rubiera,Bagnoli, nonchè da quelli della Fibronit diBroni e Bari, stanno lì a ricordarcelo!).La realtà delle morti operaie che si susse-guono sui luoghi di lavoro con una impla-cabile cadenza quotidiana ci ricordano chequesto lavoro continua ad uccidere, nellatotale indifferenza dei più.Per questo, va ribadito, anche in questa sedeche la vita e la salute non sono merci evanno difese sempre e comunque! Lo strumento legale di elezione per condur-re sui luoghi di lavoro questa lotta di lungalena è l’applicazione dell’art. 9 dello Statutodei Diritti delle Lavoratrici e dei Lavoratori,attraverso il quale <<I lavoratori, medianteloro rappresentanze, hanno diritto di con-trollare l’applicazione delle norme per laprevenzione degli infortuni e delle malat-tie professionali e di promuovere la ricer-ca, l’elaborazione e l’attuazione di tutte lemisure idonee a tutelare la loro salute e laloro integrità fisica.>> Una norma dello Statuto, frutto di vaste eincisive lotte di massa delle lavoratrici e deilavoratori, dentro e fuori le fabbriche, peraffermare la salute, la sicurezza, l’ambientesalubre.Lotte che, soprattutto dalla fine degli anni’60, hanno determinato radicali e positivicambiamenti dell’organizzazione del lavoroe dei cicli produttivi imponendo interventia ciò finalizzati, tesi ad eliminare ognirischio lavorativo ed a conquistare, pur framolteplici difficoltà e in un gran numero direaltà, anche i Servizi di Prevenzione, diIgiene e Medicina del Lavoro, e questo benprima della promulgazione della Legge diRiforma Sanitaria del 23 dicembre 1978,peraltro, frutto anch’essa di quelle lotte.Lungi da chi scrive fare un discorso agiogra-

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fico di quelle lotte, dei suoi protagonisti edelle organizzazioni sindacali (per limitarcia queste), anzi!In questa sede, senza fare la storia dell’art. 9dello Statuto - (ovvero sulla sua applicazio-ne e sulla sua mancata applicazione nellaconduzione delle lotte per la salute in fab-brica; peraltro, un’indagine che sarebbeutile fare) - va sottolineato a chiare lettereche tale norma, alla quale hanno fatto ricor-so molteplici realtà di fabbrica con risultatidiversi - qui non indagati - è stata da subitodisattesa e fortemente contrastata dalle dire-zioni aziendali, ma anche dalle organizza-zioni sindacali; risultato: oggi essa è scono-sciuta ai più, e non solo dentro le fabbriche.Viceversa, l’art. 9 dello Statuto va (ri)scoper-to, sia per la sua enorme portata culturale,ancor prima che politico-sindacale, sia perla sua dirompente proiezione sociale: infat-ti, il fulcro di questa norma è costituito dal-l’intervento diretto delle lavoratrici e deilavoratori sul ciclo produttivo e sull’orga-nizzazione del lavoro, affermando così illoro diritto – (e la loro capacità collettiva) –a trasformare la realtà, senza rilasciare dele-ghe ad altri, ovvero affermando la propriasoggettività, che non è soggettivismo – [loricordo a chi è digiuno di quelle lotte e diquel dibattito sulla Non neutralità dellascienza e della tecnica e del ciclo produttivoda esse derivato, con al centro: l’affermazio-ne della soggettività del Gruppo OperaioOmogeneo di Lavorazione; la rivendicazio-ne delRischio Zeroe la non accettazione deilimiti di esposizione agli agenti e alle sostan-ze tossico-nocive e cancerogene (i cosiddet-ti valori MAC e TLV proposti dalle agenzienazionali e internazionali), con la conte-stuale denuncia della loro inattendibilitàscientifica e del loro uso padronale teso allaperpetuazione del rischio; il No alla mone-tizzazione della nocività e del rischio e lalotta per la loro eliminazione; la non delegadella salute ai tecnici e la validazione deidati tecnici da parte del Gruppo Omogeneodi Lavorazione; il ruolo fondamentale del-l’inchiesta operaia sulle proprie condizionidi lavoro e di vita, segnatamente nella rico-struzione del ciclo produttivo e nella rileva-zione delle nocività e dei rischi presentinegli ambienti di lavoro, con incisive pro-poste di bonifica ambientale elaborate ed

approvate dalle assemblee di GruppoOmogeneo di Lavorazione, con la presenta-zione di puntuali piattaforme rivendicativeaziendali per realizzare interventi sugliimpianti e sull’organizzazione del lavorotesi ad eliminare ogni rischio e nocività, ...etc. etc.].Ho accennato a tutto questo non per stolidenostalgie del passato o per ignorare i pesan-ti attacchi subiti dal movimento operaio diquesto paese, soprattutto a partire dallaseconda metà degli anni ’70 - (chi era in fab-brica in quegli anni si ricorda quanto è avve-nuto a partire dall’assemblea nazionale deidelegati CGIL-CISL-UIL del 1977, tenutasi aRoma all’EUR) – e, men che meno, perrimuovere la devastante realtà che oggi laclasse operaia nelle sue molteplici articola-zioni sociali vive sulla propria pelle, anzi!(Sul punto, si legga: frammentazione delciclo produttivo e della forza lavoro, bassisalari, una miriade di contratti di lavoro che,nei fatti, come più volte ricordato sancisco-no il lavoro precario a tempo indeterminato,il lavoro in nero, la cassa integrazione ed ilicenziamenti dilaganti, sia per chi - indige-no o straniero - ha un rapporto di lavoro atempo determinato che a tempo indetermi-nato; il tutto in presenza della promulgazio-ne di leggi tese a cancellare i diritti fonda-mentali delle lavoratrici, dei lavoratori, enon solo di essi).Nel chiudere queste note, si sottolineal’angustia culturale, ancor prima che poli-tica, degli odierni fautori ed estimatoridella c.d. riforma del mercato del lavoro,approvata il 31 maggio 2012 dal Senatodella Repubblica. Viceversa, va ribadita l’importanza fonda-mentale che rivestono i diritti sociali comediritti di libertà: senza il loro pieno godi-mento la democrazia non è altro che unvuoto simulacro!Sul punto, mi preme richiamare le lucideparole di Norberto Bobbio, che ha definito idiritti sociali (e nella definizione sonoovviamente compresi i cosiddetti diritti eco-nomico-sociali) <<come l’insieme delle pre-tese o esigenze da cui derivano legittimeaspettative, che i cittadini hanno, non comeindividui singoli, uno indipendente dall’al-tro, ma come individui sociali che vivono, enon possono non vivere, in società con altri

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NOTE1. Clara Luce, ambasciatrice USA in Italia dal4 maggio 1953 al 27 gennaio.1956.2. Adriano Ballone, Uomini, Fabbrica ePotere – Storia dell’Associazione nazionaleperseguitati e licenziati per rappresagliapolitica e sindacale, Franco Angeli Libri,Milano 1987. In questo interessante e docu-mentato libro, sul punto si legge (cfr. p. 288):“A partire dal 1952 ingenti commesse perl’aeronautica provengono dagli USA: per l’e-sercito americano la Fiat costruisce il motorea reazione <<Ghost>>, i motori AllisonJ35.A29, parti del <<Vampire>>. Producecomponenti del <<F 86 K>> per la NorthAmerican Aviation, che commissionerà 120unità. Per il mercato NATO la Fiat progetta il<<Fiat G 82>> e per l’Italia i modelli <<G91>> e <<G 84>>, gli aeroplani scuola <<G46>>, <<G 49>>, e <<G 59>>”.3. Aldo Agosti, Prefazione al libro di AdrianoBallone, Uomini, Fabbrica e Potere – Storia dell’Associazione nazionale perseguitati elicenziati per rappresaglia politica e sindaca-le, Franco Angeli Libri, Milano 1987, ove siprecisa che questi dati sono desunti dalnumero delle domande presentate per il recu-

pero delle pertinenze maturate ai sensi dellaL. n° 36/1974. 4. Cfr. T. Treu, I governi centristi e la regola-mentazione dell’attività sindacale, inProblemi del movimento sindacale in Italia1943 – 1973, Fondazione GiangiacomoFeltrinelli, <<Annali>>, anno XVI, 1974 –1975, pp. 561 e sgg.5. E. Pugno, S. Garavini, Gli anni duri allaFiat. La resistenza sindacale e la ripresa,Einaudi Torino 1974, p. 4.6. Aldo Agosti, nella Sua Premessa a pag. VIIIdel libro di A. Ballone, in riferimento a questifatti cita la documentazione accuratamente rac-colta da G. Carocci, Inchiesta alla Fiat, Parenti,Firenze 1960. Inoltre, Agosti ricorda pure unfatto emblematico, ma poco noto, venuto allaluce successivamente e rapidamente dimenti-cato; si tratta di quanto documentato da BiancaGuidetti Serra nel libro: Le schedature Fiat.Cronaca di un processo e altre cronache,Torino, Rosenberg e Sellier, 1984.7. Romano Canosa, Il giudice e la classe:appunti sulla magistratura di sinistra inItalia, in <<Politica del diritto>>, nn. 3-4,agosto 1972, pagg. 609–642, Il Mulino,

individui.>> E ha richiamato una (relativa-mente) recente definizione di <<diritti digiustizia>>, aggiungendo che <<si può diresinteticamente che la democrazia ha perfondamento il riconoscimento dei diritti dilibertà e come naturale complemento ilriconoscimento dei diritti sociali o di giusti-zia>>. Bobbio continua: <<Si intende che ilriconoscimento di questi diritti socialirichiede l’intervento diretto dello Stato,tanto che vengono chiamati anche “diritti diprestazione”, proprio perché richiedono, adifferenza dei diritti di libertà, che lo Statointervenga con provvedimenti adeguati […].E’ un problema la cui soluzione dipendedallo sviluppo della società>>. L’oggetto comune a questi diritti è la cosid-detta sicurezza sociale, che significa <<l’in-sieme degli istituti giuridici mediante i qualilo Stato realizza la libertà dal bisognogarantendo a tutti i membri della comunitài mezzi per sopravvivere>>.<<Sinteticamente, i diritti sociali fonda-mentali sono tre: all’istruzione, al lavoro,alla salute>>. La coniugazione in costitu-zione di taluni di questi diritti, come quelloalla salute, come diritti dell’individuo e

come interesse della collettività <<fannocapire che ciò che caratterizza un dirittosociale a differenza di un diritto di libertà, èche esso è riconosciuto e protetto non solonell’interesse primario dell’individuo, maanche nell’interesse generale della societàdi cui l’individuo fa parte. E’ nell’interessedella società, infatti, che i cittadini sianoistruiti piuttosto che ignoranti, occupatipiuttosto che disoccupati, in buona salutepiuttosto che infermi>>. Il nocciolo delragionamento è il seguente: <<Ritengo che ilriconoscimento di alcuni diritti sociali fon-damentali sia il presupposto o la precondi-zione di un effettivo esercizio dei diritti dilibertà. L’individuo istruito è più libero di unincolto; un individuo che ha un lavoro è piùlibero di un disoccupato; un uomo sano èpiù libero di un ammalato>>.E il saggio di Bobbio si chiude con unrichiamo all’insegnamento di Piero Cala-mandrei, che già nel 1946 aveva affermatoche anche i diritti sociali sono diritti dilibertà, perché <<costituiscono la premes-sa indispensabile per assicurare a tutti icittadini il godimento effettivo dellelibertà politiche.>> (30)

Medicina Democratica numero 207 gennaio / febbraio 201374 Atti La magistratura ed il futuro del diritto del lavoro, convegno promosso dall’Associazione Romano Canosa per gli studi storici, il 12 giugno 2012 - Milano, Società Umanitaria

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Bologna, 1972.8. Romano Canosa in Il giudice e la classe:appunti sulla magistratura di sinistra inItalia, sul punto a pag. 636 cita. M. S.Giannini, Basi costituzionali della proprietàprivata, in <<Politica del diritto>>, 1971, pp.443 e seguenti.9. Romano Canosa, op. cit. Il giudice e la clas-se: appunti sulla magistratura di sinistra inItalia, pp. 636 – 637, ove l’Autore sottolineache un atteggiamento di questo tipo è tutt’altroche venuto meno. Nel congresso di Salerno delmaggio 1970, dedicato a <<Il giudice nellademocrazia moderna>>, organizzato dallaUnione Magistrati Italiani, uno degli esponentidi questo sodalizio, il Colli, affermava: <<Ma seè vero che nel 1946-47 non si poteva far meglio,le conseguenze furono gravi: da un lato la gene-ricità di molte affermazioni (difficile chiamarlenorme), dall’altro numerose proposizionisostanzialmente contraddittorie>> (vedi testointegrale dell’intervento in <<Rassegna deimagistrati>, 1970, p. 455). 10. Romano Canosa, La gestione dello statutodei lavoratori, in <<Politica del diritto>>,nn. 3-4, agosto 1972, p. 357.11. Romano Canosa, Magistratura e conflitti dilavoro, pp. 150 – 151, in <<L’amministrazionedella giustizia in Italia>>, Atti del Convegnotenuto all’Università Statale di Milano nel mag-gio 1973.12. Romano Canosa, Il nuovo processo dellavoro, in <<QUALEgiustizia>>, nn. 21-22,maggio-agosto 1973, p.369, La Nuova Italia,Firenze, 1973. 13. Romano Canosa, ibidem.14. Romano Canosa, Diritto e rivoluzione,Mazzotta editore, Milano, 1977, pag. 41 eseguenti.15. Romano Canosa, Il diritto del lavoro oggi, in<<Critica del Diritto>> n. 15, Settembre-Dicembre 1978, p. 33, Milano Gabriele Mazzottaeditore.16. Cfr. <<Rivista giuridica del lavoro…>>,1977, n° 2, p. 242 segg., citato da RomanoCanosa, in Il diritto del lavoro oggi, <<Criticadel Diritto>> n. 15, Settembre-Dicembre1978, pp. 33 - 34, Milano Gabriele Mazzottaeditore.17. Sugli effetti dannosi a medio e lungo ter-mine del provvedimento per i lavoratori esulla estinzione indolore della indennità dianzianità perseguita attraverso di esso, siveda P. Alleva, Il problema dei c.d. <<auto-matismi retributivi>>: questioni giuridiche eorientamenti sindacali (tavola rotonda),<<Rivista giuridica del lavoro…>>, giugno

1977, p. 445 segg.; citato da Romano Canosain Il diritto del lavoro oggi, <<Critica delDiritto>> n. 15, Settembre-Dicembre 1978, p. 34.18. Romano Canosa, ibidem, p. 34.19. S. Mazzamuto, P. Tosi, Il costo del lavoro tralegge e contratto in <<Rivista giuridica del lavo-ro…>>, 1977, n° 2, p. 219 e segg., citato daRomano Canosa in Il diritto del lavoro oggi,<<Critica del Diritto>> n. 15, Settembre-Dicembre 1978, p. 34.20. S. Mazzamuto, P. Tosi, ibidem.21. Romano Canosa, in Il diritto del lavoro oggi,<<Critica del Diritto>> n. 15, Settembre-Dicembre 1978, p. 35, Milano Gabriele Mazzottaeditore.22. Si veda Romano Canosa, in Il diritto del lavo-ro oggi, <<Critica del Diritto>> n. 15, nota 8, pp.53 – 54, Settembre-Dicembre 1978, MilanoGabriele Mazzotta editore.23. Romano Canosa, I contratti collettivi del1983, in Lavoro Impresa Diritto negli anni ’80,pp. 68 – 71, Sapere 2000, 1984.24. Cfr. il Manifesto, quotidiano del 24 maggio1985.25. Termine più volte usato negli ultimi sei mesidall’on. Bersani nelle interviste televisive, non-chè da altri esponenti politici.26. Per esempio, nel settembre 2003 quando fuemanato il D.Lgs. n° 276, in Italia il numero com-plessivo dei cosiddetti lavoratori Co.Co.Co. eradi 2.300.000.27. Un’Idea di Paese: un Mercato del LavoroRiformista – Roma 14.05.2009, Convegnoorganizzato dal Circolo On Line PdCommunitas 2002 dal titolo “QUALE LAVO-RO NELLA GRANDE CRISI, Flessibilità eGaranzie per sconfiggere la Precarietà”(www.pd.communitas2002.org;www.pd.communitas2002.org).28. Mario Fezzi, “I contratti a progetto nellalegge Biagi (D.Lgs. 276/03) – Alcuni dubbiinterpretativi” in DL on line – Rivista telema-tica del lavoro. http//www.di-elle.it/Approf/Fezzi%20-%20Contratto %20a%20progetto.htm29. Per una più estesa trattazione su MedicinaDemocratica e la figura di Giulio Maccacaro, fragli altri, si veda Luigi Mara: “Scienza, salute eambiente. L’esperienza di Giulio Maccacaro e diMedicina Democratica” pp. 49 -71, in <<Il ’68 ela scienza in Italia>>, a cura di AngeloGuerraggio, PRISTEM/Storia nn. 27-28,Università Bocconi di Milano, Centro Pristem,Dicembre 2010.30. N. Bobbio, Sui diritti sociali, in G. Modana (acura di), Cinquant’anni di Repubblica italiana,Torino 1996, pp. 115 – 124.

Medicina Democratica numero 207 gennaio / febbraio 2013Atti 75La magistratura ed il futuro del diritto del lavoro, convegno promosso dall’Associazione Romano Canosa per gli studi storici, il 12 giugno 2012 - Milano, Società Umanitaria

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TRENTINO - ALTO ADIGE - Adriano Rizzoli, via dei Castori, 55 –38121 Martignano (TN) – tel. 0461820002 – [email protected].

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BASILICATASede M.D, via E. De Martino 65, 75100Matera.- Mario Murgia, via Martino 47, 75100Matera, tel. 340.7882621 email:[email protected]

TOSCANASede M.D. Firenze, Piazza Baldinucci8/rosso, 50129 Firenze- Gino Carpentiero, via Montebello 39,50123, Firenze, tel 055285423;0556263475; e-mail [email protected];cell. 347-5481255 - Beppe Banchi, via Incontri 2, 50139,Firenze, tel 055412743,e-mail: [email protected] Maurizio Marchi, via Cavour 4, 57013Rosignano Solvay (LI) tel 328-4152024;e-mail: [email protected] Floridi Amanda, via Verdi 110, 57127Livorno; - Liliana Leali via Montebello 38, 50123Firenze tel. 3280535454- Marcello Palagi, via XX Settembre n°207, 54031 Avenza (MS). tel.0585/857562e-mail: [email protected]

VENETO- Antonio Pignatto - via Beccaria 41/B -30175 Marghera (VE) - tel 041/924618 -e-mail: [email protected] Franco Rigosi - via Napoli 5 - 30172Mestre (VE) - tel. 041/952888 - e-mail:[email protected] Ferruccio Brugnaro, Spinea (VE), Tel.041/992827- Maria Chiara Rodeghiero, piazza Biade11, 36100 [email protected] Paolo Nardin, via Don Sante Ferronaton° 44/2, 33030 Pianiga (VE), tel.3497447189, e-mail: [email protected](referente per Padova e provincia)

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LIGURIA- Sede M.D. Via Crispi 18 rosso, 17100Savona, tel. 0192051292, e-mail:[email protected] Maurizio Loschi, via Luccoli 17/7,17072 Albisola Mare (SV), tel.019486341 cell.3474596046, [email protected], skype: mauryematty- Eraldo Mattarocci, [email protected] Avv. Rita Lasagna Piazza della Vittoria14/18 Savona 17100, cell. 3356152757- Valerio Gennaro via Trento 28, 16145Genova, tel. 010.310260 - 010.5558.557(ore 9.00-19.00) skype: valeriogennaro1;e-mail: [email protected]

SARDEGNA- Francesco Carta, via Toscanini 7,09170 Oristano

Referenti di Medicina DemocraticaMovimento di Lotta per la Salute - O.N.L.U.S.

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Le Monde Diplomatique, mensile di politica internazionale.il 15 di ogni mese in edicola con il manifesto, a € 3,00.

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Medicina Democratica numero 207 gennaio / febbraio 2013

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1960, sciopero degli operai Fiat.

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Medicina Democratica numero 207 gennaio / febbraio 201380 La magistratura ed il futuro del diritto del lavoro, convegno promosso dall’Associazione Romano Canosa per gli studi storici, il 12 giugno 2012 - Milano, Società Umanitaria

Foto di Isabella Colonnello in Dove era la fabbrica, Milano 1987 - Società Smeriglio, Bovisa - Milano

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SSoommmmaarriioo

Medicina Democratica numero 207 gennaio / febbraio 20134 sommario

La Magistratura e il futuro del diritto del lavorodi Andrea RAPINI 1

Romano Canosa, il magistrato e lo storico,biografia a cura della omonima Associazione per gli studi storici 5

In ricordo di Romano Canosadi Amedeo SANTOSUOSSO 7

(Auto)rappresentazioni di settori della magistraturatra Stato e società, 1945 – 1992di Giovanni FOCARDI 10

Il ruolo della Pretura del Lavoro di Milano nell’elaborazione di una giurisprudenza ancorata alla Costituzione per la promozionedella dignità e dei diritti dei lavoratori di Antonio IANNIELLO 25

Il ruolo di Romano Canosa per il diritto del lavoro viventedi Salvatore TRIFIRO’ 34

Magistratura e società.Gli anni ’70.Dal ’68 e dall’autunno caldo del ’69 alla strategia della tensione e al terrorismo di Edmondo BRUTI LIBERATI 39

Il diritto del lavoro non può essere consideratoavulso dal contesto generale del dirittodi Giuseppe PELAZZA 45

Romano Canosa e la giurisprudenza del lavorodell’inizio degli anni ‘70di Gilberto VITALE 49

Diritto al lavoro e diritto alla salute: evoluzione e regressione.Il contributo di Romano Canosadi Luigi MARA 53

La magistratura ed il futuro del diritto del lavoro, convegno promosso dall’Associazione Romano Canosa per gli studi storici, il 12 giugno 2012 - Milano, Società Umanitaria

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Medicina Democratica numero 207 gennaio / febbraio 2013

La magistratura ed il futuro del diritto del lavoro, convegno promosso dall’Associazione Romano Canosa per gli studi storici, il 12 giugno 2012 - Milano, Società Umanitaria

IL MAGISTRATORomano Canosa nasce il 6 agosto 1935 aOrtona. Si iscrive a Legge a Roma dove,ospite della Casa dello studente, fa le primeesperienze di “conflitto” sociale nell’am-biente universitario. Come egli scrive: “LaCasa dello studente a Roma era allora unostrano posto dove confluivano da tutto ilMeridione gli studenti con le medie moltoalte. L’ambiente era un misto di pazzia, digenialità e di disperazione che non ha maismesso di stupirmi. Intellettuali già sradica-ti, figli della piccola e piccolissima borghe-sia meridionale, megalomani in cerca di undestino (che solo poche volte avrebberoavuto), sgobboni che studiavano dalla mat-tina alla sera senza uscire dalla stanza,ignorando tutto quello che non era scrittonei libri, esponenti di grandi famiglie (vi eraanche un Berlinguer).” (da “Storia di un pre-tore”, Einaudi, 1978, pag.4). Si laurea nel1957 con una tesi di diritto civile con il prof.Emilio Betti. Dopo quattro anni di esperien-ze in studi professionali romani, nel 1961vince il concorso per la magistratura e vieneinvitato a presentarsi alla pretura di Milano.Si rende subito conto delle piaghe che afflig-gono la giustizia italiana: burocratismo, len-tezza, chiusura culturale della dirigenza eclassismo. Nel 1963 gli vengono affidate “le funzioni”e cioè le prime cause da decidere in primapersona. Si iscrive alla AssociazioneNazionale Magistrati e aderisce in un primomomento alla corrente moderata di TerzoPotere che lascia nel 1969 per aderire aMagistratura Democratica divenendoneuno dei protagonisti. Nel 1970 viene asse-gnato alla Sezione Lavoro della pretura diMilano e, con l’approvazione nel 1970 delloStatuto dei Lavoratori, è giudice in una serie

di casi dove le sue sentenze, magistrali erivoluzionarie, che associavano il rigoredella norma alla tutela dei lavoratori, diven-nero fondanti di una nuova cultura dellecause di lavoro. Da allora fino alla fine dellasua carriera Romano Canosa conduce unasistematica azione critica del sistema “giu-stizia” in Italia. Di questa battaglia restanovivissimi documenti nei suoi libri: “LaPolizia in Italia dal 1945 ad oggi” (1976);“Diritto e Rivoluzione” (1977); “Il giudice ela donna” (1978); insieme a Pietro Federico“La Magistratura in Italia dal 1945 ad oggi”(1974); “Storia della Magistratura in Italia:da piazza Fontana a Mani Pulite” (1996).Di particolare interesse il resoconto autobio-grafico del 1978, “Storia di un pretore”: unavissuta cronaca coraggiosa e appassionatadella vita e dei conflitti nella magistraturaitaliana negli anni caldi delle lotte sindacalie del 1968. Preziosi documenti per la com-prensione delle vicende della Magistraturaitaliana negli anni ‘70, ‘80, anche i suoi scrit-ti in “Critica del diritto”, nei “Quaderni pia-

*Biografia a curadell’AssociazioneRomano Canosa pergli studi storici.

biografia 5

Romano Canosa, il magistrato e lo storico*

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centini” e in “Sapere” (cfr bibliografiahttp://www.romanocanosa.it/itweb/biblio-grafia.html). Romano lascia la Magistratura nel 2005 e sidedica completamente alla passione deisuoi studi storici. La sua indipendenza digiudizio e la sua libertà di pensiero nehanno fatto un simbolo di coraggio civile edi coerenza etica che resta, oltre al monu-mento di opere storiche, il suo legato piùprezioso.

LO STORICOFin dagli anni Settanta Romano Canosa scri-ve di giudici, diritto, formazione della legge,iniziando con il libro La magistratura inItalia dal 1945 ad oggi (Il Mulino, Bologna,1974). Collabora contemporaneamente alleriviste Quaderni Piacentini, Il Mulino,Quale Giustizia, Critica del diritto, Politicadel Diritto, Magistratura Democratica, Laquestione criminale ed altre ancora. In que-sto periodo i temi centrali del suo lavorosono dedicati alla legislazione sull’aborto,alle sanzioni contro il fascismo, ai diritti delsoldato.Nel 1978 esce per Einaudi Storia di un pre-tore esemplare racconto della sua esperien-za giudiziaria che indusse molti giovani adentrare in magistratura. Un diario coraggio-so, avvincente, ricco di passione umana epolitica che, oltre al quotidiano lavoro di ungiudice, narra il movimento di MagistraturaDemocratica attraverso i problemi e la crisidella società italiana del tempo: i licenzia-menti, la chiusura delle fabbriche, la con-dizione dei lavoratori, i comportamentipadronali. Nel 1976 esce, per i tipi di IlMulino, La polizia in Italia dal 1945 a oggi.Frequenta il gruppo di Medicina Demo-cratica e scrive una Storia del manicomioin Italia dall’unità ad oggi (Feltrinelli,Milano,1979). Negli anni Ottanta Canosasi occupa ancora di magistrati ma spostan-dosi molto indietro nel tempo. Insieme adAmedeo Santosuosso scrive nel 1981 perFeltrinelli Magistrati, anarchici e socialistialla fine dell’Ottocento in Italia e nel 1983,per l’editore romano Sapere 2000, pubblicaTempo di peste: magistrati ed untori nel1630 a Milano. In un movimento di andatae ritorno nel tempo, i suoi interessi si spin-

gono sempre più verso la storia sociale,quella delle istituzioni totali, della devian-za e della sessualità (cfr. bibliografia). E’ in questi anni che inizia una Storiadell’Inquisizione in Italia dalla metà delCinquecento alla fine del Settecento (Sapere2000, Roma,1986) in cinque volumi checompleterà nel 1990. Lo studio del Seicentodiventa sempre più dominante nel suo lavo-ro di storico come anche la frequentazionedegli archivi spagnoli che saranno una suameta ricorrente per gli anni a venire.Questa apertura verso l’Età Moderna portaRomano, negli anni Novanta, ad interessar-si alla storia di Milano ed alla sua grandez-za e miseria nell’Italia spagnola, alla storiadel Mediterraneo nel Seicento come anchea quella dei banchieri genovesi e sovranispagnoli fra Cinquecento e Seicento, aLepanto e alla Lega santa contro i turchi edalla storia dei Farnese. Ma non trascura inquesti anni temi più attuali. Pubblica unaseconda Storia della magistratura inItalia da piazza Fontana a Mani pulite(Baldini e Castoldi, Milano,1996), unaStoria della criminalità in Italia: 1845-1945 (Einaudi,Torino,1991) ed una Storiadell’epurazione in Italia: le sanzioni con-tro il fascismo 1943-1948 (Baldini eCastoldi, Milano, 1999).Questo instancabile storico, dalla incredibi-le mole di lavoro sempre realizzato su unfaticoso scavo di archivio, (70 volumi pub-blicati), continua negli anni Duemila adaffrontare due nuovi percorsi che siintrecciano fino al 2010. Sono: La storiadell’Abruzzo, dedicata alla sua terra, insedici volumi, che vanno dal Cinquecentoal Novecento, pubblicati con la casa editriceortonese Menabò e la storia del fascismo: Iservizi segreti del Duce, nel 2000, La vocedel duce: l’agenzia Stefani, nel 2002,Graziani: il maresciallo d’Italia nel 2004, Acaccia di ebrei: Mussolini, Preziosi e l’anti-semitismo fascista, nel 2006, Mussolini eFranco: amici alleati, rivali, nel 2008,Farinacci: il superfascista nel 2010, tuttipubblicati con la casa editrice Mondadori.Infine il suo penultimo libro: Pacelli: guerracivile spagnola e nazismo (Sapere 2000,Roma, 2009). Romano Canosa muore aOrtona il 7 agosto 2010.

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La magistratura ed il futuro del diritto del lavoro, convegno promosso dall’Associazione Romano Canosa per gli studi storici, il 12 giugno 2012 - Milano, Società Umanitaria

Romano ci ha lasciato, in silenzio e inpunta di piedi, da quella persona discreta enon amante delle forme inutili e dellamondanità che era. Così ha vissuto gli ulti-mi mesi della malattia, con il conforto dipochi eletti amici e con la cura premurosa,instancabile e amorevole della sua Isabella,la compagna della sua intera vita, che solochi ha conosciuto Romano oltre le esterio-rità può sapere quanto egli abbia semprerispettato e amato.

ROMANO IL GIUDICENegli ultimi anni ha firmato i suoi libridefinendoli semplicemente come storico, estorico di sicuro era. Romano è stato e hacontinuato a essere, anche dopo essersiritirato in pensione, un giudice, un giudicedeluso dai giudici italiani, ma profonda-mente legato a quella che è stata la sua pro-fessione di un’intera vita. Non credo che il non definirsi giudicefosse frutto di oblio o di disconoscimentodella sua vita professionale. Era piuttostofrutto di delusione, una delusione che talo-ra sfiorava il risentimento doloroso e, inqualche momento, quasi astioso, comequello di chi ha una ferita aperta. In uno dei nostri ultimi incontri mi avevaanche espresso il rammarico per non averefatto di più per la magistratura italiana. MaRomano aveva fatto tanto. “Volevamo fare di ogni giudice italiano ungiudice del livello di quelli della CorteSuprema americana, e invece...”, e giù cri-tiche pesantissime verso chi (i giudici ita-liani!), pur godendo di un livello di garan-zie, di autonomia e indipendenza che forsenon ha pari al mondo, aveva atteggiamenti(non dico corrotti) ma anche solo servili oconformisti, verso chicchessia, superiori,

potenti ministeri, partiti, sindacati ...Memorabili le sue battaglie contro quellicon “la tessera in tasca” ... Quando, una ventina di anni fa, ha smessodi partecipare attivamente alla vita associa-tiva nella magistratura, un pò di personemiopi, che intanto curavano le loro carrie-re dentro e fuori la magistratura, hannotirato un respiro di sollievo. Si sono sentitial riparo delle sue critiche corrosive e, talo-ra, annichilenti. E lo hanno ignorato. E cosìè accaduto che un giudice di levatura e diorizzonti culturali fuori dal comune, comeRomano era, sia oggi sostanzialmente sco-nosciuto alle nuove generazioni. E questo èun torto nei confronti di Romano e, certa-mente di più, verso la magistratura italia-na.

ROMANO IL GIURISTATalora amava dire: “Ma cosa fai? Ti metti afare il giurista adesso?” Lui, giurista finis-simo e lungimirante, aveva in odio il for-malismo conformista e gretto, il bel ragio-namento giuridico fine a se stesso, la nonattenzione verso il mondo, verso le ingiu-stizie, la non apertura verso una prospetti-va più ampia, più alta. Giudice del lavoro, aveva in antipatia,qualsiasi ingiustizia e furbizia, da chiun-que venisse, anche dai lavoratori: “i lavo-ratori sono dei ... [poco di buono]”, dicevae subito dopo aggiungeva “solo i datori dilavoro sanno essere peggio”. Era una dellefrasi paradossali che amava ripetere, fruttodi una visione profonda e disincantata sulmondo, che però non gli impediva di esse-re profondamente mobilitato contro leingiustizie, le disuguaglianze, le sopraffa-zioni.Aveva la capacità straordinaria (uno dei

*Magistarto pressola Corte d’Appellodi Milano, SezioneCivile.Intervento in ricordodi Romano Canosadurante la cerimo-nia funebre del 9agosto 2010 .

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In ricordo di RomanoCanosa

di Amedeo SANTOSUOSSO*

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principali insegnamenti che da lui ho rice-vuto) di cogliere, anche nella più piccolavicenda di lavoro e di vita, la scintilla chela animava, quasi il riflesso di una norma odi un principio superiore, che, in quantotali, erano suscettibili di applicazione uni-versale. Chi accusava Romano di partigianeriamostrava (e, se lo fa oggi, ancora mostra)solo ignoranza e incapacità di cogliere que-sta sua straordinaria sensibilità teorica, cul-turale e umana.

I LIBRI: LA SUA FINESTRA SULMONDOHo scritto con Romano il mio primo libro.Io trentenne e lui quarantacinquenne, giàmolto noto e affermato. Fu un’emozione eun impegno enorme. Non dimenticherò mai l’estate del 1980,passata a ricercare e scrivere, sempre con iltimore del giudizio di Romano. Andòbene. Ho appreso da lui alcuni fondamentalietici e culturali di cui gli sarò sempre grato:paga sempre i tuoi debiti culturali, non faremai affermazioni di cui non hai la certezzadocumentaria, non temere il lavoro deglialtri e non essere invidioso, ai la tua parte,“c’è posto per tutti” amava ripetere, e altroancora...

Si. Romano amava il mondo, e i libri eranola sua finestra sul mondo. Era insaziabil-mente attento alle dinamiche umane, allemiserie e alle passioni che agitano l’animoumano. Negli ultimi anni era un po’ preoccupatodalle cose nuove del mondo, e di questotante volte abbiamo parlato. Mi diceva, coninteresse, ma avvertendomi di quello checonsiderava un rischio: “Si, Amedeo, matu sei troppo a favore di queste cose discienza...” Il suo era un misto di interesse e di timore.Lui, che da sempre era stato attento al rap-porto tra scienza, medicina, psichiatria ediritto, scrivendo testi assai importanti(con Romano io avevo scoperto la frenia-tria ottocentesca!), aveva negli ultimi anniprestato la sua attenzione soprattutto versole dinamiche del mondo di lunga durata.Aveva una vorace curiosità verso le cose

umane, che osservava come da un foro,costituito dai suoi studi e dai suoi libri. Ilibri erano il suo mezzo di comunicazionecon la vita, quasi che la presa diretta potes-se essere troppo forte o limitare la sualibertà.

Non tollerava la storia come ideologia(ogni storico è privatamente disposto ariconoscere che la storia, specie quella con-temporanea, è affetta da un alto tasso diideologia, di partito preso, di asservimentoa una tesi politica, che la rende poco credi-bile). La sua risposta era un aggancio rigo-rosissimo al dato documentario, comereperibile negli archivi, che negli ultimidecenni ha frequentato in Italia e Spagnacon una regolarità e un impegno crescenti. Alla vacuità e arbitrarietà di certi raccontistorici Romano ha preferito l’esposizioneaustera, talora spoglia, del materiale docu-mentario, delle fonti archivistiche. Ne èrisultato uno stile asciutto, senza conces-sioni alle mode culturali, che talora gli sto-rici dell’accademia (senza citarlo) glihanno rimproverato, ma che gli editori,anche importanti, hanno apprezzato con lapubblicazione di suoi numerosi libri.

Gli studi sul suo Abruzzo sono stati unritorno a casa, ricercato e ricostruito conpassione, passo dopo passo. L’accoglienza della sua terra lo gratificava,mentre continuava quello che era essen-zialmente un suo percorso interiore.Anche in questo caso il ritorno a elementifondamentali della vita locale è stato daRomano collegato a dinamiche storiche epolitiche più ampie. Era il suo tratto fon-damentale.

ROMANO: UN CARATTERE DIFFICILE Romano amava provocare e ci riusciva damaestro. Lo faceva con un gusto pari alla cecità dichi prendeva alla lettera le sue provocazio-ni. Tutti, prima o poi, ci siamo caduti. Ma,alla lunga, abbiamo dovuto il più dellevolte riconoscere che, oltre i paradossiimmediati che amava presentare, vi era unnocciolo di verità, di insofferenza allemode, ai luoghi comuni, al politicamentecorretto. Un invito a pensare in modo libe-

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ro e autonomo.Amava mostrarsi autosufficiente, e larga-mente lo era, ma soffriva, credo più diquanto si pensasse, delle incomprensionidegli amici, dei colleghi, degli editori, dellacecità dell’accademia e, talora, del mondodella cultura. Romano ci lascia un patrimonio enorme distudi e ricerche, dove spesso ha avuto ilruolo di chi dissoda un terreno ostile onegletto, che meriterebbe di essereapprofondito e proseguito. Speriamo checiò accada.

“Ma che fai? Ti vuoi intristire adesso? ”Era una delle sue frasi dei momenti diffici-li, quando vi era quanlcosa di serio, e nonrisolvibile, da fronteggiare. Siamo tutti molto tristi per la morte diRomano, ma è come se la sua voce echeg-giasse, qui ora, e, pur nell’apprezzare l’af-fetto e la vicinanza nostri a lui e a Isabella,ci invitasse a vivere intensamente, comelui amava.

Ortona, 9 agosto 2010. Chiesa di Santa Maria in Constantinopoli.

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(Auto)rappresentazioni disettori della magistratura traStato e società, 1945 - 1992

di Giovanni FOCARDI*

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PREMESSAIn questo saggio analizzerò alcuni aspettidella storia della magistratura italiana o,meglio, di alcuni gruppi di magistrati. Il tito-lo “Tra Stato e società” allude al ruolo rico-perto dalla magistratura dentro le istituzionistatuali, al suo rapporto nei confronti dellestesse istituzioni, cioè verso gli altri poteridello Stato, in particolare quello politico (1).“Società” nel senso che accenno a comealcuni magistrati si siano percepiti e in chemodo si siano mostrati, a quale immagineabbiano fatto riferimento quando si rappor-tavano all’opinione pubblica; e così l’aspet-to speculare, ovvero come la società “civile”tramite alcuni media (la stampa, ad esem-pio) abbia considerato e tratteggiato la magi-stratura e i magistrati.Il tema potrebbe essere affrontato con altrefonti quali, in primis, le sentenze e le rivistedegli stessi magistrati che, in secundis, sonospesso i documenti (insieme alle interviste,e agli atti dei convegni delle varie correnti eassociazioni dei magistrati) utilizzati dagiornalisti e studiosi per informare l’opinio-ne pubblica di ciò che stava accadendo.Svilupperò l’intervento per temi, in unaquasi sempre lineare successione cronologi-ca, facendo alcuni esempi tratti dalla realtàgiudiziaria milanese, che risulta sovraespo-sta rispetto al resto del paese: con l’auspicioche tale distorsione prospettica non alteri ilsenso generale di questa descrizione.

1. - EPPUR SI MUOVE: LA MAGISTRA-TURA NELL’ITALIA REPUBBLICANADopo un quindicennio di apparente stasi,dovuto al periodo di “inattuazione dellaCostituzione” e al cosiddetto “ostruzioni-smo di maggioranza” (2), alla fine degli anni’50 il mondo della magistratura si muove in

concomitanza con i cambiamenti in attonella società italiana che si trasforma dapaese agricolo a paese industriale e con unsostenuto sviluppo del terziario; vi sonoflussi migratori dalle campagne alle città, epersistono forti differenze e contrasti cultu-rali e sociali tra questi due mondi.Negli anni ’50 un osservatore dell’ammini-strazione della giustizia in giro per l’Italiatroverebbe, rispetto agli anni ’30, che difronte a una cornice del tutto diversa (laCostituzione repubblicana sancisce e rico-nosce il ruolo autonomo della magistratura),il quadro è cambiato poco nelle prassi quo-tidiane; dentro i palazzi di giustizia, tra imagistrati e nelle aule di tribunale; i codicidella “nuova” Italia sono quelli degli anni’30 leggermente ripuliti e corretti; così comepoco o nulla c’è di diverso fuori, tra l’ordinegiudiziario e le altre istituzioni, il governo eil suo guardasigilli anzi tutto (3).Sottolineo “ordine”, ma potrei dire “poteregiudiziario” visto il riconoscimento interve-nuto nel testo costituzionale; tuttavia è piùgiusto dire che il “potere” è tale verso l’in-terno, tra i magistrati stessi costretti in preci-si rapporti gerarchici al cui vertice sono igiudici della Cassazione, e non tanto versol’esterno, nei confronti degli altri poteri, illegislativo e l’esecutivo. Già dai tempi delloStatuto albertino la magistratura è un potere“intrinseco” ed è in tal senso una parte, unacomponente del potere politico. Napoleoneavrebbe sentenziato che “l’intendenzasegue”; e nonostante un vivace ed efferve-scente associazionismo giudiziario, dopo il1945, è difficile trovare tracce di una magi-stratura non in linea con i disegni politiciperseguiti dai governi centristi.Facciamo un rapido passo indietro neltempo e poi torniamo agli anni ’60.

*Ricercatore di sto-ria contemporanea,Dipartimento di sto-

ria, geografia e delmondo antico

(Dissgea), Universitàdegli Studi di

Padova.

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Ai primi del ’900 un magistrato aveva scrit-to: “Il pubblico nella sua grande maggioran-za esige dal magistrato né più né meno diquello che esige dal prete: Segreto, Castità eMortificazione della carne” (4). Mentre ilfascismo aveva portato, o ridotto, la magi-stratura ad essere “la fedele, silenziosa, ope-rosa, custode del Regime” (5), peraltro insie-me a tutti gli altri settori della pubblicaamministrazione. Diverse immagini mostra-no la politicizzazione dei militi della giusti-zia alla fine degli anni ’30, come quella diun raduno per inaugurare il nuovo palazzodi giustizia a Messina che vede schieratiparecchi magistrati quasi tutti con la divisadella Milizia volontaria di sicurezza nazio-nale; in un’altra, in occasione di un ritrovodi autorità “civili” a Chieti, si vedono pode-stà, questore, prefetto, federale e procuratoredel re, anche qui tutti in divisa della Milizia(6). Fotografie che ricordano la vicinanzadel magistrato agli altri funzionari civili,amministrativi e politici, dando un sensopratico alla nota espressione di “fascistizza-zione da parata”.A fronte di una sostanziale continuità delpersonale dei magistrati, di codici, leggi,prassi, abbiamo la rottura radicale della cor-nice in cui si inserisce tutto ciò: fine dellamonarchia e della dittatura, e inizio dellarepubblica e della democrazia. A questa cor-risponde un cambio netto nell’immagineche si dà in pubblico: dopo il 1945 e finoagli anni ’60 e oltre, il magistrato è ancora (odi nuovo) descritto come un sacerdote, unfrate, un monaco: si è parlato di “logicasacerdotale” per descrivere l’habitus delmagistrato, che assume il ruolo di un “giu-dice in perfetta sintonia con il modello delsacerdote (cattolico)” (7).Il sacerdote di Temi è il titolo di un volumescritto da un giudice proprio nel 1945, in cuisi elencano le qualità che deve possedere unbuon giudice (8): anzi tutto il luogo in cuigiudica è un tempio; “la funzione del giudi-care” è detta “divina”; la carriera del magi-strato è come quella del sacerdozio e si sce-glie per vocazione “con l’amore con cui si civota ad una missione”; tra le virtù, le prin-cipali sono la sapienza e il timor di Dio.Queste qualità si devono chiaramente riflet-tere nel comportamento fuori dall’ufficio ein privato, tra le quali evitare la “partigiane-

ria”, il parteggiare per questo o quel partito.Tutto ciò è funzionale a far dimenticare leimmagini dei magistrati in camicia nera nelventennio, a rimuovere le compromissionidel mondo giudiziario nei confronti delladittatura e, anzi, ad avvicinare stili e lin-guaggi della magistratura al modello – cheviene da lontano – allora “vincente” del reli-gioso-sacerdote (9).Nella realtà, negli anni ‘50 - ‘60 i giudici con-tinuano a vivere in una condizione esisten-ziale assai lontana da quella auto-rappre-sentazione: esemplare il Diario di un giudi-ce di Dante Troisi, magistrato che racconta

nel 1955 la sua esperienza di giudice di tri-bunale a Cassino in un romanzo, anzidescrive la sua crisi di coscienza e la suasolitudine nella “missione” che svolge.Troisi viene condannato dalla stessa magi-stratura (non c’era il Consiglio superioredella magistratura - da ora Csm - ma la Cortedisciplinare della Cassazione) alla censuraper vilipendio (“per danneggiamenti e offe-se al prestigio della magistratura”), per ilritratto angosciato e meschino che fa delmondo degli operatori del diritto, in parti-colare di una magistratura pusillanime, pre-potente coi deboli, di classe, ossequiosarispetto ai padroni, parziale, burocratica, eper nulla in linea con i valori fissati dallaCostituzione repubblicana. Il ritratto del“magistrato-sacerdote”, così caro alla mag-gioranza dei magistrati (ma non agli avvoca-ti), ne esce a pezzi (10).

2 . - CONTINUITÀ: LO SCONTRO CONLA COSTITUZIONECome data spartiacque per la magistratura siindica l’avvio del funzionamento della

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Corte costituzionale e del Csm (1956 e 1959)per indicare i prodromi di questa nuovafase, segnata dalla perdita del predominiofino allora totale dei magistrati dellaCassazione sul resto del corpo (11).Aggiungerei una terza data concernente unmagistrato assai particolare, il 1961; primaperò vorrei soffermarmi sulle motivazionidella scelta di chi entrava nell’ordine giudi-ziario.Sono anni in cui la scelta di entrare in magi-stratura è spesso dovuta al fatto che nelMezzogiorno è uno dei pochi “lavori ‘intel-lettuali’ decenti” che si possono trovare; giàdall’inizio del ’900 l’amministrazione pub-blica è luogo di assorbimento lavorativosoprattutto dei giovani provenienti dalleisole e dal Sud, non solo di estrazione socia-le borghese, ma anche usciti dai ceti picco-lo-borghesi e da quelli popolari (12). Il gio-vane Romano Canosa che si laurea venti-duenne nel 1957 in diritto civile, trova subi-to impiego in uno studio legale di Roma, poiin un secondo dove resterà per alcuni anni.Dopo aver superato e vinto il concorso entrain magistratura a Milano nell’ottobre 1961.Che tipo di magistrati Canosa si trova difronte nel 1961?Quando si parla di magistratura in Italia, èbene ricordare sempre il peso del passato,gli ordinamenti giudiziari precedenti (dal1865 al 1923 al 1941) che si sono stratificatinonostante i differenti regimi politici (lacontinuità è definita la caratteristica più rile-vante nella storia della magistratura italiana(13)).Nel 1961 muore l’ottantenne GaetanoAzzariti, presidente in carica della Consulta;è un anno che assumo come cesura di unmodello di magistratura (e di magistrati) chesi è auto-rappresentata come “sacerdotale”,perché indifferente ai diversi regimi politiciavuti nella prima metà del XX secolo.Azzariti è stato il simbolo di una continuitàrivendicata dagli stessi magistrati che trava-lica i cambiamenti di regime (14).Cento anni dopo l’unificazione muore que-sto magistrato, incarnazione del fenomenodella «continuità dello Stato», un «tecnico»che ha servito lo Stato ininterrottamente dal1905: ma quale Stato? Tutti e nessuno, unoStato senza aggettivi, senza specificazioni.Infatti, come capo dell’ufficio legislativo del

ministero dal 1927, Azzariti collabora inmaniera rilevante alla redazione dei varicodici fascisti fino al 1943 e ricopre incari-chi quanto meno compromettenti e disdice-voli, come quello nel 1939-42 di presidentedel Tribunale della razza.Grazie a questo magistrato, un raffinato giu-rista, e a un gruppetto di pochi altri suoi col-leghi, la magistratura era riuscita a trapassa-re con poche scosse il periodo di rilevanticambiamenti dopo il 1945 (si pensi agli arti-coli della Costituzione sull’ordine giudizia-rio) approdando quasi del tutto intatta nelnuovo regime democratico (15); però didemocratico, tra le sue fila, nei suoi ranghi,c’era davvero ben poca traccia.Nei primi anni ’60, con l’apertura di unanuova stagione politica (l’arrivo dei socialistinell’area governativa), i principi della Costi-tuzione iniziano con fatica a entrare “den-tro” la magistratura che, a sua volta, cam-bia identità con la nascita delle correnti el’ingresso di una nuova generazione dimagistrati (cresciuta e istruita nellaRepubblica, più sensibile ai valori dellaCostituzione) tra cui, dal 1965, le donne(16). Nella seconda metà degli anni ’60 siinizia a parlare di “uso alternativo del dirit-to”, si discute di diritti di libertà e di dirittisociali cioè – parafrasando Massimo SeveroGiannini – gli apparati dello Stato (dall’am-ministrazione pubblica alla magistratura)iniziano a essere “pluriclasse”, e non più enon solo “monoclasse”; vale a dire che ilmaschio adulto, proprietario e borghesenon è più l’unico soggetto, o il principale,di riferimento dell’universo normativodel Parlamento (17).Nella società e ai vertici delle amministra-zioni statali arrivano le donne, non solo inmagistratura (ma anche nella carriera diplo-matica, in quella prefettorale), e col 1968arrivano i giovani.La distinzione tra Stato e Chiesa (cattolica)muove alcuni lenti passi (rispetto a que-st’ultima gran parte della società era giàscappata, come dimostrerà nel referendumdel 1974 sul divorzio).La gerarchia interna viene allentata grazie alriconoscimento effettivo dell’art. 107 Cost.,per cui i magistrati si distinguono per ladiversità delle funzioni, e di conseguenza lacarriera cambia (18).

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3. - FRATTURE: LE CORRENTI E L’IN-GRESSO DI UNA NUOVA GENERAZIO-NE DI MAGISTRATIRiflesso di questo allargamento di valorisocio-culturali, e di riconoscimento esplici-to di un ruolo anche “politico” della giuri-sdizione è la nascita e lo sviluppo delle cor-renti in magistratura (19).La politicizzazione in senso lato dei magi-strati (fenomeno non solo italiano) è conna-turata fin dalle origini del processo unitario,quando a capo delle cinque Corti di cassa-zione allora esistenti e di alcune tra le prin-cipali corti di appello e delle procure gene-rali c’erano spesso dei magistrati senatori, el’osmosi tra élites dei magistrati ed élitespolitiche era un fenomeno normale, assaifrequente e diffuso; così come, dopo il 1874,a capo dei singoli consigli degli Ordini degliavvocati c’erano dei deputati, in quantoavvocati e notabili (20).Che poi, allora come oggi, qualcuno credache la giurisdizione sia una funzione politi-camente neutrale, è pacifico (21): pure tra glistorici, ci sono quelli che credono di essereimparziali, oggettivi e neutrali.Nei primi anni ’60, il sistema proporzionalein vigore nell’ambito parlamentare si esten-de in maniera più o meno esplicita anchenella magistratura – così come nei duenuovi organi varati da poco: la Corte costi-tuzionale e il Csm – diffondendosi nella suaAssociazione nazionale dei magistrati, illoro sindacato.A proposito di correnti nella magistratura,credo che la loro funzione, il ruolo svoltonel corso dei decenni (e soprattutto neiprimi 15-20 anni della loro presenza) vedaprevalere le pagine “chiare” su quelle“scure” (22). Detto ciò, le sole battaglie perattuare la Costituzione sono – a mio parere– decisive per far pendere il piatto dellabilancia in senso positivo, così come seosserviamo lo stato della giurisprudenza edella dottrina della fine degli anni ’50,rispetto a quello di 20 anni dopo. Si parla di “eretici” e di “iconoclasti”, rife-rendosi agli esponenti di MagistraturaDemocratica (MD), e non è un caso. Si potrebbe dire anche così: MagistraturaDemocratica volle far uscire il magistratodagli uffici giudiziari, dalle aule dei tribuna-li per portarlo nelle strade e nelle piazze

della società di allora, nel vivo delle trasfor-mazioni culturali, economiche e sociali diquegli anni, a contatto diretto con gli uomi-ni e le donne; in sostanza MD ebbe un atteg-giamento politico, volle affiancarsi alla poli-tica, dal lato o vicino ai partiti socialista ecomunista di allora. E ci riuscì e, più volte,costrinse le altre correnti a inseguireMagistratura Democratica stessa in quei“luoghi” (23).

4. - IN PUBBLICO: LA ZANZARAIntanto proprio Milano è la sede di un casoche simboleggia il ritardo della cultura costi-

tuzionale nel milieu giudiziario, un ritardodi formazione culturale, non soltanto giuri-dica ma più ampia, quasi a livello di educa-zione civica. Mi riferisco alla vicenda delLiceo Parini e della “Zanzara” nel 1966. Ungiornaletto scolastico riporta una miniinchiesta dal titolo Un dibattito sulla posi-zione della donna nella nostra società, cer-cando di esaminare i problemi del matri-monio, del lavoro femminile e del sesso(autori tre studenti) condotta tra compagni ecompagne: sono 9 ragazze che rispondonosu cosa pensano rispetto alla famiglia, allamorale e ai rapporti sessuali prima delmatrimonio, all’epoca un vero e propriotabù (24). Così i tre redattori, il preside delliceo Parini e il tipografo sono denunciatiper il reato di pubblicazione oscena destina-ta ai fanciulli e agli adolescenti, e per stam-pa clandestina (anche se il giornale era a cir-colazione interna).Tra i vari giornalisti, Camilla Cederna segueil processo e ne denuncia le arcaiche proce-dure in due articoli (25), sottolineando leincongruenze e le illegalità nell’arresto,

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nella detenzione, nella richiesta delle ispe-zioni corporali e soprattutto nell’incrimina-zione sulla base di una legge fascista (pub-blicazione di stampa oscena) in contrastocon i principi della stessa Costituzione (26).Questo processo, per la giornalista, è l’em-blema della falsità e dell’oscurantismo dellasocietà e delle leggi italiane. Cederna tratteg-gia l’immagine di una società attenta solo alperbenismo perché tesa a difendere pregiu-dizi e privilegi, anche contro i suoi stessifigli. Un’Italia divisa di cui dà conto la cro-naca del processo, dove ci si accorge “che inaula stavano cozzando due mentalità, duetipi di educazione, due modi di concepire lamorale e la vita, insomma due Italie eranodi fronte una all’altra”. Un processo chedenota la presenza di due culture anchedentro la magistratura, con lo “scontro” tral’ex partigiano e presidente del tribunaleLuigi Bianchi d’Espinosa (1911), “rappre-sentante l’indirizzo più moderno dellamagistratura ed estremamente sensibile allospirito della Costituzione”, una sorta di stel-la polare a cui tendere, e il pubblico mini-stero Oscar Lanzi (1915) “definitosi da sé ilrappresentante di un’era superata, appas-sionato parlatore e grande attore involonta-rio”, esponente di quella visione corporati-va e sacerdotale (27).Una parte dell’avvocatura è su altre posizio-ni giuridiche, culturali, morali e civiche: èpiù differenziata al suo interno, tra i suoiiscritti, ed è in generale più aperta, piùdemocratica, più in sintonia con i principidella Costituzione e più vicina al climasociale dell’epoca.La vicenda ha contraccolpi dentro e fuori ilmondo giudiziario. La risonanza mediaticasuscita la protesta dei 33 membri dell’Anm(delle varie correnti) contrari al fatto che sipossa discutere così in profondità in pubbli-co attraverso i mass-media l’operato deimagistrati; tutto ciò è considerato una criti-ca inammissibile, di chi ritiene l’ordine giu-diziario qualcosa di simile a un’istituzionesacra che non si può né si deve criticare,pena finire sotto processo per vilipendio.Come accade a diversi giornalisti che sioccupano del caso.Lo “scandalo di tipo borbonico” – nelleparole del vice presidente del Consiglio deiministri, il socialista Pietro Nenni – ha por-

tato alla superficie i cambiamenti nel costu-me degli italiani (messi in moto dai feno-meni socio-economici legati alla moderniz-zazione del paese): di lì a poco il 1968 avreb-be in parte cambiato queste e altre forme delcostume nostrano.

5. - LA DISCUSSIONE DELLA “MESSA”In Italia il 1968 è in realtà il 1968-1969, ilvero anno di accelerazione del cambiamen-to nei costumi e nei comportamenti dellepersone nella società.Nelle cattedrali della “Giustizia” i sommisacerdoti o, meglio, i cardinali in toga conl’ermellino si palesano durante quella sacrafunzione che è l’inaugurazione dell’annogiudiziario; i discorsi tenuti in queste occa-sioni sono come uno specchio di quel chebolle nel mondo della giustizia (sono fre-quenti e affiorano i contrasti tra magistratu-ra e avvocatura, con quest’ultima insoffe-rente per i controlli della prima (28)) e tra glistessi magistrati. Nei palazzi di giustizia arri-vano le prime forme sostanziali di indipen-denza sia verso l’esterno (il governo) sia nel-l’organizzazione interna, superando i limitiprevisti dall’ordinamento giudiziario del1941. La messa in discussione delle inaugu-razioni dell’anno giudiziario (con le contro-inaugurazioni apparse, non a caso, nel gen-naio 1969, e fatte da una parte minoritariadegli stessi magistrati insieme agli avvocati)sono il riflesso delle modifiche che stannoportando all’abolizione della carriera e auna sostanziale progressione “a ruoliaperti” (dalla legge Breganze del 1966 aquella del 1973). Numerose critiche punteg-giano le contro-inaugurazioni del 1971 e del1972 (dove prendono la parola avvocati edocenti, studenti e operai), mentre si conti-nua a porre la questione dell’indipendenzainterna, sempre più in primo piano con lastagione che vede protagonisti i cosiddetti“pretori d’assalto” (e con le ripetute accuseda parte di procuratori generali e Csm neiconfronti di questi “giovani” magistrati) chein realtà chiedono soltanto di adeguare allaCostituzione alcune norme dei codici rima-sti fascisti come, per esempio, quelle deltesto unico di pubblica sicurezza (29).

6. - RIFORME E ATTENTATIGli anni ’70 portano nuove sfide ai magi-

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strati, chiamati ad affiancare e talora a sup-plire - in alcuni frangenti - la classe politicain un paese in cui si sviluppano, quasi inparallelo, cruciali riforme (lo Statuto deilavoratori e il nuovo processo del lavoro, ilvaro delle regioni e poi del servizio sanitarionazionale, il divorzio e poi il nuovo dirittodi famiglia) e sanguinosi attentati, tra cuiquelli compiuti dalla criminalità organizza-ta a cui si aggiungono quelli dei gruppiarmati (criminali “rossi” e “neri”) controesponenti della magistratura (24 assassinatidal 1971 al 1992).Dopo l’autunno “caldo” con importanti efrequenti scioperi e contestazioni, si arrivaal 12 dicembre 1969 con la prima strage,anche “di Stato”, quella di Piazza Fontana.Questo doppio binario di eventi – riforme eattentati – rende tale periodo ben diverso daquelli precedenti; la cesura è radicale enetta, anche perché nel 1973 inizia unperiodo di forte crisi economica come nonsi vedeva dagli anni della guerra.Continuano le polemiche in tema “di inter-pretazione evolutiva della legge”, ovveronon essendoci ancora norme di legge (man-cando gli “adeguamenti legislativi”), unaparte dei giudici (quelli di MD, in primis) siauto-incarica di interpretare le leggi (e quan-do non ci sono, si fa promotrice per farlevarare) mentre un’altra parte è contraria aquesta prassi sostenendo che così facendo“si politicizzano” le sentenze (30).È vero che da un lato c’è una determinatafunzione da parte della magistratura diinterpretazione delle leggi; è nelle cose, talefunzione viene ammessa e non se ne sonodati limiti certi, cioè a fronte degli eventuali“eccessi nell’interpretazione evolutiva dellalegge”, ci si accorge che non c’era una fron-tiera invalicabile (così ai conflitti tra leggiordinarie e Costituzione, prima, e traCassazione e Corte costituzionale, poi). Piùche col governo, gli scontri sono colVaticano, con le forze armate e coi tribunalimilitari, con la polizia: si parla di interpreta-zione “evolutiva” e di interpretazione “crea-tiva”. Come ha scritto Francesca Tacchi, l’al-lora pretore di Milano Livia Pomodoro,intervenendo al primo congresso delledonne magistrato nell’ottobre 1970, invita lecolleghe a impegnarsi per una «giustizia piùumana e corrispondente alle esigenze della

società contemporanea». Le magistratedevono impegnarsi – continua Pomodoro -per «superare il ritardo nell’attuazione deivalori scaturiti dalla Resistenza e consacra-ti nella Costituzione», senza chiudersi«nella torre d’avorio di un agnostico tecnici-smo», proponendo una «interpretazioneevolutiva» del diritto che risponda alle esi-genze della «certezza giuridica». Gli obietti-vi sono dunque: “rinnovare l’ordinamento,riformare le procedure (mettendo al primoposto la difesa dei non abbienti) e i codici, lecui norme dovevano diventare espressionedi «giustizia sostanziale»”, operazioni da

fare dentro l’ANM (31).Lo Statuto dei lavoratori del 1970 è unmomento decisivo per orientare il modo diessere giudice in diversi magistrati; si allar-ga il raggio di azione della magistraturadiffondendosi in nuovi ambiti (sui problemiambientali (32)), così come diventa centralela questione dell’indipendenza interna.Sono anni in cui la giustizia vive un vero eproprio scontro interno, di “tensioni” e di“conflitti” (33), la cui immagine principalerimanda a quei pretori attaccati e messi sottoinchiesta più volte dai propri superiori per-ché le loro sentenze sono troppo spessofavorevoli a ricorrenti (o imputati) prove-nienti dalla classe operaia (34).Nell’agosto del 1971 inizia una vicendadestinata a durare per diversi anni: si trattadell’indagine sulle schedature sul personalefatte dalla Fiat negli ultimi 20 anni su circa350.000 lavoratori (e non solo, perché sonoschedate persone che mai erano state dipen-denti dell’azienda torinese), di per se moral-mente indecenti e con la nuova legge invigore, illegali.

Medicina Democratica numero 207 gennaio / febbraio 2013Atti 15La magistratura ed il futuro del diritto del lavoro, convegno promosso dall’Associazione Romano Canosa per gli studi storici, il 12 giugno 2012 - Milano, Società Umanitaria

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L’avvocata penalista Bianca Guidetti Serraha narrato con dovizia di particolari la “cro-naca” del processo, spostato da Torino aNapoli, e che si conclude anni dopo (1978)con la condanna dell’industria torinese (35).È ancora oggi utile rileggersi questo libro percapire quale era “il sistema di governo dellerelazioni industriali” in vigore negli annidel boom economico, e il clima di compli-cità che una grande azienda intesse/va conle istituzioni locali e con gli esponenti delleforze dell’ordine (36). Per approntare quel-l’imponente numero di schede ci voglionodecine se non centinaia di compilatori; sepensiamo al film “Le vite degli altri” (2006)ci possiamo fare un’idea realistica di quantofosse diffuso il coinvolgimento di altre per-sone (per inciso oggi, mutatis mutandis, sidirebbe che pratiche simili stiano avvenen-do alla luce del sole nella stessa azienda).

7. - AL CENTRO DEL MIRINODopo il 1968, la magistratura diventa un’os-servata ancor più speciale da parte delleforze dell’ordine: le sue correnti, le associa-zioni e i gruppi di operatori del diritto chegravitano attorno al mondo giudiziario sono“normalmente” schedati; abbiamo una seriedi “relazioni di polizia” in cui si descrivonole riunioni e le assemblee tenute dai magi-strati che, come altre associazioni e movi-menti, sono “attenzionate” e di cui si tengo-no fascicoli e faldoni per sapere chi ne faparte, chi sono i quadri dirigenti, chi le fre-quenta, cosa propugnano e cosa rivendica-no nelle riunioni, nei convegni e nei con-gressi, e così via. Ci si può immaginarequando nel gennaio 1969 iniziano le controinaugurazioni di avvocati e magistrati.Quel che accade dopo la strage di PiazzaFontana si ripeterà in maniera sempre piùdiffusa per tutti gli anni ‘70. Una parte deiservizi segreti (ma anche settori dell’Arma edella Polizia di Stato) non ha fiducia nelleProcure e non collabora con loro; i sospettidi questa mancanza di relazioni fiduciariesono stati spesso riscontrati, come attestanole cronache del tempo sulla stampa. Daqualche anno sono disponibili altre testimo-nianze che rafforzano questa tesi: ne hannoparlato su fronti quasi opposti, ad esempio,l’ex vice capo del controspionaggio del Sid(Servizio informazioni difesa, il servizio

segreto militare) negli anni ’70 generaleGian Adelio Maletti e, tra i magistrati, l’at-tuale procuratore generale della Repubblicadi Venezia Pietro Calogero.Ecco cosa ha riferito Maletti a proposito deirapporti che “non” aveva all’epoca con lamagistratura, ovvero le informazioni nonpassate su alcuni sospetti ricercati dagliinquirenti; nel caso in questione si trattavadi un membro neofascista veneto del grup-po di Ordine Nuovo, che era un informato-re fino al 1975 dei servizi:

Domanda. Lei, quando le ricevette, passòqueste informazioni alla magistratura?Risposta. Non si può informare la magistra-tura così, tutto d’un botto. […] Il Servizioinformazioni ha il compito, tra l’altro, dinon precipitare le cose: più le lascia svilup-pare, tenendole d’occhio, più efficace è lasua opera. Quindi, come facevamo noi asegnalare queste cose? Le segnalavamo,certo, ma quando avevano assunto piùcorpo. E comunque non alla magistratura,perché il contatto tra Sid e magistratura,all’epoca [n.d.a., primi anni ’70], era pratica-mente nullo.D. In che senso, scusi?R. Io non avevo alcun dovere nei confrontidei magistrati: non dipendevo da loro, e nondovevo riferire nulla.D. Si spieghi bene.R. Era un dato di fatto: il Sid lavorava in unapropria capsula. La magistratura stava all’e-sterno. Tra i vari organi dello Stato c’eraall’epoca una sorta di diffidenza. La giusti-zia, del resto, poteva rappresentare un osta-colo alla nostra libertà d’azione (37).

Ci si può fare un’idea di quanti significatiavesse l’espressione “corpi separati”.Maletti nel corso dell’intervista ricorda altreoccasioni di non collaborazione (38).In una recente testimonianza Calogero hadichiarato che la “strategia della tensione”portata avanti dai neofascisti di “OrdineNuovo” era voluta anche dal Sid (questi ulti-mi, intralciando le indagini, permisero lafuga all’estero di sospettati, come GuidoGiannettini); inoltre, Calogero ipotizza cheuna parte dei servizi sia stata deviata, in par-ticolare una parte della polizia ovverodell’Ufficio affari riservati (guidato da F.U.

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D’Amato) (39). Lui stesso sostiene di averincontrato parecchie difficoltà per via deidepistaggi del Sismi (quando stava indagan-do su Autonomia operaia e sulle Br dopo il1975) che hanno impedito alla magistraturadi fare chiarezza.Oggi, riflettendo sulla mancata condannadegli autori della strage di Piazza Fontana,mi auguro che almeno il giudizio storico nepossa affermare la verità e sottolineare ilpeso che ebbero pezzi deviati dei servizisegreti, che offrirono copertura all’eversio-ne, di qualsiasi stampo.Aprire gli “armadi”, cioè gli archivi dei ser-vizi segreti è l’appello del pg Calogero, erimuoverne il segreto di Stato (40). Vaaggiunto che una parte delle difficoltàincontrate era dovuta alla complicità di set-tori delle stessa magistratura, dal cosiddetto“porto delle nebbie”, a seconda dei casi il“palazzaccio” sede della Cassazione o lasede del Tribunale di Roma a piazzaleClodio. Gli spostamenti di vari processiverso sedi lontane facevano parte di questeambiguità - per non dire peggio - nel com-portamento di alcuni dei vertici giudiziari(41).Intanto nel 1971 c’è a Palermo l’omicidiodel magistrato Pietro Scaglione; nel 1975 aLamezia Terme viene ucciso FrancescoFerlaino. Prima, nel 1974, c’è “l’inaudito”sequestro Sossi a Genova (42), e nel 1976 c’èl’omicidio di Francesco Coco sempre aGenova da parte delle Brigate Rosse. Unmese dopo a Roma è assassinato VittorioOccorsio da parte di Ordine Nuovo. “Rossi”e “neri” si affiancano alla mafia e alle altreorganizzazioni criminali nella caccia almagistrato.Ci sono decine, centinaia di documenti(all’Acs a Roma) non più e non solo suimagistrati, osservati speciali, quasi spiatidalle forze dell’ordine ma, via via che ci siinoltra nel decennio, sorvegliati e sempre dipiù scortati, seguiti per scopi cautelari. Equindi ai convegni e ai congressi da loroorganizzati si mobilitano interi corpi milita-ri per evitare che altri siano colpiti; e sap-piamo che non si riuscì, o non si volle, pro-teggerli fino in fondo.Infatti si continuavano ad ammazzare imagistrati. Dopo i primi 4 omicidi, avvenu-ti in Sicilia, Calabria, Liguria e Lazio, l’Italia

intera diventava un fronte di combattimen-to per i giudici che subiscono perdite dolo-rose: 3 nel 1978, 2 nel 1979, 4 nel 1980. Nel1983 un’auto bomba a Palermo uccideRocco Chinnici. Le motivazioni sono le piùdiverse, e sarebbe improprio accomunare idelitti delle formazioni politiche eversivecon quelli della criminalità organizzata; soloche qui ci occupiamo dei magistrati, e intutti questi casi i bersagli sono gli stessi (43).Abbiamo una duplice immagine, non deltutto messa a fuoco proprio perché le duelenti di osservazione sono collocate non unaa fianco dell’altra ma in posizioni opposte:

da un lato i magistrati sono spiati perchénon ci si fida di loro, dall’altro si cerca diproteggerli, con scarsi risultati visto le per-dite, pesanti, che si accumulano nel corsodegli anni.Anche altri operatori del diritto sono ogget-to di minacce e di agguati: l’avvocato FulvioCroce a Torino, designato difensore d’ufficioperché presidente del Consiglio dell’Ordinetorinese ad assistere gli imputati delle BR(che rifiutano la difesa), è assassinato nell’a-prile del 1977 e l’avv. Giorgio Ambrosoli èucciso “l’11 luglio 1979 sotto il piombomafioso” e il mandante è Michele Sindona(44).Questo clima pesante, che prosegue tra lestragi del 1974 (Brescia e Italicus) a quelle diBologna del 1980 e del rapido 904 del 1984ha delle conseguenze rispetto ai disegni diriforma nell’ambito giudiziario fino ad allo-ra di segno garantista. Di fronte a un’opinio-ne pubblica smarrita e sovente intimorita,proprio dal 1974 inizia la legislazione cosid-detta di emergenza: leggi che riducono lelibertà dei singoli cittadini, mentre aumen-

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tano i termini della carcerazione preventivae si ampliano i poteri delle forze di polizia.Una parola conclusiva non c’è ancorarispetto a questa stagione. Nonostante l’im-pegno da parte di molti operatori della giu-stizia quasi mai si è riusciti ad accertare alivello giudiziario gli autori (materiali emandanti) di quasi tutte le stragi avvenutedal 1969 al 1984. I magistrati stessi si ferma-no, per così dire, a un livello che intendoriassumere con la citazione di un importan-te avvocato e giurista, Francesco Carnelutti:Per quanto il giudice sia un uomo anche luie come tale possa sbagliare, bisogna fingereche sia quegli che non sbaglia; ma questosignifica considerarlo di più di un uomo;come può essere infallibile se è, solamenteun uomo? Bisogna dunque ricorrere a unafinzione, che i romani hanno riconosciutocon queste parole famose e penose: res iudi-cata pro veritate habetur; il giudizio del giu-dice vale come verità. E i giuristi medievalihanno soggiunto: res iudicata facit de albonigrum; il giudizio del giudice muta il bian-co in nero (45).Ecco perché a mio parere non si possonoaccettare le conclusioni a cui sono giuntiprocessi e inchieste giudiziarie di quella dif-ficile stagione. Per chi studia la storia con-temporanea, quelle non sono che una dellepossibili “verità” e, spesso, nonostante isigilli dell’ufficialità del procedimento dacui scaturiscono, non sono affatto la più pro-babile. Preferisco dire che dobbiamo rico-struire i fatti interpretandoli per avvicinarciil più possibile a una delle probabili“verità”. Quindi non “la” verità, ma unaricostruzione, sempre meno parziale, che cipare dotata di senso e che definirei con lefamose parole di un’intellettuale che cerca“di seguire tutto ciò che succede, di cono-scere tutto ciò che se ne scrive, di immagi-nare tutto ciò che non si sa o che si tace”;che provava a coordinare “fatti anche lonta-ni”, a rimettere “insieme i pezzi disorganiz-zati e frammentari di un intero coerentequadro politico” e a ristabilire “la logica làdove sembrano regnare l’arbitrarietà, la fol-lia e il mistero”. È il 1974 quando P.P.Pasolini scrive questo articolo.

8. - LE DONNE NEL TEMPIOAvevo detto che nel 1965 appaiono le prime

donne che hanno vinto il concorso banditonel 1963: sono 8. In realtà quella fu una fasepioneristica mentre la vera partenza cisarebbe stata anni dopo, come ci diconoquesti dati: la presenza femminile in magi-stratura non supera il 3% nel 1971 e arrivaal 10,3 nel 1981, che in numeri assolutisignifica 207 su 6999 e 708 su 6812. Unaconferma ci viene se guardiamo alle altremagistrature: alla Corte dei conti nel 1975 cisono 6 referendarie, mentre al Consiglio diStato le prime due donne arrivano nel 1981.Col boom negli anni ’80 delle iscritte e poilaureate a giurisprudenza, si passa il 17%nel 1988 arrivando al 34,3%, ovvero a 2986magistrate su 8704 nel 2000 (46). E oggisiamo intorno al 50%.E buona parte delle donne magistrate sioccupano di minori e nei ruoli di sorve-glianza o di diritto di famiglia. Negli annidell’emancipazione, “l’incontro” tra femmi-niste e giuriste “avvenne all’insegna di reci-proche diffidenze, aporie, ripensamenti”(47).Proprio Milano vedeva nei suoi uffici giudi-ziari circa un terzo di tutte le magistrate inservizio in Italia, anni in cui si riflettevasulla “differenza” e la “separatezza”, dibat-tendo temi come il nuovo diritto di famiglia(1975); nonostante la riforma, i cambiamen-ti culturali impiegano più tempo a sedi-mentarsi rispetto a un dato normativo che –nel momento in cui è varato – può modifi-care di senso un comportamento dall’oggi aldomani (l’abrogazione delle norme punitivedel vecchio Codice Rocco sull’aborto, lega-lizzato nel 1978 e confermato in un referen-dum del 1981). Al centro delle discussionisi trovano il diritto del lavoro (la questionedella parità delle retribuzioni) e, in partico-lare, il diritto penale con le sue norme cul-turalmente sessiste e giuridicamente arcai-che come, per esempio, il delitto d’onore(art. 587, abrogato nel 1981) e lo stupro con-siderato un delitto contro la morale e noncontro la persona; quest’ultimo era stato alcentro di un famoso e lontano processo nel1965: richiesta più volte, per lunghi anni,attraverso vari rinvii, tale legge è arrivataquasi fuori tempo massimo soltanto nel1996 (48).Ecco, l’immagine del magistrato, e dellamagistrata, risente di questa situazione nella

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misura in cui le donne in magistratura (eanche nell’avvocatura) hanno portato il lorodoppio carico (familiare e professionale)con tutte le sue problematiche nella citta-della della giustizia che, prima, si facevaquasi vanto di essere estranea, indenne, nontoccata dalle questioni della vita privata deimagistrati maschi (49). Chiaramente non eracosì, ed era comunque un’auto-rappresenta-zione funzionale a quella logica sacerdotaledi cui si diceva all’inizio; se i magistratierano come i sacerdoti, così non potevanoessere distratti dalle loro questioni private,familiari compresi.Sono però anche gli anni in cui - dopo circaun secolo – saltano i rapporti tra numero dimagistrati, numero di avvocati e numero diaffari trattati: gli avvocati “esplodono”numericamente. I magistrati negli anni ’30erano circa 4.000 a fronte di 30.000 avvoca-ti; nel 1981 6800 e 43.500, mentre negli ulti-mi anni circa 10.000 mila giudici fronteg-giano malamente circa 180/200.000 avvoca-ti. Come dire che in 30 anni gli uni sonoaumentati del 30% e gli altri di almeno il400/500% (per altro dobbiamo ricordareche una volta per gli affari minori c’erano igiudici conciliatori, mentre oggi abbiamo igiudici di pace ma, la sostanza del dislivel-lo numerico - tra relativo aumento di magi-strati e superaumento o iperinflazione diavvocati - resta comunque assai elevata).

9. - IL “SUPPLENTE” DELLA POLITICA.SOTTO LA TOGA TUTTO È CAMBIATONegli anni ’80 la trasformazione dellamagistratura si va completando; da retro-guardia e corpo “separato” - in cui era fun-zionale l’auto-rappresentazione del magi-strato come il “sacerdote di Temi”, un purotecnico del diritto -, a protagonista inseritoin una posizione inedita nella società, piùvolte contestata come dimostrano i ricor-renti contrasti dentro l’ordine giudiziario,le altalenanti vicende dei rapporti con l’av-vocatura e le sempre più frequenti polemi-che con una parte della classe politica (50).Una copertina del periodico “La magistra-tura” del 1979 ci spiega come i magistrati siconsiderino, come si vedano rispetto allevarie emergenze che lo Stato sta attraversan-do. Su ogni angolo della copertina c’è unapiccola fotografia: “ambiente” con due per-

sone che indossano una maschera antigas,“casa” con un edificio in costruzione,“droga” con una siringa in primo piano e“conflitti sociali” con un fotogramma di uncomizio di una manifestazione di lavoratoriforse in sciopero e o in lotta. Al centro c’èdisegnata la sagoma di un solo magistrato,un singolo, mentre la didascalia alla baserecita “nodi politici non giudiziari”: piùvolte i magistrati sono lasciati da soli a fron-teggiare queste crisi. La politica è la grandeassente, e l’esecutivo talvolta li contrasta,mentre i vertici degli apparati delle forzedell’ordine non collaborano e, infine, le

leggi di riforma latitano.È altrettanto vero che in quegli anni si vannoformando i pool, piccoli gruppi di magistra-ti della stessa procura o ufficio, o di diffe-renti procure con diverse competenze terri-toriali che lavorano a stretto contatto l’unocon l’altro; ma il segno distintivo maggiore,da loro vissuto come reale, è quello dellasolitudine. Dopo anni di contrasti, e sanzio-ni disciplinari, dentro il loro Corpo sonoaccettate la pluralità delle posizioni in mate-ria di opinione politica, e infatti siamo nelperiodo del “compromesso storico”, quan-do si riavvicinano le varie correnti (51).In generale, tra gli anni ’70 e gli anni ’80,nonostante lo scandalo della P2 (in cuierano coinvolti diversi magistrati di altolivello) (52), la magistratura acquisisceinfluenza all’esterno dell’ordine e riesce aincidere più di prima sulle politiche di rifor-ma della giustizia.Guido Melis ha parlato di “potere esterno”in aumento per via del ruolo svolto daimagistrati nella lotta al terrorismo (creazio-ne dei pool, le vittime avute nelle proprie

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fila, la gestione dei “pentiti”, la capacità dicelebrare i processi nonostante il clima diperenne tensione nel paese) e nella lotta allacriminalità organizzata. In quest’ultimo casoil ruolo di supplenza della magistraturarispetto al potere politico, talvolta restio aseguire gli stessi magistrati (perché in piùcasi è arruolato tra le fila della criminalità),determina una sovra-esposizione, la “primafila” (in tutti i sensi) proprio alla magistratu-ra, che acquisisce così un peso cruciale tra lenostre istituzioni (53).Non c’è più soltanto la classica scena delprocesso che si svolge nelle aule, special-mente in quelle di Corte d’assise, vero teatrogià nell’800 di memorabili arringhe a cuipossiamo rifarci per avere un’idea della for-tuna nell’opinione pubblica di simili “even-ti” (54). Già dagli anni ’70 si aggiungono lecrude immagini degli omicidi con i cadave-ri, riversi nelle auto, o per strada, con l’e-sposizione dei corpi che punteggiano leprime pagine di quotidiani e periodici. Congli anni ’80 i mass media cercano notizie diciò che avviene all’interno degli uffici giudi-ziari, sul loro funzionamento, sui maneggiintorno alle nomine per i posti direttivi cheavvengono al Csm, il vero “padrone” deigiudici (il “concistoro” della magistratura,luogo in cui si determinano le carriere).Quello del magistrato-sacerdote è unmodello quasi “perenne”, almeno nellaforma, nell’apparire esteriore, mentre èdiverso nella sostanza, all’interno, che entrain crisi sia per la presenza delle donne (real-mente accettata forse negli ultimi 20 anni)sia per la trasformazione pubblica indottadai media (si pensi ai primi processi tra-smessi in diretta televisiva): molto è cam-biato nel suo rapporto verso la società everso lo Stato. Se una volta i magistrati par-lavano quasi soltanto attraverso le loro sen-tenze, negli anni ’80 entrano nella sfera pub-blica e sempre di più si mostrano, appaionosotto i riflettori e parlano con interviste, rila-sciano dichiarazioni, scrivono libri sulleproprie esperienze (questa tipologia pare inaumento). Ed è bene ricordare che in politi-ca, da senatori e deputati, alcuni di loro cisono sempre stati.I magistrati sono diventati i custodi, e “le”custodi, delle regole della società e gli arbi-tri tra le istituzioni dello Stato; ha successo

una trasmissione come “Un giorno in pretu-ra” (1988) che ripropone l’immagine delmagistrato sacerdote super partes, un paterfamilias pieno di buon senso, sempre paca-to, quasi ascetico nel suo eloquio. Si potreb-be dire che per un giorno all’anno i magi-strati continuano a mostrarsi come sacerdo-ti, cioè nell’occasione di apertura dell’annogiudiziario.Si arriva così al tornante che è quasi unacesura della fine degli ’80 e dei primi anni’90.Mentre al sud si continua a essere ammaz-zati (1988 Alberto Giacomelli e AntoninoSaetta; 1990 il giudice “ragazzino” RosarioLivatino; 1991, Antonino Scopelliti; 1992 lestragi di Capaci e di via D’Amelio), nel 1989è entrato in vigore il nuovo codice di proce-dura penale (per cui, ad esempio, il pm puòindagare senza avvertire l’indagato, e la poli-zia giudiziaria è alle sue dirette dipendenze,come previsto dalla Costituzione fino allorainattuata su questo punto).Ancor più cruciale, si apre una nuova sta-gione di politica internazionale con l’unifi-cazione delle due Germanie, 1989, e poi lafine dell’Urss, 1991. Sulla scena interna,dopo il referendum sulla preferenza unicain materia di scelta dei candidati alle elezio-ni, inizia a cambiare il sistema elettorale.Nel 1992 l’inchiesta “Mani pulite” avvia ilcrollo di credibilità di un’intera classe poli-tica e Tangentopoli introduce alla crisi eco-nomica che porta all’uscita dal Sistemamonetario europeo e alla svalutazione dellalira; l’anno dopo, 1993, ci sono 150 parla-mentari indagati, è abrogato il finanziamen-to pubblico ai partiti e modificata la leggeelettorale in senso maggioritario (tra gli altri,è arrestato il presidente del tribunale mila-nese Diego Curtò per corruzione, reo con-fesso).

Per concludere questo articolo, in cui sisono schematizzate e riassunte forse inmaniera troppo semplicistica tutta una seriedi posizioni, sensibilità, gruppi, di magistra-ti, facciamo ricorso a due famosi detti; nonc’è più il muro di Berlino, ma ci sarà pursempre un giudice a Berlino e, se è vero chela storia si ripete, e la prima volta è una tra-gedia, allora siamo oggi forse di fronte allafarsa?

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NOTE1 Ringrazio Francesca Tacchi per le sue osserva-zioni a una stesura preliminare di questo saggio,e Giancarlo Scarpari per alcuni scambi di opi-nioni sul tema qui trattato. Resta inteso che diquanto scritto è responsabile solo l’autore.2. G. Neppi Modona, La magistratura dallaLiberazione agli anni cinquanta. Il difficile cam-mino verso l’indipendenza, in Storia dell’Italiarepubblicana, Torino, Einaudi, 1997, vol. III, t. 2,pp. 81-137.3. E. Bruti Liberati, La magistratura dall’attua-zione della Costituzione agli anni novanta, inStoria dell’Italia, cit., pp. 139-237.4. Gemma Di Va, Memorie di un procuratore delre, Torino, Carlo Pasta-Libraio editore, 1909, p.153.5. G. Focardi, Magistratura e fascismo.L’amministrazione della giustizia in Veneto,1920-1945, Venezia, Ivsrec - Marsilio, 2012, p.293.6. Fotografia n. 42, in La giustizia a Messina. Isessant’anni di Palazzo Piacentini, a cura diRocco Sisci, Messina, Edas, 1989, p. 123;Archivio centrale dello Stato, Ministero di graziae giustizia, magistrati, fascicoli personali, 3° ver-samento, fasc. 67671.7. M. Luminati, Linguaggi e stili della magistra-tura italiana nel secondo dopoguerra, inL’impiegato allo specchio, a cura di A. Varni e G.Melis, Torino, Rosenberg&Sellier, 2002, pp. 297-326.8. G. Raffaelli, Il sacerdote di Temi, Milano,Gentile, 1945; in realtà le “qualità” descritte daRaffaelli erano presenti in parte già dalla fine delperiodo liberale, riflesso dell’avvicinamentocostante della classe politica laica “liberale” aquella dei cattolici che si stava affacciando sullascena pubblica (si ricordi il così detto “pattoGentiloni”).9. Sui valori attribuiti alla “apoliticità” e alla“asindacalità” nel dopoguerra, vedi E. Mo-riondo, L’ideologia della magistratura italia-na, prefazione di R. Treves, Bari, Laterza,1967, pp. 113-123.10. D. Troisi̧ Diario di un giudice, Torino,Einaudi, 1955; A. Galante Garrone, Il mite giaco-bino, Roma, Donzelli, 1994, pp. 38 ss. 11. A. Pizzorusso, L’organizzazione della giusti-zia in Italia. La magistratura nel sistema politicoe istituzionale, Torino, Einaudi, 1985.12. All’epoca frequentare le lezioni universitarieera un’opzione, non vigeva alcun obbligo, ancheperché erano spesso lezioni noiose, tenute dadocenti quasi sempre ex fascisti e democristiani(ad esempio a Roma A. Asquini, G. Del Vecchio,l’ex guardasigilli degli anni ’30 P. De Francisci,

G. Ambrosini, i futuri presidenti Segni e Leone);professori che nei loro corsi non parlavano maidella Costituzione eccetto qualcuno (Jemolo,Calasso): R. Canosa, Storia di un pretore, Torino,Einaudi, 1978, pp. 5-9.13. R. Canosa, Pietro Federico, La magistraturain Italia dal 1945 a oggi, Bologna, il Mulino,1974, p. 7. Questo volume mi pare indicativo delmodo di procedere da parte di Canosa: nei suoilavori era spesso influenzato da ciò che stavaaccadendo in presa diretta intorno a lui, era untestimone molto attento alla cronaca e capace –grazie agli studi e alle letture di ampio respirocontinuate per tutti gli anni ’60 – di scrivere librie articoli sui temi della giustizia e della magi-stratura di taglio storiografico.14. Nato nel 1881 Azzariti entra in magistraturanel 1905 ed è stimato fin dagli esordi da VittorioScialoja e da Ludovico Mortara; diventa unostretto collaboratore del guardasigilli V.E. Orlan-do nel 1907 - 1908, rimanendo poi in servizio aldicastero. Dal 1920 è all’Ufficio legislativo, dal1927 ne è il responsabile, guardasigilli AlfredoRocco, e dove rimane fino al 1949, eccetto laparentesi 1943-1944 quando diventa guardasi-gilli nel governo Badoglio. Membro dal 1955della Corte costituzionale è infine presidentedella stessa dal 1957; un protagonista del mondogiudiziario da Giolitti a Gronchi (G. Focardi, Imagistrati tra la RSI e l’epurazione, in Istituto perla storia del movimento di liberazione nelleMarche Alto Piceno – Fermo, Violenza, tragediae memoria della Repubblica Sociale Italiana,Atti del Convegno nazionale di studi di Fermo,3-5 marzo 2005, a cura di S. Bugiardini, Roma,Carocci, 2006, pp. 309-325).15. U. Allegretti, Interlocutori dell’Assembleacostituente, con appendice documentaria, inAlle origini della Costituzione, a cura di S.Rodotà, Bologna, il Mulino, 1998.Sempre degli stessi anni è la rivalutazione delleretribuzioni che garantisce un prestigio sociale, oun più che “dignitoso decoro” (per usare paroleallora in voga) anche ai magistrati più giovani econ meno anzianità di carriera.16. S. Senese, La vicenda culturale e politica diMagistratura democratica, in Giudici e democra-zia. La magistratura progressista nel mutamentoistituzionale, a cura di N. Rossi, Milano, Angeli,1994.17. Inoltre nel 1963 si hanno l’abolizione delconcorso per titoli per la Corte d’appello e per laCassazione, e le promozioni automatiche in baseall’anzianità. Guido Melis ricorda che si passa ai“ruoli aperti” e dopo 28 anni quasi tutti possonoavere la retribuzione di un magistrato di

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Cassazione, mentre prima erano pochi, circal’1% quelli che potevano raggiungere un similetrattamento (G. Melis, Il potere dei giudici e lalatitanza della politica, in “Passato e presente”,n. 85, 2012, p. 10).18. Un tema che da solo potrebbe riempire unconvegno lungo una settimana, e che qui si ridu-ce a qualche rigo.19. F. Tacchi, Gli avvocati italiani dall’Unità allaRepubblica, Bologna, il Mulino, 2002.20. Romano Ricciotti sostiene che la corrente diMagistratura indipendente non ha un’ideologiae, anzi, “rifiuta le ideologie, ma ha idee”; e poiafferma che il giudice deve “essere fedele allalegge, pur muovendosi nella discrezionalità del-l’interpretazione, e non disapplicare la legge conil pretesto dell’interpretazione” (Id., Sotto quelletoghe. Le radici delle correnti nella magistratura,Lamezia Terme, Edizioni Settecolori, 2007, p.116).21. A quasi 50 anni di distanza dalla nascita diMagistratura democratica, la più importante trale correnti (e la più discussa e studiata), rispettoai propositi iniziali ci pare di rilevare che le variecorrenti abbiano finito per assumere soprattuttoquello dell’esplicita azione corporativa dilobbying nel promuovere i propri iscritti versusquelli di altre correnti per le nomine ai postidirettivi degli uffici giudiziari. In pratica, le cor-renti sono diventate gruppi di pressione dentroil Csm per far eleggere i propri iscritti, compor-tandosi in ciò né più né meno come i partiti e isindacati.22. Passando negli anni ’90 dal sistema propor-zionale a quello maggioritario, tutta l’ammini-strazione dello Stato compresa la magistraturaha risentito di questo cambiamento, concretizza-tosi in un non codificato spoils system, accen-tuando i tratti che rendono più scopertamente“politico” il modo di agire delle correnti. Ciòdetto, a scanso di equivoci visti i tempi cheviviamo, è stata la politica a invadere spessoimpropriamente il campo giuridico, e con menofrequenza è avvenuto il contrario.23. Nell’inchiesta emergono le opinioni di alcu-ne studentesse del liceo sull’educazione sessua-le e sul loro futuro ruolo nella società.L’Associazione cattolica Gioventù Studentescaprotesta per l’oscenità dell’argomento e perchéle intervistate sono minorenni.24. C. Cederna, I Borbone di Milano,“L’Espresso”, n. 13, 27 marzo 1966; Id., Le con-cezioni morali del pubblico ministero al proces-so della “Zanzara”: Da Verona sotto la toga,“L’Espresso”, n. 15, 10 aprile 1966. Sulla giorna-lista cfr. Silvia Pasqualotto, Camilla Cederna. Ilprezzo di una coerenza polemica, tesi di laureamagistrale discussa all’Università degli studi di

Padova, a.a. 2011-2012.25. G. Crainz, Il paese mancato. Dal miracoloeconomico agli anni ottanta, Roma, Donzelli,2003, p. 205.26. Era un comportamento che la “politica diControriforma della Procura di Milano” avevamostrato in altre occasioni censurando film eopere teatrali (secondo punti di vista e valoriintegralmente cattolici), e assumendo atteggia-menti di estrema durezza verso le manifestazio-ni sindacali. Cederna ricorda pure le arringhedegli avvocati difensori in modo mirabile, in cui“mentre fremeva la spazzola ostinata diDall’Ora, o il naso rostrato di Pisapia, mentres’accendeva il pallore di Smuraglia, s’agitavanole belle mani minute di Delitala, tuonava Sbisàe parlava invece come in un salotto l’avvocatoCrespi dalla stempiatura elegante”.27. Si assiste alla sfiducia crescente rispettoall’amministrazione della giustizia e, quindi, allaprogressiva fuga dalla giustizia verso altre formedi tutela dei diritti, così come all’aumento deitempi ovvero alla lentezza nell’istruire e nel fini-re i processi (F. Tacchi, Rapporti professionali econflitti politici tra avvocatura e magistraturanell’Italia unita, ricerca non pubblicata condottanel 2003-2007 nell’ambito del progetto commis-sionato dal Csm e dal Centro nazionale di pre-venzione e difesa sociale, coordinato daVincenzo Ferrari, su cui cfr. Id., L’amministra-zione della giustizia nell’Italia del 2000, in“Sociologia del diritto”, 2012, n. 3, pp. 173-196,qui p. 190. Ringrazio l’autrice per avermi fattoleggere il suo scritto).28. Alla fine del 1969 avviene una scissione inMD: i riformisti moderati (alcuni dei quali viciniall’area socialista, come Beria) attenti a moder-nizzare soltanto l’ordinamento giudiziario, esco-no dalla corrente lasciandola in mano ai riformi-sti radicali (vicini alla nuova sinistra) che voglio-no “trattare pienamente la giustizia come fattointrinsecamente politico, di conseguenza adot-tando metodi d’intervento culturale e politiconuovi, dentro e fuori la magistratura. […] Il chevoleva dire ormai schierarsi, senza timidezze”(Palombarini, Viglietta, La costituzione e i diritti.Una storia italiana, cit., pp. 72-73).28. M. Capurso, I giudici e le recenti polemichein tema di interpretazione evolutiva della legge,in “Studi parlamentari e di politica costituzio-nale”, n. 18. 1972, pp. 5-17.29. F. Tacchi, Eva Togata. Donne e professionigiuridiche in Italia dall’Unità a oggi, prefazionedi R. Sanlorenzo, Torino, Utet, 2009, pp. 168-169.30. Già nel 1970 un pretore di Genova AdrianoSansa vieta la balneazione in un tratto di mareper l’inquinamento. E negli anni seguenti più

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volte i “pretori d’assalto” saranno chiamati adifendere l’ambiente dai disastri causati dall’uo-mo (come a Seveso), ad avviare procedimentigiudiziari contro importanti imprese, lo “scan-dalo petroli”, a perseguire numerosi casi di cor-ruzione e concussione, poi spesso insabbiati dailivelli più alti dell’ordine giudiziario.33. G. Freddi, Tensioni e conflitto nella magi-stratura. Un’analisi istituzionale dal dopoguerraal 1968, Roma-Bari, Laterza, 1977.34. E che vede Romano Canosa in prima fila:“Romano esprimeva con rigore, con intelligen-za, con puntuale attenzione e con il suo difficilecarattere il cambiamento da noi ricercato. Illuogo del nostro impegno era la giustizia e, attra-verso questa, la società. Cercavamo di fare inmodo che giustizia e società divenissero le duefacce della stessa medaglia per esprimere i fon-damentali principi dell’uguaglianza, dell’indi-pendenza, del rigore”. Conosciutolo alla metàdegli anni ’60, l’avvocata Laura Hoesch ha cosìricordato quella unione di intenti tra alcuniavvocati e alcuni magistrati (http://www.punto-rosso.it/images/saperi/canosa.pdf; ultima con-sultazione 5 marzo 2013).35. B. Guidetti Serra, Le schedature Fiat.Cronaca di un processo e altre cronache, prefa-zione di S. Rodotà, Torino, Rosenberg&Sellier,1984; ed è la prima volta che i sindacati si costi-tuiscono parte civile in difesa di un’intera cate-goria di lavoratori.Tutto ciò non è una prerogativa del settore pri-vato, al contrario; la decisione di sanzionarecomportamenti commessi dagli impiegati pub-blici fuori dagli uffici è capitata più volte nelcorso della storia repubblicana (M. Rusciano,L’impiego pubblico in Italia, Bologna, il Mulino,1978). Anche la burocrazia statale è rimastaestranea per lungo tempo ai principi dellaCostituzione applicando il testo unico del 1923ben oltre la promulgazione di quello del 1957negli anni ’60 e ’70 sanzionando e licenziando ilpersonale pubblico in base alla vita privata e alleloro opinioni, con l’avallo del Consiglio di Stato(G. Focardi, Storia dei progetti di riforma dellapubblica amministrazione: Francia e Italia 1943-1948, Bologna, Bup, 2004, pp. 328 e 345).36. B. Guidetti Serra, con S. Mobiglia, Bianca larossa, Torino, Einaudi, 2009, p. 186.37. Andrea Sceresini, Nicola Palma, Maria ElenaScandaliato, Piazza Fontana, noi sapevamo.Golpe e stragi di Stato. Le verità del generaleMaletti, Roma, Aliberti editore, 2010, pp. 92-93(e anche pp. 112, 115).38. “L’ho già detto: tra il Sid e la magistraturanon c’era alcun tipo di rapporto, non a queitempi” (Ivi, p. 128). Lo stesso problema, la man-cata collaborazione del Sid con i magistrati, è

riportato da M. Franzinelli e P.P. Poggio, Storia diun giudice italiano. Vita di Adolfo Beria diArgentine, Milano, Rizzoli, 2004, pp. 198-199,219-220.39. P. Calogero, “Lo Stato e il terrorismo”, semi-nario tenuto il 18.04.2012 a Padova; e gli artico-li sui quotidiani “Il Gazzettino” (p. XXX) e “IlMattino” (p. 45) del 19.04.2012 con stralci dellesue dichiarazioni. Magistrato dal 1967, fino al1983 si è occupato di terrorismo, prima a Trevisonei confronti dei neofascisti, poi a Padova versogruppi quali Autonomia Operaia e Br.40. Simili affermazioni si trovano in P. Calogero,La testimonianza, intervista a cura di S.Giralucci, in C. Fumian, P. Calogero, M. Sartori,Terrore rosso, dall’autonomia al partito armato,Roma, Laterza, 2010, pp. 152-157.41. Canosa scrive di “migrazioni” dei processiverso sud: Id., Storia della magistratura in Italia.Da Piazza Fontana a Mani Pulite, Milano,Baldini&Castoldi, 1996, pp. 31-39.42. Il periodico dell’Anm titola “Inaudito atten-tato all’ordine giudiziario ed allo Stato”, in “Lamagistratura”, marzo-aprile 1974, a. XXVIII, n.3-4, p. 1.43. Franzinelli e Poggio evidenziano come il“Centro nazionale di prevenzione e difesa socia-le”, creato da Beria a Milano nel 1948, paghi unpesante tributo di sangue con le uccisioni diquattro dei suoi collaboratori, per mano di terro-risti di sinistra: Girolamo Tartaglione, EmilioAlessandrini, Girolamo Minervini e Guido Galli.Inoltre ricordano alcuni articoli di Beria sulvuoto istituzionale e sulla solitudine dei magi-strati, che si occupavano di indagini sul terrori-smo e la lotta armata, lasciati soli e senza prote-zione (Storia di un giudice italiano, cit., pp. 223,227-228).44. F. Tacchi, Dalla Repubblica Cisalpina allaRepubblica Italiana, in Avvocati a Milano. Seisecoli di storia, a cura di A. Gigli Marchetti, A.Riosa, F. Tacchi, con la collaborazione di P.Caccia, M. Unia, Milano, Skira, 2004, p. 131 (enel 1977 un alto magistrato, Carmelo Spagnuolo,era andato fino a New York a testimoniare a favo-re di Sindona).45. F. Carnelutti, Vita di avvocato. Mio fratelloDaniele. In difesa di uno sconosciuto, a cura diF. Cipriani, Milano, Giuffrè, 2006, p. 48.46. G. Focardi, Alla conquista della “giustizia”:le magistrate, in Donne e professioni nell’Italiadel novecento, a cura di G. Vicarelli, Bologna, ilMulino, 2006, pp. 211-212.47. Tacchi, Eva Togata, cit., p. 172; L. Hoesch, Il“femminismo” entra in tribunale, in Avvocati aMilano, cit., pp. 203-204; N. Gandus, Organiz-zazione degli uffici ed esercizio delle funzionigiurisdizionali: essere donna fa differenza?, rela-

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zione al convegno organizzato da MD su“Magistratura e differenza di genere” (Milano,17 aprile 2004), “md”, n. 2, 2009(http://old.magistraturademocratica.it/platform/2007/07/16/organizzazione-degli-uffici-ed-eser-cizio-delle-funzioni-giurisdizionali-essere-donna-fa; ultima consultazione 5 marzo 2013).48. Tacchi, Eva Togata, cit., pp. 161-194.49. R. Canosa, Il giudice e la donna.Cento anni di sentenze sulla condizione fem-minile in Italia, Milano, Mazzotta, 1978, unlibro che ha rappresentato a lungo, anche pergli storici, una lettura obbligata sull’argomen-to (vista la scarsità di studi all’epoca di storiadelle donne e di storia di genere), grazie all’a-nalisi di lungo periodo e alla presenza dimolti documenti e citazioni tratte dalle sen-tenze.50. Con protagonisti come l’allora presidente delConsiglio dei ministri Bettino Craxi (1983-1987),

e il presidente della Repubblica FrancescoCossiga (1985-1992).51. Luminati, Linguaggi e stili della magistratu-ra, cit. p. 310.52. R. Canosa, Storia della magistratura in Italia,cit., pp. 113-120.53. Melis, Il potere dei giudici e la latitanza dellapolitica, cit., p. 11. Tutto sommato, la magistra-tura ha saputo uscire dalle emergenze degli anni‘70 - ‘80, non così l’amministrazione della giu-stizia, a causa di mancate riforme organizzativee funzionali che però sono debitrici – di nuovo– dell’assenza di riforme del legislatore, e dellapolitica.54. Con tanto di periodici illustrati, come “Igrandi processi illustrati”, “Il corriere illustratodei processi celebri”: cfr. P. Caccia, “Giustizia siafatta: e giustizia sia”. Giustizia e avvocati nellaletteratura popolare milanese, in Avvocati aMilano, cit. pp. 179-189.

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Questo incontro rappresenta per me anchel’occasione per ricordare quello che RomanoCanosa ha rappresentato nella formazionedi un diritto giurisprudenziale del lavoro,vale a dire quanto alla interpretazione eapplicazione di tale diritto, orientate a pro-muovere l’effettiva emancipazione e ilpieno sviluppo della persona e della dignitàdel soggetto lavoratore. Anche in tale conte-sto; soprattutto all’interno dei luoghi dilavoro.Si tratta di una azione sviluppata daRomano Canosa, in primo luogo nel perio-do, diciamo così, “eroico”dei primi anni ’70del secolo scorso, quando, in collegamentocon un gruppo ristretto di giudici, andavavalorizzando, con le proprie sentenze, prin-cipi e regole che spesso potevano apparirerivoluzionarie, ma elaborate con un sicuroancoraggio alla nuova Costituzione repub-blicana e alla nuova legislazione del lavoro.Un’azione proseguita anche successiva-mente, quando le esigenze dei processi ditrasformazione produttiva avviati già a par-tire dalla seconda metà degli anni ’70 impo-sero una attenuazione dei diritti indisponi-bili dei lavoratori, Romano Canosa fu sem-pre l’ispiratore e forza trainante, con la suapersonalità coinvolgente, di idee innovativeall’interno dell’allora Pretura del lavoro diMilano, in sede di controllo di legalità di taliprocessi, ove incidenti su diritti dei lavora-tori e in funzione di tutela della parte piùdebole del rapporto di lavoro.A cavallo tra gli anni ’60 e ’70 del secolo

scorso, la Pretura del lavoro di Milano eravenuta assumendo in Italia una posizione dileadership nella promozione e difesa delladignità e dei diritti dei lavoratori nei luoghidi lavoro, posizione che poi ha mantenutoper molti anni e della quale sono stati parte-cipi molti degli uffici giudiziari del lavoroitaliani, soprattutto del nord.In quegli anni si sviluppa infatti un fenome-no di rottura del quadro di sostanziale sud-ditanza del lavoro subordinato, con la parte-cipazione operaia ai movimenti del ’68-70,che si sviluppano anche all’interno dei luo-ghi di lavoro in forme di lotta inedite, in unclima di profondo rinnovamento dellasocietà, sollecitato anche da analoghi movi-menti sviluppatisi in altri Paesi.Il movimento è preceduto, accompagnato eseguito dall’approvazione di leggi che asse-condano queste istanze di riscatto e di tute-la, tra le quali spicca la legge n. 300 del 1970,contenente il c.c. Statuto dei lavoratori.Con questa legge vengono affermati, poten-ziati e difesi la libertà e i più importanti dirit-ti dei lavoratori in azienda:- in materia di licenziamento (il famoso art.18 che prevede una tutela più pregnantecontro i licenziamenti illegittimi, realizzataattraverso la reintegrazione del lavoratorelicenziato in maniera ingiustificata); - in materia di mansioni e di trasferimenti(l’art. 13 dello statuto, che impedisce infattimutamenti peggiorativi di mansioni e con-diziona la legittimità del trasferimento adobiettive esigenze tecniche, organizzative e

*Magistrato pressola Corte Suprema diCassazione, SezioneLavoro.

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Il ruolo della Pretura delLavoro di Milano nell’elabo-razione di una giurisprudenzaancorata alla Costituzioneper la promozione delladignità e dei diritti dei lavoratori di Antonio IANNIELLO*

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produttive); - in materia di sanzioni disciplinari (con laprevisione della necessaria tipicizzazionedegli illeciti e delle sanzioni disciplinari ela procedimentalizzazione dell’iter di irro-gazione delle sanzioni, in funzione dellagaranzia del contraddittorio) etc.Inoltre lo statuto delimita l’ambito del pote-re imprenditoriale in materia di controllidell’attività lavorativa e della malattia a tute-la della dignità dei lavoratori e delle lavora-trici, predispone misure per assicurarne lalibertà di espressione delle idee, per la tute-la della salute e dell’integrità fisica deglistessi, poi sviluppate in veri e propri testiunici, fa divieto di indagini sulle loro opi-nioni e su fatti estranei alla valutazione del-l’attitudine professionale del lavoratore.Infine promuove la presenza del sindacatoin fabbrica, al quale attribuisce una serie didiritti e prerogative che consentano l’ade-guato svolgersi della sua azione a sostegnodei diritti dei lavoratori.E’ in questo quadro di riferimento che sisviluppa l’applicazione giurisprudenzialedelle nuove leggi sul lavoro, nella quale èsubito evidente appunto l’attivismo dellaPretura di Milano nell’assecondare il pro-cesso tendente a riequilibrare i rapporti diforza all’interno dei luoghi di lavoro dallaposizione di notevole squilibrio in cui sitrovavano a vantaggio dell’impresa. Non fu una operazione indolore, perchémolti imprenditori reagirono al processoinnescato dai movimenti accennati e favori-to dallo Statuto, tentando di ridimensionar-ne la portata innovativa, negando la possibi-lità di cittadinanza all’interno dei luoghi dilavoro ai diritti e alle libertà da esso affer-mati e potenziati, denunciandone la portataeversiva e distruttiva della crescita e conessa del benessere economico raggiunto.E’ in questa attività di sostegno della caricainnovatrice dello Statuto e di contrasto, innome delle nuove leggi, alla reazioneimprenditoriale di allora che la storia dellapretura del lavoro di Milano si intreccia conquella di Romano Canosa, giunto alla relati-va sezione, a partire dal 1969-70 dopo unapoco interessante esperienza in sezioni diminore impatto sociale.Si forma infatti in quegli anni all’internodella sezione un gruppo omogeneo di magi-

strati decisamente orientati a favorire l’e-mancipazione del mondo del lavoro nell’ot-tica promozionale della dignità dello stessoe della rimozione degli ostacoli di fatto esi-stenti al suo riscatto sociale, secondo l’indi-cazione proveniente, in proposito, dallastessa Costituzione repubblicana (art. 3,secondo comma Cost.).E’ l’uso alternativo del diritto, secondo laformula usata da Magistratura Democraticadi cui Romano Canosa sarà in quegli anniuno dei principali artefici, uso che nelcampo del lavoro umano trova un settore dielezione, nella rigorosa applicazione delnuovo diritto per il superamento di anticheingiustizie, con parole d’ordine che evocanoprincipi costituzionali.Si tratta dell’opera in cui fu impegnata tuttala Pretura anche e soprattutto per effettodella personalità trainante di Romano; un’o-pera che, depurata di alcuni eccessi chescontano l’entusiasmo dei tempi, riveleràspesso una capacità di tenuta nel tempo, tra-ducendosi nell’affermazione di principi diciviltà, sovente fatti propri e sviluppati dallegislatore successivo e comunque tuttorapatrimonio della giurisprudenza italiana.Gli esempi sono numerosi.A partire proprio dal tanto citato e travisatoepisodio boccaccesco del garzone di salu-meria licenziato in tronco (senza preavviso)perché se la faceva con la moglie del datoredi lavoro.Una pubblicistica in cerca di scoop parlò discandalosa sentenza di reintegrazione delgarzone nella salumeria, con tutte le comi-che implicazioni che ciò evoca, mentre,date le dimensioni dell’impresa, si trattava,secondo la disciplina vigente, solo del dirit-to del lavoratore licenziato all’indennitàsostitutiva del preavviso.La sentenza di Canosa conteneva viceversal’affermazione di un principio di evidenteciviltà e ragionevolezza, il quale infatti èdivenuto indiscutibile patrimonio comune:quello della indifferenza tendenziale dellavita privata del lavoratore sul piano dellacorrettezza e della continuità del rapporto dilavoro.Salva naturalmente l’ipotesi in cui gli episo-di di questa vita privata incidano sulle man-sioni affidate al lavoratore e sull’oggettivaaspettativa di corretto svolgimento delle

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stesse (come sarebbe, ad es. il caso del cas-siere di banca che nella vita privata vienecondannato per furto a danni di un terzo; odell’infermiere di ospedale che spacciadroga, etc.). (cfr., ad es. Cass. 12 settembre2000 n. 11986).Un altro esempio di questa capacità di tenu-ta della giurisprudenza di allora è rappre-sentato dalla regola del licenziamento comeestrema ratio, elaborata con la rigorosa appli-cazione da parte della Pretura di Milanodelle indicazioni provenienti dalla legge edalla coscienza sociale e che trova ancor oggile sue espressioni più significative: a) anzitutto nella diffusa affermazione del-l’obbligo di recupero del lavoratore in altricompiti quando non sia più idoneo a svol-gere i precedenti o quando questi ultimisiano stati soppressi (vedi, ad es. Cass. 26marzo 2010 n. 7381), b) poi nella rigorosa valutazione dei profilisoggettivi e oggettivi della inadempienza ingrado di dare luogo ad un licenziamentopiuttosto che ad una sanzione conservativae che deve comunque essere notevole egrave (cfr. ad es. Cass. 26 aprile 2012 n.6498, o 23 febbraio 2012 n. 2720 o 7 aprile2011 n. 7948), c) infine, nell’affermazione, anche di recen-te ribadita dalla cassazione, che, pur nelrispetto della libertà dell’imprenditore inordine alle dimensioni aziendali, la riduzio-ne di personale non potrebbe essere ispirataal puro intento di un incremento del profittoeconomico (ad es., anche recentemente, cfr.Cass. 23 febbraio 2012 n. 2712 o 8 febbraio2011 n. 3040, che trova il suo precedente inalcune pronunce di Romano Canosa o daaltri giudici della pretura in materia di licen-ziamento per ragioni economiche). Un altro settore di intervento che ha poivisto consolidarsi i relativi principi, anchead opera della Corte costituzionale, riguardail licenziamento disciplinare: qui, data lanatura punitiva del licenziamento, partico-larmente importante è stato il tema dellaapplicabilità delle garanzie procedimentalipreviste dallo Statuto in materia di sanzionidisciplinari, soprattutto quanto alla preven-tiva contestazione degli addebiti e alla pos-sibilità di difesa per il lavoratore.Lo Statuto del 1970 prevedeva tali garanziegenericamente per le sanzioni disciplinari,

ma veniva prevalentemente interpretatocome riferito esclusivamente alle sanzioniconservative.Fu merito della Pretura di Milano denun-ciare ripetutamente l’assurdità, sul pianologico oltre che giuridico, di una tale diffe-renziazione: la maggiore sanzione privatapossibile veniva trattata, contro ogni logi-ca, in maniera meno garantista di quelleminori.L’orientamento inclusivo non incontrò ini-zialmente il favore della Corte di cassazione,fino a che intervenne la stessa Corte costitu-zionale con una sentenza storica (30 novem-

bre 1982 n. 204), frutto della penna del Prof.Andrioli, che, in maniera tranchant, denun-ciò l’assurdità e quindi la contrarietà all’art.3 della Cost., della distinzione, secondoquanto poi ribadito anche con riguardo ailicenziamenti per motivi disciplinari inti-mati da datori di lavoro con meno di 16dipendenti (Corte cost. 25 luglio 1989 n.427).Per cui ora anche la cassazione afferma, siapure con qualche distinguo quanto all’ap-plicazione del primo comma (Cass. 21luglio 2004 n. 13526), l’applicabilità allicenziamento dell’art. 7 S.L., quantomenocon riguardo alla preventiva contestazionedegli addebiti e alla concessione di un ter-mine a difesa dell’incolpato (ad es. Cass. 17gennaio 2011 n. 897), regola poi estesaanche alla categoria dei dirigenti (Cass. S.U.30 marzo 2007 n. 7880). E ancora: la legge di tutela dai licenziamen-ti ingiustificati contiene una norma cheesclude dal proprio ambito sia i licenzia-menti per i dirigenti che i licenziamenti col-lettivi per riduzione del personale.

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Per il primo, Romano Canosa elaborò la teo-ria, tuttora affermata anche dalla Cassazione(Cass. S.U. n. 7880/07, cit.), della necessariadistinzione, sul primo piano, tra dirigentiveri e pseudo dirigenti, la cui forza contrat-tuale di fronte al datore di lavoro non è dis-simile da quella di un impiegato direttivo:solo per i primi vale pertanto l’esclusionedalla tutela, mentre per gli pseudo-dirigentiriprende vigore la regola generale della sot-toposizione del relativo licenziamento airigorosi limiti fissati dalla legge. Quanto al licenziamento collettivo, la disci-plina inizialmente applicabile fu individua-ta negli accordi interconfederali esistenti inmateria (quello del 20 dicembre 1950 resoefficace erga omnescol D.P.R. 14 luglio 1960n. 1019, in attuazione della legge n. 741 del1959 e quello del 5 maggio 1965), che pre-vedevano procedure conciliative e stabiliva-no i criteri di scelta da seguire in concorsotra di loro e in maniera trasparente per l’in-dividuazione dei lavoratori da licenziare.In particolare, mentre la qualificazione stes-sa di licenziamento collettivo veniva cau-salmente ancorata ad una situazione di crisio alla necessità di processi di riorganizza-zione produttiva, che imponessero unariduzione di personale per adeguarsi allasituazione di mercato, l’attenzione che i giu-dici di merito dedicarono alla rigorosaosservanza dei criteri di scelta stabiliti dallacontrattazione collettiva individuava unosnodo centrale della materia, per la intuibi-le tentazione dell’impresa di liberarsi, conl’occasione, di personale scomodo o menoproduttivo.L’importanza dell’argomento venne coltaanche dalla cassazione, che in particolareaffermò la necessaria concorrenza dei crite-ri di scelta seguiti dall’impresa e la loro tra-sparenza, in primo luogo in direzione deilavoratori e dei loro sindacati (cfr. ad es.Cass. 14 dicembre 1990 n. 11885 o 12 ago-sto 1982 n. 4589).La materia è stata infine oggetto di esplicita,articolata disciplina di legge (L. 23 luglio1991 n. 223), che in attuazione della norma-tiva comunitaria, prevede che debba essereseguita una complessa procedura che vedepartecipi i sindacati, coi quali è altresì pos-sibile individuare criteri di scelta diversi daquelli di legge. La violazione della procedu-

ra o nell’applicazione dei criteri di scelta erasanzionata dalla legge con l’inefficacia o conla invalidità del licenziamento.Un altro settore di intervento incisivo dellagiurisprudenza fu in materia di contratti atermine, che nel passato remoto, primadella legge del 1962, complice la vaghezzadella disciplina di legge, era stata oggetto dinotevoli e diffusi abusi.Fu compito della giurisprudenza di queglianni il controllo della più rigorosa applica-zione della nuova legge sui contratti a ter-mine (L. n. 230 del 1962), allora orientata,per contrastare le precedenti tendenze, aduna tassativa delimitazione delle ipotesi dilegittima apposizione di un termine finale alcontratto di lavoro.Con soluzioni riprese anche dalla Cassazio-ne nei casi, per la verità sempre più rari neltempo, in cui l’oggetto del giudizio è un con-tratto a termine stipulato a norma della leggen. 230/1962 (cfr., ad es., in materia di sosti-tuzione di personale in ferie, Cass. 12 marzo1986 n. 1671 o in materia di assunzioni atermine per specifici spettacoli, Cass. 11aprile 2006 n. 8385).E ancora, mi piace ricordare l’uso del proce-dimento cautelare d’urgenza di cui all’art.700 c.p.c., per molto tempo ritenuto funzio-nale alla sola difesa della proprietà o deidiritti della persona. Questo procedimento consente normal-mente di risolvere temporaneamente la con-troversia in pochi giorni, salvo miglioreapprofondimento nel giudizio di merito dacelebrare successivamente, con l’ulteriorevantaggio di trasferire il rischio della duratadel giudizio ordinario sulla parte che“appare” avere torto. Negli anni ’70 del secolo scorso l’uso delprocedimento di urgenza viene definitiva-mente esteso a difesa di molti dei diritti dellavoratore, quelli caratterizzati dalla sicuradeteriorabilità in ragione del trascorrere deltempo; casi in cui la tardiva affermazionedegli stessi sarebbe infatti inutile o moltomeno utile: il licenziamento, il trasferimen-to, la dequalificazione, ma anche, al limite,la retribuzione, per la sua funzione disostentamento del lavoratore e della suafamiglia al fine di assicurare loro una vitalibera e dignitosa, come recita l’art. 36 Cost..Infine, un altro tra i tanti esempi di giuri-

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sprudenza, diciamo così, alternativa e disostegno della Pretura di Milano, peraltropoi in buona parte consolidatasi in principicondivisi, si sviluppò in materia di dirittisindacali e di sciopero.Mi riferisco in particolare al superamentodella teoria della necessaria equivalenza deidanni nella valutazione della legittimità omeno di uno sciopero, soprattutto a propo-sito delle nuove forme di lotta, quale lo scio-pero articolato o a singhiozzo, lo sciopero ascacchiera o quello del cottimo. In proposito, infatti, una parte della dottri-na e giurisprudenza sosteneva che lo scio-pero, per essere legittimo, non avrebbedovuto arrecare all’impresa un dannomaggiore di quello che arrecava ai lavora-tori. Per questa via, si introducevano sur-rettiziamente limitazioni non previstedalla legge in una materia, quella dellosciopero, oggetto di una tutela privilegiatanella Costituzione, quale mezzo di eman-cipazione dei lavoratori. Si trattava di un tentativo di ridimensiona-mento, del quale, infine, anche la Corte dicassazione (cfr., ad es., Cass. 24 gennaio1981 n. 568 o 30 gennaio 1980 n. 711) rivelòil carattere elusivo di un diritto fondamen-tale, al di fuori dell’ipotesi in cui l’eserciziodello sciopero possa costituire lesione dibeni di pari o superiore rilievo nella Cartacostituzionale, quali la vita, la salute, ladignità e, semmai, non la produttività, ma lastessa capacità produttiva dell’impresa.Bilanciamento di diritti di pari dignità costi-tuzionale che è stato poi all’origine delladisciplina dello sciopero nei pubblici servi-zi essenziali (L. 12 giugno 1990 n. 146).Altrettanto efficaci furono gli interventi disostegno dei vecchi e nuovi soggetti sinda-cali nella loro azione all’interno delle impre-se: dalla legittimazione alla costituzione dirappresentanze sindacali aziendali ancheall’interno di una associazione sindacale deidatori di lavoro, all’uso del rapido ed effica-ce strumento di cui all’art. 28 S.L. per repri-mere condotte antisindacali. Una cautela maggiore veniva osservata,anche da Romano Canosa, di fronte ai feno-meni di ridimensionamento o chiusura diaziende, in quanto questo era valutato comeun terreno infido per un giudice, pocoesperto di gestione aziendale. E tuttavia

Canosa non esitava a coinvolgere esperti digestione aziendale ove da significativi indiziemergesse la possibilità che, con la minacciadi chiusura, fossero state in realtà poste inessere manovre per fiaccare le lotte in azien-da o per liberarsi di personale scomodo.Nella materia della esecuzione degli obbli-ghi di fare infungibile e in particolare del-l’obbligo di reintegrazione del lavoratoreillegittimamente licenziato in azienda, itentativi della dottrina e della giurispru-denza, anche di Milano per assicurare unatutela effettiva non hanno invece avuto(salvo la possibilità di utilizzare il ricorsoper condotta antisindacale, ove ne ricorra-

no i presupposti, col relativo sostegno diuna sanzione penale) risultati soddisfacenti,come la recente vicenda dei tre operai dellaFiat di Melfi reintegrati dai giudici di meri-to sta lì a dimostrare.In proposito, la via più radicale è stata quel-la di nominare un sostituto dell’imprendito-re per dare esecuzione all’ordine; ma poichéquesta sostituzione non può che essere tem-poranea, la misura, oltre che non previstaspecificatamente e in maniera efficace dalcodice di rito, si è rivelata per lo più inuti-le.La Pretura di Milano aveva seguito ancheuna via intermedia, coinvolgendo, comericorda Romano Canosa nel suo libro“Storia di un pretore”, anche l’allora pretoredirigente De Falco: distinguendo nel com-plessivo obbligo di reintegrazione alcuniaspetti fungibili (relativi alla entrata inazienda, alla collocazione del lavoratore incorrispondenza del proprio posto di lavoro,all’esercizio delle libertà sindacali all’inter-no, etc.), aveva ipotizzato la possibilità diesecuzione coattiva di questi componenti

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dell’obbligo, da utilizzare anche quale stru-mento di pressione all’adempimento; ma laprassi non ha avuto un gran seguito.Una parte della dottrina aveva anche ipotiz-zato la possibilità di misure coercitive indi-rette, volte a favorire l’adempimento spon-taneo dell’obbligo di reintegrazione, ravvi-sandole nelle sanzioni penali per i reati dicui all’art. 388 c.p. o 650 c.p., ma laCassazione penale non ha seguito questavia. Infine, dopo che per molti anni il dibattitosulle possibilità di disincentivare l’inadem-pimento di obblighi di fare infungibile o dinon fare e quindi favorirne l’adempimentospontaneo attraverso misure coercitive indi-rette si era sviluppato ampiamente in Italia,col richiamo alle esperienze europee (l’a-streinte del diritto francese), finalmente illegislatore del 2009 (legge 18 giugno 2009 n.69) ha introdotto con l’art. 49 una nuovanorma del codice di rito, l’art. 614-bis c.p.c.che prevede che il giudice, pronunciandouna condanna ad obblighi siffatti, possa sta-bilire, su istanza di parte, le somme dovuteper ogni ritardo nell’esecuzione del provve-dimento. Tuttavia, guarda caso, questa disciplina,che opportunamente graduata nel tempopotrebbe rappresentare una potente spintaall’adempimento degli obblighi di questotipo, è dichiarata non applicabile alle con-troversie di lavoro subordinato e parasu-bordinato (anche se, per quanto riguarda laspinta all’esecuzione dell’obbligo di reinte-grazione dopo l’annullamento di un licen-ziamento, una misura in qualche modoequivalente potrebbe essere quella di cui aldecimo comma dell’art. 18 S.L., comerecentemente ritenuto dalla cassazione –sent. 18 giugno 2012 n. 9965 - in un caso incui l’imprenditore si era limitato a ripristi-nare unicamente l’erogazione della retribu-zione). Gli interventi della pretura del lavoro diquegli anni che ho ricordato, insieme amolti altri di sostanziale sistemazione giuri-sprudenziale del diritto del lavoro non furo-no indolori neppure per i loro artefici: bastiinfatti qui ricordare i tentativi di trasferi-mento di Romano Canosa e di altri pretoridel lavoro milanesi dalla sezione lavoro allapiù “tranquilla” sezione che si occupava di

incidenti stradali.Oppure il procedimento disciplinare avvia-to nei primi anni ’70 nei confronti di Canosae di altri due giudici della sezione, accusatigenericamente di riformismo, conclusosipoi con una assoluzione piena da parte delCSM. O infine quello avviato contro il pre-tore Francesco Cecconi, reo di aver tolleratola presenza massiccia degli operai ad unaudienza che, direttamente o indirettamente,li riguardava. Anche dopo e molto dopo il periodo “eroi-co” della giurisprudenza del lavoro, conuna legislazione più orientata a sostenerel’impresa che il lavoro, non mancarono leoccasioni per riaffermare diritti e imporreregole di condotta per la loro tutela effettiva.Testimoniando della situazione della sezio-ne del lavoro milanese, posso dire che anco-ra una volta, nei momenti in cui si affaccia-vano problematiche nuove, coinvolgentidiritti fondamentali, l’ispiratore delle solu-zioni più appropriate fu sempre RomanoCanosa, pur nel disincanto e buona dose diamarezza che hanno caratterizzato gli ultimianni della sua attività giudiziaria. Accanto ad alcuni dei casi già citati, ricordoad es. gli interventi in materia di cassa inte-grazione guadagni, che era diventata l’anti-camera del licenziamento per i lavoratoriche incappavano nella relativa sospensionedal lavoro, spesso scelti tra i meno produtti-vi e magari tra i più svantaggiati.Fu proprio su impulso delle idee diRomano Canosa che la giustizia del lavoroelaborò la teoria della presenza di limitiinterni nella scelta, di oggettiva coerenzacon la c.d. causa integrabile e soprattuttoimpose come regola generale quella dellarotazione, quanto alla sospensione, del per-sonale con professionalità equivalente; limi-ti e regole transitati poi nella legge che nel1991 disciplinò in maniera innovativa l’isti-tuto della cassa integrazione guadagnistraordinaria (v. artt. 1-3 della L. n. 223 del1991).Ricordo ancora, per finire e sempre a titolodi esempio, l’impasse che si era determina-ta nell’effettivo avvio del riconoscimentodella categoria dei quadri (creata dalla legge1° maggio 1985 n. 190 accanto a quella dioperai, impiegati e dirigenti) a causa delritardo nell’approvazione di contratti collet-

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tivi che avrebbero dovuto stabilirne i requi-siti di appartenenza, secondo la legge mede-sima.Molti impiegati in posizione di responsabi-lità scalpitavano per accelerare i tempi diuna trattativa che evidentemente nonincontrava il pieno favore delle imprese.Fu allora che, per superare lo stallo,Romano Canosa, sulla scia di una operazio-ne ermeneutica già effettuata per la categoriadei dirigenti, affermò che i connotati dellacategoria dei quadri sono già presenti nelladefinizione contenuta nella legge (tesi poiseguita da Cass. 27 febbraio 1995 n. 2246) eche la contrattazione poteva semmai, quan-do fosse intervenuta, specificarli meglio inrapporto ai singoli rami produttivi e allecaratteristiche dell’impresa. Ma è forse il tempo di fermarmi con gliesempi del passato, saltando a piè pari ainostri giorni, dopo che un processo di tra-sformazione continua degli assetti economi-ci e produttivi del Paese, a partire dall’ulti-ma parte degli anni ’70 e tuttora attivo, hadeterminato nel tempo lo spostamento del-l’attenzione e dell’interesse del legislatoredalla rigorosa tutela dei diritti dei lavoratorial mondo delle imprese, attraverso politichedi sostegno alla crescita, in un quadro ten-denziale di progressivo mutamento nell’e-quilibrio dei rapporti di forza tra impresa elavoro.Concluderei con una breve panoramica inordine al più recente esito di questo proces-so, rappresentato dalla riforma del mercatodel lavoro da poco varata dal governo tecni-co e dal parlamento e presentata come rifor-ma epocale.La sua dichiarata “filosofia” è quella enun-ciata nel primo articolo del disegno di leggen. 3249 recentemente approvato dal Senato(successivamente divenuto primo commadell’art. 1 della legge 28 giugno 2012 n. 92),che indica tra le principali finalità persegui-te dalla riforma del mercato del lavoro, quel-le di: a) favorire lavori più stabili, col ribadi-re che il contratto dominante è quello dilavoro subordinato a tempo indeterminato;b) valorizzare il contratto di apprendistatocome modalità prevalente di ingresso deigiovani nel mondo del lavoro; c) redistribui-re più equamente le tutele dell’impiego,contrastando l’uso improprio della flessibi-

lità introdotta in taluni assetti contrattuali eadeguando peraltro ai tempi mutati la disci-plina dei licenziamenti; d) rendere più effi-ciente, coerente ed equo l’assetto degliammortizzatori sociali e delle politiche atti-ve del lavoro; e) promuovere una maggioreinclusione delle donne nella vita economi-ca; f) favorire nuove opportunità di impiegoo di tutela del reddito per gli ultra cinquan-tenni. Quanto al modo con cui vengonoperseguite le finalità indicate, alcuni aspet-ti appaiono moderatamente interessanti,come una qualche razionalizzazione dell’as-sociazione in partecipazione con apporto

lavorativo nonché del lavoro a progetto e diquello c.d. a partita IVA., che a determina-te condizioni si trasforma in lavoroco.co.co. o la delega al Governo per unarevisione della disciplina dei tirocini for-mativi, che mira a combatterne l’abuso.Ma è ancora troppo il lavoro precario, siaquello autonomo che quello subordinato. Aquest’ultimo riguardo, viene infatti ampliatala possibilità di ricorrere al contratto di lavo-ro a tempo determinato, sia pur parzialmen-te temperata dalla previsione di un contri-buto aggiuntivo, parzialmente restituibile incaso di trasformazione del rapporto a tempoindeterminato. Viene così introdotto un elemento forte-mente contraddittorio rispetto alla regoladel contratto di lavoro stabile come tipolo-gia dominante, con la previsione della pos-sibilità di stipulare con la medesima perso-na un primo contratto a termine, della dura-ta di dodici mesi, acausale, vale a dire svin-colato da specifiche esigenze di caratteretemporaneo, che, a voler pensar male (che,come ognuno sa, non si sbaglia), ha le carte

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in regola per diventare l’unica forma di con-tratto a termine e forse anche una diffusaforma di prova lunga in vista del possibiletransito verso il contratto a tempo indeter-minato, con tutti i condizionamenti che ciòcomporta per il lavoratore.Sul piano della disciplina in uscita, accantoalla articolata predisposizione di una tutelacontro le ricorrenti ipotesi di dimissioni inbianco del lavoratore o della lavoratrice,imposte all’atto stesso dell’assunzione,viene poi incrementata e articolata la flessi-bilità del sistema di tutele, riservando ladisciplina precedente (vale a dire, reintegra-zione con risarcimento danni pieno e possi-bile opzione del lavoratore verso l’indennitàsostitutiva della reintegrazione), anzituttoalla ipotesi di licenziamento nullo perchédiscriminatorio o con motivo illecito deter-minante, e poi in altre limitate ipotesi dinullità previste dalla legge, oltre al licenzia-mento orale. Si tratta in realtà di ipotesi residuali, ancheperché la prova della discriminazione edella illiceità, di per sé difficilissima, saràpraticamente impossibile, visto che vieneincoraggiata la mancata motivazione dellicenziamento, sanzionata infatti con lapenale economica più bassa (da 6 a 12 men-silità). Negli altri casi, la reintegrazione (con l’alter-nativa dell’indennità sostitutiva) è conserva-ta, in materia di licenziamento disciplinare,solo ove risulti giudizialmente che il fattocontestato non sussiste o che per tale fatto lacontrattazione collettiva o i codici discipli-nari prevedono solo una sanzione conserva-tiva; ma il risarcimento dei danni subiti dallicenziamento alla reintegrazione non puòsuperare le 12 mensilità.In materia di licenziamento per giustificatomotivo oggettivo, cioè nell’interesse dell’im-presa, la reintegrazione è prevista, oltre chenell’ipotesi in cui risulti ingiustificato quel-lo per inidoneità o per malattia, unicamentein caso di manifesta insussistenza del fattoposto a base del licenziamento, ipotesiaggettivazione quanto mai oscura.In ogni altro caso di licenziamento oggetti-vamente o soggettivamente ingiustificato,non proporzionato al fatto commesso, inti-mato senza la preventiva osservanza delcontraddittorio, etc., è prevista unicamente

una indennità risarcitoria, variamentemodulata. Una indennità risarcitoria, ma diimporto limitato si aggiunge anche alla rein-tegrazione negli altri casi (diversi dal licen-ziamento discriminatorio) in cui questa èprevista.Peraltro al lavoratore è data la possibilità dichiedere che venga accertata, anche in casodi difetto di motivazione del licenziamentoo di licenziamento per giustificato motivooggettivo, la diversa natura e l’ingiustifica-tezza dello stesso, ai fini dell’applicazionedella diversa tutela prevista. Ma tale possi-bilità, apprezzabile in via di principio,suscita una serie di dubbi quanto alla suapraticabilità, in molti casi depotenziata dallapossibile mancata comunicazione dei moti-vi di licenziamento.Infine anche al licenziamento collettivo,nullo, se orale, è viceversa applicabile, incaso di violazione del procedimento sinda-cale e pubblico, la sola sanzione indennita-ria, salvo il caso di violazione dei criteri discelta, nel qual caso è mantenuta la reinte-grazione, il risarcimento danni con massi-mo di 12 mensilità e la possibile indennitàsostitutiva della reintegrazione. In materia di impugnazione del licenzia-mento è poi previsto un procedimento spe-ciale, semplificato, molto strettamentecadenzato e all’espletamento del qualedevono essere riservati particolari giorni nelcalendario delle udienze. Il proposito diaccelerazione di questo processo si riveleràperaltro del tutto velleitario, se non verran-no incrementate le risorse umane da desti-nare ad esso. Come si vede, la riforma pensata per le tute-le contro il licenziamento illegittimo appareampiamente farraginosa, con molteplici dif-ferenziazioni non sempre perspicue ecomunque sicura causa di contenziosoaggiuntivo, di non facile applicazione e permolti versi ingiusta. Ingiusta per le differen-ze di trattamento che comporta tra lavorato-ri egualmente colpiti da una espulsioneingiustificata, ingiusta per aver svalutatoprincipi fondamentali di civiltà, come laregola del contraddittorio in materia di irro-gazione dei licenziamenti disciplinari,ingiusta per aver dimenticato l’importanzache aveva assunto la partecipazione sinda-cale nel procedimento che conduce al licen-

Medicina Democratica numero 207 gennaio / febbraio 201332 Atti La magistratura ed il futuro del diritto del lavoro, convegno promosso dall’Associazione Romano Canosa per gli studi storici, il 12 giugno 2012 - Milano, Società Umanitaria

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ziamento collettivo, partecipazione che eradivenuta praticamente l’unico possibilecontrollo in materia.Non è del resto neppure facile rendersi sem-pre conto delle ragioni di questa attenuazio-ne delle tutele del lavoro. Se infatti sono per-fettamente immaginabili i possibili vantaggiconseguibili dalle imprese con la disciplinariferita al licenziamento per motivi econo-mici, non sono altrettanto chiare le ragioniper differenziare le tutele nel licenziamentodisciplinare, che appaiono piuttosto il fruttodi un ossequio rituale più che sostanzialealle richieste provenienti dall’Europa.La parte migliore della riforma è quella rela-tiva agli ammortizzatori sociali e alle politi-che attive del lavoro.Qui le tutele economiche contro la disoccu-pazione o nei confronti della sospensionetemporanea del rapporto di lavoro vengonotendenzialmente generalizzate rispetto alpassato e ampiamente razionalizzate, ancheimponendo la creazione di fondi di solida-rietà bilaterali o residuali per gli ambiti esclu-si dal sistema generale; inoltre viene stabiliz-zata anche una provvidenza economica infavore dei co.co.co., anche se tutto ciò costapoi in termini di ammontare e di periodi difruizione limitati di tale sostegno economi-co. E’ peraltro prevista la possibilità di inter-venti aggiuntivi in deroga, nel prossimo pro-babilmente difficile futuro (2013-2016).Vengono poi potenziate e meglio organizza-te le politiche attive di sostegno sia all’occu-pazione di soggetti in difficoltà sia al reim-piego di chi ha perduto il lavoro. E ciò attra-verso colloqui di orientamento, azioni diformazione e di offerte di nuovo impiego.Potenziando e incentivando i relativi servi-zi pubblici e privati.Luci ed ombre quindi nella riforma, ma mipare più ombre che luci.

Certo, se davvero il sostegno economico eall’occupazione e alla rioccupazione funzio-nasse appieno e ognuno potesse collocarsifacilmente al posto giusto e trovarne facil-mente un altro in caso di perdita del prece-dente, il problema del rapporto a tempoindeterminato e quello delle tutele dal licen-ziamento si ridurrebbero al necessariorispetto di pochi fondamentali principi diciviltà.Ma così non è; e non si sa se e quando potràessere così. Gli ostacoli sono molteplici e sono sotto gliocchi di tutti: anzitutto il problema di unascuola inefficiente sul piano della prepara-zione all’ingresso e alla mobilità all’internodel mondo del lavoro; e poi una ammini-strazione pubblica poco capace di guidare iprocessi di allocazione e riallocazione dellavoro umano e una presenza privata che, alriguardo, non ha una tradizione consolidataalle spalle. Infine la limitatezza delle risorseeconomiche da destinare al sistema.Su tutto pesa poi il momento attuale di crisi,che rinvia ad un futuro improbabile la pienaefficace attivazione delle politiche attive,che restano per ora un sogno, mentre nonsono un sogno le minori tutele contro illicenziamento ingiustificato, che funzione-ranno a pieno ritmo da subito, non appenail disegno di legge diventerà legge.Luci ed ombre, dicevo e ancora una volta lariforma sollecita una assunzione di ruolo daparte della magistratura del lavoro, di unruolo di razionalizzazione, attraverso unainterpretazione conforme ai valori costitu-zionali, primo fra tutti il valore lavoro, nellasua duplice connotazione: individuale, inquanto momento essenziale della espressio-ne della persona; e sociale, quale strumentodi partecipazione alla vita politica, econo-mica e sociale del Paese.

Medicina Democratica numero 207 gennaio / febbraio 2013Atti 33La magistratura ed il futuro del diritto del lavoro, convegno promosso dall’Associazione Romano Canosa per gli studi storici, il 12 giugno 2012 - Milano, Società Umanitaria

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Il ruolo di Romano Canosaper il diritto del lavoro vivente

di Salvatore TRIFIRO’*

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Nella scia di Rapini anche da parte mia unringraziamento ad Isabella Canosa che condedizione e passione ha organizzato questoconvegno, la cui riuscita è già dimostratadalla vostra numerosa presenza.Un ringraziamento altresì per avermi datol’onore di parteciparvi.La mia è una testimonianza. Un ricordo diciò che ha rappresentato Romano Canosaper il nostro diritto del lavoro; per il dirittodel lavoro vivente. E, a proposito di diritto vivente, qualcheparola per i più giovani: come si forma ildiritto del lavoro vivente?Il diritto del lavoro vivente nasce nello studiodell’avvocato. Viene il cliente, espone uncaso.L’avvocato qualifica quel fatto nell’ambito diuna fattispecie tipica. Se la fattispecie tipicanon esiste, ai fini della qualificazione delfatto si ricorre dapprima all’analogia, poi aiprincipi generali dell’ordinamento, ovveroai principi di cui alla nostra carta costituzio-nale.Quel caso poi, trasfuso in un ricorso, o in unatto di citazione, viene portato al vaglio delGiudice: in Tribunale. Il giudice potrà acco-gliere la qualificazione del fatto così comeprospettata dall’attore (la tesi) o potrà acco-gliere la qualificazione del fatto così comeprospettata dal convenuto, (anti tesi) e tra-sfonde poi il tutto in una sentenza (la sinte-si). Quella sentenza costituirà la base per laformazione progressiva della giurispruden-za sul punto.Dal Tribunale si passerà in Corte d’Appello,dalla Corte d’Appello alla Cassazione. Quelcaso definito con una decisione (la sentenza)ritornerà di nuovo sul tavolo dell’avvocato.Sarà un punto da cui ripartire; uno strumen-to per indirizzare il lavoro nell’impresa

secondo le regole del diritto vivente.Ma parliamo di Romano Canosa: giudice egiurista.La storia, la vita, la giurisprudenza, e ciò cheè stato Romano Canosa, ben si ricava dal diLui libro autobiografico: “Storia di un preto-re”. E’ una lettura importante per capire il con-cetto di “legalità” che ha ispirato la vita diRomano Canosa per la giustizia. Ed è bene qui partire dalla prefazione.Romano ricorda, al riguardo, il pensiero delfamoso storiografo svizzero-tedesco JacobBurckhardt, e così premette: “Ora il malesulla Terra è certamente un elemento dellagrande economia della storia universale:esso è la violenza, il diritto del più forte sulpiù debole … prolungato nell’umanità conl’assassinio e la rapina nelle epoche primiti-ve, con la cacciata o la distruzione o l’asser-vimento di razze più deboli, o di nazioni piùdeboli in seno alla stessa razza, e di forma-zioni statali più deboli, o di strati sociali piùdeboli insieme allo stesso Stato e allo stessopopolo …Ma dal fatto che dal male sia venuto il bene,dall’infelicità una felicità relativa, non segueassolutamente che il male e l’infelicità, daprincipio, non fossero ciò che furono. Ogniviolenza riuscita fu male e fu una calamità ocome minimo fu un esempio pericoloso. Mase fondò una potenza, l’umanità con instan-cabili sforzi cercò in seguito di trasformare lamera potenza in ordine e legalità; dispiegò lesue energie sane e cercò di rimediare allecondizioni determinate dalla violenza...”Ecco questa è l’ispirazione da cui si muovela “legalità” di Romano Canosa; che io quinon critico.Come dicevo poc’anzi la mia è una testimo-nianza di quella che è stata la “legalità” nel

*Avvocato del Forodi Milano.

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pensiero e nell’azione di Romano Canosanel suo percorso di Magistrato.L’occasione per mettere in pratica la “lega-lità” gliela offre, nel 1970, l’entrata in vigoredello Statuto dei Lavoratori. Dice Romano… si trattava di “una buonalegge riformatrice… la quale proclamavatutta una serie di diritti dei lavoratori all’in-terno del luoghi di lavoro (diritto di assem-blea, diritto di professare il proprio credopolitico, diritto a controllare le condizioniigieniche in cui svolge il lavoro, etc.), irrobu-stiva, a favore dei dipendenti, i meccanismidi protezione contro i licenziamenti illegitti-mi (accanto al risarcimento, la nuova leggeprevedeva la reintegrazione nel posto dilavoro, per ordine del giudice, dei lavorato-ri licenziati senza giusta causa) e infine attri-buiva al giudice il potere di accertare, suricorso dei sindacati, eventuali comporta-menti anti sindacali delle imprese (il famo-so art. 28).“Non si trattava, continua Canosa, di unalegge sovversiva, tant’è vero che era stataapprovata anche dal partito liberale.Consentiva, tuttavia, interventi giudiziaripiù penetranti che nel passato, in una situa-zione di grande conflittualità sociale, all’in-terno come all’esterno delle fabbriche.Esaudiva anche un desiderio, diffuso tra igiudici progressisti, di incidere in qualchemodo sul sociale, in funzione riequilibratri-ce delle ingiustizie e delle storture che peranni la classe operaia aveva dovuto subire”.I pretori dell’epoca, e fra essi Romano, appli-cavano lo statuto dei lavoratori in questospirito, con il senso di “legalità” di cuiCanosa è stato assertore. Al riguardoRomano ricorda che il comportamento giu-diziario dell’epoca dei cosiddetti Pretorid’assalto si è sempre mosso nel rispettodella legge, nel rispetto di quella legalità, dicui egli è stato assertore. Molti giudici - cosìancora Romano - trovarono subito che lalegge consentiva loro di fare quello cheavrebbero voluto fare anche in precedenza,ma che non avevano potuto fare: eliminarele situazioni di intollerabile fascismo azien-dale, attenuare le più stridenti situazioni diarbitrio anti operaio all’interno di piccole emedie aziende etc.. Il loro atteggiamentoverso lo statuto non fu tanto quello tradizio-nale di distacco e di neutralità tecnica bensì

di piena adesione alle sue norme. Una delle critiche che venivano mosse – èsempre Romano Canosa che parla, è che“ero anti padronale perché depositavo lesentenze dopo pochi giorni”.Romano è stato dunque antesignano diquella celerità della giustizia tante volte oggiinvocata come motore dell’economia nazio-nale e che lui, per primo, nel 1970 avevaposto in essere: depositando i provvedi-menti dopo tre giorni quando le cause, aquell’epoca, duravano fino all’una o alledue di notte; quando c’era una generalevoglia di rinnovamento; quando si volevaveramente incidere nella vita della societàcivile. Ricordo il primo incontro che ebbi conCanosa e in genere con i Pretori d’assalto.I Pretori d’assalto da un lato ed io “in trin-cea”.Si trattava, ed è un caso che è ricordato daRomano nella “Storia di un pretore”, delprimo ricorso ex art. 28 dello Statuto deiLavoratori che venne depositato. Forse ilprimo in Italia. Sicuramente il primo aMilano.Come ben sapete il procedimento di cuiall’art. 28 è quello in base al quale leOrganizzazioni Sindacali possono agire perottenere la condanna dell’azienda per com-portamento anti sindacale ed un provvedi-mento del giudice per fare cessare gli effettidel comportamento denunciato. Il ricorsovenne allora presentato alla Pretura diMilano dalla cosiddetta “triplice”: la Cgil,Cisl e Uil contro la Confederazione delCommercio. Si trattava di ciò: la Cgil, la Cisle la Uil avevano nominato dei propri rap-presentanti sindacali in seno all’oppostaConfederazione del Commercio, cosa cheovviamente era osteggiata dalla medesimaConfederazione perché si diceva veniva aledere l’autonomia della Confederazione. A quell’epoca io lavoravo nello Studio delprofessor Cesare Grassetti, uno fra i più gran-di avvocati del novecento. In questo Studiosi trattavano anche cause di lavoro. Non tra-disco nessun segreto professionale trattando-si di fatti che fanno ormai parte della storia.Venne in Studio il presidente della Confcom-mercio, seguito dal Segretario.Conoscendo la giurisprudenza non favore-vole del Dott. Canosa, si decise di presentare

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un esposto al Pretore del lavoro dirigente laPretura di Milano affinché invitasse il dottorCanosa ad astenersi. Romano racconta, infat-ti, nel suo libro che il Pretore dirigente lochiamò, invitandolo ad astenersi. Egli oppo-se un rifiuto e l’esposto venne rigettato. Nonsapendo che cosa fare decisi di affrontaredirettamente la situazione andando a parlarecon il Dott. Canosa. Andai a trovarlo nel suoufficio, in fondo ad un lungo corridoio alprimo piano. Mi fermai davanti alla portadella Sua stanza. La porta era chiusa.Davanti a me, la targa: Dott. Canosa, giudicedel Tribunale. A quell’epoca ero un giovaneavvocato e altrettanto giovane magistrato erail Dott. Canosa. Venivo da una Scuola cheaveva un grande rispetto per le Istituzioni ecosì per il Giudice, Dott. Canosa. Accennoad entrare: “Posso?”; “prego si accomodi”.Poiché non potevo insistere ancora sull’a-stensione gli dissi molto semplicemente:“dott. Canosa questo è un caso molto deli-cato. La prego di studiarlo con estremaattenzione”. Romano accennò ad un sorri-setto, poi disse “guardo tutto con attenzio-ne”. All’udienza discutemmo il ricorso. Ebbequalche perplessità sulla decisione da pren-dere come scritto nel suo libro. Alla finedispose la reintegrazione dei due rappresen-tanti sindacali e poi e se ne andò in vacanza.Tutte le sentenze di Canosa e tutti i suoiprovvedimenti hanno seguito quell’ispira-zione iniziale: quel suo concetto di“Legalità” che per lui significava proteggerele classi più deboli. Di fronte a Lui vennerotrattate le questioni più importanti chehanno fatto la storia del diritto del lavoro esindacale di quell’epoca e così le vicendedegli scioperi a singhiozzo, a scacchiera,dello sciopero bianco, quello della riduzionedei punti e così via.La tesi padronale era che lo sciopero eralegittimo solo se il datore di lavoro subiva undanno proporzionato alla astensione dell’at-tività lavorativa. Le sentenze di Canosa affer-mavano che questa tesi non era accettabileperché lo sciopero per sua natura deve ten-dere a creare il maggior danno possibile aldatore di lavoro con il minore danno per illavoratore. La conclusione fu che tutte quel-le forme di sciopero ritenute anomale daidatori di lavoro e dalle associazioni datoriali

vennero dichiarate legittime. Le sentenze del Dott. Canosa sul punto veni-vano regolarmente appellate. Dall’appello siandava in Cassazione. Quelle sentenzehanno tuttavia creato una breccia profonda:perché contrariamente a quanto si ritenevaprima, e contrariamente a quello che la giu-risprudenza aveva sempre sostenuto, intema di legittimità degli scioperi, laCassazione ha poi affermato il principio cheerano illegittimi solo gli scioperi che creava-no danno alla “produttività” e/o alla incolu-mità delle persone. Le relazioni che seguiranno tratteranno iprincipi di diritto affermati nelle sentenze diRomano Canosa. Si tratta di principi di dirit-to dirompenti per la giurisprudenza dell’e-poca e che hanno aperto la strada all’affer-mazione dei diritti e dei doveri nell’ambitodella comunità dell’impresa: dei lavoratori edei datori di lavoro.Percorrendo le vicende di quegli anni attra-verso la “Storia di un pretore” possiamointravedere nella giurisprudenza di Romanotre periodi. Il primo esaltante periodo che è andato daglianni ’70 agli anni ’80 circa e che ha visto iGiudici di allora muoversi sotto una spintaideologica innovatrice. Vi è stato poi unperiodo di riflessione fra gli anni ’80 e ’90.Infine quella spinta si affievolì fino ad esau-rirsi; anche perché, bisogna riconoscerlo, ilSindacato si è staccato dalla sua base. Sia leOO.SS., sia le Associazioni datoriali si sonoallontanate dalle fabbriche. Si è data la pre-valenza ai contratti nazionali piuttosto che aicontratti aziendali.Come racconta Romano: “al di là dei fattiche accadono o che possono accadere pre-vale da un po’ di tempo la più grigia routine,ogni mattina vado al palazzo di giustiziatratto le cause spesso insisto con le parti e gliavvocati affinché raggiungano accordi ami-chevoli, scrivo in modo sempre più succintole motivazioni delle sentenze, ogni tanto mitrovo senza clienti e passeggio nel corridoiodavanti alla mia stanza. Vedo che la miaattività è sempre più vicina a quella di unnotaio che a quella assai più stimolante digarante della libertà svolta fino a qualcheanno fa e, soprattutto nelle giornate piovose,sogno di improbabili fughe in terre piene disole e di sabbia”.

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La magistratura ed il futuro del diritto del lavoro, convegno promosso dall’Associazione Romano Canosa per gli studi storici, il 12 giugno 2012 - Milano, Società Umanitaria

PREMESSARingrazio innanzitutto gli organizzatori peravermi chiamato a prendere la parola inquesta iniziativa così interessante.L’intervento, in un incontro in memoria diRomano Canosa, da parte di chi, come me,non ha mai praticato le discipline lavoristi-che, penso possa trovare un senso nel rievo-care un percorso in magistratura, che si èarricchito, soprattutto nel decennio deglianni ’70, in un costante e vivace confrontocon Romano, anche, talora, su posizionidiverse. Ho ritenuto utile riprendere alcune riflessio-ni che ho svolto in uno scritto di qualcheanno addietro. (1) Ho pensato infatti chepotesse essere interessante ripercorreresoprattutto il decennio degli anni ’70 dalpunto di vista dell’esperienza dei magistratie questa è anche una rievocazione persona-le perché in quegli anni il percorso in magi-stratura di Romano e mio è stato in qualchemisura parallelo. Vado subito al contenuto.La vicenda sociale che dal movimento stu-dentesco del 1968 alle proteste operaie dell’“autunno caldo” del 1969 e alla bomba diPiazza Fontana scuote il paese e coinvolgela magistratura sotto un duplice profilo. Perun verso lo scontro sociale entra nelle auledi giustizia attraverso i processi penali chene derivano. Per altro verso il corpo deimagistrati, che ormai è uscito dalla “torred’avorio”, per usare un’espressione allora invoga, è chiamato a confrontarsi con lenovità che percorrono la società. La criticadelle istituzioni e la messa in discussione,ad ogni livello, del concetto di autorità,aspetti non secondari nel clima di quegli

anni, forniscono nuovo alimento all’impe-gno per la democratizzazione dell’apparatogiudiziario e contro il sistema della gerar-chia interna che aveva così fortementecaratterizzato il dibattito nell’AssociazioneNazionale Magistrati. Le rivendicazioni per i diritti di libertà ed idiritti sociali e del lavoro rimandano all’im-pegno per l’attuazione della Costituzione,bandiera assunta dall’Anm al congresso diGardone del 1965. Il pluralismo nella magi-stratura che ormai è dato acquisito non con-sente occultamenti. Anche i magistrati, inquanto cittadini, sono coinvolti sia chemostrino aperture ed interesse alle novità(talora con ingenuità ed anche errori e for-zature) sia che ne sottolineino gli aspettinegativi o le respingano in blocco (sceltapolitica anche questa, ovviamente, anche seasseritamente adottata in nome della “apoli-ticità”). In ogni caso, all’interno del comune riferi-mento alla Costituzione, è più che mai vivoil confronto tra chi privilegia un approccioliberale tradizionale e pone l’accento suidiritti classici di libertà (e di proprietà) e chiinsiste sulla novità dei diritti sociali.La riscoperta dell’art. 3 co.2 della Cost. “E’compito della Repubblica rimuovere gliostacoli di ordine economico e sociale che,limitando di fatto la libertà e l’eguaglianzadei cittadini, impediscono il pieno sviluppodella persona umana e l’effettiva partecipa-zione di tutti i lavoratori all’organizzazionepolitica, economica e sociale del Paese”porta a sottolineare il tema della effettivitàdei diritti, sia dei diritti sociali, sia dei clas-sici diritti di libertà.

*Procuratore dellaRepubblica diMilano.

Atti 37

Magistratura e società.Gli anni ‘70. Dal ‘68 e dall’autunno caldodel ‘69 alla strategia dellatensione e al terrorismodi Edmondo BRUTI LIBERATI*

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Tra il ‘68 ed il ‘74 il nostro paese vive unastagione di espansione delle libertà e deidiritti, come ha osservato Rodotà. “partico-larmente nei due settori più sacrificati nelperiodo precedente, quelli dei diritti dilibertà e dei diritti del lavoro” e nel decen-nio degli anni ‘70 si verifica, “un addensa-mento di atti riformatori che non ha para-goni nella storia repubblicana: vengonoapprovate le leggi sul divorzio, sul referen-dum, sullo Statuto dei lavoratori, sull’attua-zione dell’ordinamento regionale, sui termi-ni massimi di carcerazione preventiva. Adesse in una stagione riformatrice che siestende per tutto il decennio, seguono leleggi sul diritto del difensore ad assistereall’interrogatorio dell’imputato, sulle lavo-ratrici madri e sugli asili nido (1971); sull’o-biezione di coscienza al servizio militare esull’ampliamento dei casi in cui è possibilela concessione della libertà provvisoria, lacosidetta “legge Valpreda” (1972); sul nuovoprocesso del lavoro e sulla protezione dellelavoratrici madri e disincentivazione dellavoro a domicilio (1973); sulla tutela dellesegretezza e della libertà delle comunicazio-ni e sulla delega al governo per la emana-zione del nuovo codice di procedura pena-le (1974); sul nuovo ordinamento peniten-ziario, sulla riforma del diritto di famiglia esulla fissazione a 18 anni della maggioreetà, con immediati effetti anche sulla com-posizione del corpo elettorale (1975); sullaparità tra uomo e donna in materia di lavo-ro e sulla disciplina dei suoli (1977); sull’in-terruzione della gravidanza, sulla chiusuradei manicomi (“legge Basaglia”) e sull’isti-tuzione del servizio sanitario nazionale(1978)”. (2)Rilevanti sono le conseguenze che in ordineal ruolo del giudice derivano da queste rifor-me, ma anche dalle mancate riforme in altrisettori. Il ‘69-‘70, a livello delle istituzioni, segnainsieme l’inizio di questa stagione riforma-trice e l’utilizzo degli apparati di polizia infunzione di repressione delle proteste ope-raie e studentesche; i processi penali che nenascono proiettano sulla magistratura tuttala problematica dello scontro sociale incorso. (3) La vicenda, che non può all’evi-denza essere risolta nelle aule penali, vienein qualche modo chiusa con la amnistia del

1970, formulata in termini molto ampi perricomprendervi le manifestazioni del movi-mento di protesta. (4)Il dibattito nella magistratura è vivace e tut-tavia permane lo spirito di costruttivo con-fronto che aveva caratterizzato il congressodi Gardone, mentre per altro verso il Csmeletto nel 1968 si muove in una prospettivainnovativa. L’attentato di Piazza Fontana a Milano del12 dicembre 1969, attentato che costituisceil momento culminante della strategia dellatensione già in atto, segna una cesura nelpaese e nella magistratura.Il clima di incertezza e di insicurezza segui-to alla strage e verosimilmente la crescentepressione di quei settori politici che non tol-leravano l’indirizzo assunto dall’Anm e dalCsm, spingono verso la crisi nell’Anm,con la rottura della giunta unitaria chereggeva l’associazione, la scissione delsettore più moderato all’interno di Magi-stratura Democratica. La prima metà degli anni ‘70 vede dunqueuno scontro durissimo all’interno dellamagistratura, con i settori più conservatoriche riassumono l’egemonia: di qui la ripre-sa di potere della struttura gerarchica inter-na e il tentativo di epurazione disciplinareverso il dissenso.Le indagini sulle stragi vedono in opera tuttigli strumenti (dalle assegnazioni mirate deicasi all’interno delle procure e degli ufficigiudicanti, alle avocazioni, ai conflitti dicompetenza, alle rimessioni) per bloccareogni possibile accertamento che arrivi allesempre più evidenti deviazioni negli appa-rati dello Stato. Lo stesso avviene per leindagini che investono punti sensibili dellapubblica amministrazione, del potere politi-co ed economico (dagli inquinamenti, aifondi neri alle frodi petrolifere). Le iniziative adottate da alcuni Presidenti dicorte di appello, in occasione della forma-zione delle tabelle annuali di composizionedegli uffici, di trasferire a funzioni diversegiudici (Romano Canosa era il principaleobiettivo), la cui giurisprudenza è sgradita,debbono passare ormai per la approvazionedel Csm.Il Consiglio, che deve far riferimento ai cri-teri più attenti al rispetto del principio delgiudice naturale introdotti nel 1968-‘69 e di

38 Atti La magistratura ed il futuro del diritto del lavoro, convegno promosso dall’Associazione Romano Canosa per gli studi storici, il 12 giugno 2012 - Milano, Società Umanitaria

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cui sopra si è detto, non si sente di ratificareprovvedimenti così palesemente discrimi-natori e fondati su una pretesa di controllogerarchico delle scelte giurisprudenziali.Romano Canosa rimane al suo posto di pre-tore del lavoro.E’ in questi anni che si consolida il ruolodella Procura della Repubblica di Roma“porto delle nebbie”, secondo la efficaceespressione formulata da Stefano Rodotà. La polemica sull’interpretazione, sulla crea-tività della giurisprudenza, sulla funzione“politica” della magistratura, che sembravasuperata, riprende con virulenza e conaccenti così settari che fanno apparire laparte conservatrice della magistratura deltutto isolata rispetto alle acquisizioni ormaipacifiche anche nei settori tradizionalistidella dottrina giuridica italiana, pur cosìlegata al formalismo giuridico. Ma, nonostante la strategia della tensione, iprimi anni ‘70 sono gli anni di una straordi-naria vivacità della società civile, di unanuova attenzione dell’opinione pubblica alfunzionamento di tutti gli apparati e spe-cialmente della giustizia.A livello istituzionale è la stagione, comeabbiamo visto, di una serie di riforme, chesanzionano i cambiamenti profondi dellasocietà e attribuiscono sempre nuovi com-piti alla magistratura, la quale peraltro innon pochi casi con nuove interpretazioni enuove prassi ha in qualche modo aperto lavia al legislatore. I gruppi maggioritari nell’Anm si attardanoancora sul mito del “giudice bocca dellalegge”, ma è sotto gli occhi di tutti unanuova fase di mutamento del ruolo del giu-dice, più accelerata, più vorticosa e conmaggiore rilievo sulla scena politica rispettoalla fase della scoperta della Costituzione didieci anni prima. Si assiste ad “uno straordinario attivismodei magistrati, che, probabilmente per laprima volta nella storia d’Italia, hannocominciato ad esercitare la parte dei prota-gonisti in molte vicende la cui importanzatrascende considerevolmente la loro rile-vanza giudiziaria”. (5) Con intento polemi-co si parla di “pretori d’assalto” e di “sup-plenza” giudiziaria; ma la categoria dellasupplenza non è sufficiente per l’analisi diun fenomeno destinato a segnare per il futu-

ro l’assetto del giudiziario e con qualcheritardo rispetto alla evoluzione già in corsoin altri paesi. (6) Si tratta in realtà della“espansione, anzi della vera e propriaesplosione, del ruolo della giurisprudenzacome fattore di adattamento del diritto alleprofonde trasformazioni della nostra realtàsociale, trasformazioni senza precedenti ericche di collegamenti e convergenze inter-nazionali”. (7) A dispetto delle polemiche edelle lacerazioni nell’Anm (che pure lasce-ranno a lungo il segno) una parte crescentedella magistratura, ben al di là delle “frangepoliticizzate ed estremiste”, partecipa a que-

sto processo di adattamento del diritto alletrasformazioni della realtà sociale, si impe-gna a sostenere l‘applicazione delle riforme(8); infine entra sempre più spesso in con-trasto con la gerarchia interna, rifiuta laragion di stato, indaga sulle deviazioni nel-l’apparato dello Stato e nei servizi segreti ecerca faticosamente di fare luce sulle stragi.La stagione delle riforme vede i timori e lechiusure dei gruppi conservatori dellamagistratura (le posizione dell’Umi e dellacorrente di destra dell’Anm MagistraturaIndipendente tendono ad avvicinarsi) e rea-zioni spesso fuori misura, anche nei toni, inmolte delle relazioni dei Procuratori genera-li nelle cerimonie di inaugurazione dell’an-no giudiziario. (9) Peraltro una valutazioneche si estenda sull’arco del decennio e cheprenda in considerazione, al di là delle pole-miche, le linee giurisprudenziali e le prassiorganizzative fa emergere una magistraturanel complesso impegnata piuttosto a soste-nere le riforme che a lasciarle cadere. (10)L’elaborazione comune, nel lavoro quotidia-no nelle aule di giustizia, attraverso il con-

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NOTE1. Bruti Liberati E., La magistratura dall’attuazio-ne della Costituzione agli anni ‘90, in Storiadell’Italia repubblicana, Vol.3/II, Einaudi,Torino, 1997, pp. 141-240.2. S. Rodotà, Le libertà e diritti, cit, p. 356 e 358. 3. I sindacati in un appello al Presidente dellaRepubblica del 3 gennaio 1970 denuncianoun’ondata repressiva, che si traduce in innume-revoli denunce ed arresti. Vedi 14.000 denuncie:chi, dove, quando, come, perché, Stasind, Roma,1970; nonché Giangiulio Ambrosini- UgoSpagnoli, Rapporto sulla repressione, EditoriRiuniti, Roma, 1970. Le denuncie secondo i datiresi noti dal Ministero dell’interno sono 8396.4. L’art. 1 del dpr 22 maggio 1970 n. 282 fa rife-rimento a reati commessi “anche con finalitàpolitiche, a causa o in occasione d’agitazioni omanifestazioni sindacali e studentesche o di agi-tazioni e manifestazioni attinenti a problemi dellavoro, dell’occupazione, della casa, della sicu-rezza sociale ed infine in occasione ed a causadi manifestazioni ed agitazioni determinate daeventi di calamità naturali”. Vedi, sul significatodel provvedimento di clemenza, GiangiulioAmbrosini, Costituzione e società, in Storiad’Italia, Einaudi, Torino, 1973, p. 2039. 5. A. Pizzorusso, Introduzione a L’ordinamentogiudiziario cit. p. 36. Lo scritto è del 1974.6. D. Pulitanò, Supplenza giudiziaria e poteridello Stato, in Quaderni Costituzionali, n.1,1983, pp. 93 ss. La nozione di supplenza è

invece abbastanza adeguata a definire il ruolosvolto dal Csm, con particolare accentuazione apartire da quegli anni, attraverso la attività cosid-detta paranormativa, che si concreta in circolarie delibere di carattere generale volte a colmare levistose lacune derivanti dalla mancata organicariforma dell’ordinamento giudiziario. Forse anzisarebbe più corretto parlare di supplenza - dele-ga da parte del legislatore; ciò non toglie che pro-prio questo meritorio, e necessitato, ruolo svoltodal Consiglio, sia stato più volte nel corso deglianni oggetto di roventi polemiche. 7. Così descrive il fenomeno qualche anno dopoMauro Cappelletti nella Premessa del saggioGiudici legislatori?, Giuffré, Milano, 1984, p. 1.L’A. sottolinea che il suo studio comparativo“non è inteso a dimostrare la verità, banaleanche se infinite volte, in ogni epoca e con tantainesauribile perseveranza negata o nascosta,della creatività della giurisprudenza. Esso è inte-so a ricercare piuttosto le ragioni per le quali talecreatività è divenuta più necessaria e più accen-tuata nelle società contemporanee…” e ad ana-lizzare i problemi che il fenomeno pone “per lapreservazione di certe essenziali caratteristichedella attività giudiziale”(Ibid). Sull’espansionedel potere giudiziario vedi anche, E. BrutiLiberati, Potere e giustizia, in E. Bruti Liberati, A.Ceretti, A. Giasanti (a cura di), Governo dei giu-dici. La magistratura tra diritto e politica,Milano, Feltrinelli,1996, p.188 ss.

fronto tra diverse posizioni opera d’altrondecome rimedio al rischio di esasperato sog-gettivismo. (11)Della vivacità del confronto culturale neiprimi anni ‘70 dà testimonianza la rivista“Quale giustizia”, diretta da FedericoGovernatori e gestita da un gruppo di magi-strati che fanno riferimento a MagistraturaDemocratica (e tra questi Romano Canosaebbe un ruolo di primo piano).La rivista pubblicata a partire dall’inizio del1970 si presenta con caratteri innovativi:ampie rassegne di giurisprudenza di merito,collaborazione di avvocati e studiosi, infor-mazione tempestiva e documentata sui fattipiù rilevanti della magistratura e sulla “poli-tica del diritto” (per riprendere la testatadella rivista che sorge nello stesso torno ditempo). Uno spazio del tutto particolareviene riservato alla giustizia costituzionale epoi alla giustizia del lavoro. Ed è per questocomplesso di fattori che alla metà degli anni‘70 si può leggere di Quale giustizia che essa

“ha rappresentato un esempio forse unicoin Italia di rivista gestita prevalentementeda magistrati, ma capace di svolgere unafunzione culturale di rilievo generale,apprezzata anche al di fuori della corpora-zione”. (12)Non mancarono certamente (e difficilmenteavrebbe potuto essere altrimenti in anni dicosì rapidi mutamenti) forzature interpreta-tive e straripamenti nelle competenze riser-vate all’amministrazione, ma credo si possaconvenire con la valutazione di chi con rife-rimento ai grandi temi dell’accesso alla giu-stizia e degli interessi diffusi, della difesadell’ambiente e della protezione del consu-matore ha concluso che “grande protagoni-sta è stata la magistratura, sia civile, siapenale ed amministrativa, che ha svolto, incomplesso con risultati positivi, quellafunzione di supplenza che i vuoti norma-tivi inevitabilmente finivano per attri-buirle”. (13) In questo quadro si colloca ilcontributo di Romano Canosa.

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8. Anche la legge sull’aborto ha visto, nel com-plesso, la leale applicazione da parte della magi-stratura nonostante le pressioni della gerarchiaecclesiastica, in particolare sull’aborto delleminorenni; vedi il documento del Consiglio per-manente della Cei del 16 dicembre 1978: “Il giu-dice tutelare, a cui la legge non riconosce il dirit-to all’obiezione di coscienza, ma la cui decisio-ne non è soggetta a reclamo, è moralmente tenu-to a rifiutare il suo consenso, in quanto questo siconfigura come vera e propria autorizzazioneall’aborto e quindi come cooperazione ad esso”.9. Un’ampia rassegna sui discorsi dei procurato-ri generali per l’anno 1970 si trova in QuestioneGiustizia, n.3, 1970 p. 69 ss; n. 4, 1970, p. 52 ss;n. 5-6, 1970, p. 133 ss; vedi anche AntonioSantoni Rugiu-Milly Mostardini, I P.G.Linguaggio politica educazione nei discorsi deiProcuratori generali, Guaraldi Editore, Rimini,1973; Gaetano Insolera, La politica criminale neidiscorsi dei Procuratori generali (anno 1975), inLa questione criminale, 1975, p. 289 ss. 10. Occorre peraltro avvertire che ogni tentativodi ricostruzione storica del ruolo della magistra-tura in questo periodo, ed anche successiva-mente, deve fare i conti con la carenza di analisigenerali sulle tendenze giurisprudenziali in rap-porto all’evoluzione della società; non ha avutomolto seguito la strada aperta, nell’ambito dellacitata ricerca promossa dal Centro nazionale didifesa e prevenzione sociali, oltre che dal lavororetrospettivo, ma fondamentale anche dal puntovista metodologico di Guido Neppi Modona,Sciopero, potere poltico e magistratura,1870/1922, Laterza, Bari,1973, con i due volumi

Luigi Bianchi d’Espinosa. Maria Cristina Celoria,Edoardo Greco, Roberto Odorisio, GenerosoPetrella. Domenico Pulitanò, Valori socio-cultu-rali della giurisprudenza, Laterza, Bari, 1970 eFederico Governatori, Stato e cittadino in tribu-nale, Laterza, Bari, 1970. 11. Sulla difficile ricerca di un punto di equili-brio tra l’indipendenza del singolo giudice nelmomento interpretativo e la necessità di stabilitàe coerenza della giurisprudenza vedi oraVladimiro Zagrebelsky, Riflessioni in tema diordinamento giudiziario, in Questione Giustizia,1990, p. 261 ss.12. A. Pizzorusso, Introduzione a L’ordina-mento giudiziario, cit. p.37. Al di là di forzatu-re polemiche che talora emergono nei com-menti, le annate di Quale giustizia rimangonotuttora una delle fonti più ricche sulla giuri-sprudenza e sui concreti atteggiamenti dellamagistratura italiana negli anni ‘70. Le caratte-ristiche di “rottura” che hanno costituito il suc-cesso di Quale giustizia, ne segnano anche illimite e la rivista verso la fine degli anni ‘70,entra i crisi e finisce per cessare le pubblicazio-ni. Ma nel frattempo il panorama delle rivistegiuridiche italiane è fortemente cambiato; lagiurisprudenza di merito trova ampio spazio ecosì i temi di vita giudiziaria e di politica deldiritto. Una parte dei vecchi collaboratori diQuale giustizia darà poi vita, con una imposta-zione del tutto rinnovata, al trimestraleQuestione Giustizia, che, per la direzione diGiuseppe Borrè, è pubblicata a partire dal 1982.13. Vittorio Denti, Un progetto per la giustiziacivile, Bologna, il Mulino, 1982 pp. 13-14.

Medicina Democratica numero 207 gennaio / febbraio 2013Atti 41La magistratura ed il futuro dei diritti del lavoro, convegno promosso il 12 giugno 2012 - Milano, Società Umanitaria - dall’Associazione Luciano Canosa per gli studi storici

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Medicina Democratica numero 207 gennaio / febbraio 201342 La magistratura ed il futuro del diritto del lavoro, convegno promosso dall’Associazione Romano Canosa per gli studi storici, il 12 giugno 2012 - Milano, Società Umanitaria

Foto di Isabella Colonnello in Dove era la fabbrica, Milano 1987 - Alfa Romeo, Portello - Milano

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La magistratura ed il futuro del diritto del lavoro, convegno promosso dall’Associazione Romano Canosa per gli studi storici, il 12 giugno 2012 - Milano, Società Umanitaria

Salve, da che sono seduto qui e vedo la“scaletta” del mio intervento, che ho qui difronte, vedo anche il tempo che trascorreveloce, e, sempre con maggiore insistenza,mi viene in mente una bellissima battuta diRomano Canosa, in un frangente in cui iodovevo discutere una causa davanti a lui, elui invece intendeva rinviarla, non ricordoper quale motivo. Io gli feci presente “magiudice io son qui con la mia <scaletta>pronta” e lui mi disse “avvocato sa cosa falei con la sua <scaletta>? Se ne esce da que-sta stanza e ci si arrampica sopra”.Ecco forse sarebbe più opportuno, vista l’oratarda, se io prendessi la mia “scaletta”,uscissi dal salone e mi ci arrampicassisopra… Però non sarebbe corretto, e, consi-derato che sono qui apposta, due cose levoglio dire anch’io. E le voglio dire cercan-do di ricollegarmi a quello cui accennavaRapini, cioè la difficoltà di guardare verso ilfuturo (che, secondo me, non è certo un belfuturo), tenendo gli occhi e la testa voltatiall’indietro, verso il passato.Anche se non facile è un’operazionecomunque necessaria; e io voglio partire dauna prima considerazione, e cioè che ildiritto del lavoro non può essere considera-to avulso dal contesto generale del mondodel diritto, avulso, nelle sue dinamiche,dagli specifici aspetti del diritto penale, chesembrano muoversi ad uno stesso ritmo. C’ègià stato un accenno, da parte del procura-tore Bruti Liberati, a questa sintonia, nell’e-voluzione del diritto del lavoro, con lemodifiche del diritto penale. Infatti, primadella svolta della metà degli anni ’70, cioènel periodo della stagione d’oro, ci furonoanche, in penale, delle misure, se nondemocratiche, almeno di diminuzione dellaquantità di repressione. Già si è ricordata la

legge Valpreda; fu anche reintrodotto il dirit-to del fermato ad avere un difensore, e que-sto, significativamente e drammaticamente,poco tempo dopo, se non pochi giorni dopo,la “caduta” di Pinelli dalla finestra dellaQuestura di Milano. Era il tempo, quello, incui si introduceva lo Statuto dei Lavoratori,si riformava il processo del lavoro, c’era que-sta giurisprudenza che costruiva un dirittodel lavoro a tutela dei più deboli, schieran-dosi, alla luce dei principi costituzionali, afavore delle lotte dei lavoratori e delle lavo-ratrici, e c’erano anche mobilitazioni abro-gazioniste dei reati d’opinione e dei reatiassociativi. Quindi questa concordanza hasenz’altro un senso.Del resto proprio nella storia e nella produ-zione di scritti da parte di Romano Canosaritroviamo una sua estrema attenzione adaspetti che non sono collegati strettamenteal diritto del lavoro. Voglio rapidamenteesemplificare: ricordo un suo interessantis-simo saggio “Delitto politico: natura e sto-ria”, in un volume del 1984, che raccogliegli atti di un convegno svoltosi in quell’an-no, o anche il libro scritto con Santosuossodal titolo “Magistrati anarchici e socialistialla fine dell’Ottocento in Italia” o, ancora, -e qui sono coinvolti aspetti di filosofia deldiritto e concezioni di fondo sul ruolo delprocesso penale - la sua presentazione, sulnumero 1 di “Critica del Diritto” del 1974,del “Dibattito fra Michel Focault ed alcunimilitanti maoisti sulla giustizia popolare”.Vi era, dunque, un’attenzione di fondo suquesti legami; e, riprendendo il filo di que-sto nesso fra diritto penale e diritto del lavo-ro, deve essere sottolineato che, fino a che cisono modifiche in senso progressista sulpiano del diritto del lavoro e dei diritti socia-li in generale, lo Stato necessita di una

*Avvocato del Forodi Milano. Il testocostituisce la trascri-zione dell’interventoorale svoltodall’Autore alConvegno del 12giugno 2012.

Atti 43

Il diritto del lavoro non puòessere considerato avulsodal contesto generale delmondo del dirittodi Giuseppe PELAZZA*

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minore quantità di repressione, mentre nelmomento in cui si distruggono, si riduconoi livelli di garanzia, i livelli dei diritti ingenerale, i detentori del potere si organizza-no conseguentemente e preparano unamaggiore quantità di repressione.Proprio a questo proposito è significativa laconcordanza di tempi della svolta dellametà degli anni settanta che vede, dopo queitimidi segni di modifiche in senso demo-cratico, cui si è accennato, del diritto pena-le, un inizio (che poi, sarà senza fine) delpeggioramento della legislazione penale.Possiamo ricordare la legge Bartolomei,sulle armi, del 1974, che contiene anchenorme processuali che prevedono l’interro-gatorio di polizia, seppure in formale pre-senza del difensore; la legge Reale del 1975,che introduce una larga estensione dell’usolegittimo delle armi da parte delle forze del-l’ordine, e tutti ricordano i posti di blocco, ela quantità di omicidi effettuati in queglianni proprio ai posti di blocco, dopo la “gal-vanizzazione” delle forze di polizia operatada questa legge (che, fra l’altro, spostava lacompetenza, in relazione a questi fatti, dalleProcure della Repubblica alle ProcureGenerali); una successiva legge del 1978 (lan. 191 del 18 maggio), che introduce nuova-mente l’interrogatorio di polizia senzadifensore, e poi via, via, su, su, fino al decre-to Cossiga del ’79-’80, alla legge sui pentitidell’82, che pongono le basi di quello stra-volgimento del processo penale da processoche riguarda i fatti, a processo che riguardal’identità degli imputati, evocando così latematica della “colpa d’autore”, propriadella Germania nazista, e prefigurando lacostruzione del “diritto penale del nemico”,teoria tale che nel 2006 proprio QuestioneGiustizia, bimestrale di MagistraturaDemocratica, organizza un convegno dal-l’allarmato e allarmante titolo “Verso undiritto penale del nemico?”.Bene, proprio nelle precedenti relazioni si èaccennato a quale era stato, a partire dallametà degli anni 70, lo snaturamento, l’attac-co alla stabilità del rapporto del lavoro, por-tato avanti ben prima del decreto legislativodel 2001, attraverso le varie modifiche cheestendevano inizialmente la legittimità delcontratto a termine alle punte di più intensaattività, prima nel settore del commercio e

del terziario (L. n. 18/1978), poi, con la L. n.79/1983, a tutti quanti i settori, e quindi, conla L. n. 23/1987, consentivano il contratto atermine in tutte “le ipotesi individuate neicontratti collettivi di lavoro stipulati con isindacati nazionali o locali aderenti alleconfederazioni maggiormente rappresenta-tive sul piano nazionale”. Dal 1977, inoltre,aveva anche avuto inizio l’introduzione –con successive leggi – dei contratti di for-mazione lavoro, e con la L. 863/1984 erastato previsto il part-time, anche “verticale”,ossia “per periodi predeterminati nelcorso… dell’anno”, e quindi altra forma dilavoro precario….In parallelo era stato “attaccato” il salario.Ricordiamo la sentenza della Cassazionedel ’76 (la numero 1268 del 12 aprile) cherimette in vita la prescrizione dei crediti dilavoro, e che così, trasferisce una buonaquantità di reddito da parte dei lavoratori aidatori di lavoro; e poi la sterilizzazione dellascala mobile nella sua incidenza sull’inden-nità di anzianità, l’abolizione dell’indennitàdi anzianità e la sua sostituzione col moltopeggiorativo TFR e così via, fino all’aboli-zione della stessa scala mobile. E su questoterreno ci sono poi i successivi sviluppi, loabbiamo visto, con il pacchetto Treu, adesempio, con il lavoro interinale che diven-terà in seguito il contratto di somministra-zione, e via peggiorando.Abbiamo, insomma, assistito a un completosnaturamento di principi di fondo dellanostra società, e diversificati, e in più ambi-ti, sono stati gli aspetti che hanno connotatoquesta frantumazione dello Stato democra-tico. Pensiamo, anche soltanto, ai centri didetenzione temporanea per gli immigrati,che legano la privazione della libertà nonalla commissione di un qualche reato, maall’identità e alla nazionalità; pensiamo allacreazione di un diritto penale differenziato:ciò che non è reato per un cittadino dellaU.E. lo diventa, ad esempio il mancato pos-sesso di un documento di identità, per unostraniero.Allora bisogna cercare di capire dove si col-loca il punto di crisi che, probabilmenteanche a livello del nostro profondo, realizzaun radicale mutamento. Secondo me questopunto di crisi è nella rottura della CartaCostituzionale. La nostra “grundnorm”, la

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nostra legge fondamentale è stata violata nelsuo articolo 11, che per i costituzionalisti ènorma che non può essere modificata nean-che con un procedimento di revisione costi-tuzionale, perché elemento fondativo dellanostra Repubblica, del nostro Ordinamento.Ebbene, la nostra Costituzione è stata rotta; èstata rotta nel ’91 con i bombardamentisull’Iraq, nel ’99, con il governo D’Alema,con i bombardamenti sulla RepubblicaFederale Jugoslava, con gli orrendi bombar-damenti sulla Rai-Tv di Belgrado, è statarotta nel 2001 con i bombardamenti, cheperdurano tutt’ora, sull’Afghanistan, nel2003 nuovamente in Iraq, nel 2011 in Libia.Ecco, tutto questo ci spiega che sul pianogiudiziario stiamo assistendo ad un passag-gio di fase proprio relativo all’organizzazio-ne dello Stato e della nostra società. E’ unasocietà che non ha più bisogno di media-zioni, è una società in cui ha vinto il partitodel mercato, e non c’è nessun altro partito aldi fuori del partito del mercato. Gli altri par-titi, al di fuori del partito del mercato, sonofungibili. Il partito del mercato ha bisogno di potere,di autorità, di comando, di forza e di con-trollo; quindi, in questo senso, anche in que-sto senso, vanno lette le misure che vengo-no adottate nella riforma Fornero, perché ilproblema della flessibilità in entrata e la fles-sibilità in uscita, è una questione di poterenon solo nel cosmo limitato del mondo dellavoro, ma nella realtà complessiva. Cioèdietro a queste mistificanti parole, già lodiceva Mara, del fare la riforma del mercatodel lavoro “peravviare un processo di inclu-sione di chi fino ad oggi non era garantito,così d’ora in poi sarà garantito, e riequili-breremo chi è garantito e chi non è garanti-to”, c’è ben altro, e col cavolo, se mi è con-sentita un’espressione poco accademica,che quell’enunciato è il reale obiettivo che sipone questo legislatore, obiettivo che, non acaso, si pone non soltanto il legislatore ita-liano, perché, in contemporanea, normesimili vengono introdotte in Spagna, inPortogallo, in Irlanda, perfino in Inghilterra,oltre che nella cara, vecchia, Grecia. E ciòperché c’è questo generale intendimento diintrodurre non norme inclusive ma normead escludendum. Questo, infatti, è il sensodel contratto a termine privo di causale, che

costituisce un lunghissimo periodo diprova, e proprio questo è il senso del licen-ziamento senza lo strumento della reinte-grazione. Così l’inserimento nel mondo dellavoro, senza più un collocamento che fun-zioni, perché anche il collocamento è statodistrutto (ci tocca rimpiangere Fanfani auto-re della legge del 1949, che assicurava l’av-viamento numerico e obbligatorio), avverràsenza più bisogno di schedature illegali,schedature che non hanno riguardato, fral’altro, solo Torino: ricordo che nel ’76-’77anche a Milano scoppiò tale questione, perl’Alfa Romeo, in seguito ad una denuncia

del comitato disoccupati organizzati. Venneinfatti individuata l’Agenzia “La Segreta”,che teneva non ricordo più quante migliaiadi fascicoli di assumendi o di assunti pressol’Alfa, dopo di che, in seguito alle ordinan-ze della Pretura Penale di Milano, riprese afunzionare il collocamento, e in Alfa Romeoentrarono giovani che non sarebbero maientrati, giovani non particolarmente affezio-nati al lavoro, non particolarmente omoge-nei rispetto ai valori predominanti, che peròavevano necessità di lavoro, necessità dinon essere emarginati, e anche desiderosi dilottare per cambiare il mondo. Ecco tuttoquesto non ci sarà più. Tutto questo non cisarà più perché quello che si vuole - a livel-lo di sistema - è l’esclusione. Alla fine delcontratto a termine acausale chi non saràconfermato? Non saranno confermati i sog-getti che hanno dimostrato di essere deboli,che si ammalano spesso, che sono soggettiad infortuni, le donne che hanno una ten-denza a partorire, i soggetti che non sono inlinea con gli orientamenti ideologici deldatore di lavoro o dei manager e dell’ufficio

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POSTILLA al momento della revisione della tra-scrizione.

A proposito della esclusione, della “messa albando”, va sottolineato che il comma 58 dell’art.2 (“Ammortizzatori sociali”) della LeggeFornero dispone che per i condannati per asso-ciazione con finalità di eversione venga disposta “la sanzione accessoria della revoca delle

seguenti prestazioni comunque denominate inbase alla legislazione vigente, di cui il condan-nato sia eventualmente titolare: indennità didisoccupazione, assegno sociale, pensionesociale e pensione per gli invalidi civili”. Non c’è bisogno di commento.

personale, e questo comporta l’esclusione dichi è diverso rispetto al pensiero unico, cheè diventato dominante.E, e ancora una volta, il legame, il pendant,fra diritto del lavoro e diritto penale, sidispiega, perché lo Stato prepara la suastrumentazione per “tenere a bada” e“tenere a posto” quelli che saranno esclu-si.Si continua a dissertare di emergenza carce-re: “uno schifo”, tutti dicono, “la civiltà diuno stato si misura da come stanno le suecarceri” e nulla cambia; l’unica cosa checambia è che si progetta la costruzione dinuove carceri, che aumentano le misurecustodiali non carcerarie, e che aumenta laquantità di controllati.Sul piano giudiziario c’è un proliferare diimputazioni legate alla forma evanescentedel reato associativo, che sfugge al principiodi tassatività che la Costituzione inveceimporrebbe, e connotate da una dilatazionedel concorso morale, che – in sostanza -punisce il reato di presenza (vedi le manife-stazioni no-Tav).E allora di fronte a questa dissoluzione delloStato democratico, io penso che, bene omale, sussista comunque un cono di luce,certamente non risolutivo di tutto, ma cheha ancora un suo senso, un suo significato,ed è il cono di luce della Costituzione, cheCanosa in un articolo del ’72, sul numero3/4 di “Politica del Diritto”, dipinge come“avente natura schizofrenica” perché“mostra come l’intervento su certi assetti

tradizionali di potere possa avvenire nonpiù soltanto attraverso interferenze esterneal complesso normativo ed alla attività giu-diziaria… ma sia stato, sotto certi aspetti,<<interiorizzato>>, reso cioè possibile nel-l’ambito stesso della normale attività appli-cativa della legge. Dalle norme sulla pro-prietà a quelle sulla gestione delle imprese,dalle norme sull’uguaglianza a quelle sullavoro, ognuno dei diritti tipici di un assettoborghese di rapporti proprietari si è visto cir-condato di limiti. L’esistenza di questi, nonche consentire, impone al giurista di vigila-re sul loro rigoroso rispetto”. Ecco, questovigilare, nonostante tutto, sul rigorosorispetto di quella Costituzione, che ha tutti ilimiti che ha, ma che è ancora in vigore, è frai nostri compiti.E, a questo proposito, ma anche più in gene-rale, penso che si possa richiamare sì il pes-simismo della ragione, ma anche l’ottimi-smo della volontà.Anche perché questo ottimismo dellavolontà non è disgiunto dalla valutazioneche, pur con quello che ci sta succedendointorno, e che è la dissoluzione di questaforma di Stato, i detentori del potere, inrealtà, non sanno più che pesci pigliare.E allora da questa frantumazione forsepotranno nascere delle buone cose.Ricordo un tale che indossava sempre unacamiciona, senza cravatta, e che diceva “c’ègran disordine sotto il cielo, la situazione èeccellente”. Forse potrebbe essere anchecosì.

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La magistratura ed il futuro del diritto del lavoro, convegno promosso dall’Associazione Romano Canosa per gli studi storici, il 12 giugno 2012 - Milano, Società Umanitaria

Buona sera, io vorrei proporvi di riportare lo sguardosu un punto un po’ più limitato e preciso,e cioè di nuovo su Romano Canosa e sullagiurisprudenza del lavoro dell’inizio deglianni ’70, partendo magari da un libromolto accattivante di Romano Canosa cheè ‘Storia di un pretore’ (Einaudi 1978),dove lui fa un’opera di costruzione storicae anche un po’ di autobiografia, di storiapersonale; quindi ci sono tante cose chevengono fuori dalla lettura di questo libro. Nel 1975 si colloca la svolta nell’attività diRomano: all’attività di pretore lui affiancaun appassionato impegno nella direzionedella storia, della scrittura di libri, e sap-piamo quanti libri di storia sono nati da lì.Ma perché questa svolta nel 1975 ? Lo rac-conta Romano nel suo libro, e dice: c’eranodella difficoltà alla Sezione Lavoro in quel-l’epoca, tante sentenze nostre erano stateannullate, c’era poco di politico nel lavoroche arrivava, non c’erano più questioni dirilievo, era cambiato l’atteggiamento delsindacato; insomma ci trovavamo nellapiù grigia routine, mi sembrava di svolgereun’attività “vicina a quella di un notaio diseconda classe”. Prima eravamo garanti delle libertà in fab-brica, adesso c’era questa situazione moltodeprimente. Prima era diversa la situazio-ne, racconta Romano nel suo libro: neiprimi anni ’70 c’era stata questa appassio-nante attività di giurisprudenza del lavoroinnovativa, si era attuato lo Statuto deiLavoratori con rigorosa applicazione dellalegge, nella misura più ampia consentitadalle sue norme, e si erano ottenuti risulta-ti straordinari di garanzia delle libertà nellefabbriche: si era assicurata l’effettiva reinte-grazione dei licenziati nel posto di lavoro,

si era applicato l’articolo 9 dello Statutodei Lavoratori sulla salute in fabbrica; manon solo lo Statuto dei Lavoratori, perchéera stata data applicazione anche ad altrenorme che vanno oltre lo Statuto deiLavoratori, che risalgono anche allaCostituzione, per esempio il diritto disciopero.La giurisprudenza di quel periodo sul dirit-to di sciopero è di estremo interesse e digrande apertura, si sono garantite altreforme di diritto di sciopero rispetto a quel-lo classico: lo sciopero articolato, lo scio-pero del cottimo, si sono risolti casi emble-matici come quello della sospensione dioperai in cassa integrazione da partedell’Alfa Romeo. C’è qui una sentenza chevale la pena di ricordare di RomanoCanosa, del 28 febbraio del ’72; è una sen-tenza ammirevole, contrariamente all’abi-tudine di Romano, che era stringatissimonelle motivazioni, qui ci sono 45 pagine diuna motivazione estremamente dotta, eru-dita, approfondita, che affronta tutti i pro-blemi della struttura del rapporto di lavo-ro, del potere del datore di lavoro disospendere i lavoratori, e poi un’analisiacutissima dei meccanismi della cassaintegrazione, ed è una sentenza che diederagione ai lavoratori che erano stati sospe-si a causa di uno sciopero a monte nellacatena di montaggio, e sono stati natural-mente risarciti e reintegrati nelle loro spet-tanze. Questa sentenza fu poi confermataanche dalla Corte di appello di Milano. Ricordo questo episodio per dire che nonc’era solo lo Statuto dei Lavoratori, c’eratutta un’esplorazione delle norme cheriguardano il lavoro e la loro applicazioneorientata. Ma orientata a che cosa ? orien-tata a una rigorosa applicazione della legge

*Avvocato del Forodi Milano. Il testocostituisce la trascri-zione dell’interventoorale svoltodall’Autore alConvegno del 12giugno 2012.

Atti 47

Romano Canosa e la giurisprudenza del lavorodell’inizio degli anni ‘70

di Gilberto VITALE*

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intendendo per legge tutta la legge, anchela Costituzione e anche il principio dieguaglianza che fa parte della legge perchésta scritto nella Costituzione. E venivarispettato, in questa giurisprudenza, unimperativo categorico: salvaguardare ilruolo di indipendenza, neutralità e impar-zialità del giudice; a questo, Romano, cheera un magistrato rigorosissimo, ha sempreuniformato la sua attività e così anche glialtri giudici della Sezione, anche se, osser-va Romano nel suo libro che ho citato, èovvio che in una “situazione contraddi-stinta da uno squilibrio naturale e insop-primibile tra le due parti, a vantaggio diuna di esse”, come il rapporto di lavorosubordinato, “un controllo penetrante sulcomportamento della parte avvantaggiataè il meno che si possa pretendere per esse-re veramente neutrali e imparziali”. Anchequi siamo nell’interpretazione rigorosadella legge, perché è la pura e sempliceapplicazione del principio di eguaglianzain una situazione disuguale: tutta la giuri-sprudenza e la Corte Costituzionale inse-gnano proprio questo. E insieme, diceRomano, l’attenzione per i “poveri cristi”che si trovano a fronteggiare la giustizia el’esigenza di ridurre il potere padronale infabbrica, che era eccessivo e incontrollato,richiedono di estrarre dalle istituzioni lamaggior quantità di democrazia possibile. Ecco, se questo è il quadro dell’attività giu-risdizionale di Romano Canosa e dei suoicolleghi della Sezione Lavoro nei primianni ’70, ecco consentitemi di associarmi aquello che ha detto Bruti Liberati poco fa,esprimere un disagio per quell’espressioneun po’ spregiativa che viene usata un po’troppo comunemente, “pretori d’assalto”:ma qui nessuno assaliva nulla, erano giu-dici straordinariamente rigorosi nella loroattività giurisdizionale, erano assoluta-mente fedeli al loro còmpito istituzionale,non sono quasi mai, può sempre accadere,non sono quasi mai andati oltre i limitidella loro funzione e della legge che dove-vano applicare. Semmai giudici d’assalto,io direi, possono più appropriatamenteessere considerati quei giudici che poi coninterpretazioni a volte stravaganti e disin-volte hanno cercato di neutralizzare la giu-risprudenza della Sezione Lavoro di

Milano: quelli sì erano giudici d’assalto.Questa era dunque la situazione prima del’75, fino alla crisi della Sezione Lavoro nel1975.E qui vorrei proporvi un piccolo approfon-dimento su cosa è successo prima e dopoquesta data. Perché si parla del “periodoeroico della giurisprudenza del lavoro” neiprimi anni ’70 (IANNIELLO), di “stagioned’oro della sezione lavoro”, così la defini-sce Romano Canosa nel suo libro, e sembraquasi che questa fortuita combinazionedell’esistenza di un gruppo di giudici moti-vati, impegnati, e dell’entrata in vigoredello Statuto dei Lavoratori abbia determi-nato questa isola felice nella giurispruden-za. Io credo che questa un po’ favolisticarappresentazione sia insufficiente e meritiqualche approfondimento: come e perchéè successo che nei primi anni ’70 si sia for-mata quella giurisprudenza così avanzata ?Forse uno spiraglio per andare un po’ piùa fondo ce lo dà lo stesso libro di Romanoche parla in numerosi punti del ruolo cheha avuto allora, in quell’epoca, un certogruppo di avvocati che si chiamava con unnome un po’ ampolloso - Comitato di dife-sa e lotta contro la repressione - e fu atti-vissimo nelle prime applicazioni delloStatuto dei Lavoratori. Romano Canosa nelsuo libro ne parla con approvazione, e conapprezzamento per la qualità dei suoiinterventi. Effettivamente molte delleapplicazioni esemplari dello Statuto deiLavoratori nei primi anni in cui fu in vigo-re furono patrocinate da questo Comitato; eperò osserviamo che il Comitato non avevanessun entusiasmo per lo Statuto deiLavoratori, anzi non aveva nessuna illusio-ne in generale né sulla natura e sul ruolodelle leggi formali né sull’utilità di farricorso agli strumenti legali e processuali.Sullo Statuto dei Lavoratori quel Comitatopubblicò, pochi mesi dopo l’entrata invigore dello Statuto, un saggetto, pubblica-to sui Quaderni Piacentini nel novembre1970, che si intitolava, e il titolo è signifi-cativo, “Uno ‘Statuto’ per padroni e sinda-cati”, ed era una critica implacabile sututte le contraddizioni di questa legge,sulle diseguaglianze che essa cristallizza-va, per esempio, fra la libertà di licenziarenelle aziende piccole e i limiti ai licenzia-

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menti delle aziende grandi, sulle disugua-glianze nell’accesso a certe tutele comel’articolo 28 dello Statuto dei Lavoratoririservato alle maggiori organizzazioni sin-dacali nazionali; quindi c’era un giudizioduramente critico sui contenuti delloStatuto dei Lavoratori. Eppure, il Comitatosi attivò per le sue più significative inizialiapplicazioni. Era una contraddizione, oforse no: Romano Canosa era in dissensorispetto a quelle valutazioni del Comitatosullo Statuto dei Lavoratori e diceva: voisiete in contraddizione perché lo criticatema poi lo applicate, ne chiedete l’applica-zione. In realtà io credo che contraddizio-ne non vi fosse, e credo che si possa capir-lo dalle spiegazioni, dalle teorizzazioni delComitato, che era, diciamo, ideologica-mente collegato alla sinistra extraparla-mentare e alle organizzazioni di fabbricadella sinistra sindacale, o anche fuori dallafabbrica, come i Comitati di base e le‘assemblee autonome’, c’era quindi un col-legamento ideologico con quest’area dellacultura politica di sinistra. Diceva ilComitato: è utile, è possibile applicare leleggi, ma con un’avvertenza fondamentale:“la misura delle libertà democratiche nonè segnata dalla Costituzione ma dalla forzadella lotta popolare, che deve costante-mente rinnovarsi per difenderle”. Questaera un po’ la parola d’ordine, l’impostazio-ne ideologica di questo Comitato, che hafunzionato in quegli anni perché tutte leiniziative processuali del Comitato di dife-sa e di lotta contro la repressione portatealla Sezione Lavoro di Milano e in altresedi avevano questa caratteristica: c’era unfortissimo appoggio degli operai di fabbri-ca e delle loro organizzazioni.Ricordiamoci che erano gli anni seguiti al’68, quindi era ancor viva, ancora aperta lastagione delle lotte studentesche, operaie epopolari nate nel ’68, era un periodo digrandi tensioni ma anche di grande fidu-cia, di grandi speranze e di fortissime lottenelle fabbriche. Tantissime sono le appli-cazioni che furono fatte allora delle normedelle leggi sul lavoro, e dello Statuto deiLavoratori in particolare, ricordo un casosolo che è quello dell’articolo 9 sulla tuteladella salute in fabbrica, e Romano Canosanel suo libro ricorda il caso delle Cartiere

Binda, ma oltre alle Cartiere Binda fu pro-posto un ricorso secondo quell’articoloanche all’Alfa Romeo di Arese, in partico-lare al reparto fonderia, e qui ci fu un prov-vedimento d’urgenza del pretore AntonioBellocchio, non era Canosa in questo caso,che consentì l’ingresso in fabbrica dellerappresentanze nominate ai sensi dell’arti-colo 9, erano rappresentanze formate daavvocati, ingegneri e medici e lì nacqueun’inchiesta molto approfondita sullanocività nell’Alfa Romeo di Arese e in par-ticolare nel reparto fonderia, un’inchiestadi estremo interesse, un’iniziativa che

portò a risultati straordinari di protezionedella salute, di miglioramento delle misu-re di tutela, con una partecipazione operaiaintensa, esemplare e molto emozionante.Questo provvedimento del dott. Bellocchiofu poi confermato dal Tribunale di Milano il22 aprile 1974, il quale riconobbe che l’ar-ticolo 9 dava diritto ai lavoratori di orga-nizzarsi anche spontaneamente, anchefuori dalle organizzazioni sindacali, e orga-nizzare in questo modo il controllo dellatutela della salute nei loro reparti. Andòmale poi, alla fine, perché la Corted’Appello di Milano il 18 novembre 1975annullò tutto e disse che non è vero nien-te, che le rappresentanze dell’articolo 9sono solo le commissioni interne, i comi-tati paritetici intersindacali, quindi pratica-mente svuotò la norma del suo reale signi-ficato. Nessuno però ha mai chiamato laCorte di Appello di Milano “Corte d’assal-to”, come sarebbe stato giusto perchéhanno duramente assalito una norma ehanno chiuso degli spazi. Difatti l’espe-rienza all’Alfa Romeo di Arese fu positiva

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per i risultati raggiunti, ma da allora in poile applicazioni dell’art. 9 furono sempremeno, pochissime se ne ricordano, non soquante ne ricordate voi operatori del dirit-to del lavoro. Questo per dire chi sono igiudici d’assalto. Allora un’ultima riflessione su quello chequesta esperienza può insegnare anche perl’oggi. L’importanza della mobilitazione,dell’appoggio delle lotte popolari per otte-nere l’applicazione delle leggi e anche lapossibilità di tutelarsi nel giudizio e nelprocesso: le leggi non bastano, ci vuoleanche quello che diceva il Comitato, la“forza della lotta popolare che deve costan-temente rinnovarsi” per la difesa dellelibertà. Ma le leggi sono necessarie, civogliono e sono strumenti fondamentali,devono esserci entrambi, la legge e il soste-gno della lotta popolare. Quando la normadi legge di garanzia manca o viene cancella-ta gli spazi di libertà si chiudono. Da allora,dal ’75 in poi, voi lo sapete tutti, c’è stata unalunga catena di cancellazioni di leggi digaranzia, ne ricordo solo pochissime, lascala mobile fu abolita nel 1985 e da alloratutti sappiamo quale enorme divaricazionesi è creata fra le retribuzioni dei subordina-ti e delle classi agiate; la legge del ’62 sullavoro a tempo determinato fu abolita nel2001, e da allora nacque e crebbe questo pre-cariato feroce che è uno dei drammi dellasocietà del nostro tempo; la legge del ’60 chevietava l’intermediazione e l’interposizionedelle prestazioni di lavoro fu abolita nel2003, e da allora iniziò la stagione deisubappalti selvaggi della mano d’opera equindi anche del degrado delle condizionidi lavoro della mano d’opera in appalto. Oraè il turno dell’articolo 18 dello Statuto deiLavoratori, e vediamo sotto i nostri occhi latruffaldina etichetta di riforma del mercatodel lavoro che danno a questa riforma che

nulla ha a che fare con il mercato e tutto haa che fare con la cancellazione dei diritti, evediamo la vergognosa menzogna dellamanutenzione della norma quando sappia-mo che manutenzione vuol dire rendereoperante, rendere meglio operante un mec-canismo, mentre qui il meccanismo lo stan-no semplicemente paralizzando, stannoquindi con l’articolo 18 cancellando le tute-le contro i licenziamenti illegittimi e questovorrà dire una chiusura, lo ricordava Mara,di spazi di libertà di tutti i tipi nei luoghi dilavoro e nella società. Ogni volta che si sonocancellate queste norme si è detto che si eraaccettato, si era dovuto accettare un com-promesso. Quindi se vogliamo trarre uninsegnamento da questa storia è che inmateria di diritti fondamentali e di tuteladelle libertà nessun compromesso è accetta-bile, ogni compromesso è illecito perchésignifica, sempre, chiusura e rinuncia e per-dite di spazi di libertà. Adesso il quadro èpessimo perché lo smantellamento dellalegislazione del lavoro di garanzia è andatomolto avanti. Il futuro del diritto del lavoro,dice il tema del convegno: il futuro del dirit-to del lavoro sembra molto oscuro, peròforse si può non perdere la speranza cheappunto con la lotta popolare in difesa dellelibertà si possano riconquistare questi spazi,e spero che anche gli operatori del diritto dellavoro siano attivi in questa difesa dellelibertà perché io non credo che sia una granprospettiva per il futuro del diritto del lavo-ro questo andare verso un futuro che signi-fica in realtà tornare a sessant’anni fa eanche più, cancellare tutta una legislazione,che era garanzia di libertà e di civiltà neirapporti di lavoro, nei rapporti sociali.Allora questa è la speranza che ci rimane, edè la speranza che ci sia un orizzonte ancoraaperto alla difesa degli spazi di libertà.Grazie

Medicina Democratica numero 207 gennaio / febbraio 201350 Atti La magistratura ed il futuro del diritto del lavoro, convegno promosso dall’Associazione Romano Canosa per gli studi storici, il 12 giugno 2012 - Milano, Società Umanitaria

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La magistratura ed il futuro del diritto del lavoro, convegno promosso dall’Associazione Romano Canosa per gli studi storici, il 12 giugno 2012 - Milano, Società Umanitaria

Nell’affrontare questa tematica risulta inte-ressante focalizzare subito il pensiero diRomano Canosa sullo Statuto dei Dirittidelle Lavoratrici e dei Lavoratori, richia-mando passi di un Suo scritto di due annisuccessivo alla promulgazione della L. 20maggio 1970, n° 300, e precisamente:<<E’ a tutti noto che è con lo Statuto deilavoratori che per la prima volta si è avutoun intervento legislativo di una certaampiezza che ha investito non le vicendedel rapporto di lavoro esterne al processoproduttivo, ma, entro certi limiti, anchequelle interne. …Ormai lo Statuto è in vigore da due anni edio ritengo che, nello scontro tra extraparla-mentari e “parlamentari” avessero ragionequesti ultimi: in effetti lo Statuto non haaffatto ingabbiato le lotte che si sono svoltein fabbrica e ciò è tanto vero che anchecoloro che si muovono a sinistra dei sinda-cati hanno spesso utilizzato molte delle suenorme. (…)L’art. 9 dello Statuto dei lavoratori prevedeche i lavoratori, mediante loro rappresen-tanze, abbiano il diritto di controllare l’ap-plicazione delle norme per la prevenzionedegli infortuni e delle malattie professiona-li e promuovere la ricerca, la elaborazionee l’attuazione di tutte le misure idonee atutelare la loro salute e la loro integrità fisi-ca.Questo è un punto importantissimo perchéquesto tipo di controllo finora era stato sem-pre affidato ad organi burocratici, imparzia-li in teoria, di fatto egemonizzati dal padro-nato (si pensi, ad esempio, all’ENPI, il quale,in base alla sua legge istitutiva, può interve-nire solo su richiesta della azienda).La norma dell’art. 9 rappresenta, pertanto,una grossa rottura del sistema vigente.

Quale è stato l’uso da parte del sindacato?A Milano sono state proposte soltanto duecause di questo tipo, uno riguarda l’am-biente di lavoro alla cartiera Binda, l’altrol’Alfa Romeo ed entrambe queste cause, chesi sono risolte in senso positivo per i ricor-renti, sono state gestite dal comitato di dife-sa e di lotta contro la repressione.Ora io mi rifiuto di pensare, come sarei por-tato a fare se considerassi soltanto il com-portamento del sindacato, che gli ambientidi lavoro a Milano, una città che ha moltis-sime officine, moltissime aziende, sianoinattaccabili sotto il profilo della ”salute”,vale a dire che dappertutto siano statiapprestati mezzi per impedire gli infortuni,le malattie professionali, ecc.>> (RomanoCanosa, La gestione dello Statuto dei lavo-ratori, Politica del Diritto, agosto 1972, pagg.357 e 360). Non vi è dubbio che la premessa fonda-mentale per affermare i diritti al lavoro e allasalute è costituita dalla partecipazione edalla lotta dei diretti interessati, le lavoratri-ci ed i lavoratori in fabbrica (e la popolazio-ne autoorganizzata sul territorio). In altri ter-mini, il conflitto sociale è inscritto nelle ini-ziative tese a conseguire tali diritti, sia alivello legislativo che in ogni realtà data:senza tacere che la Classe Operaia è semprestata troppo “pensata” da chi ha finito persorprendersi di trovarla così vigorosamente,originalmente, lucidamente “pensante” sulfinire degli anni ’60.Nelle presenti note si affrontano fatti salien-ti sul piano socio-legislativo con particolareriferimento agli anni ’60 e ‘80 in relazioneall’evoluzione e alla successiva regressionedi tali diritti, focalizzando tale processoanche attraverso le lucide riflessioni giuridi-che di Romano Canosa, un sicuro interprete

*MedicinaDemocraticaMovimento di Lottaper la Salute.

Atti 51

Diritto al lavoro e dirittoalla salute: evoluzione eregressione. Il contributodi Romano Canosadi Luigi MARA*

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e protagonista dell’evoluzione del Dirittodel Lavoro in armonia con il dettato costitu-zionale.

Senza fare la storia, ci si limiterà a svolgerealcune considerazioni sulle seguenti temati-che: J)- Le lotte operaie dalla difesa (1948 –1962) alla conquista dei diritti, al lavoro, allasalute, all’affermazione dei diritti umani(1963 – 1977); JJ) – Le lotte operaie e stu-dentesche della fine degli anni ’60 dannovita a molteplici movimenti nella società: lanascita di “Medicina Democratica Movi-mento di Lotta per la Salute”; JJJ) - Dallalegge 15 luglio 1966 n. 604 sulla “giustifica-tezza del licenziamento individuale” allapromulgazione della legge n. 300 del 20maggio 1970 – Statuto dei Diritti delleLavoratrici e dei Lavoratori; JJJJ) - Il c.d.Diritto del Lavoro dell’emergenza (1978 –anni ’80); JJJJJ) - Dalla L. n. 1369/1960 suldivieto di - (mere prestazioni di lavoro) -appalto di manodopera a quella sull’affittodi manodopera (il “caporalato” legalizzato;D.lgs. n. 276/2003); JJJJJJ) - Dalla destruttu-razione dello Statuto alla negazione deidiritti delle lavoratrici e dei lavoratori; dallacosiddetta “manutenzione” dell’art. 18dello Statuto all’eliminazione del controllodi legalità in fabbrica sull’operato del padro-ne o datore che dir si voglia (così come inogni altro luogo di lavoro), alla libertà dilicenziare senza “giusta causa”; JJJJJJJ) - Lamancata tutela del diritto al lavoro, premes-sa per la negazione di ogni diritto in fabbri-ca (e nella società!) e, in primis, il diritto allasalute, alla sicurezza del e nel lavoro, non-ché per la violazione della dignità, della per-sonalità e della soggettività della lavoratricee del lavoratore: una regressione dellademocrazia dalla fabbrica alla società.

1. - NOTE SULLA EVOLUZIONE E LAREGRESSIONE DEL DIRITTO DELLAVOROUn significativo sviluppo della legislazionedel lavoro è coinciso con la Costituzionerepubblicana, approvata il 22.12.1947 edentrata in vigore il 1° gennaio 1948, che allavisione corporativistica dello stato fascista(cui è ispirato il codice civile del 1942) sosti-tuisce quella democratica e sociale, fondan-do la Repubblica sul lavoro (art. 1 Cost.).

Secondo alcuni giuristi inizierebbe così unanuova stagione del diritto del lavoro qua-lificata come fase della costituzionalizza-zione, contrassegnata dalla novità di affian-care al tradizionale obiettivo della tuteladella posizione contrattualmente debolequello della tutela della libertà e delladignità sociale della lavoratrice e del lavora-tore.La caratterizzazione maggiore di tale svilup-po è rappresentata dalla cd. Lettura costitu-zionale della materia del diritto del lavoro,effettuata cioè alla luce dei principi costitu-zionali che segnano i limiti e le direttiveentro cui il conflitto tra gli opposti interessidella produzione e dell’eguaglianza, libertàe dignità delle lavoratrici e dei lavoratoridebbono trovare soluzione.Non va taciuto che questo è il periodo (fineanni ’40 – inoltrata metà anni ’60) nel qualesi avvia la ricostruzione post-bellica delpaese, che sfocerà nel cd. boom economico,ma è anche quello caratterizzato nelle fab-briche da una violenta, discriminatoria eselettiva repressione padronale con nume-rosissimi licenziamenti di lavoratrici e lavo-ratori, la cui unica colpa era quella di avermilitato nelle fila della Resistenza e/o diaver fatto riferimento ai partiti della sinistra(P.C.I., P.S.I.) e/o di essere iscritti ai sindaca-ti di categoria della C.G.I.L..Per tutti valga la gestione antioperaia e anti-sindacale condotta nei confronti dei lavora-tori aderenti alla FIOM, pianificata e attuatada Valletta negli stabilimenti FIAT con ilsostegno della proprietà (la famigliaAgnelli), nonché per esplicita richiesta del-l’amministrazione americana, e segnata-mente dell’ambasciatrice USA Clara Luce(1): una odiosa e vergognosa contropartitapolitica data dall’azienda in cambio di com-messe economiche americane.(2)Non è oggetto di queste note l’analisi (deifatti) relativa alla pesante discriminazione erepressione condotta nelle fabbriche dalpadronato (e dal governo) tra le fila delmovimento operaio dal 1948 sino alla pro-mulgazione dello Statuto dei Diritti deiLavoratori, che sancisce l’affermazione delprincipio della <<giusta causa>> nella riso-luzione del rapporto di lavoro (analisi cheperaltro sarebbe utile condurre con il dovu-to rigore). Qui ci si limita a ricordare alcuni

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dati macroscopici che hanno caratterizzatoquesto periodo storico. Anche se non esisto-no cifre ufficiali sicure sulla discriminazio-ne politica e sindacale attuata nelle fabbri-che italiane in tale periodo, “i casi di licen-ziamento per rappresaglia furono non menodi 40.000, ai quali si devono aggiungere gliepisodi, difficilmente quantificabili, didimissioni <<volontarie>> determinate dalclima di pressione e di ricatto, per non par-lare dei trasferimenti punitivi e degli ostaco-li frapposti al normale svolgimento delle car-riere professionali degli operai e dei tecnicisospetti di <<non collaborazione>>”. (3) Fu uno scontro di classe durissimo, com-battuto da parte degli industriali senzarisparmio di colpi, con l’appoggio determi-nante dell’intervento repressivo dello Statoche ebbe come protagonisti di volta in voltagli organi prefettizi, le forze di polizia e lastessa magistratura e che faceva espressoriferimento alla disciplina limitativa dellelibertà civili e sindacali contenuta nel TestoUnico fascista di Pubblica sicurezza del1931. (4)A questa offensiva il movimento operaio,politico e sindacale, seppe opporre una resi-stenza tenace e anche duttile. Ma dalloscontro uscì con le ossa rotte e con molteferite. Tuttavia sarebbe ingiusto ignorare osottovalutare l’importanza che quella resi-stenza ebbe per la tenuta complessiva dellademocrazia in Italia, o dimenticare che <<lagrande lezione di tenacia, modestia e coe-renza>> di un’avanguardia rimasta perlungo tempo drammaticamente isolatacostituì <<il riferimento della riscossa ope-raia che si incominciò a sviluppare fra il ’62e il ‘68>>. (5)“I lavoratori licenziati per rappresaglia por-tarono di quella lotta il peso più duro, anchein termini umani e personali. Non bisognadimenticare che di solito il licenziamentoera preceduto da un crescendo di angherie,di umilianti violazioni della libertà e delladignità personali (assegnazioni a mansionidequalificate, perquisizioni, pedinamenti,intimidazioni alle famiglie).”(6) In questoclima di cupa repressione antioperaia, nonva taciuto che la sconfitta della FIOM nelleelezioni del 1955 per il rinnovo dellaCommissione Interna negli stabilimenti Fiatdi Torino è stata preceduta, in pochi anni,

dal licenziamento di ben 2000 suoi quadrisindacali di fabbrica. Si tratta di fenomeniimponenti, sulle cui dimensioni non si èriflettuto abbastanza, ed essi sono una spiadell’acutezza dei conflitti sociali che hannoaccompagnato e in parte plasmato leprofonde trasformazioni intervenute nellarealtà sociale del paese. (Per quanto qui sommariamente accennato,si è usato il condizionale a proposito dellasuddetta “nuova stagione del diritto dellavoro”, che sarebbe iniziata con la promul-gazione della Costituzione repubblicana).

In proposito, va ancora ricordato che conl’entrata in vigore della Costituzione repub-blicana, la prima produzione legislativa inmateria di lavoro assolve principalmente aduna funzione di integrazione della discipli-na codicistica, essenzialmente al fine di per-fezionare il sistema di tutela minimale degliinteressi della lavoratrice e del lavoratorecome soggetti contrattualmente deboli. Siiscrivono in tale ambito le leggi sul colloca-mento (L. n° 264/1949), sul divieto di appal-to di manodopera (L. n° 1369/1960) di cuidiremo oltre, sul contratto di lavoro atempo determinato (L. n° 230/1962), suirapporti speciali di lavoro: apprendistato(L. n° 25/1955), lavoro domestico (L. n°339/1959), e sul lavoro a domicilio (L. n°264/1958). Va pure detto, che, successivamente allapromulgazione della Costituzione, l’evolu-zione del diritto del lavoro si è sviluppatalungo linee di tendenza diverse, fortementecondizionate dallo sviluppo delle lotte ope-raie e sociali e dal conseguente mutamentodelle condizioni di lavoro, sociali, economi-

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che e politiche - [non va neppure taciuto chein questo periodo, molte volte, le lotte ope-raie e contadine sono state brutalmenterepresse dai corpi di Polizia con morti e feri-ti (le città di Modena, Reggio Emilia,Genova, Avola e Battipaglia stanno lì a ricor-darcelo, per restare ad alcune delle realtàpiù tristemente note; a tacere della strage diPortella della Ginestra e dei suoi mandantipolitici), ma tali lotte hanno anche determi-nato fatti politici rilevanti come la sconfittadel governo Tambroni, ovvero del pattoscellerato DC – MSI (1960) e favorito la suc-cessiva nascita del primo governo di centro-sinistra (1962)].Si sono richiamati alla memoria alcuni fattistorici per meglio comprendere le difficoltàed i ritardi incontrati nell’applicazione dellatutela dei diritti e degli interessi delle lavo-ratrici e dei lavoratori sulla base dei princi-pi costituzionali; infatti, la loro pratica e par-ziale attuazione è avvenuta con molto ritar-do e con interventi legislativi settoriali e nonorganici.Fra le cause di tali ritardi si annovera purel’ostilità (a tacer d’altro!) nell’applicazionedel dettato costituzionale da parte (di molti)del ceto dei giuristi. Sul punto sono illumi-nanti le parole di Romano Canosa (7): <<LaCostituzione del 1948 non è, invero, un testonormativo puramente liberale, ma contienetracce evidenti della volontà dei costituentidi sorpassare la nozione tradizionale dimolti degli istituti fondamentali verso formepiù “aperte”, nelle quali alcune delle esi-genze delle classi “subalterne” potesserotrovare previsione e protezione.La natura “schizofrenica” della Costituzionevigente mostra come l’intervento su certiassetti tradizionali di potere possa avvenirenon più soltanto attraverso interferenzeesterne al complesso normativo ed alla atti-vità giudiziaria (secondo lo schema webe-riano), ma sia stato, sotto certi aspetti, “inte-riorizzato”, reso cioè possibile nell’ambitostesso della normale attività applicativadella legge.Dalle norme sulla proprietà a quelle sullagestione delle imprese, dalle norme sullaeguaglianza a quelle sul lavoro, ognunodei diritti tipici di un assetto borghese dirapporti proprietari si è visto circondato dilimiti.

L’esistenza di questi, non che consentire,impone al giurista di vigilare sul loro rigoro-so rispetto, affinché, in piena conformitàalla lettera ed allo spirito della Carta costi-tuzionale, gli interessi di una amplissimaparte della comunità nazionale che si espri-mono proprio in quei “limiti” non sianooggetto di prevaricazione. (8)La “pericolosità” della Costituzione del1948 era stata, del resto, ben compresa dalceto dei giuristi, i quali, con la suddivisionedelle sue norme in diversi tipi e la negazio-ne del carattere della imperatività alla mag-gior parte di esso, avevano potuto tranquil-lamente continuare a muoversi sul terreno aloro più caro delle vecchie leggi (che questefossero state per la maggior parte emanatedurante il periodo fascista era una circo-stanza marginale per un ceto per cui la“forma” della emanazione, il tipo dellaredazione, le regole interpretative sono tuttoed il contenuto è nulla).Così facendo, certi interessi che i costituen-ti, sia pure in forma negativa, avevano giu-ridicizzato, erano stati espunti dall’ordina-mento ed affidati di nuovo a portavoci“esterni” al mondo del diritto, ogni inter-vento dei quali, ovviamente, era destinato avenir denunciato come inammissibile inter-ferenza nella “corretta” applicazione dellagiustizia. (9)>>Nella seconda metà degli anni ’60 la legisla-zione del lavoro si è poi tradotta in unadisciplina inderogabile, che, in una certamisura, ha posto dei limiti ai poteri padro-nali con un primo risultato legislativo costi-tuito dalla promulgazione della legge n°604/1966 sui licenziamenti individuali, cheha introdotto il limite del giustificato moti-vo al licenziamento. Questa tendenza tro-verà piena espressione con l’ulteriore svi-luppo delle lotte operaie, segnatamentequelle che caratterizzarono l’autunno caldodel 1969, che porteranno alla conquistadella Legge 20 maggio 1970 n° 300 (Statutodei Diritti delle Lavoratrici e del Lavoratori).In questa fase il lavoratore non viene piùconsiderato come singolo contraente debo-le, ma come soggetto inserito in un rapportodi produzione ed appartenente ad una cate-goria sociale meritevole di tutela, con unaestensione quindi della tutela alla dignità elibertà dei lavoratori e delle lavoratrici con-

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tro le discriminazioni e per una parità ditrattamento. Infatti, lo Statuto ha dato attua-zione in una misura significativa - (pur conlimiti) - ai principi costituzionali afferman-do i diritti individuali e sociali dei lavorato-ri all’interno delle organizzazioni produtti-ve. Infatti, “è con lo Statuto dei lavoratoriche per la prima volta si è avuto un inter-vento legislativo di una certa ampiezza cheha investito non le vicende del rapporto dilavoro esterne al processo produttivo, ma,entro certi limiti, anche quelle interne. (10)”“Lo Statuto è stato uno strumento legislati-vo nuovo, diversissimo da tutta la legisla-zione preesistente: si è trattato di una leggeapprovata sull’onda del movimento e inessa sono stati trasfusi parecchi degli obiet-tivi perseguiti e parzialmente conseguitidalle lotte operaie del 1968-’69. Questostrumento è stato molto importante perdue ragioni: primo, perché ha consentitointerventi giudiziari che in base alle vecchieleggi non erano previsti (si pensi, ad esem-pio, alla repressione dell’attività antisinda-cale e alla rapidissima procedura al riguar-do prevista dall’art. 28); secondo, in quantoha aperto un’ampia falla all’interno del-l’amministrazione giudiziaria e del compor-tamento tradizionale dei giudici, costrin-gendo gli stessi, per la prima volta, a guar-dare in faccia i rapporti esistenti nella fab-brica, al di là di ogni schematizzazione nor-mativa, e a tener conto di quella realtà nelleloro sentenze. (11)”In questa linea di tendenza, che possiamodefinire di legislazione promozionale, siinseriscono anche la riforma del processodel lavoro (L. n° 533/1973) e la legge sullaparità uomo-donna (L. n° 903/1977), diret-te con strumenti di tutela differenziata edantidiscriminatoria al medesimo obiettivodi reagire allo stato di sottoprotezione socia-le delle lavoratrici e dei lavoratori.Ponendo mente all’attualità del dibattitosull’art. 18 dello Statuto e all’ordine di rein-tegra nel posto di lavoro del lavoratorelicenziato senza giusta causa, risulta di par-ticolare interesse quanto scrive RomanoCanosa, in risposta alle critiche portate dasettori della sinistra non istituzionale circala tendenza alla <<monetizzazione>> dialcune istanze fondamentali dei lavoratoridella legge n° 533/1973, e precisamente:

“… Indubbiamente la legge sotto questoaspetto presenta una carenza assai grave:quella di non prevedere e regolare compiu-tamente la reintegrazione forzata del lavo-ratore illegittimamente licenziato, qualora ildatore di lavoro rifiuti di ottemperare all’or-dine del giudice. Indubbiamente, come èstato ritenuto in alcuni giudicati, questorisultato può essere ottenuto anche in basealle norme oggi esistenti, ma, stante il con-trasto giurisprudenziale esistente al riguar-do, sarebbe stato molto importante che lanuova legge processuale regolasse esplicita-mente questo aspetto del processo esecutivo

in materia di lavoro. Ciò posto, tuttavia, nonsembra che ricorrano altri esempi di unascelta <<monetizzatrice>> al cospetto dialternative diverse: la provvisoria esecuzio-ne in primo grado in tema di licenziamentoera già prevista nello Statuto dei Diritti delleLavoratrici e dei Lavoratori; non si vede per-ciò che altro avrebbe potuto fare la legge senon estenderla anche alle sentenze di con-danne al pagamento di somme di danaro.Inoltre la possibilità di pronunciare ordi-nanze esecutive ai sensi dell’art. 423 c.p.c.,non costituisce la espressione di un privile-giamento di questo tipo di vertenze, rispettoalle cause di licenziamento, in quanto perqueste ultime la ormai accettazione dellaprocedura di cui all’art. 700 c.p.c., che dovràcontinuare ad essere utilizzata anche sottol’imperio della nuova legge, rendeva tuttosommato abbastanza superfluo un esplicitointervento del legislatore in materia.Né vale contrapporre lo Statuto dei Dirittidei Lavoratori alla nuova legge sul processo,affermando che, mentre il primo incidevarealmente sui problemi dei rapporti di lavo-

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ro, la stessa cosa non si può dire dellaseconda.Lo Statuto, infatti, come ogni legge sostan-ziale, ha dei settori di operatività (quellodella vita di fabbrica) che ad una legge pro-cessuale sono istituzionalmente interdetti;dove questi esistevano – e sempre con lagrave eccezione già indicata – la nuovalegge è intervenuta: si pensi ad esempio allaesplicita previsione della possibilità di fareudienza in fabbrica. (…) La nuova legge vavalutata per quello che è: un buon testoriformatore, anche se di <<peso>> indub-biamente minore dello Statuto dei lavorato-ri, e questo – lo si ripete – per la sua stessanatura di legge processuale. (12)” Al riguardo, va pure sottolineato che questalegge consente sia una notevole abbrevia-zione del tempo necessario alle lavoratricied ai lavoratori per ottenere le loro spettan-ze, sia l’accelerazione dei processi in temadi licenziamenti, sia la dilatazione dei pote-ri di indagine del giudice al di là degli sche-mi privatistici tradizionali, nonché l’effettopositivo, di stimolo, nei confronti di tutti igiudici italiani: “tutti fatti positivi sui quali –afferma Romano Canosa – il giudizio, dasinistra, da qualunque settore della sinistra,dovrebbe essere positivo. (13)”

2. - DIRITTO DEL LAVORO DELLA CRISI(O DELL’EMERGENZA)La seconda metà degli anni ’70 è stata carat-terizzata dalla recessione economica e dallamodificazione del sistema produttivo, inquesti anni sindacati, padronato e governihanno operato in sintonia, come un soluomo, per imporre la riduzione del costodel lavoro attraverso la c.d. politica dei red-diti. Infatti, in questa fase vengono attuatirilevanti interventi legislativi tra i quali sisegnalano le leggi sull’occupazione giovani-le (L. 285/1977), sulla istituzione della CassaIntegrazione Guadagni (L. 164/1975 e L.427/1977), sul contenimento del costo dellavoro (accordo trilaterale del 22 gennaio1983 ed il protocollo d’intesa del 14 febbraio1984, nonché la L. 38/1986 sulla riformadell’indennità di contingenza).

Schematizzando, si può dire che fino al1975 il modello di intervento statale nei set-tori del diritto pubblico dell’economia e del

diritto del lavoro vero e proprio era così arti-colato: da un lato un’ampia serie di inter-venti a favore del capitale (crediti agevolati,crediti a fondo perduto, cassa integrazione,etc.), dall’altro interventi garantistici a favo-re delle lavoratrici e dei lavoratori, diretti adimpedire licenziamenti ingiustificati, adassicurare alcuni diritti della persona ancheall’interno delle aziende. (14)A questi interventi legislativi statali concor-revano anche gli interventi della contratta-zione sindacale collettiva, generalmentediretti a migliorare le condizioni delle lavo-ratrici e dei lavoratori dipendenti.Le ultime manifestazioni di questa linea,cioè quella di accordare <<vantaggi>> adentrambe le parti contraenti, può essere fis-sata al gennaio 1975, ovvero all’accordo(non privo di ambiguità) tra la FederazioneCGIL – CISL – UIL e la Confindustria sullagaranzia del salario e sulla indennità di con-tingenza.L’accordo viene trasfuso, anche se non inte-gralmente, nella legge n° 148 del 7 giugno1975, a conferma del metodo, oramai affer-matosi, di una legislazione del lavoro stret-tamente connessa con la contrattazione col-lettiva.“Sono gli ultimi fuochi di una linea garanti-stica da un lato, migliorativa delle condizio-ni dei lavoratori dall’altro, nella quale nonmostra di credere più nessuno (o quasi). Apartire dal 1976, il modello di interventolegislativo e collettivo nel settore viene difatto assoggettato ad una inversione radica-le: mentre gli interventi statali in favore delcapitale continuano, quelli in favore deilavoratori cessano o sono sostituiti da inter-venti anch’essi a favore del capitale, contotale rovesciamento del sistema binarioseguito in precedenza.Cominciamo da questi ultimi. L’inizio dellasvolta può essere collocato alla fine del 1976quando, prima con un decreto-legge (11ottobre 1976 n° 699), e poi con la relativalegge di conversione (10 dicembre 1976 n°797) è stato bloccato il pagamento dellaindennità di contingenza nelle retribuzionisuperiori a un certo livello e in suo luogo èstata imposta l’accettazione di buoni deltesoro non negoziabili.Di fatto la legge si muoveva ai limiti dellaCostituzione … diminuendo d’imperio la

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retribuzione di una ampia fascia di lavora-tori subordinati (il livello di retribuzionerichiesto era infatti assai basso) ed operan-do di fatto una sorta di imposizione forzo-sa soltanto su una fascia di cittadini (lavo-ratori subordinati), mentre ne venivanoescluse altre con maggiore capacità contri-butiva (professionisti, commercianti, indu-striali).” (15) Alla formazione di questa(politica) legislazione statale tesa alla ridu-zione delle retribuzioni concorrono anchele fonti non legislative del diritto, ovverogli accordi fra sindacati e imprese(Confindustria). In proposito, si ricordal’accordo emblematico del 26 gennaio1977 tra la Confindustria e la FederazioneCGIL-CISL-UIL sul costo del lavoro.L’accordo riguardava l’indennità di anzia-nità, universalmente considerata comeparte della retribuzione, e stabiliva che essad’ora in poi avrebbe dovuto calcolarsi<<con esclusione, a partire dal 1° febbraio1977, di quanto dovuto come aumenti diindennità di contingenza o emolumenti dianaloga natura, scattati posteriormente al31.01.1977>>. L’accordo fu accompagnato da due dichia-razioni: quella della Confindustria chedichiarò: <<le parti sociali hanno concorda-to sul fatto che dall’accordo raggiunto emer-ge una chiara volontà di mutamento dellerelazioni industriali, con riflessi positivi suun utilizzo più flessibile degli impianti pro-duttivi e concreti effetti riduttivi del salariodifferito.>>; quella del sindacato, che, a suavolta, affermò: <<Prima della trattativa incorso e con il presente accordo, il contribu-to in questo senso del sindacato è stato ed èdi notevole peso, pienamente responsabile econclusivo a riguardo del costo del lavoro.Le disponibilità offerte dal sindacato sonodi indiscutibile importanza (…) Uno sforzocosì impegnativo dei lavoratori e del sinda-cato deve essere accompagnato da unimpegno degli imprenditori e del governoper affrontare la crisi dal lato dell’inflazionee da quello della ripresa economica e pro-duttiva. Sono questi obiettivi che con chia-rezza il movimento sindacale nella suaautonomia propone come scelta di fondodell’azione dei lavoratori. (16)>>Purtroppo, questo accordo rappresenta l’ini-zio di una resa sindacale senza fine agli inte-

ressi di un padronato vorace e inaffidabile,le cui negative conseguenze si rifletterannopesantemente sulle lavoratrici e sui lavora-tori negli anni a venire fino ai nostri giorni.I lavoratori da tale accordo riceveranno soloaria fritta in cambio di generose concessionifatte alla controparte confindustriale.Infatti, erano passati solo alcuni giorni quan-do il governo, forte dell’accordo intervenutotra le parti, emetteva un decreto-legge (1°febbraio 1977 n° 12) contenente norme perl’applicazione dell’indennità di contingen-za.Il decreto faceva propria l’esclusione dal cal-

colo dell’indennità di anzianità degliaumenti di contingenza scattati posterior-mente al 31 gennaio 1977; stabiliva inoltrenel suo art. 2 che, a partire dal 1° febbraio1977, tutti i miglioramenti retributivi pereffetto di variazione del costo della vita o dialtre norme di indicizzazione non avrebbe-ro potuto più essere corrisposti in misurasuperiore a quella stabilita dagli accordiinterconfederali operanti nel settore dell’in-dustria alla data di entrata in vigore deldecreto (in pratica la contingenza venivaunificata per tutte le categorie su quella del-l’industria). (17)Il successivo art. 3 dichiarava esplicitamen-te che le <<somme non più dovute ai lavo-ratori per effetto delle disposizioni di cuiall’articolo precedente saranno devolutealla riduzione dei costi aziendali o allacopertura di oneri pubblici>>. In proposito,Romano Canosa segnalava che si trattava di“una prassi del tutto insolita per una leggeindicare in un apposito articolo i fini politi-ci perseguiti con la legge stessa: era comun-que un parlare assai chiaro che non nascon-

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deva, anzi proclamava esplicitamente, chedi riduzione del salario si trattava e che que-sta riduzione era stata disposta a beneficiodelle imprese”, e aggiungeva:“Evidentemente la cosa non era piaciutamolto alle sinistre (le cose si fanno manon si dicono), ragion per cui nella leggedi conversione del decreto (31 marzo1977 n° 91) l’art. 3 veniva soppresso.All’atto della conversione inoltre venivasoppresso anche l’art. 5 del decretosecondo il quale il decreto stesso sarebberestato in vigore fino al 31 gennaio 1979.La riduzione programmata della retribu-zione diveniva così definitiva. (18)Le conseguenze di queste norme sono dinotevole rilievo, anche sul piano giuridico.I sindacati con il predetto accordo del 26gennaio 1977 avevano già concesso quasitutto <<per un verso offrendo di ridurreautonomamente l’intensità della protezionecontrattuale con riguardo agli effetti ano-mali della scala mobile, per altro verso sug-gerendo al legislatore un intervento ridutti-vo della protezione legale in materia diindennità di anzianità, tale peraltro da noncomportare di per sé (…) una invasione del-l’area contrattuale>> (19), mirando tuttavianel contempo a salvare l’autonomia sinda-cale, sul piano formale. Viceversa, il decretoandava diritto allo scopo pervenendo a unrisultato espropriativo dell’autonomia con-trattuale, stabilendo la non migliorabilitàdella disciplina legislativa, sottraendo cosìalla autonomia sindacale il governo dellaretribuzione del rapporto di lavoro, sia neisuoi aspetti qualitativi, che quantitativi,nonché stabilendo autoritativamente i limi-ti massimi della dinamica salariale. (20)Romano Canosa osserva(va) che il divieto diderogabilità in melius (e cioè a favore dellelavoratrici e dei lavoratori qualora il padro-nato fosse stato d’accordo) costituiva unevento del tutto anomalo e sconvolgente peril diritto del lavoro, nel quale questo tipo diderogabilità era da molto tempo riconosciu-to per pacifico.“Se si tiene presente che nello stesso perio-do si era tentato di colpire (la manovra erapoi rientrata) anche la contrattazione inte-grativa aziendale, penalizzando gli impren-ditori che avessero concesso aumenti collet-tivi, ci si rende conto come l’obiettivo perse-

guito, in una sorta di gioco delle parti, dalgoverno, dai sindacati e dalla Confindustriaera quello di bloccare od ostacolare ogniaumento collettivo delle retribuzioni chenon fosse stato precedentemente accertatocome compatibile con le esigenze del raffor-zamento del capitale da tutti e tre gli inter-locutori, ognuno riservandosi un diritto diveto, tutti per il resto lasciando mano liberaagli aumenti <<di merito>> concessi discre-zionalmente dalle direzioni aziendali. Il chedimostra ancora una volta come non fossela <<giungla retributiva>> che si voleva col-pire, bensì soltanto gli <<automatismi>>nell’incremento della retribuzione, reintro-ducendo anche qui una libertà assoluta afavore delle aziende.Gli <<automatismi>> in materia di retribu-zione e di carriera diventano in questoperiodo, per il governo, per il sindacato eper gli industriali concordi tra loro una dellecause di fondo della <<crisi>>, alla stessastregua dei limiti della <<mobilità>> e del-l’assenteismo.” (21)Va ancora sottolineato che nell’articolo 3dell’accordo Confindustria-sindacati del 26gennaio 1977 si leggeva: <<le parti concor-dano, in riferimento alla proposta di leggecontenente disposizioni in materia di giornifestivi, attualmente all’esame del parlamen-to, che le aziende potranno disporre perl’anno 1977 che siano lavorate, senza riposicompensativi, le cinque festività religiosesoppresse e le due festività nazionali spo-state alla domenica.>> La legge in questio-ne era la n° 54 che sarebbe stata approvata il5 marzo 1977, la quale stabiliva che alcunigiorni (in tutto sette) cessavano di esserefestivi, con il conseguente aumento dell’ora-rio di lavoro su base annua. Inoltre, il 3dicembre 1977 veniva emesso il decreto n°876 sul contratto a termine, convertito nellaL. 3 febbraio 1978 n° 18 che allargava le pos-sibilità di ricorso a questo tipo di assunzio-ne nel settore del commercio e del turismo,in precedenza esclusi. La discussione parlamentare che ha accom-pagnato l’approvazione di questo decreto-legge mostra che in realtà esso sia stato vistocome un primo passo verso l’auspicata ela-sticizzazione della forza lavoro. Del restouna estensione della tipologia del contrattodi lavoro a termine si era già avuta con la

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legge n° 285 del 1 giugno 1977 sull’occupa-zione giovanile, in base alla quale le assun-zioni <<incentivate>> non possono supera-re la durata di un anno e non sono rinnova-bili.In altri termini, qui si è insistito nel richia-mare interventi e modifiche legislative inpejus introdotti nel sistema del diritto dellavoro focalizzando, di volta in volta, le luci-de riflessioni giuridiche di Romano Canosa.Viceversa, se si passa dal diritto del lavoroalla branca del diritto pubblico dell’econo-mia, rappresentata dagli interventi in favoredelle industrie, si nota una linea di ininter-rotta continuità rispetto al passato. In questadirezione si colloca la legge n° 675 del 12agosto 1977, che contiene i <<provvedi-menti per il coordinamento della politicaindustriale, la ristrutturazione, la riconver-sione e lo sviluppo del settore>>. La legge,fra l’altro, all’art. 3 istituiva un Fondo pressoil CIPI (Comitato di ministri per il coordina-mento della politica industriale) con ammi-nistrazione autonoma e gestione fuori bilan-cio, destinato alla concessione di agevola-zioni finanziarie alle imprese manifatturiereed estrattive che realizzino <<sul territorionazionale progetti di ristrutturazione e diriconversione conformi ai programmi fina-lizzati>> previsti dal precedente art. 2. Conle disponibilità di questo Fondo possonoessere concesse agevolazioni finanziarie divario tipo (mutui agevolati, contributi sugliinteressi per finanziamenti deliberati da isti-tuti di credito a medio termine, contributipluriennali alle imprese sull’emissione diobbligazioni, etc.). Inoltre, la legge presentaanche una novità, rispetto a quelle analoghedegli anni precedenti: infatti all’art. 22 eseguenti si prevede l’istituzione di una com-missione per favorire la mobilità dellamanodopera e di un relativo fondo destina-to a corrispondere un’indennità (<<inden-nità di nuova sistemazione>>) ai lavoratoriche accettino un lavoro in una località adoltre 50 chilometri di distanza dal comunedi residenza.Il 29 dicembre 1977 viene emesso il decre-to-legge n° 947, convertito nella legge 27 feb-braio 1978 n° 44, che ha disposto interventiin favore delle imprese in difficoltà per con-sentire la loro continuazione produttiva.Infine, con decreto-legge 14 aprile 1978 n°

110 sono stati emanati provvedimentiurgenti per far fronte alle esigenze dellesocietà già inquadrate nel gruppo EGAM.La linea seguita dalle Confederazioni CGIL– CISL – UIL sul piano nazionale è stataattuata anche a livello aziendale. Infatti, inquesti anni vengono sottoscritti alcuniaccordi sindacato-impresa nei quali i desti-ni di migliaia di rapporti individuali di lavo-ro vengono cogestiti dalle due parti spessoal limite del Codice Civile. In proposito, siricordano i casi Innocenti ed Unidal diMilano.Nel primo caso il sindacato ha accettato sia

la <<interruzione>> di tutti i rapporti dilavoro preesistenti con la <<vecchia>>società Innocenti sia la <<contrattazione diaccordi aziendali che prevedano impegni dilavoro individuali non inferiori a quelli inatto presso l’industria concorrente>> delsettore, il che in pratica ha significato unnetto peggioramento delle condizioni deilavoratori i quali dalla precedente gestioneerano riusciti a ottenere un trattamentomigliore di quello fatto nell’industria<<concorrente>> (leggi altre aziende auto-mobilistiche) sotto il profilo delle pause, deicarichi e ritmi di lavoro, etc.Anche all’Unidal si è ripetuto il medesimofenomeno. Anche in questo caso il sindaca-to ha accettato l’espulsione di un grannumero di lavoratrici e lavoratori, muoven-dosi al limite del Codice Civile [infatti laclausola finale dell’accordo dispone: <<Leparti si danno atto che, in tutti i casi consi-derati nel presente accordo non potràcomunque trovare applicazione la previsio-ne di cui all’art. 2112 c.c.. A tal fine i lavo-ratori che accetteranno i nuovi posti di lavo-

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ro nell’ambito delle procedure di colloca-mento provvederanno nel corso del proce-dimento di assunzione a risolvere il rappor-to con la società Unidal. Con la sottoscri-zione di verbali individuali ai sensi e pergli effetti della legge n° 533/1973 si daràatto della intervenuta risoluzione del rap-porto di lavoro, salva restando la riservadel lavoratore su eventuali diritti e pretesematurati nei confronti della società Unidalche dovranno quindi essere fatti valereesclusivamente nei confronti della predet-ta società>>]. Al di là delle roboantidichiarazioni sindacali tese ad accreditarela bontà di tali accordi come una sceltapositiva in difesa dell’occupazione, nonv’è chi non veda il fatto che - (le aziende inquestione non esistono più da decenni) – il<<diritto creato>> sulla base di questiaccordi è un diritto che offre alle nuovegestioni aziendali vantaggi che alle stessenon sarebbero spettati in base alla legisla-zione esistente, a tal punto da richiedere, a<<sostegno>> dell’accordo, la emanazionedi una legge ad hoc. Per esempio, nellavicenda Unidal con la costituzione dellanuova società Sidalm, nonostante l’esplici-to riferimento nell’accordo alla non opera-tività dell’art. 2112 c.c., nulla avrebbe potu-to impedire alle lavoratrici ed ai lavoratori,una volta assunti dalla nuova società, dirivendicare la continuità (ben reale edinnegabile) del nuovo rapporto di lavorocon quello precedentemente intercorsocon la società Unidal. Per evitare questoeffetto, è stata emanata una lex singularis,il decreto-legge 30 marzo 1978 n° 80, il cuiarticolo 1 dispone: <<Limitatamente al qua-driennio di cui all’art. 3, primo comma,della legge 12 agosto 1977 n° 675, la dichia-razione dello stato di crisi aziendale previ-sta dall’art. 2, quinto comma lettera c,della legge suindicata, opera gli stessieffetti della disdetta indicata nell’art.2112, primo comma del Codice civile, neiconfronti dei lavoratori che, in conseguen-za del trasferimento di azienda, sonoassunti alle dipendenze dell’acquiren-te.>> (22) Non c’è dubbio che si tratta di un emblema-tico esempio di una legislazione che si col-loca a pieno titolo nell’ambito del cd. dirittodel lavoro dell’emergenza.

3. - LA DELEGIFICAZIONE DEGLIANNI ’80 E LA DEREGOLAMENTAZIO-NE DEGLI ANNI ‘90Una fase propria degli anni ’80 è rappresen-tata dalla delegificazione, caratterizzatadalla tendenza di rinviare alla contrattazio-ne collettiva la determinazione di una“disciplina protettiva” non più rigida, maflessibile, con ammissione di deroghe aiprecetti normativi imperativi con i conse-guenti effetti negativi sulle condizioni dilavoro e di vita delle lavoratrici e dei lavora-tori. Infatti, attraverso questa via viene dataalla fonte negoziale collettiva-sindacale unafunzione di disciplina. Per esempio, in tale direzione si collocanogli interventi legislativi sulla limitazione deldiritto di sciopero nei servizi pubblici (L. n°146/1990).Non va taciuto che questo modello politico,sostenuto dalle Confederazioni CGIL – CISL– UIL, risponde(va) alle esigenze dell’im-presa ed impone(va) alle lavoratrici e ailavoratori di “adattarsi” alla flessibilità orga-nizzativa aziendale, subendo così i relatividanni in termini di riduzione delle loro tute-le individuali e collettive. Tutto questoviene spacciato come una più generale fun-zione di governo dell’economia diretta alperseguimento di obiettivi di politica indu-striale e di politica dei redditi, da realizzarsiattraverso la cosiddetta concertazione trapubblici poteri e parti sociali. Risultato: inquesti anni, e ancor più in quelli successivi,avviene un progressivo peggioramento dellecondizioni di lavoro e di vita dei lavoratori,con il trasferimento di importanti quote direddito dal lavoro a favore del capitale edella rendita parassitaria.La politica dei redditi attuata attraverso la cd.concertazione da parte delle ConfederazioniCGIL–CISL-UIL si rifletterà, quasi superfluoricordarlo, negativamente anche sui rinnovicontrattuali del 1983. A quest’ultimo riguar-do sono illuminanti le lucide parole diRomano Canosa: <<…Corrado Perna, dopoaver sottolineato come quella appena con-clusa sia stata “una fra le più difficili stagio-ni contrattuali” del dopoguerra ed aver indi-cato la necessità di un “ripensamento” sullacontrattazione in generale e sui modellicontrattuali nati dalla rottura del 1968-1969, conclude nel senso che, nonostante

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tutto, “il sindacato, col rinnovo dei contrat-ti, è riuscito a riaffermarre il suo potere dicontrattazione a fronte di una linea padro-nale tesa apertamente a cancellarlo”>>.[Ad analoghe conclusioni giunse A.Bellocchio, segretario regionale della CGILlombarda]. E così prosegue Canosa: <<Il(Loro) giudizio quindi – pur filtrato attraver-so molte riserve – è sostanzialmente positi-vo. Ed invece, se si vuole essere “amici più dellaverità che di Platone”, esso non può nonessere negativo.Indubbiamente il “diritto” alla contrattazio-ne è stato salvato. E quindi il sindacatoancora una volta “legittimato” ad agirecome portatore di interessi collettivi.Ma, se da questo riconoscimento di unasorta di “personalità politico-giuridica” chein sé e per sé vuol dire poco o nulla (e che,per la verità, nessuno ha mai messo in dub-bio) passiamo ai risultati che questo sogget-to collettivo così “riconosciuto” è riuscito aconseguire a vantaggio dei suoi iscritti,motivi per essere soddisfatti non ce ne sonomolti.Nei contratti del 1983, se si prescinde daimodesti aumenti salariali, tutte le innova-zioni sono costituite da clausole che modifi-cano in favore dei datori di lavoro, le situa-zioni preesistenti. Così, in materia di orariodi lavoro, la riduzione di ore annue, già delresto prevista nell’accordo Scotti del 1983 e,per alcuni settori addirittura da alcuni con-tratti del 1979, è accompagnata da tali etante condizioni e bilanciata da tante con-cessioni alla controparte padronale alpunto da ridursi di fatto ad un “risarcimen-to”, neppure integrale, per i vantaggi conse-guiti dalle imprese.Si tratta infatti di una “riduzione” sui gene-ris che può essere goduta soltanto in formadi “permessi” e nella quale rientrano inqualche caso anche le festività soppresse!In cambio di essa, il padronato ha ottenutopiù straordinari ed una consistente flessibi-lità nell’impiego della mano d’opera.La determinazione della durata normaledell’orario di lavoro non più in relazionealla sua effettiva prestazione giornaliera,ma su base di medie plurisettimanali, con-sente infatti alle imprese margini di flessibi-lità nel rapporto tra prestazioni lavorative

ed esigenze produttive del tutto ignote,almeno per il passato recente, al modelloitaliano di relazioni industriali.Non solo. In alcuni settori che già nei con-tratti del 1979 avevano ottenuto una ridu-zione di orario, il sindacato ha “rinunciato”alla riduzione di orario in questione aldicembre 1985!Nel settore delle assenze per malattia, laintroduzione di fasce orarie di permanenzaobbligatoria in casa per il lavoratore indi-sposto, quale che sia il tipo di malattia,costituisce una non piccola concessione daparte sindacale alle ricorrenti accuse di

assenteismo rivolte ai lavoratori dalla partepadronale.Infine, molti dei contratti dell’83, sulle ormedell’accordo Scotti, prevedono variegateforme di “contrattazione” permanente, dimediazioni bilaterali, di procedure concilia-tive, al fine di evitare forme di “microcon-flittualità ed escludere, come si esprime ilcontratto metalmeccanici Intersid-Asap, il“ricorso intempestivo ad azioni dirette, sottoqualsiasi forma poste in essere”.Il termine “azioni dirette” ( …) sta ad indi-care il … ricorso alla magistratura da partedei lavoratori che, eventualmente lesi neiloro diritti dalla contrattazione al ribasso diquesti anni, intendano far valere questidiritti nel modo normale, consentito a tutti icittadini, vale a dire presentando domandaai tribunali.Una possibilità del genere evidentementenon deve essere vista con molta simpatiadai rappresentanti dei lavoratori, né daquelli delle imprese, se sono apprestate,spesso con grande pressappochismo tecni-co, barriere protettive a difesa dei prodotti

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della contrattazione collettiva.I contratti del 1983, non avari di concessio-ni al padronato, poco o nulla dicono inve-ce sulle ristrutturazioni aziendali e sulleconsistenti riduzioni di personale che quasisempre le accompagnano. (…)La circostanza che sia il sindacato ad “otte-nere” nella stragrande maggioranza dei casil’intervento della Cassa trasforma quello chein altri paesi è un diritto dei lavoratori disoc-cupati, nel “frutto di una lotta…” infatti sedovesse cessare la possibilità di sbandierarela concessione della integrazione salarialecome frutto di un “decisivo” intervento delsindacato, che cosa resterebbe a quest’ulti-mo – rebus sic stantibus in materia di politi-che rivendicative – da offrire al “popolo” deisuoi rappresentati?>>. (23)

E si potrebbe continuare nell’enumerare i“frutti” - (avvelenati) – di tale contrattazionecollettiva attuata dalle Confederazioni CGIL– CISL – UIL attraverso la c.d. concertazio-ne, con la determinazione di una “discipli-na” del lavoro non più rigida, ma flessibile,con ammissione di deroghe ai precetti nor-mativi imperativi con i conseguenti effettinegativi sulle condizioni di lavoro e di vitadelle lavoratrici e dei lavoratori. Si tratta diuna delle “tappe” le cui risultanze concor-rono alla formazione del cd. diritto del lavo-ro dell’emergenza: una vera e propria regres-sione del diritto del lavoro iniziata a metàdegli anni ’70, e via via consolidatasi neltempo. Infatti, i successivi anni ’90 sarannosempre più caratterizzati dalla flessibilità edalla riduzione delle tutele nel rapporto dilavoro, nonchè da una spiccata deregola-mentazione della legislazione del lavoro.In proposito, di seguito ci si limita a ricor-dare alcuni interventi in tale direzione.Infatti, l’Accordo del luglio 1993 è caratte-rizzato dalla tendenza all’adeguamentodella disciplina del mercato del lavoro nelsegno della flessibilità, e nello stesso vienededicato un apposito capitolo relativo allagestione delle crisi occupazionali, alla for-mazione professionale ed alla riattivazionedel mercato del lavoro.A quest’ultimo riguardo, superfluo sottoli-neare che si tratta di iniziative miseramentefallite; anzi, possiamo dire che le stessehanno svolto una “funzione di catalisi” per

il processo di deindustrializzazione delPaese, tuttora in atto.In questi anni va pure segnalata la promul-gazione della legge n° 421/1992, con laquale si è attuata la c.d. privatizzazione delpubblico impiego, ovvero si è estesa la disci-plina civilistica al pubblico impiego, conl’obiettivo di armonizzarne la disciplina conquella del lavoro privato.Anche il protocollo d’intesa (denominato<<Patto per il lavoro>>) siglato il 24.09.1996da imprese, governo e sindacati, così comeil citato accordo del 1993, non ha avuto suc-cesso.Basti pensare che, attraverso questi Patti,Governo, CGIL – CISL – UIL e Confindustriasi prefiggevano (a parole!) di promuoverel’occupazione, soprattutto nel Mezzogiorno,mentre nei fatti non vedevano (o non vole-vano vedere!) che nel paese era in atto unapolitica irresponsabile (a tacer d’altro!) dideindustrializzazione con la svendita e/o ladismissione di società operanti in settoristrategici, e tutto questo avveniva con lacontestuale chiusura (o la drastica riduzio-ne) dei pochi centri di ricerca industrialeesistenti nel Paese; ciò ha portato alla deser-tificazione industriale di intere regioni, pertutte valga la Sardegna. – [A tacere dellostato vergognoso nel quale versava e versa lascuola e, segnatamente, l’università, sia intermini di strutture, mezzi, servizi e perso-nale per consentire lo svolgimento delladidattica e della ricerca all’altezza dei biso-gni degli studenti e, più in generale, dellapopolazione. Viceversa, al di là delle lode-voli eccezioni, l’edilizia scolastica è fati-scente ed insicura, la ricerca universitaria,sia quella fondamentale che applicata, giàscarsa ed inadeguata è stata ridotta al lumi-cino per mancanza di mezzi, di personale edi progetti di ampio respiro e di pubblicautilità nei diversi settori: dalla salute al risa-namento dei diversi comparti dell’ambiente(aria, acque superficiali e di falda, suolo esottosuolo) alla prevenzione dei rischi lavo-rativi ed extra-lavorativi, dall’innovazionenell’industria e nell’agricoltura alla promo-zione di un programma energetico naziona-le fondato sullo sviluppo delle fonti rinno-vabili, dal riassetto idrogeologico del territo-rio alla riqualificazione urbanistica delleperiferie delle grandi città, etc.. In altri ter-

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mini, si è assistito a un deliberato stato diabbandono della scuola pubblica di ogniordine e grado dovuto all’assenza di unaappropriata politica in grado di dare pro-spettive e soluzioni ai bisogni della popola-zione e alle necessità del paese, nonché dirispondere alle sacrosante domande deglistudenti in tema di didattica, formazionepermanente e promozione di nuove genera-zioni di ricercatori e tecnici nelle diversediscipline].Gli strumenti d’azione privilegiati dal citatoaccordo del 1996 sull’occupazione prevede-vano la <<formazione professionale>>, masoprattutto l’impegno del governo e delleparti sociali verso la flessibilità della forzalavoro ed un uso mirato della leva fiscalecome strumento per la nascita di nuovaimprenditoria giovanile.A differenza degli altri obiettivi (falliti) pre-visti dal Patto per il lavoro, quello della fles-sibilità viene perseguito attraverso una pro-gressiva ma inesorabile deregulation delmercato del lavoro, attuata soprattutto conla L. 28.11.1996, n° 608 sull’assunzione diret-ta nominativa, con la L. 24.06.1997, n° 196 didisciplina del lavoro interinale, di riformadell’orario di lavoro e di alcune fattispeciecontrattuali, e con il D.Lgs. 25.12.1997, n° 469di riforma del collocamento. A quest’ultimoriguardo, istituzionalizzando fenomeni(agenzie private di selezione del personalee contatti diretti tra datori e lavoratori)ampiamente diffusi nella prassi; al riguardo,il legislatore ha inteso lasciare ampi marginioperativi all’iniziativa privata, trasferendocompiti in materia a Regioni ed Enti locali eriservando agli organismi pubblici un ruolodi vigilanza e di politica del lavoro.Anche con l’accordo interconfederale deldicembre 1998 (cd. <<Patto per lo sviluppoe l’occupazione>>) sono fissati i punti poiassunti dal governo come obiettivi del pro-prio intervento, cui è seguito un primoriscontro con la L. 17.05.1999, n° 144, chedetta i criteri importanti di riforme nelcampo del lavoro: riforma degli ammortiz-zatori sociali e degli incentivi all’occupazio-ne, riforma dell’assicurazione obbligatoriacontro gli infortuni sul lavoro e le malattieprofessionali, cartolarizzazione del tratta-mento di fine rapporto e decollo della pre-videnza complementare, etc..

4. - LA ROTTURA DELLA CONCERTA-ZIONE SINDACALE DEGLI ANNI 2000E LA “RIFORMA” DEL MERCATO DELLAVOROPreliminarmente, va osservato che buonaparte degli obiettivi oggetto della concerta-zione collettiva sindacale attuata nel prece-dente decennio si sono tradotti nei provve-dimenti legislativi varati tra la fine del 1999e l’anno 2001, accomunati nell’ampio ruoloregolamentare riconosciuto all’autonomiacollettiva e da una minore rigidità delladisciplina di legge: tra essi rivestono parti-colare importanza il D.Lgs. 26.11.1999, n°

532 in materia di lavoro notturno, ilD.Lgs. 25.02.2000, n° 61, di riforma delrapporto di lavoro a tempo parziale e ilD.Lgs. 06.09.2001, n° 368 di riforma delrapporto di lavoro a tempo indetermina-to. Inoltre, per quanto di interesse nellepresenti note, va ricordata la riformadella disciplina dello sciopero nei servizipubblici essenziali (L. n° 146/1990) ope-rata con la legge 11.04.2000, n° 83.I primi anni di questo secolo sono caratte-rizzati da significativi cambiamenti: infattila nuova maggioranza di destra insediatasinel 2001 interrompe la prassi della cd. con-certazione dalla quale originavano gli accor-di trilaterali tra governo, sindacati eConfindustria, per instaurare il cd. metododel dialogo sociale.Nei fatti, attraverso quest’ultimo il governoBerlusconi ha perseguito anche l’obiettivodi marginalizzare la CGIL, la maggiore con-federazione sindacale nella quale alcuniimportanti sindacati di categoria, per esem-pio, la FIOM, il sindacato dei metalmecca-nici, si oppongono da tempo al liberismo

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politico-economico, nonchè alla cancel-lazione dei diritti delle lavoratrici e deilavoratori. Infatti, l’attacco del governoBerlusconi all’articolo 18 dello Statutodei Lavoratori, nonostante l’aiuto parla-mentare proveniente anche da esponentidel PDS/PD di cui si dirà, fallirà a seguitodell’estesa e imponente mobilitazione elotta promossa dalla CGIL durante lasegreteria di Sergio Cofferati.Nello stesso periodo il governo, avendoinformalmente già acquisito l’assenso dellaCISL e della UIL, propone alle tre confede-razioni sindacali la sottoscrizione del c.d.Patto per l’Italia (2002), che, infatti, vienepuntualmente sottoscritto da CISL e UIL,ma non dalla CGIL.Sulla base delle anzidette premesse il gover-no vara la legge delega n° 30 del 14.02.2003di “riforma” del mercato del lavoro (segnataperaltro dal terribile assassinio terroristicodel Prof. Biagi, autore del Libro Bianco cuiappare ispirata questa legge).Rispetto alla preesistente legislazione dellavoro, la legge n° 30/2003 rappresentauna rilevante (regressione) modificazionedella disciplina del lavoro con la quale, aldi là delle strumentali dichiarazioni di cir-costanza dei suoi estimatori (Governo,Confindustria, CISL, UIL, vasti settori delcentro-sinistra e della stessa CGIL), si can-cellano diritti fondamentali conquistatidalle lavoratrici e dai lavoratori condecenni di lotte nel secondo dopoguerra.Infatti, con la L. n° 30/2003, nei fatti si isti-tuzionalizza il lavoro precario.Questa “riforma” viene poi attuata con ilD.Lgs. 10.09.2003 n° 276, che interviene sumolteplici punti della disciplina vigente,sia relativamente al mercato, con una nuovadisciplina della mediazione e intermedia-zione del rapporto di lavoro, sia relativa-mente ai c.d. rapporti di lavoro speciali,cambiando le fattispecie già esistenti e intro-ducendo nuove tipologie contrattuali,dichiarando strumentalmente da parte delgoverno (e non solo di esso!) che tutto que-sto serviva per regolarizzare forme di lavorosommerso e per ampliare la possibilità dientrare o restare nel mercato del lavoro.Il risultato di questa negativa politica dellavoro è il seguente: nel 2003 il lavoro som-merso e in nero interessava circa il 20% del-

l’economia italiana, dopo circa 10 anni que-sta percentuale è salita al 30%, mentre nellostesso periodo la disoccupazione è più cheraddoppiata; inoltre, nel 2012 la disoccupa-zione giovanile è pari al 35% (al momentodella stampa di questi atti la percentuale èsalita al 39%), la più alta percentuale inEuropa!E non ci si venga a raccontare che tutto que-sto è stato determinato dalla cosiddetta crisifinanziaria internazionale (crisi peraltronegata in l’Italia dal governo fino a 10 mesifa), perché essa non cade dal cielo e, comun-que, interessa anche altri paesi a noi prossi-mi come, per esempio, la Francia e laGermania, dove la situazione e ben diversa.A tutto ciò aggiungasi che i salari italiani,eccezion fatta per il Portogallo, sono i piùbassi d’Europa e, che, nello stesso periodo,una rilevante quota del reddito dal lavoro èstata trasferita a favore del capitale e dellarendita.

5. – LA DESTRUTTURAZIONE DELLOSTATUTO E LA COSIDDETTA “MANU-TENZIONE” DELL’ARTICOLO 18Governo e Confindustria nel primo triennio2001-2003, dopo aver fallito l’attacco direttoteso ad abolire l’art. 18 (il cuore delloStatuto!), hanno proseguito nel loro intento,scegliendo una via più lunga e tortuosa perraggiungere il medesimo obiettivo ai dannidelle lavoratrici e dei lavoratori.Infatti, con l’introduzione della L. n° 30/2003e l’emanazione per la sua attuazione delD.Lgs 10 settembre 2003, n° 276 (che constadi ben 86 articoli), il governo, in sintoniacon la Confindustria, ha intrapreso una seriedi interventi - (i cui passaggi qui non vengo-no ripresi per non appesantire oltre questenote) - finalizzati a destrutturare lo Statuto,aggirarne le sue norme e privare le lavoratri-ci ed i lavoratori dei loro diritti attraversol’imposizione di ben 47 tipologie di contrat-ti di lavoro: una vera e propria giungla con-trattuale tesa a perpetuare la precarietà dellavoro.Ma tutto questo non basta a un padronato,vorace e reazionario, incapace di concepirerapporti di lavoro rispettosi della dignità,della personalità, della soggettività e deidiritti umani di ogni lavoratrice e lavoratore,nonché - (per restare all’oggetto di queste

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note) - la democrazia nei luoghi di lavoro.Da qui la martellante campagna mediaticaintensificata dall’attuale governo (non elettoe spacciato per tecnico), condotta con ilsostegno di una classe politica imbelle e diun giornalismo prono ai voleri del palazzo(le lodevoli eccezioni confermano la regola)e, segnatamente, della Confindustria chepersegue l’obiettivo politico di cancellare idiritti di tutti i lavoratori, per restaurare infabbrica, e in ogni altro luogo di lavoro, ilcomando gerarchico ante 1968-1969.

Non si pensi a forzature!Marchionne ha avuto “illustri” predecesso-ri.In proposito, uno spaccato di questa aggres-sività padronale è ben rappresentato dalledichiarazioni rilasciate a metà degli anni ’80dal prof. Felice Mortillaro, allora consiglieredelegato di Federmeccanica, l’associazionedelle aziende metalmeccaniche italiane delsettore privato, che, di fronte ad una sceltaplatea, composta da una cinquantina di diri-genti di azienda, ha affermato: “Nelle fabbri-che italiane è stato finalmente reintrodottoquel sano strumento psicologico che è lapaura”. E, andando oltre, questo paladinodel padronato italiano, rincarava la dose:“Le epidemie furono provvidenziali pergarantire lo sviluppo della nascente rivolu-zione industriale. La peste ha eliminato ipiù deboli…”. (24) Ponendo mente che lamoderna peste, oggi come allora, è la disoc-cupazione e che le epidemie italiane sono(state) gli accordi sindacali FIAT (1980),Montedison (1981), Alfa Romeo (1982) e viavia quelli che sono seguiti, con i quali dallefabbriche (e non solo da esse!) sono stati/eespulsi/e a migliaia e migliaia uomini edonne ammalati/e, anziani, nonché coloroche si erano impegnati/e sindacalmente epoliticamente per affermare i diritti sancitidalla Carta Costituzionale e dallo Statuto deiDiritti dei Lavoratori e delle Lavoratrici e, inprimis, i diritti sindacali, al lavoro e allasalute, ci si rende conto del sinistro signifi-cato che il padronato dava e dà a “quel sanostrumento psicologico che è la paura”. Sepossibile, ciò è ancor più grave perché èavvenuto e avviene con il pratico consensodelle organizzazioni sindacali, le eccezioniconfermano la regola. (Uno spaccato di que-

sta repressione e discriminazione padronaleattuate contro le lavoratrici ed i lavoratoriattraverso gli accordi sindacali si può rica-vare dalla lettura del Quaderno monografi-co n° 1 della rivista di Diritto “Lavoro ‘80”,che affronta il “Caso Alfa Romeo: sindacatoe diritti individuali”, Milano 1982).

A ulteriore conferma, valgono più di tanteparole i recenti comportamenti dei vertici didue società: quello della Fiat di Termoli equello della Vodafone del call center diRoma.Nel primo caso, agli operai iscritti alla FIOM

sono stati tagliati in busta paga 250 eurorispetto ai lavoratori iscritti ad altri sindaca-ti. A Termoli, la società Fiat Powertrain erastata condannata, lo scorso mese di aprile,per comportamento antisindacale. Infatti, ilgiudice del Tribunale di Larino aveva accol-to il ricorso della FIOM, alla quale non erastato permesso di partecipare alle elezionidelle rappresentanze sindacali in azienda il19 e il 20 aprile 2012, e aveva disposto cheagli iscritti FIOM non andasse applicato ilcontratto separato siglato dall’azienda coni soli sindacati metalmeccanici FIM-CISL eUILM-UIL, essendo ancora valido (comesosteneva la FIOM) quello unitario firmatonel 2008.Per tutta risposta, la direzione Fiat, calpe-stando leggi e contratti, ha deciso nei con-fronti dei lavoratori iscritti alla FIOM diannullare in busta paga le maggiorazioniretributive derivanti dal contratto, ivi com-prese le integrazioni previste dai vecchicontratti aziendali. Pertanto, agli iscritti allaFIOM-CGIL, che sono 280 su 2100 dipen-denti, verranno corrisposti solo i minimi

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previsti dal contratto nazionale.Non v’è chi non veda che si tratta di unignobile ricatto economico (e non solo diesso!) nei confronti dei lavoratori che, condignità, hanno riconfermato la loro iscri-zione alla FIOM, il sindacato metalmecca-nico che non ha sottoscritto l’accordo“capestro” imposto da Marchionne allaFiat di Pomigliano, e, proprio per questo,è stato impedito a questo sindacato di par-tecipare alle elezioni in fabbrica per il rin-novo delle Rappresentanze SindacaliAziendali (RSA). Comunque, nei giornidelle elezioni (19-20 aprile 2012) gli iscrittialla FIOM-CGIL hanno allestito dei ban-chetti ai cancelli dello stabilimento, invitan-do i lavoratori e le lavoratrici a votare pres-so questo seggio elettorale alternativo.La lista FIOM ha così avuto 713 voti, il 33%dei dipendenti, che però dentro la fabbricanon avranno alcuna rappresentanza! A tacer d’altro, si tratta di una odiosa e pale-se violazione dell’articolo 14 dello Statutoche, sul “Diritto di associazione e di atti-vità sindacale”, stabilisce <<Il diritto dicostituire associazioni sindacali, di aderir-vi e di svolgere attività sindacale, è garan-tito a tutti i lavoratori all’interno dei luoghidi lavoro.>>Sul punto, va osservato che questo chiaris-simo articolo di legge viene scientementeignorato dai sostenitori – (governo, politici,giornalisti, Confindustria, nonchè da CISL eUIL) – di tale accordo separato imposto daMarchionne negli stabilimenti del gruppoFiat.Alla faccia delle più elementari norme diconvivenza civile e di democrazia!

Nel secondo caso, i 33 lavoratori di call cen-ter della società Comdata Careche il 20 gen-naio 2012 hanno ottenuto dal Tribunale diRoma una sentenza favorevole nella quale èstato sancito il loro diritto ad essere reinte-grati nella società Vodafone (dalla quale nel2007 erano stati esternalizzati nell’anzidettasocietà Comdata assieme ad altri/e 900dipendenti), ma invano.Infatti, nonostante la sentenza sia esecutivala società Vodafone, difesa nel ricorso dallostudio degli avvocati Ichino-Brugnatelli,non li ha riammessi al lavoro, ma solo postia libro paga, per poi inserirli immediata-

mente tra il personale in mobilità per “esu-bero strutturale”!Un chiaro avvertimento verso gli altri centolavoratori che avevano seguito la stessa stra-da promuovendo un analogo ricorso avantiil Giudice del Lavoro e che ora, in parte, lohanno ritirato “scegliendo” di restare alledipendenze della società Comdata Care, peril timore di finire fra il personale in mobilitàper “esubero strutturale”. Questa vicendarivela anche altri aspetti poco edificanti, inquanto la cessione avvenuta nel 2007 - (perla quale nella sentenza si evidenzia che “l’o-perazione avrebbe celato una mera esterna-lizzazione di manodopera eccessivamentecostosa e sgradita”) - era stata avallata daisindacati CGIL-CISL-UIL, nonostante i lavo-ratori li avessero diffidati dal sottoscriveretale accordo nei loro confronti. Infatti, granparte dei lavoratori esternalizzati aderivanoai Cobas, che si erano opposti a tale esterna-lizzazione. Al di là delle dichiarazioni tranquillizzantiche quotidianamente vengono propinatealla pubblica opinione, queste (e si potreb-bero fare altri esempi) sono le realtà che lelavoratrici ed i lavoratori vivono sulla pro-pria pelle.

SUI “MANUTENTORI” DELL’ARTICOLO18 DELLO STATUTOPreliminarmente, va osservato che con ladepenalizzazione del falso in bilancio ilpadronato non è più sottoposto a un realecontrollo di legalità nella gestione dellesocietà e, segnatamente, sotto il profilo eco-nomico-finanziario. E tutto questo nono-stante che, quotidianamente, le cronache siincarichino di segnalare scandali e dilagan-ti fenomeni di corruzione nel paese.Con la cosiddetta “manutenzione” (25) del-l’art. 18 dello Statuto - (come sanno tutti,nella realtà si tratta dell’abrogazione dellanorma che prescrive la reintegrazione nelposto di lavoro della lavoratrice o del lavo-ratore licenziato senza giusta causa) - ilpadronato persegue anche l’obiettivo di eli-minare il controllo di legalità sul propriooperato in fabbrica.Un punto sul quale molti, troppi, taccionocolpevolmente.Verrebbe da dire: in un paese ove regna l’il-legalità, il padronato (e il suo governo) non

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può tollerare alcun controllo di legalità,men che meno in fabbrica!Altro che rilancio dell’economia e dell’oc-cupazione, giovanile e non, con la cosiddet-ta riforma del mercato del lavoro.Sull’assenza di una reale opposizione poli-tica di fronte all’attacco ai diritti fondamen-tali delle lavoratrici e dei lavoratori preferi-sco non dire. La verità è che l’attacco ai diritti fondamen-tali delle lavoratrici e dei lavoratori (e nonsolo di essi!) viene da lontano e i suoi fauto-ri allignano da tempo anche tra le fila delleforze politiche che si dichiarano di sinistra(o di centro-sinistra) e che vorrebbero fareriferimento alla classe operaia: oggi, ipocri-tamente, quegli stessi esponenti si straccia-no le vesti di fronte alla pratica abrogazionedell’articolo 18, il cuore dello Statuto.Per questo, per un elementare bisogno ditrasparenza va ricordato anche in questasede, quali sono da tempo le posizioni di taliesponenti sull’articolo 18, per limitarci altema che qui ci occupa. Infatti, nel devastato panorama sociale e cul-turale, ancor prima che politico, nel qualeversa da anni il paese, come se nulla fosse,c’è chi, come il senatore Ichino e l’onorevo-le Bersani, non ancora sazi dei milioni dilavoratrici e lavoratori costrette/i a una cro-nica precarietà del lavoro (e dell’esistenza!)(26), afferma che in Italia serve “la flexsecu-rity – che, se applicata, risolverebbe granparte dei problemi connessi alla mancanzadi garanzie per il lavoratore, all’immobili-smo generato dall’applicazione non corret-ta degli ammortizzatori sociali, alla scarsaflessibilità del mercato e a tutti quegliaspetti che caratterizzano le Politiche delLavoro nella nostra Nazione.” E, proseguo-no - in un comunicato del 15.05.2009 - gliestimatori delle inaccettabili proposte deidue parlamentari: “Il Convegno si è tenu-to nella splendida cornice del PalazzoBologna - (Roma, 14.05.2009, Senato dellaRepubblica, ndr.) - in un’elegante sala tuttaesaurita da uditori interessati e partecipi.Molti gli spunti di riflessione.... Il PD devecaratterizzarsi come il partito del lavoro,favorendo una specie di patto tra i lavorato-ri e gli imprenditori, in uno scambio reci-proco di diritti e doveri. Uno scambio basa-to sui seguenti […] “punti salienti:

- l’adozione per i rapporti dipendenti di ununico contratto a tempo indeterminato;- periodo di prova di 6 mesi;- dopo il periodo di prova si applica la pro-tezione dell’art. 18 con l’unica eccezione deilicenziamenti per motivi economici ed orga-nizzativi;- in caso di licenziamento per motivi econo-mici ed organizzativi il lavoratore riceve uncongruo indennizzo; si attiva la cosiddettaassicurazione di disoccupazione […]- applicabilità del nuovo modello solo ainuovi contratti.” (27)Non v’è chi non veda che si tratta delle (ana-

loghe) proposte del governo Monti almomento del suo insediamento, che, stradafacendo, ha esteso il predetto modello nonsolo ai nuovi contratti, ma a tutti i contrattidi lavoro esistenti come ha avuto modo direplicare energicamente il Presidente delConsiglio alle recenti lamentele dellaConfindustria in merito alla c.d. riformadel lavoro.Pertanto, va detto a chiare lettere che propo-ste così oscene sono finalizzate a cancellaredel tutto ogni protezione e diritto della lavo-ratrice e del lavoratore e, segnatamente,quelli sanciti dall’art. 18 dello Statuto: chisarà mai quel padrone che licenzierà senzainvocare i “motivi economici ed organiz-zativi” ? (!).Non a caso tali proposte sono inaccettabiliper chi lavora, ma trovano il plauso dellaConfindustria e del governo delle destre, e,non a caso, il relatore di una simile propo-sta di legge è il senatore Ichino che già nel2002 aveva presentato una proposta dilegge, assieme ai suoi colleghi di partito,Michele Salvati e Franco Debenedetti, per

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monetizzare i licenziamenti e abolire legaranzie dell’art. 18 dello Statuto.Sul punto, ogni ulteriore commento ciappare superfluo.

Che dire poi dei maldestri tentativi mediati-ci tesi a convincere l’opinione pubblica, e,segnatamente, le lavoratrici ed i lavoratoridella “bontà” taumaturgica di tale iniziativaammantata di strumentali pseudo-giustifi-cazioni (“per il rilancio dell’occupazionegiovanile e non”, “per rendere dinamico ilmercato del lavoro”, “per consentire lo svi-luppo economico del sistema e la sua com-petitività”, “per aumentare il PIL”, “persuperare le divisioni di trattamento fra lavo-ratori con contratto a tempo indeterminato,per i quali vige lo Statuto, rispetto a quellicon i più diversi contratti a tempo determi-nato per i quali lo Statuto non vige”, “perattrarre gli investimenti stranieri”, etc. etc.),ove la parola licenziamento non viene maipronunciata?La cruda verità è che con la c.d. riforma delmercato del lavoro, approvata in fretta efuria con il voto di fiducia del Senato il 31maggio u.s. (231 voti favorevoli, compresoquello di Monti, e 33 voti contrari), l’art. 18dello Statuto dei Diritti dei Lavoratori è statoviolentato: quella che chiamano flessibi-lità in uscita si traduce nel linguaggiocomune in libertà di licenziamento.Quella che chiamano flessibilità in entra-ta non è altro che precarietà, estesa daigiovani a tutte la fasce d’età. Per i giovani,trovare un posto di lavoro (ma anche per chigiovane non lo è più) è un’impresa titanica;infatti, oltre alla crisi economica, quellaoccupazionale è stata ancor più aggravatadall’allungamento dell’età pensionabile,ormai portata senza colpo ferire sulla sogliadei 70 anni!I sindacati (ad eccezione della FIOM e deisindacati di base) erano in tutt’altre faccen-de affaccendati!Chi scrive continua a considerare le condi-zioni di lavoro in fabbrica (si legga ogniluogo di lavoro) come il termometro delgrado di civiltà di un paese: la mancata tute-la del diritto al lavoro rappresenta la pre-messa per la negazione di ogni diritto in fab-brica (e nella società!) e, in primis, il dirittoalla salute, alla sicurezza del e nel lavoro,

nonché la violazione della dignità, dellapersonalità e della soggettività della lavora-trice e del lavoratore: una regressione dellademocrazia dalla fabbrica alla società.

SULLA REGRESSIONE DEL DIRITTODEL LAVOROFermo quanto precede, per cogliere appienola progressiva erosione (o per meglio dire lademolizione e lo stravolgimento) dellenorme del Diritto del Lavoro operata a favo-re del capitale a partire dagli ultimi anni ’70,risulta di un certo interesse confrontarequanto veniva sancito nella L. 23 ottobre1960, n° 1369 – [“Divieto di interposizionenelle prestazioni di lavoro e nuova disci-plina dell’impiego di mano d’opera negliappalti di opere e servizi”, art. 1:- <<E’ vietato all’imprenditore di affidare inappalto o in subappalto o in qualsiasi altraforma, anche a società cooperative, l’esecu-zione di mere prestazioni di lavoro median-te impiego di manodopera assunta e retri-buita dall’appaltatore o dall’intermediario,qualunque sia la natura dell’opera o del ser-vizio cui le prestazioni si riferiscono.- E’ altresì vietato all’imprenditore di affida-re ad intermediari, siano questi dipendenti,terzi o società anche se cooperative, lavorida eseguirsi a cottimo da prestatori di opereassunti e retribuiti da tali intermediari.- E’ considerato appalto di mere prestazionidi lavoro ogni forma di appalto o subappal-to, anche per esecuzione di opere o servizi,ove l’appaltatore impieghi capitali, macchi-ne ed attrezzature fornite dall’appaltante,quand’anche per il loro uso venga corrispo-sto un compenso all’appaltante.- Le disposizioni dei precedenti commi siapplicano altresì alle aziende dello Stato edagli enti pubblici, anche se gestiti in formaautonoma, salvo quanto disposto dal suc-cessivo art. 8.- I prestatori di lavoro, occupati in violazio-ne dei divieti posti nel presente articolo,sono considerati, a tutti gli effetti, alle dipen-denze dell’imprenditore che effettivamenteabbia utilizzato le loro prestazioni.>>] – conquanto formulato nel disegno di legge colle-gato alla Finanziaria 2002 contenente la“Delega al Governo in materia di mercatodel lavoro”; ovvero una svolta decisiva (eregressiva!) nella storia del diritto del lavoro.

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Infatti, con questa Legge Delega l’interodiritto del lavoro viene stravolto: dalla tute-la si passa all’istituzionalizzazione della pre-carizzazione. Inoltre, il rapporto di lavoroche era stato privilegiato dall’ordinamento(quello a tempo indeterminato) diviene l’ec-cezione, mentre la regola è rappresentata dallavoro precario e privo di garanzie di man-tenimento.Il lavoro della donna e dell’uomo viene trat-tato alla stregua di una merce che si cede, siaffitta, si chiama di volta in volta solo quan-do serve, si “somministra”.Si cancellano norme fondamentali - (es.come la citata L. 23 ottobre 1960, n° 1369,sul divieto di intermediazione di mano d’o-pera) - che imponevano principi elementaridi civiltà, introducendo come normale, enon più solo come temporaneo, il ricorsoall’affitto di persone. (Sul punto, si rimandaa quanto previsto nella L. 14 febbraio 2003,n° 30 e al D.Lgs. n° 276/2003 per la suaattuazione). In sostanza, per limitarci all’abrogazionedella L. n° 1369/1960 il lavoratore (con lesue prestazioni lavorative) diviene unamerce liberamente commerciabile (il con-tratto di somministrazione infatti è statopensato e viene normalmente utilizzato perla fornitura periodica di beni o servizi),mentre si riconosce la liceità del trarre pro-fitto dal lavoro altrui, attraverso una vera epropria attività di interposizione, che nonsarà necessariamente temporanea, comeavviene per il lavoro interinale, ma addirit-tura teoricamente permanente.Un principio cardine del nostro ordinamen-to, secondo il quale nessuno deve esercitarea scopo di lucro un’attività il cui oggetto siasolo quello di far lavorare qualcuno alledipendenze di qualcun altro, viene cosìsmantellato e sostituito con il suo opposto.E siccome l’interposizione è brutta a dirsi, sipreferisce chiamarla somministrazione.Nasce così per via legislativa una nuova pro-fessione: quella di commerciante in lavoroaltrui.Da un punto di vista generale, va ancoraosservato che con il D.Lgs. n° 276/2003 (diattuazione della L. n° 30/2003) governo epadronato hanno puntato a creare il merca-to del lavoro più flessibile d’Europa (28),eppure in questo paese c’è ancora chi stra-

parla di rendere ulteriormente flessibile illavoro (degli altri)!

6. - SULLA NASCITA DI “MEDICINADEMOCRATICA MOVIMENTO DILOTTA PER LA SALUTE” E SULLAPROMOZIONE DELLA SALUTE INFABBRICA ATTRAVERSO L’ART. 9DELLO STATUTOSu queste tematiche, per non appesantireoltre queste note, ci si limiterà a qualchecenno.Le lotte operaie (e studentesche), soprattuttoquelle condotte nel biennio 1968-‘69, hanno

determinato la promulgazione dello Statutodei Diritti delle Lavoratrici e dei Lavoratori,uno strumento fondamentale assieme allamobilitazione ed alla lotta per affermarenei luoghi di lavoro i diritti sindacali equelli umani. In altri termini, si tratta dellapremessa indispensabile per attuare lapositiva trasformazione dell’organizzazio-ne del lavoro, nonché dei cicli e processiproduttivi, e cioè per realizzare migliori con-dizioni di lavoro (eliminazione dei rischi edelle nocività, bonifica degli ambienti dilavoro, riduzione dei ritmi e dei carichi dilavoro, eliminazione del lavoro a cottimo,etc. etc.) e di vita.Senza fare la storia, si ricorda che sempre inquegli anni i lavoratori e le lavoratrici sisono dotati di un nuovo e fondamentaleorganismo di partecipazione e rappresen-tanza diretta in fabbrica, il Consiglio diFabbrica [costituito dai delegati eletti suscheda bianca in ogni gruppo omogeneo dilavorazione (o di ufficio) da tutte/i le lavora-trici ed i lavoratori di una data realtà, iscrit-ti e non iscritti ai sindacati], attraverso il

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quale sviluppare la contrattazione con ladirezione aziendale (e non solo con essa).Inoltre, i lavoratori attraverso la partecipa-zione diretta alle iniziative sindacali hannosaputo elaborare in sintonia (a volte anchein contrasto) con i delegati del Consiglio diFabbrica (C.d.F.) piattaforme rivendicativeaziendali (e non solo queste): le stesse primadella loro presentazione alle direzioniaziendali attraverso il C.d.F. venivano dibat-tute, approvate o modificate/integrate (e avolte anche respinte) nelle assemblee di fab-brica da parte delle lavoratrici e dei lavora-tori. Va da sé che tali piattaforme rivendica-tive, pur con una certa mediazione fra lediverse istanze, contenevano richieste con-divise dai lavoratori interessati (ovviamentesi fa riferimento alle migliori esperienzematurate in quegli anni). Esperienze che hanno interessato decine (senon centinaia) di migliaia di realtà lavorati-ve in tutto il paese: tali rivendicazioni sin-dacali contenevano sempre le richieste perbonificare gli ambienti di lavoro e, quindi,per affermare la salute e l’ambiente salubrein fabbrica, ovvero per l’eliminazione dellanocività e del rischio con il netto rifiutodella loro monetizzazione.In questo contesto, le lotte operaie e studen-tesche hanno saputo dar vita a molteplicimovimenti nella società: è sull’onda di que-ste lotte e della domanda operaia di salute infabbrica, così come in ogni altro dove dellasocietà, che è nata Medicina Democraticaall’inizio degli anni ‘70.Un movimento che ha avuto tra i suoi fon-datori il Prof. Giulio A. Maccacaro, medicoe scienziato, direttore dell’Istituto diBiometria e Statistica Medica e Sanitariadell’Università Statale di Milano, un uomo(purtroppo, scomparso prematuramentenel gennaio 1977) di profonda umanità,impegnato socialmente a fianco della clas-se operaia e dei soggetti più deboli dellasocietà. (29) Per brevità, nei punti cheseguono si tracciano in modo sinteticoscopi, finalità e obiettivi di MedicinaDemocratica perseguiti e praticati ininter-rottamente da quattro decenni (il suo VIICongresso nazionale si è svolto dal 16 al 18febbraio 2012, presso l’aula magnadell’Università degli Studi di Milano), eprecisamente:

1. Fa parte della storia sociale, politica eculturale di questi quarant’anni l’associa-zione denominata “Medicina Democratica- Movimento di Lotta per la Salute“.All’inizio del 1970 era maturata, nei fatti,una singolare rivolta “contro quelle statichee sonnolenti interpretazioni dell’articolo 32,1° co. Cost., risolventesi, tutt’al più, in clas-sificazioni o in astratte categorie concettua-li”. (Montuschi, Rapporti etico-sociali,Commentario Zanichelli, 1976).

2. L’articolo 9 dello Statuto dei Diritti delleLavoratrici e dei Lavoratori “proiettava inuna dimensione collettiva, più articolata, esoprattutto credibile, quel diritto all’inte-grità psico-fisica e morale, già previsto alivello individuale, nell’articolo 2087 delCodice Civile” (peraltro inapplicato nellasua dimensione prevenzionale).Nei luoghi di lavoro molti avevano capitoche il diritto alla salute, delineato nell’onto-logia costituzionale, precedeva e non segui-va l’organizzazione dell’impresa. L’impresa, nel postulato costituzionale,doveva organizzarsi sulla salute, non sullasofferenza di chi lavora.

3. L’atto costitutivo di Medicina Democra-tica risale alla fine degli anni ’60 - primi anni‘70, mentre il suo Primo Congresso naziona-le si è tenuto a Bologna nei giorni 15 e 16maggio 1976.Non si pensò e non ci si pose l’obiettivo nédi fondare una corporazione né di ripetereuna rappresentanza sindacale, ma si volledar corpo e vita a un’aggregazione sponta-nea e autonoma di gruppi di operai/e e dipopolazione autoorganizzata sul territorio,assieme a tecnici, ricercatori e intellettualisul modello del “Centro per la Salute GiulioA. Maccacaro”, costituito da lavoratori elavoratrici chimici della Montedison diCastellanza (VA) e di altre fabbriche deidiversi settori merceologici, uniti nel rifiutodi scambiare i livelli di rischio con gliaumenti salariali. Il “Centro per la Salute Giulio A. Maccaca-ro” già allora si proponeva di svilupparemetodologie di intervento, in fabbrica suitemi della salute, della sicurezza e dell’am-biente, già sperimentate in anni di lavoro,nei molteplici campi della prevenzione dei

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rischi e delle nocività, della bonifica deicicli produttivi e dell’ambiente inquinatoall’interno come all’esterno dei luoghi dilavoro, con la partecipazione di migliaia dilavoratrici e di lavoratori appartenenti allepiccole, medie e grandi fabbriche italianenonché a settori dei servizi, dalle bancheagli ospedali.

Metodologie fondate sui principi: - della partecipazione diretta delle lavoratri-ci e dei lavoratori alle indagini in fabbrica edella popolazione autoorganizzata nel terri-torio;- dell’affermazione della soggettività ope-raia nella sua accezione più ampia e pre-gnante sia sul piano culturale che sindacalee tecnico-scientifico;- del rifiuto della monetizzazione dei rischie della nocività nei luoghi di lavoro cosìcome nel territorio;- del rifiuto della delega da parte del gruppooperaio di lavorazione omogeneo della pro-pria salute ai tecnici;- della non accettazione della cosiddettaneutralità della scienza e della tecnica edella oggettività dei cicli produttivi che daesse derivano;- della informazione e formazione perma-nente, attraverso il corretto rapporto fragruppo operaio omogeneo e tecnici sugliinnumerevoli temi della salute, della sicu-rezza, dell’ambiente salubre e dei dirittiumani.

Analoghi gruppi si erano costituiti in nume-rosi centri industriali come, per esempio,quelli di Aosta, Alessandria, Bari, Biella,Brindisi, Bologna, Firenze, Foggia, Foligno,Perugia, Genova, Lecce, Lecco, Mantova,Massa Carrara, Milano, Napoli, Novara-Pallanza Verbania, Nuoro, Padova, Palermo,Pavia, Pesaro, Pisa, Portici, Pinerolo, ReggioEmilia, Roma, Salerno, Savona, Torino,Trieste, Udine, Varese, Venezia.

4. Per la prima volta, per quanto è dato sape-re, si affermò e si volle rivendicare la “cen-tralità della lotta per la salute” nei luoghistessi dove << si realizzavano insieme e inmassimo grado la “concentrazione dellanocività e la spoliazione di questo bene pri-mario, quale estremo e preciso portato di

una scienza lungamente votatasi alla orga-nizzazione ‘scientifica’ del lavoro” >>.Nei luoghi stessi dove la “lotta collettiva perla salute, investiva il modo della produzio-ne e lo contestava proprio sul punto nodaledella sua falsa e deviata razionalità” (GiulioA. Maccacaro, Relazione introduttiva alPrimo Congresso nazionale di MedicinaDemocratica - Movimento di Lotta per laSalute). Una lotta collettiva per la salute, lasicurezza, l’ambiente salubre, i diritti umaniche contestava alla radice non solo comeprodurre ma anche cosa, per chi e dove pro-durre.

5. Da questo impegno si forma e con questefinalità si muove e opera Medicina Demo-cratica fin dall’inizio degli anni ‘70 affer-mando la positiva sussistenza di un dirittosoggettivo perfetto (alla salute), che nonpoteva rientrare nel sinàllagma contrattuale:la garanzia della salubrità dell’ambienteessendo un presupposto collocato all’ester-no di ogni singolo rapporto di lavoro. Diritto non negoziabile e, in tal senso, gene-ratore di un diritto intersoggettivo per ado-perare i termini usati da alcuni giuristi(Montuschi, sempre nel Commentario cita-to, e la rivista Quale Giustizia, nei fascicoli21/22 e 27/28, “La Nuova Italia”, 1974).

6. Al Congresso di Bologna, MedicinaDemocratica traccia dunque le linee cultu-rali e scientifiche ancor prima che politichedel suo programma:

- Tutelare attraverso azioni concrete, sulpiano delle istituzioni, il diritto alla salutedei cittadini, delle lavoratrici e dei lavorato-ri, dei pensionati, dei disoccupati e dellepersone deboli socialmente contro la loroemarginazione ed esclusione;- Intervenire, sul piano delle iniziative poli-tiche e giuridiche, ogni qualvolta questodiritto, nella sua più estesa accezione, vengaleso;- Promuovere l’affermazione di una politicadella prevenzione dei rischi e delle nocivitàall’interno come all’esterno dei luoghi dilavoro nonché della salute e medicina pub-blica;- Favorire l’incontro con istituzioni, gruppi,movimenti, leghe, comitati, associazioni,

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operanti per l’affermazione dei diritti allasalute, alla sicurezza, all’ambiente salubre,nonché per affermare i diritti umani, met-tendo a disposizione le proprie competenzee strutture, ogni volta ciò si renda necessa-rio.7. La qualità, la quantità e l’importanza pra-tica politica, sociale, culturale e tecnico-scientifica dell’Associazione sono docu-mentati dalla Rivista omonima pubblicata apartire dal 1975/76 dall’editrice La NuovaItalia, e, successivamente, in modo autoge-stito da “Medicina Democratica”.

DIRITTO AL LAVORO E DIRITTO ALLASALUTE, UN BINOMIO INSCINDIBILECome è facilmente intuibile, la precarietàdel rapporto di lavoro incide negativamentesia sulle generali condizioni di lavoro e divita delle lavoratrici e dei lavoratori, siasulla tutela della loro salute.Infatti, questi lavoratori sono stati - inaccet-tabilmente – privati dei diritti e delle neces-sarie tutele per il mantenimento del rispetti-vo posto di lavoro: ovvero sono stati privatidi un reale potere contrattuale nei confrontidell’azienda, pertanto, per restare al tema,non sono in grado di imporre alla stessaalcun intervento teso alla prevenzione deirischi e delle nocività presenti in una datarealtà lavorativa. In altri termini, il lavorato-re con contratto (precario) di lavoro a tempodeterminato è privo di forza contrattuale neiconfronti dell’impresa, dato che la stessapuò decidere in qualsiasi momento di nonrinnovargli il contratto di lavoro.Ad esempio (peraltro, situazione realistica),si consideri un lavoratore (giovane o anzia-no) che svolge lavori (precari) a tempo deter-minato e che, per necessità, è costretto acambiare di volta in volta la sede di lavoro,come potrà realisticamente acquisire lanecessaria informazione e formazione perprevenire gli specifici rischi lavorativi aiquali, suo malgrado, viene esposto nellediverse realtà lavorative? E quindi comepotrà tutelare la propria salute e dignità se èstato privato dei diritti e delle suddette tute-le? Non a caso i lavoratori precari (che da anniin Italia ammontano ad alcuni milioni dipersone) non hanno ancora sviluppato lottesignificative per la tutela della salute e la

sicurezza del e nel lavoro.E, purtroppo, il lavoro continua ad uccide-re... anche lentamente a causa dell’esposi-zione incontrollata a sostanze e agenti tossi-cancerogeni. Per tutti valga l’esposizionelavorativa all’amianto con la sua ininterrot-ta scia di morte, che generalmente giungedopo 20, 30, 40 e più anni dall’inizio dell’e-sposizione lavorativa alle fibre killer (le stra-gi di operai e popolazioni residenti nellezone limitrofe gli impianti esposti alle fibrekiller emesse dagli stabilimenti Eternit diCasale Monferrato, Cavagnolo, Rubiera,Bagnoli, nonchè da quelli della Fibronit diBroni e Bari, stanno lì a ricordarcelo!).La realtà delle morti operaie che si susse-guono sui luoghi di lavoro con una impla-cabile cadenza quotidiana ci ricordano chequesto lavoro continua ad uccidere, nellatotale indifferenza dei più.Per questo, va ribadito, anche in questa sedeche la vita e la salute non sono merci evanno difese sempre e comunque! Lo strumento legale di elezione per condur-re sui luoghi di lavoro questa lotta di lungalena è l’applicazione dell’art. 9 dello Statutodei Diritti delle Lavoratrici e dei Lavoratori,attraverso il quale <<I lavoratori, medianteloro rappresentanze, hanno diritto di con-trollare l’applicazione delle norme per laprevenzione degli infortuni e delle malat-tie professionali e di promuovere la ricer-ca, l’elaborazione e l’attuazione di tutte lemisure idonee a tutelare la loro salute e laloro integrità fisica.>> Una norma dello Statuto, frutto di vaste eincisive lotte di massa delle lavoratrici e deilavoratori, dentro e fuori le fabbriche, peraffermare la salute, la sicurezza, l’ambientesalubre.Lotte che, soprattutto dalla fine degli anni’60, hanno determinato radicali e positivicambiamenti dell’organizzazione del lavoroe dei cicli produttivi imponendo interventia ciò finalizzati, tesi ad eliminare ognirischio lavorativo ed a conquistare, pur framolteplici difficoltà e in un gran numero direaltà, anche i Servizi di Prevenzione, diIgiene e Medicina del Lavoro, e questo benprima della promulgazione della Legge diRiforma Sanitaria del 23 dicembre 1978,peraltro, frutto anch’essa di quelle lotte.Lungi da chi scrive fare un discorso agiogra-

La magistratura ed il futuro del diritto del lavoro, convegno promosso dall’Associazione Romano Canosa per gli studi storici, il 12 giugno 2012 - Milano, Società Umanitaria

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fico di quelle lotte, dei suoi protagonisti edelle organizzazioni sindacali (per limitarcia queste), anzi!In questa sede, senza fare la storia dell’art. 9dello Statuto - (ovvero sulla sua applicazio-ne e sulla sua mancata applicazione nellaconduzione delle lotte per la salute in fab-brica; peraltro, un’indagine che sarebbeutile fare) - va sottolineato a chiare lettereche tale norma, alla quale hanno fatto ricor-so molteplici realtà di fabbrica con risultatidiversi - qui non indagati - è stata da subitodisattesa e fortemente contrastata dalle dire-zioni aziendali, ma anche dalle organizza-zioni sindacali; risultato: oggi essa è scono-sciuta ai più, e non solo dentro le fabbriche.Viceversa, l’art. 9 dello Statuto va (ri)scoper-to, sia per la sua enorme portata culturale,ancor prima che politico-sindacale, sia perla sua dirompente proiezione sociale: infat-ti, il fulcro di questa norma è costituito dal-l’intervento diretto delle lavoratrici e deilavoratori sul ciclo produttivo e sull’orga-nizzazione del lavoro, affermando così illoro diritto – (e la loro capacità collettiva) –a trasformare la realtà, senza rilasciare dele-ghe ad altri, ovvero affermando la propriasoggettività, che non è soggettivismo – [loricordo a chi è digiuno di quelle lotte e diquel dibattito sulla Non neutralità dellascienza e della tecnica e del ciclo produttivoda esse derivato, con al centro: l’affermazio-ne della soggettività del Gruppo OperaioOmogeneo di Lavorazione; la rivendicazio-ne delRischio Zeroe la non accettazione deilimiti di esposizione agli agenti e alle sostan-ze tossico-nocive e cancerogene (i cosiddet-ti valori MAC e TLV proposti dalle agenzienazionali e internazionali), con la conte-stuale denuncia della loro inattendibilitàscientifica e del loro uso padronale teso allaperpetuazione del rischio; il No alla mone-tizzazione della nocività e del rischio e lalotta per la loro eliminazione; la non delegadella salute ai tecnici e la validazione deidati tecnici da parte del Gruppo Omogeneodi Lavorazione; il ruolo fondamentale del-l’inchiesta operaia sulle proprie condizionidi lavoro e di vita, segnatamente nella rico-struzione del ciclo produttivo e nella rileva-zione delle nocività e dei rischi presentinegli ambienti di lavoro, con incisive pro-poste di bonifica ambientale elaborate ed

approvate dalle assemblee di GruppoOmogeneo di Lavorazione, con la presenta-zione di puntuali piattaforme rivendicativeaziendali per realizzare interventi sugliimpianti e sull’organizzazione del lavorotesi ad eliminare ogni rischio e nocività, ...etc. etc.].Ho accennato a tutto questo non per stolidenostalgie del passato o per ignorare i pesan-ti attacchi subiti dal movimento operaio diquesto paese, soprattutto a partire dallaseconda metà degli anni ’70 - (chi era in fab-brica in quegli anni si ricorda quanto è avve-nuto a partire dall’assemblea nazionale deidelegati CGIL-CISL-UIL del 1977, tenutasi aRoma all’EUR) – e, men che meno, perrimuovere la devastante realtà che oggi laclasse operaia nelle sue molteplici articola-zioni sociali vive sulla propria pelle, anzi!(Sul punto, si legga: frammentazione delciclo produttivo e della forza lavoro, bassisalari, una miriade di contratti di lavoro che,nei fatti, come più volte ricordato sancisco-no il lavoro precario a tempo indeterminato,il lavoro in nero, la cassa integrazione ed ilicenziamenti dilaganti, sia per chi - indige-no o straniero - ha un rapporto di lavoro atempo determinato che a tempo indetermi-nato; il tutto in presenza della promulgazio-ne di leggi tese a cancellare i diritti fonda-mentali delle lavoratrici, dei lavoratori, enon solo di essi).Nel chiudere queste note, si sottolineal’angustia culturale, ancor prima che poli-tica, degli odierni fautori ed estimatoridella c.d. riforma del mercato del lavoro,approvata il 31 maggio 2012 dal Senatodella Repubblica. Viceversa, va ribadita l’importanza fonda-mentale che rivestono i diritti sociali comediritti di libertà: senza il loro pieno godi-mento la democrazia non è altro che unvuoto simulacro!Sul punto, mi preme richiamare le lucideparole di Norberto Bobbio, che ha definito idiritti sociali (e nella definizione sonoovviamente compresi i cosiddetti diritti eco-nomico-sociali) <<come l’insieme delle pre-tese o esigenze da cui derivano legittimeaspettative, che i cittadini hanno, non comeindividui singoli, uno indipendente dall’al-tro, ma come individui sociali che vivono, enon possono non vivere, in società con altri

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NOTE1. Clara Luce, ambasciatrice USA in Italia dal4 maggio 1953 al 27 gennaio.1956.2. Adriano Ballone, Uomini, Fabbrica ePotere – Storia dell’Associazione nazionaleperseguitati e licenziati per rappresagliapolitica e sindacale, Franco Angeli Libri,Milano 1987. In questo interessante e docu-mentato libro, sul punto si legge (cfr. p. 288):“A partire dal 1952 ingenti commesse perl’aeronautica provengono dagli USA: per l’e-sercito americano la Fiat costruisce il motorea reazione <<Ghost>>, i motori AllisonJ35.A29, parti del <<Vampire>>. Producecomponenti del <<F 86 K>> per la NorthAmerican Aviation, che commissionerà 120unità. Per il mercato NATO la Fiat progetta il<<Fiat G 82>> e per l’Italia i modelli <<G91>> e <<G 84>>, gli aeroplani scuola <<G46>>, <<G 49>>, e <<G 59>>”.3. Aldo Agosti, Prefazione al libro di AdrianoBallone, Uomini, Fabbrica e Potere – Storia dell’Associazione nazionale perseguitati elicenziati per rappresaglia politica e sindaca-le, Franco Angeli Libri, Milano 1987, ove siprecisa che questi dati sono desunti dalnumero delle domande presentate per il recu-

pero delle pertinenze maturate ai sensi dellaL. n° 36/1974. 4. Cfr. T. Treu, I governi centristi e la regola-mentazione dell’attività sindacale, inProblemi del movimento sindacale in Italia1943 – 1973, Fondazione GiangiacomoFeltrinelli, <<Annali>>, anno XVI, 1974 –1975, pp. 561 e sgg.5. E. Pugno, S. Garavini, Gli anni duri allaFiat. La resistenza sindacale e la ripresa,Einaudi Torino 1974, p. 4.6. Aldo Agosti, nella Sua Premessa a pag. VIIIdel libro di A. Ballone, in riferimento a questifatti cita la documentazione accuratamente rac-colta da G. Carocci, Inchiesta alla Fiat, Parenti,Firenze 1960. Inoltre, Agosti ricorda pure unfatto emblematico, ma poco noto, venuto allaluce successivamente e rapidamente dimenti-cato; si tratta di quanto documentato da BiancaGuidetti Serra nel libro: Le schedature Fiat.Cronaca di un processo e altre cronache,Torino, Rosenberg e Sellier, 1984.7. Romano Canosa, Il giudice e la classe:appunti sulla magistratura di sinistra inItalia, in <<Politica del diritto>>, nn. 3-4,agosto 1972, pagg. 609–642, Il Mulino,

individui.>> E ha richiamato una (relativa-mente) recente definizione di <<diritti digiustizia>>, aggiungendo che <<si può diresinteticamente che la democrazia ha perfondamento il riconoscimento dei diritti dilibertà e come naturale complemento ilriconoscimento dei diritti sociali o di giusti-zia>>. Bobbio continua: <<Si intende che ilriconoscimento di questi diritti socialirichiede l’intervento diretto dello Stato,tanto che vengono chiamati anche “diritti diprestazione”, proprio perché richiedono, adifferenza dei diritti di libertà, che lo Statointervenga con provvedimenti adeguati […].E’ un problema la cui soluzione dipendedallo sviluppo della società>>. L’oggetto comune a questi diritti è la cosid-detta sicurezza sociale, che significa <<l’in-sieme degli istituti giuridici mediante i qualilo Stato realizza la libertà dal bisognogarantendo a tutti i membri della comunitài mezzi per sopravvivere>>.<<Sinteticamente, i diritti sociali fonda-mentali sono tre: all’istruzione, al lavoro,alla salute>>. La coniugazione in costitu-zione di taluni di questi diritti, come quelloalla salute, come diritti dell’individuo e

come interesse della collettività <<fannocapire che ciò che caratterizza un dirittosociale a differenza di un diritto di libertà, èche esso è riconosciuto e protetto non solonell’interesse primario dell’individuo, maanche nell’interesse generale della societàdi cui l’individuo fa parte. E’ nell’interessedella società, infatti, che i cittadini sianoistruiti piuttosto che ignoranti, occupatipiuttosto che disoccupati, in buona salutepiuttosto che infermi>>. Il nocciolo delragionamento è il seguente: <<Ritengo che ilriconoscimento di alcuni diritti sociali fon-damentali sia il presupposto o la precondi-zione di un effettivo esercizio dei diritti dilibertà. L’individuo istruito è più libero di unincolto; un individuo che ha un lavoro è piùlibero di un disoccupato; un uomo sano èpiù libero di un ammalato>>.E il saggio di Bobbio si chiude con unrichiamo all’insegnamento di Piero Cala-mandrei, che già nel 1946 aveva affermatoche anche i diritti sociali sono diritti dilibertà, perché <<costituiscono la premes-sa indispensabile per assicurare a tutti icittadini il godimento effettivo dellelibertà politiche.>> (30)

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Bologna, 1972.8. Romano Canosa in Il giudice e la classe:appunti sulla magistratura di sinistra inItalia, sul punto a pag. 636 cita. M. S.Giannini, Basi costituzionali della proprietàprivata, in <<Politica del diritto>>, 1971, pp.443 e seguenti.9. Romano Canosa, op. cit. Il giudice e la clas-se: appunti sulla magistratura di sinistra inItalia, pp. 636 – 637, ove l’Autore sottolineache un atteggiamento di questo tipo è tutt’altroche venuto meno. Nel congresso di Salerno delmaggio 1970, dedicato a <<Il giudice nellademocrazia moderna>>, organizzato dallaUnione Magistrati Italiani, uno degli esponentidi questo sodalizio, il Colli, affermava: <<Ma seè vero che nel 1946-47 non si poteva far meglio,le conseguenze furono gravi: da un lato la gene-ricità di molte affermazioni (difficile chiamarlenorme), dall’altro numerose proposizionisostanzialmente contraddittorie>> (vedi testointegrale dell’intervento in <<Rassegna deimagistrati>, 1970, p. 455). 10. Romano Canosa, La gestione dello statutodei lavoratori, in <<Politica del diritto>>,nn. 3-4, agosto 1972, p. 357.11. Romano Canosa, Magistratura e conflitti dilavoro, pp. 150 – 151, in <<L’amministrazionedella giustizia in Italia>>, Atti del Convegnotenuto all’Università Statale di Milano nel mag-gio 1973.12. Romano Canosa, Il nuovo processo dellavoro, in <<QUALEgiustizia>>, nn. 21-22,maggio-agosto 1973, p.369, La Nuova Italia,Firenze, 1973. 13. Romano Canosa, ibidem.14. Romano Canosa, Diritto e rivoluzione,Mazzotta editore, Milano, 1977, pag. 41 eseguenti.15. Romano Canosa, Il diritto del lavoro oggi, in<<Critica del Diritto>> n. 15, Settembre-Dicembre 1978, p. 33, Milano Gabriele Mazzottaeditore.16. Cfr. <<Rivista giuridica del lavoro…>>,1977, n° 2, p. 242 segg., citato da RomanoCanosa, in Il diritto del lavoro oggi, <<Criticadel Diritto>> n. 15, Settembre-Dicembre1978, pp. 33 - 34, Milano Gabriele Mazzottaeditore.17. Sugli effetti dannosi a medio e lungo ter-mine del provvedimento per i lavoratori esulla estinzione indolore della indennità dianzianità perseguita attraverso di esso, siveda P. Alleva, Il problema dei c.d. <<auto-matismi retributivi>>: questioni giuridiche eorientamenti sindacali (tavola rotonda),<<Rivista giuridica del lavoro…>>, giugno

1977, p. 445 segg.; citato da Romano Canosain Il diritto del lavoro oggi, <<Critica delDiritto>> n. 15, Settembre-Dicembre 1978, p. 34.18. Romano Canosa, ibidem, p. 34.19. S. Mazzamuto, P. Tosi, Il costo del lavoro tralegge e contratto in <<Rivista giuridica del lavo-ro…>>, 1977, n° 2, p. 219 e segg., citato daRomano Canosa in Il diritto del lavoro oggi,<<Critica del Diritto>> n. 15, Settembre-Dicembre 1978, p. 34.20. S. Mazzamuto, P. Tosi, ibidem.21. Romano Canosa, in Il diritto del lavoro oggi,<<Critica del Diritto>> n. 15, Settembre-Dicembre 1978, p. 35, Milano Gabriele Mazzottaeditore.22. Si veda Romano Canosa, in Il diritto del lavo-ro oggi, <<Critica del Diritto>> n. 15, nota 8, pp.53 – 54, Settembre-Dicembre 1978, MilanoGabriele Mazzotta editore.23. Romano Canosa, I contratti collettivi del1983, in Lavoro Impresa Diritto negli anni ’80,pp. 68 – 71, Sapere 2000, 1984.24. Cfr. il Manifesto, quotidiano del 24 maggio1985.25. Termine più volte usato negli ultimi sei mesidall’on. Bersani nelle interviste televisive, non-chè da altri esponenti politici.26. Per esempio, nel settembre 2003 quando fuemanato il D.Lgs. n° 276, in Italia il numero com-plessivo dei cosiddetti lavoratori Co.Co.Co. eradi 2.300.000.27. Un’Idea di Paese: un Mercato del LavoroRiformista – Roma 14.05.2009, Convegnoorganizzato dal Circolo On Line PdCommunitas 2002 dal titolo “QUALE LAVO-RO NELLA GRANDE CRISI, Flessibilità eGaranzie per sconfiggere la Precarietà”(www.pd.communitas2002.org;www.pd.communitas2002.org).28. Mario Fezzi, “I contratti a progetto nellalegge Biagi (D.Lgs. 276/03) – Alcuni dubbiinterpretativi” in DL on line – Rivista telema-tica del lavoro. http//www.di-elle.it/Approf/Fezzi%20-%20Contratto %20a%20progetto.htm29. Per una più estesa trattazione su MedicinaDemocratica e la figura di Giulio Maccacaro, fragli altri, si veda Luigi Mara: “Scienza, salute eambiente. L’esperienza di Giulio Maccacaro e diMedicina Democratica” pp. 49 -71, in <<Il ’68 ela scienza in Italia>>, a cura di AngeloGuerraggio, PRISTEM/Storia nn. 27-28,Università Bocconi di Milano, Centro Pristem,Dicembre 2010.30. N. Bobbio, Sui diritti sociali, in G. Modana (acura di), Cinquant’anni di Repubblica italiana,Torino 1996, pp. 115 – 124.

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CAMPANIA- Paolo Fierro, Traversa PrivataMaffettone 8, 80144, Napolitel 3274514127; e-mail [email protected]

BASILICATASede M.D, via E. De Martino 65, 75100Matera.- Mario Murgia, via Martino 47, 75100Matera, tel. 340.7882621 email:[email protected]

TOSCANASede M.D. Firenze, Piazza Baldinucci8/rosso, 50129 Firenze- Gino Carpentiero, via Montebello 39,50123, Firenze, tel 055285423;0556263475; e-mail [email protected];cell. 347-5481255 - Beppe Banchi, via Incontri 2, 50139,Firenze, tel 055412743,e-mail: [email protected] Maurizio Marchi, via Cavour 4, 57013Rosignano Solvay (LI) tel 328-4152024;e-mail: [email protected] Floridi Amanda, via Verdi 110, 57127Livorno; - Liliana Leali via Montebello 38, 50123Firenze tel. 3280535454- Marcello Palagi, via XX Settembre n°207, 54031 Avenza (MS). tel.0585/857562e-mail: [email protected]

VENETO- Antonio Pignatto - via Beccaria 41/B -30175 Marghera (VE) - tel 041/924618 -e-mail: [email protected] Franco Rigosi - via Napoli 5 - 30172Mestre (VE) - tel. 041/952888 - e-mail:[email protected] Ferruccio Brugnaro, Spinea (VE), Tel.041/992827- Maria Chiara Rodeghiero, piazza Biade11, 36100 [email protected] Paolo Nardin, via Don Sante Ferronaton° 44/2, 33030 Pianiga (VE), tel.3497447189, e-mail: [email protected](referente per Padova e provincia)

MARCHE- Loris Calcina, via Campanella 2, 60015Falconara Marittima (AN).Tel. 3339492882- Claudio Mari, Via Buonarroti n° 31,61100 Pesaro. Tel. 0721/33135 (uff.);0721/287248 (abit.); Cell. 329/3637004

LIGURIA- Sede M.D. Via Crispi 18 rosso, 17100Savona, tel. 0192051292, e-mail:[email protected] Maurizio Loschi, via Luccoli 17/7,17072 Albisola Mare (SV), tel.019486341 cell.3474596046, [email protected], skype: mauryematty- Eraldo Mattarocci, [email protected] Avv. Rita Lasagna Piazza della Vittoria14/18 Savona 17100, cell. 3356152757- Valerio Gennaro via Trento 28, 16145Genova, tel. 010.310260 - 010.5558.557(ore 9.00-19.00) skype: valeriogennaro1;e-mail: [email protected]

SARDEGNA- Francesco Carta, via Toscanini 7,09170 Oristano

Referenti di Medicina DemocraticaMovimento di Lotta per la Salute - O.N.L.U.S.

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Le Monde Diplomatique, mensile di politica internazionale.il 15 di ogni mese in edicola con il manifesto, a € 3,00.

PAG 78 Le monde:505p06_142_142 11 06 2013 20:07 Pagina 104

Page 161: Rivista Nr 207

Medicina Democratica numero 207 gennaio / febbraio 2013

La magistratura ed il futuro del diritto del lavoro, convegno promosso dall’Associazione Romano Canosa per gli studi storici, il 12 giugno 2012 - Milano, Società Umanitaria 79

1960, sciopero degli operai Fiat.

PAG 79 FOTO :505p06_081_084 11 06 2013 20:08 Pagina 79

Page 162: Rivista Nr 207

Medicina Democratica numero 207 gennaio / febbraio 201380 La magistratura ed il futuro del diritto del lavoro, convegno promosso dall’Associazione Romano Canosa per gli studi storici, il 12 giugno 2012 - Milano, Società Umanitaria

Foto di Isabella Colonnello in Dove era la fabbrica, Milano 1987 - Società Smeriglio, Bovisa - Milano

PAG 80 foto:505p06_081_084 11 06 2013 20:11 Pagina 80

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copertina 207_copertina 14/06/13 10.23 Pagina 3


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